Appunti per la Didattica della Logica Matematica

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1 Sommario Introduzione...1 Capitolo 1 Linguaggio naturale e linguaggio matematico. Ambiguità e precisazioni. Necessità dei linguaggi formali...3 Capitolo 2 Aspetti morfologici del calcolo delle proposizioni...15 Capitolo 3 Aspetti semantici del calcolo delle proposizioni. Cenno alle Algebre di Boole Capitolo 4 Sintassi del calcolo proposizionale. Avvio alla dimostrazione...36 Capitolo 5 Insufficienze del calcolo delle proposizioni...75 Capitolo 6 Aspetti morfologici del calcolo dei predicati...83 Capitolo 7 Aspetti semantici del calcolo dei predicati Capitolo 8 Alcuni problemi didattici della Logica applicata all'algebra elementare Capitolo 9 Aspetti sintattici del calcolo dei predicati Capitolo 10 Cenno alla teoria degli insiemi ed ai principi non costruttivi Capitolo 11 Definizioni e teoremi dal punto di vista didattico Indice...204

2 SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L'INSEGNAMENTO SECONDARIO REGIONE EMILIA - ROMAGNA SEZIONE DI MODENA Appunti per la Didattica della Logica Matematica Carlo Marchini * * Dipartimento di Matematica della Università di Parma - Strada D'Azeglio 85/A Parma. Tel. 0521/032316, Fax 0521/ carlo.marchini@unipr.it.

3 Introduzione. A differenza di quanto avveniva nel passato, il tema Logica è esplicito in ogni ordine scolastico e spinge il docente a dover progettare un percorso didattico specifico, cosa avverrà nelle varie proposte di riforma dei cicli è per il momento troppo difficile da ipotizzare. L'insegnamento della Logica però, almeno al momento attuale non pare soddisfacente, anzi sembra del tutto trascurato l'apporto che la Logica può portare all'insegnamento. Un problema che pian piano si sta risolvendo è quello della carenza di una pubblicistica didattica sull'argomento, carenza dovuta sostanzialmente alla mancanza di tradizione didattica. Uno strumento per colmare la lacuna evidenziata è la pubblicazione degli atti del corso di Lecce: Ciarrapico L., Mundici D. (a cura di): 1995, L'insegnamento della Logica, Ministero della Pubblica Istruzione - A.I.L.A., testo, per altro, quasi introvabile. La letteratura didattica italiana e straniera spesso privilegia temi specifici: ad esempio la comprensione dell'implicazione, l'analisi della dimostrazione, spesso esemplificata solo in Geometria. Manca una visione globale del problema sui contenuti, sui metodi sui tempi e soprattutto sul problema della valutazione. I futuri insegnanti non sempre provengono da corsi di laurea in Matematica e anche quelli che hanno la laurea in tale disciplina non sempre hanno seguito corsi specifici di Logica matematica. Se anche hanno approfondito l'argomento durante gli studi universitari, raramente il problema della trasposizione didattica è stato affrontato e spesso sono a disagio nell'affrontarla poi in classe. Un motivo potrebbe essere il fatto che i testi universitari oggi presenti sul mercato si rivolgono a studenti di Matematica, Informatica o Filosofia (anche di Linguistica) con intenti di ricerca scientifica non adeguati alle necessità didattiche della scuola. Essi trattano sempre la Logica come oggetto di studio. Anche nei manuali scolastici più diffusi la Logica è presentata spesso solo come oggetto, nei suoi aspetti più (o troppo) elementari. La collocazione stessa in capitoli separati, in genere all'inizio o al termine del testo, con pochi esercizi, è sintomo dell'isolamento culturale. Il rischio che si corre oggi è che si ripeta l'esperienza della insiemistica, argomento un tempo enfatizzato ed incompreso, con detrattori e sostenitori troppo convinti. Questo testo vuole dunque colmare una lacuna, non di preparazione specifica, ma di presentazione degli aspetti didattici. Il lettore interessato ad approfondire l'argomento sul versante tecnico e scientifico deve consultare i vari manuali disponibili. Qui si cerca piuttosto di mostrare le occasioni in cui la Logica matematica è o potrebbe essere presente nella prassi didattica per vederne le valenze strumentali che ne consigliano l'introduzione nella scuola

4 Il testo non è esaustivo, dato che molti altri aspetti potrebbero essere utilmente trattati. In particolare oggi è scarsa l'attenzione al tema della valutazione. D'altra parte, anche nella letteratura italiana ed internazionale, non ho visto finora uno studio approfondito del problema. Eppure la Logica entra spesso nella valutazione delle altre competenze, come mostrano i vari test di ammissione alle Facoltà universitarie a numero chiuso ed anche i test psico-attitudinali utilizzati da industrie, enti pubblici e perfino dalle Forze armate. La carenza di forme consolidate di valutazione rischia di far cadere l'entusiasmo per l'argomento. Il docente infatti che non abbia strumento per comprendere quanto sia stato accettato dalla scolaresca non è a suo agio nel vagliare le attività svolte in classe. In questo la Logica si accomuna ad ogni altro tema innovativo, proprio per la mancanza di una tradizione paragonabile a quella dell'algebra o della Analisi o anche della Geometria. Per ovviare a questa carenza qui si presenta una proposta relativa alla valutazione, che però finora non ha ottenuto una validazione sperimentale. La parte del testo più vicina al trattamento consueto di un testo universitario è quella relativa agli aspetti sintattici. Il motivo è che essi sono da sempre presenti nella trattazione della Matematica lungo le linee ipotetico-deduttive. Spesso i manuali scolastici accennano ad essi, ma l'argomento viene presto eluso. Qui si tratta, con una certa ampiezza, questo lato della Logica per offrire al docente uno strumento di lettura delle difficoltà spesso nascoste e che rendono assai problematico l'approccio alla dimostrazione. Anche il sistema deduttivo utilizzato non è dei più consueti, ma, come mostrano numerosi esempi, è ben radicato nella pratica matematica

