INTERVISTA A ETTORE PERRELLA LA FORMAZIONE DELLO PSICANALISTA

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1 1 INTERVISTA A ETTORE PERRELLA LA FORMAZIONE DELLO PSICANALISTA ALESSANDRA GUERRA: Come si forma oggi uno psicanalista? ETTORE PERRELLA: Uno psicanalista si forma oggi esattamente come si formava ieri o l altro ieri, o come si formerà domani, almeno finché si chiamerà psicanalista. Ci si forma e ci si formerà sempre nello stesso modo: facendo un analisi che produca, per il soggetto, la necessità di occupare la posizione dello psicanalista. Si devono aggiungere alcune condizioni, come l acquisizione d una preparazione teorica sulla psicanalisi e sulle scienze collegate; per questo ci si forma partecipando a corsi, seminari, gruppi di studio o di lavoro. Inoltre, agli inizi, è necessario praticare la supervisione. La stessa risposta che le ho dato nel 2011 avrei potuto dargliela dieci o venti anni fa: in effetti è la risposta classica che si trae dai testi di Freud. Credo non ci siano molte cose da aggiungere. La risposta dipende dal significato che si dà alla parola psicanalisi. Se questo significato mutasse, dovrebbe mutare anche la risposta. Però così la psicanalisi sarebbe diventata un altra cosa, per esempio una delle mille forme di psicoterapia. Ma in questo caso sarebbe scomparsa. Possiamo vedere poi le differenze che possono esserci oggi rispetto a ieri, in base a tutta una serie di circostanze storiche e culturali, o istituzionali, che possono porre delle questioni nuove. Ma chiaramente bisogna pur sempre riferirsi ai presupposti della psicanalisi, così come Freud li riassunse nel famoso testo su La questione dell analisi laica. A proposito del problema che allora si era posto se bisognasse o non bisognasse riservare la pratica della psicanalisi ai medici, rispose chiaramente che essere medico non aveva nessuna importanza per praticare la psicanalisi. Anzi Freud aggiunse la famosa battuta secondo la quale la formazione che acquisiscono i medici all università è esattamente il contrario di quella che serve agli psicanalisti. Essere medico o non 1

2 2 esserlo non ha nessuna importanza, per noi oggi, come per Freud allora. E mi pare del tutto evidente anche se nel 1926, quando Freud scrisse questo articolo, non c era ancora l Ordine degli Psicologi, e tanto meno la facoltà di Psicologia, che quello che dice Freud per gli studi universitari dei medici si può estendere tranquillamente e senza nessuna differenza alla facoltà di Psicologia o a qualunque altra facoltà universitaria. La formazione dello psicanalista e la preparazione universitaria sono due cose chiaramente distinte. Possiamo entrare anche nel merito di questo tema. ALESSANDRA GUERRA: La ringrazio. ETTORE PERRELLA: La psicanalisi è chiaramente una pratica, e tutte le pratiche si apprendono praticandole: si impara a camminare camminando e si impara a nuotare nuotando. Non si prendono prima lezioni di come si cammina o si nuota, dopo di che ci si mette per strada o ci si tuffa. Le lezioni, se così possiamo chiamarle, possono solo accompagnare l esperienza. Invece l impostazione dell università è fondata, essenzialmente, sulla trasmissione di informazioni, quindi sulle nozioni, non sulla pratica. È chiaro che per praticare la psicanalisi occorre anche apprendere delle informazioni, ma non basta farlo come se fosse già assodato come stanno le cose. Se così fosse, la psicanalisi sarebbe solo la messa in atto d una teoria standardizzata e precostituita. Niente sarebbe più falso e fuorviante che credere questo. Ai dati della tradizione è sempre necessario ritornare, ma solo per reinterpretarli a seconda degli atti che si compiono a partire dalla domanda d analisi che ci viene posta, nella sua specificità, anzi nella sua singolarità. Quindi la formazione che si offre all università e che per definizione è mediata da qualcuno che ha la docenza di una certa materia, e perciò trasmette ai suoi studenti la propria impostazione teorica, è completamente diversa dalla formazione che si deve avere quando si vuole esercitare la psicanalisi. Anche per imparare quello che hanno detto Freud, Lacan, Melanie Klein, e molti altri psicanalisti, non si tratta semplicemente di leggere i loro testi, se questi non 2

