Non c è rete senza nodi. Il ruolo del capitale sociale nel mercato del lavoro

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1 PAOLO BARBIERI Non c è rete senza nodi. Il ruolo del capitale sociale nel mercato del lavoro In questo scritto esamineremo la relazione che esiste fra mercato del lavoro e capitale sociale individuale, con specifico riferimento al ruolo svolto dalle appartenenze relazionali e familiari nel processo di incontro fra domanda e offerta di lavoro. Dopo aver brevemente ricordato le caratteristiche del mercato del lavoro italiano e dello specifico modello occupazionale che vi si realizza, il ruolo delle appartenenze sociali verrà approfondito per quanto concerne i processi di ricerca e successivo inserimento al lavoro esponendo i risultati di una ricerca condotta su un campione di avviati al lavoro a Milano. I dati presentati intendono mettere in luce l influenza del capitale sociale nei processi di allocazione al lavoro degli individui, ed in particolare dei «legami forti», cioè delle reti affettive e parentali, nel predefinirne gli esiti. In sede di considerazioni conclusive, osserveremo come esista uno stretto legame fra un determinato modello occupazionale e l efficacia di un particolare tipo di legami nella strutturazione dei processi di mobilità occupazionale degli individui. 1. Welfare Regime e modello occupazionale Per comprendere il mercato del lavoro italiano, così come si è andato definendo negli ultimi venti anni, è necessario considerare il modo in cui lo specifico welfare state regime (Esping- Andersen 1990) si articola ed interagisce con il dualismo economico-territoriale: il ruolo del welfare infatti è cruciale per le dirette implicazioni che ha sulla struttura occupazionale, e dunque sulle modalità di regolazione e di intervento sul mercato STATO E MERCATO / n. 49, aprile 1997

2 68 Paolo Barbieri del lavoro. In breve, il sistema di welfare incide sul modello occupazionale di un paese o favorendo, direttamente od indirettamente 1, la domanda di lavoro nei servizi terziari (servizi sociali, servizi personali e di cura), o all opposto riducendo l offerta di lavoro per tutti quei servizi che possono essere internalizzati dalle famiglie, a carico della componente femminile del nucleo (Esping-Andersen 1991). Nel primo caso si avrà un incremento dell occupazione anche nelle fasce di lavoro meno qualificato dei servizi, ed in particolare nelle attività di servizi che all interno dei modelli di social-welfare services nordeuropei diventano le forme di impiego prevalenti (in particolare a parttime) per la manodopera femminile a qualificazione medio-bassa. Nella seconda ipotesi invece, si espanderanno soprattutto le attività terziarie a più elevata qualificazione (ma ben poco labourintensive) dei servizi alle imprese 2, con la conseguenza che una gran massa di personale privo di adeguate qualifiche professionali avrà molta più difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro. La letteratura indica questa situazione con il termine di eurosclerosi, in quanto è propria dei paesi centro e sudeuropei. Il modello di welfare conservatore-corporativista realizzato in Italia è caratterizzato dal principio di sussidiarietà dei servizi di welfare rispetto alla famiglia, privilegiata come centro di riproduzione sociale. Poiché un tale modello deprime la domanda di lavoro per le fasce occupazionali (per lo più donne e giovani) di bassa qualifica, queste sono le prime ad essere particolarmente esposte alla disoccupazione. Questa offerta di lavoro eccedente rimane però «nascosta» all interno della famiglia, con i soggetti privi di lavoro «dipendenti» non da un (inesistente) sistema di sussidi pubblici, ma dal salario del capofamiglia occupato, magari integrato con attività precarie ed in nero. Si tratta quindi a tutti gli effetti di un vero e proprio modello di welfare familistico che privilegia l accesso all occupazione/ rioccupazione dei maschi adulti o comunque di coloro che ne assumono il modello produttivo e riproduttivo (Schizzerotto, 1 Da un punto di vista sociale ovviamente esiste una grossa differenza se la domanda di servizi personali e sociali è sostenuta dal sistema di welfare in modo diretto, cioè attraverso la fornitura dei servizi suddetti da parte dello stesso welfare pubblico, od indirettamente, favorendo o comunque non ostacolando la risposta del mercato a tale domanda di servizi. 2 Ovviamente queste attività tenderanno a concentrarsi nelle aree dove esiste una domanda da parte delle imprese maggiori per i loro servizi. Tutto ciò alimenta il circuito dell esclusione economico-territoriale, e quindi occupazionale.

