1. Lo sfruttamento dell energia idraulica dalle origini al XIV sec.: uno sguardo al contesto tecnologico italiano ed europeo

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1 II. I mulini 1. Lo sfruttamento dell energia idraulica dalle origini al XIV sec.: uno sguardo al contesto tecnologico italiano ed europeo 1.1. TIP OL OGIA DEL LE RUOTE AD ACQUA E C L ASSIFICAZI ONI POSS IB IL I Per millenni l uomo trovò nei propri muscoli o in quelli degli animali domestici la principale fonte dell energia necessaria a trasformare in farina il grano e gli altri cereali. Le cose cambiarono quando entrò a far parte del suo patrimonio tecnologico un meccanismo che gli permise di sfruttare la forza inanimata dell acqua corrente: la ruota idraulica. Il più antico riferimento ad un congegno di tale tipo si trova in un epigramma di Antipatro di Tessalonica, databile attorno all 85 a.c.: in esso il poeta celebra la libertà che il mulino idraulico donava alle donne, prima costrette a muovere per ore la macina con la forza delle loro braccia 1. Circa un secolo più tardi Strabone ricorda il mulino fatto costruire da Mitridate nel suo palazzo di Cabeira, nel Ponto, intorno al 65 a.c. 2. Entrambi questi riferimenti sono estremamente vaghi e non permettono in alcun modo di stabilire quale fosse il tipo specifico di ruota idraulica utilizzata. Nonostante ciò, studiosi di storia della tecnologia come Richard Bennet e John Elton, fra i primi ad occuparsi di questo argomento, sono partiti da tali generici accenni per sostenere che le ruote descritte fossero orizzontali, a causa della loro natura primitiva, e che questa tipologia fosse stata presto adottata in gran parte dell Italia rurale 3. Tale supposizione si basava essenzialmente sulla testimonianza di Plinio il Vecchio, che per il periodo attorno al 75 d.c. parla di una larga diffusione in Italia del mulino orizzontale 4. Ma già quasi un secolo prima, attorno al 20 a.c., Vitruvio aveva descritto con sufficiente chiarezza il funzionamento di una ruota idraulica verticale 5 : nonostante il testo abbia dato adito a varie interpretazioni, è generalmente accettato che egli descriva una ruota colpita dall acqua nella sua parte inferiore 6. Sulla base dei pochi accenni contenuti nelle fonti scritte, si sono dunque succedute numerose ipotesi riguardo alla tipologia dei primi meccanismi idraulici, alla cronologia della loro comparsa, al luogo 1 Antipatro di Tessalonica, Anth. Pal., IX, Strabone, Geograph., XII, 3, Bennet-Elton, , vol. 2, p. 6, cit. in Muendel, 1974, p Plinio, Nat. Hist., XVIII, Vitruvio, De Arch., X, V, Cuomo di Caprio, 1985, p. 98.

2 di origine ed alle modalità di diffusione 7. Sino a tempi recenti la tendenza generale degli studiosi di storia della tecnologia è stata quella di ipotizzare due linee evolutive rigidamente alternative, delle quali l una soppianta l altra, facenti capo rispettivamente alla tipologia di ruota orizzontale ed a quella di ruota verticale. Un altra idea comunemente riscontrabile nella letteratura tecnica tradizionale è quella di una presunta primitività o rozzezza del mulino orizzontale, rispetto a quello verticale, che avrebbe fatto del primo lo strumento tipico di civiltà poco evolute. Lo stesso Marc Bloch, il cui classico studio sulle origini del mulino idraulico ha posto le basi fondamentali per il successivo dibattito storiografico sul ruolo economico e sociale di questo meccanismo durante il Medioevo, per quanto riguarda gli aspetti tecnologici si limita a dire che il mulino orizzontale, rudimentale e primitivo, potrebbe rappresentare una forma di regresso tecnico avvenuto presso popolazioni abituate ad una vita materiale piuttosto 8 povera. Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni studiosi si sono opposti decisamente all idea di un evoluzionismo tecnologico secondo il quale il tipo più efficiente succede al tipo ritenuto più primitivo soppiantandolo, ed hanno negato nella fattispecie che per la ruota orizzontale si possa parlare di arretratezza o regresso tecnico 9. In ambito toscano, ad esempio, John Muendel si è opposto a questo luogo comune, in base ai risultati di una vasta ricerca condotta entro i fondi archivistici notarili di Pistoia e Firenze, sulla quale torneremo ampiamente in seguito. I dati reperiti, infatti, mostrano che proprio il mulino orizzontale rappresenta il tipo più antico conosciuto, il più diffuso nell area esaminata e probabilmente in tutta la regione 10. Le diverse tipologie, dunque, non sono da ritenersi interdipendenti e probabilmente coesistono fin dalle origini, adattandosi alle diverse esigenze locali secondo le caratteristiche quantitative e qualitative dell energia disponibile. è quindi estremamente importante cercare di chiarire quali fattori ambientali, congiunture economiche, linee di trasmissione del sapere tecnologico o elementi di resistenza locali, abbiano determinato il prevalere di un certo tipo in alcune aree piuttosto che in altre. Pur avendo bene in mente le precedenti considerazioni, abbiamo ugualmente deciso di proporre qui un tentativo di classificazione delle diverse ruote idrauliche. Si tratta di uno schema, infatti, che non intende presentarsi come una evoluzione di tipi che si succedono l uno all altro, in un rigido percorso che vede l adozione, attraverso i secoli, di soluzioni a sempre maggior rendimento. Ciò che si sottolineerà più volte, al contrario, sarà proprio la coesistenza, negli stessi luoghi e negli stessi periodi, di tecnologie differenti, ed anzi spesso il prevalere, in determinate aree, di tipologie 7 Bennett ed Elton affermavano, ad esempio, che il mulino vitruviano doveva essere certamente conosciuto al tempo di Plinio, ma soltanto dai tecnici romani, mentre non doveva essere diffuso estesamente perché troppo complicato e costoso (Bennet-Elton, , vol. 2, p. 6, cit. in Muendel, 1974, p. 204). Gille riteneva che il mulino greco-romano comportasse una ruota verticale e che la presenza della ruota orizzontale in alcune zone dell Europa occidentale fosse stata una recente importazione dei secc. XVI-XVII (Gille, 1954, pp.1-2). Secondo Curwen, che riesaminava la teoria di Bennett ed Elton alla luce di nuove fonti, il mulino orizzontale era giunto dall Est nel mondo mediterraneo e vi era conosciuto nel I sec. a. C. (Curwen, 1944, pp ). Forbes riteneva che l origine della ruota orizzontale fosse incerta, ma che probabilmente essa fosse apparsa per la prima volta nelle zone montuose del Vicino Oriente e da qui si fosse diffusa ad Est ed Ovest, cfr. Forbes, 1962a, p Lynn White ipotizzava invece che la ruota orizzontale fosse stata un invenzione barbarica, diffusasi da un ignoto centro posto a Nord-Est dell impero romano, cfr. White, 1967, p Del tutto diversa l impostazione del problema proposta dal Needham, il quale, avendo dimostrato che i più antichi mulini cinesi erano orizzontali, ritiene che prima dell era cristiana questo tipo abbia raggiunto il Ponto e si sia poi affermato lungo le coste mediterranee nei primi secoli dopo Cristo (Needham, 1981, vol. IV, cap. 27, par. 6). 8 Bloch, 1969, p. 82 (ed. orig. 1935). L idea che il mulino orizzontale rappresenti un meccanismo primitivo è stata ancora ribadita in Makkai, 1981, pp e Reynolds, 1983, pp. 7 e Dockes, 1991, p. 120; Balestracci, 1981, p. 133; Berretti-Jacopi, 1987, p. 33; Comet, 1992, p. 438, ha definito il mulino orizzontale un moulin denigré. 10 Muendel, 1974, p. 206; Muendel, 1984, p. 219.

3 contraddistinte da una bassa produttività, ma che evidentemente presentavano minori difficoltà di sfruttamento, minori costi, maggiore duttilità nell adattarsi alle caratteristiche ambientali di taluni territori. Le pagine che seguono hanno inoltre l obbiettivo di rendere più chiaro al lettore il funzionamento delle varie macchine idrauliche, fornendo anche alcuni dettagli tecnici indispensabili per comprendere con maggiore facilità i caratteri strutturali degli impianti individuati all interno del bacino idrografico Farma- Merse. Una classificazione delle ruote idrauliche, infine, si rende necessaria per capire come proprio questo elemento dell intero meccanismo sia stato la chiave di volta per l impiego dell energia dell acqua in altre attività produttive, oltre che nella macinazione del grano: i cosiddetti usi industriali, quali soprattutto la follatura della lana, cui soltanto accenneremo nelle pagine seguenti, o la metallurgia, argomento trattato nel terzo capitolo. Il tipo più semplice di mulino era quello a ruota orizzontale o ritrecine : all estremità inferiore di un albero verticale era fissata una piccola ruota sistemata orizzontalmente, detta appunto ritrecine, composta di pale, piatte o a cucchiaio, che venivano colpite e fatte girare da un getto d acqua a forte pressione. L estremità superiore dell albero passava attraverso la macina inferiore fissa ed era ancorata, mediante una barra trasversale, alla macina superiore rotante 11. Poiché non era necessario ribaltare il piano di macinazione rispetto a quello di rivoluzione della ruota idraulica, l impianto non necessitava di meccanismi, ma funzionava meglio se dotato di un bacino di riserva e di una condotta forzata. Questo tipo di mulino aveva il vantaggio della semplicità: era facile e poco costoso da costruire e da mantenere, non prevedeva complicati ingranaggi da riparare continuamente a causa dell attrito 12 ; d altra parte, però, non forniva di solito un grande quantitativo di energia (1-2 CV) e con un rendimento piuttosto scarso 13 (infatti le macine giravano lentamente, compiendo l intera rotazione una volta per ogni rivoluzione della ruota idraulica, per cui non riuscivano a macinare che modeste quantità di grano) 14. Esso poteva funzionare unicamente con piccoli volumi d acqua a flusso rapido ed era quindi adatto anche per le zone montane e per quelle prive di fiumi e torrenti di una certa consistenza. Un mulino orizzontale, tipologia come abbiamo visto già nota a Plinio, è stato scavato in un abitato romano di II sec. d.c. in Tunisia, mentre altri due esempi, risalenti ai primi secoli dell era cristiana, sono stati individuati in scavi nello Jutland 15. I mulini orizzontali furono estremamente diffusi fino al tardo Medioevo e molti esempi se ne ritrovano ancora oggi in Grecia, nelle isole Orkney e Shetland, in Romania, in Scandinavia: di qui la definizione mulino greco o scandinavo adottata da alcuni studiosi 16. Tale tipologia era praticamente la sola conosciuta in Provenza nel periodo medievale e moderno 17, era diffusa in tutte le zone accidentate della Francia 18 e fu probabilmente anche il tipo più frequente in Toscana durante il Medioevo. Quasi tutti i mulini pistoiesi presi in esame dal Muendel, ad esempio, erano a ruota orizzontale e non possedevano meccanismi 19. Il ritrecine, inoltre, dominava incontrastato nel territorio di Lucca e di Pescia ed è rimasto il tipo più comune fino ai nostri giorni 20. Anche nel pratese tutti i mulini idraulici giunti fino a noi sono di tipo a ritrecine, ed è ipotizzabile che questa prevalenza si verificasse già nel periodo 11 V. la ricostruzione proposta in Pierotti, 1993 p Comet, 1992, p Attorno al 5-15% secondo Reynolds, 1984, p. 110, tra 10 e 20% secondo Makkai, 1981, p I calcoli presentati in Foresti-Baricchi-Tozzi Fontana, 1984, p. 75, riporterebbero un rendimento più alto, attorno al 30-40%, ma ci si riferisce a meccanismi più moderni, con maggiore impiego di parti in ferro. 14 Forbes, 1962a, p. 603: fornisce alcuni dati quantitativi sulla produzione media. 15 White, 1967, p. 147; Comet, 1992, p Forbes, 1962a, p. 603; Comet, 1992, p Comet, 1992, p Alpi, Prealpi, Massiccio Centrale, Jura, Pirenei, Bretagna, Corsica; alcuni esemplari sono rimasti in funzione almeno fino al XVIII sec., cfr. Dockes, 1991, p Muendel, 1974, pp ; Muendel, 1984, pp Berretti-Jacopi, 1987, p. 24.

