Guerra nell ex-jugoslavia e unità in Europa? Contributo del Prof. Carlo Boffito

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1 Guerra nell ex-jugoslavia e unità in Europa? Contributo del Prof. Carlo Boffito Febbraio 2007

2 1.Un po di storia I Balcani, dalla Grecia all Ungheria, sono stati teatro di guerre continue, dalla fine del 300 all inizio del 700. La spiegazione dell assetto etnico dell ex-jugoslavia presenta dunque complessità che non sono percepibili in prima approssimazione. La difficoltà principale riguarda il giudizio della contrapposizione fra croati e serbi: i croati si sarebbero battuti per secoli contro i turchi insieme all Impero austro-ungarico, mentre i serbi sarebbero stati abbandonati a sé stessi. Negli ultimi decenni del Seicento e nei primi decenni del Settecento, la guerra degli austroungheresi contro i turchi nella penisola balcanica proseguì, guidata da una grande figura di condottiero, il principe Eugenio di Savoia (ramo Carignano Soissons), generale e ministro dell Impero absburgico. La guerra, con i suoi continui cambiamenti di posizione e di fronte, non ha permesso una distribuzione equilibrata delle etnie e questa è una variabile che condiziona ancora oggi le repubbliche ex-jugoslave. Aldilà della localizzazione dei grandi gruppi, vivono nell ex-jugoslavia numerosi gruppi etnici che traggono la loro esistenza da lingue e tradizioni comuni a piccoli insediamenti. Oltre questa disseminazione, la distribuzione delle grandi etnie emersa dalla guerra del 700 è essenzialmente la seguente: a) a nord-ovest gli sloveni e i croati, che dagli stati europei occidentali traevano l identità culturale e civica; b) i serbi, che all inizio dell Ottocento erano insediati nel territorio a sud della Sava e del Danubio nel pashalik 1 di Belgrado, che erano privi di ogni sostegno diretto, ma conducevano la guerra contro i turchi 2 contando sulle proprie forze e sull unità popolare, sorretta dalla presenza della Chiesa ortodossa serba (pravoslavna). Se un secolo fa a un contadino serbo fosse stato chiesto: što si ti po veri? qual è la tua fede? egli avrebbe risposto (come probabilmente risponderebbe ancora oggi) po veri ja pravoslavan: la mia fede è quella ortodossa. Gran parte dei serbi non avevano neppure fissa dimora ma erano nomadi combattenti, che passavano da un villaggio all altro; il loro obiettivo era quello di costituire un regno serbo completamente indipendente. La Serbia vera e propria è il territorio collocato fra le regioni autonome della Vojvodina a nord e del Kosovo a sud; da qui l aspirazione a uno stato nazionale serbo e la ricerca costante della Grande Serbia che unificasse i territori esistenti secondo la formula cara anche a Milošević- Gde srbin, tamo Srbija ( dove c è un serbo, lì è la Serbia ); c) la terza etnia importante dell ex-jugoslavia è quella bosniaca, composta prevalentemente da croati e serbi convertiti alla religione islamica. I turchi erano relativamente tolleranti: se i loro 1 Unità amministrativa dell Impero turco. 2 Una delegazione militare turca è rimasta al Kalemegdan (fortezza) di Belgrado fino al

