L'organizzazione interna per la gestione della sicurezza: individuazione di compiti e responsabilità
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- Gustavo Mauri
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1 L'organizzazione interna per la gestione della sicurezza: individuazione di compiti e responsabilità di Anna Guardavilla (Stresa, 19 novembre 2015) L organizzazione della sicurezza all interno dell azienda passa anzitutto attraverso la definizione dei ruoli, dei compiti e delle responsabilità dei soggetti destinatari della normativa prevenzionistica nonché attraverso l individuazione di procedure atte a consentire la predisposizione e l attuazione delle misure di prevenzione e protezione individuate in sede di valutazione dei rischi e dalla legge in via tassativa. L implementazione di un buon sistema organizzativo sotto il profilo dei ruoli soggettivi, cioè di un sistema coerente con quanto previsto dall ordinamento giuridico e al contempo realmente funzionale a permettere l applicazione delle tutele e quindi, a monte, degli obblighi prevenzionistici, può essere realizzato solo mediante un attenta analisi delle competenze e dei poteri esercitati di fatto all interno dell organizzazione e dei ruoli realmente svolti, in applicazione del cosiddetto principio di effettività che da sempre domina la materia prevenzionistica. Da sessant anni, infatti, la Cassazione Penale ci insegna che l individuazione dei soggetti destinatari della normativa prevenzionistica deve essere operata sulla base dell effettività e concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti (Cass. Pen., Sez. IV, 20 aprile 1989 n.6025) e che la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale) (Cass. Pen., Sez. Un., 14 ottobre 1992 n.9874). In sostanza, il principio di effettività esprime la volontà da parte dell ordinamento di fotografare i sistemi organizzativi per quello che effettivamente sono e di dare quindi rilevanza alla configurazione degli obblighi e delle responsabilità in base all assetto dei poteri concretamente esercitati da parte dei vari soggetti. Esso fa prevalere, in caso di non coincidenza tra gli aspetti sostanziali e gli aspetti formali, quelli sostanziali e quindi: - le mansioni concretamente svolte; - i ruoli di fatto esercitati; - i poteri di fatto esercitati (con riferimento, specificatamente, alle figure del datore di lavoro, del dirigente e del preposto si veda, ad es., l art.299 D.Lgs.81/08: Esercizio di fatto di poteri direttivi ); - le prassi operative realmente praticate, etc... Consapevole del ruolo che gioca, giuridicamente parlando, il principio di effettività, starà quindi all organizzazione, nei suoi livelli decisionali, mettere in piedi un sistema di ruoli che sia coerente con quanto previsto dalla normativa e nel quale l individuazione dei ruoli stessi - sotto il profilo strettamente prevenzionistico - dal punto di vista formale non sia incongruente con i poteri esercitati di fatto dai singoli soggetti, con le mansioni realmente svolte e i ruoli esercitati, ed in cui non sia dato riscontrare che le procedure aziendali ufficiali non coincidano con le prassi e con le modalità esecutive del lavoro concretamente praticate in azienda.