5 Capitolo 1: Linguaggio naturale e linguaggio matematico. Ambiguità e precisazioni. Necessità dei linguaggi formali. L'abitudine all'insegnamento ed all'apprendimento della Matematica fa forse dimenticare che la maggior parte dei discorsi "matematici" si svolge in un linguaggio diverso da quello naturale 1, anche se variamente interconnesso con esso. I codici e le attese che vengono veicolati attraverso il linguaggio sono differenti. In particolare in Matematica si usano molti termini presi dalla lingua naturale, ma usati con significato assai diverso. Ad esempio anello in Matematica e nella vita comune identifica concetti assai dissimili. Altre (poche) volte frasi matematiche, originatesi nella vita quotidiana, ritornano nel linguaggio comune con significati diversi: ad es. al limite, ecc. Questo doppio binario, ben analizzato nella tesi di C. Laborde, è causa di difficoltà di apprendimento: una didattica accorta deve tenere presente il fatto. L'insegnante oltre a trasmettere conoscenza dei contenuti, viene ad esprimersi con un codice, ormai connaturato, diverso da quello dei discenti. La situazione si ripete anche sui testi. Ci si accorge in modo conclamato di queste ambiguità di interpretazione quando i vari codici linguistici entrano in conflitto tra loro. Alcuni esempi permetteranno di capire ciò che si intende. 1) Le dimostrazioni per assurdo. Un esempio semplice: se con A B si denota l'inclusione stretta, vale a dire la relazione di inclusione tra insiemi diversi, cioè A B sta per A B e A B, si prova la proprietà transitiva dell'inclusione stretta: se A B e B C, allora A C. Una dimostrazione che di solito viene presentata sfrutta la proprietà transitiva dell'inclusione, ma in base ad essa non si può escludere che A = C. E' necessario allora provare A C e ciò viene fatto, di solito, per assurdo, assumendo l'ipotesi A = C. Nel linguaggio quotidiano un procedimento di questo tipo non ha molto senso. Se il linguaggio descrive fatti, che senso ha assumere un fatto contrario alla realtà? La stessa obiezione può essere mossa a questa, come a tutte le dimostrazioni per assurdo. Se ci si pone in un'ottica di sapore platonista, si dovrebbe assumere la posizione che la matematica 1 Cosa sia il liguaggio naturale è un bel problema su cui stanno dibattendo da sempre e pure tuttora i filosofi del linguaggio. Personalmente sono abbastanza scettico sulla sua "esistenza", ritenendo che si tratti piuttosto di una "concatenazione" di linguaggi specifici che ciascuno di noi ha appreso a parlare ed usa diversamente in situazioni diverse. Si rimanda a Marchini C.: 1989, 'Log i ca p roposizionale nella scuola', MD, III, n. 2, 28-37, e Marchini C.: 1989, 'Asp etti didattici del calcolo dei predicati', MD, III, n. 3, 23-35, dai quali traggo numerosi esempi in queste lezioni

6 esista nel mondo delle idee e tutti i ragionamenti servano solo a descrivere tale tipo di realtà, quindi che senso avrebbe fare ipotesi che contraddicano la realtà delle idee? 2) L'implicazione matematica (materiale) e l'implicazione del linguaggio comune. Nel linguaggio comune il nesso se allora ha connotati assai diversi dall'uso del connettivo in matematica. Le frasi ipotetiche che vengono introdotte con queste particelle spesso, se non sempre, vengono a risentire del concetto di causalità. L'antecedente, la frase che segue immediatamente se, si presenta con il congiuntivo imperfetto, e precede allora è intuita come la causa di cui il conseguente, la frase che segue allora è l'effetto e viene espressa con un condizionale. Però spesso le stesse particelle vengono utilizzate per la presentazioni di frasi causali e stavolta con l'uso dell'indicativo sia nell'antecedente sia nel conseguente. Anche qui qualche esempio non guasta. Si analizzino in modo intuitivo le frasi se metti le dita nella presa di corrente, (allora) prendi la scossa, se tu mettessi le dita nella presa della corrente, (allora) prenderesti la scossa non mettere le dita nella presa di corrente, o (altrimenti) prendi la scossa. A parte una diversa presentazione verbale dovuta alle particolarità linguistiche, esse suonano come avvertimenti dello stesso tipo. Nella prima frase è più esplicitata la relazione di causa ed effetto, la seconda traduce di più l'aspetto ipotetico. La terza sembra equivalente alle due, ma osservando bene non è chiaro quale delle due traduca. Ciò mostra che il nesso di causalità, almeno nel linguaggio comune può essere espresso in vari modi. Le frasi se Parigi fosse a 2500 m. sul livello del mare, allora Cristoforo Colombo avrebbe scoperto l'america se 0 = 1, allora G. Agnelli sarebbe il papa verrebbe voglia di considerarle insensate, ma se all'implicazione si attribuisce il significato usato in Matematica, quello dell'implicazione materiale 1, esse sono da ritenere vere. Ciò perché viene considerato l'aspetto estensionale del connettivo e non quello intensionale. Il giudizio di insensatezza, per esempio per la frase che parla di Parigi, è basato sul fatto che non si comprende come una "causa" di natura orografica possa aver provocato un effetto nel passato ed anche perché non è manifesto il rapporto di causa ed effetto 2. Nel secondo poi il simbolo "=" viene letto come un predicato nominale che dovrebbe essere coniugato 1 Cioè quello che viene "codificato" dalle consuete tavole di verità del connettivo di implicazione. 2 A riprova delle perplessità che suscita la scelta della tavola di verità del connettivo di implicazione, si pensi che proprio per migliorare l'adeguatezza della simbolizzazione al linguaggio naturale è nata una parte della Logica formale nota col nome di Logica modale. Per un approfondimento del problema si possono consultare D.C. Makinson D.C.: 1979, Temi fondamentali della Logica moderna, Boringhieri, Torino, in particolare il II cap., e Speranza F.: 1984, 'Logica',voce della Enciclopedia delle Scienze, de Agostini, Novara, fasc

