MALATTIE DELL APPARATO LOCOMOTORE
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- Alfonsina Dini
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1 MALATTIE DELL APPARATO LOCOMOTORE Botmann & Perinmann Appuntimed
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3 Indice I. TRAUMATOLOGIA 7 1. FRATTURE IL PROCESSO RIPARATIVO DELLE FRATTURE CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE ASPETTI CLINICI GENERALI COMPLICANZE TERAPIA DELLE FRATTURE RIDUZIONE E CONTENZIONE DELLA FRATTURA TERAPIA CONSERVATIVA TERAPIA CHIRURGICA SPECIFICI TIPI DI FRATTURA FRATTURE DELL ARTO SUPERIORE FRATTURE DELLA MANO FRATTURA DI POLSO FRATTURA DELL AVAMBRACCIO FRATTURE MEDIALI DELL ULNA FRATTURE MEDIALI DEL RADIO FRATTURE DELLA TESTA DEL RADIO FRATTURE OLECRANICHE FRATTURE DEL CAPITELLO OMERALE FRATTURE DISTALI DELL OMERO: FRATTURE DELLA DIAFISI OMERALE FRATTURE DEL COLLO CHIRURGICO DELL OMERO FRATTURE DEL CINGOLO SCAPOLARE FRATTURE INTRARTICOLARI DELL OMERO FRATTURA CLAVICOLARE FRATTURE DELLA SCAPOLA FRATTURE DELL ARTO INFERIORE FRATTURE DELLE OSSA DEL PIEDE FRATTURE DELL ARTICOLAZIONE TIBIO TARSICA FRATTURE DELLA GAMBA FRATTURE DISTALI DELLA TIBIA FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE FRATTURE DELLA PATELLA FRATTURE FEMORALI LE FRATTURE VERTEBRALI CLASSIFICAZIONE CLINICA FRATTURE DEL RACHIDE CERVICALE FRATTURE DEL RACHIDE DORSO-LOMBARE LUSSAZIONI E DISTORSIONI CLASSIFICAZIONE
4 Indice 3.2. ASPETTI CLINICI COMPLICANZE TERAPIA PARTICOLARI TIPI DI LUSSAZIONE LUSSAZIONE DEL GOMITO LUSSAZIONE SCAPOLO OMERALE LUSSAZIONE ACROMION-CLAVICOLARE LUSSAZIONE DEL GINOCCHIO LUSSAZIONE PATELLARE LA LUSSAZIONE D ANCA LUSSAZIONE DELLA COLONNA VERTEBRALE DISTORSIONI ASPETTI CLINICI CLASSIFICAZIONE DIAGNOSI TERAPIA LE FRATTURE-LUSSAZIONI SPECIFICI TIPI DI FRATTURA-LUSSAZIONE II. PATOLOGIE ORTOPEDICHE DELL ADULTO PATOLOGIA DELLA SPALLA INSTABILITÀ LUSSAZIONE PRIMARIA LUSSAZIONE RECIDIVANTE INSTABILITÀ ATRAUMATICA LUSSAZIONI ACROMIO-CLAVICOLARI SINDROME DA CONFLITTO ACROMIO-OMERALE O DA ATTRITO ACROMIO-OMERALE QUADRO ANATOMOPATOLOGICO QUADRO CLINICO E DIAGNOSI TRATTAMENTO PATOLOGIA DEL GINOCCHIO LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO EZIOPATOGENESI CLASSIFICAZIONE DIAGNOSI QUADRI CLINICI E TRATTAMENTO PRIMO SOCCORSO PATOLOGIA MENISCALE CLASSIFICAZIONE ANATOMIA PATOLOGICA QUADRI CLINICI TRATTAMENTO CHIRURGIA DELLA MANO SINDROME DEL TUNNEL CARPALE EZIOPATOGENESI ED EPIDEMIOLOGIA QUADRO CLINICO DIAGNOSI TRATTAMENTO MALATTIA DI DUPUYTREN EZIOPATOGENESI
5 Indice QUADRO CLINICO TRATTAMENTO TENOSINOVITI STENOSANTI MALATTIA DI DE QUERVAIN DITO A SCATTO FRATTURE DISTACCHI EPIFISARI DELL ESTREMO DISTALE DEL RADIO FRATTURE DELL ESTREMO DISTALE DEL RADIO FRATTURE DELLO SCAFOIDE FRATTURE DEI METACARPI FRATTURE E LUSSAZIONI DELLE FALANGI ARTROSI ARTICOLAZIONE TRAPEZIO-METACARPALE ARTICOLAZIONI INTERFALANGEE CHIRURGIA DEL PIEDE ALLUCE VALGO ALLUCE VALGO GIOVANILE ALLUCE VALGO ADULTO SINDROME DI CIVININI MORTON ASPETTI CLINICI TRATTAMENTO LOMBALGIE E LOMBOSCIATALGIE LOMBALGIE CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA ASPETTI CLINICI SPONDILOLISI SPONDILOLISTESI ASPETTI CLINICI TRATTAMENTO LOMBOSCIATALGIA E LOMBOCRURALGIA ERNIA DEL DISCO STENOSI LOMBARE TUMORI OSSEI TUMORI PRIMITIVI LOCALIZZAZIONE E ASPETTI ANATOMO-PATOLOGICI QUADRI CLINICI DIAGNOSTICA STRUMENTALE E DI LABORATORIO TRATTAMENTO TUMORI METASTATICI INFEZIONI OSTEO-ARTICOLARI CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENESI INFEZIONI ASPECIFICHE OSTEOMIELITE ACUTA EMATOGENA OSTEOMIELITE CRONICA SPONDILODISCITE ARTRITE SETTICA EMATOGENA OSTEOMIELITI E ARTRITI SETTICHE DA INOCULAZIONE DIRETTA INFEZIONI SPECIFICHE TUBERCOLOSI