3 sudditi accettavano i principi fondamentali della loro fede, essi concedevano certe limitate libertà civili e religiose. Ai croati musulmani si sono affiancati insediamenti dei croati dell Erzegovina, famosi per l arte della guerra. Questo assetto etnico era troppo vulnerabile per assicurare le condizioni su cui costruire uno stato moderno, com è stato dimostrato dall assassinio dell arciduca Francesco Ferdinando (già destinato a occupare il trono imperiale) a Sarajevo nel Per gettare le fondamenta di uno stato jugoslavo sarebbe stato necessario condurre una politica che presupponesse l unità etnica: ciò è riuscito temporaneamente al Maresciallo Tito durante e dopo la seconda guerra mondiale, ma è rovinato tragicamente con la sua morte nel 1980 (e con quella del comunismo un decennio dopo). La Repubblica socialista federale di Jugoslavia è stata il paese principale dei Balcani dal 1943 al 1992, anno della sua dissoluzione. Fu fondata nel 1943 sulle ceneri del Regno di Jugoslavia con il nome di Repubblica democratica jugoslava, si rinominò Repubblica popolare federale di Jugoslavia nel 1946 e nel 1963 assunse il suo nome definitivo. Durante la Guerra fredda la Jugoslavia fu un importante membro dei paesi non allineati. Il suo primo Presidente fu Ivan Ribar mentre il Maresciallo Tito divenne Primo ministro. Nel 1953 Tito venne eletto Presidente, carica che divenne a vita nel Con la morte di Tito (4 maggio del 1980) le tensioni interne fra le diverse etnie, che prima erano state soppresse anche con la forza, cominciarono a emergere. Dopo che quattro delle sei Repubbliche dichiararono l'indipendenza fra il 1991 e il 1992, la Federazione si disciolse e nacque la Repubblica federale di Jugoslavia, formata da Serbia e Montenegro, che è definitivamente scomparsa con il referendum montenegrino del maggio Conscio delle tensioni latenti interne alla Jugoslavia, dopo la seconda guerra mondiale, Tito ha cercato di cambiare le istituzioni della società, dell economia e della politica introducendo l autogestione. L autogestione è uno dei primi tentativi della ex-jugoslavia di risolvere il problema della frammentazione e dei conflitti etnici. Invece di ricorrere alle istituzioni autocratiche comuniste, fornite già bell e pronte dall Unione sovietica, la Jugoslavia di Tito ha cercato di creare un sistema politico governato dal basso, dalle assemblee locali, autogestite, appunto, e non governate dall alto. Negli anni 50 furono introdotte due forme di autogestione: l autogestione sociale e quella operaia. La prima era attinente all autogestione degli organi locali, mentre la seconda riguardava la gestione delle imprese. Insieme all introduzione dell autogestione sociale e di quella operaia, il partito comunista cambiò nome e fisionomia: non si chiamò più Partito comunista jugoslavo (Pkj), ma Lega dei comunisti jugoslavi (Lkj). Tale cambiamento era finalizzato a attenuare la sua immagine di partito unico centralizzato e avvicinarla di più a una concezione di partito formatosi attraverso adesioni spontanee. Tutti questi cambiamenti furono promossi dal gruppo dirigente del Pkj che circondava Tito e nel quale erano rappresentate formalmente e informalmente le repubbliche federate e, pertanto, le 2

4 principali etnie: Edvard Kardelj e Boris Kidrič (il principale teorico dell autogestione, morto già nel 1953) rappresentavano gli sloveni, Aleksandar Ranković i serbi, Vladimir Bakarić i croati e Milovan Đilas i montenegrini. Il gruppo dirigente deteneva il potere e mirava a eliminare il centralismo delle istituzioni amministrative e gestionali del sistema economico. In realtà, l obiettivo della Lega dei comunisti jugoslavi era quello di creare un terreno politico sul quale istituzioni e imprese si potessero incontrare e competere senza confrontarsi e scontrarsi. In sostanza, l autogestione (sociale e operaia) non mirava soltanto a realizzare il suo programma ideologico, ma a creare condizioni che permettessero di trovare nuovi equilibri politici e etnici. Tale obiettivo non fu raggiunto: nel 1971 bastò un dissenso sulla distribuzione della valuta convertibile perché il dialogo fra le nuove istituzioni fosse reso impossibile. La principale fonte di valuta estera è sempre stata la Croazia che, grazie all accaparramento di ordini provenienti dall estero per i suoi cantieri, alla vendita di servizi turistici, nonché alle esportazioni di raffinati del petrolio, poteva ricavare più valuta forte che, per contratto sociale, era tenuta a fornire fuori mercato alle altre repubbliche della Federazione. Il contrasto sulla valuta estera provocò un ennesimo rifacimento delle istituzioni jugoslave e portò il paese vicino a un conflitto interno. Ciò non avvenne per l intervento del Maresciallo Tito: la separazione delle repubbliche jugoslave e la guerra civile furono rimandate per 10 anni. Tuttavia, neppure l autogestione con le sue complessità fu in grado di formare nuove istituzioni per la Jugoslavia plurietnica. 2.Gli anni Novanta La storia della Jugoslavia contemporanea comincia nel 1990, dieci anni dopo la morte di Tito, e riguarda in gran parte il rapporto delle singole repubbliche con l Unione europea. Nel 1990 la Jugoslavia, rispondendo a uno scellerato sollecito dell Europa (per usare le parole della rivista Limes), decise di convocare elezioni separate per ognuna delle sue repubbliche: ne uscirono vincitrici le forze politiche nazionaliste e non ci fu più bisogno né possibilità di tenere elezioni a livello federale 3. Nei conflitti fra le etnie, che portarono la guerra in tutta la penisola balcanica, ogni grande potenza europea aveva i propri beniamini e agiva sul piano diplomatico per favorirli. Dagli anni 90 e fino al 2006, l ex-jugoslavia è stata divisa in due tronconi generati, da un lato, dalla dichiarazione di indipendenza della Slovenia, della Croazia, della Bosnia Erzegovina e della Macedonia ( ) e, dall altro, dalle due repubbliche riconfederate nella Serbia e Montenegro, che costituivano il residuo della Federazione jugoslava. La votazione per il referendum del 21 maggio 2006 ha posto fine a questa configurazione, sancendo l indipendenza per il Montenegro. L ex-jugoslavia diventa così, per ora, un gruppo di 6 stati indipendenti. Dalla metà degli anni 90 la politica delle repubbliche dell ex-jugoslavia è stata 3 Le repubbliche più sviluppate (ossia quelle più vicine ai paesi dell Europa occidentale) votarono prima delle altre. 3

