In Comune di Charvensod la disciplina urbanistica vigente fino al 2013 prevedeva

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1 11100 AOSTA - VIA LOSANNA 17 TEL FAX MAIL segreteria@studiolegalecarnelli.eu - PEC avvpiercarlocarnelli@cnfpec.it n. prot. Aosta 26 maggio 2014 Spett. CELVA Servizio ADHOC P.zza Narbonne n A O S T A RICHIESTA PARERE COMUNE DI CHARVENSOD MATERIA: ARGOMENTI: URBANISTICA ED EDILIZIA Distanza tra edifici - Misurazione Sporti - Balconi - Pensiline - Rilevanza ai fini del calcolo Consiglio di Stato - Sentenza n. 5557/ Portata - Effetti sulle previsioni del PRGC In Comune di Charvensod la disciplina urbanistica vigente fino al 2013 prevedeva che i balconi di larghezza inferiore a m. 1,20 non dovessero essere considerati nel calcolo della superficie coperta, e come tali, non rilevassero ai fini della misurazione della distanza dal confine o tra fabbricati. Il R.E. al PRGC in via di approvazione stabilisce al proprio art. 21, comma 2, che il filo di fabbricazione della costruzione, ai fini della presente norma, è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi, sporti del tetto e delle altre analoghe opere, aggettanti per non più di metri 1,20. Si chiede parere se ed in che termini possa avere effetto su tale disciplina la recente sentenza del Consiglio di Stato epigrafata (Sez. IV, n. 5557/ ), secondo la quale la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va calcolata con riferi- 1

2 mento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano, e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale anche se sono in posizione parallela. Inquadramento generale. Nonostante abbia sollevato vivaci reazioni su vari siti tecnico-giuridici del WEB e relativi blog, la sentenza in questione si inserisce in un filone ormai consolidato. La giurisprudenza, tanto civilistica quanto amministrativistica ha stabilito da tempo che quando si realizza un edificio dotato di sporti od aggetti, bisogna distinguere a a seconda che presentino una funzione meramente decorativa o se, invece, abbiano dimensioni consistenti tali da ampliare la superficie o la funzionalità del fabbricato. Solo in quest'ultimo caso gli sporti assumono il carattere di costruzione, e come tali soggiacciono alle regole sulle distanze, mentre quelli di limitata consistenza non devono essere inclusi nel relativo computo, in quanto configurano entità trascurabili rispetto all'interesse tutelato dalla norma considerato nel suo triplice aspetto della tutela della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (Cfr. Cass. Civ. II, n.10615/ ). Attesa la loro caratteristica di solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, i balconi sono stabilmente inclusi tra le costruzioni, (Cfr. Cass. Civ. II, n. 5963; n n. 2986; n n. 5719; ecc.); e così, le tettoie che avanzino rispetto all'edificio già esistente (Cass. Civ. II n / ), una pensilina costruita su un terrazzo (Cfr. Cass. Civ. II, n. 3727/ ), una scala esterna in muratura (Cfr. Cass. Civ. II, n / n. 5222/ ecc.). 2

3 Poiché, dunque, di costruzione si tratta, del balcone occorre tenere conto ai fini delle distanze: queste infatti vanno misurate assumendo come punto di riferimento la linea esterna della 'parete ideale' posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del fabbricato cui pertengono, ovvero il limite esterno del manufatto aggettante verso il vicino (Cfr. Cass. Civ. II, n / n. 7285/ n. 3199/ n / ecc.). Come premesso, il Consiglio di Stato nella pronuncia richiamata fa proprio tale inquadramento, e vi si allinea. Il Collegio si attiene ad una fedele applicazione al testo dell art. 9, comma 2, del DM 1444/ , circa il quale le Sezioni Unite della Suprema Corte (Sentenza n / ) hanno stabilito quanto segue: in tema di distanze tra costruzioni, l art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega dell art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. 1 DM 1444/ : art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale. 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. 3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12. Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale mag - giorata di: - ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15; - ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15. Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indi - cate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche. 3