6 Indice 11. ARTROSI DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGIA E ANATOMIA PATOLOGICA QUADRO CLINICO E DIAGNOSI TRATTAMENTO ZOPPIA 101 III. LESIONI OSTETRICHE, MALATTIE CONGENITE E DELL INFANZIA LESIONI OSTETRICHE E ALTRE PATOLOGIE ACUTE DEL NEONATO DISTACCHI CONDRO-EPIFISARI FRATTURE DIAFISARIE PARALISI OSTETRICHE PARALISI OSTETRICHE DELL ARTO SUPERIORE PARALISI OSTETRICHE DELL ARTO INFERIORE IL TORCICOLLO TORCICOLLO CONGENITO OSSEO TORCICOLLO MIOGENO PATOLOGIE CONGENITE PIEDE TORTO PATOGENESI DIAGNOSI DIFFERENZIALE DISPLASIA CONGENITA DELL ANCA EPIDEMIOLOGIA PATOGENESI QUADRO ANATOMOPATOLOGICO CRITERI DIAGNOSTICI E ASPETTI CLINICI TERAPIA PATOLOGIE PEDIATRICHE ORTOPEDICHE DALL INIZIO DELLA DEAMBULAZIONE AI SEI ANNI GINOCCHIO VARO E VALGO DEFORMITÀ TORSIONALI PIEDE PIATTO ASPETTI CLINICI TRATTAMENTO PATOLOGIE ORTOPEDICHE DAI SEI ANNI SINO ALL ADOLESCENZA SCOLIOSI EPIDEMIOLOGIA CLASSIFICAZIONE ANATOMIA PATOLOGICA ASPETTI CLINICI TERAPIA I DISTACCHI EPIFISARI EPIFISIOLISI DELL ANCA FISIOPATOLOGIA ASPETTI CLINICI E RADIOGRAFICI TRATTAMENTO OSTEOCONDRITI ANATOMIA PATOLOGICA ASPETTI CLINICI PARTICOLARI TIPI DI OSTEOCONDROSI
7 Parte I. TRAUMATOLOGIA 7
8 1. FRATTURE Le fratture sono una categoria di traumi estremamente importante, in linea generale queste possono essere classificate in: FRATTURE DELLE OSSA LUNGHE che possono a loro volta essere classificate sulla base della loro posizione ed entità. FRATTURE DELLE OSSA BREVI nel contesto delle quali è essenziale definire la posizione del danno. la frattura è una soluzione di continuità di un osso prodotta da una forza che supera i limiti di resistenza del tessuto stesso, si tratta di: Una lesione locale. Che provoca una disfunzione sistemica e generale. La malattia è acuta, riconoscerla subito per curarla immediatamente è fondamentale. In linea generale è importante ricordare che nell approccio alla frattura dobbiamo: Obbedire all imperativo assoluto del radiogramma che è signore della diagnosi e della cura. Curare la frattura significa RIDURLA E IMMOBILIZZARLA. Ridurre la frattura immediatamente è essenziale: nessuna riduzione è difficile entro le prime 10 ore dal trauma, dopo le 48 ore, lo divengono tutte. Immobilizzare l arto rigorosamente è essenziale: in assenza di immobilità il callo non potrà formarsi. Mobilizzare il fratturato precocemente è essenziale: alla guarigione della frattura contribuisce tutto l organismo. La frattura esposta è una ferita che quasi sempre risulta infetta: il processo infettivo ha una porta aperta a causa della frattura che va quindi curata prima il possibile IL PROCESSO RIPARATIVO DELLE FRATTURE Quando un osso lungo si frattura, l area periferica alla frattura e lo spazio tra i due monconi viene occupato da sangue stravasato, che rapidamente forma un coagulo. Le cellule delle estremità dei monconi vanno incontro a necrosi. Callo morbido (3 settimane), si forma dopo pochi giorni il callo osseo primario o morbido, che deriva dal periostio e dal midollo osseo. Si distinguono un callo periostale e uno midollare che procedono di pari passo per unire i monconi di frattura, ma con meccanismi diversi: CALLO PERIOSTALE: 2 Dopo 3 giorni: le cellule del periostio in vicinanza proliferano e formano fibre collagene. 2 Dopo 10 giorni: il periostio è ispessito vicino alla frattura e in misura progressivamente decrescente a distanza. Alcune cellule dello stato profondo assomigliano a osteoblasti. 2 Dopo 15 giorni: tessuto cartilagineo nella sede di frattura. All interno ci sono tutti gli stadi dello sviluppo della cartilagine e dell ossificazione encondrale. A distanza dalla sede di frattura si osservano numerose trabecole di tessuto osseo neoformato circondato da osteoblasti, con inoltre fibroblasti, collagenee e arteriole e venule. 