4 medievale 21. Lo stesso discorso è valido per la zona del Mugello, dove i mulini documentati posteriormente al XV sec. sono di tipo orizzontale 22, e per il Chianti, ove sembra che l uso del ritrecine fosse diffuso e del tutto comune 23. è da segnalare infine, sempre per l ambito toscano, il recente studio e recupero di un notevole complesso di mulini a ritrecine presso Rio nell Elba, il cui stato di conservazione, piuttosto buono, permette di avere un idea abbastanza chiara sul funzionamento di impianti di questo tipo 24. Notevole interesse suscitò poi questo meccanismo, ma soprattutto le sue possibilità di miglioramento, nei due ingegneri senesi del 400 Mariano Taccola 25 e Francesco di Giorgio Martini 26 : estremamente sensibili verso i molteplici problemi dello sfruttamento dell energia idraulica 27, ci offrono nei loro trat tati tecnici alcune delle più antiche raffigurazioni di ritrecini, talvolta in associazione con il meccanismo vitruviano che ne aumentava la velocità e l efficienza 28. Il mulino descritto da Vitruvio, e probabilmente anche quello citato nell opera di Lucrezio 29, era invece verticale, di tipo azionato per di sotto : si trattava, cioè, di una ruota a palette radiali piane fissate alla circonferenza, azionata dall impatto dell acqua che fluiva lungo la sua parte inferiore spingendo contro le palette stesse. Le principali componenti consistevano nell albero orizzontale terminante in un mozzo, in un numero variabile di bracci radiali che da questo si dipartivano, in un cerchione esterno entro il quale si incastravano i bracci e su cui erano fissate le pale per mezzo di supporti sporgenti in legno o metallo, in eventuali cerchioni laterali per rendere più compatto l insieme 30. Questo tipo di ruota poteva funzionare in qualsiasi corso d acqua dotato di un flusso discretamente costante, che scorresse a velocità piuttosto rapida, ma lavorava con il massimo rendimento in un canale limitato, possibilmente fornito di una saracinesca che regolasse l afflusso dell acqua contro la ruota. L energia fornita andava da 2 a 3 CV con un rendimento del 20-30% 31. La grande novità, rispetto al mulino a ritrecine, era la presenza di ingranaggi che permettevano di ribaltare su un asse verticale il movimento fornito da un albero orizzontale: questo era possibile grazie ad una ruota dentata, il lubecchio, fissata ad una delle estremità dell asse della 21 Moretti, 1985, pp : i documenti medievali sono poco espliciti, in un solo caso si specifica che si trattava di un retrecinis. A questo proposito l autore propende però per una maggiore diffusione della ruota orizzontale anche nel Medioevo. 22 Romby-Capaccioli, 1981, pp : nessun esempio di ruota verticale è presente nel comune di Barberino ed il mulino denominato Il Rotone, in cui si trovava la ruota verticale, rappresenta un caso isolato e piuttosto recente. 23 Carnasciali-Stopani, 1981, p Pierotti, Si tratta di 22 piccoli impianti molitori, risalenti al XVII-XVIII sec., tutti a ruota orizzontale, concentrati lungo un tratto di circa 2 Km, alimentati da un complesso sistema di canalizzazioni e bottacci intercomunicanti. All interno di uno di essi si è eccezionalmente conservato l intero ritrecine in legno. 25 Raffigurazione di mulino a ritrecine orizzontale dal libro I del De Ingeneis, riprodotta in Taccola, Corpus, tav Martini, Trattati, vol. 1, tavv : più di una dozzina di raffigurazioni. 27 Sull interesse qualificato dei tecnici senesi nel settore delle applicazioni idrauliche, anche oltre i confini del XV sec., v. Galluzzi, 1991b, pp. 15, 26-27, 31 e Galluzzi, 1996, pp. 33 e sgg. 28 Marchis, 1991, p. 115: in particolare Francesco di Giorgio raggiunge nei propri disegni la massima raffinatezza nella costruzione della palettatura, quasi anticipando la turbina idraulica. Le ruote orizzontali sono chiamate retecine o mulino terragnolo e devono avere delle pale costruite come gusci scavati et aperti alquanto da la parte di fore. Anche se non in maniera esplicita traspare che le ruote a gusci sono ruote veloci, che abbisognano di una piccola quantità d acqua ma cacciata con impeto, cioè con elevata velocità d impatto, erogata da un condotto distributore fatto a corno con una piccola uscita. 29 Lucrezio, De Rer. Nat., V, Su questo tipo di ruota v. Makkai, 1981, p. 170 e Reynolds, 1983, p. 10, fig Reynolds, 1984, p. 110.

5 ruota idraulica, i cui denti si incastravano nella lanterna, ingranaggio costituito da due dischi di legno collegati da fuselli e a sua volta fissato su un asse verticale. Il sistema lubecchio-lanterna permetteva anche di aumentare la velocità di rotazione delle macine rispetto a quella della ruota idraulica, in quanto il rapporto tra il numero dei denti del lubecchio e quello dei denti della lanterna poteva variare 32. Ingranaggi di tale genere sono già noti a Vitruvio, che li cita all interno della sua descrizione del mulino per di sotto 33. Naturalmente la costruzione della coppia lubecchio-lanterna richiedeva abilità e conoscenze meccaniche specializzate da parte dei carpentieri; gli ingranaggi erano inoltre sottoposti ad una forte usura che ne provocava spesso il danneggiamento e la sostituzione 34. I più antichi resti conosciuti di un mulino per di sotto sono venuti alla luce nei pressi di Pompei: la ruota idraulica era stata sepolta dall eruzione del 79 d.c., ma la sua impronta, compresa persino quella dei chiodi usati per costruirla, era rimasta impressa nella lava 35. Altre testimonianze ci vengono, per il III sec. d.c., dallo scavo inglese di Haltwhistle Burn e per il V sec. d.c. dalla raffigurazione in un mosaico di Bisanzio 36. Per il Medioevo è spesso difficile distinguere, a causa dell elusività dei documenti, se le ruote verticali fossero colpite dall acqua in basso o in alto. Si tratta, infatti, di documenti legali e non tecnici, che considerano i particolari sulla costruzione di dighe, invasi, canali o ruote dettagli non importanti e quindi da non menzionare. Le prime raffigurazioni su questo tema cominciano solo nel XII sec. e sono talmente generiche che spesso l unica informazione da esse ricavabile è se si trattava di mulini orizzontali o verticali e, nel migliore dei casi, se possedevano ruote per di sopra o per di sotto 37. A questo proposito si è fatto notare che in generale, per ora, questo tipo di indagine non ha dato informazioni esaurientemente probanti a favore di una determinata soluzione tecnologica 38. In genere, comunque, le più antiche ruote idrauliche ad essere raffigurate furono quelle verticali per di sotto riguardo alle quali, nonostante alcuni problemi interpretativi, si possono cogliere dei particolari interessanti. Infatti, a differenza di quelli romani, la maggior parte dei mulini medievali non era dotata di cerchioni laterali che fissavano le pale. è probabile, quindi, che i tecnici dell epoca avessero capito il miglior rendimento delle ruote non cerchionate (i cerchioni laterali, impedendo un veloce defluire dell acqua dopo l impatto sulle pale, di fatto rallentavano il movimento della ruota) ed avessero sviluppato migliori metodi di ancoraggio della ruota all albero e delle pale alla circonferenza 39. Un aspetto simile doveva avere il tipo di mulino denominato orbicum nei documenti medievali pistoiesi: si capisce abbastanza chiaramente che si trattava di un mulino dotato del meccanismo vitruviano e colpito per di sotto, in quanto la terminologia usata lo distingue da quello 32 Comet, 1992, p Si tratta del tympanum e del tympanum dentatum, cfr. nota Si tentò fino ad epoca tarda di migliorare il sistema: Leonardo da Vinci lavorò a lungo tentando di inclinare i denti conici del lubecchio per diminuire l attrito, cfr. Comet, 1992, p L albero portava 18 pale unite da cerchioni sui lati esterni, formanti una ruota di 1,85 m di diametro; l acqua era fornita da un acquedotto. Cfr. Forbes, 1962a, p. 608; Reynolds, 1983, p Reynolds, 1983, pp. 18 (e fig. 1.8), Ivi, pp : si fornisce un elenco molto dettagliato delle più antiche fonti iconografiche raffiguranti mulini idraulici. 38 Moretti, 1985, pp e nota 93: il problema principale è rappresentato dal fatto che il mulino a ritrecine non mostra all esterno alcuna parte del meccanismo e perciò un artista che voleva rendere l idea di mulino doveva necessariamente ispirarsi al tipo di ruota verticale, che di solito è posta all esterno delle strutture. Comunque spesso i mulini sono rappresentati senza riferimento al tipo di ruota anche nel XV e XVI sec. (presumibilmente era interna). 39 Reynolds, 1983, pp Si vedano anche le caratteristiche tecniche della ruota idraulica scavata a Bordesley (infra, Cap. III, par. 1.2), anche se si tratta di una ruota impiegata in un opificio metallurgico. Secondo Makkai, 1981, p. 174, il numero delle palette nelle ruote idrauliche verticali andava da 18 a 28 ed il diametro variava da 1 a 3 metri.