3 3 vengono interrogati sulle questioni vive che si pone l analista nell ottica della propria esperienza. Che la questione stia precisamente in questi termini si capisce benissimo, se vogliamo riferirci a qualche auctoritas, dal modo in cui Lacan ha impostato il suo insegnamento, tutto fondato sulla lettura dei testi di Freud. Questi testi venivano radicalmente reinterpretati a partire da una serie di concetti, di nozioni e anche di campi scientifici diversi dalla psicanalisi, come la linguistica, la logica, l antropologia o la filosofia. La fedeltà di Lacan al testo di Freud non è fondata su quel che Freud avrebbe veramente detto, ma è fondata sull approfondimento delle problematiche, teoriche e pratiche, che si ponevano nel tempo in cui Lacan parlava. Lacan ritorna a Freud, ma solo per mettere in evidenza dei contenuti dei suoi scritti che erano stati del tutto ignorati dalla psicanalisi successiva, soprattutto nella sua versione anglo-americana. ALESSANDRA GUERRA: Che cosa pensa dell insegnamento universitario o parauniversitario della psicanalisi? ETTORE PERRELLA: I corsi universitari o parauniversitari di psicoterapia servono ad acquisire il titolo di psicoterapeuta, non a divenire psicanalista. Bisogna fare una distinzione chiara e netta fra la psicanalisi e le psicoterapie. Prima di tutto ribadiamo un altra cosa che Freud ha detto chiaramente più volte: la psicoterapia è soltanto una delle applicazioni della psicanalisi. Freud beato lui poteva usare questo termine senza pestare i piedi a nessun ordine professionale. È chiaro c è un uso terapeutico della psicanalisi, come si deduce dal fatto che si chiede un analisi solo perché si ha un problema, che si spera di risolvere attraverso gli strumenti della psicanalisi. Per questo Lacan una volta suggerì ai suoi allievi d accompagnare alla porta chi chiedesse un analisi solo perché vorrebbe divenire un analista, perché non farà mai un analisi. Se ne fa una solo quando si ha un problema cruciale che occorre assolutamente risolvere, non perché da grande si vuole fare un mestiere piuttosto che un altro. Per questo c è l università, che basta e avanza. 3

4 4 La psicoterapia, dice Freud, è appunto un applicazione della psicanalisi, come ce ne possono essere altre, nel campo della scienza, in quello della cultura e in quello di molte pratiche soggettive, che possono andare alla medicina alla politica (perché no? Farebbe molto bene, ai politici, aver avuto un esperienza analitica). Freud poteva usare tranquillamente il termine psicoterapia perché allora ce n era solo una: la psicanalisi stessa. Oggi, invece, ormai da molti anni, ci sono psicoterapie per tutti i gusti e per tutti i disgusti. Ci si mette davvero tutto e il contrario di tutto. Non necessariamente le psicoterapie, oggi, hanno qualche relazione, anche teorica, con la psicanalisi, ce ne sono che non ne hanno e non ne vogliono avere nessuna. E francamente non vedo perché chi si occupa di psicanalisi dovrebbe entrare nel merito e nel novero di questa babele culturale o in culturale. La questione del titolo professionale di psicoterapeuta è emersa soltanto pochi decenni fa, nell ambito dello statuto della professione di psicologo, e la psicoterapia è diventata una possibilità di libera professione destinata ai laureati in psicologia e in medicina. Insisto col dire che tutto ciò non ha niente a che vedere con la psicanalisi, perché si può diventare psicanalisti con qualunque laurea o al limite senza nessuna laurea. Anna Freud non ne aveva nessuna, eppure nessuno le ha mai detto che non era psicanalista per questo. E molti grandi analisti avevano lauree che non avevano nessuna relazione con la psicologia. Musatti, per esempio, era laureato in matematica. Quindi il problema delle psicoterapie si pone in Italia da quando è stata approvata la legge 56/1989, che prevedeva per gli psicologi la possibilità di fare un corso di perfezionamento universitario o parauniversitario per acquisire il titolo di psicoterapeuta, come i medici devono farlo per dirsi internisti o psichiatri. Queste sono procedure legali che non hanno alcuna attinenza con la psicanalisi. Era chiaramente evidente, nel momento in cui la legge 56/1989 fu approvata, che un problema si sarebbe posto, nonostante il fatto che la parola psicanalisi, che pure interveniva in un progetto di legge che poi fu modificato, era stata eliminata proprio per escludere la psicanalisi dall oggetto di questa legge. 4