4 Ribadisce, poi, il concetto di pareti finestrate, le quali devono intendersi non soltanto le pareti munite di "vedute", ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti (T.A.R. Abruzzo L Aquila I, n. 788/ ; T.A.R. Puglia Lecce III, n. 1624/ ; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 7 giugno 2011, n. 1419; T.A.R. Piemonte, Torino, 10 ottobre 2008 n. 2565; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 4 dicembre 2001, n. 1734; Corte d Appello, Catania, 22 novembre 2003; ecc.). E ribadisce il concetto di pareti frontistanti, che sono quelle in qualsiasi modo fronteggiantesi, ricordando come: sia indifferente che si tratti delle pareti del nuovo edificio o di quelle dell'edificio preesistente, essendo sufficiente, per l applicazione delle regole sulla distanza di cui all art. 9 DM 1444/68, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, conseguendo, per tanto, che il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre. (Cfr. Cass. civ. Sez. II, , n ); sia indifferente che la parete finestrata sia quella di una progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all altra, dovendosi misurare la distanza di dieci metri da ogni punto dei fabbricati e non dalle sole parti che si fronteggiano, e da tutte le pareti finestrate e non solo da quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Cfr. C.d.S. IV, n. 6909/ ). Il Collegio richiama inoltre, e fa propria, la precisazione già illustrata dalla giurisprudenza citata, tanto civile quanto amministrativa, (Cfr. Cass. Civ. II, n.10615/ C.d.S. IV, n. 6909/ ecc.), secondo la quale sporti, cioè sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristi- 4

5 che del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche a estendere e ampliare per l intero fronte dell edificio la parte utilizzabile per l uso abitativo. Dunque, nulla di nuovo, la sentenza fin qui potrebbe definirsi recensiva, iterativa, di principi consolidatisi nel tempo. Osservo tuttavia come il Collegio si dia carico di considerare - prendendone una certa qual distanza anche il principio di recente predicato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo il quale (T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, , n. 993) ha natura di norma di ordine pubblico l art. 9 del D.M. n. 1444/1968 che prescrive la distanza minima di 10 mt. lineari tra pareti di edifici finestrate e pareti di edifici antistanti. Si precisa che il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della predetta distanza solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò. Principio che, in realtà, è predicato ormai da un po' in giurisprudenza, quella stessa citata dalla sentenza in esame (Cfr., Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008 n. 3381; TAR Lazio, 31 marzo 2010 n. 5319; TAR Liguria, Genova, sez. I, 10 luglio 2009 n. 1736; ecc.). Secondo la sentenza in esame, siffatta norma regolamentare comunale va qualificata come eccezionale e di favore in quanto integra e deroga con il favore della giurisprudenza alla norma di ordine pubblico di cui all art. 9 DM più volte richiamato e non vi è dubbio che tali deroghe/integrazioni debbano essere interpretate in senso restrittivo (Cfr. C.d.S. n. 5559/2013 in esame, testo, pagg ). Il che, ai fini del presente parere, va guardato con prudenza. 5

6 Effetti della sentenza CdS IV n. 5557/2013 Quella in esame, come ogni sentenza, produce effetti diretti o conformativi soltanto sulla questione che ha regolato; per quanto qui di interesse, essa rileva a titolo di precedente, e come tale ha una portata orientativa, non vincolante ma di cui occorre tenere conto nei termini che così riassumerei: - è pacifico che il fine che l art. 9, comma 2, DM 1444/68 in esame persegue è quello di evitare la giacitura a distanze inferiori a dieci metri l una dall altra di corpi di fabbrica idonei a creare intercapedini malsane, per note ragioni di salubrità; dunque, per un fine di ordine pubblico sotto il profilo della prevenzione igienico-sanitaria; - manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, ecc., non integrano corpi di fabbrica idonei alla creazione di intercapedini malsane, e sono quindi sottratti al computo della distanza; - secondo talune pronunce giurisprudenziali, manufatti come balconi di misurata estensione, ma di più significativa incidenza rispetto alle sporgenze di cui sopra, possono ammettersi soltanto se esista una norma di PRGC che, per una misura precisata, li escluda dal computo delle distanze di cui all art. 9 DM 1444/68, in deroga a questa stessa regola di ordine pubblico; - se invece i balconi svolgono una funzione di sostegno o di copertura necessaria, come nel caso di terrazze a livello incassate nel corpo dell edificio, ovvero non sono contemplati/ammessi dalla normativa regolamentare comunale, soggiacciono al calcolo delle distanze. Il Collegio non chiarisce come possano ammettersi norme regolamentari comunali che deroghino ad una norma di ordine pubblico, e ciò pare davvero poco sostenibile a maggior ragione nello specifico, a mente del principio, già citato e di re- 6