6 colpito da sopra, detto molendinum franceschum 40. Esso sembra essere posto sempre su fiumi navigabili o alle bocche di tributari dove la corrente era costante, ed appare sconosciuto nel territorio di Firenze per quasi tutto il Duecento 41. Nei documenti bolognesi, invece, la terminologia usata nel XIII sec. indica con una certa chiarezza che le ruote di questo tipo erano le più diffuse 42 è da citare, infine, per il suo carattere eccezionale, un documento lombardo del 918 d.c.: la menzione dello scutus, termine che in molti dialetti dell Italia settentrionale indica ancor oggi il lubecchio, induce a supporre che in questo mulino le ruote esterne fossero in posizione verticale, sebbene manchi la citazione dell altro elemento essenziale per la trasformazione del moto, cioè la lanterna. Se questa ipotesi ha valore ci troveremmo di fronte, fin dall inizio del X sec., ad un livello di applicazione tecnologica sorprendente 43. Una maggiore efficienza, rispetto al mulino verticale per di sotto, si ottenne facendo cadere l acqua dall alto sul quadrante superiore della ruota entro cassette fissate alla circonferenza. In questo caso era il peso dell acqua, più che il suo impatto, a far girare la ruota; ogni cassetta versava poi fuori l acqua nel punto inferiore della rivoluzione e tornava vuota in alto per ricominciare il ciclo. I principali componenti erano un albero orizzontale terminante in un mozzo da cui si dipartivano i bracci radiali, i cerchioni che formavano le pareti esterne delle cassette, le cassette o compartimenti perimetrali entro cui si riversava l acqua (costruite in forma tale da mantenere al loro interno il peso di questa il più a lungo possibile), infine un cerchione concentrico con il mozzo, formato da tavole che costituivano la parte interna delle cassette ed alle quali queste ultime erano fissate 44. Tali ruote erano più costose, sia perché più complicate da costruire, sia perché richiedevano un alimentazione ben diretta e regolata: raccolta in una gora dai fiumi o dalle sorgenti, l acqua veniva di qui avviata verso una chiusa posta in posizione elevata, da cui cadeva per colpire sul punto voluto le cassette della ruota. Con un volume d acqua anche molto piccolo ed una caduta da altezza variabile tra 3 e 12 m, queste ruote operavano con un rendimento compreso tra il 50 ed il 70% e fornivano una potenza da 2 a 40 CV (la rendita media era tra 5 e 7 CV) 45. La ruota per di sopra era dunque particolarmente adatta per le regioni con rilievi che offrivano dei dislivelli notevoli ed anche per quelle in cui l acqua non era abbondante, a condizione di avere una buona altezza di caduta. Una variante della ruota per di sopra è il tipo cosiddetto alle reni nel quale, a causa dell insufficiente dislivello, l acqua si riversa nella cassette all altezza dell asse e non alla sommità della circonferenza: dal punto di vista tecnico è una ruota per di sopra, poiché l agente meccanico è la pesantezza dell acqua, ma la caduta e l impatto sono minori ed il senso di rotazione è quello di una ruota per di sotto 46. Anche il mulino verticale per di sopra ha origini molto lontane ed era già impiegato, pur se in rari casi, nei primi secoli dell era cristiana: ad esempio a Barbegal, presso Arles, all inizio del IV sec. d.c. un acquedotto riforniva un doppio canale con una pendenza di 30 e un dislivello di oltre 18 m, entro il quale furono costruite due serie di ben otto ruote per di sopra, con ingranaggi di 40 Muendel, 1984, p Il primo esempio è del 1282, ivi, p Pini, 1987, p Chiappa Mauri, 1984, p Forbes, 1962a, p. 606; Makkai, 1981, p. 171; Reynolds, 1983, p. 12, fig. 1.2; Reynolds, 1984, p Secondo il calcolo proposto in Reynolds, 1984, p Secondo Makkai, 1981, p. 175, il rendimento era di circa il 63%. 46 Comet, 1992, p Il rendimento di una ruota di questo genere si aggirava attorno al 40% (Makkai, 1981, p. 175).

7 legno, che macinavano farina a livello industriale 47. Quasi tutti i mulini di epoca romana erano alimentati da acquedotti: la ragione principale era probabilmente economica, in quanto era più facile usare canalizzazioni pubbliche già esistenti che costruire un sistema indipendente di alimentazione. Durante il Medioevo, invece, fu necessario compiere un notevole sforzo per utilizzare l energia anche di torrenti e di fiumi medio-grandi, attraverso la costruzione di appropriate strutture ausiliarie come dighe, bacini di riserva, canali di alimentazione. Furono inoltre modificati in epoca medievale alcuni dettagli tecnici della ruota idraulica, che la resero più efficiente: fu alleggerito il peso del mozzo e fu ridisegnata la forma delle cassette il cui fondo, da semplicemente inclinato, assunse un profilo a gomito, che tratteneva l acqua più a lungo e permetteva una resa migliore 48. Illustrazioni medievali di ruote per di sopra esistono, ma non prima del XIII-XIV sec., mentre il loro numero aumenta notevolmente nel XV sec., soprattutto nei trattati del Taccola e di Francesco di Giorgio Martini 49. In Toscana il mulino per di sopra è talvolta identificabile nei documenti grazie alla definizione molendinum franceschum. Con tale termine si designava un mulino che aveva sì la coppia lubecchio-lanterna come il già citato molendinum orbicum, ma che se ne distingueva semplicemente per la direzione dell acqua sulla sua ruota esterna; Taccola aveva infatti disegnato una ruota a cassette colpita dall alto definendola mulino francese o gallicano 50. Il primo documento in cui compare un mulino di tale tipo si ha per Lucca nel , in seguito lo troviamo a Firenze nel ed un altro esempio, del 1315, è noto per Prato 53. Rimane il problema di quando avvenne questa innovazione e se tale tipologia fosse conosciuta in altre parti della Toscana prima che a Firenze, dove l influenza francese sembra arrivare solo quando la città aumenta di importanza ed inizia ad espandere la sua industria laniera incorporando metodi di manifattura nord-europei 54. Sembra quindi che le ruote verticali, sia per di sotto che per di sopra (e di conseguenza il meccanismo vitruviano), fossero impiegate nella macinazione piuttosto tardi in Toscana. Il mulino orbicum era diffuso lungo le sponde di fiumi navigabili come l Arno o l Elsa, mentre quello franceschum nei piccoli torrenti delle colline o montagne del contado 55. Essi non sostituirono affatto i preesistenti ritrecini, ma li affiancarono, cosicché alla fine del XV sec. si arrivò ad applicare il 47 Cfr. Forbes, 1962a, pp ; Reynolds, 1983, pp Un altro esempio di mulino idraulico verticale proviene dagli scavi dell Agorà di Atene: risale al V sec. d.c. ed era alimentato da un lungo canale rifornito da un acquedotto; gli ingranaggi erano molto simili, anche per dimensioni, a quelli descritti da Vitruvio. Sempre un acquedotto alimentava il mulino scoperto nelle Terme di Caracalla e databile al III-IV sec. d.c., cfr. Cuomo di Caprio, 1985, p Reynolds, 1983, pp. 43, 54-55, Raffigurazioni di ruote per di sopra in Taccola, Corpus, tav. 36 e Martini, Trattati, vol. I, tavv. 63, 65, 66, 69; v. anche le riproduzioni in Galluzzi, 1996, pp. 184 e sgg. 50 Muendel, 1984, p. 225 e fig Ivi, p. 216: molinum franceschum. 52 Un molendinum franceschum viene aggiunto ad una vecchia struttura che conteneva già un ritrecine, cfr. ivi, p Inoltre a Pistoia, nel 1387, l Opera di S. Iacopo possedeva un molino francesco dotato di ribecco e rocchetto, cioè della coppia lubecchio/rocchetto-lanterna, cfr. Muendel, 1974, p Moretti, 1985, p. 242: nell Estimo pratese è registrato unum molendinum franceschum. 54 Sulla manifattura laniera toscana e soprattutto fiorentina, si veda Melis, Berretti-Jacopi, 1987, p. 24. Inoltre un indagine svolta nel comune di Calci (Pisa), ha evidenziato che tutti gli opifici esistenti nei secoli XVII-XIX avevano ruote verticali a cassetta, mentre la lettura dei documenti d archivio più antichi non consente di stabilire che tipo di ruote idrauliche fossero qui presenti in precedenza. Si ipotizza che fossero del tipo verticale azionato per caduta, dato che non si sono riscontrate tracce di strutture murarie relative alle condotte inclinate che, passando all interno dell edificio, mettevano in azione i ritrecini; inoltre la morfologia del territorio, a forte pendenza naturale, consentiva di sfruttare gli sbalzi del terreno per far cadere l acqua sopra le ruote idrauliche. Vi sono solo tre esempi di ritrecini ed uno di ruota a pale, tutti dislocati su un area pianeggiante, cfr. Manetti, 1985, pp