3 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 69 Bison e Zoppè 1995) e che interagendo con il dualismo territoriale della situazione italiana, origina una disoccupazione per lo più giovanile e femminile 3 particolarmente elevata soprattutto nelle regioni meridionali, colpite da tassi di disoccupazione quadrupli rispetto ai valori delle regioni settentrionali 4. Questi capifamiglia maschi adulti, dunque, costituiscono la stragrande maggioranza degli insiders, cioè della forza lavoro regolarmente occupata, protetta dalla normativa giuslavoristica così come dall agire concreto del sistema di relazioni industriali: una forza lavoro centrale e prevalentemente formata all interno delle imprese (Lindbeck e Snowder 1988). Fra questa forza lavoro, le associazioni datoriali e le istituzioni di governo si realizza un vero e proprio patto implicito (Soskice 1990) in cui l adesione dei primi agli obiettivi economici e competitivi del sistema produttivo costituisce la contropartita per una garanzia del sistema occupazionale dato. In questo scambio, il controllo e la riduzione della disoccupazione non rappresentano solitamente obiettivi primari, tanto più in quanto la disoccupazione coinvolge soggetti diversi per genere, qualifica, età. Risultato di questa situazione è la riconferma del modello di welfare fondato sull internalizzazione delle attività di servizi e di cura nella 3 L Italia è sempre stata caratterizzata da altissimi tassi di disoccupazione giovanile, situazione che colpiva in misura maggiore le donne residenti nelle regioni meridionali del paese. Molto bassa invece la disoccupazione per le classi di età oltre i 45 anni, anche in conseguenza del ritiro delle donne di questa fascia di età dalla forza lavoro (1991: 5% per la fascia 45-55,2% per quella oltre i 55 anni). 4 Con ciò, ovviamente, non si vuole sostenere che in Italia esista un unico ed omogeneo regime occupazionale per i maschi adulti, per i quali varrebbero ovunque condizioni di quasi-piena occupazione: le differenze territoriali permangono, specie se si mettono a confronto i dati delle regioni più ricche con quelli del meridione. Verificando infatti la quota media degli occupati sul totale della forza lavoro maschile, riemerge il dualismo dei mercati del lavoro italiani, dualismo che negli anni ottanta ha intaccato anche l occupazione dei maschi meridionali adulti. Allo stesso modo, recenti studi sulla partecipazione al lavoro delle donne segnalano come, specialmente nelle regioni settentrionali e per determinate fasce di istruzione, si stiano modificando le disparità relative legate al genere nella partecipazione al mercato del lavoro (Bison, Pisati, Schizzerotto 1996). Con questa necessaria cautela tuttavia, possiamo osservare come, per lo stesso periodo, la quota di maschi adulti occupati resta comunque molto più elevata rispetto a quella delle donne, e prossima alla media nazionale anche nelle regioni meridionali. Dal 1977 al 1992, infatti la quota media di maschi adulti occupati varia tra il 68% al Meridione, il 71% in Italia ed il 71,5% in Lombardia. Come sottolinea Reyneri (1994): «non va dimenticato che il tasso di disoccupazione tra gli uomini sposati non ha mai raggiunto, neppure nel sud, più del 6%». Questo stesso tasso, nel 1995 è salito al 7,4%: è ancora troppo presto però per dire se possa trattarsi di un primo «segnale debole» di una possibile crisi del modello occupazionale italiano.

4 70 Paolo Barbieri famiglia, a carico della componente femminile del nucleo, già esclusa dal mercato del lavoro. In aggiunta a ciò, la scelta di attuare politiche di disoccupazione (Esping-Andersen 1991) cioè di incentivi all uscita: prepensionamenti, mobilità lunga, cassa integrazione straordinaria protratta, ecc. in occasione della ristrutturazione del sistema economico produttivo, riducendo il numero di insiders occupati, ha allontanato sia le possibilità di un ricambio occupazionale sia quelle di un differente intervento di politica del lavoro. I pregi ed i limiti di un tale modello sono sostanzialmente riassumibili nel fatto che è un modello poco costoso che permette di assorbire elevati tassi di disoccupazione senza che questi producano disastrosi effetti sulla pace sociale 5, ma che non crea occupazione aggiuntiva, in quanto l internalizzazione delle attività di servizi e di cura nella famiglia impedisce che si realizzi sul mercato la creazione di attività lavorative nei servizi personali e in quelli al consumo, cioè in quelle attività a bassa qualificazione che nei regimi occupazionali liberisti funzionano come «spugne» per la disoccupazione e sovente come «primo canale di accesso» al mercato del lavoro per le fasce giovanili. A questi dati di struttura, vanno aggiunte altre due considerazioni specifiche riguardo al mercato del lavoro italiano ed alle trasformazioni che questo ha subito nel corso degli anni ottanta. La prima riguarda la frammentazione verificatasi anche all interno dell offerta di lavoro, in conseguenza sia di fenomeni di tipo strutturale quali l accresciuta femminilizzazione e l aumento del livello medio di istruzione, sia di una mutata struttura di preferenze degli stessi individui in cerca di impiego, in particolare i giovani. Ciò ha prodotto un offerta di lavoro che, rispetto all offerta di lavoro fordista indifferenziata e massificata, appare molto meno omogenea al suo interno e molto meno passiva nei confronti della domanda. I soggetti che si presentano 5 Le spese di bilancio del Ministero del Lavoro negli anni ottanta, considerando anche le spese per cassaintegrazione e prepensionamenti, a carico della previdenza, oscillavano tra il 5,5% ed il 7,5% della spesa pubblica (Reyneri 1996). I dati OECD sulle spese per le politiche del lavoro in Italia sia attive (formazione, promozione di interventi mirati, ecc.) che passive (trasferimenti di reddito) fra il 1985 ed il 1992 sono passate dal 1,5% del prodotto interno lordo al 1,8%, e sono in assoluto fra le più basse in Europa: nel 1992 solo la Grecia investiva meno per le politiche del lavoro (OECD 1994). Negri e Saraceno (1996, tab. 1.5 p. 30) riportano i dati della complessiva spesa pubblica finale per l assistenza, per gli anni dal 1983 al 1990: non è mai andata oltre il 4,8% del prodotto interno lordo.

