RIFLESSIONI SULLE TERRE E ROCCE DA SCAVO ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO AMBIENTALE D.LGS. N.152/2006.

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1 RIFLESSIONI SULLE TERRE E ROCCE DA SCAVO ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO AMBIENTALE D.LGS. N.152/2006. Il tema delle terre e rocce da scavo costituisce una questione che ha interessato gli ultimi anni, impegnando il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza in un dibattito tutt oggi aperto incentrato principalmente sulla possibilità o meno di inquadrare come rifiuto questo materiale di risulta, frutto di processi di escavazione così da poterlo includere nel campo di applicazione della normativa sui rifiuti e sottoporlo a tutte le forme di gestione e di controllo finalizzate alla tutela ambientale. 1. Le terre e rocce da scavo alla luce della normativa e della giurisprudenza previgente al Nuovo Testo Unico Ambientale D.lgs. n. 152/2006. Inizialmente, le terre e rocce da scavo erano considerate a pieno titolo dei rifiuti. Infatti, il DPR 915/82, classificava i materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi, come rifiuti speciali ai sensi dell art. 2 comma 3 punto 3), che la Delibera Interministeriale del 27/07/1984 destinava ai fini dello smaltimento in discarica di seconda categoria di Tipo A, senza che vi fosse alcuna esclusione o eccezione alla applicazione della legge, né che fosse ammessa alcuna forma di riutilizzo di tali materiali. Negli anni sono intervenuti 18 Decreti Legge sui residui destinati al riutilizzo, con i quali è stato ammesso il recupero, nel rispetto di determinate condizioni dettate dal D.M. 05/09/1994 (in attuazione dell art. 2 - esclusioni comma 3 del DL 438/94), di materiali-rifiuti quotati nelle borse merci (mercuriali), costituiti da materiali inerti di natura lapidea provenienti da demolizione e costruzione privi di amianto, sfridi e rottami di laterizio, intonaci, calcestruzzo armato e non, purché 1

2 provenienti da idonei impianti di trattamento rispondenti alle caratteristiche merceologiche delle materie prime. Nel febbraio 1997, è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 22 (meglio noto come Decreto Ronchi) il quale ha introdotto il criterio discretivo della pericolosità per cui i rifiuti inerti derivanti da demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi derivanti da attività di scavo continuavano ad essere classificati (art.7, comma 3, lett.b) rifiuti speciali; mentre le terre e rocce, ossia i materiali non pericolosi derivanti dall attività di scavo dovevano essere esclusi dalla normativa rifiuti (art. 8, comma 2, lett.c). L esclusione operata dal legislatore italiano in ordine alle terre e rocce da scavo è durata ben poco, essa è stata infatti contestata dalla Commissione Europea, che ha obbligato il legislatore nazionale ad emanare il D.lgs 389/97, che, con l art.1, abrogava l art. 8, comma 2, lett.c del Dlgs 22/97, talchè le terre e rocce da scavo sono tornate ad essere assoggettate alla normativa sui rifiuti. Tuttavia, rimanendo in vigore l art.7, comma 3, lett.b del Decreto Ronchi si è aperto un dibattito interpretativo, tanto che parte della dottrina e degli operatori di settore ha ritenuto che, in ogni caso, solo i rifiuti pericolosi derivanti da attività di scavo fossero assoggettabili alla normativa rifiuti, mentre i materiali non pericolosi provenienti da una attività di scavo non dovevano esserlo. In questo quadro di incertezza interpretativa, la giurisprudenza di legittimità si è collocata su di una posizione conservatrice, frutto anche degli interventi comunitari sul tema, sostenendo la tesi per cui terre e rocce da scavo costituissero certamente rifiuti e come tali dovessero essere trattati. Vi è stato un primo intervento della Suprema Corte di Cassazione che con sentenza 11 febbraio 1998 n. 1654, ha ritenuto che: i materiali 2

3 provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali a norma dell art.2 comma 4 n. 3 DPR 915/82 e scaricarli in un area determinata attraverso una condotta ripetuta anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura quella realizzazione o gestione di discarica, per la quale è richiesta l autorizzazione di cui all art. 6 dett. d) del citato decreto. Ma, soprattutto, sul punto, paradigmatica è la nota sentenza della Suprema Corte n.2419/2000, secondo cui: il sistema di sorveglianza e gestione istituito dalle direttive CE in materia si deve intendere riferito a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfi, anche se essi hanno un valore commerciale a fini di riciclo, recupero o riutilizzo, che, di conseguenza il Dlgs 389/97 ha recuperato nell alveo della normativa generale sui rifiuti anche i materiali non pericolosi derivanti dall attività di scavo Rientra nella nozione di rifiuto di cui all'art. 6 D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, ove il detentore se ne disfi o abbia l'obbligo di disfarsene, il materiale di risulta dello scavo di un traforo, in quanto riconducibile alla categoria residuale di cui al punto Q16 dell'allegato A del predetto decreto. A partire dal 2000, l idea di escludere dall applicazione della normativa sui rifiuti le terre e le rocce da scavo è divenuta sempre più diffusa. E intervenuta una Circolare del Ministero dell Ambiente del luglio 2000 (n. UL/2000/10103) la quale, segnando un primo monento di rottura con la vecchia impostazione, ha precisato che le terre e rocce da scavo dovevano essere considerate rifiuti solo se superavano determinati limiti di concentrazione di inquinanti stabiliti dal D.M. 25 ottobre 1999 n.471, diversamente dovevano rimanere escluse dalla disciplina sui rifiuti. Detta circolare è stata da subito oggetto di contestazione da parte della giurisprudenza e dalla dottrina per diversi e ragionevoli motivi di contrasto 3

