La biologia molecolare

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1 La biologia molecolare Le basi chimiche dell ereditarietà 1. Il DNA è la molecola dell informazione genetica 2 La scoperta della molecola del DNA 2 La scoperta della funzione del DNA 3 La scoperta della struttura del DNA 6 2. La duplicazione del DNA 8 L esperimento di Meselson e Stahl L ipotesi un gene-una proteina e la scoperta del ruolo dell RNA 10 I geni codificano gli enzimi e ogni altra proteina 10 L RNA: il tramite fra il DNA e le proteine 11 I vari tipi di RNA La trascrizione e il processamento dell RNA Il codice genetico 14 La decifrazione del codice genetico La traduzione e la sintesi proteica Il processo di traduzione Mutazioni geniche e loro effetti sulla sintesi delle proteine 19 Approfondimento Mutazioni e malattie molecolari CoNCetti in sintesi-summary 21 Verifiche Verifica delle Conoscenze Verifica delle abilità 24 Il controllo dell espressione genica 1. L informazione genica è espressa in modo selettivo L organizzazione del DNA nei cromosomi 26 Il cromosoma procariote 26 Il cromosoma eucariote 27 Considerazioni sul genoma eucariote La regolazione dell espressione genica nei procarioti 30 Come funziona l operone La regolazione dell espressione genica negli eucarioti 33 Schema riassuntivo dei livelli di controllo dell espressione genica 33 Controllo conformazionale 34 il punto su L epigenetica 35 Controllo trascrizionale 36 il punto su La regolazione dello sviluppo del fiore delle Angiosperme 37 Controllo post-trascrizionale e della stabilità dell mrna 38 Approfondimento Quando lo splicing è programmato: lo sviluppo del sistema immunitario Controllo della stabilità dell mrna 39 Controllo traduzionale 39 Controllo post-traduzionale 40 CoNCetti in sintesi-summary 41 Verifiche Verifica delle Conoscenze Verifica delle abilità 44

2 La basi chimiche dell ereditarietà Conoscenze La struttura e il meccanismo di duplicazione del DNA. La struttura e la funzione dei diversi tipi di RNA presenti nella cellula. Il processo di traduzione dell informazione genica in proteine. Effetti delle mutazioni geniche sulle proteine. Abilità Riconoscere alcune tappe della scoperta della struttura e delle funzioni del DNA. Spiegare il ruolo dei diversi tipi di RNA presenti nella cellula. Ordinare la sequenza delle fasi della sintesi delle proteine. 1 Il DNA è la molecola dell informazione genetica 1 Fig. 1. Un globulo bianco ha dimensioni di circa 10 μm e la maggior parte del suo volume è occupato dal nucleo (immagine al microscopio elettronico a trasmissione). nucleo La scoperta della molecola del DNA Una volta dimostrato, grazie agli esperimenti di Morgan sulla drosofila (1910), che i geni sono localizzati sui cromosomi, agli studiosi si poneva la domanda: qual è la componente molecolare dei cromosomi e, quindi, dei geni? La risposta era già virtualmente disponibile da oltre 40 anni. Nel 1868 il medico svizzero Friedrich Miescher aveva infatti concluso una serie di analisi chimiche del nucleo cellulare, dopo avere isolato ed esaminato i nuclei dei globuli bianchi che formano il pus delle ferite aperte. I globuli bianchi hanno un nucleo relativamente grande (fig. 1) e Miescher fu in grado di separarlo accuratamente dal citoplasma. Le sue analisi rivelarono la presenza di un composto chimico fino ad allora sconosciuto con le caratteristiche di un acido, ricco di fosforo e formato da molecole di grandi dimensioni: lo chiamò nucleina. Miescher aveva scoperto l acido nucleico che molti anni dopo sarebbe stato chiamato acido desossiribonucleico o DNA (per distinguerlo da un altro tipo di acido nucleico presente anche nel citoplasma cellulare: l acido ribonucleico o RNA). Poco dopo la sua identificazione vennero chiariti gli aspetti fondamentali della chimica di questo composto. La sua molecola risultava formata da una lunghissima catena di unità chiamate nucleotidi, ciascuna costituita da un insieme di tre componenti: un gruppo fosfato legato a uno zucchero a cinque atomi di carbonio (desossiribosio) a sua volta unito a una base azotata di quattro tipi differenti (adenina, citosina, guanina e timina). La scoperta di questo acido nucleico, tuttavia, non suscitò alcun interesse nella comunità scientifica. La sua molecola appariva troppo semplice e ripetitiva per essere messa in relazione con la varietà dei caratteri ereditari; si presentava infatti come una monotona sequenza di nucleotidi, nei quali la diversità era data solo da quattro differenti basi azotate. La maggior parte dei ricercatori era propensa a individuare nelle proteine i candidati più idonei a costituire il materiale genetico, sia per la loro complessità chimica, sia perché si era già dimostrato il ruolo fondamentale da esse svolto nella sintesi di enzimi aventi funzioni diverse. 2