7 opportunamente, per rendere l'aspetto ipotetico. Ma esempi del genere non hanno pregio didattico, anche se qualche volta possono essere presentati a bella posta per suscitare il riso negli allievi. Il discorso si sposta allora sulle convenzioni che si possono assumere in Matematica e che risultano estranee al linguaggio comune. Tuttavia questo tipo di interpretazione del connettivo di implicazione, detta anche implicazione filoniana, è nota dai tempi di Filone di Megara (IV sec a.c.), in opposizione alla implicazione diodorea, così detta perché proposta dal maestro di Filone, Diodoro Crono (IV. sec. a.c.), in base alla quale la verità dell'implicazione è subordinata al fatto che in ogni tempo non sia possibile che la verità dell'antecedente coesista con la falsità del conseguente. Un serrato confronto tra questi due tipi di implicazione fu condotto da C.S. Peirce ( ). Egli concluse che per gli aspetti "elementari" della Logica era più conveniente accettare l'implicazione materiale. E' poi assai interessante comprendere le interrelazioni tra il connettivo di implicazione e il condizionamento che interviene nel calcolo delle probabilità 1. Tuttavia in certe occasioni l'"intuizione" può giocare brutti scherzi. E' necessario allora ricondurre il ragionamento nelle sue forme schematizzate proprio dalla logica. Si presenta un esempio 2 che simula, in modo semplificato, il procedere del ricercatore di fronte a fenomeni complessi. Nello studio di un fenomeno avviene di formulare delle ipotesi che devono poi essere controllate nella loro veridicità o meno. Questo tipo di situazione si può presentare anche a scuola in modo proficuo. Si considerino le quattro carte tratte da un mazzo per il gioco della Scala 40: Nel disegno, con toni diversi di grigio si sono voluti indicare colori del verso distinti, ad esempio blu e rosso. Si può pensare, per rendere la cosa più attinente a situazioni reali, che invece di carte ci siano i dati di certe esperienze in condizioni sperimentali diverse. Assumiamo una ipotesi (di lavoro) che 1 Secondo la presentazione classica il problema non si pone, avendosi il concetto di probabilità condizionata. Ma nella presentazione soggettivista si introduce il concetto di evento condizionato e questo è fortemente connesso con la causalità e con l'implicazione, anche se i rapporti sono tuttora poco chiari. 2 L'esempio che segue è modificazione di uno presentato da Johnson-Laird P.N., Wason P.C: 1977, 'A theoretical analysis of insight into a reasoning task', Johnson-Laird P.N, Wason P.C. eds.: Thinking: Readings in cognitive science,

8 se la carta avesse il verso rosso, allora (la carta) sarebbe pari. Si tratta, ora, di provare o confutare questa ipotesi ed il problema è di determinare il minimo numero di carte da voltare, e quali, per ottenere la verifica dell'ipotesi detta. In questo compito ci sono d'aiuto le tavole di verità. Per semplicità scriviamo l'ipotesi nella forma r p, dove r stia per "la carta ha il verso rosso ", mentre p stia per la proposizione "la carta è pari ". Analizzando ciascun caso per vedere se la proposizione composta r p sia vera oppure falsa, con la tavola di verità del connettivo di implicazione materiale (per le tavole di verità complete si veda dopo), si ha r p r p Quando la carta è blu, caso B, si ottiene dalle tavole di verità che la proposizione composta è vera, in quanto è falsa la protasi r, dunque non interessa sapere il valore della carta col verso blu. Questo è il caso contemplato nelle prime due righe della tabella dell'implicazione. Nel caso della carta col verso rosso, R, l'antecedente è vera, dunque si devono a- nalizzare le ultime due righe della tabella della implicazione. Affinché sia vera la proposizione composta r p è necessario che sia vera anche l'apodosi p, cioè che si tratta della quarta riga della tabella. Bisogna dunque voltare la carta R, per appurare se l'ipotesi è vera. Nel caso della carta 4, la proposizione conseguente p sarebbe vera, quindi è il caso in cui si considerano la seconda e la quarta riga della citata tabella, dalla quale si conclude la verità della proposizione composta r p, anche se la proposizione r fosse falsa. Perciò non ci serve conoscere il verso della carta 4, al fine di verificare l'ipotesi. Infine con la carta 5 si considerano le righe prima e terza della tabella. Infatti la proposizione conseguente p è falsa. La proposizione composta risulterebbe vera se e solo se la protasi fosse falsa. Così per concludere la verifica dell'ipotesi, bisogna voltare anche la carta 5. La risposta al problema è che le carte da voltare sono due e sono esattamente R e 5. E' interessante osservare che un'indagine statistica su questo problema ha ricevuto meno del 10% di risposte esatte. Le strategie (scorrette) più spesso seguite indicano la carta R oppure le carte R e 4 quelle da voltare per verificare l'ipotesi. Questa indagine rivela come il caso dell'implicazione sia difficile da comprendere e da far capire agli alunni, ma rivela anche la distanza tra la cosiddetta intuizione ed il linguaggio scientifico. Per provare l'esistenza di una relazione tra due proposizioni del tipo di quella illustrata sopra, la via seguita dal maggior numero degli intervistati è quella di prendere in considerazione solo i - 6 -

9 casi in cui entrambe le proposizioni componenti sono vere, cioè come se si trattasse di una congiunzione. In altri casi gli alunni sono portati a confondere l'implicazione formulata come se, allora con una relazione più affine alla deduzione, espressa da siccome, allora Questo perché lo status dell'implicazione è diverso da quello della congiunzione o disgiunzione. Con l'uso dei connettivi e la proposizione risultante tiene conto in qualche modo delle proposizioni componenti e i tempi verbali permangono invariati, dato che alla congiunzione è associata l'operazione di minimo, mentre a è associata l'operazione di massimo. Un aspetto che distingue la congiunzione e la disgiunzione dall'implicazione è che per quest'ultima non valgono le proprietà "commutativa" ed "associativa" 1 che sussistono per i primi due connettivi, anche se spesso tali proprietà non vengono neppure segnalate, in questo caso l'impossibilità di scambio sarebbe messa in luce dall'uso corretto di congiuntivo e condizionale, mentre con l'indicativo la "tentazione" di scambiare antecedente e conseguente rimane più "forte". Un altro tipo di difficoltà insito nell'implicazione è che la tavola di verità è "poco" naturale, come si è già avuto modo di osservare. Tuttavia, anche se a scapito dell'implicazione c'è una minor naturalezza ed intuitività, l'uso del connettivo evita le confusioni tra le condizioni necessarie e le condizioni sufficienti che abbondano sui libri di testo. La quantità di pubblicazioni apparse sul tema e la sua rilevanza in ambiti quali l'intelligenza artificiale, consigliano di sprecare ancora un poco di tempo per fornire un suggerimento didattico. Invece di presentare "brutalmente" l'implicazione, maggior chiarezza si ottiene leggendo la tavola al negativo: ammesso che la verità dell'implicazione traduca il fatto che tra la protasi e l'apodosi è instaurata una relazione di causalità, essa sarà vera se la sua negazione è falsa; falsa se la negazione sarà vera. Dunque il problema è riconducibile alla negazione dell'implicazione. E quest'ultima come si esprime? Cosa significa negare in modo fattuale che esista una relazione di causalità tra due fenomeni? Sembra chiaro: si manifesta la presunta causa e non il presunto effetto. Ad esempio negare Se si inaugurasse la Fiera di Milano, allora lo stesso giorno pioverebbe a Milano (frase questa o meglio la sua versione "temporale": Quando si inaugura la Fiera di Milano, piove, che i milanesi assicurano vera!), significa che c'è stato (almeno) un giorno in cui è avvenuta l'inaugurazione della Fiera e a Milano non è piovuto 2. 1 A ben guardare tali proprietà non valgono neppure per la congiunzione, nel senso che le proposizioni p q e q p sono distinte, ma hanno gli stessi valori di verità. Ciò non avviene per l'implicazione. Anzi uno degli errori più frequenti è l'inesistente proprietà commutativa dell'implicazione, cioè il ritenere equivalenti le proposizioni p q e q p, mentre sono tra loro equivalenti p q e q p. 2 Si intende meglio che la negazione dell'implicazione r p è equivalente a r p, se si pensa che l'implicazione r p è equivalente a r p. Di qui con le leggi di De Morgan si ottiene quanto detto sopra