2 Dopo 20 giorni: la maggior parte del callo periostale in prossimità della sede di frattura è formato da trabecole di tessuto osteoide e cartilagine in vari stadi di maturazione e calcificazione. Alla periferia dell osso neoformato e della cartilagine, vi è uno spesso strato di connettivo fibroso. CALLO MIDOLLARE: 2 Dopo 3 giorni: la porzione superficiale (più vicina alla linea di frattura) del tessuto midollare è costituita da coaguli di fibrina e cellule ematiche. Nella porzione profonda (più lontana dalla frattura) sono presenti cellule mesenchimali indifferenziate. 8
9 1. FRATTURE 2 Dopo 10 giorni: il coagulo nella porzione superficiale è più compatto e contiene meno cellule ematiche. La porzione profonda è formata da numerose cellule mesenchimali. La matrice intercellulare è costituita da abbondante sostanza amorfa e fibrille collagene neoformate contenente vasi neoformati. 2 Dopo 15 giorni: nella porzione superficiale del tessuto midollare sono presenti piccole aree in cui ci sono condrociti. Nella porzione profonda ci sono trabecole di tessuto osteoide circondate da osteoblasti. Ci sono comunque cellule mesenchimali, fibroblasti e vasi, con fibre collagene come matrice intercellulare 2 Dopo 20 giorni: porzione superficiale formata da tessuto cartilagineo con zone di iniziale calcificazione. Nella porzione profonda vi sono piccole aree di cartilagine e un numero più elevato di trabecole di tessuto osteoide. 2 Successivamente, nella porzione superficiale diminuiscono le cellule e aumentano le zone di cartilagine calcificata che si trasformano poi in tessuto osteoide per ossificazione endocondrale. Le trabeole osteoidi si uniscono ai monconi di frattura. Callo duro (3-4 mesi), nel momento in cui le estremità sono unite dal callo morbido inizia la fase del callo duro che permane finchè i frammenti non sono uniti da osso di nuova sintesi. Il processo si esplica tramite: Ossificazione encondrale: interessa soprattutto le regioni periferiche del callo, che, come accennato, sono maggiormente ricche in cartilagine. Formazione ossea intra-membranosa in un tessuto calcificato rigido, più comune centralmente. La formazione di callo osseo inizia nelle zone lontane dalla frattura (meccanicamente pigre) e progredisce lentamente verso la frattura. Rimodellamento, che comincia una volta che la frattura è consolidata. Con il tempo avvengono due processi: Tessuto osseo spongioso per effetto del carico si trasforma in tessuto osseo compatto Tessuto osseo neoformato non sottoposto a carico diretto viene riassorbito gradualmente e quindi l osso riassume la forma originaria. 9
10 1. FRATTURE Figura 1.1.: Schematizzazione dei processi di riparazione della frattura. Dal punto di vista pratico durante il processo riparativo: La quiete del focolaio non è necessaria. Movimenti macroscopici nella fase iniziale della riparazione, quando ci sono ematoma e callo fibroso, sono possibili e utili eventualmente a definire la riduzione della frattura. Movimenti microscopici si possono eseguire nella fase di comparsa delle trabecole osteoidi: questi movimenti favoriscono la proliferazione, ma non devono essere più estesi, in caso contrario produrrebbero piccole fratture. Immobilizzazione totale che è fondamentale nelle fasi di ossificazione: in caso contrario gli osteociti vengono schiacciati e portati a morte dai movimenti della sostanza calcificata in precedenza CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE Le fratture possono essere classificate sulla base di diversi parametri, tra le diverse classificazioni ricordiamo: Eziologica, possiamo definire la frattura come: Traumatica, questa può essere dovuta a: 2 Trauma diretto. 2 Trauma indiretto: 3 Per flessione. 3 Per torsione. 3 Per compressione. 3 Per strappamento. 10