5 5 Anche se dalla lettura delle discussioni della Commissioni parlamentari che hanno preparato il testo definitivo della legge è evidente che la psicanalisi rimane del tutto estranea all oggetto della legge stessa, questa esclusione, poi, non è mai stata esplicitata. Sappiamo bene che questo è un (mal)costume diffusissimo in Italia: si producono leggi poco chiare, che ognuno può interpretare pro domo sua. I motivi fondamentali per cui era facile prevedere fin dal primo momento che un problema d interpretazione si sarebbe posto erano e sono ancora di due tipi: da una parte motivi oggettivi, esterni alla psicanalisi; dall altra anche motivi interni ad essa. I primi sono collegati al controllo del mercato, e sono facilmente immaginabili; sono gli stessi che continuano ancora oggi a creare conflitti fra settori del tutto diversi e che dovrebbero rimanere autonomi: la psicanalisi, la psicoterapia e la medicina. I secondi sono legati a problematiche storiche interne da sempre al movimento psicanalitico, diviso com è in correnti molto diverse e spesso contrapposte. Era facile prevedere che alcune associazioni psicanalitiche avrebbero cercato di servirsi della legge 56/1989 per trasformare lo statuto fluido del significato della parola psicanalista in un titolo professionale gestito da loro grazie all apparente garanzia fornita da un Ordine professionale ed in ultima istanza dallo Stato. Di fatto, alcune associazioni avevano cercato d influire sulla formulazione della legge prima della sua approvazione, ed in parte ci erano anche riuscite. Non c era motivo di pensare che questa appropriazione indebita non sarebbe continuata anche dopo. ALESSANDRA GUERRA: Può approfondire il tema della formazione non universitaria degli psicanalisti? ETTORE PERRELLA: Esercitare il mestiere dell analista è come praticare un arte. E la pratica delle arti s impara con l esercizio, non acquisendo un sapere precostituito. Inoltre il sapere di cui deve disporre un analista non sta racchiuso 5

6 6 in nessuna facoltà universitaria. Si tratta di campi molto diversi, che vanno dalla psichiatria, alla linguistica, alla logica, alla storia della filosofia, all antropologia, alla storia dell arte e della letteratura. Nessuna facoltà insegna tutte queste cose messe insieme. Si impara a fare lo psicanalista facendo un analisi, e non solo sui libri. Tanto più che, se parliamo di libri, questi devono essere davvero molti. ALESSANDRA GUERRA: La formazione di uno psicanalista si produce facendo un analisi personale. ETTORE PERRELLA: La formazione di uno psicanalista si produce essenzialmente facendo un analisi. E in secondo luogo accompagnando l analisi con un interrogazione su alcuni testi e su alcune problematiche. Ma si tratta di un interrogazione attiva, e non semplicemente d imparare a memoria dei morti contenuti di sapere. Anche la più vera delle teorie, quando viene imparata a memoria, diventa una specie d ingombro concettuale, che finisce per ostacolarci, invece d aiutarci, quando dobbiamo decidere che fare. Qualunque istituto per psicoterapeuti, vincolato com è ad alcune formalità d insegnamento determinate per legge, che quindi sono uguali per tutti, non ha le caratteristiche d invenzione individuale che sono essenziali per la formazione dello psicanalista. Per chiarire questo punto, vorrei tornare un attimo su quello che dicevo prima, quando poniamo la domanda: per quale motivo, quando è stata approvata la Legge 56/1989, in cui non c è la parola psicanalisi, molti psicanalisti direi quasi tutti si sono sentiti investiti da questa legge? Ho fatto di tutto, grazie ad un movimento che si chiamava Spaziozero, perché gli analisti, in Italia, chiarissero la propria estraneità all oggetto della legge in questione. Questo movimento, tuttavia, non raggiunse se non in minima parte i propri obiettivi, e questo per due motivi diversi: le associazioni psicanalitiche più importanti non vi aderirono; ed al suo interno si profilarono posizioni che finivano per essere più legaliste della legge 56/1989. Dall entrata in vigore di questa legge sono stati prodotti effetti pesantissimi, non nella psicanalisi in quanto tale 6