7 cente riaffermato dalla Suprema Corte (Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 14 marzo 2012, n. 4076) secondo il quale sempre prevalgono i precetti contenuti nel Decreto Ministeriale sulle norme regolamentari locali, ove queste prevedano distanza inferiori rispetto a quella di 10 metri prevista dal D.M.; ove, invece, le norme regolamentari prescrivano una distanza fra edifici maggiore di quella minima di 10 metri, questa può essere applicata. Sarebbe forse più lineare ritenere che siffatte norme regolamentari comunali, occupandosi di disciplinare balconi di modesta estensione, i quali non solo restano esclusi da corpi di fabbrica che racchiudono o che costituiscono volume, ma soprattutto non creano intercapedini insalubri, non si pongono in contrasto con il ricordato fine dell art. 9, comma secondo, del DM n. 1444/68. E questo è esattamente quanto sostenuto dal TAR Liguria nell'arresto più sopra citato tra la giurisprudenza che ha ispirato il filone 'di favore', richiamato dalla sentenza del Consiglio di Stato in esame:... Il tribunale rileva che il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza ai sensi della norma in questione solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò, posto che uno sporto come quello effigiato in atti non integra la specie dell intercapedine dannosa che legittima l applicazione della norma di ordine pubblico derivante dal d.m , n (Cfr. TAR Liguria I, n. 1736/ cit., testo, pag. 14). Ma resta un fatto: tale impostazione mette in capo alla PA comunale una notevole discrezionalità ed incrina la portata dell'art. 9, comma 2, del DM 1444/68. Nel momento in cui un PRGC può escludere dal filo esterno della costruzione, dal quale dipartire la misura della distanza a sensi dell art. 9 DM 1444/68, gli elementi decorativi, i cornicioni, le pensiline, ed anche i balconi, gli sporti del tetto e le altre analoghe opere aggettanti per una misura ragionevole, e ciò non solo allorché non racchiudano un volume e non siano utilizzabili per l uso abitativo, e quindi non costituiscano parete (finestrata o meno) in senso proprio, ma soprattutto allorché 7

8 non vadano a creare intercapedini insalubri, è la PA comunale a stabilire la misura di un aggetto ritenendo che il medesimo non crei situazioni di rischio di insalubrità. Dunque, è la PA comunale che stabilisce se e quando, in presenza di quali circostanze di fatto, una distanza può ritenersi sufficiente per prevenire la formazione di una intercapedine insalubre; in altre parole, che stabilisce la misura delle distanze in sostituzione di quanto imposto dalla Legge. E ciò appare, e può essere giudicato, in contrasto con la natura di norma di ordine pubblico dell'art. 9, comma 2, del DM 1444/68 (Cfr. di recente, C.d.S. IV n. 1000/ in tema di distanze da scale esterne), e in contrasto con quella robusta, ormai stabile, giurisprudenza che ritiene tale norma capace di prevalere su qualsiasi disciplina regolamentare che non sia 'allineata', sostituendovisi. (Per tutte, chiarificatrice C.d.S. IV, n. 7731/ ). A mio avviso tali contrasti dovrebbero imporre a qualsiasi P.A. di elevare riserve prudenziali, e di orientarsi così da evitare scostamenti da un'applicazione totalmente adesiva al testo del DM, a maggior ragione in un epoca come quella attuale in cui il corso della giurisprudenza amministrativa è sempre più palesemente improntato al disfavore per una discrezionalità della P.A. che non sia meramente tecnica. Un'ultima considerazione:... l art. 9 del citato DM 1444/68 in tema di distanze fra edifici, costituisce, per giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato, sentenze n. 7731/2010 e n. 4374/2011), principio inderogabile della materia anche per Regioni e Province autonome che siano titolari di competenza esclusiva nella materia dell urbanistica, ed integra come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 232 del 2005, sentenza n. 120 del 1996) la disciplina privatistica delle distanze... (Cfr. da ultimo Corte Cost. n. 112/ ). L art. 9 del citato DM 1444/68, dunque, in Valle d'aosta trova applicazione, ed in ragione di quanto evidenziato, le P.A. debbono tenere presente che cosa signifi- 8

9 chi. Consegue che una norma come l'art. 21, comma 2, del R.E. al PRGC in via di approvazione presso il Comune di Charvensod, (e conseguentemente ogni e qualsiasi atto o provvedimento che possa derivare dalla sua applicazione), può resistere 'alla prova', vale a dire ad un giudizio di legittimità, solo se chi la giudica condivide il principio predicato dalla giurisprudenza richiamata, secondo il quale un PRGC davvero può derogare, ovvero non essere in contrasto, con l'art. 9 DM 1444/68 e quindi prescrivere che un balcone aggettante venga ricompreso nel computo della distanza tra pareti di edifici finestrate e pareti di edifici antistanti. La prospettiva è aleatoria, precaria, ed al riguardo non posso che consigliare prudenza. Del resto, anche qui, il rimedio a tale precarietà sta solo nelle mani del Legislatore. A disposizione per ogni ulteriore chiarimento o integrazione, ringrazio per l opportunità, ed invio il mio saluto cordiale - Avv. Piercarlo Carnelli - 9

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