3 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ Focus VACCINO. Preparato spesso costituito da batteri morti o inattivati che, introdotti nell organismo, ne mobilitano le difese interne rendendolo immune al loro attacco, se questo dovesse presentarsi realmente. La scoperta della funzione del DNA L idea che il materiale genetico della cellula potesse coincidere con la molecola di DNA cominciò a farsi strada alla fine degli anni Venti del secolo scorso. Nel 1928 il medico e microbiologo inglese frederick Griffith ( ) stava lavorando alla messa a punto di un VACCINO contro la polmonite causata dal batterio Streptococcus pneumoniae. Egli studiò la differente virulenza di due ceppi del batterio: un ceppo formava colonie dall aspetto liscio, indicato come S (da smooth = liscio), l altro formava colonie dall aspetto rugoso, indicato come R (da rough = rugoso). Il ceppo S quando veniva iniettato in topolini di laboratorio era sempre virulento e ne provocava la morte (fig. 2a), mentre il ceppo R era inoffensivo (fig. 2b). I batteri del ceppo S, tuttavia, se venivano preventivamente uccisi col calore e poi iniettati nei topolini, non mostravano più alcuna virulenza (fig. 2c). Quando però Griffith provò a iniettare i batteri R inoffensivi insieme ai batteri S preventivamente uccisi, non solo i topi morivano (fig. 2d), ma dal loro sangue si ricavavano batteri del ceppo S vivi e virulenti. I risultati di questo esperimento, confermati in vari laboratori, suggerivano che il calore aveva ucciso le cellule batteriche S, ma che una certa sostanza cellulare riusciva a passare dai batteri S morti a quelli R vivi, trasformandoli. In questo modo Griffith scoprì il fenomeno della trasformazione batterica. Negli anni successivi il fenomeno della trasformazione batterica fu studiato in modo particolarmente approfondito dal medico e microbiologo oswald t. Avery ( ), presso il Rockfeller Institute di New York. Alla guida di un gruppo di collaboratori, Avery si concentrò nella ricerca di quello che veniva chiamato fattore trasformante che si pensava fosse una proteina. Dopo anni di accurati esperimenti, il gruppo di Avery nel 1944 riuscì a isolare una sostanza che venne identificata come DNA. Ciò suggeriva che la trasformazione batterica potesse consistere con ragionevole certezza nel passaggio di DNA da un batterio ad un altro e nella sua successiva integrazione nel cromosoma del batterio trasformato. La scoperta di Avery indicava che, almeno per quanto concerneva i batteri, il DNA potesse essere la molecola depositaria dell informazione genetica. Nonostante ciò, essa fu accolta con grande scetticismo dalla comunità scientifica: lo stesso Avery, nell articolo in cui annunciava la sua scoperta, non faceva, per prudenza, alcun cenno al concetto di eredità. Va precisato che ancora in quegli anni i genetisti non pensavano che il DNA fosse in stretta relazione con i processi ereditari. a b c d 2 Fig. 2. Schema dell esperimento di Griffith (vedi il testo) che dimostra il fenomeno della trasformazione batterica. S = ceppo di batteri virulenti; R = ceppo di batteri innocui. Il ceppo virulento S forma colonie di aspetto liscio, con la superficie che riflette la luce, poiché le cellule sono circondate da una capsula mucillagginosa che le protegge dai sistemi di difesa dell ospite. L aspetto rugoso delle colonie non virulente R è dovuto al fatto che le cellule sono prive della capsula protettiva: per questo sono facilmente respinte quando cercano di attaccare l ospite. 3

4 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 3 Fig. 3. Martha S. Chase e Alfred D. Hershey. I due ricercatori lavoravano presso il Dipartimento di Genetica della Carnegie Institution, Cold Spring Harbor (New York). Hershey fu insignito del premio Nobel per la medicina nel 1969, insieme a Salvador Luria e Max Delbrü ck, per la scoperta della replicazione dei virus e della loro struttura genica. 4 Non trascorse comunque molto tempo perché si arrivasse a identificare con certezza il DNA come il vettore dell informazione genetica. La prova definitiva giunse al termine di un esperimento condotto nel 1952 dal genetista Alfred hershey ( ) e dalla sua assistente Martha chase ( ), entrambi statunitensi (fig. 3). Hershey e Chase cercavano di chiarire come avvenisse la riproduzione di particolari virus detti batteriofagi (in quanto infettano i batteri) o semplicemente fagi. Questi virus sono formati da un involucro proteico al cui interno si trova un filamento di DNA (fig. 4). Quando un batteriofago attacca un batterio quest ultimo, dopo circa 30 minuti, subisce una disgregazione della parete cellulare (lisi) e libera all esterno numerosi nuovi virus ciascuno dei quali è una copia del virus infettante. Il problema era quello di stabilire che cosa iniettava il virus nel batterio che ne causava l infezione: aveva a che fare con l involucro proteico o con il DNA virale? L esperimento allestito per risolvere il problema prendeva spunto da questo presupposto: alcune proteine dei virus contengono zolfo, ma nessuna contiene fosforo; il DNA virale contiene fosforo ma non zolfo. Hershey e Chase procedettero in questo modo. Fecero sviluppare fagi e batteri (Escherichia coli) in due distinte colture: una contenente fosforo radioattivo ( 32 P) per potere marcare il DNA dei batteriofagi, l altra contenente zolfo radioattivo ( 35 S) per potere marcare le proteine dell involucro dei batteriofagi. In questo modo ottennero due ceppi di fagi marcati radioattivamente da utilizzare nell esperimento. A questo punto: 1. infettarono batteri non marcati con i fagi marcati con fosforo radioattivo (fig. 5a) e con zolfo radioattivo (fig. 5b); 2. procedettero alla separazione dei fagi dai batteri a cui aderivano; per questo scopo si servirono di un semplice frullatore da cucina: bastavano pochi minuti di energica agitazione perché i rivestimenti dei fagi si staccassero dalla parete delle cellule batteriche (lo constatarono osservando le immagini al microscopio elettronico); 5 a b a (in rosso) b Photo Researchers Fig. 4. a. Immagine al microscopio elettronico a scansione, e b., struttura di un batteriofago. È per mezzo delle fibre della coda che il virus si attacca alla superficie del batterio. Fig. 5. L esperimento di Hershey e Chase dimostrò che la causa responsabile dell infezione delle cellule batteriche a opera dei fagi e della conseguente riproduzione di questi ultimi è il loro DNA e non le proteine dei loro involucri. Il DNA iniettato dai fagi nelle cellule batteriche induce queste ultime a sintetizzare altro DNA virale e altre proteine, in modo da produrre nuovi fagi completi. 4