5 principalmente fondata sull avvicinamento all Europa e, in misura minore, alle potenze occidentali nel loro insieme. Le date fondamentali sono state il 15 gennaio 1992 (la Comunità europea riconosce la Slovenia e la Croazia), il 14 dicembre 1995 (firma degli Accordi di Dayton 4 ) e il 21 maggio 2006 (il referendum in Montenegro sancisce la fine dell ultima Jugoslavia ). 3.Il futuro è nell Unione europea L aspirazione a aprire le loro economie e a globalizzarle rende le repubbliche dell ex- Jugoslavia un area molto attraente per gli investitori esteri. L esperienza degli anni 90 accentua questa tendenza: il superamento delle difficoltà accentuate nei secoli ricorrendo a strumenti estremi (la guerra civile) potenzia ulteriormente le aspirazioni degli ex-jugoslavi di essere cittadini del mondo integrati nell economia globale. La politica dell ex-jugoslavia dipende oggi dal suo avvicinamento e quasi certo ingresso nell Unione europea. In queste circostanze l Unione stessa ritrova le sue funzioni originarie: impedire la guerra in Europa attraverso l introduzione degli Stati Uniti d Europa. Di fronte ai venti di guerra l Unione è irremovibile e efficace nelle sue finalità. L avvicinamento dell Europa sudorientale all Unione europea incentivato anche dai recenti allargamenti a est- è un processo inerziale inarrestabile che porterà inevitabilmente i Balcani nell Ue. Il percorso di avvicinamento all Unione europea ha generato tre gruppi di paesi balcanici (cfr. tab. 1): 1. nuovi membri: Bulgaria e Romania, entrate nell Ue a gennaio 2007; 2. candidati: Croazia, Macedonia e Turchia; 3. potenzialmente candidati: Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Serbia (con la questione del Kosovo); in totale nove paesi. Ormai sembra che i giochi siano fatti e che basti l aggiunta di una data accanto al nome dei singoli paesi per definire i tempi del loro accesso in Europa. 4 Accordo firmato a Parigi il 14 dicembre 1995, in seguito ai negoziati condotti dall 1 al 21 novembre 1995 presso la base aeronautica Wright-Patterson vicina a Dayton (Ohio, Usa). I principali partecipanti delle fazioni in guerra furono l allora Presidente serbo Slobodan Milošević (rappresentante, in assenza del generale Karadžić, anche dei serbi di Bosnia), l allora Presidente croato Franjo Tuđman e l allora Presidente bosniaco Alija Izetbegović, accompagnato dal suo Ministro degli esteri Muhamed Šaćirbegović. L Accordo mise fine alle ostilità fra la Bosnia, la Croazia e la Serbia, prevedendo, fra l altro, la restituzione alla Croazia della Slavonia orientale, appartenente fino alla fine della guerra alla Serbia. L Accordo inoltre contiene (Annesso 4) la costituzione della Bosnia Erzegovina nonché la sua attuale struttura politica e amministrativa. Altra voce importante degli Accordi di Dayton è l opportunità dei profughi di ritornare ai loro paesi di origine. Vengono facilitate e privilegiate anche le opportunità di cooperazione fra gli stati che hanno sottoscritto l'accordo. Per il testo si veda: 4