8 meccanismo vitruviano anche al ritrecine per modificare la velocità delle macine 56. La più antica modifica della ruota verticale tradizionale che permise di sfruttare direttamente l acqua di grandi fiumi navigabili, nonostante le variazioni di flusso, fu il mulino su nave. Durante il Medioevo se ne svilupparono essenzialmente due tipi: il primo prevedeva due ruote montate su entrambi i lati di una nave, il secondo una sola ruota verticale che girava in mezzo a due navi, comunicando il moto ad una o due coppie di macine 57. Quest ultimo era il tipo più efficiente, in quanto i fianchi delle navi incanalavano l acqua verso la ruota, che poteva essere anche molto grande e quindi più potente e più stabile. Tali imbarcazioni venivano spesso ancorate sotto grandi ponti, i cui archi offrivano un attracco sicuro e funzionavano contemporaneamente da diga. La prima menzione di mulini su nave si trova in Procopio: durante la Guerra Gotica e l assedio di Roma del 537 d.c., Belisario avrebbe inventato questi congegni galleggianti per ovviare al taglio degli acquedotti operato dagli assedianti 58. Questo tipo si diffuse nei secoli successivi lungo i grandi corsi d acqua di pianura europei 59 : le fonti iconografiche sono piuttosto abbondanti a partire dal XIV sec. 60 e numerose raffigurazioni, con ruote verticali per di sotto ma anche ritrecini, si trovano nei manoscritti del Taccola e di Francesco di Giorgio Martini 61. In Toscana numerosi mulini galleggianti si trovavano sull Arno: i più sono detti in navibus e dovevano quindi essere ad una sola ruota, mentre alcuni detti in navim, ad navem, a nave dovevano prevedere o due ruote su una sola barca, oppure che uno dei due lati della nave fosse fissato ad un attracco o ad un ponte. Essi sparirono dal territorio di Firenze alla metà del XV sec. 62. Sempre sull Arno, presso Signa, una grande quantità di mulini su nave si concentrava in un tratto di fiume lungo 1,5 Km nella prima metà del XIII secolo 63. Data la grande diffusione di questi congegni durante il Medioevo, non si può assolutamente pensare ad una soluzione tecnica di ripiego: essi infatti per molte comunità rappresentarono la risposta tecnicamente ed economicamente più adeguata alla necessità della molitura 64. Tuttavia certamente presentavano diversi inconvenienti: la mancanza di stabilità, la facilità con cui potevano venire distrutti dalle piene, la difficoltà di controllarne i movimenti, che li rendeva un pericolo per le altre imbarcazioni; inoltre erano poco produttivi e troppo dipendenti dalle variazioni di corrente. La pratica di ancorare i mulini galleggianti ad un attracco lungo la riva, o meglio ancora sotto le arcate dei ponti, portò probabilmente ad un più sofisticato tentativo di adattare la ruota verticale ai grandi fiumi. Si trattava di una ruota idraulica montata su una struttura di pali, che aveva nel suo pavimento delle aperture che permettevano alla ruota stessa di essere alzata o abbassata in accordo con l altezza dell acqua. Si hanno notizie dell esistenza di tali macchine a partire dal sec. XII e più tardi anche alcune raffigurazioni, che però non sono abbastanza chiare da farci capire con 56 Questo ibrido non compare in nessuno dei manoscritti del Taccola, mentre è una voce importante dei Trattati di Francesco di Giorgio Martini, completati nel A questa data, quindi, esso era divenuto una entità ormai formata nella tecnologia italiana. 57 Su questo tipo di mulino, v. Makkai, 1981, p. 171; Reynolds, 1983, pp ; Comet, 1992, p Procopio, De Bel. Goth., V, 19, Se ne conoscono atolosa nel XII sec., in Provenza, avenezia; sono numerosi a Parigi nel sec. XIV (ben 68) dove perdurano fino al sec. XIX; a Roma funzionavano sul Tevere ancora nel 1870: cfr. Forbes, 1962a, pp ; Comet, 1992, pp Un gran numero di mulini galleggianti sono presenti a Moncalieri nel XIII sec. e nel Monferrato agli inizi del XV (si veda la trattazione di Benedetto, 1993); nel territorio di Padova sono documentati dalla fine del XII sec. ed in numero estremamente consistente, il più alto in assoluto per l Italia, a metà XIV sec. entro il centro urbano stesso: Bortolami, 1988, pp Vedi Reynolds, 1983, p Martini, Trattati, vol. I, tavv ; Taccola, Corpus, tav. 40; cfr. anche Galluzzi, 1991b, pp Muendel, 1984, pp Pirillo, 1989, p Cfr. le osservazioni di Benedetto, 1993, p. 67.

9 precisione il tipo di meccanismo utilizzato 65. Questo genere di mulino, detto molendinum penzolum, era, dopo il ritrecine, il più comune a Firenze nel XIII sec.: si trovava esclusivamente sull Arno e sull Elsa e dalle fonti risulta che contenesse il meccanismo vitruviano del ribecco, mentre non sono stati trovati documenti che nominino il ritrecine; quindi, per quanto esista la possibilità che la ruota orizzontale vi fosse impiegata, è tuttavia certo che il meccanismo vitruviano predominava Reynolds, 1983, p. 59; Comet, 1992, p Muendel, 1984, pp

10 1.2.AFFER MAZIONEE DIFFUSIO NEDELMUL INODAMAC INADURAN TEILMEDIO EVO Come abbiamo visto in precedenza, nell antichità classica la tecnologia idraulica per la macinazione del grano era già conosciuta, ma non era diffusa estesamente 67. Gli studiosi di storia della tecnologia sono in linea generale d accordo nell indicare il IV sec. d.c. come un momento cruciale in cui, soprattutto a causa del forte calo demografico, della diminuzione della schiavitù e della conseguente minore disponibilità di manodopera, si creò una congiuntura favorevole per il diffondersi degli impianti idraulici: da questo momento si moltiplicano le citazioni nelle fonti letterarie 68 e cominciano i primi tentativi di regolamentazione da parte del potere centrale, che proseguiranno nel periodo immediatamente successivo 69. è inoltre accertato che nei secoli che seguirono al collasso dell impero romano, l uso dell energia idraulica, forse con una prima battuta d arresto ed una successiva ripresa 70, si diffuse in ogni angolo d Europa. Le conoscenze tecnologiche riguardo all installazione di meccanismi idraulici non vennero del tutto sommerse dalle invasioni barbariche di IV, V e VI sec., ma sopravvissero in alcune zone dell Italia e del sud della Francia, in particolare attorno ad aree urbane come Roma ed a pochi centri monastici. Da queste aree la ruota idraulica sembra diffondersi verso l esterno con una serie quasi regolare di isocrone il cui centro di radiazione, senza possibilità di contestazione, si può collocare nel bacino mediterraneo 71. Gregorio di Tours ( ca.) parla di mulini idraulici presso Digione e più o meno contemporaneamente il poeta Venanzio Fortunato ne cita uno sulla Mosella. Al tempo dei Merovingi tali meccanismi erano abbastanza importanti da essere protetti nelle leggi saliche e compaiono come fonte di reddito fiscale nel Capitulare de villis di Carlomagno. In Svizzera il più antico mulino conosciuto risale al VI sec., nella Germania meridionale si ha una rapida diffusione dopo le invasioni di VII, nell VIII mulini compaiono nelle leggi alamanna e bavara, mentre comincia una più lenta diffusione verso nord. Ruote idrauliche erano usate in Belgio alla metà del VII sec., in Olanda nell VIII, in Austria e nelle Alpi orientali nel IX. Per l Inghilterra il primo riferimento attendibile ad un mulino idraulico compare nel 762 e nel X sec. tali meccanismi avevano invaso l Irlanda 72. Questo processo di espansione, che fu non solo geografica ma anche quantitativa, si può visualizzare nel suo momento culminante facendo riferimento ai ben 5624 mulini inglesi, censiti attorno al 1080 nel pluricitato Domesday Book 73. Restringendo il quadro più in particolare all Italia, sappiamo ad esempio che in Lombardia le 67 Sui motivi della mancata diffusione di tali meccanismi in epoca classica si è molto discusso, cfr. Bloch, 1969, pp ; Forbes, 1965, pp ; Reynolds, 1983, pp Ausonio,Mos., ; Prudenzio,C. Symm.,II, 950;Procopio,De Bel. Goth.,V, 19, Editto di Diocleziano del 301 d.c., nel quale si fissa il prezzo di un mulino ad acqua (Malanima, 1988, p. 41); editto protezionistico di Onorio e Arcadio del 398 d.c. (Reynolds, 1983, p. 31); editti di Zeno del 485, di Teodorico del 500 ca., di Giustiniano del 538 (ibidem e Forbes, 1965, p. 97). 70 Il processo di diffusione non sembra essere stato del tutto lineare, ad es. cfr. Malanima, 1988, pp e Idem, 1996: alcuni indizi portano a pensare che nei secc. V-VI si sia verificata in alcune areeunanetta caduta nell impiego delle macchine antiche, ed un forte ritorno alle mole a mano. 71 Bloch, 1969, p. 77. In tale saggio Bloch fu il primo a sottolineare con estrema decisione l importanza dei secoli altomedievali per i progressi nel campo della tecnica e soprattutto dello sfruttamento di nuove fonti di energia. 72 Si vedano le testimonianze più antiche riguardo ai mulini idraulici europei raccolte negli studi di Bloch, 1969, pp ; Forbes, 1962a, pp ; Reynolds, 1983, pp V. anche Malanima, 1996, pp. 97 e sgg. 73 Sulla base dei dati ricavabili dal Domesday Book è stata calcolata una media di 1 mulino ogni 250 persone. è importante notare come tali cifre siano state confermate anche per altre regioni europee nel Medioevo, e come calcoli effettuati per il XIX sec. abbiano mostrato un parallelismo perfetto tra l aumento della popolazione e quello delle ruote idrauliche, cfr. Makkai, 1981, p. 176.