11 1. FRATTURE Patologica. Chirurgica. Sulla base del livello di interruzione: Diafisaria. Metafisaria. Epifisaria. Sulla base del numero di interruzioni: Unifocali. Bifocali. Multifocali. Sulla base dell allineamento dei segmenti ossei in: Composte. Scomposte. Al momento della formazione le fratture sono praticamente sempre composte, la scomposizione della frattura avviene a seguito della attività muscolare successiva alla frattura. Sulla base dell entità del danno, possiamo definire fratture: complete, a loro volta suddivisibili sulla base della direzione della linea di frattura in: 2 Trasversali, perpendicolari all asse di sviluppo dell osso. 2 Oblique, diagonale rispetto all asse dell osso. 2 Spiroidi, secondarie alla torsione di un frammento osseo. 2 Complesse. 2 Comminute, fratture nelle quali l osso è stato rotto in numerosi pezzi. 2 Impattata, frattura caratterizzata dall incastrarsi di diversi frammenti ossei tra loro. incomplete, a loro volta classificabili come: 2 A legno verde. 2 Infrazioni. 2 Infossamenti, tipici di calcagno e piatto tibiale. Sulla base dello spostamento dei frammenti che può essere: Trasversale, ad latus. Longitudinale, a sua volta suddivisibile in: 2 Cum compressione. 2 Cum distorsione. Angolare o ad axim. Rotatorio o ad peripheriam. Sulla base della irradiazione della linea di frattura che può essere: Intracapsulare o extracapsulare. Intrarticolare o extrarticolare. Distacco epifisario che può essere puro o misto. In linea generale il distacco epifisario è un problema molto serio: l epifisi è la parte fertile dell osso, se non viene adeguatamente ridotta e trattata nel modo giusto, la compromissione della proliferazione ossea può divenire molto importante. Soprattutto nel bambino dove il callo osseo si forma molto in fretta, un mancato trattamento del distacco può provocare alterazioni della crescita veramente importanti. Sulla base della presenza di una comunicazione tra osso e superficie esterna: Chiuse. Esposte. Comunicanti: in presenza di un qualsiasi tramite di comunicazione con l ambiente esterno, soprattutto post traumatico (vetro di una macchina o simili), l osso risulta esposto ad agenti patogeni molto pericolosi. A seconda della deviazione che si viene a creare: Deviazione in varo, cioè avvicinamento all asse centrale. Deviazione in valgo cioè allontanamento dall asse centrale. Spiroidi, cioè fratture che presentano deviazioni miste. 11
12 1. FRATTURE 1.3. ASPETTI CLINICI GENERALI Esistono due soli segni di certezza relativi alla presenza di una frattura: CREPITAZIONE. PERDITA DI MOBILITÀ. Esistono invece numerosi segni di probabilità da prendere in considerazione: Dolore. Ecchimosi. Tumefazione. Deformità. Atteggiamento della parte interessata. Impotenza funzionale COMPLICANZE GENERALI Shock emorragico Embolia adiposa Tombosi venosa profonda (TVP): complicanza non rara. Tende a verificarsi nelle prime settimane. La conseguenza più temibile è la tromboembolia polmonare. Per evitare questa complicanza, che compare spesso negli arti inferiori, si effettua una terapia anticoagulante. I tipici pazienti a rischio sono quelli operati per lesioni di arti inferiori se l intervento comporta lungo allettamento o astensione dal carico prolungata. Tetano Gangrena diffusa Piaghe da decubito: in pazienti allettati per molto tempo. LOCALI Esposizione della frattura Frattura-lussazione: la frattura si associa a lussazione. Lesioni nervose: negli arti per compressione o stiramento di un nervo periferico. Nelle vertebre per interessamento del midollo spinale. Lesioni vascolari: Lacerazione: si tratta della più grave. Si