6 Tabella 1.I paesi dell ex-jugoslavia: rapporti con l Unione europea e l Alleanza atlantica Paese Unione europea Nato Stato dei negoziati Ingresso Partenariato Membership per la pace action plan Ingresso Slovenia Croazia 2005-inizio negoziati per l ingresso 2010? ? 2005-inizio negoziati per Serbia Montenegro l Accordo di stabilità e associazione (interrotti nel 2006) 2006-inizio negoziati per l Accordo di stabilità e associazione 2015? ? 2008? 2014? ? 2008? Bosnia Erzegovina 2005-inizio negoziati per l Accordo 2015? 2006 n.d. n.d. di stabilità e associazione 5 Macedonia 2005-accettazione dello status di candidato 2012? ? 4.Le economie dei paesi dell ex-jugoslavia La crescita economica di un paese in transizione 6 viene promossa e sostenuta da quattro fattori principali: (a) la presenza di un fattore caratterizzante (per esempio il petrolio in Russia, il turismo in Croazia); (b) l afflusso di investimenti esteri, quasi esclusivamente investimenti diretti; (c) le tradizioni civili e produttive della popolazione; (d) l adozione di nuove istituzioni, principalmente istituzioni mercantili, destinate a creare il mercato e a reggerne l attività. Tutti questi fattori favoriscono l accumulazione di risorse produttive nelle mani delle imprese e dello stato. I quattro fattori citati permettono alle imprese e allo stato di applicare e realizzare i loro piani di accelerazione della produzione e di miglioramento della competitività. 5 La BiH ha concluso con successo la parte tecnica dei negoziati per l Accordo di stabilità e associazione (Asa), ma l Accordo verrà siglato dopo che il governo effettuerà le riforme chiave poste come condizione da Bruxelles. Il 15 dicembre 2006 Olli Rehn, il Commissario europeo per l'allargamento, dichiarava: La Commissione europea è pronta a siglare l'accordo appena verranno fatti i progressi necessari [...] è evidente la mancanza di progresso sul piano della riorganizzazione della polizia. 6 In termini generali un paese che ha completato il processo di transizione: ha privatizzato la maggior parte delle imprese, le ha ristrutturate, conduce una politica economica che gli consenta di introdurre misure fiscali e una politica monetaria che assicurino la stabilità dei prezzi e del cambio. 5

7 Riguardo al volume degli Ide (investimenti diretti esteri), il paese che in Europa ne ha ricevuto la maggior quantità è l Ungheria. Il governo e gli operatori ungheresi hanno sempre sostenuto che per raggiungere il livello tecnologico delle imprese occidentali è necessario ricorrere alla cooperazione economica con l estero. Gli ungheresi sono stati convinti di ciò fin dai tempi del comunismo e, dopo la caduta di questo, hanno messo in pratica i loro convincimenti. I dati riguardanti i paesi dell ex-jugoslavia sono riportati nelle tabelle seguenti. Tabella 2.I paesi dell ex-jugoslavia (2005) Slovenia Croazia Bosnia Serbia Montenegro Macedonia Erzegovina Superficie (Km 2 ) Popolazione (in milioni) 2,0 4,4 3,8 9,7 0,6 2,0 Pil a 34,7 37,1 8,9 25,9 5,68 Pil pro capite b Tasso di disoccupazione 1,4 13,8 > ,6 36,5 Tasso di inflazione 2,5 3,3 2,1 FBiH 2,7 Rs 14 4,3 0,1 Tasso di cambio c euro 49 a In miliardi di dollari; b dollari; c valuta locale per un dollaro Fonte: Bers (2006) Tabella 3.I paesi dell ex-jugoslavia: indicatori commerciali (2005) Slovenia Croazia Bosnia Serbia e Macedonia Erzegovina Montenegro Esportazioni a Importazioni a Saldo commerciale a Exp+imp/Pil b 1,1 0,71 0,82 0,64 0,90 Saldo delle partite correnti a a In milioni di dollari, servizi esclusi (proiezioni 2005); b tasso di apertura dell economia Fonte: Bers (2006) Le tabelle 2-5 forniscono una rappresentazione semplificata delle economie dell ex- Jugoslavia. La tabella 2 riguarda i dati ovvi, che si trovano anche sulle guide turistiche e trasmettono informazioni semplici, ma urgenti. La tabella 3 illustra il grado di apertura commerciale dei paesi: si noti che la Slovenia è un economia molto aperta e già pienamente integrata all economia europea e internazionale (ha esportazioni e importazioni maggiori di tutti gli altri paesi). Tuttavia, le resistenze degli sloveni a privatizzare le loro imprese hanno molto 6