7 7 (nella psicanalisi in intensione), ma nell assunzione socio-culturale della psicanalisi nei mezzi di comunicazione (quindi nella psicanalisi in estensione). Qui, per precisare meglio, dobbiamo parlare per un attimo non della psicanalisi ma degli psicanalisti. Uno psicanalista, come dice Lacan, altri non è che un soggetto qualunque, che però ha fatto l esperienza di un analisi didattica. Un analisi didattica altro non è che un analisi come tutte le altre cito ancora Lacan, che però ha prodotto un analista. Quindi, che un analisi sia o non sia didattica, non può sapersi al suo inizio, ma solo alla sua conclusione. E già questo mette in questione gli statuti di alcune associazioni psicanalitiche, che, già molto prima dell approvazione della legge 56/1989, pretendevano di definire fin dal primo momento chi può o non può fare un analisi didattica e quindi divenire analista. La posizione dell analista è eccentrica dal punto di vista della professione, in quanto, per via del sapere che a torto o a ragione gli è attribuito, essa ha sempre una certa aura di sacralità, anche se totalmente laica (e questo non fa che renderla ancora più problematica). Il fatto è che, come il medico, un analista si occupa di qualcosa che è costitutivamente sacro per chiunque, come la vita e la morte, la sessualità e il desiderio, la malattia e la salute. Questo munus ha immediatamente, come tutti i munera, un risvolto negativo, perché espone chi occupa la posizione d analista ad un angoscia sottile, che un tempo veniva compensata dal prestigio culturale e sociale, mentre oggi lo è da qualcosa di molto più ingombrante: l iscrizione in un ordine, in ogni senso del termine. Inoltre da sempre si sono posti due problemi agli analisti: il prestigio non è di tutti (bisogna guadagnarselo) e non è garantito da nulla, se non dagli atti che si compiono. Inoltre, nella cultura informatizzata, questo prestigio sta gradualmente tramontando, se non è già tramontato del tutto. Il fatto è che, quando si è chiamati ad intervenire, sia pure con una parola, sia pure con un gesto, attorno a dei problemi cruciali nell esistenza di chiunque (anche in quella degli analisti, ben inteso), il peso della nostra responsabilità, nell istante in cui dobbiamo decidere, non è mai condivisibile. È questo che finisce per essere intollerabile anche a molti soggetti che occupano a questo 7

8 8 punto a torto la posizione di analista. Una cosa di cui non si parla molto spesso è che si diventa psicanalista, ma qualche volta si smette anche di esserlo. Il problema è che un ipotetico psicanalista non dice: non faccio più lo psicanalista, chiudo lo studio e mi dedico a qualcos altro. ALESSANDRA GUERRA: Quindi lei dice che, in questo caso, si mantiene il titolo, ma si fanno altre cose. ETTORE PERRELLA: Esattamente. Si utilizza, diciamo così, l impalcatura formale della psicanalisi per compiere atti che non vanno più nella direzione etica della psicanalisi. E tutto ciò finisce per creare una sorta di falsa psicanalisi. Il problema più grave della psicanalisi, oggi, non è semplicemente d essere circondata da quella specie di rumore di fondo che sono le psicoterapie, ma è che è sempre più difficile capire fino a che punto ciò che si chiama psicanalisi è veramente tale o ha smesso di esserlo. La psicanalisi, per essere tale, deve avere una certa impostazione etica, e non un impostazione qualunque. Quando uso il termine etica non uso il termine morale e tanto meno il termine diritto. Quando crediamo che fare la psicanalisi significhi questo o quest altro, magari perché l ha detto Freud, o chiunque altro, noi siamo in una prospettiva di esecuzione di certi criteri, di certe regole predefinite. Far questo non significa dare un impostazione etica al proprio atto, ma subordinarlo a dei criteri generali, deontologici, cioè morali e/o giuridici. E far questo significa essere usciti di fatto dalla psicanalisi. Non che la psicanalisi non abbia una deontologia, ma questa consiste semplicemente nel rispetto dei limiti etici degli atti che si compiono e delle parole che si dicono. Certo, è accaduto molte volte, nella storia della psicanalisi, che questo o quell analista siano usciti di fatto dal campo della psicanalisi (basti pensare a quel che sosteneva Freud su alcuni dei suoi allievi, come Adler e Jung, quando rimproverava loro d aver tradito la verità della teoria analitica). Temo però che oggi diventi sempre più difficile, per motivi culturali, economici e sociali, non cadere in questo meccanismo. La prima resistenza alla psicanalisi, oggi, è 8