11 prime menzioni di mulini idraulici compaiono in documenti del 767 e del 776, continuano con regolarità durante il IX sec. e si moltiplicano nel X 74. Tali meccanismi sono documentati nel Trevigiano dal 710, a Brescia dal 767, in Abruzzo dal IX sec. 75, nel territorio padovano dall 819, a Parma dall 860, a Pavia dall 863, a Cremona dall , a Verona dal , a Bologna dal In Toscana i primi documenti risalgono all anno 726 per il territorio di Pistoia ed al 798 per Lucca 79. Praticamente tutti i mulini la cui storia siamo in grado di seguire per il periodo altomedievale erano di pertinenza di monasteri e di vescovi: ciò dipende, ovviamente, in primo luogo dal fatto che l unica documentazione scritta che possediamo per questo periodo è di origine monastica. A ciò si aggiunga la considerazione che per installare impianti idraulici era necessario essere in possesso di diritti pubblicistici sulle acque (che in questo periodo ancora potevano essere concessi solo tramite autorizzazione regia) 80 e soprattutto poter disporre di manodopera e di risorse economiche notevoli, dato che la costruzione di una struttura costosa come un mulino comportava forti investimenti (considerazione valida, naturalmente, anche per l aristocrazia laica, riguardo alla quale, però, le fonti ci dicono poco). Da questa ultima osservazione consegue anche che, fin quando la popolazione si manteneva ancora poco numerosa, l installazione di tali meccanismi era vantaggiosa solo se essi servivano alla molitura di molto grano, cioè all approvvigionamento di comunità consistenti (ad esempio quelle monastiche), oppure operavano in regime di monopolio. Per arrivare al banno il passo era certamente breve: investire in mulini, infatti, pur se costoso, diveniva estremamente remunerativo, in quanto le rendite di un signore potevano aumentare considerevolmente se egli era in grado di imporre a tutti i contadini delle sue terre di servirsi esclusivamente del proprio impianto molitorio, ed obbligarli, anche con la forza, ad abbandonare le macine a mano 81. Alcuni dati suggeriscono che il momento di più forte espansione numerica degli impianti idraulici in Europa si verificò tra XII e fine XIII sec., in corrispondenza con un periodo di prosperità economica e soprattutto di forte incremento demografico 82. A partire dal Mille, in concomitanza con l aumento delle fonti scritte, le menzioni di mulini nei documenti crescono in maniera esponenziale, talvolta al punto che non vale la pena di citarle tutte 83. Come nei secoli altomedievali, anche in questo periodo i mulini appartengono per la maggior parte ad enti ecclesiastici ed ai vescovi, ora molto più spesso affiancati, tuttavia, dai nascenti organismi comunali 84 e dalle grandi famiglie dell aristocrazia laica (riguardo alla quale la documentazione si fa adesso più abbondante) 85. Quest ultima comincia a comparire sempre più frequentemente come proprietaria di impianti 74 Chiappa Mauri, 1984, pp Un andamento simile si riscontra per la Sabina, cfr. Toubert, 1976, pp ; Toubert, 1977, v. I, pp Malanima, 1988, p Bortolami, 1988, pp Varanini, 1988, pp Pini, 1987, p Muendel, 1972, p. 39; Berretti-Jacopi, 1987, p. 23. Sul diffondersi dei termini molendinum, molinum, nei documenti italiani a partire dalla seconda metà dell VIII sec., cfr. anche Aebischer, V. infra, nota Su tali aspetti cfr. ancora Bloch, 1969, in particolare le pp. 54 e sgg e Malanima, 1996, p Gille, 1954, p. 3; Forbes, 1962a, p. 618; Gimpel,1977, p. 57; Reynolds,1983, pp Chiappa Mauri, 1984, p. 14; v. anche Pini, 1987, pp. 7-8 e 21. In Malanima, 1995, pp , una sintesi sui dati quantitativi riguardo alla presenza di mulini in Europa nei secoli centrali del Medioevo. Per visualizzare il punto di arrivo di tale espansione attraverso i secoli si pensi ai mulini calcolati per l Europa del XVIII secolo (Braudel, 1979, p. 312; Makkai, 1981, pp ) 84 La politica comunale in proposito di controllo sulle acque e la conseguente creazione e gestione in proprio di una rete di impianti molitori si dispiega a ritmo crescente dalla fine del XII sec. e per tutto il XIII, quando l espansione numerica dei mulini ha toccato ormai il suo apice; per le iniziative comunali v. infra, nota Balestracci, 1992, pp. 432 e 435.

12 molitori: si vedano i chiari esempi delle famiglie aristocratiche di Bologna tra XI e XII sec., di Verona e Reggio Emilia nel XII, di Piacenza a fine XII-inizi XIII sec. 86. Ma in numero ancora maggiore i mulini furono costruiti o si concentrarono nelle mani dei vescovi cittadini, soprattutto con l evolversi del processo che vide i diritti sulle acque divenire sempre più di loro pertinenza: basti pensare al chiarissimo esempio di Reggio Emilia, dove il vescovo è il solo ad avere diritto di costruire mulini sui corsi d acqua urbani e ne è il maggiore proprietario tra IX e XIII sec. 87, o al caso di Padova, dove tra X ed XI sec. è fra le patrimonialità dei vescovi che fanno la loro comparsa i primi mulini 88. Per quanto riguarda invece gli enti ecclesiastici, si ha l impressione che nessun monastero di una qualche consistenza sia stato privo di propri impianti molitori 89. Invece di lanciarci in un lungo elenco di esempi, dunque, preferiamo limitarci a considerare, come caso emblematico, un ordine monastico particolarmente studiato, sia in ambito europeo che italiano, proprio sotto il particolare aspetto dell interesse mostrato verso le tecnologie idrauliche: quello cistercense. Del resto una delle più note ed esplicite testimonianze letterarie medievali dell attenzione con cui si guardava all impiego dell energia dell acqua, ci viene proprio da questo ordine: si tratta di un famoso e spesso citato brano di Arbois de Jubainville, monaco del XIII sec., che dedica ampio spazio ad una accurata descrizione di come i confratelli di Clairvaux avevano organizzato tutto il complesso degli edifici in modo da sfruttare le acque del fiume Aube, che scorreva nelle vicinanze, deviandolo e canalizzandolo per irrigare gli orti del monastero e far funzionare le mole per il grano, la gualchiera, la birreria e la conceria 90. Tutti i monasteri maschili francesi si dotarono di almeno un mulino entro i primi 2 o 3 decenni che seguirono alla fondazione, ma nella maggior parte dei casi la quantità fu molto più elevata: gli impianti andavano da 2 a 3 per moltissime abbazie, a 5 o 6 per le più ricche 91. Ma questo fu solo l inizio: l acquisto di impianti idraulici seguì una curva in continua ascesa secondo una politica economica ben precisa in più e più monasteri. Per la Borgogna, centro di irradiazione dell ordine, Chauvin arriva a parlare di una vera e propria bulimia d acquisto, immagine incisiva per definire il processo che, a partire dal per una ventina d anni, o anche con una politica di acquisti concentrata in 2 o 3 anni, portò ad una presa di possesso cistercense quasi completa 92. In certi casi la gestione dei mulini si sviluppò fino a divenire la principale fonte di reddito con la costituzione di veri e propri monopoli 93. La situazione italiana non era diversa dal resto d Europa: molti monasteri cistercensi sembrano indirizzarsi da subito verso l accaparramento dei diritti sulle acque e di un numero elevatissimo di impianti idraulici. Fu questa, ad esempio, la politica di Chiaravalle Milanese, 86 Cfr. Pini, 1987, p. 8; Varanini, 1988, pp ; Dussaix, 1979, p. 121; Balestracci, 1992, p Dussaix, Bortolami, 1988, p Si vedano inoltre vari altri esempi di mulini vescovili in Balestracci, È una tendenza assolutamente generale: per citare solo alcuni esempi si vedano i monasteri liguri (Origone, 1974), quelli lombardi (Chiappa Mauri, 1984), bolognesi (Pini, 1987, p. 8), della zona chiantigiana (Carnasciali-Stopani, 1981, p. 4); altri esempi anche in Varanini, 1988, p. 343 e Balestracci, De Jubainville, Descriptio, pp Una descrizione analoga della rete idrica di Clairvaux ritroviamo anche in un più antico passo dell abate Arnold de Bonneval, il quale descrive la ricostruzione dell abbazia nel 1136: non fa nessuna menzione della chiesa, ma mostra verso le opere idrauliche realizzate la stessa ammirazione del suo successore, cfr. De Bonneval, San. Bern. p Chauvin, 1983, pp Verso la metà del XIII sec. sono rare le abbazie che dispongono di meno di mezza dozzina di mulini, la media è una decina, mentre qualche monastero, come Bellevaux, Charlieu o Citeaux, ne possiede il doppio, cfr. Chauvin, 1983, pp Gli esempi potrebbero moltiplicarsi sia per la Francia che per l Inghilterra, cfr. Reynolds, 1983, p. 110; Lekai, 1989, p Cfr. inoltre l amplissima bibliografia recentemente raccolta in RighettiTosti- Croce, 1993a. 93 È quanto avvenne nelle abbazie di Reinfeld e Doberan, in Germania, e Poblet in Catalogna nel XIII sec., cfr. Lekai, 1989, p. 387.

13 Casanova, Lucedio, Morimondo, Casamari, Fossanova, Chiaravalle di Fiastra e dei monasteri liguri 94. Molto interessante, infine, è il caso del monopolio instaurato dall abbazia di S. Salvatore a Settimo sugli impianti molitori lungo un tratto notevole dell Arno. A partire dal loro arrivo sul luogo, nel 1236, i Cistercensi cominciarono l acquisto di singole quote-parti o di interi sbarramenti utilizzati dai mulini naviganti di Signa e li eliminarono progressivamente, fino a costruire, nel 1253, una pescaia a sbarramento totale dell alveo, che riforniva un loro grande impianto a 6 mole. In tale modo essi non solo imposero il monopolio sulla macinazione nella zona, ma probabilmente anche alle navi cariche di grano che risalivano verso Firenze, costrette a sbarcare il carico in questo punto ed a farlo proseguire via terra aggirando lo sbarramento 95. Una così massiccia espansione delle tecnologie idrauliche, comportò naturalmente un notevole sforzo di ingegneria civile per la costruzione di una serie di strutture accessorie come dighe, gore di derivazione, bacini di riserva, canali di rifiuto 96. Di rado, infatti, le ruote erano mosse direttamente dalla corrente: in genere veniva invece scavata una derivazione che deviava l acqua dal fiume in un canale, parallelo al corso d acqua, che riforniva i bacini di riserva e serviva sia ad isolare le ruote dalle variazioni stagionali del livello dei fiumi, sia ad evitare di ostruire l alveo con strutture ingombranti in caso di piena 97. Gli sbarramenti che consentivano il deflusso delle acque dal fiume alla gora potevano essere di vari tipi: si andava da semplici strutture costruite con materiali deperibili che richiedevano una continua manutenzione 98, a delle vere e proprie dighe in muratura a sbarramento totale dell alveo del fiume. Realizzare strutture di questo secondo genere comportava evidentemente notevoli capacità ingegneristiche ed il superamento di alcune difficoltà tecniche: le dighe dovevano reggere la forza delle piene ed essere dotate di saracinesche di scolmo, erano inoltre soggette da un lato all erosione delle parti alte, dall altro al deposito di fango e materiali alluvionali che ne determinavano il progressivo interro 99. Dighe imponenti erano state già costruite da Romani ed Arabi 100, ma i dati per il Medioevo suggeriscono un progresso tecnico ed una diffusione notevole, tanto che le descrizioni nelle fonti, le citazioni nei documenti e le tracce sul territorio sono numerosissime 101. Per quanto riguarda la struttura materiale dei canali di derivazione, bisogna dire che nella maggioranza dei casi si trattava di semplici fossati a cielo aperto, delimitati da argini in terra battuta, talvolta con pareti rivestite in muratura o in legno. Nei punti depressi il canale poteva essere tenuto in quota mediante ponti su archi in muratura o rinforzato con muri di sostegno, mentre un sistema di paratoie distribuite lungo il percorso permetteva di deviare le eventuali eccedenze d acqua oppure di interrompere del tutto l afflusso 102. Una buona manutenzione del canale era indispensabile per l efficienza degli opifici e le operazioni 94 Per Chiaravalle si vedano gli acquisti massicci di mulini e gualchiere a partire dal 1139, cfr. Chiappa Mauri, 1985, p. 300, Chiappa Mauri, 1990, pp ; per Casanova e Lucedio cfr. Comba, 1985, p. 256; per Morimondo cfr. Occhipinti, 1983, p. 548; per Casamari cfr. De Benedetti, 1952, p. 9 e sgg.; per Fossanova e Chiaravalle di Fiastra cfr. Righetti Tosti-Croce, 1993a, pp , 78-79; per i monasteri liguri di Tiglieto, S. Eustachio di Chiavari, S. Andrea di Sestri, cfr. Origone, 1974, pp Pirillo, Sulle strutture accessorie di un mulino v. in generale Makkai, 1981, pp Reynolds, 1983, p. 62; Chiappa Mauri, 1984, p. 16; Crossley, 1985, p Cfr. Bellero, 1985, p. 347, Pirillo, 1989, p. 30 e nota Si vedano gli esempi riportati in Cleere-Crossley, 1985, pp ; Crossley, 1985, p Gordon, 1985, p Crossley, 1985, p Tra gli esempi più famosi la diga di terra costruita ad Arlesford nel 1189, che rimane ancora in piedi (cfr. Gordon, 1985, p. 85) ed il triplo sbarramento della Garonna presso Tolosa nel XII sec., cfr. Reynolds, 1983, p. 65, che riporta inoltre molti altri esempi per tutta l Europa. Particolarmente imponenti anche le dighe di terra costruite dai monaci di Fontenay intorno al1130 per sbarrare i corsi d acqua che scorrevano in due valloni, alla cui confluenza doveva sorgere il monastero, e bonificare il sito (Benoit, s.d., pp. 224 e sgg.). 102 Cleere-Crossley, 1985, p. 224; Crossley, 1985, p. 120.