5 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 71 oggi sul mercato del lavoro sono portatori di una propria individualità, fatta di caratteristiche di genere, di bisogni sociali e di aspettative nei confronti del lavoro che cercano, e quando le condizioni complessive e le risorse personali e sociali di cui dispongono lo consentono definiscono le proprie priorità e scale di preferenze su cui valutare le offerte di impiego ricevute. La seconda considerazione riguarda la deregolamentazione dell impianto normativo fordista che fino ai primi anni ottanta regolava il collocamento, avvenuta per rispondere alle necessità di un sistema produttivo ed occupazionale ormai notevolmente più differenziato rispetto alla situazione dei primi anni settanta. Si trattava di un sistema di norme originato nel decennio precedente e formalmente improntato a principi universalisticoredistributivi di impieghi sostanzialmente omogenei per natura e (scarsa) qualificazione richiesta quali appunto erano le caratteristiche di larga parte delle attività manifatturiere fordiste e che, come ricorda Reyneri, già veniva sovente aggirato nei fatti dall azione di una regolazione microsociale fondata su iniziative e reti di relazioni informali spesso al confine fra il legale e l illegale (Reyneri 1987). Dal punto di vista della gestione del processo di incontro fra domanda e offerta di lavoro ciò che ha rilevanza è il fatto che tale deregolamentazione del vecchio impianto normativo sia avvenuta senza che in sostituzione delle misure passive di disciplina del mercato del lavoro abolite si realizzassero policies di supporto attivo all offerta di lavoro, cioè senza che un nuovo sistema di regolazione istituzionale pubblica si sostituisse al vecchio. Quello di cui ci occupiamo, in definitiva, è un modello occupazionale altamente selettivo all ingresso, ma senza che questo processo di «selezione» (o di incontro fra domanda e offerta di lavoro) sia supportato in modo adeguato da una struttura istituzionale apposita. Ne consegue perciò che, in una situazione in cui un posto di lavoro è ancora un «bene durevole», ovvero in una situazione in cui il lavoro è ancora almeno parzialmente demercificato, la scelta dell assunzione rappresenta un costo (selezione, valutazione, prova) nonché un investimento sulle caratteristiche personali del neoassunto (e dunque anche un rischio). Questa situazione, nelle condizioni della produzione immateriale postfordista in cui i) il processo lavorativo non si gioca più sul «saper fare materiale», immediatamente verificabile, quanto sul «saper come far fare» (ad una macchina o ad un computer) e ii) gli skills richiesti sono sempre

6 72 Paolo Barbieri meno certificabili e sempre più relazionali e coinvolgenti le dimensioni latenti della personalità del lavoratore (capacità di attenzione, di responsabilità, di partecipazione responsabile, di «commitment» in senso lato), porta il datore di lavoro a cercare ogni possibile «strumento» in grado di ridurre gli oneri ed i rischi della scelta. Ne discende pertanto il ricorso sia a market signals (Spence 1981) cioè a generici criteri di pre-selezione dei candidati, quali possono essere il titolo di studio, il genere, le origini etniche, sia a strategie di personalizzazione dello scambio in grado di aumentare il grado di fiducia in circolo. Il capitale sociale (Coleman 1990), nelle sue duplici componenti di reti relazionali e di legami familistico-parentali costituisce perciò questo secondo «fattore di riduzione dell incertezza dello scambio» nel processo di incontro fra domanda e offerta di lavoro. Il risultato di questo processo è una scarsissima trasparenza dei reali «criteri» di selezione dell offerta di lavoro Trasformazioni e regolazione del mercato del lavoro italiano Modello di welfare occupazionale, trasformazioni macroeconomiche e carenza di regolazione istituzionale sono dunque alla base di un mercato del lavoro che si presenta oggi segmentato e complesso: l elevata terziarizzazione dell economia, la riduzione delle dimensioni medie delle imprese avvenuta in contemporanea con la più complessiva riduzione occupazionale dell industria, lo sviluppo dei lavori atipici (Chiesi 1990), sono stati accompagnati da un parallelo processo di ridefinizione e di deregolazione normativa che ha interessato anche le modalità di incontro fra domanda e offerta di lavoro. Senonché, è proprio nelle società complesse, in cui il livello di opportunismo degli attori è più elevato, che la necessità di regole istituzionali che riducano l incertezza delle transazioni diviene maggiore (North 1994). Questa necessità di normazione istituzionale costituisce un vero e proprio imperativo funzionale del sistema, al quale nel caso non vi faccia fronte la regolazione pubblica altre modalità di regolazione rispondono. In questo scenario quindi, il mercato del lavoro non resta anomico: le regole che lo governano sono di natura informale, e valorizzano il ruolo dell elemento relazionale e personalistico nella gestione dei meccanismi che presiedono l incontro fra

7 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 73 domanda e offerta, vale a dire sia la fase di selezione delle controparti che la fase precedente di informazione e notificazione delle varie opportunità d impiego. A questo punto sorgono due interrogativi: il primo riguarda la complessiva efficacia economica di un tale sistema di regolazione informale del mercato del lavoro; il secondo riguarda invece l efficienza allocativa delle risorse umane presenti sul mercato in questione, il che equivale a porre il problema della riproduzione della diseguaglianza sociale attraverso il funzionamento del mercato del lavoro. Per rispondere al primo interrogativo è sufficiente individuare un indicatore attendibile dello stato di salute del mercato. Seguendo un approccio che privilegia la possibilità di rapida rioccupazione rispetto alla stabilità del posto occupato (Chiesi 1995), una bassa durata media dei periodi di ricerca di lavoro potrebbe essere preferito al classico (e statico) tasso di disoccupazione. Come mostrano i dati riportati in tabella 1, la realtà milanese analizzata costituisce un area di quasi-piena occupazione, in cui la durata di ricerca di un impiego è estremamente ridotta. Anche all interno di tali aree apparentemente «privilegiate», si pone comunque il problema dei possibili effetti perversi di una mancanza di trasparenza del sistema di regolazione del mercato del lavoro. In altri termini, si tratta di stabilire se un mercato regolato quasi esclusivamente da norme di tipo informale e personalistiche produce storture e discriminazioni nella ripartizione delle opportunità (di accesso alle informazioni, al lavoro, alla carriera, alla mobilità) fra quanti vi operano. Sembra evidente infatti che, stante il prevalere di una regolazione personalistico-informale, il risultato dell agire degli attori non può non essere pesantemente influenzato dalla posizione che gli TAB. 1. Durate medie dei periodi di ricerca di lavoro Tempi di ricerca di lavoro % campione di cui: di cui: Milano: % % maschi femmine meno di un mese: 52,2% 52,5% 51,9% da 1 a 6 mesi: 28,9% 35,0% 23,6% più di 6 mesi: 18,9% 12,5% 24,5% Fonte: Barbieri (1996a) (valori percentuali, N = 478).

