CENNI SULLE NEOPLASIE
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- Fabio Mauri
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1 CENNI SULLE NEOPLASIE La prima definizione di neoplasia viene data dal patologo Rupert Allan Willis nel 1934 che la descrive come [ ] una massa abnorme di tessuto, la cui crescita supera in maniera scoordinata quella dei tessuti normali e progredisce anche dopo la cessazione degli stimoli che ne hanno causato l insorgenza. Il termine tumore, in origine utilizzato per indicare il gonfiore causato da una infiammazione, è oggi divenuto sinonimo di neoplasia. Classificata come benigna o maligna (e in quest ultimo caso invasiva e definita cancro) la neoplasia è divenuta la seconda causa di morte in Italia e negli Stati Uniti, nonché secondo le stime dell Organizzazione mondiale della Sanità la causa di 8,2 milioni di decessi nel 2012 (corrispondenti al 13% delle morti a livello globale in quell anno) e di 8,8 milioni nel Prima del 1975 la medicina non conosceva i meccanismi molecolari e cellulari alla base della neoplasia, a quell anno infatti risale la scoperta di Harold Varmus e J. Michael Bishop effettuate nel loro laboratorio a San Francisco, California in cui dimostrarono che il genoma di una cellula sana possiede dei geni (che chiamarono protooncogeni) col potenziale, se alterati, di promuovere i processi cancerogeni. In base alle attuali conoscenze dunque possiamo definire una neoplasia come un disturbo della crescita cellulare di una singola cellula, scatenato da una serie di mutazioni acquisite, e della sua discendenza clonale. Alla base dell oncogenesi vi è un danno genetico non letale a carico di una singola cellula somatica: una mutazione, risultato di una esposizione ad agenti esogeni come virus o sostanze chimiche ambientali, oppure avvenuta spontaneamente durante la replicazione del DNA. Tale mutazione deve essere permanente e deve conferire un vantaggio di crescita alla cellula mutata. L espansione clonale del singolo precursore cellulare alterato permette lo sviluppo del tumore, le alterazioni del DNA infatti possono essere ereditate dalle cellule figlie, ma il precursore deve essere in grado di evadere la sorveglianza del sistema immunitario. Le mutazioni neoplastiche colpiscono i geni che regolano la crescita in una cellula sana, un anomalia in questi geni le conferirà proprietà simili alle cellule staminali (immortalizzazione). I geni interessati sono: proto-oncogeni (che codificano per proteine che favoriscono la crescita), onco-soppressori (che codificano proteine inibenti la crescita), geni coinvolti nella riparazione del DNA, geni che regolano la morte cellulare programmata (apoptosi), geni che controllano 14
2 l adesione cellulare e la trasduzione di segnale. Inizialmente tutte le cellule di un tumore sono geneticamente identiche, tuttavia l acquisita instabilità genomica permette alle cellule tumorali di acquisire ulteriori mutazioni, dette complementari. In prevalenza si tratta di mutazioni passenger, cioè senza ripercussioni sul fenotipo, ma sono possibili anche le cosiddette mutazioni driver che inducono la comparsa dei tratti tipici delle neoplasie maligne (anaplasia, tasso di crescita irregolare, induzione dell angiogenesi, produzione di proteasi, capacità di metastatizzare etc). Una volta radicato, il tumore si sviluppa secondo la selezione darwiniana. La sua popolazione cellulare aumenta, diventando via via sempre più eterogenea. Si sviluppano subcloni che competono tra loro per le risorse nutritive e le nicchie microambientali, favorendo i sottotipi cellulari vincitori, più aggressivi, capaci di crescere maggiormente. Questo processo è denominato progressione tumorale. Il modello matematico che descrive l andamento della crescita di una massa tumorale è la curva Gompertziana. La crescita è studiata in funzione della frazione della massa tumorale impegnata nelle divisioni cellulari. Essa risulta pari al 100% nelle fasi iniziali del tumore e declina in maniera esponenziale nel tempo, infatti con l aumento del volume della massa tumorale la vascolarizzazione risulta inadeguata e molte cellule muoiono per ipossia, altre vengono a trovarsi in fase di quiescenza reversibile, altre ancora hanno subito un danno genetico troppo profondo per poter riuscire a replicarsi ancora. In questo modello possiamo osservare che la velocità di crescita di un tumore raggiunge il suo picco nel momento in cui la sua massa è composta da poco più di 10 3 cellule. Questo corrisponde al 37% della sua massima grandezza, stabilita in linea di principio come la massa che risulta essere letale e corrispondente a cellule (1 Kg). Successivamente la velocità di crescita rallenta mano a mano che il tumore raggiunge le dimensioni in cui intervengono limitazioni dei nutrienti o meccanismi di autoregolazione dell ospite. Una neoplasia risulta clinicamente rilevabile quando presenta una massa compresa tra 1 e cellule. A questo punto la frazione di crescita corrisponde all 1-4%. Quando viene diagnosticato dunque un tumore è passato attraverso almeno 30 divisioni cellulari e la sua 15