14 di ripulitura periodica erano spesso espressamente previste nelle legislazioni medievali 103. La lunghezza dei canali poteva variare notevolmente, a seconda dei casi, e vi sono esempi di gore molto lunghe, anche diverse centinaia di metri, talvolta con tratti scavati nella roccia e gallerie 104. Per il XII sec. un esempio particolarmente articolato di un vero e proprio sistema di canali e bacini di raccolta per l approvvigionamento e controllo delle acque, oltre che per il drenaggio di una intera vallata, ci viene dalle indagini archeologiche sull abbazia cistercense inglese di Bordesley 105. Per la Toscana vi sono casi di veri e propri sistemi di gore e canali: ad esempio per Prato numerosi documenti di varia provenienza, datati a cominciare dai primissimi anni dell XI sec., descrivono un complesso articolarsi di derivazioni idriche e canalizzazioni, che dovevano aver assunto una propria fisionomia già prima del Mille 106. Anche la presenza di canali di rifiuto, talvolta di notevole lunghezza, era di grande importanza: dovevano, infatti, far scorrere via l acqua senza impedire alla ruota di girare ed era fondamentale che non si ostruissero a valle 107. La realizzazione di strutture di sbarramento ed opere di derivazione per lo sfruttamento dell energia idraulica provocava spessissimo vertenze giudiziarie e scontri anche violenti tra i proprietari. Infatti la presenza di dighe determinava gravi danni alla navigazione sui grandi fiumi e talvolta disastri in caso di piena. Le controversie si moltiplicano in proporzione col diffondersi delle nuove tecnologie, i casi sono innumerevoli 108 e riguardano molto più spesso la costruzione di chiuse piuttosto che i mulini veri e propri 109. Solo a titolo di esempio è interessante riportare i toni asprissimi che assunse la vertenza tra il comune di Firenze ed il monastero di Settimo a proposito della già citata pescaia a sbarramento totale dell Arno 110. Il comune ne decretò la distruzione nel 1254 in quanto la struttura provocava danni per la navigazione ed allagamenti a Signa ed altri luoghi su entrambe le rive fino alla città stessa. La questione si trascinò comunque per anni, aggravata dalle carestie che costrinsero Firenze a far giungere via acqua il grano dal Sud Italia e dalla Provenza. Nonostante le minacce di scomunica alla Parte Guelfa, nel 1331 il monastero dovette cedere, lo sbarramento fu demolito ed i mulini abbandonati; la perdita finanziaria fu notevolissima, ma perlomeno i monaci di Settimo non furono travolti dal biasimo popolare contro i 103 Ad esempio a Prato questa operazione è obbligatoria per i mugnai e prevista nello Statuto medievale dell Arte, cfr. Moretti, 1985, p A Colle Val d Elsa il sistema delle gore era di proprietà della Comunità, cui spettava una parte della ripulitura, mentre il resto della loro estensione era distribuito fra chi ne usufruiva: a partire dal 1491 si regolamentarono con uno Statuto specifico i compiti dei proprietari ed i tratti di gora da ripulire, cfr. Roselli-Forti-Ragoni, 1984, p Ad esempio il monastero di Clairvaux riceveva l acqua dall Aube tramite un canale lungo 3,5 Km, ad Obazine sempre i Cistercensi scavarono nella roccia un canale lungo 1,6 Km per assicurare un sufficiente apporto energetico, cfr. Chauvin, 1983, p. 30. A Citeaux il corso del fiume Sansfonds fu deviato entro un canale in parte sopraelevato, per consentire il superamento di ostacoli naturali, cfr. Righetti Tosti-Croce, 1993a, p. 44 ed altri numerosi esempi ivi riportati. 105 Astill, 1993, in particolare le pp Moretti, 1985, pp Cleere-Crossley, 1985, pp ; Crossley, 1985, p Ad esempio nei mulini pratesi, che non erano dotati di bacino di raccolta, ma solo di un canale passante con flusso di acqua continuo che si allargava e rialzava in prossimità dell impianto, un aumento anche minimo del livello di acqua per scarso deflusso dalla camera del ritrecine poteva ostacolare seriamente il libero movimento di quest ultimo: v. Moretti, 1985, p Per citarne solo alcuni, v. Occhipinti, 1983, pp ; Bellero, 1985, pp ; Chiappa Mauri, 1990, pp Chiappa Mauri, 1984, p. 17. A questo proposito il Crossley (Crossley, 1985, p. 107) fa notare che spesso, proprio a causa di problemi giuridici e vertenze riguardanti la proprietà, le confinazioni ed i diritti sulle acque, accade che le chiuse, i bacini di riserva ed i canali siano posizionati in modo diverso da come sembrerebbe logico a noi moderni. 110 V. sopra, in questo stesso paragrafo. Tutte le notizie relative a questa vertenza sono tratte da Jones, 1980, pp e Pirillo, 1989, pp

15 proprietari di pescaie sull Arno dopo la tremenda alluvione del ALTRI OPIFICI IDRAULICI Per più di nove secoli dopo la sua scoperta, non si hanno notizie sicure che in Europa la forza motrice dell acqua fosse impiegata in altri processi produttivi oltre che nella macinazione del grano; è a partire dal IX sec. che cominciano a comparire indizi di una diversificazione nell uso delle ruote idrauliche. Uno dei primi procedimenti in cui furono impiegate fu la preparazione del malto per la birra 111 ; altri impieghi si ebbero nella macinazione delle olive, dello zucchero e dei pigmenti per tingere. Ancora una applicazione medievale dell energia idraulica fu nella concia delle pelli, per ridurre in polvere la corteccia di quercia da cui si estraeva il tannino 112. Per tutti questi casi ci troviamo di fronte ad usi che richiedevano un semplice moto rotatorio continuo, in tutto simile a quello necessario per la macinazione dei cereali; si trattava dunque di una diversificazione del medesimo procedimento e non di una vera e propria innovazione tecnica. Il discorso si fa invece del tutto diverso per quelle applicazioni industriali dell energia idraulica che richiedevano una grande novità, ovvero la trasformazione del moto circolare in moto alternato (gualchiere, cartiere, impianti metallurgici ecc.). Mentre in tutte le operazioni elencate in precedenza, infatti, era possibile adottare anche la ruota orizzontale, per queste ultime era necessario l impiego esclusivo di ruote idrauliche verticali. Tali ruote non richiedevano la presenza del complicato meccanismo vitruviano, poiché l asse di rotazione non doveva essere ribaltato ma doveva rimanere orizzontale. Per la creazione del moto alternato la tecnologia medievale adottò essenzialmente un meccanismo molto semplice e molto antico, conosciuto già nell antichità classica, ma mai applicato a macchine per la produzione su vasta scala prima del Medioevo: l albero a camme 113. La camma non era altro che una sporgenza, in legno o metallo, fissata su un albero, applicata diffusamente soprattutto per azionare pestelli, mazzuoli e martelli. Nel pestello verticale una camma montata su un albero posto orizzontalmente ruotava entrando in contatto con una sporgenza analoga solidale con l asse verticale che portava al suo estremo inferiore il pestello. La camma, ruotando, sollevava l asse verticale finché durava il contatto, dopodiché esso ricadeva battendo con il pestello sul materiale da frantumare 114. Nel caso del martello azionato a leva, la camma veniva fatta ruotare contro l estremità munita di martello di un asse orizzontale che faceva leva dall altra estremità; la camma prima sollevava il martello e poi, proseguendo la rotazione, si disimpegnava lasciandolo ricadere. La prima applicazione del sistema a magli e martelli idraulici avvenne probabilmente nella gualcatura - o follatura - della lana (e forse anche nella battitura della canapa). Le notizie più antiche di un impiego in questo settore provengono dalla penisola italiana e sono note per l Abruzzo nel 962, per Parma nel 973, e per il territorio di Verona nel Nei secoli successivi tale macchina si diffuse in tutta Europa, dando il via ad una serie di nuove utilizzazioni, quali ad esempio l industria della carta da stracci, che comparve quasi 111 In una pianta del monastero di S. Gallo, risalente all 820, sono raffigurati oggetti simili a magli, detti pilae, accanto ad altri chiamati molae, probabilmente macine; alcuni studiosi hanno ipotizzato che si tratti di magli azionati da un albero a camme, ma la questione è estremamente dibattuta, cfr. Reynolds, 1985, pp Altre evidenze per questo uso ci vengono dalla Picardia nell 861, cfr. White, 1972, p Sui vari impieghi dell energia idraulica a partire dal Mille cfr. Gille, 1954, p. 7; Forbes, 1962, p. 610; Braudel, 1979, p. 311; Reynolds, 1983, pp ; Reynolds, 1984, p Sintesi in Malanima, 1995, pp Gille, 1954, pp. 8-10; Gille, 1962, p. 652; Reynolds, 1983, p. 79; Reynolds, 1984, p Illustrazioni in Agricola, 1563, libro VIII, pp Riguardo alle origini della gualchiera idraulica e la sua diffusione in Italia ed Europa durante il Medioevo si rimanda al saggio di Malanima, 1988, in particolare le pp. 45 e sgg., 51 e sgg.