8 74 Paolo Barbieri stessi occupano all interno del sistema. Se la rete relazionale diviene strumento di regolazione del mercato lavoristico e di accesso all informazione, i nodi di tale rete saranno detentori di un privilegio da cui potranno trarre il massimo vantaggio, a scapito dei soggetti più deboli: piccole imprese sganciate dalle reti informative e lavoratori in possesso di limitate risorse sociali. Si pongono quindi, contemporaneamente, un problema di efficacia (in quanto tempo le persone trovano lavoro) 6 ; un problema di efficienza (cioè di allocazione delle risorse «giuste» al posto «giusto»); ma anche una questione di equità (in base a quali criteri si resta esclusi dal lavoro). Nel caso dell offerta di lavoro, difatti, tale meccanismo di regolazione finisce con il sovrapporre una carenza di capitale sociale ad una preesistente carenza di capitale umano, col risultato che individui poco istruiti, poco qualificati, poco «appetibili» dal punto di vista occupazionale (outsiders), avranno una maggiore probabilità di restare esclusi da quei sistemi di veicolazione delle informazioni e delle opportunità di accesso a posizioni lavorative non marginali. Il capitale sociale vale a dire: il sistema di appartenenze sociali, ascritte ed acquisite, dei singoli diviene quindi una variabile cruciale nella redistribuzione delle chances individuali sul mercato del lavoro, consentendo contatti migliori, scelte più oculate, salari di riserva più elevati, ed infine, accesso a posizioni occupazionali qualitativamente migliori. Questo vero e proprio effetto perverso di un sistema di regolazione informale-personalistica del mercato del lavoro si comprende a partire dall alternatività esistente fra intervento istituzionale sotto forma di garanzie di welfare state, e capitale sociale. Quanto più è ampio e radicato l intervento del welfare, tanto meno pesa sui destini e le chances di vita degli individui l ammontare di risorse sociali di cui dispongono. In altri termini, welfare e capitale sociale costituiscono due forme «idealtipiche» di regolazione istituzionale fra loro sostitutive: principio di strutturazione e di ridefinizione delle forme di stratificazione 6 Una precisazione è necessaria: la ricerca considera un campione rappresentativo di individui che hanno trovato un impiego. Dall universo di riferimento pertanto sono esclusi coloro che un lavoro, pur avendolo cercato, non l hanno trovato. In un mercato del lavoro rigidamente insider-outsider, questo potrebbe costituire un bias a sfavore del campione utilizzato. Si tratta di un problema da tenere presente, anche se la realtà milanese/lombarda non appare affatto negativa per quanto riguarda le condizioni occupazionali.

9 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 75 sociali date il primo, portato della strutturazione sociale esistente il secondo, il quale dunque reca in sé le caratteristiche e le diseguaglianze (di potere, risorse, relazioni, accessi) della società che lo valorizza in quanto «moneta spendibile». Nel prossimo paragrafo vedremo come questa caratteristica del capitale di rete non sempre sia stata riconosciuta da quanti hanno studiato i processi di mobilità occupazionale, quindi, dopo aver discusso la letteratura specifica, procederemo all esposizione dei principali risultati della ricerca, in modo da dare una risposta al nostro secondo interrogativo. 2. La tematica del job attainment In letteratura, la tematica delle appartenenze sociali degli attori e dei recruitment networks cioè delle reti relazionali come veicoli di collocamento e reclutamento di forza lavoro è stata sviluppata da Granovetter, il quale è divenuto così il riferimento obbligatorio per un approccio che implichi la concezione dell embeddedness delle ragioni e dei comportamenti economici degli attori nel contesto sociale in cui sono situate. Questo radicamento, egli sostiene (1981), è ancora più importante ai fini dell incontro fra domanda e offerta di lavoro, in quanto la condivisione di un sistema di relazioni e di connessioni sociali fra le due parti coinvolte, non solo rappresenta un veicolo di informazioni preziose per entrambi e quindi un fattore costitutivo della fiducia necessaria nella transazione, ma diviene anche un elemento di differenziazione fra gli individui per quanto concerne le loro chances occupazionali. La funzione dei recruitment networks è sottolineata anche da altri autori (Tilly e Tilly 1994), nonché dalla ricerca empirica (Grieco 1987), ed in genere è riconosciuto che essi conducano a migliori risultati in termini di qualità e status del lavoro cui danno accesso. Se sulla funzione positiva delle reti all interno del processo di status attainment la letteratura dunque è concorde, altrettanto non si può dire circa il tipo di canali relazionali cui è riconosciuta la maggiore efficacia. L originaria formulazione granovetteriana (1973, 1974) sosteneva che i legami deboli (frequentazioni e semplici conoscenze più o meno occasionali) consentono di ottenere impieghi «migliori» in quanto non essendovi sovrapposizione fra le cerchie relazionali e sociali dell individuo e del conoscente occasionale, la gamma di informazioni e quindi di opportunità

10 76 Paolo Barbieri che ne derivano è senza dubbio maggiore rispetto all ipotesi in cui entrambi condividano le stesse frequentazioni sociali. Granovetter, e successivamente una larga parte della ricerca sulle reti, ha ipotizzato quindi l esistenza di una relazione inversa fra densità delle reti e chance disponibili all individuo: cerchie sociali molto coese, legami forti e strettamente intrecciati fra loro conducono ad una chiusura del circuito relazionale dell attore, che finisce così per restare «imprigionato» all interno di una cerchia sostanzialmente omogenea per caratteristiche dei membri. Al contrario, una situazione di eterofilia delle relazioni cioè una situazione in cui l individuo ha relazioni e contatti ampi e diversificati per ambiti ed appartenenze sociali, esprimendo così una socialità molto più decontestualizzata è vitale per una migliore integrazione del singolo in una società complessa. La «debolezza intrinseca dei legami forti» originerebbe quindi proprio dalla particolare omofilia delle relazioni (Homans 1950) che caratterizza tali legami, omofilia che comporta chiusura culturale ed impoverimento dei codici comunicativi sociali (Coser 1975). Nella sua argomentazione Granovetter introduce un distinguo, ribadito anche successivamente (Granovetter 1982), che specifica meglio l efficacia dei legami deboli come veicoli di mobilità sociale. Essi funzionerebbero tanto in quanto riescono ad essere «ponti» fra le differenti posizioni sociali di colui che cerca un supporto e di colui che da una posizione sociale superiore fornisce il supporto (cioè agisce da contatto con il futuro datore di lavoro): I have not argued that all or even most weak ties serve the functions described (...) only those that act as bridges between network segments. The importance of weak ties is asserted to be that they are disproportionately likely to be bridges, as compared to strong ties, which should be underrepresented in that role (Granovetter 1973). Esisterebbero pertanto due diverse situazioni idealtipiche: la prima in cui sono presenti tre attori: colui che cerca lavoro, il futuro datore di lavoro e la persona che funge da contatto fra i due (la c.d. contact-person). In questo caso il legame cui si fa riferimento è fra individuo in cerca di impiego e contatto; la seconda, o «ipotesi-ponte», in cui gli attori diventano quattro: chi cerca lavoro, il datore, la contact person e la «persona-ponte» fra l individuo in cerca di impiego e la contact-person. In questo caso il legame cui ci si riferisce non è più quello fra individuo