10 Dunque per concludere che è vera r p, basta provare che è falsa r p e per provare che è falsa r p, basta provare che è vera r p. Ora costruendo la tavole di r p, si trova esattamente la tavola "contraria" di r p. Ma la tavola di r p è molto più accettabile, per questo è da preferire in via preliminare, al momento di introdurre l'implicazione. C'è tuttavia un delicato problema di natura didattica: una relazione tra i dati dell'esperienza può essere scoperta in due modi: per via positiva, verificando che nei casi in cui ci aspettiamo valga la relazione, essa sussiste, oppure per via negativa, verificando che nei casi in cui non ci aspettiamo valga la relazione, essa non sussiste. Ebbene J.F. Richard 1 mostra che, in generale, le due strategie hanno livelli ben diversi di accettazione a seconda dell'età, comunque il metodo che dà migliori risultati didattici sembra quello positivo. Ma il problema specifico sembra consigliare l'approccio "negativo". Le difficoltà che si avvertono per l'interpretazione del connettivo di implicazione nelle lingue moderna, tra cui l'italiano, dipende dalla scarsa espressività della lingua stessa e la "deriva" verso l'indicativo della lingua parlata. Si pensi ad esempio a cosa accade in Latino, linguaggio forse più duttile e preciso del nostro, in cui si suddivide il periodo ipotetico in tipi e gruppi di oggettività, possibilità, irrealtà nel presente, nel passato e nel futuro, nonché in periodi ipotetici apparenti, retorici (exempla ficta), desiderativi, della protasi necessaria, eccetera 2. Alcuni di questi casi hanno ottenuto attenzione dalla Logica e sono stati adeguatamente codificati, altri sono molto al di là della portata della Logica, almeno di quella classica delle proposizioni. 3) La negazione. Anche la negazione offre problemi. Per i romani antichi due negazioni affermano. Ma se si riflette sul modo in cui la lingua costruisce la frase negativa ci si accorge che ci sono sfumature assai diverse ed importanti. La frase Luigi è una camionista educato. ammette diverse negazioni Non è vero che Luigi è un camionista educato. Luigi non è un camionista educato. Luigi è un camionista non educato. I significati delle tre sono diversi: la prima frase è ambigua, essendo vera quando sono vere sia la seconda che la terza. Ma se Luigi non ha la patente per guidare i camion, pur 1 Richard J.F.: 1987, 'Le vrai et le faux dans les conduites de recherche et de verification', Intellectica, 1 n. 4, Flocchini N., Guidotti Bacci P., Moscio M., 1995, Comprendere e Tradurre, Grammatica descrittiva della lingua latina, Bompiani, Milano - 8 -

11 essendo educato rende vera la seconda ma non la terza. Forse maggiore chiarezza si potrebbe ottenere esplicitando la congiunzione tra camionista e educato, ma questa potrebbe essere una "traduzione" non perfettamente adeguata. La presenza di negazione e quantificazione è ancora più complessa. Dice il proverbio Can che abbaia non morde. Come si fa a negare tale affermazione? Il linguaggio naturale richiede la negazione sull'azione, cioè sul verbo, altrimenti si usa perifrasi quali non è vero che Ma in Logica si può apporre la negazione globalmente su tutta la frase. Il problema è che la lingua offre modi diversi, sulla cui equivalenza è bene soffermarsi. Nella frase scelta con una certa cattiveria, non appaiono evidenti connettivi e quantificatori, ad eccezione della negazione, ma se si cerca di tradurre in "matematichese", ci si accorge che ben presto la frase si deve "gonfiare" per essere adeguatamente riscritta. Allora can diventa per ogni cane; la frase che abbaia diventa un'ipotetica, cioè se esso abbaiasse. Resta invariato il fatto che esso non morda, ma bisogna premettere un allora come conclusione dell'ipotetica. Il ruolo di variabile del nome comune can qui diventa evidente. La frase complessiva che traduce il proverbio diventa per ogni cane, se esso abbaiasse, allora esso non morderebbe. La negazione del proverbio equivale a non è vero che ogni cane, se esso abbaiasse, allora esso non morderebbe. Ed allora è possibile utilizzando leggi che coinvolgono i quantificatori e la negazione, trovare una prima frase equivalente: esiste un cane per cui non è vero che se esso abbaiasse, allora esso non morderebbe; invece di esiste un si può sostituire qualche con opportune modifiche grammaticali nella frase seguente. Ma il problema della negazione è ora solo spostato: come dire meglio non è vero che se esso abbaiasse, allora esso non morderebbe? Una proposta (sbagliata) è quella di spostare il non su abbaia: se non abbaiasse, allora non morderebbe. Altre proposte possono essere elaborate, ma difficilmente si giunge ad abbaia e morde. Qui è "diluita" la presentazione, per giustificare che la negazione di Can che abbaia non morde è equivalente a Qualche cane abbaia e morde. Ancora sulla negazione in connessione con l'implicazione. Le frasi (1) Chi studia è promosso (2) Chi studiasse sarebbe promosso (3) Chi non studia non è promosso (4) Chi non studiasse non sarebbe promosso sono tra loro equivalenti, oppure le seconde due sono la negazione delle prime due? Attenzione, non sono equivalenti. La prima è equivalente a chi non è promosso non studia - 9 -

