CORSO DI ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE Appunti sommari Dispensa n. 1. Appunti sommari sulla evoluzione del cantiere

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1 Appunti sommari sulla evoluzione del cantiere Il cantiere, nella sua più semplicistica accezione, nasce con la necessità dell uomo di crearsi un riparo. L approvvigionamento, l accumulo e la lavorazione di materiali prelevati dalla natura per costruire un rifugio sono i primi passaggi della formazione di un cantiere. Da allora, una continua evoluzione ha caratterizzato questa attività: il periodo neolitico vedeva l impiego di una utensileria di pietra secondo il quale pietre dure, come la dolerite - una pietra più dura del granito -, servivano a scolpire pietre più tenere e la polvere di quarzo, che ha proprietà abrasive, veniva utilizzata per levigare. Il passaggio ad attrezzi metallici segna una tappa fondamentale e una semplificazione delle lavorazioni. E con la civiltà egizia e con le grandi opere che ha prodotto che sono documentati, attraverso gli studi condotti su documenti storici e su rappresentazioni di monumenti in costruzione, i primi spettacolari esempi di organizzazione del cantiere. Di quella civiltà ci rimangono le opere faraoniche, quelle costruite in pietra, che stupiscono ancora oggi non solo per la maestosità, ma perché sono esempi di calcoli matematici, di precisione e straordinaria tecnica costruttiva. La piramide di Keope, a Giza, vicino al Cairo, è la più grande piramide mai costruita e la più alta opera realizzata dall uomo fino alla rivoluzione industriale. E l unica delle sette meraviglie del mondo antico arrivata ai giorni nostri. Già il tracciamento della base, con i lati esattamente perpendicolari, richiedeva conoscenze matematiche elevatissime e il mantenimento della geometria durante la crescita richiedeva una precisione altrettanto elevata. Ora priva di rivestimento, la piramide venne costruita in 20 anni (dal 2551 a.c.); la base misura 137x230 m e l altezza, sul piano inclinato, misura 186 m. Gli strumenti di cui disponevano gli operai erano le macchine semplici come la leva e il piano inclinato, oltre le corde, i picchetti, le leve e altri strumenti primitivi per l estrazione della pietra (scalpelli di rame o bronzo, molto legno e una enorme forza lavoro). I blocchi di calcare furono prelevati da una cava posta nei pressi del luogo scelto per la piramide. Il granito della camera sepolcrale dalla lontana Assuan. Il trasporto dalla cava al cantiere avveniva con slitte di legno trainate a mano; i materiali leggeri venivano portati a spalla o con il giogo. Gli ultimi studi mettono in luce l esistenza di lunghe rampe (oltre 300 metri) appositamente costruite su cui erano posti dei tronchi che servivano a far scivolare le slitte per portare i blocchi di pietra (del peso di oltre 2 tonnellate) alle diverse quote. Ma anche si ipotizza l esistenza di una rampa a spirale che si sviluppava intorno alla piramide. Per far scivolare un blocco sull altro e giustapporlo senza uso di malta o di incastri si utilizzavano le stesse slitte. Gli studiosi hanno stabilito che il cantiere della piramide non utilizzava schiavi ma uomini liberi assoldati da tutto l Egitto, che accettavano di lavorare nel cantiere perché obbligati a pagare le tasse e il lavoro (faticoso e pericoloso) per il faraone era un modo di pagare le tasse. Si è calcolato che per la costruzione erano necessari 2000 uomini al giorno da sfamare, alloggiare e organizzare. Gli operai erano infatti alloggiati in villaggi ben strutturati ubicati nei pressi del cantiere, dove si provvedeva anche a preparare utensili e materiali. Il cantiere era necessariamente coordinato e ben organizzato: migliaia di operai non potevano non essere ben diretti. Gli operai erano organizzati in squadre a loro volta divise in gruppi, con centinaia di controllori che annotavano su ogni blocco lapideo la provenienza, la destinazione, la squadra addetta al traino; una netta separazione di funzioni garantiva il corretto svolgimento del lavoro. La contabilità, il controllo, l approvvigionamento dei materiali erano gestiti con la massima attenzione. Le opere provvisorie, oltre le rampe, erano realizzate con pali di legno legati con funi. Oltre la piramide di Keope, vi sono i grandiosi templi di Karnak e di Luxor (c.a a.c.). Il primo in particolare è denso di colonne per sostenere il peso delle lastre del soffitto: qui si hanno architravi che arrivano sino a 9 m di luce, con una sezione di 4x1,70 m ed un peso di 170 t; ancora, il più grande obelisco di Egitto è quello della regina Hatshepsut, a Karnak: 29,5 m di altezza e 374 t di peso; l'obelisco non compiuto della cava di Assuan misura 41,75 m per un peso di 1200 t. Il sistema costruttivo è analogo a quella della piramide: piani inclinati, leve corde, slitte, pali di legno e forza lavoro. Anche le imbarcazioni che solcavano i fiumi, in particolare il Nilo, erano impiegate per il trasposto dei materiali. I tempi erano necessariamente lunghi. Oltre le opere faraoniche vi erano i palazzi, le costruzioni ordinarie, i villaggi (non solo prossimi ai cantieri delle piramidi) costruiti con mattoni crudi. Alcune immagini tratte dall iconografia egizia ci mostrano la fabbricazione di questi mattoni, fatti di argilla cruda mescolata a paglia per evitare il ritiro, formati a mano e messi in stampi di legno di dimensioni normalizzate, e seccati al sole. Anche in Grecia furono utilizzati a lungo i mattoni crudi insieme a ossature di legno (l argilla cruda verrà utilizzata in Europa fino all Ottocento). In seguito questi materiali vennero sostituiti gradualmente dalla pietra: ad iniziare dalla sostituzione di colonne degradate o distruttedagli incendi. Le colonne di pietra erano monolitiche o, più facilmente a tamburo, più trasportabili e lavorabili. Ma l impiego di queste colonne, di peso considerevole (un tamburo può pesare 4-5 t, un architrave arriva anche a 30 t) presupponeva la presenza di apparecchi di sollevamento adeguati, basati su pulegge e argani. Il trasporto dei blocchi avveniva sempre con slitte, rulli, intelaiature di legno. 1