11 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 77 in cerca di lavoro e contact person, bensì quello fra il soggetto e la «persona-ponte» 7. Il più delle volte questa distinzione fra le due situazioni non è chiara nelle ricerche sui processi di mobilità occupazionale, per cui non sempre è comprensibile quanti siano gli attori che rientrano nello schema, né se come è possibile una situazione del secondo tipo (ipotesi-ponte) è stata «ridotta» allo schema del primo tipo, semplicemente considerando solo il legame fra colui che cerca lavoro e contact-person (con il conseguente rischio di una sovrarappresentazione dei legami deboli). Prima di discutere i risultati delle ricerche disponibili che hanno testato l ipotesi di Granovetter, è necessario però fare una breve digressione per definire meglio cosa si intende per legami forti e quindi quali sono i legami deboli. Si tratta di un problema che da concettuale diviene metodologico, ma che naturalmente torna ad incidere sui risultati teorici della ricerca attraverso i suoi effetti empirici sui dati. In effetti, una definizione comune ed unanimemente accolta della forza di un legame non è presente in letteratura: lo stesso Granovetter procede in modo piuttosto intuitivo, definendo il concetto in funzione degli indicatori utilizzati. Egli infatti suggerisce che: la forza di un legame è una combinazione (probabilmente lineare) di quantità di tempo, intensità emozionale, intimità (fiducia reciproca) e dei servizi reciproci che caratterizzano il legame, ma rimanda a successive ricerche l operazionalizzazione del concetto, ripiegando sulla semplice frequenza dei contatti. Conseguentemente, il modo più utilizzato per misurare la forza del legame è stato l utilizzo di indicatori che indicassero il grado di closeness di una relazione, cioè la vicinanza affettiva tra le due parti, l indicatore che infine si dimostra il più attendibile (Marsden e Campbell 1984). Questa poteva essere autodefinita dal rispondente (Marsden e Campbell 1984; Mitchell 1987) o assegnata dal ricercatore a determinate categorie di contatti (Lin, Ensel e Vaughn 1981). Solo parzialmente dissimile è la strategia seguita da Wellman e Wortley (1990), i quali identificano i 7 L argomento rischia di essere capzioso: da un lato infatti Granovetter afferma che l ipotesi-ponte è assolutamente discriminante per la validità dell asserzione circa la forza dei legami deboli (con ciò restringendo il campo di validità dell ipotesi stessa), dall altro sostiene che comunque i legami deboli hanno più probabilità rispetto a quelli forti di fungere da «ponti», bypassando così la discriminante appena introdotta.

12 78 Paolo Barbieri legami forti sulla base delle loro caratteristiche (definite sommariamente dal rispondente, e dicotomizzate) di intimità, volontarietà, e multicontestualità. Ove almeno due di queste siano presenti, il legame viene considerato forte. Un tentativo interessante, infine, è quello proposto da Wegener (1991), il quale ricorre all analisi fattoriale per distinguere fra legami forti e deboli in una serie di ambiti sociali e relazionali. In questo modo l autore opera una ridefinizione del concetto di forza dei legami, che ora non è più una caratteristica della relazione fra rispondente e contatto, ma diviene un attributo peculiare dell ambito relazionale condiviso 8. Nonostante questo tentativo sia ben elaborato ed abbia il pregio sostanziale di fondarsi su una misurazione quantitativa invece che su una semplice attribuzione, la pratica di ricerca che si è andata consolidando nel tempo consiste nell assumere il grado di vicinanza fra rispondente ed individuo come la miglior proxy della forza del legame. L intensità del legame affettivo fra individuo e contact person, autodefinita dall individuo stesso, costituisce dunque il criterio più «robusto» per operazionalizzare la forza di un legame, e come tale è stato adottato anche in questo studio. La sovrapposizione che in questo modo può verificarsi fra legami forti e componenti del nucleo familiareparentale, discende pertanto direttamente dalla vicinanza affettiva che, generalmente, lega gli individui ai propri familiari. L originaria asserzione granovetteriana per cui i legami deboli garantiscono migliori esiti sul mercato del lavoro in conseguenza del fatto che darebbero accesso ad un circuito informativo molto più ampio rispetto alla cerchia di appartenenza dei soggetti è stata oggetto di numerose verifiche le quali, se talora hanno supportato la tesi (Lin, Ensel e Vaughn 1981; Lin e Dumin 1986), più spesso hanno sottolineato la necessità di allontanare il focus della questione dalla diatriba legami deboli/forti, talora articolandone in maniera differente i presupposti teorici ad esempio sottolineando che il miglior esito dei legami deboli era spiegabile col fatto che questi davano accesso ad una distribuzione di offerte di impiego migliori 9 (Lin 8 In questo modo fra il rispondente e la persona «X» possono esistere legami forti relativamente alla dimensione (puramente esemplificativa) «relazioni sociali e sportive», e legami deboli rispetto alla dimensione «intimità e counseling». 9 In particolare, Lin rileva come ciò che è realmente cruciale non è tanto il tipo di legame, quanto lo status socio-economico delle persone con cui si viene in contatto:

13 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro ) altre volte sottolineando l interazione fra origine sociale, risorse sociali disponibili e legami utilizzati nel processo di job attainment (Lin, Vaughn e Ensel 1981; Lin 1990). Infine, anche in seguito ai risultati della ricerca empirica (Bridges e Villemez 1986; Campbell, Marsden e Hurlbert 1986; Marsden e Hurlbert 1988; Boxman, De Graaf e Flap 1991; Montgomery 1992; Rosenfeld 1992), è stata avanzata l ipotesi che la questione cruciale nell analisi dei processi di mobilità occupazionale e di status attainment non consista tanto nella forza dei legami utilizzati, quanto nella possibilità di mobilitare risorse relazionali e capitale sociale (Marsden e Hurlbert 1988). La questione del ruolo dell elemento relazionale all interno del processo di incontro fra domanda e offerta di lavoro va quindi inquadrata in un ottica più complessiva: poiché le reti sono da considerarsi alla stregua di risorse, non solo si deve pensare che come tutte le risorse utilizzabili in vista di un fine siano distribuite in modo ineguale all interno della struttura sociale, ma che anche la stessa strutturazione sociale influisca sul modo in cui queste risorse sono prodotte e redistribuite, così come sui processi che soggiacciono alla loro valorizzazione. In altri termini, esiste una differenza rispetto alla quantità di contatti sociali a disposizione degli individui, ma soprattutto esiste una diversa qualità dei network, cioè del capitale sociale di cui gli individui possono disporre (Gallie, Gershuny e Vogler 1994). Si tratta di differenze nelle chances individuali che originano dalle differenze nella posizione di origine sociale e dalle differenze nelle risorse sociali cui si può avere accesso, e che riemergono con forza allorché si esaminano processi fondamentali nelle vicende personali dei soggetti quali sono appunto i processi e le strategie di ricerca e di allocazione al lavoro. Elementi ascrittivi ed acquisitivi questi ultimi razionalmente utilizzabili dai singoli concorrono quindi nel definire gli esiti dei processi di inserimento al lavoro (Lin 1990). Questo è forse il limite maggiore della tesi di Granovetter: per quanto proposta per valorizzare il ruolo delle appartenenze sociali all interno dei processi economici, essa mira ad essere solo un complemento dell approccio economico, del quale mantiene sostanzialmente «The use of weak ties in finding jobs has a strong association with higher occupational achievement only if the weak ties connect the respondent with an individual who is well placed in the occupational structure» (Lin 1982).

14 80 Paolo Barbieri inalterata l ottica individualistica ed atomistica. Nella sua proposta, i legami sociali, strumentalmente utilizzati nei percorsi di ricerca del lavoro dagli individui, appartengono e riconducono sempre ad una dimensione individuale dell agire, dimensione che si pone quasi come un fattore di razionalizzazione del processo di allocazione degli individui sul mercato del lavoro perché consente una migliore ottimizzazione delle informazioni in circolo. «I legami deboli, proprio perché atomistici, sono più produttivi: sia per i singoli, ai quali garantirebbero migliori posizioni occupazionali, sia per il sistema economico nel suo insieme, per il quale una migliore circolazione dell informazione produce un miglior incontro fra domanda e offerta di lavoro». Questo potrebbe essere l incipit della teorizzazione granovetteriana. Il non considerare il condizionamento della struttura sociale, cioè il problema dell interazione fra la posizione sociale originaria degli attori, il capitale umano individuale ed il capitale sociale che può essere mobilitato in vista della realizzazione di un fine personale, costituisce dunque il problema più serio di un approccio potenzialmente molto rilevante nell analisi economico-sociale, l unico che valorizzi le appartenenze sociali degli attori quale principio allocativo degli individui nel mercato del lavoro. In questo processo il capitale sociale è forse la variabile più problematica, e su cui pertanto può essere utile soffermarsi. In letteratura essa viene operazionalizzata in almeno quattro modi diversi: con la classe di origine, o con un punteggio di status (score) corrispondente (Lin 1986); con la posizione occupazionale acquisita, o ancora con uno score corrispondente (Lin 1986); con il punteggio di status della contact person (Marsden e Hurlbert 1986; Lin et al. 1981; Lin 1986), ed infine riunendo indicatori di frequentazioni sociali quali i contatti di lavoro o le affiliazioni organizzative o di club (Boxman, De Graaf e Flap 1991). Recentemente, la duplicità delle fonti del capitale sociale (famiglia e relazioni sociali) è stata riconosciuta da taluni autori nordamericani (Furstenberg e Hughes 1995) i quali hanno anche proposto una particolare metodologia per operazionalizzare il concetto. Nessuna delle differenti soluzioni proposte però appare pienamente soddisfacente: alcune appaiono abbastanza ragionevoli, seppure di applicabilità limitata, altre concettualmente errate. L uso del contact status è una buona proxy delle risorse sociali utilizzate dal soggetto ma, in un analisi dei processi