12 (più correttamente la consecutio temporum vuole non ha studiato), la seconda è chi non fosse promosso non avrebbe studiato. La terza è equivalente a chi è promosso studia (ha studiato); mentre la quarta è equivalente a chi fosse promosso avrebbe studiato. Quindi non c'è tra le frasi proposte equivalenza. Le negazioni delle prime due frasi e delle seconde due sono equivalenti, rispettivamente, a (5) Qualcuno studia e non è promosso (6) Qualcuno non studia ed è promosso che mostrano forse meglio la differente natura delle due frasi. A volte agli esami che non hanno esito favorevole allo studente, egli afferma, «Ma prof, io ho studiato.», come se l'esito negativo fosse una contraddizione per Modus ponens con l'affermazione (implicita) (2). In Matematica spesso le negazioni vengono "inglobate" nei predicati. Tipico esempio è quello dell'eguaglianza: negare che x = y viene fatto in modi diversi a seconda del contesto in cui si pone l'eguaglianza. Ad esempio si usa la parola diverso che ha significato variabili dal contesto: dire che due numeri reali x e y sono diversi lo si afferma in modo positivo scrivendo che x < y oppure y < x. Ma se x e y sono due rette del piano cartesiano il significato di diverso è un altro e non si dispone di una qualche versione positiva del termine. 4) Gli altri connettivi. Per mostrare casi in cui i codici linguistici matematico e naturale sono diversi si sono mostrati esempi "rognosi" con quantificatori ed i connettivi di implicazione e negazione, cioè quelli più problematici. Ma anche i connettivi più "tranquilli" possono offrire occasioni di riflessione. Due frasi che in "matematichese" sarebbero tradotte nello stesso modo, ma che nella lingua dicono cose diverse, sono le seguenti: All'ingresso del cinema si legge : Maria si sposò ed ebbe un figlio Maria ebbe un figlio e si sposò. Si fa lo sconto a donne e militari, certamente non intendendo utilizzare il connettivo di congiunzione, anzi la disgiunzione, altrimenti lo sconto, per il momento, si praticherebbe solo alle soldatesse. Così pure Ho promosso gli studenti che sapevano il Teorema di Talete e quelli che sapevano il Teorema di Pitagora. utilizza una congiunzione che ha significato di disgiunzione inclusiva. Le frasi seguenti possono essere oggetto di riflessioni in classe

13 Luigi e Antonio sono fidanzati Luigi e Maria sono fidanzati. Un altro bell'uso ambiguo della congiunzione è dato dalla seguente frase: Su discreto e continuo Kant mantenne un silenzio continuo e discreto. La disgiunzione poi ha ambiguità di significato: inclusivo oppure esclusivo. In latino si fa differenza tra vel, disgiunzione inclusiva, e aut, disgiunzione esclusiva. In alcune lingue moderne è rimasta tale differenza, in Italiano si è perduta. L'uso matematico è più vicino al vel, da cui mutua il simbolo usato per il connettivo di disgiunzione, anche perché solo il contesto talvolta è in grado di permettere di decidere quale delle due disgiunzioni si tratta. Ad esempio Con 120 punti della raccolta si può ricevere un tostapane o una griglia per bistecche. Il numero naturale n è pari o un multiplo di 3. Nella prima frase è chiaro, a chi conosca il meccanismo della raccolte a punti, che la disgiunzione è usata in senso esclusivo, nel secondo, dato che i numeri naturali hanno le loro proprietà, la congiunzione è da intendersi in senso inclusivo. Una formalizzazione non può tenere conto del fatto che si deve distinguere tra i connettivi, in base a "condizioni al contorno". Oggi compare nel linguaggio giornalistico un nuovo simbolo e/o che, seppure con qualche differenza, intende ricatturare la disgiunzione inclusiva. Alcuni degli esempi precedenti ed altri aspetti assai interessanti sono presentati da C. Bernardi 1. 5) L'importanza assunta oggi dal linguaggio informatico pone un altro delicato problema: nei linguaggi di programmazione ed anche in strutture più (apparentemente) semplici, come i fogli elettronici, compaiono espressioni che ricordano da vicino i connettivi. Le più diffuse sono AND, OR, NOT. Si tratta di funzioni che operano su espressioni numeriche o in cui compaiono stringhe di caratteri, e forniscono valori "booleani". Ad essi si aggiunge il comando usato nei cosiddetti blocchi di controllo, IF... THEN... ELSE. Il 1 Si vedano ad esempio i seguenti lavori: Bernardi C. & Tazza C.: 1990, 'I quantificatori in logica matematica', Didattica delle scienze e informatica nella scuola, XXV, n. 148, Bernardi C.: 1990a, 'L'educazione logica nella Scuola Media', Scuola e Didattica, XXXV, n. 16; Bernardi C.: 1990b, 'Linguaggio naturale e linguaggio logico: parliamo della "e"', Epsilon III, n.2, Bernardi C.: 1991, 'L'insegnamento della Logica', on Dienes Z.P. (ed.) Il Piacere della Matematica, Capelli editore, Bologna, Bernardi C.: 1993, 'La Logica nella Scuola Secondaria', IMSI, vol. 16, n , Bernardi C.: 1995, 'Problemi per la logica (ovvero, la logica per problemi)', IMSI, vol. 17A-B, n. 5, Bernardi C.: 1996, 'Metodo ipotetico-deduttivo', su Ciarrapico L. & Mundici D. (editori), L'insegnamento della Logica, M.P.I.- A.I.L.A.,