5 Pearson Education, Inc 6 cellula batterica testa del fago coda fibra della coda Fig. 6. a. Batteriofagi mentre stanno iniettando il loro DNA in una cellula batterica; b. una cellula batterica attaccata da numerosi batteriofagi. Entrambe le immagini sono al microscopio elettronico a scansione. DNA 0,5 mm b a LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 3. sottoposero a centrifugazione la miscela per separare le cellule batteriche (raccolte come precipitato sul fondo delle provette) dal liquido di coltura contenente in sospensione i frammenti proteici dei fagi; 4. misurarono la radioattività nelle cellule batteriche e nel liquido e osservarono quanto segue. Le proteine marcate con zolfo radioattivo si ritrovavano nel liquido contenente i frammenti dei fagi e non nei batteri, segno che non erano penetrate nelle cellule di Escherichia coli. Invece, il DNA marcato con fosforo radioattivo si ritrovava sempre all interno delle cellule batteriche: se queste erano rimesse in un mezzo di coltura, andavano incontro a lisi e liberavano una nuova generazione di fagi contenenti DNA marcato con fosforo radioattivo (fig. 5a); nel caso delle cellule batteriche infettate da fagi con proteine marcate, in seguito a lisi liberavano fagi che non contenevano zolfo radioattivo nelle loro proteine (fig. 5b). I due ricercatori poterono così trarre la conclusione che è il DNA il materiale ereditario che contiene le istruzioni per realizzare all interno delle cellule batteriche altre particelle virali (fig. 6). Alla luce di questi fatti, anche altre osservazioni relative al DNA assunsero un importanza fondamentale. Si sapeva, per esempio, che il DNA degli organismi superiori raddoppia prima della mitosi per poi potere essere distribuito equamente alle cellule figlie, e che le cellule aploidi, come i gameti, contengono la metà del DNA delle cellule somatiche. Tutto ciò indicava che le quantità di DNA variano in modo preciso, parallelamente al numero di cromosomi. Altre evidenze di tipo biochimico avevano inoltre mostrato che la costituzione della molecola di DNA presentava certe peculiarità molto significative. Poco tempo prima (1950), il biochimico austriaco erwin chargaff ( ) aveva comunicato i risultati delle sue analisi del DNA utilizzando la nuova tecnica della cromatografia su carta. Esaminando le quantità relative delle quattro basi azotate contenute nel DNA di vari organismi adenina (A), citosina (C), timina (T) e guanina (G) si osservavano due fatti sorprendenti: nel DNA di ogni organismo analizzato vi era un rapporto numerico di 1 : 1 tra le molecole di adenina e di timina, così come tra le molecole di guanina e di citosina; il numero relativo di queste coppie di basi, cioè il rapporto (A + T) (G + C), variava tipicamente da specie a specie (tabella 1). Questi dati indicavano che il DNA era una molecola con precise regolarità e caratteristiche specifiche per ogni organismo. I risultati dell esperimento di Hershey e Chase e i fatti prima esposti costituirono per molti biologi una base convincente per attribuire al DNA la funzione di molecola dell ereditarietà genetica. Tabella 1. Composizione percentuale delle basi del DNA di vari organismi SPECIE A G C T (A + T)/(G + C) Guida allo STUDIO In che modo Griffith scoprì il fenomeno della trasformazione batterica? Che cos è un batteriofago? In che modo l esperimento di Hershey e Chase con i batteriofagi dimostrò che è il DNA, e non le proteine, il materiale portatore dell informazione ereditaria? Escherichia coli (batterio) 23,8 26,0 26,4 23,8 0,91 pollo 27,9 21,2 21,5 29,4 1,34 topo 28,9 21,1 20,3 30,0 1,44 mucca 27,3 22,5 22,5 27,7 1,22 grano 27,2 22,6 22,8 27,4 1,20 uomo 30,4 19,6 19,9 30,1 1,53 5

6 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 7 a b c La scoperta della struttura del DNA Rimaneva tuttavia ancora aperto un problema di fondo: che cosa rendeva il DNA capace di svolgere la funzione di archivio della memoria ereditaria? Tra vari laboratori di ricerca si sviluppò un accesa competizione per identificare la struttura fine della molecola di DNA. Nell aprile del 1953, un breve articolo a firma di James Watson e francis crick, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, metteva fine alla gara, proponendo una brillante soluzione al problema (fig. 7a). La comunicazione di Watson e Crick, di appena una pagina, iniziava con questo stringato paragrafo: Vorremmo proporre un modello per il sale dell acido desossiribonucleico (DNA). Questa struttura presenta nuove caratteristiche di grande interesse biologico. La struttura suggerita è ovviamente la celebre doppia elica, destinata ad aprire un nuovo, fondamentale capitolo della biologia molecolare. James Watson (n. 1928), giovane biochimico statunitense, si era recato nel 1951 con una borsa di studio postlaurea presso l Università di Cambridge (Gran Bretagna) dove erano in corso ricerche sulla struttura tridimensionale delle proteine con la tecnica della cristallografia a raggi X. A queste partecipava il fisico inglese Francis Crick ( ), con cui Watson iniziò una breve ma intensa collaborazione. Nello stesso tempo, in un altro laboratorio presso il King s College di Londra, diretto dal biologo neozelandese Maurice Wilkins, si stavano conducendo analisi cristallografiche a mezzo di raggi X su molecole di DNA. Un assistente di Wilkins specializzata in questa tecnica, Rosalind franklin, era riuscita a realizzare ottime immagini di diffrazione ai raggi X della molecola di DNA in forma cristallina (come sale di sodio), che ne lasciava intuire una forma elicoidale (fig. 7b); ciò confermava una ipotesi avanzata dal chimico statunitense Linus Pauling: questi nel 1950 aveva dimostrato che alcune proteine, come il collagene, possiedono una struttura secondaria a elica e riteneva che anche il DNA potesse presentare una struttura simile. Watson e Crick poterono vedere l immagine ottenuta dalla Franklin e, dopo avere analizzato tutte le informazioni disponibili e costruito modelli di DNA in semplice filo di ferro e stagno, trovarono la soluzione vincente. Dedussero che la struttura elicoidale fosse in realtà costituita da due lunghi filamenti di polinucleotidi, avvolti l uno intorno all altro in modo da formare una doppia elica destrogira, con diametro uniforme di 2 nm (ricavato dalle immagini della Franklin) (fig. 7c). Il punto chiave del modello proposto da Watson e Crick è che i filamenti sono tenuti insieme da accoppiamenti per mezzo di legami idrogeno tra le rispettive basi azotate che sporgono verso il centro. Si può immaginare una scala a pioli che in seguito a torsione sia avvolta su se stessa in più spire, in modo che i pioli si mantengano perpendicolari all asse della spirale: i due montanti corrispondono agli scheletri dei due filamenti formati da unità zucchero-fosfato e i pioli corrispondono alle coppie di basi azotate. Per la scelta degli accoppiamenti tra le basi azotate i due autori furono guidati da considerazioni di ordine geometrico e di ordine chimico. Fig. 7. a. James Watson (a sinistra) e Francis Crick, di fronte al modello molecolare a doppia elica del DNA. b. Immagine di diffrazione ai raggi X effettuata su un precipitato cristallino di DNA da Rosalind Franklin: la disposizione delle macchie nere che si incrociano al centro permette di stabilire che il DNA ha una struttura a elica. c. Modello schematico della struttura, a doppio filamento, di un segmento della molecola di DNA simile a quello presentato da Watson e Crick nel loro articolo pubblicato nel 1953, con i dati che caratterizzano la doppia elica. Le barrette orizzontali sono formate da coppie di basi che tengono uniti i due filamenti costituiti da catene o scheletri di zucchero-fosfato. Nel 1962 Watson e Crick ricevettero per questa loro scoperta il premio Nobel, insieme a Wilkins (anche Rosalind Franklin avrebbe probabilmente ricevuto il premio, se non fosse stato per la sua morte prematura nel 1958, ad appena 37 anni). 6