8 ridimensionato l afflusso di investimenti esteri diretti (cfr. tabb. 4 e 5). Tabella 4.Investimenti diretti esteri (milioni di dollari) nei paesi dell ex-jugoslavia ( ) a 2006 b Slovenia Croazia Bosnia Erzegovina Serbia Montenegro Macedonia a Stime; b proiezioni Fonte: Bers (2006) Paese Tabella 5.Investimenti diretti esteri nei paesi dell ex-jugoslavia Stock Ide Stock Ide ( ) a pro capite ( ) b Flusso Ide pro capite (2004) b Flusso Ide pro capite (2005) b Flusso di Ide (2004) c Slovenia ,0 1,0 Croazia ,6 5,0 Bosnia Erzegovina ,0 4,0 Serbia e Montenegro ,0 8,0 Macedonia ,9 2,0 a In milioni di dollari; b dollari; c in percentuale del Pil Fonte: Bers (2006) Flusso di Ide (2005) c Le tabelle 4 e 5 mostrano i flussi e gli stock di investimenti diretti esteri nelle cinque repubbliche (i dati della Serbia e del Montenegro sono aggregati). In particolare, le tabelle mostrano che la Croazia ha una capacità di attrarre investimenti esteri eccezionale per l area: essa si situa al di sopra degli altri paesi per tutti gli indicatori (con l eccezione degli ultimi due). La relazione fra produzione e commercio di merci illecite è molto stretta in tutto il mondo e appare manifesta particolarmente nei Balcani, nei quali sono numerose le strozzature nel transito di queste merci. Molto spesso questi modi di transito appartengono a paesi piccoli che non riescono a controllarli (per esempio il Kosovo), ma offrono come intermediari paesi grandi che devono rispettare le regole dell attività economica internazionale. 7

9 5.I rapporti economici con l Italia Passiamo ora alla penetrazione delle imprese italiane nei mercati dell ex-jugoslavia (e viceversa): le caratteristiche principali di questi scambi commerciali consistono nella quota relativamente elevata di tale commercio reciproco. Esso, tuttavia, richiede una riorganizzazione per promuovere ulteriormente la crescita produttiva delle due aree; tale riorganizzazione può essere realizzata da enti privati, pubblici, o semi pubblici. Essa potrà, cioè, svolgere la funzione di riferimento per formulare piani e valutarne i risultati. La concentrazione geografica degli scambi è elevata: il commercio dell ex-jugoslavia si svolge soprattutto con l Unione europea e le esportazioni e le importazioni dell Italia occupano quasi sempre i primi posti nelle classifiche commerciali per tutte le repubbliche ex-jugoslave. Tuttavia, la strada percorsa recentemente e le tradizioni comuni (fra cui l importanza del mare Adriatico e la conoscenza della lingua italiana da parte della minoranza italiana nonché dei dalmati e di altri gruppi etnici) inducono a ritenere che vi siano ulteriori spazi per la cooperazione fra le due aree. La composizione del commercio dell ex-jugoslavia con l Italia, tuttavia, presenta aspetti più complessi dell esame dei semplici flussi commerciali. Il paese più competitivo è la Croazia, la cui posizione commerciale non sembra per ora minacciata dai paesi vicini. La composizione merceologica delle esportazioni croate nell Ue comprende la meccanica, i servizi (soprattutto il turismo) e beni di consumo industriale. Un altro aspetto positivo del commercio della ex-jugoslavia è l avanzata integrazione dei paesi della regione, non perduta nonostante la guerra. Come investitori, gli imprenditori italiani operano con minore determinazione dei mercanti loro conterranei. Tuttavia, non sono mancati grandi operazioni di acquisizione sul mercato o attraverso transazioni dirette. Nel frattempo la piccola privatizzazione volgeva al termine lasciandosi alle spalle un economia che, paradossalmente, presenta aspetti strutturali simili a quelli dell economia italiana, seppure di dimensioni inferiori; poche grandi imprese (Zastava, Rade Končar, ecc.) galleggianti in un mare di piccole imprese. La grande privatizzazione, che ancora non è completata, ha contribuito alla italianizzazione della ex-jugoslavia. Questi cambiamenti strutturali, che spostano al centro del sistema economico il sistema produttivo italianizzato, offrono nuove opportunità agli imprenditori italiani e ex-jugoslavi. L accelerazione del progresso tecnico e la spinta alla crescita della produzione e della produttività sono fattori che possono sostenere un nuovo progetto di sviluppo. Il punto di partenza è dunque abbastanza solido; tuttavia esso non basta per assicurare uno sviluppo sostenibile di lungo periodo. Per questo è necessario che le autorità di politica economica si assumano il compito di intervenire nella realizzazione dei progetti e ne controllino il grado di realizzazione. I paesi dell ex-jugoslavia presentano una struttura e un quadro di riferimento abbastanza simili che permettono di condurre un analisi comune; tale struttura e quadro di riferimento comuni riguardano la transizione, il passaggio dall economia pubblica a quella privata, nonché da un sistema politico autocratico alla democrazia. 8