14 significato di questi comandi non è paragonabile né ai connettivi della lingua naturale, né a quelli del linguaggio artificiale. E' evidente da quanto detto sopra, e anticipando anche quanto si dirà subito dopo, la necessità di bandire vaghezze, almeno se si vuole fondare il linguaggio usato in Matematica, sulla chiarezza e, cosa assai importante, sulla verificabilità interpersonale delle argomentazioni. La Logica in questo compito può dare una mano, anche se gli strumenti che fino ad oggi la disciplina ha "costruito" sono ancora grossolani se paragonati alla finezza espressiva del linguaggio naturale. L'atteggiamento che la scuola ha sempre avuto, modificato con i nuovi programmi e coi programmi sperimentali, è quello che non ci fosse bisogno di un insegnamento di Logica, perché il linguaggio naturale di per sé ha una ricchezza che comprende anche la nostra materia. Una buona educazione linguistica sarebbe stata strumento sufficiente anche per l'apprendimento della Logica "naturale". In particolare gli studenti avrebbero appreso la Logica usata dalla Matematica per via induttiva, dagli esempi di dimostrazioni. C'è il rischio che l'inserimento dell'argomento nei nuovi programmi venga visto dall'insegnante come strumento di legittimazione delle conoscenze logiche già apprese per via indiretta e quindi eviti una riflessione approfondita, fermandosi ad aspetti superficiali e poco importanti (tavole di verità). Questa parte della Logica come strumento è riduttiva, se si paragona coi risultati culturali della disciplina. I manuali in commercio riservano alla Logica una parte assai marginale, all'inizio o al termine del testo, con poche pagine e pochissimi esercizi, con una trattazione del tutto slegata dal resto, senza utilizzare poi lo strumento. Molti poi non mettono in evidenza aspetti che sono culturalmente fondanti e che hanno applicazioni al di là dell'argomento anche in altri campi. Un primo punto di importanza essenziale: la Logica non è lo strumento universale per trovare le dimostrazioni di teoremi e risultati matematici complessi. La Logica ha la sua utilizzazione, assai differenziata nei vari tipi di scuole. Nella scuola elementare i programmi privilegiano le connessioni tra Logica ed educazione linguistica. Sono in commercio materiali, come il Progetto Elle della Giunti che organizza una complessa attività di apprendimento degli ambiti matematico e linguistico con forti connotati unitari. Nelle scuole superiori essa entra nella precisazione di dimostrazioni e di concetti e ha un interfaccia con discipline filosofiche, per l'importanza storica del ruolo svolto nell'antichità e nella Filosofia della Scienza e del Linguaggio dal secolo XVII ad oggi. In ogni ordine scolastico essa coadiuva l'apprendimento, «avviando via via i giovani a lavorare da sé, a ricer

15 care da sé la scoperta delle verità, anziché porgerne loro la semplice notizia; aiutandosi, ove occorra, con qualche illustrazione storica per chiarire il senso dei problemi e dei metodi.» 1 Bisogna mettere in guardia però che un'eccessiva aspettativa rischia di creare in seguito una crisi di rigetto ingiustificata. Il rapporto tra Logica e Linguaggio è bene espresso da Ferro 2 : «La capacità di costruire nuovi modelli deriva dalla facoltà umana di cogliere situazioni attraverso vari aspetti che possono essere ricombinati e riorganizzati per creare nuove situazioni. Come cogliere, riorganizzare e comunicare i singoli aspetti ed intere nuove situazioni? Ovviamente attraverso il linguaggio.» La tesi dell'autore, come appare anche nel seguito del lavoro è che bisogna mutare atteggiamento ed aspettative: la Logica viene connotata più come lo studio delle potenzialità e dei limiti di un linguaggio formale, piuttosto che come uno strumento che favorisca o permetta l'apprendimento del ragionamento. Parlare quindi di Linguaggio della Logica rischia di essere una sorta di circolo vizioso, ma il rischio va corso perché, come afferma H. Gadamer ( ), «Chi ha il linguaggio ha il mondo». Per meglio chiarire è bene presentare alcune distinzioni fondamentali, da approfondire con esempi nel seguito. Una prima distinzione è tra Logica e Teoria degli Insiemi. Si tratta di campi diversi, fortemente interconnessi, ma distinti, con scopi e metodi diversi. Spesso vengono invece confusi. Ho parlato di Teoria degli Insiemi e non di Insiemistica, termine spesso usato colloquialmente, perché, a sua volta, l'insiemistica è diversa sia dalla Logica che dalla Teoria degli Insiemi. L'Insiemistica, o meglio il linguaggio insiemistico e i pochi cenni di operazioni insiemistiche che si presentano solitamente sono sufficienti per svolgere con una certa proprietà di linguaggio la Matematica elementare; quando la trattazione diviene più profonda e più complessa, non bastano più. La Teoria degli Insiemi si configura come una formulazione corretta degli strumenti insiemistici solitamente introdotti in modo intuitivo facendo riferimento a proprietà linguistiche. Essa è indispensabile in questioni di analisi e topologia, vedi Teorema di Ascoli, compattezza di spazi topologici, ecc. Sia nel linguaggio matematico ordinario, sia in quello formalizzato della Teoria degli Insiemi, lo strumento Logico è presente, ma è solo uno strumento per la trattazione. Per contro in concetti basilari della nostra disciplina, soddisfacibilità, modelli, ecc. si fa ricorso agli insiemi, che assumono quindi il ruolo di teoria di riferimento per la trattazione della Logica, ma sono altro rispetto ad essa. 1 Citazione dal R.D. 6 maggio 1923 n. 1054, in cui vengono presentati i programmi della Scuola Superiore riformata dal ministro G.Gentile ( ). Queste richieste, formulate a riguardo dell'insegnamento della Lingua, sono estremamente attuali nell'insegnamento in generale ed in particolare per quanto riguarda le Scienze. Non è improbabile che in queste parole si riflettano le idee pedagogiche di J. Dewey ( ). 2 Ferro R.:(1993) 'La logica dei logici', IMSI, 16, n , :

16 Se al termine dell'azione didattica è chiaro allo studente la necessità di operare distinzioni all'interno della Logica tra linguaggio oggetto e metalinguaggio, come pure tra Morfologia, Semantica e Sintassi, sapendo riconoscere e distinguere all'interno della presentazione matematica questi aspetti, questo è un primo importante passo ed un risultato notevole. Nel seguito si mostreranno esempi tratti dalla prassi didattica per meglio illustrare questa posizione. Lo schema che segue illustra, relativamente al calcolo dei predicati del 1 ordine la complessa situazione Logica Linguaggio naturale Linguaggio artificiale Metalinguaggio Morfologia (Aritmetica) Sintassi (Aritmetica)) Semantica (Teoria degli insiemi) Teor. di Completezza