7 8 b a Fig. 8. a. Legami idrogeno tre le coppie di basi azotate timina-adenina (T A) e citosina-guanina (C G); la conformazione della coppia T A è uguale a quella della coppia C G, perciò qualunque ordine delle coppie di basi lungo la molecola di DNA non ne altera la forma. I due filamenti della doppia elica sono tenuti insieme da legami idrogeno che sono molto più deboli dei normali legami chimici: essi possono quindi facilmente separarsi tra loro senza danni. b. Formula di struttura dello zucchero ribosio e, c., del gruppo zucchero fosfato. c LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ L uniformità del diametro della doppia elica può essere rispettata solo se l insieme di ogni coppia di basi ha le stesse dimensioni. Ciò suggeriva che una purina (adenina o guanina), che possiede un doppio anello, si accoppiasse con una più piccola pirimidina (citosina o timina), che possiede un solo anello e portava a escludere accoppiamenti tra due purine o due pirimidine che avrebbero prodotto, rispettivamente, rigonfiamenti e strozzature. In secondo luogo, come aveva scoperto Chargaff, in qualunque campione di DNA le quantità totali di adenina (A) e di timina (t) sono uguali, così come lo sono le quantità totali di guanina (G) e di citosina (c); di conseguenza è logico supporre che gli accoppiamenti siano: A T e G C. Ciò si accorda del resto con i legami idrogeno (legami deboli simili a quelli tra le molecole d acqua) che le basi disposte su due filamenti possono formare tra di loro tramite i rispettivi gruppi laterali. Watson e Crick compresero che l adenina e la timina potevano unirsi con due legami idrogeno e la guanina e la citosina potevano unirsi con tre legami idrogeno: in tal modo si formano due coppie complementari A T (o T A) e G C (o C G) aventi un uguale conformazione (fig. 8). La figura 9a mostra un segmento della molecola di DNA: si può notare come, una volta posta la condizione dell accoppiamento obbligato delle basi azotate, la sequenza di queste lungo la doppia elica può presentare illimitate variazioni. L aspetto forse più rilevante da sottolineare è che i due filamenti della doppia elica hanno andamento antiparallelo, come spiegato nella figura 9b, e sono in un certo senso l una l immagine speculare dell altra: data la sequenza delle basi di una catena, è automaticamente definita la sequenza complementare dell altra. In altre parole, ogni filamento potrebbe fare da stampo per un filamento complementare e quindi la molecola di DNA potrebbe duplicarsi e trasmettere il messaggio in essa contenuto. 9 a b c Fig. 9. a. Modello schematico, cosiddetto a nastro, di un segmento di DNA. b. Struttura chimica del DNA. Gli scheletri di zucchero-fosfato dei due filamenti hanno una direzione e un verso perché ciascun gruppo fosfato si lega con un atomo di carbonio in posizione 3 di una molecola di zucchero (vedi figura 8b) e con quello in posizione 5 della molecola successiva. Ogni filamento ha quindi un estremità 5, che termina con un gruppo fosfato, e un estremità 3 che termina con un gruppo OH. Nella doppia elica i due filamenti hanno andamento antiparallelo: perciò l estremità 5 di un filamento si trova sempre di fronte all estremità 3 dell altro. c. Modello molecolare di DNA realizzato al computer. 7

8 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 10 2 La duplicazione del DNA Nel loro articolo riportante la scoperta della struttura del DNA Watson e Crick facevano notare: Non ci è sfuggito come l accoppiamento specifico delle basi da noi proposto suggerisca immediatamente un possibile meccanismo di copiatura del materiale genetico. Tra i ricercatori che si misero all opera per dimostrare la fondatezza dell ipotesi di Watson e Crick, riuscirono nell impresa Matthew Meselson e frank stahl, entrambi statunitensi, che nel 1958 con un brillante esperimento (vedi riquadro a pag. 300) spiegarono il meccanismo della cosiddetta duplicazione semiconservativa del DNA (già accennata nel Capitolo 1). In sintesi, si poté osservare che la riproduzione del DNA avviene secondo questa modalità: la doppia elica si apre come una cerniera in seguito a rottura dei legami idrogeno tra le basi complementari e i due filamenti che si separano fungono da stampo sul quale, se sono disponibili i nucleotidi e gli enzimi necessari a unirli, si ricostruisce un filamento identico a quello che si è separato (fig. 10). Pertanto, ciascuna delle due nuove molecole di DNA che si formano è costituita da un filamento conservato (quello parentale) e da un altro neosintetizzato (da qui il termine di duplicazione semiconservativa ). Se in via teorica il meccanismo di duplicazione del DNA è piuttosto semplice, nella realtà della cellula è un processo molto complesso, che richiede l intervento e la cooperazione di molti fattori proteici (enzimi e altre proteine). Fig. 10. La doppia elica si svolge a partire da un punto detto di origine della duplicazione e ogni filamento funge da stampo per la sintesi di due nuovi filamenti complementari. Fig. 11. Lo schema esemplifica come la duplicazione del DNA proceda attraverso la formazione lungo la sua molecola di differenti bolle di duplicazione che alla fine si fondono insieme. Inizia la duplicazione: i due filamenti si srotolano e si separano tra loro in punti specifici lungo la molecola. 11 Ogni filamento parentale serve come stampo per il montaggio delle basi secondo le loro regole di appaiamento. Entrambe le molecole di DNA così generate, per metà vecchie e per metà nuove, sono del tutto identiche alla molecola parentale. IL MeccANIsMo DeLLA DupLIcAzIoNe. Nel genoma umano sono presenti oltre 3 miliardi di nucleotidi distribuiti, in doppia copia, in 46 cromosomi, cioè in 46 molecole di DNA e la sintesi del DNA avviene, come in tutti i mammiferi, a una velocità di circa 50 nucleotidi al secondo. Ora, si è calcolato che, se la duplicazione del DNA avvenisse a partire da un unica estremità della molecola, l intero processo durerebbe anche una o più settimane, un tempo assai maggiore del periodo destinato, nel ciclo cellulare, alla sintesi di DNA (circa un ora). Per ovviare a questo problema, la duplicazione negli eucarioti di fatto prende avvio contemporaneamente in moltissimi punti della molecola, detti punti di origine della duplicazione (fig. 11). In corrispondenza di questi si formano le cosiddette forcelle di duplicazione, che procedono in senso bidirezionale rispetto al punto di origine, formando delle bolle di duplicazione. In uno stesso istante migliaia di bolle di duplicazione si allargano fino a che si incontrano e si fondono insieme generando alla fine due nuove molecole di DNA. 8

