Linea Guida 14. Linee guida per la verifica del trattamento chimico in situ dei terreni e delle acque sotterranee
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1 Linea Guida 14 Linee guida per la verifica del trattamento chimico in situ dei terreni e delle acque sotterranee
2 Presidente: Assessora all Ambiente e Parco Sud: A cura della: Direttore Centrale: Coordinamento: Supporto tecnico e redazionale: Filippo Luigi Penati Bruna Brembilla Direzione centrale risorse ambientali Cristina Melchiorri Luca Raffaelli Paola Raimondi, Simona Rizzi Università degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze della Terra A. Desio Giovanni Pietro Beretta, Roberta Pellegrini Questa pubblicazione è frutto della convenzione in atto tra la Provincia di Milano e l Università degli Studi di Milano 2006 by Provincia di Milano
3 LINEE GUIDA PER LA VERIFICA DEL TRATTAMENTO CHIMICO IN SITU DEI TERRENI E DELLE ACQUE SOTTERRANEE INDICE 1 PREMESSA DESCRIZIONE DELLE TECNOLOGIE OSSIDAZIONE CHIMICA IN SITU U Permanganato (di Potassio e di Sodio) Persolfato di Sodio Perossido di Idrogeno / reagente Fenton Ozono RIDUZIONE CHIMICA IN SITU Ditionito Solfuro di Idrogeno Ferro colloidale zero-valente PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI MODELLO CONCETTUALE DEL SITO TEST DI TRATTABILITÀ E DI ECOTOSSICITÀ IN LABORATORIO TEST PILOTA VALUTAZIONE DELLA QUANTITÀ E DELLA CONCENTRAZIONE DEI REAGENTI DA INIETTARE Permanganato di Potassio/Sodio Persolfato di Sodio Perossido di Idrogeno Ozono Riducenti UBICAZIONE E REALIZZAZIONE DEI PUNTI DI TRATTAMENTO Raggio di influenza per iniezione di liquidi Raggio di influenza per iniezione di gas Fratturazione del terreno Miscelazione del terreno PIANO DI COORDINAMENTO E SICUREZZA MONITORAGGIO DELLE PRESTAZIONI DELLE TECNOLOGIE APPLICATE MONITORAGGIO A LUNGO TERMINE E VERIFICHE FINALI BIBLIOGRAFIA
4 1 PREMESSA I trattamenti chimici in situ costituiscono una tecnologia innovativa per la decontaminazione delle acque sotterranee. Questi trattamenti consistono nell iniettare nel sottosuolo o/e nelle acque sotterranee alcune sostanze dalle proprietà ossidanti o riducenti che, reagendo con i contaminanti presenti, formano prodotti innocui per l ambiente e per la salute pubblica. I trattamenti chimici in situ sono particolarmente utili per il trattamento di nuclei o di pennacchi di contaminazione. Possono essere utilizzati in combinazione con le tecniche biologiche di risanamento o possono costituire una valida alternativa nei casi in cui altre tecnologie non siano efficaci a causa della natura dei contaminanti o delle caratteristiche sito-specifiche. I due tipi di tecniche di risanamento per iniezione di sostanze nel sottosuolo trattate nella presente linee guida sono l ossidazione e la riduzione. L ossidazione chimica in situ ha il vantaggio di essere rapida e efficace, senza essere influenzata dalla natura e dalla concentrazione dei contaminanti. Gli ossidanti più utilizzati sono il perossido di Idrogeno, il reagente di Fenton (perossido di Idrogeno con aggiunta di Ferro), il permanganato di Potassio o di Sodio e l ozono. La riduzione è particolarmente utile per l immobilizzazione di contaminanti redox-sensibili o per la dealogenazione riduttiva di solventi clorurati dispersi su ampie aree. I riducenti utili a questo scopo sono il ditionito di Sodio, il solfuro di Idrogeno ed il Ferro zero valente colloidale. Affinché l applicazione di queste tecniche di bonifica fornisca buoni risultati è necessario che, prima della loro applicazione, sia fatta un attenta caratterizzazione dell area contaminata e siano eseguiti dei test di fattibilità dell intervento a diverse scale (anche per verificare lo sviluppo di prodotti di reazione intermedi). La buona riuscita di un trattamento chimico in situ dipende principalmente da due fattori: - una corretta caratterizzazione che permette di individuare la distribuzione della contaminazione e quindi consente al reagente iniettato di raggiungere completamente l area da trattare. - il corretto dosaggio del reagente in rapporto alla massa totale di contaminante; I maggiori vantaggi nell utilizzo delle tecnologie di trattamento chimico in situ sono i seguenti: non si formano grandi volumi di rifiuti da smaltire ed i tempi di trattamento sono ridotti rispetto alle tecniche tradizionali (quali ad esempio il pump and treat). L utilizzo in grande quantità di prodotti chimici potenzialmente pericolosi, la formazione di prodotti di reazione intermedi molto tossici e l eterogeneità delle condizioni del sottosuolo, richiedono però un monitoraggio ambientale esteso nel tempo; ciò anche in relazione alle diverse condizioni ambientali ed alle reazioni chimiche a cui è sottoposto il terreno contaminato, come ad esempio le piogge acide, il contatto con suoli di composizione chimica differente, etc.. 2
5 2 DESCRIZIONE DELLE TECNOLOGIE Le tecniche di bonifica di seguito descritte si basano sull iniezione nel sottosuolo di reagenti chimici sotto forma di liquidi o di gas. Per l ossidazione si iniettano sostanze ossidanti nelle matrici ambientali contaminate; i contaminanti possono reagire completamente ed essere trasformati in CO 2 e acqua, oppure possono essere trasformati in composti innocui normalmente presenti in natura. Per la riduzione si iniettano sostanze nel sottosuolo al fine di creare un ambiente riducente; i contaminanti, passando attraverso la zona riducente possono essere trasformati in CO 2 o possono precipitare formando composti stabili. L iniezione di sostanze estranee nel sottosuolo e nelle acque sotterranee può essere considerata con difficoltà da parte delle Autorità pubbliche, vista l importanza che le risorse idriche sotterranee rivestono ai fini dell approvvigionamento idrico e la mancanza di un controllo diretto (anche visivo) ed immediato dei fenomeni prodotti. Si tenga presente che tale attività viene considerata dalla Direttiva 2000/60/CE, che all art. 11 prevede che: Gli Stati membri possono autorizzare la reintroduzione nella medesima falda di acque utilizzate a scopi geotermici. Essi possono autorizzare inoltre, a determinate condizioni: gli scarichi di piccoli quantitativi di sostanze finalizzati alla marcatura, alla protezione o al risanamento del corpo idrico, limitati al quantitativo strettamente necessario per le finalità in questione. Inoltre viene considerata anche dal D. Lgs. 152/06, che all art. 243 comma 2 recita:... ai soli fini della bonifica dell acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse... non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate. Pertanto l utilizzo delle tecniche di bonifica che prevedono l iniezione di sostanze nel sottosuolo appaiono applicabili alle seguenti condizioni: - le attività devono essere svolte in un ambiente controllato; - l iniezione di sostanze chimiche deve essere prevista all interno di un progetto autorizzato; - deve essere iniettata una quantità di reagenti strettamente necessaria alle azioni di bonifica; - l intervento non deve compromettere il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale delle acque. 3