17 Capitolo 2: Aspetti morfologici del calcolo delle proposizioni. Nei manuali non sempre viene dedicato sufficiente spazio agli aspetti morfologici. Il motivo è che spesso ad essi non viene riconosciuta l'importanza che hanno. L'uso ed abuso del linguaggio naturale non fa riflettere adeguatamente su questa fase della costruzione della conoscenza. Da tempo l'allievo ha imparato a convivere con lettere dell'alfabeto e con cifre. Forse solo l'insegnamento di temi di Informatica può far rivolgere l'attenzione a questi aspetti. 1) Un esempio applicabile didatticamente potrebbe essere il seguente in cui gli aspetti morfologici sono predominati ma non esclusivi. Scrivere delle "parole" avendo i simboli $, b, c e 3 e le clausole seguenti: 1. le parole possono avere al più quattro simboli; 2. il simbolo $ può essere ripetuto al più due volte, ma non consecutive; 3. il simbolo c può essere ripetuto al più due volte, ma solo se le presenze sono consecutive; 4. i simboli b e 3 possono essere ripetuti al più tre volte; 5. nessuna parola può terminare né per b né per 3, a meno che non incominci per $. Come si vede le clausole sono molto poco "naturali". Con esse si può richiedere l'elenco completo delle "parole" che si possono formare, oppure si possono fornire delle parole e richiedere se sono ammesse dalle regole fissate. Per esempio date le parole $b, b$$, $cc$, b$cc, c$b3, 3, 33$b$ di esse solo la prima, la terza e la quarta sono ammissibili. Se interessa, le parole formate ubbidendo a queste regole sono (salvo errori ed omissioni) le seguenti, scritte in ordine lessicografico, in cui la cifra 3 precede il simbolo $ e questi precede le lettere considerate in ordine alfabetico, $, c; (2) $b, $c, $3, b$, bc, c$, cc, 3$, 3c; (8) $b$, $bb, $bc, $b3, $c$, $cb, $cc, $c3, $3$, $3b, $3c, $33, b$c, bb$, bbc, bc$, bcc, b3$, b3c, cb$, cc$, c3$, 3$c,3b$, 3bc, 3c$, 3cc, 33$, 33c; (29)

18 $b$b, $b$c, $b$3, $bb$, $bbb, $bbc, $bb3, $bc$, $bcb, $bcc, $bc3, $b3$, $b3b, $b3c, $b33, $c$b, $c$3, $cb$, $cbb, $cb3, $cc$, $ccb, $cc3, $c3$, $c3b, $c33, $3$b, $3$c, $3$3, $3b$, $3bb, $3bc, $3b3, $3c$, $3cb, $3cc, $3c3, $33$, $33b, $33c, $333; (41) b$b$, b$bc, b$c$, b$cc, b$3$, b$3c, bb$c, bbb$, bbbc, bbc$, bbcc, bb3$, bb3c, bcb$, bcc$, bc3$, b3$c, b3b$, b3bc, b3c$, b3cc, b33$, b33c; (23) c$b$, c$3$, cbb$, cb3$, ccb$, cc3$, c3b$, c33$; (8) 3$b$, 3$bc, 3$cc, 3$3$, 3$3c, 3b$c, 3bb$, 3bbc, 3bc$, 3bcc, 3b3$, 3b3c, 3cb$, 3cc$, 3c3$, 33$c, 33b$, 33bc, 33c$, 33cc, 333$, 333c; (22). Questo esercizio ha aspetti interessanti: il primo è che secondo le regole imposte, si formano parole di cui non interessa il significato, solo la loro costruzione. Un secondo a- spetto è che attività di questo tipo sono assai simili alle tecniche utilizzate dal ricercatore di Algebra che avendo esplicitato assiomi di una struttura, cerca di studiarne le proprietà. Si tratta quindi di un'attività assai simile alla dimostrazione formale, che però viene condotta in un contesto facilmente controllabile. E' poi interessante l'aspetto combinatorio di problemi di questo genere. Tutte le parole che si possono formare con i simboli prescelti, ripetuti al più quattro volte sono 340, assai di più delle 135 che sono ottenute rispettando le regole. La costruzione delle parole ammesse si può presentare utilizzando i diagrammi ad albero, sottintesi in uno degli obiettivi specifici per la Scuola Media e citati esplicitamente nei programmi della Scuola elementare. Si potrebbe valutare, seppure approssimativamente, quante parole in più o in meno si ottengono modificando le richieste. E' poi possibile che le regole siano poste in modo da escludere l'esistenza di parole (questo porterebbe agli aspetti sintattici della coerenza degli assiomi). Non è da trascurare neppure l'aspetto ludico insito in esercizi di questo tipo, può infatti essere presentato come una sorta di cifrario segreto. Problemi analoghi sono estremamente importanti in considerazioni di linguistica matematica, si parla infatti di grammatiche ed hanno importanti riflessi in campo informatico. Infine bisogna fare notare che in considerazioni di questo tenore si fa uso, non sempre palese, dell'aritmetica, anzi si prepara la strada a utili generalizzazioni del principio di induzione matematica. 2) Un esempio un poco più complesso è il seguente. Si considera un "linguaggio" L composto dai simboli "A", "F", "I", "V", e dai numeri naturali (alfabeto). Con questi simboli si formano successioni finite di essi, scrivendo, come di consueto da sinistra a destra; tra queste successioni ne vengono identificate alcune che vengono dette parole. Si premette la seguente definizioni:

19 Definizione 1. Si chiama scrittura una successione finita di simboli dell'alfabeto. Definizione 2. Si chiama lunghezza di una scrittura il numero dei simboli dell'alfabeto utilizzati (contando le ripetizioni) e ritenendo i numeri di due o più cifre come un unico simbolo. Definizione 3. Si chiama blocco A la scrittura An, in cui n N; si chiama blocco I la scrittura Ik, in cui k N. Il numero che compare in un blocco si dice misura del blocco. Definizione 4. Si dice parola una scrittura tale che soddisfi le seguenti regole: r 1 V è sempre presente in ogni parola, ma solo una volta, all'inizio della parola stessa; immediatamente dopo V ci può essere solo F o un blocco. r 2 F è sempre presente in ogni parola, ma solo una volta, alla fine della parola stessa; immediatamente prima di F ci può essere solo V oppure un blocco r 3 I simboli A e I possono essere presenti solo in blocchi, per cui immediatamente prima di A e I ci può essere solo un numero o V; immediatamente dopo A e I ci deve essere un numero. r 4 I numeri naturali sono presenti solo in blocchi, per cui immediatamente prima di un numero ci può essere solo A oppure I; immediatamente dopo un numero ci può essere solo A, oppure I oppure F. r 5 Niente altro è una parola. L'ultima regola ha il ruolo di escludere dalla considerazione altre scritture "indesiderate". Ad esempio VA3A2I8F è una parola, dato che sono soddisfatte nell'ordine (da sinistra a destra, le regole r 1, r 3 e r 4, r 2, mentre A2A4I0VF, no, perché il simbolo V non è presente all'inizio, violando così la regola r 1. Già a questo livello può essere interessante che gli studenti diano il loro contributo in una discussione, identificando o producendo altri esempi di scritture che sono parole oppure no. Nel caso che una scrittura assegnata non sia una parola, è bene fare individuare quali regole di formazione risultino violate. Di qui si può osservare che il processo di controllo per individuare se una scrittura è una parola è decidibile, nel senso (impreciso) che è possibile mediante un numero finito di passi concludere se sono verificate le regole di formazione. Come si vede in questa presentazione non interessano i "significati" dei simboli, hanno solo rilevanza le mutue posizioni all'interno delle successioni finite. è anche chiaro che si può istituire una relazione di eguaglianza tra parole, eguaglianza che diviene anzi una identità stretta: VA3A2I8F è eguale solo a se stessa ed è diversa da VA2A3I8F. Le parole che possono scriversi sono infinite, dato che l'alfabeto è infinito, contenente N, ma anche se fossero ammessi solo {0, 1, 2,,9}, egualmente vi sarebbero infinite parole, potendosi ad esempio ripetere tante volte quanto si vuole un blocco ad esempio A2. Si può provare che non esistono parole di lunghezza dispari, che c'è un'unica parola di