9 9 quella degli analisti stessi. Tutta la società occidentale sta andando, da almeno due decenni, nella stessa direzione: abbandonare il terreno rischioso della scommessa etica, per tentare di sostituirla con l adeguamento a questa o a quella morale di raccatto. E questo ha già prodotto molte crisi, non solo culturali, ma anche sociali ed economiche. Il problema del confronto fra psicanalisi e psicoterapia, se teniamo conto dell economia, è così minuscolo da potersi considerare inesistente, visto che riguarda solo poche migliaia di persone. Il problema vero è invece il valore che ha oggi un etica realmente liberale. Già quando uso questo aggettivo vengono capite cose diametralmente opposte, perché c è un liberalismo nobile, che comporta l assunzione individuale delle proprie responsabilità etiche, e c è un falso liberalismo economico (il neoliberismo) che invece ha creato il sistema economico che poi ha prodotto la crisi economica attuale. Niente è meno liberale del cosiddetto neoliberismo economico, che da alcuni decenni non sta facendo altro che misconoscere i diritti individuali, in nome dell uniformità dell informazione pubblicitaria. Gli individui, oggi, sono considerati solo dei consumatori (anche alcuni partiti che si vorrebbero di sinistra li considerano in questo modo). Tutto ciò, fra l altro, sta facendo scomparire quella classe media da cui è sempre venuta la clientela dei nostri studi professionali. Proprio questo mi fa essere pessimista sull avvenire del nostro lavoro. Quindi, per concludere, nella psicanalisi in quanto tale c è qualcosa di assolutamente contrario allo spirito dei tempi. Ma proprio questo dovrebbe convincere tutti gli analisti a difendere pubblicamente cioè politicamente la libertà dei diritti individuali, che è anche la nostra libertà di fare il nostro lavoro. ALESSANDRA GUERRA: Quando lei insiste sulla prossimità fra etica liberale e psicanalisi, intende che la psicanalisi promuove l etica della responsabilità dell individuo? 9

10 10 ETTORE PERRELLA: La parola individuo, con tutti i suoi derivati, in italiano, da parecchio tempo è diventata quasi un insulto, a causa dell ideologia cattolica per un verso e di quella marxista per un altro. In realtà l individualismo è al fondo di tutta la tradizione occidentale, fin dai tempi di Socrate e di Cristo, che fu il primo a dire che la legge è fatta per l uomo e non l uomo per la legge. E questo vale, in qualche modo, per tutta la storia del pensiero occidentale, che ha sempre provato a mettere in risalto la scelta individuale, anche se non senza contraddizioni, naturalmente. ALESSANDRA GUERRA: Lei dice che l esistenza della psicanalisi garantisce l esistenza di un etica individuale. Dove quest etica interviene, ciascuno può accedere al proprio desiderio, senza doversi uniformare a questo o quel criterio generale. La psicanalisi è garante della differenza assoluta. ETTORE PERRELLA: La psicanalisi dovrebbe consentire al soggetto di assegnarsi un obiettivo individuale, anche se in modo compatibile con le regole del vivere sociale, sapendo bene che non è limitandosi ad obbedire a delle regole che si realizza un obiettivo etico. Purtroppo, temo che sia troppo ottimistico dire che l esistenza della psicanalisi garantisce qualcosa. In realtà, al giorno d oggi, l esistenza stessa della psicanalisi ha un punto interrogativo davanti, perché viene messa in questione di continuo. Ma proprio per questo difenderla fermamente è un obiettivo non solo etico, ma anche politico, che dovrebbe essere imprescindibile per chiunque operi nel nostro campo. Del resto non dimentichiamo che oggi viene messa in questione la stessa capacità giuridica dell individuo di determinarsi nelle scelte fondamentali della propria esistenza. Basta pensare al problema del testamento biologico: sembra che ci si voglia privare anche della libertà di decidere a che condizioni accettiamo di vivere. Oppure basta guardare alla medicina, alle scuole, o alle famiglie. Questo è un problema che oggi incontriamo in tutto il tessuto sociale, che del resto si va sempre di più disgregando. 10