6 2.1 Ossidazione chimica in situ I processi di ossidazione chimica, prima di essere applicati in situ, sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento delle acque reflue ex situ. Data la loro comprovata efficacia su una gran varietà di composti si è sperimentato con successo il loro utilizzo insieme alle tecniche di iniezione per il risanamento in situ dei terreni e delle acque sotterranee. I quattro tipi di ossidanti più utilizzati sono il permanganato (di Sodio o di Potassio), il persolfato di Sodio, il perossido di Idrogeno (acqua ossigenata a volte sotto forma di reagente di Fenton) e l ozono. I composti iniettati reagiscono con i contaminanti producendo composti innocui quali anidride carbonica, acqua e, in caso di trattamento di composti clorurati, cloruri inorganici. Alcuni prodotti intermedi di reazione non facilmente identificabili possono rimanere nell ambiente; se i reagenti sono iniettati in quantità adeguata e raggiungono tutte le zone contaminate, le reazioni permettono di arrivare rapidamente ai prodotti finali. In genere tutti gli ossidanti trattati in questo documento hanno un potere ossidante sufficiente per reagire con la maggior parte dei contaminanti organici. In Tabella 2.1 vengono elencati i principali tipi di ossidanti e il loro potenziale standard di ossidazione (il potenziale in Volt generato dalla reazione di ossidazione). Tabella 2.1: potenziali di ossidazione di alcuni composti Composto Potenziale di ossidazione (V) Ozono 2.1 Persolfato di Sodio 2.0 Perossido di Idrogeno 1.8 Permanganato (Potassio / Sodio) 1.7 I potenziali standard di ossidazione sono buoni indicatori della forza di un ossidante, tuttavia non danno alcuna informazione sulle prestazioni in situ delle sostanze. Infatti le condizioni di campo possono influenzare notevolmente le reazioni chimiche, dal punto di vista puramente stechiometrico, della cinetica di reazione e della termodinamica. Queste condizioni variano notevolmente al variare del ph, della temperatura, della concentrazione dei reagenti, della presenza di catalizzatori o di eventuali impurità naturali (diversa concentrazione della materia organica). E molto importante anche che i reagenti iniettati raggiungano tutta l area contaminata, e reagiscano completamente con i contaminanti. I composti con potenziale di ossidazione maggiore sono più aggressivi ed in grado di degradare contaminanti anche molto concentrati, tuttavia il loro potenziale si riduce velocemente una volta raggiunta l area contaminata. I composti con potenziale ossidante minore, essendo più stabili, possono invece raggiungere zone lontane dal punto di iniezione mantenendo il loro potenziale ossidante. Pertanto nella scelta del tipo di ossidante va tenuta in considerazione l estensione dell area da trattare, oltre al grado di contaminazione. Di seguito vengono descritti i diversi tipi di ossidanti e le loro caratteristiche principali, sia dal punto di vista chimico sia dal punto di vista del loro utilizzo. 4
7 In Tabella 2.2 sono elencati sinteticamente i tipi di contaminanti e la loro degradabilità con i diversi tipi di reagenti ossidanti Permanganato (di Potassio e di Sodio) Le due forme di permanganato più utilizzate come ossidanti per applicazioni in situ sono il permanganato di Potassio (KMnO 4 ) e il permanganato di Sodio (NaMnO 4 ). Entrambi i composti sono disponibili sia nella forma di solidi cristallini, sia nella forma di liquidi a varie concentrazioni. Per agevolarne il trasporto, normalmente vengono forniti come solido o come liquidi a concentrazione più elevate rispetto a quelle di utilizzo in situ. Tabella 2.2: efficacia dei reagenti ossidanti su alcuni tipi di contaminanti Ossidante Facilmente degradabile Difficilmente degradabile Perossido di Idrogeno /Reagente Fenton Ozono Ozono / Perossido di Idrogeno Permanganato (Potassio/Sodio) Persolfato attivato TCA, PCE, TCE, DCE, VC, BTEX, CB, fenoli, MTBE, TBA, esplosivi (es. TNT), 1,4-diossano PCE, TCE, DCE, VC, BTEX, CB, fenoli, MTBE, TBA, esplosivi TCA, PCE, TCE, DCE, VC, BTEX, CB, fenoli, MTBE, TBA, esplosivi, 1,4 diossano PCE, TCE, DCE, VC, BTEX, IPA, fenoli, esplosivi PCE, TCE, DCE, VC, BTEX, CB, fenoli, MTBE, TBA, 1,4-diossano DCA, CH 2 Cl 2 (diclorometano), IPA, PCB, tetracloruro di carbonio DCA, CH 2 Cl 2, IPA DCA, CH 2 Cl 2, IPA, tetracloruro di carbonio, PCB Benzene, pesticidi IPA, esplosivi, pesticidi, PCB Molto difficilmente degradabile CHCl 3 (cloroformio), pesticidi CHCl 3, pesticidi, TCA, tetracloruro di carbonio, PCB CHCl 3, pesticidi CHCl 3, TCA, tetracloruro di carbonio, PCB TCA: tricloroetano; DCA: dicloroetano; PCE: percloroetilene o tetracloroetilene; TCE: tricloroetilene; DCE: dicloroetilene; VC: cloruro di vinile; BTEX: benzene, toluene, etilbenzene, cilene; CB: clorobenzeni; MTBE: metil-tert-butil-etere; TBA: alcol tert-butilico; IPA: idrocarburi policiclici aromatici; PCB: policlorobifenili. Entrambe le forme di permanganato hanno un potere ossidante relativamente basso (1.7 V), che li rende adatti all ossidazione di composti facilmente attaccabili chimicamente. La stechiometria e la cinetica di ossidazione del permanganato può risultare abbastanza complessa a causa dei diversi stati di valenza del Manganese e quindi dei diversi prodotti intermedi di reazione che può generare. Proprio questa sua caratteristica lo rende utilizzabile in diverse condizioni di ph. I sali di permanganato in soluzione acquosa partecipano a reazioni generali del tipo: 5