9 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ Guida allo STUDIO Quali furono gli studi decisivi che portarono a concludere che il DNA è la molecola che contiene l informazione genetica? In che modo Watson e Crick hanno ragionato per stabilire gli accoppiamenti tra le basi complementari nella doppia elica del DNA? Perché si parla di duplicazione semiconservativa del DNA? Come si svolge la duplicazione del DNA? Osserviamo ora più in dettaglio il processo di duplicazione (fig. 12). La doppia elica del DNA, come vedremo nel Capitolo 13, paragrafo 2, è impacchettata in modo tale da potere essere contenuta nello spazio ridotto del nucleo. Affinché la duplicazione possa avere luogo, il DNA deve prima essere spacchettato e la doppia elica svolta; occorre quindi che nel punto di origine della duplicazione, contrassegnato da una specifica sequenza di nucleotidi, i legami idrogeno tra le basi complementari siano spezzati in modo da aprire la doppia elica e i filamenti siano separati: ciò affinché le loro basi siano esposte e possano accoppiarsi a nuovi nucleotidi tramite legami idrogeno e dare corso alla duplicazione. A queste operazioni presiedono enzimi, in particolare le elicasi, e proteine di attivazione che si attaccano ai singoli filamenti per tenerli separati. Una volta che i filamenti della doppia elica si sono separati, intervengono altri complessi proteici, tra cui il più importante consiste di un gruppo di enzimi chiamato DNA-polimerasi, che catalizzano la reazione di sintesi (cioè di polimerizzazione) delle due nuove catene polinucleotidiche per aggiunta successiva dei nucleotidi necessari. Nel punto dove inizia la replicazione occorre la presenza di un primer o innesco, ossia un brevissimo frammento di acido nucleico complementare alla catena da replicare (alla sua formazione presiede l enzima primasi). Come abbiamo detto, i due filamenti di una molecola di DNA sono antiparalleli: uno corre da un estremità 3 a un estremità 5, cioè in direzione 3 5, l altro da un estremità 5 a un estremità 3, cioè in direzione 5 3. I due nuovi filamenti dovranno pertanto allungarsi e accoppiarsi ai filamenti stampo, rispettivamente, in direzione 5 3 e 3 5. Ora, l attività della DNA polimerasi è unidirezionale, cioè va da 5 a 3 : l aggiunta di nucleotidi alla nuova catena in formazione può solo procedere in questa direzione. Consideriamo il filamento stampo parentale che ha direzione 3 5 : il filamento a esso complementare che viene sintetizzato, detto filamento guida, può allungarsi in modo continuo per azione della DNA-polimerasi in direzione 5 3, nello stesso verso in cui avanza la forcella di replicazione. Il filamento complementare all altro filamento stampo può allungarsi solo nel verso contrario rispetto al filamento guida, cioè nella condizione in cui la DNApolimerasi può operare procedendo in direzione 5 3. In questo caso il filamento viene sintetizzato in modo discontinuo attraverso una procedura più laboriosa: perciò viene chiamato filamento lento (o in ritardo). In pratica la DNA-polimerasi, partendo dall estremità 3 del primer, replica piccoli segmenti di circa nucleotidi, chiamati frammenti di okazaki (dal nome del ricercatore giapponese che li ha scoperti) i quali sono via via uniti dall enzima DNA-ligasi; per la sintesi di ogni nuovo frammento di Okazaki deve essere presente un nuovo primer. 12 Fig. 12. Schema complessivo della duplicazione del DNA. 9

10 13 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ Fig. 13. L analisi della struttura della DNA polimerasi ha permesso di localizzare nell enzima, dalla parte opposta rispetto al sito con attività polimerasica, un sito in cui esso svolge l attività di una esonucleasi, specializzata in correzione delle bozze (proofreading). proofreading. Il complesso della DNA polimerasi ha una caratteristica importante: è in grado di correggere eventuali errori introdotti durante la sintesi. Quando ciò succede, la DNA polimerasi è in grado di invertire il suo senso di marcia e la sua attività: diventa così una esonucleasi, ossia un enzima che degrada il DNA, agendo in direzione da 3 a 5 (fig. 13). La degradazione procede fino al punto in cui è stato introdotto l errore, quindi riparte l attività polimerasica in direzione da 5 a 3. Questa capacità di correzione degli errori è conosciuta col termine proofreading (parola inglese che significa correzione di bozze ). Questa funzione ha un importanza vitale per gli organismi perché, eliminando gli errori, impedisce di fatto che si introducano come conseguenza pericolose mutazioni. L esperimento di Meselson e Stahl Meselson e Stahl partirono dalla considerazione che l azoto è un componente essenziale del DNA, perciò, ogni volta che una cellula si divide e il suo DNA si duplica, quest ultimo dovrà incorporare nuovi atomi di N per distribuirsi nelle cellule figlie. Scelsero allora di utilizzare, accanto all isotopo comune 14 N leggero, l isotopo radioattivo 15 N più pesante. L idea era poi quella di sottoporre le miscele di coltura delle cellule duplicate a una particolare tecnica di centrifugazione, detta per gradiente di densità, in grado di separare le frazioni di DNA contenenti l isotopo 14 N leggero da quelle marcate con l isotopo 15 N pesante (fig. 14). L esperimento conferma quindi l ipotesi della duplicazione semiconservativa del DNA: le nuove molecole di DNA che si formano per duplicazione sono formate da un filamento parentale e da un filamento neosintetizzato. a b 14 Fig. 14. a. Furono coltivate cellule per varie generazioni in un terreno contenente solo azoto pesante ( 15 N); dopo centrifugazione nella provetta si ottenne una sola banda (in blu) di DNA pesante ; b. cellule coltivate in 15 N pesante furono trasferite in un terreno contenente solo 14 N leggero ; dopo centrifugazione si ha la sedimentazione di una banda (in viola) in una zona più in alto rispetto alla precedente, poiché il DNA è un ibrido 15 N/ 14 N (tutto il DNA contiene quindi un uguale rapporto di 15 N e 14 N); c c. continuando la duplicazione per un altra generazione, si ottengono due bande, una formata da solo DNA leggero (in rosso) contenente solo 14 N, l altra (in viola) formata da DNA ibrido. 3 L ipotesi un gene-una proteina e la scoperta del ruolo dell RNA I geni codificano gli enzimi e ogni altra proteina Una volta raggiunta la certezza che il materiale ereditario è costituito da DNA e dopo la rivelazione della sua struttura a doppia elica, rimaneva il problema di stabilire come l informazione contenuta nel DNA, e quindi nei geni, potesse dare origine al fenotipo, cioè all insieme di proteine che determinano la struttura di un organismo e degli enzimi che ne governano le attività metaboliche. La risposta precisa a questo problema sarebbe giunta entro pochi anni, a coronamento di un percorso che parte agli inizi del Novecento con gli studi di un medico inglese, Archibald Garrod: questi per primo ipotizzò l esistenza di una correlazione fra ereditarietà ed errori congeniti del metabolismo. In particolare studiò una malattia ereditaria, l alcaptonuria, in cui si ha la produzione di urine con colorazione rosso scura, dovuta alla presenza di una sostanza acida chiamata alcaptone. Secondo Garrod le persone colpite dalla malattia erano prive di un enzima in grado di decomporre l alcaptone e postulò che ciò fosse dovuto alla presenza di un gene difettoso. La sua ipotesi fu in seguito confermata. 10

