Costruzione dei generi e violenza - 28/10/2013. Daniela Dioguardi

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1 Costruzione dei generi e violenza - 28/10/2013 Daniela Dioguardi Il femminicidio è l esito estremo di una violenza più generale, invisibile, simbolica, che passa attraverso una visione del mondo dettata dall uomo, ma posta come universale. Siamo di fronte ad una forma di dominio che è inscritta in tutto l ordine sociale, opera nell oscurità dei corpi P. Bourdieu. E difficile dire se è aumentato, i dati erano/sono incompleti e parziali. Sicuramente sono cambiate le donne, non più disposte a subire, ed è cambiata la percezione sociale del fenomeno, soprattutto da quando alcuni anni fa l OMS ha pubblicato uno studio da cui risulta che la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e i 44 anni, in tutto il mondo, è l aggressività maschile, soprattutto quella domestica. La violenza: questione femminile? Finora è stata interpretata e vissuta come una questione femminile. Nel passato perché la colpa era indiscutibilmente(!) delle donne. Erano loro a provocare e a rovinare i poveri uomini! Tesi ripresa recentemente e sorprendentemente da un parroco di un paese vicino La Spezia che ha affisso davanti alla chiesa un manifesto in cui chiedeva alle donne di fare autocritica. Sarebbero loro, la loro sbandierata autonomia a provocare la violenza. Oggi perché si insiste sulla vittima, sul suo bisogno di tutela e protezione, rafforzando lo stereotipo della donna fragile, non in grado di badare a se stessa, con immagini terribili di corpi femminili picchiati, umiliati, feriti, massacrati.., senza pensare agli effetti devastanti, che questo può avere sulle giovani donne. Essere identificati come vittime dice Michela Murgia è una condizione che dovrebbe essere transitoria per chiunque. (Non si è vittime per il solo fatto di esistere come femmine, invece che come maschi, ma lo si è sempre di qualcosa o di qualcuno.) Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un altra forma di violenza, più sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi.

2 Ancora questione femminile, perché sono state e sono le donne ad interrogarsi, riflettere sulla propria sessualità, sulle dinamiche di coppia, sul loro bisogno d amore, a nominare la complicità femminile che ha permesso al dominio maschile di durare così a lungo, a pretendere un cambiamento delle leggi, a capovolgere i luoghi comuni dominanti, a porre al centro del dibattito pubblico e all attenzione delle istituzioni il problema. La violenza: questione maschile Finalmente nel 2005 un quotidiano politico di sinistra Liberazione titolava in prima pagina: Perché gli uomini uccidono le donne? Si spostava finalmente l attenzione sugli autori dei crimini. Mi ero sempre chiesta come mai i giornali, pur dando, soprattutto d estate, quando le notizie di politica languono, grande spazio agli episodi di violenza contro le donne non avessero mai sottolineato il fatto che a commetterli erano uomini. Trovare una soluzione esige infatti una corretta nominazione/esposizione del problema e che ci sia chi se ne faccia carico. Quando a scuola affrontavo il problema della violenza a partire dalla sofferenza della vittima, tranne rare eccezioni in cui venivano fuori le consuete obiezioni, volte a colpevolizzare la vittima, tutti/e gli alunni/e convenivano con la mia indignazione. Appena spostavo l attenzione sul perché della violenza maschile, rivolgendomi direttamente ai ragazzi, apriti cielo, iniziava una discussione animata e conflittuale, ma sicuramente più feconda dello sterile assenso formale. Chiaramente non colpevolizzavo i ragazzi ma cercavo di fare capire la forza della cultura e del simbolico sul nostro modo di essere e di agire. Più il silenzio maschile si fa assordante rispetto alla gravità del fenomeno, sottolineo non solo per i numeri ma anche per le modalità e i contesti, più diviene evidente che si tratta di una questione maschile. Gli uomini tendono a rimuovere, spostare fuori da sé le responsabilità, prendere le distanze dagli autori dei crimini, mostri incapaci di controllare le loro pulsioni!! Dovrebbero invece, come hanno fatto le donne grazie al femminismo, interrogarsi sulla loro identità e sulla loro sessualità, su valori e comportamenti che passano ancora per naturali, su come si costruisce la mascolinità, affrontare il nodo del rapporto con il desiderio e il potere, mettere in discussione l idea di virilità ereditata dal passato. Scrive Lea Melandri: Quella che va interrogata è la normalità, o quella che abbiamo considerata