8 + MnO + 4 H + 3e MnO s ) + H O 4 2( 2 2 In particolare per la degradazione di composti organici clorurati l ossidazione avviene secondo le seguenti reazioni (per quanto riguarda il permanganato di Potassio): Percloroetilene (PCE): + + 4KMnO 4 + 3C 2Cl 4 + 4H 2O 6CO2 + 4MnO2 ( s ) + 4K + 12Cl + 8H Tricloroetilene (TCE): + + 2KMnO 4 + C2HCl3 2CO2 + 2MnO2( s ) + 2K + 3Cl + H Dicloroetilene (DCE): KMnO 4 + 3C 2H 2Cl 2 + 2H 6CO2 + 8MnO s ) + 8K + 6Cl + 4H Cloruro di vinile (VC): 2( KMnO 4 + 3C 2H3Cl 6CO2 + 10MnO s ) + 10K + 3Cl + 7OH + H O 2( 2 In generale gli idrocarburi clorurati con maggior sostituzione di cloro consumano meno ossidante e producono meno MnO 2. Le reazioni di ossidazione degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (con permanganato di Potassio) sono le seguenti: Naftalene: Fenantrene: Pirene: KMnO 4 + C10H8 + 16H 16MnO2 s ) + 10CO2 + 16K + 12H ( KMnO 4 + C14H H 22MnO2 s ) + 14CO2 + 22K + 16H O ( KMnO 4 + 3C 16H H 74MnO2 s ) + 48CO2 + 74K + 52H ( 2 Per quanto riguarda gli altri composti ossidabili con permanganato, se ne dovrà valutare caso per caso, a seconda delle condizioni sito specifiche, l applicabilità. Si deve tener conto in particolare della presenza di materia organica nel terreno, in quanto il permanganato può reagire ossidando la materia organica e perdere parte del suo potere ossidante. In questi casi è necessario valutare attentamente il dosaggio per garantire l ossidazione totale dei contaminanti. Il permanganato è un ossidante molto stabile e può rimanere nel sottosuolo per alcuni mesi. La massa totale di permanganato ed il tasso di iniezione devono essere quindi bilanciate con la quantità di materiale da ossidare. Inoltre è necessario considerare come la formazione di prodotti solidi (precipitati) di reazione tenda a ridurre la permeabilità del 6 O O O
9 terreno. E pertanto sconsigliato l uso di tali ossidanti in terreni a bassa permeabilità, anche per via della difficile distribuzione dell ossidante in tutta l area contaminata Persolfato di Sodio Come il permanganato, anche il persolfato forma diversi sali, tra cui i più comuni sono il persolfato di Sodio, il persolfato di Potassio e il persolfato di ammonio. Per l ossidazione chimica in situ viene comunemente utilizzato il persolfato di Sodio; infatti il persolfato di Potassio è molto poco solubile, mentre il persolfato di ammonio può generare ammoniaca, contaminando così le acque sotterranee. Il persolfato di Sodio si scompone in acqua generando anioni persolfato (S 2 O 8 2- ), che sono fortemente ossidanti, anche se le reazioni di ossidazione dei contaminanti risultano essere molto lente. La reazione di ossidazione del persolfato è la seguente: S 2 2O8 + e 2 2 SO 2 4 Le reazioni di scomposizione del persolfato variano a seconda della concentrazione degli anioni, del ph e dell Ossigeno. L incremento di temperatura (40-99 C) o l aggiunta di ioni di Ferro (o di altri metalli di transizione) aumenta notevolmente il potere ossidante del persolfato. L aumento del potere ossidante è dovuto all attivazione del persolfato a radicale, secondo la seguente reazione: S O8 + Fe 2SO Fe 3+ I radicali sono frammenti molecolari con un elettrone spaiato, pertanto sono estremamente reattivi ed hanno una vita relativamente breve (circa 4 secondi). Le reazioni in cui sono coinvolti i radicali possono portare alla formazione di altri radicali (anche di radicali ossidrile), con conseguente incremento della funzione di ossidante, tuttavia ciò non sempre avviene. Il Ferro è quindi necessario per iniziare la catena delle reazioni con attivazione di radicali, ma è fondamentale che il Ferro rimanga in soluzione e venga trasportato insieme al persolfato per espletare la sua funzione. Il problema principale con i sali di Fe 2+ è la possibilità che vengano ossidati a Fe 3+ e che questo precipiti all interno della matrice solida con effetto tampone. Per mantenere il Ferro in soluzione è possibile ricorrere all aggiunta di agenti chelanti (quali acido citrico o acido ossalico). In generale si è osservato come l anione persolfato sia un ossidante lento; inoltre la sua interazione con la sostanza organica naturalmente presente nel terreno è limitata e comunque molto inferiore a quella del permanganato. Un aspetto negativo è stato invece riscontrato nel caso di utilizzo in presenza di ioni cloruro, carbonato o bicarbonato, che possono deossidare i radicali solfato, diminuendo così il potere ossidante. Particolare attenzione va posta alla possibilità che l iniezione di persolfato nelle acque sotterranee ne alteri il ph; infatti si può assistere a cadute del ph fino a 1,5-2,5 a seguito di iniezione di persolfato, per via della formazione di acido solforico. Questo non accade in presenza di suoli con effetto tampone (che si oppongono cioè alla variazione del ph), 7
10 tuttavia è necessario agire con cautela, in quanto un abbassamento del ph a tali livelli può causare la solubilizzazione dei metalli presenti nel terreno Perossido di Idrogeno / reagente Fenton Per il trattamento chimico in situ generalmente il perossido di Idrogeno (H 2 O 2 ) viene utilizzato congiuntamente a ioni di Ferro (Fe 2+ ), formando così il reagente di Fenton. Infatti il perossido di Idrogeno da solo, pur essendo un forte ossidante, non ha una velocità di reazione sufficiente per degradare la maggior parte dei contaminanti. Nella reazione di Fenton, il perossido di Idrogeno viene scomposto dagli ioni Fe 2+ formare radicali ossidrile altamente reattivi: a Fe H 2O2 Fe + OH + OH Come per il persolfato, anche in questo caso il Ferro (o altri metalli di transizione) funge da catalizzatore, aumentando la cinetica di reazione e il potere ossidante del perossido di idrogeno. Nella pratica si inietta nel terreno una soluzione di acqua ossigenata tra il 4% e il 20% e contemporaneamente o in sequenza si inietta del Ferro in soluzione acida. Affinché il Ferro abbia un effetto catalitico, deve essere mantenuto in soluzione acquosa; questo si ottiene appunto creando un ambiente acido (Fenton tradizionale) o in ambiente neutro tramite aggiunta di agenti chelanti (Fenton modificato). Come per il persolfato, anche per il perossido la formazione di radicali può dare origine a reazioni a catena che possono portare alla formazione di altri radicali. Se ad esempio si ha un eccesso di perossido di Idrogeno, è possibile produrre specie radicali diverse che con la semplice reazione di Fenton (che produce solo radicali ossidrile), quali ad esempio i radicali idroperossido (HO 2 ), i radicali anione superossido (O 2 - ) e gli anioni idroperossido (HO 2 - ). In questo modo si avranno molte più specie fortemente reattive che potranno degradare anche alcuni contaminanti particolarmente refrattari ai trattamenti di bonifica (quali ad esempio i DNAPL). I prodotti di reazione (anche intermedi) che si ottengono sono generalmente più biodegradabili dei composti contaminanti originali. In generale il ph ottimale per l applicazione del Fenton è tra 3 e 4. Pertanto, prima della sua iniezione è opportuno correggere il ph tramite l aggiunta alla soluzione di acido cloridrico, solforico o acetico. In alternativa, se si vuole operare in ambiente neutro, per mantenere in soluzione il Fe 2+ è possibile aggiungere degli agenti chelanti, come acido citrico, catecolo o EDTA (Fenton modificato). Mantenendo un ambiente neutro inoltre si ha il vantaggio di evitare lo sviluppo di calore e di vapori di reazione. Come per il permanganato, va tenuta in particolare considerazione la presenza di materia organica naturale, che può causare un consumo indesiderato di ossidante. La creazione di un ph acido, qualora si decida di operare con il Fenton tradizionale, può causare la mobilitazione di metalli naturalmente presenti nel terreno. Tuttavia in generale il terreno ha delle capacità tampone naturali che portano ad una rapido ritorno alla normalità del ph. 8
11 I prodotti di reazione caratteristici del Fenton sono lo ione ferroso (Fe 2+ ), l acqua e l Ossigeno, che generalmente non sono pericolosi per l ambiente e non sono tossici; inoltre la produzione di Ossigeno durante la scomposizione del perossido di idrogeno può favorire la biodegradazione aerobica dei contaminanti Ozono Il trattamento chimico con ozono viene tipicamente utilizzato per la depurazione delle acque. Essendo l ozono un gas, il suo utilizzo per la bonifica in situ dei terreni e delle acque contaminate presenta alcune peculiarità rispetto agli altri tipi di trattamenti di ossidazione in situ con soluzioni allo stato liquido. L ozono può essere utilizzato sia per il trattamento della zona insatura sia per quella satura. I sistemi di iniezione sono simili a quelli utilizzati rispettivamente per il soil venting in modalità di iniezione (per la zona insatura) e per l air sparging (per la zona satura). Recentemente è stata sperimentata anche l iniezione di ozono disciolto in acqua o miscelato con perossido di Idrogeno. Queste operazioni di miscelatura devono essere compiute sul posto vicino al punto di iniezione. Tale combinazione verrà successivamente discussa ed è simile all ossidazione con i metodi precedentemente descritti. L ozono viene generalmente prodotto sul posto con degli appositi generatori (ozonizzatori) che convertono l Ossigeno dell aria o direttamente l Ossigeno (a seconda del tipo di alimentazione) in ozono tramite scariche elettriche; l ozono viene così prodotto con una concentrazione tra il 2% e il 10%. Le reazioni di ossidazione dell ozono possono essere suddivise in due categorie principali: ossidazione diretta e indiretta. Nel processo di ossidazione diretta, il contaminante viene ossidato direttamente dall ozono. Nell ossidazione indiretta la degradazione dei contaminanti avviene ad opera dei radicali ossidrile generati nel processo. I prodotti finali delle reazioni di ossidazione dei contaminanti sono prodotti ossidrilati, aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, anidride carbonica e acqua. Nell ossidazione diretta, una molecola di ozono si inserisce nei legami Carbonio Carbonio (C=C) e si forma un composto ozonato secondo la seguente formula, in cui C indica il carbonio, R il gruppo funzionale ed O l ossigeno: O + RC = CR RCOCR + 3 O 2 Nell ossidazione indiretta si ha la formazione di un radicale ossidrile per reazione dell ozono con uno ione ossidrile in condizioni di ph da neutro a basico. Inoltre si ha una reazione a catena che provoca la formazione di altri radicali. La reazione all inizio della catena di formazione dei radicali è la seguente: O3 + OH O2 + OH Esistono alcune condizioni che possono ridurre l efficacia dell ossidazione, causando il consumo di ossidante in reazioni non utili alla degradazione dei contaminanti. Alcuni di questi includono: alti tenori di biomassa batterica nell acquifero, alti livelli di Carbonio nel terreno, presenza di Ferro, Manganese, solfuro di Idrogeno e carbonati. 9
12 In generale le reazioni che avvengono a seguito dell iniezione di ozono nel sottosuolo non causano variazioni sostanziali del ph, in quanto si assiste alla formazione di ioni OH - e di ioni H + circa nella stessa misura. La permanenza dell ozono nelle acque sotterranee è di circa 30 minuti in condizioni di temperatura e pressione standard, ma generalmente può essere più lunga in condizioni differenti, come ad esempio nel terreno. L ozono, essendo un gas, è idoneo al trattamento della zona insatura; inoltre, a seguito delle diverse reazioni, lascia nel terreno un eccesso di Ossigeno, che può favorire l attività batterica aerobica e aiutare la biodegradazione naturale. Tuttavia un eccesso di ozono può avere un effetto sterilizzante sui terreni, riducendo drasticamente la popolazione batterica naturale. Questo effetto è però generalmente limitato sia da un punto di vista areale che temporale. In acque molto ricche in carbonati l efficacia ossidante dell ozono può essere ridotta. Recentemente ha trovato numerose applicazioni anche l utilizzo combinato di ozono e acqua ossigenata. Il risultato è il potenziamento della formazione di radicali sia come prodotti di reazioni dirette tra ozono e perossido di Idrogeno, secondo la reazione generale: 2O + O 3 + H 2O2 2OH 3 2 sia come prodotti diretti di reazioni di ossidazione del solo ozono o del solo perossido, o ancora come prodotti intermedi di reazione, come ad esempio nelle reazioni seguenti: + H 2O2 + H 2O HO2 + H 3O O HO2 OH + O2 O2 O H HO2 O O2 O3 O2 O H HO3 HO OH + 3 O 2 È possibile osservare come molte delle reazioni generino Ossigeno. In caso si utilizzino generatori di ozono a flusso di Ossigeno, la miscela iniettata può essere composta per il 90% di Ossigeno e per il 10% di ozono. Considerando anche l Ossigeno che si forma durante le reazioni, si avrà un arricchimento di Ossigeno nel sottosuolo che potrà favorire la biodegradazione aerobica. In generale l iniezione congiunta di ozono e perossido di Idrogeno, portando alla formazione di numerosi radicali, è una delle forme più aggressive di ossidazione chimica in situ. 10