11 CSHL Press. 15 Fig. 15. La muffa Neurospora crassa (immagine al microscopio elettronico a scansione). 16 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ L esistenza di una relazione fra geni ed enzimi trovò una conferma definitiva agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso grazie al lavoro di due genetisti statunitensi, George Beadle e edward tatum, che effettuarono una serie di esperimenti su Neurospora crassa, una comune muffa del pane (fig. 15). Varietà selvatiche di questa muffa, poste in un terreno di coltura minimo, contenente cioè solo sali inorganici, carboidrati e biotina, erano in grado di sintetizzare autonomamente ogni altra sostanza che serviva loro per crescere, come le vitamine e gli amminoacidi. Beadle e Tatum fecondarono gli organi riproduttivi femminili di un ceppo selvatico con dei conidi del fungo recanti mutazioni indotte mediante trattamento con raggi X. Le spore ottenute furono isolate e fatte crescere in un terreno adeguato a soddisfare le loro richieste nutrizionali (in particolare conteneva tutti gli aminoacidi che solitamente la muffa non è in grado di sintetizzare da sola). Campioni di questi ceppi furono quindi trasferiti su un terreno di coltura privo di amminoacidi e si osservò che alcuni cessavano di crescere. Questa incapacità fu attribuita alla mancanza di uno degli enzimi che nel metabolismo presiedono alla sintesi di un certo amminoacido: il ceppo mutante era quindi privo del gene che codificava per quell enzima. L ipotesi fu provata dimostrando che l aggiunta dell amminoacido la cui sintesi era bloccata, permetteva al ceppo mutato di riprendere a crescere. In base ai risultati dei loro esperimenti, Beadle e Tatum poterono giungere alla conclusione che la funzione di un gene è quella di determinare la produzione di uno specifico enzima e di formulare quindi l ipotesi un gene-un enzima che, verificata in numerosi altri esperimenti, risultò confermata nei suoi aspetti generali. In seguito, tuttavia, si precisò meglio la formulazione dell ipotesi che venne modificata nell espressione un gene-una proteina, per tenere conto del fatto che non tutte le proteine sono enzimi (esse possono avere, per esempio, funzione strutturale, come il collagene, una proteina presente nei tessuti connettivali); infine, dopo che si osservò che in molti casi una proteina è costituita da più catene di polipeptidi, ciascuno codificato da un gene, fu introdotta l espressione un gene-un polipeptide. L RNA: il tramite fra il DNA e le proteine Dopo la scoperta che i geni sono costituiti da DNA, l ipotesi un gene - un polipeptide poneva una serie di interrogativi. Quello più pressante riguardava il modo in cui l informazione genetica contenuta nel DNA confinato nel nucleo, e codificata in sequenze di soli quattro nucleotidi diversi, fosse riconducibile alla formazione di proteine, che non solo vengono sintetizzate nel citoplasma, ma sono costituite da sequenze di venti possibili amminoacidi. Le ricerche stimolate da questo problema portarono a concludere che il DNA non agisce direttamente nella trasmissione del proprio messaggio, ma utilizza un intermediario che, dopo essere stato debitamente istruito, trasferisce le informazioni là dove avviene effettivamente la sintesi delle proteine. Si scoprì che il ruolo di intermediario è svolto da un altro acido nucleico: l RNA o acido ribonucleico. Dal punto di vista chimico l RNA è un polinucleotide formato da sequenze di quattro tipi di nucleotidi; è quindi molto simile al DNA, ma rispetto a questo presenta alcune differenze specificate nella figura 16. Fig. 16. Le differenze tra RNA e DNA. 11

12 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 17 Fig. 17. Nel nucleo della cellula eucariote il DNA è trascritto in mrna che migra nel citoplasma dove, con l aiuto di rrna (presente nei ribosomi) e di trna (non rappresentato), traduce il suo messaggio in una sequenza di amminoacidi, cioè in una proteina. Esistono vari tipi di RNA (descritti oltre), ciascuno dei quali svolge compiti ben precisi; i principali sono: RNA messaggero (mrna), RNA di trasporto (trna) e RNA ribosomale (rrna). A grandi linee il processo che, partendo dal DNA, porta alla sintesi delle proteine consiste di due fasi: una fase di trascrizione in cui il DNA copia o trascrive il proprio messaggio in una molecola di RNA (mrna); una fase di traduzione in cui l RNA (mrna) trascritto si trasferisce dal nucleo al citoplasma dove un adeguato macchinario, costituito da trna, rrna e ribosomi, lo traduce nel linguaggio delle proteine basato sugli amminoacidi (fig. 17). Il processo, che prende il nome di espressione genica, può essere così schematizzato: DNA trascrizione RNA traduzione proteine (nucleo) (cittoplasma) L espressione genica si realizza quindi attraverso un flusso di informazioni che va dal DNA all RNA, alle proteine. Questa sequenza, che è universalmente valida, tranne alcune rare eccezioni (vedi a lato), è stata definita da Crick il dogma centrale della biologia molecolare (fig. 18). Il dogma centrale della biologia molecolare Focus UN ECCEZIONE AL DOGMA CENTRALE DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE. In alcuni virus l informazione genetica è contenuta nella molecola di RNA che, con l aiuto di un particolare enzima, la trascrittasi inversa, viene tradotto in una molecola di DNA: sarà questa a dirigere nell organismo infettato le operazioni necessarie per la moltiplicazione del virus stesso. La scoperta di questa eccezione si è rivelata importantissima per lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare. rrna dna trascrizione RibosomA traduzione proteina mrna trna 18 Guida allo STUDIO Come può essere descritto il significato dell ipotesi: un gene-un enzima? In che modo si inserisce la molecola dell RNA in questa ipotesi? In che cosa differisce la molecola dell RNA da quella del DNA? Quali RNA sono presenti nella cellula? Quali funzioni svolgono? 12 I vari tipi di RNA RNA messaggero (mrna). Ha il compito di veicolare l informazione genetica nella cellula: per la precisione dal nucleo, dove l mrna è sintetizzato, al citoplasma, dove sono presenti i ribosomi che, come vedremo più in dettaglio, sono il sito in cui a partire dagli mrna vengono sintetizzate le proteine. RNA di trasporto (trna). È costituito da molecole piuttosto piccole e ha il ruolo di traduttore dell informazione trasportata dall mrna. RNA ribosomale (rrna). È il tipo di RNA più abbondante nella cellula. Fa parte dei ribosomi, in cui è presente associato a proteine ribosomali. rrna e proteine ribosomali funzionano insieme in modo da far interagire correttamente mrna e trna nel processo di sintesi proteica (vedi paragrafo 6). micro RNA (mirna) e small interfering RNA (sirna). Sono una classe di piccole molecole di RNA non codificante, che si legano a molecole di mrna complementari e ne inibiscono la traduzione o ne facilitano la degradazione. Questi tipi di RNA, come vedremo nel prossimo capitolo, svolgono un ruolo molto importante nel controllo dell espressione genica.