10 6.Priorità infrastrutturali e cooperazione trans-nazionale Le condizioni delle infrastrutture sono considerate un indicatore di sviluppo. Uno studio della Commissione Europea del 2003 (definito Rebis - Regional Balkans Infrastructure Study) si è posto l obiettivo di identificare i progetti per una rete regionale di trasporto nei Balcani; esso prevede il miglioramento dei collegamenti fra le capitali e altre città importanti dell area quali Banja Luka, Ploče e Priština. La disgregazione della Jugoslavia ha creato sei piccoli stati indipendenti, i cui confini indeboliscono la capacità di cooperazione e di realizzazione di infrastrutture transnazionali. L inserimento della ex-jugoslavia nella rete dei trasporti europei potrebbe contribuire allo sviluppo di un clima più favorevole agli investimenti. Tuttavia, la prospettiva sopra delineata non è di così facile realizzazione. I protagonisti coinvolti rappresentano interessi spesso in contrasto: esponenti della politica locale, gli organismi internazionali, nuovi investitori privati locali e grandi gruppi privati esteri. Avversi al rischio, molti di loro cercano un ambiente stabile, con regole chiare e senza timori di nuovi conflitti. A causa delle divisioni, i Balcani sono oggi condizionati dal decentramento del processo decisionale. In queste circostanze, la soluzione auspicabile è quella di un agente esterno (come potrebbe essere l Unione europea) in grado di giocare un ruolo nell avvicinare i governi locali alla cooperazione. I progetti riguardano i Corridoi V e X, con particolare attenzione alla Croazia e alla Serbia, attraverso la realizzazione del Progetto Rebis, che prevede un investimento complessivo superiore a 20 miliardi di euro entro il Le condizioni attuali delle infrastrutture di trasposto che attraversano la ex-jugoslavia si possono valutare in base a due considerazioni. In primo luogo vi è l urgenza di ripristinare i collegamenti fondamentali interni, così come erano alla fine degli anni Ottanta. Gli interventi di ripristino si pongono l obiettivo di favorire lo sviluppo dei trasporti già intra-jugoslavi. La seconda considerazione riguarda l espansione delle infrastrutture di trasporto nell ambito di una più vasta integrazione europea. Le priorità sono il miglioramento dei collegamenti con l Europa occidentale (Italia e Austria) e con il nord Europa, attraverso i nuovi paesi membri. Il superamento dell arretratezza balcanica passa ancora oggi attraverso un massiccio intervento estero. I primi passi in questa direzione devono consistere in considerevoli investimenti diretti nelle infrastrutture di base, al fine di creare le condizioni necessarie allo sviluppo di un economia di mercato. Il settore dei trasporti è un ambito favorevole in cui i paesi dell area balcanica possono sfruttare i vantaggi di una posizione geopoliticamente importante nelle relazioni euro-asiatiche. 9

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