15 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 81 di ricerca di lavoro, ha il difetto di essere applicabile solo agli individui che ricercano lavoro attraverso le reti relazionali; alla stessa stregua il numero di contatti di lavoro o le affiliazioni di club sono specifiche di determinate categorie professionali di alto livello (e per queste infatti sono state proposte). Al contrario, la classe di origine, così come quella di destinazione anche se «trasformate» in un punteggio di status rischiano di essere concettualmente fuorvianti: esiste infatti, in molta della letteratura sullo status attainment analizzata, un riferimento implicito alla visione funzionalista della stratificazione sociale intesa come un continuum di posizioni differenziate meritocraticamente ed alle quali l individuo accede valorizzando razionalmente ed utilitaristicamente le risorse di cui dispone. Utilizzando la classe di origine come indicatore del capitale sociale degli individui si sovrappongono gli effetti di due concetti classe e capitale sociale, il primo dei quali spesso disconosciuto che sono effettivamente vicini fra loro ma non esattamente coincidenti oltre che causalmente consecutivi, e che pertanto è necessario mantenere separati. A questa sovrapposizione non è probabilmente estranea la stessa concezione colemaniana del capitale sociale, inteso come qualunque elemento della struttura sociale e relazionale di appartenenza dell individuo 10, da questo finalisticamente impiegato. Ritengo però che, anche da un punto di vista concettuale, sia necessario ribadire la duplice natura di quello che abbiamo definito il principio allocativo delle appartenenze sociali: ascrittiva ed acquisitiva. 3. La ricerca empirica La ricerca che è alla base di questo lavoro è una survey su un campione casuale, stratificato, di 500 soggetti avviati al lavoro 11 dall ufficio di collocamento di Milano fra aprile e giugno 1994, ai quali è stato chiesto di ricostruire sia la loro storia professionale, sia il circuito di relazioni e network in cui sono inseriti, avendo cura di verificare, con particolare approfondimento metodologico nel caso dell ultimo impiego, le modalità 10 E dunque anche la classe di origine. 11 Si tratta di avviati sia con contratti di lavoro a tempo indeterminato, sia con contratti a termine ma di durata superiore ai 12 mesi.

16 82 Paolo Barbieri attraverso le quali avevano cercato ed ottenuto quel lavoro. In questo modo è stato possibile arrivare ad un operazionalizzazione del concetto di capitale sociale, e quindi utilizzare gli indici elaborati all interno di alcuni modelli di analisi delle relazioni strutturali (Lisrel) Le caratteristiche dei soggetti intervistati L età media del campione è di 30 anni, mentre moda e mediana si attestano sui 28 anni. Solo il 10% degli intervistati supera i 40 anni, in prevalenza si tratta di lavoratori maschi. Le donne, al contrario, sono sovrarappresentate nella fascia di età più giovane. Nel complesso comunque, il campione non appare eccessivamente sbilanciato in nessuna delle 4 celle che derivano dall incrocio fra età e genere dei rispondenti. Mediamente, i soggetti intervistati sono sul mercato del lavoro da una decina d anni. Per quanto concerne il titolo di studio conseguito, il 47,3% ha terminato le scuole superiori, l 11,1% ha un diploma di scuola professionale, il 17,6% ha solo le scuole dell obbligo (elementari o medie) mentre ben il 24,1% è laureato. Un dato interessante è il fatto che oltre l 88% degli intervistati abbia avuto precedenti esperienze lavorative. Si tratta di un valore decisamente elevato, riscontrabile anche disaggregando per genere, che richiama gli alti tassi di attività propri del mercato del lavoro locale, ma che potrebbe essere anche indicatore di un mercato di tipo insider-outsider Modalità di ricerca e di accesso al lavoro In questo paragrafo esamineremo dapprima le differenti modalità in cui un lavoro viene ricercato dai singoli; vedremo quindi come il ricorso alle reti relazionali rappresenti una vera e propria scelta strategica degli attori impegnati nel loro processo di ricerca del lavoro, quindi esamineremo come avviene l effettivo accesso al lavoro. Rispetto alle modalità della ricerca di impiego, ed all importanza fra queste delle reti, notiamo che se il genere non costituisce una variabile discriminante nel ricorso alle reti, si osserva invece una maggiore diversificazione rispetto ai soggetti

17 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 83 a cui vengono indirizzate le richieste (i più giovani rimangono nell ambito familiare, gli adulti avendo più relazioni possono ricorrervi in misura maggiore). Controllando la relazione fra condizione occupazionale degli intervistati al primo impiego e metodi utilizzati nella ricerca dell attuale occupazione, emergono alcune specificità legate alle differenti possibilità di accesso a risorse sociali. Mentre infatti gli individui con un basso titolo di studio o provenienti da occupazioni manuali non qualificate, per cercare lavoro si rivolgono in misura maggiore rispetto agli altri lavoratori ai canali istituzionali pubblici (il rapporto è di 2 a 1) ed alle reti parentali, cioè ai c.d. «legami forti», i lavoratori già appartenenti (al loro primo impiego) alla classe occupazionale più elevata privilegiano oggi la ricerca di lavoro attraverso canali di mercato o ricorrendo a conoscenze e «legami deboli». Si riconferma quanto già emerso in letteratura (Willmot e Young 1973; Allan 1977, 1979) circa il dualismo delle relazioni di rete, vale a dire la differenza fra individui per cui appartenenze sociali ricche e diversificate costituiscono un vero e proprio capitale di rete, e quanti invece, poco istruiti, privi di relazioni sociali estese e soprattutto privi di contatti con persone di status più elevato, non hanno altre alternative che rivolgersi alle reti familiari o alle istituzioni pubbliche per cercare un lavoro (v. tab. 2) 12. Mutti (1992), a commento di Allan (1979), osserva come ciò sia da ricondurre proprio al differente ammontare di risorse sociali a disposizione. Ma quanto il ricorso alle reti ed al circuito relazionale costituisce una modalità di ricerca di lavoro comparabile alle altre? Quanto, cioè, l attivazione di una rete, la mobilitazione delle risorse sociali, proprie o della cerchia sociale e parentale più ampia, rappresenta una fra le tante possibili azioni intraprese in funzione di ottenere un lavoro, e quanto invece costituisce una strategia «differente» che il singolo attore mette in pratica? Si tratta di un interrogativo che, muovendo da una prospettiva colemaniana di utilizzo del capitale sociale da parte di un attore utilitaristicamente orientato, ripropone una delle difficoltà più ricorrenti nell analisi del mercato del lavoro e dei comportamenti dei singoli su tale mercato, vale a dire la possibilità di pervenire 12 La tabella 2 presenta in forma di commento i risultati di tre diversi modelli logit, i cui valori di adattamento sono riportati fra parentesi. È tratta da un più ampio lavoro sugli specifici aspetti della differenziazione delle reti relazionali e di sostegno in relazione alle caratteristiche ascrittive degli individui, a cui pertanto si rimanda (Barbieri 1996b).

