LE STRATEGIE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ NELLA REGIONE LAZIO
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1 Rita Visini Assessore alle Politiche sociali e allo sport, Regione Lazio, Italia 8 luglio 2014 La Costituzione della Repubblica italiana, all articolo 3, nella parte dedicata ai principi fondamentali sui quali si fonda la convivenza civile e democratica di questo Paese, afferma con chiarezza l uguaglianza dei propri cittadini davanti alla legge e la loro pari dignità sociale, indipendentemente da sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Fin qui, la Carta costituzionale fa un affermazione impegnativa, ma tutto sommato quasi scontata, sicuramente considerata come un dato culturalmente e politicamente scontato nei Paesi democratici. Ma l articolo 3 continua con un secondo comma, un comma fondamentale per la comprensione piena del principio di uguaglianza e per la sua realizzazione effettiva: E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Sono convinta che questo compito che la Costituzione italiana assegna alle istituzioni sia il principio fondamentale sul quale si basa il lavoro impegnativo, complicato e bellissimo di chi come noi, a ogni latitudine e in ogni contesto sociale, culturale e politico, è chiamato alla responsabilità di determinare le politiche sociali di una comunità, una città, una regione o una nazione. Il nostro è il ruolo di chi deve rimuovere gli ostacoli che si frappongono fra le persone e la loro possibilità di contribuire fattivamente alla costruzione del bene della collettività. Purtroppo le dimensioni disastrose della crisi economica globale, per intensità, estensione e durata, in questi anni non hanno fatto altro che aggravare il solco delle disuguaglianze, portando a livelli estremamente preoccupanti gli indici di povertà relativa e assoluta in Italia e nella nostra Regione, il Lazio. Nel 2012, secondo l ISTAT, l Istituto nazionale di statistica, si trovavano in condizione di povertà assoluta 4 milioni 814mila persone e 1 milione 725mila nuclei familiari, con un incidenza del 6,8%. Sono 1 milione 399mila le persone che tra il 2011 e il 2012 sono scivolate al di sotto della soglia di povertà. La povertà relativa, invece, coinvolge 9 milioni e mezzo di individui e 3 milioni 200mila famiglie con un reddito inferiore alla metà del reddito medio nazionale: l incidenza è del 12,7%. L aumento degli indici di povertà assoluta e relativa ha riguardato l Italia nel suo complesso, particolarmente le regioni meridionali ma anche il Centro Italia: dal 2009 al 2012 la povertà assoluta è quasi raddoppiata, passando dal 2,7%, un dato all epoca inferiore a quello delle regioni del Nord, al 5,1%.
2 Gli stessi indicatori di povertà ed esclusione sociale adottati nel quadro della strategia Europa 2020 raccontano un aumento del rischio tra il 2011 e i 2012 dell 1,7% (dal 28,2 al 29,9%), con la crescita più consistente relativa alla cosiddetta grave deprivazione materiale, dall 11,2 a 14,5%. In questo scenario, il nostro Welfare State dovrebbe essere capace di dare prova di efficienza, intervenendo (come ricorda l articolo 3 della Costituzione italiana) nella riduzione delle distanze fra ricchi e poveri, correggendo il più possibile i meccanismi sociali che portano alla disuguaglianza attraverso l offerta di servizi e di percorsi di inclusione sociale. Ma i dati ci dicono il contrario: in Italia, secondo l OCSE, lo Stato sociale è in grado di far scendere l indice di povertà assoluta soltanto di 4,7 punti percentuali, contro i 18,5 punti del Irlanda, i 16,3 della Svezia, i 13,6 della Finlandia e gli 8,7% che costituiscono il dato medio dell Unione europea. Nel Lazio le difficoltà che il sistema regionale dei servizi e degli interventi sociali incontra nel rispondere in maniera efficace ed efficiente ai bisogni dei cittadini sono forti e radicate. Innanzitutto, il welfare regionale del Lazio è ancora basato su un impianto normativo vecchio di quasi vent anni, antecedente alla legge nazionale di riferimento delle politiche sociali, la legge 328 de 2000, che nella nostra Regione non è mai stata recepita con una legge regione di attuazione (siamo rimasti oramai una delle ultimissime Regioni italiane a non averlo ancora fatto). La mancata declinazione della legge 328 a livello regionale e l assenza di una moderna normativa di riferimento nell organizzazione del sistema regionale dei servizi sociali ha comportato una forte frammentazione delle politiche sociali, con una scarsa capacità di programmazione comune e di integrazione con le politiche di sviluppo, di crescita, lavorative, abitative, di istruzione e formazione, e soprattutto di salute. Questa frammentazione ha reso più incerta la capacità dei cittadini di vedere riconosciuti i propri diritti sociali. Meno diritti significa meno giustizia; meno giustizia significa più povertà e disuguaglianza. Più povertà per alcuni significa meno sviluppo per tutti. Come dicevo, l aggravamento delle condizioni economiche e sociali di una porzione considerevole dei propri cittadini, le inefficienze legislative e strutturali del sistema regionale dei servizi sociali e le sempre maggiori fatiche che incontra lo Stato sociale in Italia hanno spinto la Regione Lazio ad agire il più tempestivamente possibile lungo tre direttrici di intervento: 