16 simultaneamente in Spagna ed Italia alla fine del XII sec Dalle mazze battenti per la follatura dei tessuti venne probabilmente anche lo stimolo per l uso dell energia idraulica in un settore produttivo di fondamentale importanza, la metallurgia, con l invenzione dei primi magli idraulici: di questo parleremo ampiamente in seguito. Dunque, quando il mulino da grano ha ormai raggiunto il suo optimum tecnologico 117, è già diffuso ovunque, in grande quantità ed in tutte le sue varianti, per la tecnologia idraulica medievale si apre un nuovo, vastissimo orizzonte. I mulini per la macinazione continueranno a moltiplicarsi, punteggiando il paesaggio rurale ed urbano, per rispondere alle esigenze alimentari di una popolazione che fino alla metà del XIV sec. sarà in continuo aumento; ma il meccanismo in sé, le ruote, le macine, gli ingranaggi, non subiranno che variazioni minime, in una sorta di stasi che si protrarrà fino all età industriale. La ricerca di nuove soluzioni tecniche avverrà, invece, in altri settori, che possono veramente essere definiti protoindustriali. La forza dell acqua, imbrigliata per ottenere l energia necessaria a trasformare le materie prime in prodotti semilavorati o finiti, determinerà un aumento notevolissimo del potenziale produttivo entro alcuni poli manifatturieri già esistenti, ne farà nascere di completamente nuovi; la sua mancanza o scarsità, invece, sarà uno dei maggiori fattori di crisi per interi sistemi produttivi. Le conseguenze sul piano economico, sociale e politico saranno davvero di grande portata. 2. Strutture materiali e tecnologie nel bacino idrografico Farma-Merse 2.1. STRUT TURE ID R AULIC HE ACCESSOR IE 118 Nessuno degli opifici idraulici individuati nel corso di questa indagine era azionato direttamente dal fiume o dal torrente presso cui si trovava; tutti ricevevano invece l acqua per mezzo di un canale di derivazione, di lunghezza estremamente variabile, che ne permetteva un migliore controllo ed una più attenta regolazione. L impianto vero e proprio poteva quindi venirsi a trovare anche a notevole distanza dal corso d acqua alimentatore ed essere dislocato, ad esempio, su un area pianeggiante sufficientemente comoda per gli abitati e relativamente ben raggiungibile dalla viabilità principale; la presa d acqua, invece, poteva trovarsi in una zona maggiormente disagiata. L esempio più macroscopico è certamente quello dei grandi mulini edificati alla metà del XIII sec. dall abbazia delle SS. Trinità e Mustiola di Torri, in collaborazione con il comune di Siena, nel bel mezzo della pianura sottostante agli abitati di Brenna ed Orgia: la presa d acqua dista, dal più lontano di essi, ben 4 Km in linea d aria 119. È inoltre piuttosto ovvia la constatazione che, quanto più distante era un edificio dal corso d acqua principale, tanto più era scongiurato il pericolo di distruzioni dovute a piene e straripamenti. Molto spesso l impianto era dislocato nella parte interna di un ansa più o meno ampia del fiume o torrente, la quale veniva in un certo qual modo tagliata dal canale che conduceva l acqua all edificio e da quello di rifiuto, così che l impianto veniva in pratica a trovarsi posizionato su una 116 Malanima, 1995, p Giuffrida, 1981, p Si è scelto di trattare questo argomento considerando come un blocco unico le strutture idrauliche accessorie annesse a tutti gli opifici censiti, senza operare una distinzione fra impianti molitori ed impianti siderurgici; non si sono riscontrate, infatti, consistenti differenze funzionali che ne consigliassero una trattazione in gruppi separati. Anche le variazioni all interno dell arco cronologico considerato sono risultate minime. 119 Siti 5, 15, 16, 17; v. sotto, in questo stesso paragrafo.

17 porzione di terreno completamente delimitata, su tutti i lati, da acqua corrente 120. Altre volte, quando l edificio si trovava nelle vicinanze di un tratto rettilineo del corso d acqua, i canali che servivano l impianto, scorrendo parallelamente al fiume, venivano a delimitare un angusta striscia di terra, larga talvolta pochi metri; ciò si verificava soprattutto in situazioni morfologicamente accidentate ed in aree in cui mancavano zone pianeggianti di una certa estensione. Per quanto riguarda il rifornimento idrico, possiamo distinguere fra le opere di intercettazione delle acque e le opere di derivazione. Le prime sono quelle che sbarrano il corso del fiume in parte o totalmente e servono per innalzare il livello del pelo dell acqua, assicurando una efficiente derivazione e nello stesso tempo creando una zona di relativa calma a monte. Al di sopra dello sbarramento, infatti, l alveo si presenta in genere piuttosto profondo, compatto, non eccessivamente largo, il pelo dell acqua calmo; a valle dello sbarramento, invece, l acqua cade formando piccole cascate e si disperde su un alveo notevolmente allargato, dividendosi in diramazioni separate da isolotti ed aree asciutte talvolta coperte da vegetazione 121. Lo sbarramento, se sviluppato in altezza, poteva servire anche per aumentare la caduta. La scelta del sito per la localizzazione della struttura di sbarramento era strettamente legata alle caratteristiche del corso d acqua: quest ultimo non doveva avere un eccessivo trasporto di materiale solido, non doveva dar luogo ad improvvisi fenomeni di piena, né approfondire per erosione il proprio alveo; doveva altresì garantire un minimo apporto di acqua per tutto l anno 122. Solitamente veniva quindi scelto un settore del percorso in prevalenza rettilineo, che desse garanzia di una portata costante, spesso però, come abbiamo visto sopra, immediatamente precedente ad una grande ansa, la quale già di per sé creava una strozzatura a valle della presa. La presenza dello sbarramento, elemento fondamentale per l attività dell impianto, viene sempre citata nelle fonti medievali in connessione con l opificio vero e proprio. Il termine che ricorre nei documenti consultati è esclusivamente steccaria 123, sia per il periodo medievale che per quello successivo. Già la parola stessa suggerisce che doveva trattarsi di una struttura in cui non erano previste parti in muratura, ma piuttosto semplici palificazioni con impiego di materiali deperibili. La tecnica costruttiva utilizzata consisteva nell infiggere profondamente entro il letto del fiume numerosi grossi pali, disposti in file parallele, in modo tale che sporgessero in parte al di sopra del livello naturale dell acqua. Gli spazi fra i pali venivano riempiti con fascine, intrecci di giunchi e sassi; il fiume stesso, poi, trasportando fango e pietrisco, contribuiva a rendere più solida la struttura 124. Queste opere di intercettazione, ove conservate, sono ovviamente il risultato di continui rifacimenti attraverso i secoli dal Medioevo ai nostri giorni, ma è certo che la tecnica 120 Siti:1 (UT 1 e UT 2), 2 (UT 1), 3 (UT 1), 9, 10 (UT 1), 18, 19. è probabilmente questo il motivo per cui il luogo su cui sorgeva il mulino veniva talvolta definito insula nelle carte medievali (cfr. Chiappa Mauri, 1984, p. 16 nota 60; Pirillo, 1992, p. 27 e nota 90); nella nostra zona questo avviene per uno dei più antichi impianti documentati, il Mulinaccio (Sito 10 UT 1), a proposito del quale, nel 1218, si parla dell insulam positam ad molendinum. 121 V. ad esempio Siti 4, 15, Tuttavia negli opifici alimentati dai torrenti secondari il periodo di attività rimaneva comunque limitato ai mesi di autunno-inverno, come vedremo più avanti. 123 Nelle sue varianti steccata, stecharia, steccatum, stecchatum (v. Catalogo, sotto la voce Fonti, passim); non ricorre mai, ad esempio, il termine pescaia, comunemente usato nel territorio di Firenze (Pirillo, 1989), oppure clusa, diffuso nel Nord Italia (Chiappa Mauri, 1984, p. 17). 124 Un esempio ancora perfettamente visibile è la steccaia a sbarramento totale del fiume Merse, che alimentava la gora dei mulini di Brenna ed Orgia (v. Siti 5, 15, 16, 17); si è conservata in parte anche la palificazione principale della steccaia del Mulino delle Pile, presso Chiusdino: v. Sito 9.

18 costruttiva si è tramandata inalterata 125. Le steccaie dovevano essere di solito a sbarramento totale dell alveo e potevano attraversarlo con una linea ortogonale alle sponde oppure obliquamente 126. Difficile dire, poiché non se ne sono conservate, se esistessero strutture ancora più piccole e più semplici, che non attraversavano tutto l alveo, ma erano costituite da semplici palificazioni, lunghe pochi metri, situate nelle immediate vicinanze dell imbocco della presa ed atte a convogliare la corrente verso di essa 127. È anche possibile che, per gli impianti più piccoli, specialmente nelle zone particolarmente impervie, l opera di intercettazione non esistesse nemmeno, in quanto si sfruttavano piccoli bacini di raccolta, formatisi con l accumulo naturale di pietre in certi tratti del torrente, dai quali poteva essere fatto partire il canale adduttore. I vantaggi principali di una struttura come la steccaia, rispetto ad una vera e propria diga in muratura, consistevano essenzialmente nel fatto che era relativamente semplice e poco costosa da costruire, non necessitava di conoscenze tecniche troppo complesse per la messa in opera, era meno pericolosa in caso di piena perché il fiume, tracimando con facilità al di sopra delle palificazioni, più difficilmente provocava allagamenti a monte. D altra parte, però, necessitava di una continua manutenzione, era meno efficace e più dispersiva nell innalzare il livello dell acqua in caso di scarsa portata, veniva facilmente distrutta dalle piene stesse 128. Riguardo alla tipologia di sbarramento maggiormente diffusa nel nostro ambito territoriale, l indagine sul campo ha permesso di riscontrare che quasi tutti i mulini della zona erano alimentati da steccaie di pali e fascine, mentre in genere non si sono conservate strutture in muratura 129. Solamente in due casi, nelle ferriere di Ruota e di Torniella (Siti 4 e 23), si riscontra la presenza di 125 Una conferma ci viene anche dalle raffigurazioni di sbarramenti di questo genere in piante di XVI- XVII secolo, nelle quali si può apprezzare perfettamente la corrispondenza della tecnica costruttiva illustrata con i resti di steccaie ancora visibili attualmente: ad esempio una pianta relativa al Mulino delle Pile raffigura, con un disegno curato e chiarissimo nei particolari, la steccaia costruita con file parallele di grandi pali, ed altre opere di derivazione (v. Sito9). 126 La steccaia del mulino di Pari (v. Sito 20) è raffigurata in una pianta settecentesca come una grande palificazione che attraversava con andamento obliquo tutto l alveo del fiume Merse; nel documento relativo viene definita steccata traverza à quattro ordini con fascine di scopo, pali, e pertiche. 127 Qualche cosa di simile alle siepi che nel XIII sec. sull Arno alimentavano i mulini galleggianti nei pressi di Signa, cfr. Pirillo, 1989, p. 30 nota Per questo in alcuni contratti di locazione (ad es. v. Sito 7, anno 1304) si prevedeva che si contingeret quod dicta steccharia dicti molendini prefati propter pluviam vel fortunam temporis ledaret vel magagnaret in modo tale da impedire la macinazione, venisse decurtata una parte dell affitto. Si veda anche, per un esempio di epoca più tarda, la descrizione dei danni subiti dalla steccaia del mulino di Pari in seguito alla piena del 1741 (Sito 20): fu divelta per metà ampiezza dal fiume Merse, tanto che fu necessario costruire una piccola steccaia provvisoria allo sbocco del vicino Farma e prolungare il gorello a captare l acqua di quest ultimo. 129 Unica eccezione la steccaia semicircolare in laterizi e pietra che alimentava il Molinello di Monticiano (Sito 2 UT 1): deve trattarsi però di una costruzione molto recente, se ancora la Carta Idrografica del 1893 ci conferma l esistenza di una steccaia di pali e fascine. Per il Sito 21 la Carta Idrografica parla invece di una pietraia stabile, ma pure in questo caso doveva trattarsi di una realizzazione semplice, probabilmente un accumulo di ciottoli e pietrame a secco, vista anche la scarsa portata del corso d acqua alimentatore.