13 2.2 Riduzione chimica in situ Analogamente alla tecnologia di ossidazione chimica in situ, i processi di riduzione si basano sull iniezione di sostanze reagenti nel sottosuolo tramite pozzi di iniezione o tramite la formazione di zone riducenti (barriere permeabili reattive) per mescolamento dei reagenti col terreno. Le sostanze più comunemente utilizzate a tale scopo sono il ditionito di Sodio in soluzione liquida, il solfuro di Idrogeno gassoso ed il Ferro zero valente colloidale. La riduzione chimica in situ viene generalmente utilizzata per decontaminare le acque sotterranee da metalli chimicamente riducibili e da contaminanti organici. Questa tecnologia richiede la presenza di Ferro naturale nei sedimenti costituenti l acquifero, che può essere ridotto dal suo stato di ossidazione e fungere da elemento riducente per una lunga durata. In Figura 2.1 è riportato uno schema di possibile applicazione della riduzione chimica in situ Ditionito Il ditionito viene iniettato nel sottosuolo allo scopo di creare una zona riducente solitamente a valle del pennacchio contaminato o a valle della sorgente contaminante; i contaminanti, passando attraverso l area riducente, vengono degradati o immobilizzati. In dettaglio la zona di trattamento viene creata riducendo il Fe 3+ presente nei minerali argillosi dei sedimenti dell acquifero a Fe 2+ tramite iniezione di ditionito. Lo ione ditionito (S 2 O 4 2- ) tende a dissociarsi in due radicali liberi SO 2 - secondo la seguente formula: S2O 2SO La riduzione di Fe 3+ avviene per lo più ad opera dei radicali (anche se in parte può avvenire direttamente ad opera del ditionito). 4SO Fe + H 2O 2S 2O4 + Fe + H 2O 2SO3 + S2O3 + Fe + H Il ditionito viene generalmente iniettato in una soluzione alcalina tamponata con carbonato e bicarbonato. Nonostante la formazione di ioni Idrogeno, non si hanno generalmente alterazioni del ph, dato l uso di tamponi. Il Ferro così ridotto è successivamente in grado di ridurre i contaminanti redox-sensibili che passano attraverso l area trattata. I contaminanti trattabili con questa tecnica sono: Uranio, Tecnezio e alcuni solventi clorurati. I cromati vengono immobilizzati per trasformazione a idrossido di Cr (Cr(OH) 3 ) o idrossido di Cr e Fe ((Cr,Fe)(OH) 3 ), secondo la seguente reazione: Fe + CrO4 + 5H Cr(OH ) 3 + 3Fe + H 2O Una volta precipitati, questi idrossidi difficilmente vengono riossidati in condizioni naturali. Anche Uranio e Tecnezio vengono ridotti a forme meno solubili, mentre i solventi clorurati vengono distrutti per declorazione riduttiva. 11
14 Figura 2.1: schema di sistema di riduzione chimica in situ con creazione di zona riducente a valle della contaminazione. l Solfuro di Idrogeno Il solfuro di Idrogeno (H 2 S), essendo in fase gassosa, viene spesso utilizzato nei casi in cui sia difficoltoso raggiungere le aree da trattare. Il suo utilizzo più frequente riguarda l immobilizzazione di terreni contaminati da cromati. L applicazione di solfuro di idrogeno causa la riduzione di Cr 6+ a Cr 3+, seguita da precipitazione di idrossido di Cromo solido. Durante la reazione il solfuro di Idrogeno si trasforma in solfato: 8CrO SO H 2S + 10H + 4H 2O 8Cr(OH ) I prodotti finali di reazione sono pertanto idrossido di Cromo (insolubile) e solfato (non pericoloso), che non comportano problemi di smaltimento Ferro colloidale zero-valente Il Ferro colloidale zero valente è un riducente chimico molto forte in grado di degradare per declorazione molti solventi clorurati e di immobilizzare numerosi ossianioni e ossicationi. Il Ferro zero-valente può essere utilizzato in iniezione per creare zone riducenti, oppure può essere utilizzato in trincee per creare barriere permeabili reattive (PRB). 12
15 Per poter essere iniettato, il Ferro deve essere ridotto in colloidi delle dimensioni del nanometro o del micro-metro. In questa forma il Ferro presenta numerosi vantaggi rispetto al Ferro utilizzato per le barriere, in quanto la sua reattività è maggiore. Il tipo di intervento è meno invasivo in quanto, mentre per le barriere è necessaria la mobilitazione di terreno, lo scavo di trincee con conseguente disturbo del terreno e potenziali rischi di esposizione a sostanze tossiche, in caso di iniezione di Ferro colloidale è sufficiente lo scavo di uno o più pozzi e l iniezione, anche in più fasi, del metallo. Inoltre l iniezione consente di raggiungere profondità maggiori rispetto alle barriere; la superficie raggiunta è maggiore e la quantità di Ferro richiesta è minore. L unico problema è rappresentato dalla difficoltà di verifica dell integrità della zona riducente. L iniezione può essere effettuata con diversi metodi: tramite fratturazione pneumatica utilizzando azoto come gas portante, con metodi ad infissione diretta (direct push); generalmente il Ferro viene iniettato in soluzione acquosa a diversi gradi di diluizione. 3 PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI Per poter progettare correttamente un intervento di bonifica tramite trattamento chimico in situ, è necessario effettuare una corretta caratterizzazione del sito. In particolare è necessario determinare la natura e la massa dei contaminanti presenti, modellare correttamente la struttura geologica e le proprietà del sottosuolo, identificando le principali vie di migrazione dei contaminanti, la direzione ed il gradiente del flusso idrico sotterraneo. Altri aspetti importanti includono la topografia, la geochimica degli acquiferi, la presenza di strutture o servizi sotterranei e la localizzazione di eventuali recettori. Inoltre in caso di presenza di composti organici volatili (VOC) in strutture chiuse (indoor) è necessario prevedere la realizzazione in parallelo anche di un sistema di estrazione e trattamento dei vapori (Soil Vapor Extraction). 3.1 Modello concettuale del sito Un buon modello concettuale dovrebbe consentire di determinare le condizioni prima dell inizio del trattamento (concentrazione dei contaminanti), il corretto dosaggio delle sostanze da iniettare, la quantità e la spaziatura dei punti di iniezione e l effetto previsto del trattamento. I dati geologici e chimici indispensabili sono i seguenti: dati idrogeologici: stratigrafie del sottosuolo, dati relativi alla conducibilità idraulica, granulometria e porosità del terreno, direzione e gradiente del flusso idrico sotterraneo. È importante individuare la presenza di vie di flusso preferenziali e la presenza di eterogeneità dei terreni per comprendere le possibili vie di migrazione dei contaminanti ed anche per poter prevedere la diffusione delle sostanze iniettate nel terreno. dati chimici dei contaminanti e del sottosuolo: è fondamentale conoscere in dettaglio la composizione di tutte le sostanze contaminanti presenti, oltre alle sostanze organiche 13