1) l approvazione della riforma regionale dei servizi sociali; 2) il varo di un Piano sociale regionale; 3) un Piano strutturato di contrasto alle povertà. LA RIFORMA DEI SERVIZI SOCIALI La prima e principale azione intrapresa è stata l approvazione, da parte della Giunta regionale del Lazio, della proposta di legge per la riforma del "Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio". La legge riformerà l'intera rete dei servizi sociali regionali e recepirà finalmente le indicazioni della legge italiana sulle politiche sociali. Obiettivo della riforma è quello di definire un modello di welfare regionale più aperto alla partecipazione dei soggetti pubblici e privati che operano nel sociale, più efficiente ed efficace sotto il profilo della programmazione, dell'organizzazione e della gestione dei servizi, e più attento ai bisogni delle persone più deboli e fragili sia dal punto di vista sociale che sanitario. Le politiche sociali della Regione Lazio potranno contare finalmente su un welfare comunitario, con un sistema allargato di governo basato sulla gestione dei servizi da parte dei comuni in forma associata. Terzo settore, associazionismo, cooperazione e impresa sociale saranno chiamati ad una partecipazione 2
3 sistematica alla programmazione degli interventi per promuovere la progettualità e l'innovazione sociale. Anche la costruzione della legge è stata il frutto di un percorso costruttivo e inclusivo, perché fatto in collaborazione con tutte le parti sociali, dai sindacati al volontariato. Riformare la governance dei servizi sociali regionali ci permetterà di intervenire su uno dei principali nodi problematici del sistema attuale: la difficile esigibilità dei diritti sociali da parte dei cittadini socialmente più fragili. Una fatica dovuta in primis alla complessa e grave situazione dei conti pubblici degli enti locali, su cui grava anche la morsa dei vincoli del Patto di stabilità europeo, ma dovuta anche a una insensata frammentazione degli interventi sociali e socio-sanitari tra differenti erogatori che faticano a integrarsi, in una logica che trova giustificazione solo nell assetto burocratico della pubblica amministrazione ma non certo né nella capacità di fruizione dei servizi da parte dei cittadini, né nella corrispondenza fra bisogni delle persone e servizi stessi. Fino a oggi i servizi sociali nel Lazio sono stati gestiti soprattutto a livello comunale: dall'ultima indagine ISTAT sulla spesa sociale emerge che nel 2011 i comuni del Lazio hanno speso in forma non associata complessivamente il 94,4% delle risorse a disposizione. Un dato che certamente risente del forte peso specifico del Comune di Roma, il quale gode di una propria naturale autonomia, ma che tuttavia resta allarmante sotto il profilo dell efficienza. Con la nostra riforma, il sistema regionale opterà con decisione per la gestione associata dei servizi, per migliorare la qualità degli interventi e della spesa. La legge prevede la possibilità di mantenere a livello comunale soltanto quei servizi che hanno non rilevanza sanitaria e che comportano una modesta complessità gestionale (assistenza economica e alloggiativa, aiuto personale, mensa sociale e accoglienza notturna, trasporto sociale, centri ludico-ricreativi e di aggregazione sociale). In questo modo il Sistema regionale dei servizi sociali sarà maggiormente in grado di rispondere con immediatezza ai bisogni dei cittadini, rovesciando la logica dell assistenza pura e semplice e diventando luogo dell inclusione e dell innovazione sociale. IL PIANO SOCIALE REGIONALE Strumento privilegiato di questa rivoluzione sarà il Piano sociale regionale. Negli anni passati non soltanto era mancata, a livello regionale, una pianificazione ordinaria delle politiche di contrasto alla povertà: è mancata in generale una pianificazione organica e strutturata delle politiche sociali regionali. Dopo l approvazione della legge regionale di riforma, la Regione Lazio provvederà al varo del suo primo Piano sociale regionale. Al Piano competerà individuare gli obiettivi di benessere sociale, i fattori di rischio sociale da contrastare, le modalità di verifica dei risultati, le tipologie dei servizi e degli interventi essenziali e le modalità di erogazione, le modalità di raccordo fra la programmazione regionale e quella locale e le modalità per la formulazione della pianificazione territoriale, per la sua attuazione e verifica, l entità e le modalità di finanziamento del sistema integrato, i criteri per la sperimentazione di servizi e interventi di risposta ai nuovi bisogni sociali, le modalità per la programmazione partecipata e per il coinvolgimento degli utenti nel controllo della qualità dei servizi e degli interventi del sistema. Infine, anche il Piano sociale regionale sarà uno spazio di democrazia partecipativa che coinvolgerà le comunità, i territori, i soggetti della cooperazione sociale, dell'associazionismo di 3