3 popolazione cellulare risulta già estremamente eterogenea e complessa. È in questo quadro clinico che la terapia antineoplastica deve operare. Il detto primum non nocere non può essere il principio guida nella terapia dei tumori. Questo perché se l eradicazione risulta possibile, il trattamento deve essere effettuato nonostante la certezza di grave tossicità e rischio per la vita. Solo se la terapia è palliativa l obiettivo principale è quello di minimizzare gli effetti avversi. La terapia antineoplastica si divide in quattro categorie: chirurgia, radioterapia (compresa la fototerapia), chemioterapia (compresa la ormonoterapia e la terapia a bersaglio molecolare ), terapia biologica (immunoterapia, terapia genica). La chirurgia e la radioterapia sono considerate generalmente trattamenti locali, mentre la chemioterapia e la terapia biologica sono usualmente trattamenti sistemici, benché la distinzione tra di esse non sia sempre netta (alcuni anticorpi ad esempio possono essere usati come vettori di radiofarmaci). La caratteristica distintiva di un cancro è la sua capacità di metastatizzare, ovverosia di colonizzare tessuti distanti dalla sede di origine del tumore. Il processo metastatico è altamente inefficiente: il tumore deve essere invasivo, le sue cellule devono distaccarsi dalla massa originale, aderire alla matrice extracellulare circostante, degradarla, migrare attraverso di essa e diffondersi (generalmente tramite via linfatica o ematica, ma anche per via trascelomatica ovvero attraverso le cavità), deve anche poi essere in grado di arrestarsi ed impiantarsi nella nuova sede, colonizzarla e crescere (sarà necessaria l induzione dell angiogenesi). Quando il cancro è disseminato le probabilità di successo di qualsiasi terapia antineoplastica sono drasticamente ridotte. La metastatizzazione si manifesta in molti tipi di neoplasie: benché non sia prevedibile con esattezza la sede di metastasi data la specifica neoplasia, esiste una preferenza d organo per cui nel carcinoma al colon sedi comuni sono il fegato ed il polmone, nel carcinoma della mammella sono le ossa e il cervello, per il fegato l intestino. La chemioterapia è lo strumento fondamentale per trattare i tumori metastatizzati, ma il più grande impedimento al trattamento chemioterapico è rappresentato dallo sviluppo della resistenza multifarmaco nelle cellule cancerose (1). La chemioterapia uccide le cellule cancerose sensibili al trattamento, ma può selezionare quelle cellule che manifestano meccanismi di difesa nei confronti del farmaco. Le cellule sopravvissute ricostituiranno la massa 16
4 tumorale e la resistenza al trattamento iniziale sarà espressa in tutta la popolazione. La resistenza multifarmaco può essere intrinseca, in tal caso i mediatori di resistenza erano preesistenti nel patrimonio genetico delle cellule tumorali, oppure acquisita: mutazioni acquisite durante il trattamento (come risposte adattative) hanno permesso l attivazione di percorsi metabolici compensatori. Ci sono differenti motivi per cui le cellule cancerose possono sviluppare resistenza ai farmaci antitumorali a seconda del tipo di farmaco utilizzato, del sottotipo cellulare coinvolto e delle caratteristiche individuali del paziente. La differente efficacia dei trattamenti può essere riconducibile anche a cambiamenti epigenetici nel paziente dovuti al tumore. I meccanismi tramite i quali le cellule cancerose contrastano un trattamento chemioterapico sono molteplici, esse possono: incrementare la capacità di inattivazione del farmaco (i farmaci al platino possono venire inattivati dal glutatione), non esprimere l enzima attivante il farmaco (come nel caso del 5-Fluorouracile o del metotressato), sovra esprimere un recettore che la terapia tenta di ridurre (è il caso del recettore androgenico AR, sovraespresso nel 30% dei casi di cancro alla prostata), riparare il DNA che viene danneggiato dal farmaco (contrastando gli inibitori della topoisomerasi), modulare il trasporto di un farmaco verso l esterno della cellula (riducendone la concentrazione intracellulare). Sono stati identificati alcuni trasportatori ABC (ATP-Binding Cassette transporter) espressi sulla membrana di cellule cancerose capaci di espellere i farmaci antineoplastici dalla cellula. Di questa famiglia di almeno 49 proteine, quelli che sembrano interessare maggiormente il fenomeno della resistenza multifarmaco sono: la glicoproteina di permeabilità (P-glicoproteina, anche detta MDR-1 o ABCB1), la proteina associata alla resistenza multifarmaco 1 (MRP-1, anche detta ABCC-1), la LRP (Lung Resistance Proteins), la BCRP (Breast Cancer Resistance Proteins). Sono state identificate diverse sostanze che potrebbero interferire con i meccanismi di farmaco resistenza mediati da questi trasportatori, come: inibitori delle glicoproteine P, modulatori del doppio strato lipidico, ossido nitrico, mifepristone (un antiprogestinico capace di inibire MRP- e P-gp in vitro in cellule di carcinoma gastico), trabectedina (mostratosi capace di inibire la sovra espressione di MRP1), agosterolo A (inibente l efflusso di agenti antineoplastici interagendo con P-glicoproteina) (2). Alcuni geni di queste proteine ABC sono stati clonati (Il gene della glicoproteina-p, chiamato MDR-1, è stato clonato nel Il gene MRP nel 1992), questo ha permesso la produzione di oligonucleotidi antisenso per bloccarne l espressione (3) (4). 17
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