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1 Articolo pubblicato su FiscoOggi ( Giurisprudenza Reddito d impresa lavoro dipendente mascherato da semplice 23 Febbraio 2012 E legittimo, quindi, da parte dell ufficio, procedere induttivamente alla ricostruzione dell imponibile Irpef e dei valori e dei ricavi rilevanti ai fini dell'irap e dell'iva Se non ci sono Cud e modello 770, presumibilmente, mancano anche sostituto d imposta e dipendente e, se il contribuente porta argomentazioni fumose per dimostrare che il suo reddito non deriva da attività individuale, è corretto ricalcolare la sua posizione fiscale con i criteri del reddito d impresa. Con la recente sentenza 5/1/12 del , la Commissione tributaria regionale della Toscana ha respinto l appello principale del contribuente, accogliendo invece l appello incidentale dell ufficio e condannando anche l appellante principale al pagamento delle spese di giudizio. Il fatto Dal sistema informativo dell Anagrafe tributaria era risultato che il contribuente non aveva presentato Unico 2006 per il periodo d imposta 2005 né era inserito nei quadri 770 di alcun soggetto dichiarante. Da un controllo effettuato nei confronti di una Srl emergeva però che lo stesso, per tutto il 2005, aveva svolto assistenza tecnica, per conto di un altra società, nei confronti della Srl oggetto di controllo e a fronte di tale attività aveva ricevuto assegni per l incasso delle proprie spettanze. Per il periodo d imposta 2004, presentava, d altro canto, il modello di dichiarazione 730, compilando il quadro C relativo ai redditi di lavoro dipendente e assimilati, pur non essendo presente in alcun quadro dei modelli 770 di altro dichiarante, come percipiente. Fino al 2003, invece, il soggetto economico da cui percepiva i compensi per attività di lavoro 1 di 5
2 dipendente era rappresentato dalla società per conto della quale poi, anche nel 2005, aveva svolto le citate attività di assistenza tecnica. Tale ditta, tuttavia, era formalmente in fallimento dal 2006 e di fatto inattiva già dalla fine del 2004, avendo tutti i dipendenti sciolto il proprio rapporto di lavoro ed essendosi insinuati nel passivo fallimentare. I compensi ricevuti per il periodo 2005 dal contribuente venivano quindi considerati come contropartita di prestazioni di soggetto esercente in proprio attività d impresa, così come qualificata dall articolo 4 del Dpr 633/1972. Tale conclusione veniva del resto anche confermata dal fatto che lo stesso aveva poi anche ufficialmente iniziato un attività come ditta individuale e aperto una partita Iva, con decorrenza 16/1/2006. Il nuovo corso lavorativo, però, ad avviso dell ufficio, era in realtà già cominciato nel 2005; né poteva essere altrimenti, non esistendo più il soggetto di cui il contribuente asseriva invece essere dipendente. L Agenzia delle Entrate aveva, quindi, proceduto alla variazione dei dati relativi all attivazione della partita Iva, a far data dall 1/1/2005. Il ricorrente affermava invece di avere continuato la propria attività di lavoratore dipendente presso la prima società per tutto il periodo d imposta 2005, avendo ufficialmente interrotto il rapporto di lavoro solo il 31 gennaio 2006 e di non essere dunque obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi in quanto percettore di reddito da unico sostituto d imposta. Dall analisi della documentazione prodotta dalla parte era però risultato che: 1. la parte non aveva prodotto alcuna documentazione utile a evidenziare le somme ricevute a titolo di reddito da lavoro dipendente dalla prima società, la quale, tra l altro, non aveva presentato alcun modello 770, per cui dall Anagrafe tributaria non risultavano né redditi percepiti dal medesimo contribuente, né ovviamente ritenute versate 2. il contribuente ammetteva di non avere ricevuto dall ex datore di lavoro, oltre al Cud 2006 (redditi 2005), neanche i fogli paga del 2005 e del gennaio 2006,e quindi di non essere in grado di dare alcuna valenza probatoria a quanto affermato a proposito del percepimento di compensi di lavoro dipendente 3. i mezzi di pagamento per le attività prestate nel 2005 evidenziavano anzi come i pagamenti effettuati per servizi di consulenza fossero stati effettuati dalla società destinataria degli stessi servizi direttamente al contribuente. 2 di 5
3 Era quindi del tutto evidente come non fosse possibile riconoscere l esistenza di un effettivo (e non solo formale) rapporto di lavoro dipendente da parte del contribuente e come invece fosse evidente che, già nel corso del 2005, svolgesse attività d impresa, in continuazione con l attività svolta in precedenza da dipendente. Nonostante tutto ciò, la Ctp di Firenze accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente e statuiva che il lavoro da lui svolto nel 2005 non era un attività di impresa, essendo egli ancora dipendente dell azienda fallita. Il contribuente, poi, presentava anche appello principale contro la sentenza di primo grado, con cui, oltre alla decurtazione dell Iva e dell Irap, operata dalla Ctp per la (erroneamente) asserita natura di lavoro dipendente svolta dallo stesso contribuente, pretendeva anche che si dichiarasse la infondatezza dell avviso dell ufficio in ordine alle imposte dirette, non dichiarate e non versate, ma per le quali, a dire dello stesso appellante, data la sua posizione di sostituito, egli non sarebbe stato responsabile, potendo rispondere il sostituito soltanto per le ritenute a titolo di imposta e non invece di quelle a titolo di acconto per il cui mancato versamento doveva rispondere solo la società fallita, in qualità di sostituto. Tali argomentazioni, però, secondo l ufficio erano errate sia in fatto che in diritto. In fatto, in quanto, come detto, non si trattava di rapporto di lavoro dipendente, ma di reddito percepito nello svolgimento di attività di impresa. E