4 promozione sociale e del volontariato, i sindacati, le fondazioni, le consulte regionali di settore e gli altri organismi rappresentativi del terzo settore a livello regionale e locale. Una consultazione che la legge definisce come obbligatoria in merito a tutti gli atti di programmazione regionale e locale, insieme all assicurazione della più ampia partecipazione dei cittadini e degli utenti al controllo della qualità dei servizi, nonché la consultazione degli stessi, quali strumenti per il miglioramento del sistema integrato e per il suo adeguamento alle esigenze in mutamento continuo. IL PIANO CONTRO LA POVERTÀ Nel 2013, davanti alla situazione sociale sempre più difficile sul territorio regionale certificata dagli indicatori socio-economici e dagli indici di povertà relativa e assoluta, e considerato che il bilancio regionale ereditato dalla precedente amministrazione non conteneva alcuna indicazione di intervento per il contrasto alle povertà, la Giunta regionale ha varato un intervento complessivo da 14,5 milioni di euro suddiviso in due parti. Da un lato, uno stanziamento di 7 milioni ai Comuni per gli interventi territoriali e la contestuale strutturazione, all interno del bilancio regionale, di una linea di finanziamento specifica dedicata ai servizi di contrasto alla povertà, in modo da dare continuità agli interventi e sostenere gli Enti locali economicamente in difficoltà. Dall altro lato, la Regione, attraverso un bando pubblico, ha messo a disposizione del Terzo settore 7,5 milioni per finanziare sia l apertura di servizi essenziali per le persone gravemente indigenti o il potenziamento di quelli esistenti, sia la sperimentazione di progetti innovativi per l inclusione sociale delle persone con disagio economico o a rischio di povertà. Il bando ha permesso di finanziare 76 progetti: si tratta del più esteso e articolato intervento di contrasto alla povertà fatto quest anno da una regione italiana, sia per importo complessivo, sia per numero di progetti finanziati, sia per estensione e diffusione sul territorio, dato che il bando era costruito in modo tale da assicurare una equa distribuzione delle risorse nelle diverse province della Regione garantendo i Comuni più piccoli e le comunità più periferiche. I progetti appartengono, come dicevo, a varie tipologie e sono tutti molto articolati. Un ruolo importante lo giocano i progetti innovativi. Siamo intervenuti sull inclusione lavorativa dei disoccupati, sostenendo ad esempio progetti per la formazione, il job matching e il reinserimento nel mercato del lavoro attraverso l agricoltura sociale e l impresa sociale. Abbiamo finanziato allo stesso modo percorsi di accompagnamento all autonomia di madri sole con figli minori a carico, ad esempio attraverso la formazione professionale ai lavori di cura o il sostegno all apertura di asili nido familiari sul modello delle Tagesmutter. Abbiamo sostenuto progetti per l assistenza agli anziani soli anche attraverso la promozione delle reti di mutuo aiuto coinvolgendo gli anziani autosufficienti: è una risposta intelligente per prevenire il barbonismo domestico e contrastare la diffusione di una sempre maggiore povertà materiale tra i pensionati, che sono tra i soggetti più colpiti dalla crisi economica. Tra i progetti finanziati ci sono ancora molti altri ambiti di intervento: dall inclusione sociale delle persone con disabilità e a rischio di emarginazione fino all inclusione sociale e lavorativa degli immigrati e dei richiedenti protezione internazionale; dal sostegno psicologico e materiale ai padri separati il cui reddito è diventato insufficiente a garantire la propria autonomia in seguito alla fine del matrimonio, fino all inclusione sociale dei minori deprivati o a rischio, attraverso il contrasto alla dispersione scolastica, i progetti educativi integrativi e il sostegno alle attività sportive e ludico-ricreative come occasione di socializzazione e prevenzione del disagio. 4
5 CONCLUSIONE Il nostro lavoro non termina qui. Abbiamo percorso soltanto un primo tratto di strada, un tratto utile a dare un segnale di cambiamento a una Regione dalla storia politica complessa e incerta, segnata negli ultimi anni da scandali politici e da inchieste giudiziarie che ne hanno minato la credibilità e aumentato la distanza dai cittadini e la loro diffidenza nei confronti delle istituzioni regionali. La Regione Lazio è stata per molti anni un istituzione disattenta nei confronti delle politiche sociali, ma oggi non è più così: nel 2010 i pagamenti relativi ai capitoli di spesa del mio Assessorato furono di soli 61 milioni, quest anno siamo passati a 248. Abbiamo finalmente capito che le politiche sociali non sono politiche di assistenzialismo, ma politiche di sviluppo. Abbiamo compreso che le politiche sociali non sono un costo, ma un investimento. Abbiamo capito che combattere la povertà e prevenire il disagio economico non è soltanto una necessità dettata da esigenze di giustizia sociale, ma anche l unico modo per costruire un sistema sociale ed economico sostenibile e in grado di assicurare un benessere diffuso e duraturo. Il futuro della nostra realtà sociale è già tra noi, è già scritto nelle nuove forme di cittadinanza che vivono nelle nostre comunità, nelle spinte partecipative che chiedono di essere accolte, nelle richieste di innovazione e sostenibilità sociale di tutte quelle persone stanche di essere considerate un peso ma che vogliono diventare una risorsa. La Regione Lazio vuole essere all altezza di questa sfida, anche grazie al contributo di idee e di buone pratiche di tutti i partner dell European Social Network e grazie alla splendida opportunità di questa Conferenza. 5
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