18 84 Paolo Barbieri Ricevono sostegno lavorativo dalle reti di conoscenze: Gli adulti soprattutto; le donne con titolo di studio medio-alto, adulte o comunque da tempo sul mercato del lavoro. (L2 =,13694; df = 2; P =,934) TAB. 2. Fonti del sostegno sul mercato del lavoro Ricevono sostegno lavorativo dalle reti familiari: Ricevono sostegno lavorativo dalle reti amicali: I giovani, specialmente se a basso titolo di studio; le donne, specialmente le meno istruite. I giovani (maschi e femmine) più che gli adulti; gli uomini più che le donne, specialmente gli uomini laureati. (L2 =,00275; df = 1; P =,958) (L2 = 1,46488; df = 2; P =,481) Fonte: Barbieri (1996b).

19 Il ruolo del capitale nel mercato del lavoro 85 ad un indicatore affidabile del grado di «attivazione motivata» dei soggetti nella ricerca di impiego (Reyneri 1994, 1995). È possibile dimostrare infatti che il semplice computo del numero di azioni di ricerca complessivamente agite dagli individui non sempre si dimostra significativo, per la semplice ragione che essendo le azioni di ricerca qualitativamente diverse fra loro, per il grado di impegno, attivazione, e stragegia che richiedono, non possono essere semplicemente addizionate fra loro. Per cercare di risolvere questo punto sono state applicate le tecniche di scaling, utilizzando l approccio stocastico proprio del sistema di scaling unidimensionale di Mokken (1971). Come ricorda Giampaglia (1990), le tecniche in questione consentono di associare a ciascuno dei soggetti e/o item del questionario un valore numerico che indica il grado in cui ciascun soggetto e/o item possiede la proprietà che si sta cercando di rilevare. In altri termini, le tecniche di scaling permettono di differenziare, ordinandoli su un continuum, gli oggetti o gli eventi, con riferimento ad una data proprietà. Nel nostro caso, il tratto latente che si desidera studiare e di cui si ipotizza la presenza alla base delle scelte e dei comportamenti degli attori sul mercato del lavoro è rappresentato proprio dal «grado di impegno e di attivazione nella ricerca di lavoro». Si può ipotizzare che le differenti possibili strategie di ricerca di lavoro siano fra loro diverse (e quindi ordinabili sulla base di questa diversità) in relazione all impegno nella ricerca che richiedono? Se sì, è pensabile pertanto che quanto più un individuo è motivato e si attiva per cercare lavoro, tanto più tenderà ad utilizzare tutte le tecniche della scala (e viceversa in caso contrario)? Si tratta apertamente di un ipotesi, dato che per definizione un modello di scaling è anche una teoria sul comportamento degli attori; una teoria che attende di essere verificata attraverso la «misurazione» dell atteggiamento, o disposizione latente, sottostante ai comportamenti dei singoli In particolare, il modello di Mokken non ricorrendo a specifiche assunzioni sulla forma statistica delle relazioni fra comportamento manifesto (la scelta di certi metodi di ricerca del lavoro) e tratto latente (il grado di attivazione motivata) si rivela particolarmente utile e «robusto» in contesti di ricerca esplorativi. Questo modello infatti è non parametrico (cioè non assume alcuna particolare forma per le curve che esprimono la probabilità di risposta positiva per ogni differente posizione sul continuum) e cumulativo (cioè ipotizza che le differenti posizioni siano fra loro ordinabili in base alla dimensione latente che si vuole appunto analizzare). Il modello assume che, per

20 86 Paolo Barbieri TAB. 3. FINAL SCALE 1 metodi di job search: loevingers mean delta coeff. H risposto ad annunci stampa 0,55 0,33 14,89 messo annunci stampa 0,44 0,14 11,03 invio curriculum vitae 0,48 0,33 13,07 concorsi pubblici 0,35 0,10 8,07 collocamento reg. le 0,25 0,01 3,29 servizi sindacato 0,61 0,00 5,20 servizi comune, prov. 0,36 0,01 4,80 scale coeff. H = 0,46 FINAL SCALE 2 metodi di job search: loevingers mean delta coeff. H reti: segnalato da conoscenti 0,32 0,26 7,10 reti: chiesto a parenti e amici 0,39 0,48 8,04 reti: chiesto a altri conoscenti 0,43 0,33 10,23 reti: segnalato da parenti e amici 0,19 0,36 5,85 scale coeff. H = 0,38 I dati presentati in tabella 3 indicano come le differenti modalità di ricerca di lavoro non possano essere ricondotte ad un unica scala di attivazione, in quanto le strategie di ricerca del lavoro che si ricollegano all attivazione del proprio capitale sociale da parte del singolo, non «scalano» con le altre modalità di ricerca. In altri termini, questo significa che non è ipotizzabile l esistenza di un continuum quantitativo fra le varie dimensioni della ricerca di lavoro (continuum che avrebbe consentito ogni item, la probabilità di una risposta positiva aumenti monotonicamente con la quantità di proprietà posseduta: nel caso di più item (nel nostro caso le differenti modalità di job search) si assume che alcuni di essi, «più difficili» cioè meno frequenti, meno scelti dagli attori, riscuotano un minor assenso rispetto ad altri item. Questo fa sì che la probabilità di una risposta positiva da parte degli intervistati ad un item «più difficile» sia inferiore a quella di un item «meno difficile» e che perciò la proporzione di soggetti che approva il primo sia inferiore alla proporzione di soggetti che approvano il secondo. Questo è il principio che consente di ordinare, e quindi «scalare» gli item su un continuum, e conseguentemente anche di assegnare agli individui un punteggio corrispondente.

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