3 tale. La violenza va indagata dove non vorremmo trovarla: nei rapporti di coppia, nella vita intima, negli interni delle famiglie, in quegli aspetti inquietanti che la vedono confondersi con l amore. Come diceva Mariella Pasinati, la violenza è indizio non del patriarcato ma della sua crisi. In un appello del 2006, scritto da un gruppo di uomini dell associazione Maschileplurale, leggiamo: Forse il tramonto delle vecchie relazioni tra i sessi basate su un indiscussa supremazia maschile provoca una crisi e uno spaesamento negli uomini che richiedono una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, una ricerca approfondita sulle dinamiche della propria sessualità e sulla natura delle relazioni con le donne e con gli altri uomini Oggi attraversiamo una fase contraddittoria, in cui sembra manifestarsi una larga e violenta reazione contraria al mutamento prodotto dalla rivoluzione femminile. La violenza fisica contro le donne può essere interpretata in termini di continuità..ma anche in termini di novità, come una risposta nel quotidiano alle mutate relazioni tra i sessi. E una questione maschile perché sono gli uomini che si sono autorizzati alla violenza contro le donne, arrivando a teorizzarne la necessità e persino il gradimento da parte femminile (Ovidio -Machiavelli ). Dal mito alla letteratura contemporanea troviamo tracce vistose di quella che definisco la guerra non dichiarata che gli uomini hanno condotto contro le donne, anche autori e intellettuali sensibili, coraggiosi, innovativi. Per ritornare alla scuola, è incredibile come a tutt oggi nei libri di testo di fronte a scritti misogini, non ci sia alcuna notazione critica che ne mostri l inconsistenza o almeno li contestualizzi, spiegandone la genesi all interno della società patriarcale. Questione maschile perché sono vergognose, ad genus : uomini quelli che hanno scritto leggi Ius corrigendi in vigore fino al 1963: dava al marito il diritto di picchiare la moglie rea di aver commesso qualche errore, a suo insindacabile giudizio. Delitto d onore in vigore fino al 1981: l uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella nello stato d ira determinato dall offesa recata all onore suo e della sua famiglia aveva diritto alle attenuanti e a una pena limitata da tre a sette anni. Al contrario la donna che uccideva il marito in circostanze analoghe era condannata all ergastolo. Matrimonio riparatore in vigore fino al 1981

4 Fino al 1996 la violenza sessuale era un reato contro la morale e non contro la persona. Questione maschile perché sono gli uomini che hanno posto limiti e divieti di ogni tipo alle donne, negando loro lo statuto di persona, escludendole dalla cittadinanza, usando anche la ghigliottina. (rivoluzione francese) Questione maschile perché rimettere in discussione l ordine esistente non è solo interesse delle donne ma anche degli uomini. Potrebbero essere finalmente visibili a se stessi e guadagnarne in libertà e umanità. Quali costi comporta per l uomo costruirsi quella maschera di forza, sicurezza e dominio che gli ha valso il riconoscimento e la stima da parte dei suoi simili? Scrive Sandro Bellassai in un articolo del 2001: Un primo paradosso è quello di trovarsi di fronte a qualcosa che è,..,allo stesso tempo onnipresente ed invisibile. Onnipresente, perché ha da sempre costruito a propria immagine e somiglianza circuiti economici, dinamiche di potere, sistemi di significati e persino rappresentazioni delle divinità; invisibile, perché l uomo, parlando a nome dell umanità e attribuendosi lo scettro del potere per diritto naturale, ha occultato la propria parzialità, la propria specificità in quanto maschio., rendendosi così, in un certo senso, invisibile a se stesso. Gli uomini debbono abbandonare l idea di essere l umano perfetto, l universale e rileggere la propria storia come il prodotto di un genere che ha avuto privilegi ma anche mutilazioni profonde della sua libertà e del suo piacere. La violenza sulle donne: questione maschile questione femminile Ho insistito sulla questione maschile perché ancora nel discorso corrente viene invece considerata una questione che interessa le donne, di cui sono, quindi, loro a doversene fare carico. Occorre operare una forzatura per fare comprendere che la rivoluzione culturale e simbolica necessaria per sconfiggere la violenza deve vedere impegnati uomini e donne. Attiene infatti alla costruzione dei generi e alle modalità del loro rapporto, a come si è strutturato in millenni di cultura patriarcale C è difficoltà a leggere e nominare ciò che è sotto agli occhi: la violenza è fatta-compiuta prevalentemente da uomini anche quando la vittima non è una donna ma un bambino/a o un altro uomo. Imparare a leggere- riconoscerenominare la violenza maschile è un buon inizio per contrastarla.