2 Piramide di Giza ( a.c.) Tempio di Luxor (c a.c.) Tempio di Karnak (c a.c.) Fabbricazione di mattoni di argilla in età egizia 2

3 Vitruvio ci illustra i sistemi utilizzati da Ctesifonte e Metagene, incaricati della costruzione del tempio di Eleusi, per il trasporto e il sollevamento dei blocchi. La rete stradale non era sviluppata; le strade più agevoli, fatte con lastre di pietra, erano brevi e poche, le altre erano viottoli scomodi. Il carro greco era a due ruote; quello a quattro ruote era senza avantreno mobile ed era difficile da manovrare; veniva usato forse solo come carro funebre per brevi tragitti. Le murature dei templi erano realizzate con blocchi di pietra a secco e disposti con ricorsi regolari. La stabilità era assicurata da grappe metalliche a coda di rondine, a doppia T o P, poste sui letti e nei giunti; i rocchi delle colonne erano solidarizzati da perni di legno di cedro introdotti in una cavità praticata nel centro del tamburo e saldati con un bagno di piombo Per il sollevamento dei blocchi di pietra erano utilizzati corde, pinze, ulivelle e sistemi di sollevamento che utilizzeranno anche i Romani. Banco per la formatura a mano dei mattoni e stampi (epoca romana) (da Adam, L arte di costruire presso i romani) Impasto di argilla e paglia Lavorazione del pisé Trasporto blocchi di Baalbeeck (Libano) altezza 4 m, larghezza 4 m, distanza dalla cava 25 km Macchine di Ctesifonte e di Metagene (Adam) 3

4 I Romani rinnovano radicalmente i sistemi costruttivi e l organizzazione dei cantieri precedenti, sviluppando i sistemi già in uso. L utensileria romana si specializza e si amplia. Sembrano di invenzione romana: - le forbici a perno al posto delle cesoie, che risultano senza dubbio note da epoca remota; - la sega a telaio mentre le civiltà precedenti conoscevano il saracco. Sono state trovate seghe da pietra, senza denti, che si usavano certamente con la sabbia; - il girabacchino; - vari tipi di lima; - la pialla - il sollevamento con la noria Girabacchino Noria Cesoia Saracco Elenco di specializzazioni del cantiere romano I Romani introducono su larga scala i mattoni cotti e il conglomerato cementizio, e si perfeziona l impiego di macchine per razionalizzare il lavoro. Testimonianza dell elevato grado di organizzazione è la costruzione del Colosseo alla quale presero parte 4 cantieri operanti ognuno in un quadrante dell arena per l esecuzione simultanea e indipendente dell edificio in piani sovrapposti, con una ricettività totale di operai. La tecnica edilizia, basata sull uso del calcestruzzo, a realizzare l opus caementicium (da caementa, frammenti di pietra), e delle pietre artificiali, i laterizi, doveva essere sostenuta da una organizzazione del lavoro assai complessa e da maestranze specializzate. Era quindi necessaria una organizzazione funzionale e flessibile, che rendesse il cantiere economico e sicuro. In linea generale, come accade ancora oggi, un impianto ottimale aveva bisogno delle seguenti aree di lavorazione: delimitazione e recinzione dell area ingressi in relazione alla viabilità esterna divisi in principali (per i carri) e secondari (per i pedoni) distribuzione razionale di tutti i servizi inerenti la fabbrica al fine di avere un certo grado di sicurezza sul lavoro, di avere i trasporti più brevi possibile, ed evitare false manovre e ingombri inutili. pesa per i carri baracca per l impresa con abitazione (minima) per il guardiano tettoia per il deposito delle calci di dimensioni convenienti alla fabbrica da eseguire palchetti in legno sollevati da terra per evitare l umidità 4