4 normativo ma soprattutto per mancanza di forza legislativa, posto che il parere ministeriale tentava di dare la sua interpretazione della nozione di rifiuto, così come legislativamente prevista. Tuttavia, nonostante le critiche, nel 2001 vi è stato un importante intervento normativo operato dalla legge 23 marzo 2001 n.93 sul Decreto Ronchi del 1997 con l introduzione della lettera f bis all art.8 del citato decreto. Detto intervento normativo, seguendo i binari già tracciati dalla circolare ministeriale del luglio del 2000, con l intento di dare alla stessa forza di legge, ha escluso dall applicazione della normativa sui rifiuti: le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti (lett. f bis all art.8). Questa novella legislativa non era tuttavia di per sé sufficiente a sgomberare il campo da dubbi, tanto che il legislatore, con Legge 21 dicembre 2001 n.443 (meglio nota come legge Lunardi), ha fornito l interpretazione autentica dell art. 7, ma soprattuto dell art.8 del Decreto Ronchì così modificato. I passi essenziali di questi criteri di interpretazione sono i seguenti: le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo [Decreto Ronchi], anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti. Il rispetto dei limiti massimi è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti 4

5 cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti massimi previsti dalle norme vigenti e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato. Il legislatore con detto intervento ha cercato di fornire una volta per tutte una definizione delle terre e rocce che non costituiscono un rifiuto, stabilendo che sono escluse dall applicazione della normativa sui rifiuti le terre e rocce da scavo che non superando i limiti di accettabilità (riferiti all intera massa) limiti da verificare sui siti di destinazione siano destinate all effettivo riutilizzo presso anche siti diversi da quelli di provenienza e purché autorizzati dall autorità amministrativa. Il drastico cambiamento di impostazione è stato recepito da subito anche in sede giurisprudenzile, vedasi, ex multis, Cass. pen., sez. III, 11/02/2003, n.13114: I materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via, anche se contenenti modeste parti di asfalto, non rientrano nella nozione di rifiuto, atteso che le terre e rocce da scavo, anche se contaminate, sono riutilizzabili purché non provengano da siti inquinati o da bonifiche. * * * 2. Le terre e rocce da scavo alla luce del Nuovo Testo Unico Ambientale D.lgs. n. 152/2006 Questa impostazione, poi successivamente ritoccata dalla Legge 31 ottobre 2003, n.306 è la stessa impostazione che oggi emerge anche nel Nuovo Testo Unico Ambientale D.lgs. n.152/2006, al cui art. 186 si legge: 1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, 5

6 esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente.sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3 3. Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato, in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato utilizzo. I limiti massimi accettabili nonché le modalità di analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i criteri di cui all'allegato 2 del titolo V della parte quarta del presente decreto, sono determinati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Alla luce del Nuovo Testo Unico Ambientale D.lgs. n.152/2006, l esclusione di terre e rocce da scavo dall ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti è, dunque, vincolata al rispetto contemporaneo di precise condizioni: a) caratterizzazione dei materiali, i cui criteri sono prevista nell allegato 2 del Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006 (da effettuarsi alternativamente o sul sito di provenienza o sul sito di destinazione) entro i limiti di accettabilità - riferiti all intera massa - che sono precisati con D.M. 2 maggio 2006 n

7 b1) effettivo reutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, previsto nel progetto a qualsiasi titolo autorizzato dall autorità amministartiva competente previo, ove non si prevista VIA, parere dell ARPA; b2) destinazione ad utilizzo, compresa la destinazione a diversi cicli di produzione industriale, senza trasformazioni preliminari, e secondo le modalità previste nel progetto di valutazione di impatto ambientale (VIA) o, se non sottoposto a VIA secondo le modalità di progetto approvate dall autorità amministrativa previo parere ARPA. E di piena evidenza, dunque, quale sia, anzitutto, l importanza che riveste l attività di caratterizzazione dei materiali al fine di includere o escludere terre e rocce da scavo dal regime dei rifiuti. Proprio in ordine alla caratterizzazione, si registra la maggiore portata innovativa del Nuovo Testo Unico ambientale D.lgs. n.152/2006, il quale ha dettato precise procedure di verifica, contenute nell allegato 2 del Titolo V del citato D.lgs, che appaiono radicalmente diverse da quelle procedure di cui all allegato 2 del D.M. n. 471/1999 cui prima ci si rifaceva, che possiamo così riassumere: - per le sostanze inquinanti da ricercare ci si potrà limitare ad un set standard, individuato in base al ciclo produttivo e/o ai dati storici; - il carotaggio dovrà essere continuo a secco con prelievo di 2 aliquote; - la concentrazione dovrà esssere determinata per stati omogenei dal punto di vista litologico con il prelievo separato di materiali; - per ciascun sondaggio i campioni dovranno essere formati distinguendo almeno tre sub-campioni; 7