16 ed inorganiche naturalmente presenti nel terreno, in quanto le sostanze iniettate reagiscono con tutti i composti organici presenti nel terreno. Pertanto, al fine di garantire la degradazione di tutte le sostanze contaminanti, è necessario dosare opportunamente i reagenti, tenendo conto anche delle reazioni con composti naturali non contaminanti. sostanze ossidabili (per l ossidazione in situ): è consigliabile effettuare analisi sulle sostanze ossidabili presenti nei campioni di terreno e di acque, per valutare la domanda di ossidante da soddisfare tramite iniezione. Tale valore va ricavato in fase iniziale in laboratorio, oppure durante i test pilota in situ per valutare il consumo reale di ossidanti da parte del sistema terreno acqua - contaminanti. dati di qualità delle acque: i dati di base sulla qualità delle acque, quali ph, Eh, Ossigeno disciolto, anidride carbonica disciolta, temperatura e conducibilità elettrica specifica devono essere misurati sul terreno prima dell iniezione dei reagenti per avere un idea delle condizioni naturali dell acquifero; successivamente andranno monitorati per tutta la durata dell intervento di bonifica per valutare eventuali modificazioni eccessive del sistema. dati specifici per ciascuna sostanza da iniettare: i dati specifici per valutare la fattibilità dell intervento verranno trattati nei capitoli seguenti. 3.2 Test di trattabilità e di ecotossicità in laboratorio Per ottenere dei buoni risultati nell applicazione dei trattamenti chimici in situ, è possibile effettuare dei test di trattabilità in laboratorio. Lo scopo di questi test è di quantificare l efficacia del trattamento con un determinato reagente su un certo tipo di contaminante o un associazione di contaminanti, sia nel caso si trovino adsorbiti al terreno o in fase disciolta. I test di laboratorio possono anche servire a determinare la domanda di ossidanti o di riducenti da parte della matrice terreno e la probabilità di mobilizzazione di metalli in terreni che ne contengano alte concentrazioni. Per valutare la degradazione dei composti è opportuno eseguire un bilancio di massa. In laboratorio è possibile eseguire anche dei test di tossicità del sistema sui terreni, sulle acque e sull eluato dei sedimenti. In particolare si consiglia di effettuare dei test su parametri quali ad esempio: carica mesofila totale a 22 C, Pseudomonas Aeruginosa, Aeromonas Spp, Escherichia Coli, Shigella, test di biotossicità su Daphnia Magna e su Vibrio Fischeri. I test devono essere eseguiti dapprima sul terreno tal quale e sulle acque non trattate e successivamente sul terreno e sulle acque trattate. Il test sulla carica mesofila dovrebbe fornire indicazioni relative alla formazione di microrganismi patogeni nelle varie fasi di trattamento. Data la breve durata dei test di laboratorio preliminari, la ripetizione di tali test durante il trattamento ed alla fine dell intervento è necessaria per comprendere le dinamiche biologiche nel lungo termine e l eventuale insorgere di condizioni di ecotossicità. I risultati di questi test in laboratorio possono essere applicati (con funzione lineare) a test pilota sul terreno. Tuttavia a volte può essere necessaria una trasformazione non lineare dei risultati per il passaggio a una scala maggiore. Infatti i test di laboratorio vengono 14
17 effettuati su quantità di terreno molto piccole e difficilmente in laboratorio viene riprodotta la corretta geometria del sito o le caratteristiche fisiche del terreno da trattare. Inoltre spesso le condizioni al contorno, presenti sul terreno, possono avere un effetto importante sui risultati dei test di laboratorio. Nondimeno i test sono utili per stabilire le eventuali reazioni con le sostanze iniettate da parte della matrice terreno. 3.3 Test pilota I test pilota in situ forniscono le informazioni necessarie per implementare un sistema di trattamento completo, consentendo di determinare la distanza tra i punti di iniezione, il tasso di iniezione sia per il trattamento con gas che per il trattamento con liquidi ed infine permettono di confrontare l efficacia dei diversi tipi di reagenti. Inoltre una volta definiti questi parametri è possibile stimare i costi dell applicazione del sistema di trattamento scelto. In alcuni casi, soprattutto per siti di grosse dimensioni, l esecuzione di test pilota può essere prevista dopo aver verificato l applicabilità della tecnologia a scala di laboratorio. I parametri che possono essere definiti con questo tipo di test sono: la concentrazione del reagente, il tasso di iniezione, la temperatura, la pressione, il raggio di influenza ed i volumi totali da iniettare. In realtà questi test costituiscono delle vere e proprie azioni di bonifica di piccole porzioni dell area contaminata. Di seguito vengono fornite alcune indicazioni relative alla progettazione e verifica dei test pilota: il test pilota deve essere effettuato in una zona che sia rappresentativa delle condizioni del sito ed in cui il trattamento non subisca interruzioni. Se non è previsto il trattamento di un intero pennacchio di contaminazione durante il test pilota, si dovrebbe scegliere una zona del pennacchio che non sia soggetta a ricontaminazione dopo il trattamento e che consenta di osservare le conseguenze sull area non contaminata a valle del punto di iniezione; il punto ideale per l esecuzione del test pilota è una zona che sia stata ampiamente monitorata e di cui si possieda una buona serie storica per quanto riguarda la concentrazione dei contaminanti, per poter confrontare le tendenze del periodo preiniezione con quello post-iniezione; l iniezione dei reagenti per il test pilota può avvenire utilizzando pozzi già esistenti sul sito (qualora possiedano le caratteristiche necessarie), oppure nuovi pozzi o punti di iniezione eseguiti con tecniche direct push. È importante che la spaziatura tra i punti di iniezione sia calcolata correttamente in modo da creare una sovrapposizione delle zone di influenza. La quantità di reagenti da iniettare deve essere calcolata in base alla massa di contaminante e al consumo di reagenti da parte della matrice terreno; deve essere prevista l istallazione (ove non già esistenti) di pozzi o piezometri di monitoraggio, collocati in prossimità dei punti di iniezione utilizzati per il test pilota a valle degli stessi. I punti di monitoraggio devono essere posti a diverse distanze dai punti di iniezione (possibilmente almeno uno vicino e due lontano, come illustrato in 15