5 bagnamento per la calce (bagnoli o truogoli o fosse da calce) adiacente alla tettoia di deposito della calce deposito dei materiali (pozzolana, sabbia, laterizi, pietrame ecc.) deposito dei ferri fucina adiacente al deposito per la lavorazione dei ferri e la riparazione degli attrezzi deposito del legname da cantiere laboratorio da falegname per la riparazione degli attrezzi e i lavori attinenti alla carpenteria deposito degli attrezzi latrine. I depositi dei materiali dovevano trovarsi nei luoghi più convenienti per l impiego e la conservazione: così la calce e la pozzolana andavano presso i bagnoli, le pietre e i laterizi vicino alle andatoie, dove passavano gli operai per salire sui ponti o i castelli, o comunque nelle vicinanze delle macchine elevatorie. Laddove non vi fosse spazio sufficiente ad organizzare le diverse aree di lavoro venivano utilizzati gli stessi vani della fabbrica che si andava erigendo. Tra i principali strumenti di misura utilizzati dai romani si ricordano: riga graduata (regula o canone) che poteva essere di legno con le estremità di ferro o in bronzo; la misura corrisponde ad un piede graduato (cm 29,57) con multipli e sottomultipli; le squadre (normae o canone) sono di bronzo e di dimensioni variabili; sono formate da due bracci ad L e sono dette a L o a spalla; le false squadre o calandrini hanno i bracci articolati e consentono di riportare qualsiasi tipo di angolo nei tagli dei conci; l archipendolo è un altro tipo di squadra utilizzato per verificare l orizzontalità dei corsi (assise); è una squadra a forma di A, in genere in legno, dall apice della quale pendeva un filo a piombo; una tacca verticale al centro era una linea di fede; il filo a piombo (perpendiculum) in bronzo; il compasso sia per segnare circonferenze ma anche per riportare le misure con estrema precisione; alcuni hanno una chiavetta di fissaggio dei bracci, altri una forma ricurva per facilitare la presa. Archipendolo Vari tipi di utensili Per quanto riguarda le prime e semplici operazioni necessarie a consentire l impianto di un opera (sia essa un edificio, acquedotto, strada), gli strumenti adoperati dagli agrimensori non si differenziano molto da quelli usati sino all inizio di questo secolo: la riga graduata, la funicella, la squadra, la funicella con due picchetti; tutti strumenti che permettono di tracciare al suolo cerchi e archi di cerchio. Tra gli strumenti, di cui ci arriva testimonianza attraverso i reperti archeologici e rappresentazioni, vi sono la groma e il corobate, le cui applicazioni sono complementari e costituiscono, come si è detto, gli strumenti essenziali per l avvio dei lavori. Questi iniziano con l allineamento o picchettatura, cioè il tracciamento della linea tramite funicelle e picchetti. Si procede attraverso una successione di mire che consente di tenere i picchetti sul piano verticale. L altra operazione è il traguardo secondo assi ortogonali, indispensabile per tracciare le centuriazioni. Tali operazioni consentono di risolvere la maggior parte dei problemi topografici. La groma è uno strumento dotato di una croce a quattro bracci uguali e ortogonali da cui pendono dei fili a piombo, formanti a due a due dei piani di traguardo. I bracci devono ruotare liberamente e per evitare l ostacolo del piede la groma è fissata su un braccio mobile che sormonta il piede. Una volta posizionata in prossimità di un punto prescelto, veniva messa a piombo facendo girare i bracci. L orizzontalità della squadra risulta comprovata se uno dei piombi risulta parallelo all asse del piede. Fissato lo strumento, si procede alle operazioni di traguardo, posizionando la squadra in funzione dell asse principale (cardo o decumano) o della direzione da seguire. Complementare alla groma è il corobate, noto solo attraverso le descrizioni di Vitruvio. E destinato ai lavori di livellamento ed è realizzato da un cavalletto (circa 6 m) dai piedi verticali. E provvisto in superficie di un alloggiamento e due mirini e, lateralmente, di linee di riferimento perpendicolari alla riga e coincidenti con i fili a piombo quando lo strumento è in posizione orizzontale. L alloggiamento è una livella ad acqua, utile in caso di vento 5