13 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ Fig. 19. a. Rappresentazione del processo di trascrizione. b. Struttura base di un gene che codifica per una proteina. c. Schema del processamento dell mrna che ha lo scopo di rimuovere gli introni La trascrizione e il processamento dell RNA Come abbiamo detto, il messaggio genetico codificato nella molecola del DNA non può essere utilizzato direttamente per la sintesi delle proteine che avviene nel citoplasma, ma viene trasferito nella molecola dell mrna, grazie al processo di trascrizione: in questo uno dei filamenti del DNA è usato come stampo per la sintesi di un filamento complementare di RNA. Il processo è mediato dall enzima RNA polimerasi, che, muovendosi in direzione 3 5 lungo il filamento stampo di DNA, sintetizza un RNA complementare (fig. 19a). Si tratta di un meccanismo simile alla duplicazione del DNA, con questa differenza: a essere copiato è uno solo dei due filamenti del DNA e la copiatura (trascrizione) produce una molecola di mrna, cioè una sequenza di ribonucleotidi complementare al tratto copiato, dove le basi complementari sono G - C e A - U (invece di A - T). La trascrizione inizia in corrispondenza di un promotore, che è una specifica sequenza di basi del DNA che segnala l inizio di un gene e al quale si lega l RNA polimerasi; l enzima si sposta lungo il filamento di DNA fino a completare la a trascrizione in corrispondenza di un altra specifica sequenza di terminazione che segnala la fine del gene (fig. 19b). A questo punto avviene il distacco e la liberazione della nuova molecola di mrna, che prende il nome di trascritto primario. La molecola di mrna, tuttavia, non è ancora ultimata. Affinché le sue istruzioni possano essere utilizzate nella traduzione essa deve subire una serie di ritocchi : questa operazione è chiamata processamento dell RNA (fig. 19c). Per prima cosa alle estremità 5 e 3 della molecola di mrna trascritto primario sono aggiunti, rispettivamente, un cappuccio formato da un solo nucleotide e una coda di poli-a formata da alcuni nucleotidi contenenti come base solo adenina. Il cappuccio ha un ruolo nel riconoscimento da parte dei ribosomi, mentre la coda ha una funzione protettiva dall attacco degli enzimi cellulari. Vi sono poi altre modifiche interne. La maggioranza dei geni degli eucarioti contiene sequenze di basi non codificanti, cioè non contenenti istruzioni per sintetizzare proteine, dette introni, che si interpongono tra le regioni dette esoni: queste sono le parti destinate a essere espresse, cioè tradotte in amminoacidi e quindi in proteine. Introni ed esoni sono trascritti entrambi nella molecola del trascritto primario di mrna; occorre perciò eliminare gli introni non codificanti e unire tra loro gli esoni: questo intervento, chiamato splicing ( saldatura ) avviene per azione di un complesso formato da proteine e piccoli frammenti di RNA. A questo punto è pronto l mrna trascritto maturo, idoneo per essere trasferito nel citoplasma. Nei procarioti, invece, la struttura dei geni non presenta introni e data l assenza di una membrana nucleare, l mrna è introdotto direttamente nel citoplasma. b c 13

14 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 5 Il codice genetico La molecola di mrna porta un informazione scritta in un alfabeto a 4 lettere, rappresentate dalle quattro basi nucleotidiche (A, C, G, U). L alfabeto delle proteine è formato da 20 lettere, tante quanti sono gli amminoacidi naturali utilizzati come monomeri per formare le loro sequenze molecolari. In che modo il linguaggio dell mrna e quindi del DNA può essere tradotto nel linguaggio delle proteine? La regola di corrispondenza che fornisce la chiave per tradurre l informazione contenuta in una sequenza di nucleotidi di un gene nella sequenza di amminoacidi di una proteina costituisce il codice genetico. Questo fu decifrato dai biologi all inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, in particolare grazie agli esperimenti compiuti dal biochimico statunitense Marshall Nirenberg (vedi riquadro nella pagina a lato). Fu subito scartata l idea che ogni base azotata potesse corrispondere a un amminoacido: solo 4 amminoacidi su 20 avrebbero potuto essere codificati; allo stesso modo fu scartata l idea di un codice con parole di 2 lettere, che fornirebbe solo 16 (4 2 ) possibili combinazioni di parole, cioè di basi prese a due a due, meno delle 20 necessarie. Un codice basato su combinazioni di basi prese a tre a tre poteva invece contemplare un dizionario di 64 (4 3 ) parole, ampiamente sufficiente a rappresentare i 20 amminoacidi. Gli esperimenti dimostrarono che questa era la chiave cercata per la traduzione: un codice a triplette. Ogni amminoacido è in effetti codificato da una sequenza di 3 basi azotate, chiamata tripletta o codone. L insieme dei 64 codoni, che sono triplette di basi dell RNA, rappresenta il codice genetico (fig. 20). Fig. 20. Il codice genetico costituito da 64 basi dell mrna. 20 Phe = fenilalanina Leu= leucina Ile = isoleucina Met= metionina Val = valina Ser = serina Pro = prolina Thr = treonina Ala = alanina Tyr = tirosina His = istidina Gln = glutammina Asn= asparagina Lys = lisina Asp= ac. aspartico Glu = ac. glutammico Cys= cisteina Trp = triptofano Arg = arginina Gly = glicina 14