8 - la caratterizzazione del terreno dovrà essere concentrata nella zona insatura, mentre quando sono oggetto di indagine i rifiuti interrati si procederà al prelievo e all analisi di un campione medio del materiale estratto da ogni zona di sondaggio; - le analisi chimiche dovranno garantire l ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione limite; - - l elaborazione dei risultati dovrà esprimere l incertezza del valore di concentrazione determinato per campione. I limiti massimi di inquinamento accettabili, nonché le modalità di analisi dei materiali sono poi dettagliatamente disciplinati dal D.M. 2 maggio 2006 n.107. Il Nuovo Testo Unico Ambientale D.Lgs. 152/06 disciplina altresì, all art. 266, comma 7, la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi compresi le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale. Il Decreto Ministeriale 02/05/2006 n.112, attuattivo dell'art. 266 comma 7, ha reso operativa la possibilità di riutilizzo delle terre e rocce da scavo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, di provenienza da cantieri edili e di manutenzione di reti o infrastrutture, semprechè la produzione non superi i seimila metri cubi, con esclusione delle terre e rocce da scavo provenienti da siti contaminati ai sensi del titolo V, parte IV, del D.Lgs.152/06. Detto utilizzo, che li esclude dal campo applicativo della gestione dei rifiuti, è possibile a condizione che l'impresa titolare del cantiere di provenienza invii all'agenzia Regionale per la protezione dell'ambiente, almeno sette giorni prima dell'inizio dell'attività di escavazione, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio non necessaria nel caso in cui le terre e rocce da scavo siano impiegate nello stesso cantiere che le ha 8

9 prodotte che attesti che nell'attività di escavazione non sono state impiegate sostanze o metodologie inquinanti e dalla quale risultino, come previsto dall'allegato, informazioni relative a: 1) individuazione del cantiere di produzione dei materiali; 2) la quantità complessiva dei materiali estratti; 3) individuazione dei siti di destinazione dei materiali con indicazione della quantità ad essi destinati. Nel caso di non riutilizzo immediato del materiale di scavo, in detta comunicazione dovrà essere indicato il sito di deposito, che potrà essere anche esterno al luogo di produzione. La comunicazione dovrà essere integrata con l'indicazione dei siti effettivi di destinazione delle terre e rocce da scavo almeno 7 giorni prima dell'impiego. Nel caso l'impiego dovesse essere procrastinato per oltre 12 mesi, l'impresa titolare del cantiere ne dovrà dare notizia alla Provincia nel cui territorio è situato il deposito, la quale può disporne lo sgombero con motivata disposizione. * * * 3. Le questioni ancora aperte in relazione alle terre e rocce da scavo. All indomani dell entrata in vigore del Nuovo Testo Unico Ambientale D.lgs. n.152/2006 rimangono aperti alcuni problemi legati soprattutto alle procedure di caratterizzazione che, complesssivamente considerate, dovrebbero tutelare gli operatori da eventuali contestazioni in relazione alla gestione di questi materiali. Uno degli aspetti più delicati e controversi è legato al momento in cui viene disposta la caratterizzazione dei materiali, ex ante al momento dell attività di scavo, perforazione o ex post sul sito di destinazione. Infatti, potrebbe accadere che andando ad effettuare la caratterizzazione ex post sul sito di destinazione (ad esempio su un giardino, orto etc etc) non si registri un superamento dei limiti di 9

10 inquinamento nelle terre e rocce originarie, in virtù di una sorta di diluizione delle sostanze inquinate dovuta alla loro ricollocazione. Non solo, ma una indagine a valle che andasse a qualificare detti materiali come rifiuti avverrebbe a seguito di tutta una serie di attività di gestione a monte (carico, trasporto) che risulterebbero a posteriori illecite. L operatore, come si vede, è comunque sempre costretto ad agire su un crinale molto sottile, rischiando di dovere affrontare problemi di gestione illecita dei rifiuti, di bonifica di siti contaminati da materiali non da lui prodotti ma semplicemente a lui destinati come sani e magari essere ritenuto responsabile di un danno ambientale da risarcire. Ecco perché, anzitutto, sarebbe fondamentale che l attività di caratterizzazione dei materiali (terre, rocce da scavo, residui della lavorazione della pietra) avvenisse a monte, prima dell attivita di sbancamento o rimozione, e fosse massimamente accurata secondo le prescrizioni oggi previste dall allegato 2 del titolo V del Nuovo Testo Unico Ambientale D.Lgs. n. 152/2006 in combinato disposto con D.M. 2 maggio 2006 n

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