2 Per identificare ruoli, competenze e poteri occorre partire da quella che le Sezioni Unite della Cassazione (nella recente sentenza di legittimità sul caso Thyssenkrupp) chiamano la mappa dei poteri : il Documento di Valutazione dei Rischi. La Cassazione in quell occasione ricorda infatti che un importante indicazione normativa per individuare in concreto i diversi ruoli deriva dall art. 28, relativo alla valutazione dei rischi ed al documento sulla sicurezza, che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale. La valutazione riguarda «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Il documento deve contenere la valutazione dei rischi, l individuazione di misure di prevenzione e protezione, l individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri. E la Corte conclude, parlando del DVR: si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti. (Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014 n ). Come richiamato implicitamente dalla Corte, infatti, sul piano normativo il punto di riferimento in materia è rappresentato dall art. 28 c. 2 lett. d) D.Lgs.81/08 il quale prevede che il documento di valutazione dei rischi debba contenere l individuazione delle procedure per l attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri. (Sul tema delle competenze e dei poteri, peraltro, è interessante rintracciare le competenze e i poteri specificamente previsti dal legislatore all interno delle singole definizioni di datore di lavoro, dirigente e preposto contenute nell art. 2 D.Lgs.81/08 e all interno dell art.16 del medesimo decreto: si noterà che è la legge stessa a stabilire quali sono le competenze e i poteri da ricollegarsi a ciascun soggetto; il tutto senza dimenticare l art. 299 che impone di guardare ai poteri di fatto esercitati). La norma sulla valutazione dei rischi su richiamata ci riporta alla mente un altra importante previsione del testo unico, ovvero l articolo 30. Se si parte infatti dall impostazione dell articolo 30 del decreto 81 sui modelli organizzativi, che, pur descrivendo un modello formalmente volontario la cui applicazione non va mai data per scontata in un azienda in quanto non obbligatoria, tuttavia identifica indiscutibilmente quello che secondo il sistema giuridico è un buon modello di gestione (dal momento che, se idoneo, può addirittura porre al riparo l azienda da una responsabilità di enorme rilievo quale quella amministrativa delle persone giuridiche), si ha immediatamente la percezione di quanto sia rilevante, tra i requisiti essenziali del modello, la definizione delle competenze e dei poteri nell ambito dell articolazione di funzioni prevenzionistiche. Il terzo comma dell art.30 del D.Lgs.81/08, infatti, prevede che il modello di organizzazione, gestione e controllo atto a prevenire i reati di salute e sicurezza sul lavoro debba prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell organizzazione e dal tipo di attività svolta, un articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio [ ]. Tutto ciò ci riporta direttamente al tema delle posizioni di garanzia. Ma - è possibile che qualcuno si domandi - cosa si intende esattamente quando si parla (come spesso si fa nel settore della salute e sicurezza) di posizioni di garanzia e di garanti? Questo concetto è di nuovo chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite che abbiamo citato sopra, la quale pone un collegamento tra la posizione del garante in materia di salute e sicurezza dei
3 lavoratori (es. datore di lavoro, dirigente, preposto, delegato etc ) e la gestione del rischio, o meglio le singole sfere o aree di gestione dello stesso. Secondo la Cassazione, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare e ciò vale soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, in cui si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Sul piano del diritto penale, le distinte sfere di responsabilità gestionale vanno separate le une dalle altre in quanto conformano e limitano l imputazione penale dell evento al soggetto che viene ritenuto gestore del rischio. Ed allora, si può dire in breve, [che] garante è il soggetto che gestisce il rischio. A questo punto, tenendo fermi tutti i criteri e i metodi di ragionamento condivisi finora, occorre porsi un ulteriore domanda prima di procedere all analisi della giurisprudenza sui ruoli soggettivi; ovvero chiedersi come si individuino concretamente le singole posizioni di garanzia (datore di lavoro, dirigente, preposto, delegato, etc..) all interno di un organizzazione complessa. La risposta a questa domanda ci viene ancora una volta fornita dalle parole delle Sezioni Unite della Cassazione, che chiariscono che nell individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio [ ], del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva. Applicando questo criterio, prendiamo in esame i singoli soggetti della prevenzione, i loro compiti e le loro responsabilità (o quantomeno prendiamo in esame i soggetti rispetto alla cui configurazione si pongono di solito nella pratica aziendale le maggiori problematicità), facendoci guidare dalla giurisprudenza della Cassazione. Partiamo, ovviamente, dalla figura del datore di lavoro: un soggetto che spesso si ritiene di facile individuazione ma che nella pratica non è sempre così semplice da identificare, in particolar modo nell ambito delle organizzazioni complesse. Riguardo