5 La scuola può insegnare la libertà come antidoto alla violenza La libertà esige in chi la insegna: consapevolezza di sé e responsabilità. Per contrastare la violenza sulle donne non basta quindi che un/a docente acquisisca nuove conoscenze, nuovi contenuti, nuovi strumenti se tutto ciò non si traduce in capacità/necessità di: - leggere dentro di sé per scoprire/portare fuori le complicità con il patriarcato, - rivedere la propria pratica pedagogica, a partire dalla consapevolezza di avere dinanzi soggetti sessuati, - assumere una posizione critica che mostri il falso universalismo del pensiero maschile, offrire esempi di grandezza femminile, riportando alla luce le donne cancellate dalla tradizione culturale maschile, reinterpretando la loro vita e la loro opera sulla base degli studi femministi e collocandole all interno di una genealogia femminile. L uomo nel dire/definire la realtà si è preteso universale, mente senza corpo, assegnando alle donne-corpo una parte, quella di rispecchiare i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue paure. Se la scuola continua a trasmettere, senza alcuna notazione critica, alcuno spostamento, la cultura data, se non c è attenzione alla differenza e magari si consente, senza rendersene conto, ai maschi un comportamento peggiore ritenendolo naturale e si incoraggia di contro passività e pazienza nelle ragazze, perché allora meravigliarci della violenza contro le donne? La violenza maschile ci parla della incertezza-resistenza degli uomini a riconoscersi nella parzialità di genere, dopo avere acquisito nel processo di crescita e formazione lo statuto della propria centralità e universalità. Non sanno, hanno paura a confrontarsi con l altra che non gli riconosce più alcuna supremazia e non è più disponibile al silenzio. Ma ci parla anche di una persistente difficoltà femminile a riconoscere e sottrarsi in tempo a situazioni di disagio e violenza. La scuola è il luogo, dopo la famiglia, dove le/i ragazze/i trascorrono la maggior parte del loro tempo in un confronto continuo tra generi e generazioni, un luogo quindi dove esercitare il dubbio, la ricerca fuori dai conformismi e imparare che può esserci una relazione uomo-donna, civile e rispettosa della differenza, senza pretese di dominio e di riduzione dell altra/o a sé. Gli studi sulle relazioni informali rilevano la dominanza dei maschi riguardo allo spazio scolastico che occupano, al tempo dell insegnante che esigono e all influenza che esercitano sui coetanei. Queste interazioni informali costituiscono l aspetto più influente della loro socializzazione, momento fondamentale di convalida o messa in discussione di ciò che significa essere maschio o femmina nella società. Se questo aspetto della cultura scolastica, che viene chiamato curriculum nascosto, rimane invariato è probabile che non cambi niente. Le

6 insegnanti debbono quindi lavorare su se stesse per evitare di cadere negli stessi stereotipi che vorrebbero correggere e fare attenzione ai comportamenti e alle relazioni che si stabiliscono all interno del gruppo classe perché ciascuno, ciascuna esprima il meglio di sé senza ritrosie né prevaricazioni. Di tutto questo c è bisogno non certo di nuove materie da aggiungere. Sono, quindi, contraria alla proposta di introdurre nella scuole l Educazione sentimentale e sessuale. Ma questo è un altro discorso. Ciò che fa problema non è la parità ma la differenza. Se ci limitassimo ad includere le donne nella cultura data, ad aggiungere qualche contenuto o progetto di genere, finiremmo paradossalmente con il confermare-rafforzare l ordine/disordine esistente. Dobbiamo lavorare su noi stessi/e e rivisitare criticamente tutto il patrimonio culturale alla luce della differenza, del fatto cioè, apparentemente ovvio, che il mondo è abitato da uomini e donne. Patrimonio di cui non si mettono in discussione grandezza e utilità ma universalità e oggettività, a partire dallo statuto delle stesse discipline. Proviamo a ribaltare alcune questioni. Il fatto che le giovani donne si iscrivono meno degli uomini nelle facoltà scientifiche è da intendersi come un problema, una difficoltà femminile da superare o una spia di qualcosa che non va nella scienza e nella ricerca? Lo stesso può dirsi con la storia. Jane Austen nel romanzo L abbazia di Northanger afferma Quanto alla storia vera e propria, la storia seria e solenne,non riesco a trovarla interessante, ad ogni pagina litigi di papi e imperatori, guerre e pestilenze..le donne praticamente non ci sono mai: è una noia terribile. Non si tratta anche qui di aggiungere ma di ripensare: che cos è storia? Come si fa storia? Il femminismo ha, infatti, molto lavorato sulla storiografia ma più in generale sull epistemologia. Una piena cittadinanza femminile esige,quindi, un ripensamento e un cambiamento profondo del mondo a partire dal riconoscimento della differenza. Solo uno statuto di piena cittadinanza può davvero contrastare la violenza sulle donne. Non sono sufficienti quindi diritti, leggi e competenze.

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