20 lunghezza 2, eccetera. Queste cose sono evidenti, ma devono essere provate con una certa cura. Affrontare questi problemi sembra forse poco "matematico", ma ciò che viene detto per questa specie di "giocattolo" linguistico è analogo all'analisi che si compie poi su linguaggi più importanti e potenti. L'esempio dovrebbe far cogliere il sapore di questioni di carattere solamente morfologico. Per tornare alle proposizioni, una volta che sia chiaro che si tratta di un linguaggio artificiale che serva ai nostri scopi si ripercorrono gli stessi passi con cui a scuola elementare si apprende il linguaggio naturale. La prima parte dell'analisi del linguaggio delle proposizioni assomiglia molto a quella che viene svolta nei vari corsi di educazione linguistica. Interessa la struttura fondamentale del discorso: la proposizione o frase atomica. In Italiano una proposizione è costituita da un soggetto, più o meno esplicito, da un predicato verbale seguito da un eventuale complemento, oppure da un predicato nominale. Ci sono evidentemente delle sequenze di parole che in base a questa classificazione si devono riconoscere come proposizioni, ma che il senso comune rifiuta come insensate: Il melo parcheggia il mare non ha senso (finora) eppure è costruita in modo corretto. Si deve allora precisare meglio. La proposta di Aristotele ( a.c.) è di identificare la proposizione (atomica) come un'unità di significato che è suscettibile di essere vera o falsa in quanto il filosofo era interessato a stabilire l'uso della verità del cosiddetto discorso apofantico. Si tratta dunque di enunciati assertori. Si deve intendere il fatto di essere suscettibili di essere veri o falsi nel senso che talora si può non essere in grado di decidere o provare se sono veri o falsi. La frase La duemiliardesima cifra decimale di π è 7 non è facilmente verificabile, ma è una proposizione atomica. Per gli Stoici e in particolare per Crisippo ( a.c.), le proposizioni hanno invece connotati sintattici. Nella filosofia moderna si è criticata la formulazione aristotelica che tuttavia sembra prevalere ancora oggi sui manuali. Attribuire un valore di verità fa intervenire una semantica o una teoria del significato che interpreti i vari termini presenti nella proposizione. Ci si sposta cioè da un livello morfologico ad uno semantico. G. Frege ( ) ha distinto tra senso della proposizione e forza assertoria della stessa. E. Husserl ( ) ha ritenuto una proposizione il contenuto invariante di atti linguistici quali asserzioni, ma anche domande, auspici, ecc. Il dibattito filosofico sul tema è ancora in corso

21 I predicati nominali pongono altri problemi: Gli Apostoli sono ebrei, gli Apostoli sono dodici, sono frasi in cui la copula assume significati e funzioni assai diversi. Di fronte a questa complessa situazione storica e culturale, sembra riduttivo ed anche scorretto identificare le proposizioni atomiche di cui si occupa la Logica con una o l'altra di queste proposte. Per chiarire allora i ruoli delle varie proposte qui ci si avvale di un artificio. Temporaneamente si indicano con n-proposizioni quelle della lingua naturale e L- proposizioni quelle della Logica. Cosa sia una n-proposizione si lascia agli studiosi di materie letterarie ed ai filosofi. Per chiarire cosa siano le L-proposizioni si parte da un esempio apparentemente poco significativo. E' ben nota l'identità a 2 - b 2 = (a+b)(a-b). La "forza" di questa espressione è che essa è costituita di simboli privi di significato, proprio perché così possano assumere di volta in volta il significato più opportuno. Questa e- guaglianza vale nei numeri naturali (quando si può fare la sottrazione), nei numeri interi, nei numeri razionali, nei numeri reali, nei numeri complessi, ma vale anche nell'anello Z15 o Z23 ecc. Vale anche in Z[x], in Q[x], R[x] e in C[x]. Anzi vale anche nei polinomi a coefficienti naturali (quando si può fare la sottrazione). Viene utilizzata anche nella teoria delle equazioni differenziali a derivate parziali per risolvere l'equazione della corda vibrante: in questo caso a e b sono operatori differenziali lineari. Come si vede è una forma ricca di possibili significati. Ma su cosa si debba intendere per significato è bene riflettere. Frege ha introdotto la distinzione, oggi quasi universalmente accettata, tra senso e denotazione. La sua proposta è quella di associare ad ogni nome proprio, ad ogni predicato, enunciato (o più in generale ad ogni elemento linguistico significante) un significato. Ma sono presenti due piani: uno è quello intensionale o del senso (detto anche della connotazione) ed uno è quello estensionale o della denotazione. Ad una data intensione corrisponde sempre un'unica estensione, mentre una data estensione può essere descritta mediante intensioni diverse. Ad esempio (l'uomo) Socrate è l'estensione dei più termini: «il maestro di Platone», «il marito di Santippe», «il personaggio della commedia "Le nuvole" di Aristofane», ecc. Queste intensioni hanno contenuto concettuale diverso in quanto non è con strumenti puramente logici che se ne coglie l'equivalenza dal punto di vista estensionale. Quindi queste connotazioni hanno sensi diversi, pur avendo una stessa denotazione. Ne discende che ogni simbolo linguistico esprime (senso) una intensione e denota una estensione. Anche per le L-proposizioni si vuole ottenere questa ampia applicabilità e per questo si preferisce che siano forme prive di uno specifico significato proprio perché ne possano assumere tanti, in relazione alle varie situazioni. In questo senso ci si avvicina alle posizioni di Husserl. Ritenere che la Matematica o peggio la Logica considerino solo come L

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