al datore di lavoro originario, con riferimento al Consiglio di Amministrazione la Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. IV, 20 maggio 2013 n ) precisa: secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione. E difatti il Presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può, da solo, essere considerato rappresentante della società appartenendo la rappresentanza all intero consiglio di amministrazione, salvo delega conferita ad un singolo consigliere, amministratore delegato, in virtù della quale l obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato, rimanendo in capo al consiglio di amministrazione residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega. E possibile poi che, nelle organizzazioni complesse, sussistendo di fatto tutta una serie di condizioni (sostanzialmente la reale autonomia dell unità produttiva secondo quanto previsto dalla
4 corrispondente definizione di cui all art. 2 T.U. e i poteri realmente datoriali in capo a colui che dirige tale unità), vi sia anche un datore di lavoro nell ambito dell unità produttiva. La Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, 3 febbraio 2011 n. 4106) opera in tal caso la seguente distinzione: il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali... I criteri per individuare la figura del dirigente in materia di salute e sicurezza sono i seguenti (Cass. IV Pen n ): come il datore di lavoro, anche il dirigente ed il preposto sono indubbiamente destinatari diretti (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale delega di funzioni conferita dal datore di lavoro. Certamente quella del dirigente è un livello di responsabilità intermedio: tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all effettivo potere di spesa (cfr. in tal senso, Sez. 4, 8 aprile 2008, De Santis ed altri, che, intervenuta sulla figura dei dirigenti, ha definito tali quei dipendenti che hanno il compito di impartire ordini ed esercitare la necessaria vigilanza, in conformità alle scelte di politica d impresa adottate dagli organi di vertice che formano la volontà dell ente. Essi rappresentano, dunque, l alter ego del datore di lavoro, nell ambito delle competenze loro attribuite e nei limiti dei poteri decisionali e di spesa loro conferiti). Non va in ogni caso dimenticato che, secondo giurisprudenza costante, la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. (Cass. Pen., Sez. IV, 12 novembre 2008 n ) Un aspetto importante va qui rimarcato. L incarico che viene conferito ad un soggetto in termini di ripartizione aziendale delle competenze (ad es. come responsabile di., direttore di. ) o il successivo atto di individuazione di un dirigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non devono essere confusi con l istituto della delega di funzioni previsto dall articolo 16 D.Lgs.81/08. La Corte (Cass. Pen., Sez. IV, 11 marzo 2013 n ) precisa, infatti, che non può parlarsi di delega di funzioni prevenzionistiche quando si tratti [ ] della nomina di un responsabile di servizio [qui: ingegneristico]; ovvero di un atto che concretizza l'articolazione organizzativa aziendale. Non vale a mutare tale natura il fatto che si faccia riferimento al compimento delle attività correlate al ruolo (studio ed organizzazione dei metodi di produzione; progettazione esecutiva e installazione, realizzazione e messa in marcia delle attrezzature e dei macchinari di serie per nuovi prodotti/processi e modifiche) nel rispetto di tutte le norme infortunistiche. Si tratta di una locuzione che non ha altro significato che il richiamo del nominato al rispetto delle norme antinfortunistiche (e quindi un momento degli obblighi già posti dalla legge); laddove la delega di funzioni prevenzionistiche richiede l'individuazione dei compiti di natura specificamente prevenzionistica che vengono trasferiti in forza della stessa. Sul piano nominalistico, per quanto tale requisito non sia esplicitamente preso in considerazione neppure dall'art. 16 d.lgs. n. 81/2008, la dottrina non dubita della necessità di siffatta specificazione. Ed invero, si tratta di un requisito ontologico della delega, giacché in sua assenza
5 non sarebbe possibile neppure operare quel giudizio di idoneità e di adeguatezza delle risorse decisionali e finanziarie messe a disposizione del 'delegato, che è stato individuato esso pure quale requisito essenziale di una valida delega. Fatta tale premessa, cos è dunque la delega di funzioni esattamente e come si fa a distinguerla dagli obblighi che gravano direttamente su un dirigente (iure proprio, come direbbe la Cassazione)? C è una sentenza (Cass. IV Pen. 25 marzo 2010 n.11582) che lo illustra a mio parere in modo molto efficace: un conto è individuare le persone fisiche [ ] che, all interno delle organizzazioni complesse, sono titolari dei poteri dai quali deriva la loro responsabilità in caso di violazione dei doveri inerenti la loro funzione; altro discorso è la delega di funzioni che riguarda un momento successivo e cioè la possibilità - per queste persone titolari di poteri (o per gli organi direttivi dell organizzazione) - di attribuire ad altri le funzioni da cui può derivare la loro responsabilità. Si può parlare, nel primo caso, di assunzione di funzioni a titolo originario in base alle esigenze di divisione del lavoro mentre, nel secondo caso, l assunzione avviene a titolo derivativo e in questo secondo caso si