osserva un voluminoso ematoma con sindrome ischemica periferica, se interessata una grossa arteria. Compressione Vasospasmo Trombosi di un arteria principale: in questi ultimi casi ci sarà una sindrome ischemica più o meno acuta con dolore, pallore, scomparsa dei polsi. Nelle fasi più avanzate danni neuromuscolari. Nelle lesioni venose si ha ematoma e un alterato deflusso, simile alla TVP. Sindrome compartimentale: sindrome ischemica dei muscoli contenuti in un compartimento osteofibroso di un arto, causata dall ematoma di frattura o dall edema dei tessuti molli circostanti, eventualmente accentuata dalla compressione esercitata da un apparecchio gessato troppo stretto. L elevata pressione ostacola la circolazione venosa e linfatica provocando edema. L edema compromette la circolazione arteriosa con ischemia. Si ha come risultato quindi necrosi muscolare con successiva fibrosi retrattile. La retrazione causa quindi deformità, come sindrome ischemia di Volkmann dell avambraccio e della mano. Quadro clinico con: Dolore Edema Cianosi 12
13 1. FRATTURE Ipoestesia o anestesia Paresi muscolare. Si diagnostica misurando la pressione intracompartimentale. Si tratta facendo defluire l ematoma con l arto in scarico e somministrando ossigeno. Se il quadro non migliora si deve effettuare, entro 8 ore della comparsa dei sintomi conclamati, una fasciotomia. Lesioni viscerali: tipiche sono le lesioni della pleura e del polmone nella frattura costale, della vescica o uretra nelle fratture del bacino. Infezioni: invasione dei germi dall esterno in una frattura esposta. Ritardo di consolidazione Pseudoartrosi: i monconi sono distanti tra loro, non combaciano o ci sono dei tessuti molli in mezzo. Necrosi epifisaria 1.4. TERAPIA DELLE FRATTURE La terapia delle fratture può essere condotta in due modi nettamente diversi tra loro. 1. Terapia conservativa, che prevede riduzione e immobilizzazione. 2. Terapia chirurgica che consente: a) Ripresa immediata della funzionalità. b) Mobilizzazione indolore dell arto. c) Prevenzione della algodistrofia RIDUZIONE E CONTENZIONE DELLA FRATTURA La riduzione della frattura, la terapia in assoluto più eseguita in ambito ortopedico, può essere suddivisa in due grandi categorie: RIDUZIONE INCRUENTA, che prevede di esercitare una trazione su un segmento e una contro trazione su quello opposto. Si distingue in: Estemporanea, eseguita in sedazione. Trans-scheletrica, eseguita grazie alla applicazione di FILI DI KIRSCHNER che vengono inflitti trasversalmente nell osso e collegati ad un peso per eseguire una trazione adeguata. RIDUZIONE CRUENTA, chirurgica, si applica a fratture recenti non riducibili in modo incruento, è necessario aprire il focolaio di frattura e rimuovere gli ostacoli meccanici alla giustapposizione dei due frammenti, la leva scheletrica viene quindi ripristinata dal punto di vista morfologico. Anche la contenzione della frattura può essere suddivisa in: CONTENZIONE INCRUENTA con gesso o tutore. CONTENZIONE CRUENTA con osteosintesi, si utilizzano cioè mezzi metallici per ottenere la fissazione della frattura, questa può essere: Trans ossea con placche, chiodi o viti. Endomidollare. Con fissatore esterno TERAPIA CONSERVATIVA Prevede essenzialmente: Riduzione a cielo chiuso. Stabilizzazione che può essere ottenuta con trazione e tramite tutore esterno. Si tratta della terapia in assoluto più utilizzata, una volta ridotta la frattura si immobilizza l arto per un periodo variabile a seconda del paziente e delle caratteristiche della frattura TERAPIA CHIRURGICA La terapia chirurgica prevede l apposizione di un mezzo di osteosintesi, questo può essere di tipo: 13
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