11 11 ALESSANDRA GUERRA: Secondo lei, qual è il ruolo di un associazione psicanalitica nella formazione di uno psicanalista? ETTORE PERRELLA: Domanda molto giusta. La funzione delle associazioni per la trasmissione della psicanalisi è decisiva. Quando prima le dicevo che la formazione psicanalitica è una formazione individuale, non intendevo affatto dire che ci si forma come psicanalisti da soli; questo è del tutto impossibile, nessuno si è formato come psicanalista da solo, neppure Freud: anche lui aveva qualcuno con cui confrontarsi ed al quale scriveva lunghe lettere. Far parte di un associazione psicanalitica è decisivo per formarsi come analista, perché questo può avvenire solo se si partecipa, insieme ad altri, ad un lavoro comune. Certo, non tutte le associazioni psicanalitiche sono uguali, ce ne sono probabilmente di migliori o di peggiori. Ma la cosa essenziale è che ci si forma come psicanalisti discutendo di psicanalisi con altre persone. Per questo uno degli strumenti più importanti della formazione sono i gruppi di studio, perché in realtà noi non impariamo mai tanto bene come quando dobbiamo spiegare a qualcun altro quello che l altro pensa di non sapere. Solo quando spieghiamo a qualcun altro capiamo meglio in che termini sta per noi il problema. La formazione è individuale proprio perché non è affatto solitaria. L individuo è tale solo in una dimensione che dovrebbe essere non solo associativa, ma addirittura anche comunitaria, se si intende la comunità come l insieme di quelle persone che hanno ricevuto un certo munus. Munus vuol dire onore, ma vuol dire anche impegno. Ed è per questo che la posizione degli psicanalisti è spesso incerta. Si vuole avere l onore, ma senza accollarsene il peso. Se vuoi essere riconosciuto da altri, devi prima accollarti il peso della tua solitudine, nel momento in cui operi. Questa solitudine puoi cercare di condividerla con altri. Credo che sia assolutamente indispensabile farlo, perché sennò nessuno reggerebbe, da solo. La prima cosa che fece Freud fu trovarsi degli allievi. Non poteva non trasmettere a qualcuno quel che aveva trovato. E questo vale anche per ciascuno di noi. Però non basta stare insieme ad altri, se non ci ricordiamo 11

12 12 sempre che, quando dobbiamo decidere che cosa dire a chi ci paga per venirci a trovare, siamo sempre e inevitabilmente soli. ALESSANDRA GUERRA: Lei consiglierebbe ad un giovane, oggi, di fare lo psicanalista? ETTORE PERRELLA: Temo che non sia un consiglio che si possa dare in nessun caso. Si può consigliare di fare l ingegnere o il medico, ma non l analista, perché a questa scelta si arriva solo per effetto d una necessità interiore, quasi sempre nel corso di un analisi cominciata per altri motivi. Se così non fosse, la psicanalisi sarebbe un mestiere come tutti gli altri. Qui mi ricollego, se vuole, alla prima risposta che le ho dato, all inizio di questa chiacchierata. ALESSANDRA GUERRA: Caro dr. Perrella la ringrazio moltissimo per avere accettato di rilasciarmi questa intervista intervenendo sui temi della formazione dello psicanalista e di tutte le questioni collegate a questo tipo di formazione. Padova, 19 aprile 2011 Intervista rivista da Alessandra Guerra 12

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