parla di trasferimento di funzioni. Per esemplificare: il datore di lavoro individuale o l amministratore delegato di una società possono delegare ad un terzo l attuazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro perché si tratta di compiti loro originariamente attribuiti. Non rientra nella delega di funzioni invece l attività di controllo attribuita a singoli dipendenti sull effettivo adempimento di tali misure e, in genere, ogni attività esecutiva delle direttive provenienti dai soggetti legittimati. Insomma la delega di funzioni si ha solo se al delegato vengono attribuiti poteri originariamente spettanti al delegante. Tornando agli obblighi iure proprio, riguardo all obbligo gravante sul dirigente di organizzare e strutturare la vigilanza, la Cassazione Penale (Sez. IV, sent. 10 febbraio 2011 n. 5013), delineando un ruolo attivo del dirigente rispetto a tale obbligo, ha osservato che in tema di prevenzione infortuni, il datore di lavoro, così come il dirigente, deve controllare acché il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli. Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, il datore di lavoro o il dirigente, ove infortunio si verifichi, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza costituendolo, di per sé, in colpa. Se il binomio datore di lavoro-dirigente è un binomio di soggetti cui la legge attribuisce poteri gestionali (si vedano le relative definizioni), il preposto è invece un soggetto che deve garantire l attuazione delle direttive ricevute operando un attività di coordinamento e controllo sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa da parte dei lavoratori. Infatti, secondo la Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, 21 aprile 2006 n ), con il termine sovraintendere, secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza. Non spetta al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri, intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare. [ ]
6 Non può, pertanto sfuggire alle sue responsabilità il soggetto che avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche. In caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni. Il datore di lavoro, per poter adempiere ai propri obblighi (tra i quali, oltre a quelli previsti dal D.Lgs.81/08, vi è anche quello previsto dall art c.c. che pone l obbligo della cosiddetta massima sicurezza tecnologicamente fattibile ), ha necessità di avvalersi di consulenti esperti della materia della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, che nel nostro settore sono previsti legislativamente secondo il regime di obbligatorietà previsto dalla legge (RSPP e, nei casi previsti dalla legge, Medico Competente). Sulla figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, la Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. IV, 17 dicembre 2012 n ) ci ricorda che la designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l istituto della delega di funzioni (cfr. ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16) e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell esonero della responsabilità del datore di lavoro. [ ] Nello svolgimento dei suoi compiti, peraltro, il RSPP opera per conto del datore di lavoro, svolgendo solo un attività di consulenza nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente lavorativo. Riguardo alle responsabilità, per giurisprudenza ormai costante (una per tutte, qui, Cass. Pen., Sez. IV, 27 gennaio 2011 n.2814), è noto che il RSPP può essere tenuto a rispondere - proprio perché la sua inosservanza si pone come concausa dell evento - dell infortunio in ipotesi verificatosi proprio in ragione dell inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli dalla legge. L assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l eventuale inottemperanza a tali funzioni possa integrare una omissione rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o male considerata dal responsabile del servizio. Per quanto riguarda la figura del Medico Competente, assai importante risulta sottolineare qui che quest ultimo è chiamato a svolgere un ruolo centrale nel sistema di prevenzione non solo nell ambito della sorveglianza sanitaria ma anche, e prima di tutto, nell ambito della valutazione dei rischi (oltre che degli altri obblighi e compiti previsti dalla legge). La prima sentenza che si è pronunciata sull obbligo del medico competente di collaborare alla valutazione dei rischi (obbligo ormai penalmente sanzionato a partire dal 2009), ovvero Cass. Pen., 15 gennaio 2013 n.1856, ha precisato che è evidente, avuto riguardo all'oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il medico competente, portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche. L'espletamento di tali compiti da parte del medico competente comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale.
7 Conclusivamente, ognuno, insomma, risponderà solo per ciò che è in grado di fare o di non fare, in relazione alle facoltà ed ai mezzi di cui è stato provvisto, e ciò, sia sul piano di una distribuzione orizzontale delle incombenze fra coloro che compongono il vertice dell azienda o dell ente, sia lungo la linea verticale della scala gerarchica, predisposta per attuare il decentramento operativo e gestionale tipico delle strutture produttive moderne. (A. Culotta, M. Di Lecce, G. Costagliola.)
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