in diritto, in quanto, anche a voler seguire la (errata) tesi del contribuente, secondo cui si trattava di ritenute su rapporto di lavoro dipendente, non era vero che il sostituito non deve rispondere delle ritenute a titolo di acconto non versate dal sostituto, dovendo semmai rispondere solo per il mancato versamento delle ritenute a titolo di imposta, essendo invece vero esattamente il contrario. Il Titolo III, articoli 23 e 30, del Dpr 600/73, intitolato "Ritenute alla fonte", infatti, disciplina diverse fattispecie in cui opera l'istituto della sostituzione tributaria, distinguendo ritenute a titolo d'acconto, comunemente dette "improprie", e quelle a titolo d'imposta, o "proprie". Nella sostituzione "propria" il sostituto subentra totalmente nella posizione del sostituito, trasformandosi nell'unico debitore verso il Fisco dell'imposta dovuta e il suo adempimento estingue l'intera obbligazione. In questo caso, al contribuente sostituito, non vengono richiesti obblighi di collaborazione attiva nell'attuazione del prelievo poiché la ritenuta effettuata dal sostituito costituisce adempimento integrale del tributo dovuto sulla specifica manifestazione di capacità contributiva. 3 di 5
4 Nella sostituzione "impropria", invece, il sostituto effettua una ritenuta d'acconto sui redditi che eroga a favore del sostituito; il versamento effettuato dal primo non estingue quindi il debito tributario del secondo, ma costituisce acconto sull'imposta complessivamente dovuta dal sostituito sul totale dei redditi da questi percepiti nell'anno di riferimento. La Suprema corte, del resto, con la sentenza 14033/2006, ha a tal proposito chiaramente stabilito che "il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione) obbligato solidale (insieme al sostituto) al pagamento dell'imposta ". Pertanto, se il sostituto effettua la ritenuta, ma non la versa, l'ufficio può disconoscere lo scomputo della ritenuta effettuata dal percipiente in dichiarazione e recuperare, in capo al sostituito, l'importo della ritenuta non versata. Secondo la Cassazione, infatti, il contribuente che abbia percepito un compenso sottoposto a ritenuta d'acconto resta debitore principale dell'obbligazione tributaria e perciò, ove il sostituto non abbia provveduto a versare all'erario quanto trattenuto, il Fisco può ben rivolgersi direttamente al contribuente per ottenere le somme dovute a titolo di imposta; il sostituito, dal canto suo, dovrà poi rivolgersi direttamente al sostituto per ottenere la loro restituzione. A parte ciò, comunque, il punto focale restava che, nel caso di specie, non di attività da lavoro dipendente si trattava, ma di vera e propria attività d impresa. In conclusione, l ufficio era del tutto legittimato a determinare il reddito d impresa del contribuente, calcolando induttivamente l ammontare imponibile complessivo e l aliquota applicabile ai fini dell Iva e ricostruendo la complessiva posizione fiscale del contribuente. Sulla base, quindi, degli elementi in suo possesso, l ufficio aveva proceduto ad accertare il reddito di impresa (da assoggettare a Irpef, addizionale regionale, addizionale comunale e contributi previdenziali), il valore della produzione netta da assoggettare a Irap e il volume d affari ai fini Iva del contribuente, determinandone l entità, con l applicazione di presunzione semplice ai sensi dei citati articoli 41 del Dpr 600/1973 e 55 del Dpr 633/1972. La sentenza La legittimità di tale ricostruzione, come detto, è stata riconosciuta dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale, con la sentenza sopra citata, non solo ha respinto l appello principale del contribuente, ma ha anche accolto l appello incidentale dell ufficio, affermando che di fronte al dato obiettivo che il datore di lavoro non ha fornito il CUD per il 2005 e presentato il modello 770, che fanno presumere che l appellante per l esercizio 2005 non era dipendente della società vi sono delle argomentazioni fumose ed inattendibili da parte del ricorrente, la più eclatante delle quali è il modo del tutto anomalo ed irregolare con cui avrebbe percepito il corrispettivo per il lavoro svolto. Secondo la Ctr, pertanto, vi era in atti la prova che la società avesse cessato ogni attività nel di 5
5 e che il lavoro svolto dal contribuente oggetto di accertamento non era di dipendente della società, ma di imprenditore individuale. Anzi, il fatto che i pagamenti, secondo la tesi difensiva del contribuente, venissero effettuati direttamente da parte dell amministratore della società tramite girata di assegni di importo variabile, emessi a favore della società al di fuori dei canali normali della contabilità aziendale, in un periodo prefallimentare era semmai un ulteriore elemento presuntivo grave, preciso e concordante che conferma la pretesa fatta valere dall Ufficio. La pretesa dell Ufficio pertanto dovrà essere confermata perché è provata l omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva, per cui l Ufficio era legittimato sia a determinare il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti, avvalendosi anche delle presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell art. 38, sia a determinare induttivamente il volume d affari e l imposta. Sulla questione delle ritenute, infine, i giudici di secondo grado affermano che in ogni caso il contribuente che abbia percepito un compenso, sottoposto a trattenuta d acconto, resta debitore principale dell obbligazione tributaria e perciò, ove il sostituto non abbia provveduto a versare all Erario quanto trattenuto, il Fisco può ben rivolgersi direttamente a lui per ottenere le somme dovute a titolo di imposta. La Commissione condannava quindi il contribuente anche al pagamento delle spese di giudizio per più di 8mila euro. di Giovambattista Palumbo URL: 5 di 5
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