18 Figura 3.1), per poter verificare le modalità di migrazione dei reagenti e la loro effettiva direzione di propagazione. Il requisito minimo è costituito dal fatto che venga garantito il controllo del limite del pennacchio contaminato, per impedire la migrazione di reagenti o di contaminanti al di fuori dell area già contaminata; si deve preparare un piano di monitoraggio e di campionamento che consenta di verificare sia la dispersione dei reagenti, sia l efficacia del trattamento (è consigliabile effettuare analisi più frequenti sulla dispersione dei reagenti rispetto a quella dei contaminanti); nel caso di iniezione di gas, i test pilota devono consentire di individuare la zona di influenza di ciascun punto di iniezione, tramite la misura della pressione indotta, di misurare eventuali incrementi di Ossigeno disciolto, di utilizzare traccianti costituiti da gas inerti (Elio), di verificare le deformazioni della superficie di falda e le dispersione della concentrazione del gas iniettato; Figura 3.1 Esempio di ubicazione del punto di iniezione (in nero) e dei punti di monitoraggio (in rosso), con differenti ipotesi sull effettiva direzione del flusso idrico sotterraneo, per i test pilota. nel caso di iniezione di liquidi, i test pilota devono controllare le modalità di migrazione della soluzione nelle acque sotterranee per verificare che la dispersione subisca una variazione in funzione della portata di iniezione. I parametri da verificare sono le variazioni di pressione, gli aumenti di concentrazione dell Ossigeno disciolto, le deformazioni della superficie di falda e la concentrazione del fluido iniettato. I test pilota, come i test di laboratorio, sono degli utili strumenti per la verifica dell applicabilità dei sistemi di trattamento in situ. Generalmente si osserva che la quantità di reagente da iniettare è maggiore di quella necessaria in funzione della sola massa di contaminanti presente, pertanto è necessario tenere conto di tutti i fattori sito-specifici calcolati tramite i test. 3.4 Valutazione della quantità e della concentrazione dei reagenti da iniettare I fattori principali da considerare nella valutazione della concentrazione e del volume di reagenti da iniettare sono di seguito elencati: 16
19 si deve calcolare la dose totale di reagenti considerando i contaminanti presenti in fase adsorbita, disciolta e non acquosa (NAPL), oltre alle perdite di reagente dovute a reazioni con sostanze naturalmente presenti nel terreno (sostanza organica, minerali, carbonati, ecc.); si devono valutare i tassi di reazione dei reagenti e la persistenza nel sottosuolo, che talora possono limitare il raggio raggiunto dal reagente iniettato; si deve determinare il raggio di influenza desiderato. Il volume da iniettare è direttamente proporzionale alla frazione di volume dei pori nel terreno dell area da trattare. Il calcolo non è però così immediato, ma deve tener conto di diversi fattori; infatti, iniettando una quantità di reagente pari al volume dei pori dell area, è possibile che, a seguito dell iniezione, i contaminanti vengano sospinti fuori dall area da trattare. La determinazione del volume di reagente da iniettare resta comunque strettamente legata al volume dei pori presenti nel terreno e generalmente si sceglie di iniettare una quantità di fluidi compresa tra il 10 ed il 50% del volume dei pori. Il fluido iniettato prenderà il posto dei fluidi normalmente presenti nel pori. Nel caso di iniezione di un liquido nella zona satura di un acquifero isotropo ed omogeneo, il volume di reagente iniettato sposterà un uguale volume di acqua dai pori. Teoricamente, considerando il sottosuolo costituito da un mezzo omogeneo e isotropo, lo spostamento avrà la forma di un cilindro. Volendo trattare un volume di terreno di raggio ed altezza noti, è possibile determinare il volume teorico di terreno raggiungibile dal reagente iniettato. Per il calcolo del volume di reagente da iniettare, per spostare l acqua dei pori del cilindro teorico da trattare, è sufficiente moltiplicare il valore del volume del cilindro per il valore della porosità. Non esiste un criterio standard per la determinazione di quanti volumi dei pori sia necessario iniettare per garantire un trattamento adeguato dell area; questo dipenderà dal metodo di iniezione, dalla dispersione/diffusione del reagente e da altri fattori sito-specifici. Questa caratteristica dei sistemi di trattamento chimico in situ li rende idonei anche per il trattamento dei residui di contaminazione dopo il trattamento con altri metodi (quali ad esempio il pump and treat) che non consentono l asportazione di tutta la massa di contaminanti, soprattutto della fase adsorbita alla matrice. Talora infatti, a conclusione di tale tipo di trattamento, dopo lo spegnimento del sistema, si osserva il caratteristico rimbalzo della contaminazione a seguito del riequilibrio chimico per diffusione dei contaminanti adsorbiti alla matrice. Con il trattamento chimico, i reagenti si propagano anche per diffusione, attaccando, oltre ai contaminanti in fase disciolta, anche i contaminanti adsorbiti. Per quanto riguarda il calcolo del volume da trattare, è necessario considerare come il calcolo effettuato tramite l approssimazione ad un cilindro del volume di trattamento sia molto semplificato. Nella realtà è necessario considerare la geometria dell area contaminata, le eterogeneità e le anisotropie del sottosuolo, nonché la presenza di porosità secondaria (fratture, superfici di strato, sottoservizi, ecc.), che a volte possono influire in grande misura sulla circolazione idrica sotterranea. È possibile operare in diversi modi: per iniezioni discrete o con sistemi di iniezione/estrazione/trattamento/ricircolo. Il primo metodo è il più frequente e 17