19 vere e proprie dighe stabili in materiali non deperibili 130. Il fatto non appare casuale, ma strettamente legato all esigenza di un apporto idrico particolarmente regolare e costante, fattore importantissimo soprattutto per l azionamento continuo dei mantici per periodi piuttosto lunghi, senza che si verificassero interruzioni dannose per la buona riuscita del processo metallurgico. Si tratta comunque, in entrambi i casi, di realizzazioni di epoca moderna; nel caso di Ruota, poi, la diga fu costruita in seguito al progetto di ampliare e modificare l impianto produttivo, che in precedenza veniva alimentato da una steccaia del tipo esaminato sopra 131. Lo sbarramento, in epoca medievale, rappresentava un elemento molto importante dal punto di vista giuridico ed era spesso fonte di aspre controversie; una sua eccessiva altezza poteva, infatti, causare inondazioni a monte. È quanto avveniva, ad esempio, per la steccaia del mulino di S. Lorenzo a Merse, di cui, nel 1282, il comune di Siena decretò la distruzione e lo spostamento in altro luogo, a causa dei danni da essa causati al ponte di Foiano ed ai bagni di Macereto 132. In altri casi, quando si era in presenza di diversi impianti idraulici dislocati in successione lungo lo stesso corso d acqua, le dispute potevano riguardare lo scarso apporto idrico che uno sbarramento posto a 130 A Ruota, alla metà del XVII sec. ca., fu edificata una diga larga 3,5 m a sbarramento totale dell alveo del Farma, realizzata in conglomerato tipo calcestruzzo; di essa, oltre ai resti ancora ben visibili, possediamo una serie di piante e disegni. Il sito per la costruzione era stato accuratamente scelto, in base alle caratteristiche dell alveo del torrente, già precedentemente al A Torniella esisteva una diga di pietre e ciottoli con basamento in muratura affiancata sulle due sponde da muraglioni di contenimento. Nella ferriera di Gonna (Sito 1 UT 1) lo sbarramento era certamente una steccaia di pali: le tracce di murature irregolari di sostegno agli argini, in corrispondenza dell imbocco della gora, rappresentano probabilmente i resti di strutture di rinforzo laterali. 131 Sulla ferriera di Ruota, v. infra, Cap. III, par L idea risale al 1631: si potria ridur l edifitio con due fuochi essendone capacissimo il guscio di esso, ma bisognerebbe farci una stechaia di muro. Per quanto riguarda la steccaia vecchia di Ruota, nel Agnolo Venturi così scrive: Come entra il mese d aosto si avertisca con grande diligentia di fare vedere la steccaia della ferriera se la sta bene o male, e se à bisogno di acconciare ci si metti mano in fatto fatta S. Maria d aosto che è a quindici d aosto e con diligenza si aconci di tu(tt)o quello fa bisogno di travi, stecaia con passoni dinanzi, perché in questo tempo sono finite le ricolte e ci è poca acqua e si trova delli omini che possono aiutare, siché si facci questo con grandissima cura; evvi do questa avertenzia, che quando non vi paresse che vi fusse di bisogno niente, sempre fortificate dinanzi alle travi con passoni e fascine e pontelli alle travi di dietro e sempre tenere delli auti da travi fatti e tenere sempre nella ferriera dieci canne di tavole di farnia fatte per monisione perché si adoparano di continuo a ghore e alla steccaia; e questo si facci con diligentia grande che non manchi perché [...] se qualche volta andata via una parte di detta stechaia di verno è smesso questo, oltre al danno che ne resulta che la ferriera non lavora, cresce la spesa (Venturi, Ruota, p. 29). 132 Sito XI: stecchatum quod est supra pontem de Foiano pro eo quod multum offendit et possit offendere Balneum de Macereto.

20 monte poteva causare agli impianti localizzati più a valle 133. Liti di questo genere potevano sorgere non solo riguardo alla steccaia principale, posta sul fiume alimentatore, ma anche a proposito di quelle opere di intercettazione minori, dette torcitorii, che venivano realizzate lungo una gora che alimentava diversi opifici e che servivano a convogliare l acqua verso ogni singolo impianto 134. Su questo tema possiamo riportare, in quanto caso particolarmente esplicativo, la controversia sorta tra i proprietari del Mulino delle Guazzine e quelli del Mulino Palazzo, posti rispettivamente a monte ed a valle lungo la stessa gora, a proposito del torcitorium chiamato Stecchatella, che era situato a metà strada tra i due mulini. Nel 1262 gli arbitri chiamati a dirimere la questione stabilirono che il detto torcitorio doveva stare et permanere all altezza que indicet scilicet quod ponatur corda in cruce et in fundo crucis que est in lapide seu termino lapideo cum calcina murato posito et fixo in terra seu lama [...] prope dictum torcitorium et pretendatur dicta corda usque ad crucem et in fundo crucis que est in alio lapide seu termino lapideo cum calcina murato posito et fixo in terra heredum Spinelli Pandolfini. Le minuziosissime disposizioni prevedevano inoltre che tale corda fosse tesa in linea perfettamente diritta, con l aiuto dell archipendolo, sopra l acqua della gora, in modo che essa non superasse mai l altezza designata dalle croci; nessuna delle due parti in causa avrebbe potuto innalzare o abbassare il livello dell acqua, e se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato lecito all altra parte ripristinare l altezza stabilita 135. L importanza dello sbarramento, tanto per fare un ultimo esempio, è ribadita in una norma del Constituto del 1262, con specifico riferimento proprio al Mulino Palazzo (Sito 17): in essa si prevedeva che fosse punito con una multa quicumque goram vel stecchatam molendini olim comunis Senarum, positi in plano de Orgia, ruperit vel fregerit vel in aliquo alio leserit [...] vel aliquid fecerit, propter quod aqua libere ad molendinum venire non possit. Le opere di derivazione erano quelle che consentivano di far arrivare l acqua dal fiume alimentatore fino all edificio vero e proprio e consistevano nella presa, nel canale di alimentazione e nel bacino di raccolta. La presa era semplicemente il dispositivo che, posto poco più a monte dello sbarramento, 133 Nel 1289 gli arbitri scelti per dirimere una lite sorta tra il monastero di S. Galgano e quello di S. Eugenio stabilirono, tra le altre cose, che non si potessero mutare di luogo la gora, il rifiuto, il torcitorio, e che non si potesse tagliare o abbassare la steccaia in modo che il mulino rimanesse privo dell acqua del Merse (per la trascrizione del documento v. Sito 17). Nel 1317, quando il comune di Monticiano vendette a Ghino Azzoni il sito per costruire la ferriera di Gonna, si specificò che non potevano altri prelevare l acqua dal di sopra della steccaia (v. Sito 1 UT 1). Alcune regole tendenti ad impedire una eccessiva concentrazione di mulini in spazi limitati sono inserite nel Constituto del comune di Siena del 1262 (Zdekauer, 1897, pp ): nullum hedificium nec aliud fieri permittam; et si factum est, illud destrui faciam, propter quod suus vicinus perdat vel dissipetur suum molendinum vel prius inceptum, ita quod superiora molendina non impediantur molere per inferiora et e contra. Nel Constituto del 1310 (Lisini, 1903, pp ) si prevede che missere la podestà disiena sia tenuto et debia [...] fare terminare, infra IIII mesi de l entrata del suo regimento [...] tutte e ciascune steccate de le molina del contado et giurisditione di Siena [...]. Et neuno debia, né possa, fatta la terminagione predetta, essa alzare o vero mutare in alcuna cosa [...]. Etse apparirà essa mutatione o vero alienatione, tollasi via a postutto et pongasi nel primo stato, nel quale per lipredetti saranno terminate ; inoltre si specifica che se alcuna novità fatta fusse in alcuno molino, fatto dipo l altro, et quella novità impedisse el prima fatto macinare, quella novità disfare farò. 134 Il termine torcitorium ricorre spessissimo nella documentazione scritta, quasi sempre in associazione con termini quali steccaia, gora, fuitum, all interno di elenchi degli elementi accessori di un mulino (v. Catalogo, passim). Tuttavia non risultano del tutto chiare la struttura e la funzione di questo dispositivo: sembra comunque che si trattasse di un opera atta a captare l acqua di un canale comune deviandola ( da notare anche la radice del nome, che implica l azione del torcere, del deviare) verso le condotte di ciascun edificio; in pratica una presa d acqua, forse dotata di palificazione e paratoia regolabile. In epoca moderna, negli opifici idraulici di Colle Val d Elsa, il torcitoio era una specie di argano, disposto orizzontalmente, che chiudeva o apriva l accesso dell acqua dalla gora verso le prese delle ruote, cfr. Roselli- Forti-Ragoni, 1984, p V. Sito 17.

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