15 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ La decifrazione del codice genetico Gli esperimenti, iniziati nel 1961 da Mars hal l Ni renberg ( ) e collaboratori presso i National Institutes of Health (Stati Uniti), cominciarono con la traduzione in vitro di sequenze contenenti un unica base azotata. La traduzione in vitro consiste nel ricreare artificialmente il sistema di traduzione. Ciò si fa mettendo insieme in una provetta l RNA che si vuole tradurre con un estratto cellulare, per esempio da batterio (che contiene tutti gli enzimi necessari), ATP, per fornire energia, e tutti gli amminoacidi. Dopo un certo tempo, l RNA è convertito in proteina, che può essere isolata e analizzata. Si vide così che un RNA costituito solo da uracile, ripetuto più volte, chiamato poli-u, dava luogo a un polipeptide contenente solo l amminoacido fenilalanina. Si procedette quindi a tradurre dei poli-a, poli-c, poli-g e poi via via combinazioni sempre più complesse (poli-ac, poli-ag, poli- AAC, poli-aag, ecc.) (fig. 21). Tutte queste prove permisero alla fine di approdare alla decifrazione di 54 dei 64 codoni del codice genetico. Successivi lavori compiuti da Gobind Khorana (biologo molecolare statunitense di origine indiana) permisero di identificare i restanti codoni e poco tempo dopo il biochimico statunitense Robert holley determinò la struttura dell RNA di trasporto (trna), basando le sue ricerche su studi precedentemente effettuati dal biochimico ispano-statunitense s evero ochoa (insignito del premio Nobel nel 1959 per i suoi lavori sugli aspetti enzimatici della sintesi delle proteine). Nel 1968, Nirenberg, Holley e Khorana ricevettero il premio Nobel per la fisiologia e la medicina. 21 Fig. 21. L analisi dei polipeptidi sintetizzati da diversi tipi di mrna sintetici permise di stabilire la corrispondenza tra codone e amminoacido. 22 L ordine di successione dei codoni sul filamento di mrna stabilisce l ordine in cui i singoli amminoacidi saranno uniti tra loro nella catena polipeptidica (fig. 22). Le possibili triplette sono molto superiori al numero degli amminoacidi ma, come si osservò, molti di questi sono codificati da più di un codone: per esempio, la fenilalanina (Phe) è codificata dalle due triplette, UUU e UUC, la valina (Val) dalle quattro triplette GUU, GUC, GUA e GUG. Per questo si dice che il codice genetico è ridondante. La tripletta AUG ha una doppia funzione: oltre a codificare la metionina (Met), rappresenta un codone di inizio, che avvia la traduzione dell mrna sui ribosomi. Infine, tre codoni UAA, UAG e UGA non codificano per alcuna proteina, ma sono segnali di stop o fine, che arrestano l allungamento della catena polipeptidica in formazione. L aspetto più significativo, soprattutto per le implicazioni evolutive, della decifrazione del codice genetico, è la scoperta che esso è un codice universale, che viene adottato con lo stesso significato (escluse poche eccezioni) da tutti gli organismi viventi, dal più piccolo batterio alla gigantesca sequoia. Questo fatto rappresenta quindi una prova inequivocabile dell origine comune di tutti gli esseri viventi. Fig. 22. La traduzione di una sequenza di basi del DNA in un polipeptide. 15

16 LE BASI CHIMICHE DELL EREDITARIETÀ 23 trna 6 La traduzione e la sintesi proteica Per tradurre un messaggio da una lingua all altra occorre un interprete: nella sintesi proteica l interprete è costituito da molecole di trna (RNA di trasporto), presenti in gran numero nel citoplasma. Un trna è costituito da una catena relativamente corta, formata da circa 80 nucleotidi, ripiegata e avvolta su se stessa in seguito a numerosi appaiamenti tra le sue basi azotate tramite legami idrogeno (fig. 23a e b); la sua struttura tridimensionale viene spesso rappresentata su un piano con una forma simile a un trifoglio (fig. 23c). Sono presenti oltre 20 tipi diversi di trna, almeno uno per ciascuno dei vari tipi di amminoacidi. a b c Fig. 23. a. Rappresentazione al computer della struttura tridimensionale di una molecola di trna e, b., modello grafico della stessa molecola con evidenziati il sito di legame dell amminoacido e l anticodone: nell esempio questo è accoppiato al codone che nella molecola di mrna codifica per la serina. c. Modello detto a trifoglio del trna. 24 b a L estremità 3, che termina sempre con una sequenza CCA, costituisce il sito di legame per uno specifico amminoacido. Un enzima presente nel citoplasma riconosce ogni specifica molecola di trna e, utilizzando l energia fornita da una molecola di ATP, lega alla sua estremità l amminoacido corrispondente, scegliendolo con precisione tra quelli che si trovano nel citoplasma (il processo è detto attivazione degli amminoacidi; vedi la fig. 25 nella pagina a lato). Dalla parte opposta, in un ansa della molecola di trna è presente una speciale tripletta di basi che rappresenta l anticodone. Questo è complementare al codone dell mrna che specifica l amminoacido che si attacca nel sito di legame: l appaiamento tra anticodone del trna e codone dell mrna costituisce la regola per fare corrispondere un certo amminoacido a una sequenza del messaggio degli acidi nucleici, in altre parole è la chiave per tradurre il linguaggio dei geni nel linguaggio delle proteine. L assemblaggio effettivo dei singoli amminoacidi in catene polipeptidiche, cioè la traduzione vera e propria che si concretizza nella sintesi delle proteine, avviene sui ribosomi, organuli presenti nel citoplasma che hanno il ruolo di coordinare l interazione tra mrna e trna. I ribosomi sono costituiti da due subunità, una grande e una piccola, fatte per due terzi di rrna (RNA ribosomale) e per un terzo di proteine (fig. 24). La subunità più piccola contiene il sito di legame per l mrna, mentre quella più grande ospita i siti di legame per le molecole di trna, indicati con A e P. Fig. 24. a. Modello al computer di un ribosoma rappresentato in modo da evidenziare il suo funzionamento nel corso della traduzione: in particolare si osservano il posizionamento degli anticodoni dei trna sui codoni dell mrna e la catena polipeptidica in via di formazione. b. Modello schematico di un ribosoma in cui sono indicati, oltre al sito di legame dell mrna, i siti di legame A e P dei trna, presenti nella subunità grande. 16

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