20 generalmente si opera per fasi di decremento delle concentrazioni graduali, fino al raggiungimento degli obiettivi di risanamento stabiliti. I sistemi di ricircolo vengono impiegati più raramente e generalmente solo per il trattamento di acquiferi profondi (almeno m), per trattare volumi maggiori con un minor numero di pozzi, con conseguente contenimento dei costi di intervento. La concentrazione dei reagenti iniettati dipende dal tipo di reagente specifico utilizzato, dalla massa reattiva presente e dal volume iniettato in relazione alla possibilità di distribuzione nel sottosuolo. Di seguito vengono pertanto fornite alcune indicazioni relative a ciascun tipo di reagente Permanganato di Potassio/Sodio L utilizzo del permanganato necessita di alcune cautele operative per poter essere efficace. Infatti all aumentare della quantità di permanganato iniettato, aumenta il tasso di degradazione della sostanza organica, ma anche la quantità di permanganato consumato. Questo aumento di consumo può essere dovuto all utilizzo di permanganato da parte dei solidi di MnO 2 che si formano durante la reazione di ossidazione. Inoltre la cinetica delle reazioni non volute (l ossidazione della sostanza organica naturalmente presente o di altri composti non contaminanti) è veloce, rendendo queste sostanze antagoniste dei contaminanti nell utilizzo dell ossidante. La variazione di alcuni parametri può influenzare l efficienza del trattamento in corso. Alcuni di questi sono il ph, l Eh, la forza ionica, la composizione chimica e la precipitazione di ossidi di Manganese. Questi parametri, che vanno regolarmente monitorati, regolano la mobilità dei metalli e possono influenzare la conducibilità idraulica del terreno. I sistemi di ossidazione chimica in situ per il trattamento delle acque sotterranee contaminate utilizzano solitamente soluzioni di permanganato di Potassio e di Sodio a concentrazioni tra 1 e 40%, iniettate in pozzi orizzontali o verticali in modo discontinuo o con sistemi di iniezione/estrazione/ricircolo. Per il trattamento dei terreni contaminati è possibile utilizzare il permanganato di Potassio in soluzione concentrata o in forma solida (circa 50% in peso) utilizzando aste di iniezione o tramite miscelazione di terreno profondo o tecniche di fratturazione idraulica. La scelta dell uso di permanganato di Potassio o di Sodio dipende da diversi fattori: il costo unitario del permanganato di Potassio è minore di quello di Sodio, tuttavia la gestione e l utilizzo del permanganato di Potassio è molto più complessa ed i relativi costi sono molto più alti. Pertanto la scelta del tipo di ossidante deve essere valutata caso per caso su base sito-specifica Persolfato di Sodio Il persolfato di Sodio viene utilizzato come ossidante da poco tempo, pertanto non si dispone ancora di numerosi casi di studio, tuttavia viene ritenuto un ossidante molto efficace. Questo ossidante, per essere attivato, necessita di aggiunte di agenti catalizzatori. Normalmente si utilizzano a tale scopo i sali di Fe 2+, anche se recentemente è stato sperimentato con successo l uso di chelato di Fe 3+ in aggiunta al persolfato per 18
21 l ossidazione dei composti organici volatili (VOC). Esistono diversi agenti chelanti che hanno la caratteristica di restare in soluzione e quindi possono essere iniettati e trasportati insieme al persolfato. La quantità ottimale di catalizzatore per l ossidazione con persolfato è di mg/l di Ferro. Per tamponare il ph è possibile aggiungere alla miscela del carbonato, che rallenta leggermente la reattività del persolfato, ma consente comunque la completa ossidazione dei VOC. La quantità di carbonato da aggiungere è di circa il 20% della quantità di persolfato in moli. Il ph in questo modo resta su valori di 4-5. La concentrazione del persolfato in soluzione ha forti effetti sulla sua reattività: aumentando la concentrazione aumentano la velocità ed il potere ossidante del persolfato. Infine si è osservato come generalmente il persolfato tenda a non reagire con la sostanza organica naturalmente presente nel terreno Perossido di Idrogeno La concentrazione del perossido di Idrogeno tipicamente utilizzata è compresa tra il 3% ed il 35% H 2 O 2 (in peso). Come accennato in precedenza, l applicazione di perossido necessita dell aggiunta di Fe 2+ in soluzione come catalizzatore; il Ferro rimane in soluzione con valori di ph compresi tra 3 e 4. Talora, per avere questi valori di ph, è necessario aggiungere degli acidi (l acido cloridrico, l acido solforico, l acido citrico e l acido fosforico sono i più usati); è necessario comunque verificare che l acido utilizzato sia compatibile con la geochimica del terreno e con i contaminanti presenti, in modo che non avvengano reazioni che impediscano o contrastino l ossidazione voluta. In ogni caso si deve iniettare solo la quantità di acido necessaria per consentire l inizio della reazione e lo si deve fare prima dell iniezione del perossido; aggiunte di acido successive all inizio della reazione possono rallentarla o fermarla completamente. Le diverse concentrazioni di perossido vengono utilizzate a scopi differenti: la concentrazione minima del 3% viene usata per iniziare la reazione o in alcuni casi (senza Ferro) per fornire ossigeno per stimolare la biodegradazione dei BTEX. La concentrazione massima del 35% viene utilizzata solitamente per il recupero dei DNAPL, sfruttando il calore e la pressione indotta dalla reazione per mobilizzare i DNAPL e poterli recuperare con sistemi di pompaggio o con altre tecniche di bonifica. Il peso iniziale di perossido e di Ferro da iniettare si basano sulla quantità di contaminanti rilevata nel terreno saturo e nelle acque, sulle caratteristiche del sottosuolo saturo e sul volume di acque sotterranee da trattare, oltre che sulla stechiometria del rapporto H 2 O 2 :Fe determinata durante i test di laboratorio Ozono L ozono viene generalmente prodotto sul posto con concentrazioni variabili: tra il 5 e il 10% (in peso) se generato a partire da Ossigeno e con concentrazioni dell 1% se generato da un flusso d aria. La capacità dei generatori viene generalmente espressa in termini di 19
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