6 che fa oscillare i fili a piombo. La cavità veniva riempita fino all affiorare dell acqua. Attraverso i due mirini si traguarda un picchetto. La differenza di quota sarà sempre uguale all altezza conosciuta del picchetto meno quella del corobate. Groma Corobate La lavorazione dei materiali:l estrazione della pietra e la posa in opera La pietra veniva estratta da cave appositamente aperte attraverso le seguenti fasi: - eliminazione dello strato esterno e messa a nudo della pietra; - estrazione, che avveniva mediante scalzamento dei blocchi utilizzando fessure naturali, ma era raro; più frequente si operava una incisione di solchi nella roccia e si scavava a destra e sinistra dei solchi sino alla profondità voluta per il blocco. - si faceva poi leva con cunei di ferro, battuti con martello, o di legno molto secco e successivamente bagnato per fargli aumentava il volume. La capacità tecnica consentiva di estrarre non solo blocchi ma anche colonne. Le cave erano preferibilmente in prossimità degli edifici da erigere, ma la padronanza dei sistemi di spostamento consentiva di aprire cave ovunque e di spostare le pietre per lunghi percorsi fino al cantiere di costruzione. A parte i casi eccezionali, il trasporto avveniva su carri trainati da buoi. Sul monte Pentelico è stata individuata una via utilizzata a questo scopo: il tracciato era pressoché rettilineo e la pavimentazione in marmo costituiva un vero e proprio scivolo; grossi fori scavati ai lati della strada erano gli alloggiamenti per resistenti perni di legno su cui si avvolgevano le funi che frenavano lo scivolamento della slitta. Diversi tipi di cava e modalità di distacco dei blocchi 6

7 Planimetria delle cave di Cusa Il sistema si è tramandato sino al Novecento: a Carrara, nel 1928, il monolito di Mussolini fu trasportato in modo simile. Le colonne venivano fatte rotolare dopo aver fissato dei perni alle estremità. L impiego di argani e paranchi manovrati dagli uomini assicurava una forza di trazione che era moltiplicate dalle pulegge. In cantiere i blocchi, di oltre 500 kg di peso, subivano una prima sbozzatura utilizzando cunei, seghe, scalpelli, mazzette, ecc. Una volta squadrato il tagliapietre gli dava la forma voluta utilizzando diversi strumenti in relazione al grado di finezza della finitura. Tra questi vi è la scalpellina, l odierno male e peggio, attrezzo in cui i due taglienti sono ortogonali, molto usato ancora oggi dal tagliapietre per le pietre tenere, come i tufi vulcanici. Secondo Vitruvio gli architetti romani ripresero le invenzioni dei greci che avevano già inventato le machinae tractorie (per lo spostamento) ed elevatorie (per il sollevamento). Per il sollevamento veniva impiegata la ruota calcatoria, una ruota cava all interno della quale salivano gli operai, il cui peso, che variava in funzione del carico, metteva in movimento la ruota; potrebbe invece essere invenzione romana. Le macchine erano principalmente finalizzate al sollevamento dei pesi ed erano basate su principi elementari. Attraverso l impiego della leva, del cuneo, della vite, della puleggia o carrucola (riunite anche in bozzelli), del verricello (burbera) o argano, dei paranchi semplici e differenziali si realizzavano macchine lignee complesse, denominate genericamente varae, che venivano impiegate da sole o ingegnosamente aggregate insieme per sviluppare notevole energia e sollevare pesi considerevoli a notevoli altezze. Il settore destinato alle macchine elevatorie era la parte più robusta di tutto il ponteggio ed era sistemato strategicamente in modo da servire la maggiore area possibile. L energia necessaria al movimento era prevalentemente muscolare, umana (squadre di operai) più spesso che animale, volontaria o involontaria. Quella volontaria implicava uno sforzo da parte dell uomo, la seconda, come nel caso della ruota calcatoria, comportava che l energia fosse fornita solo dallo spostamento degli operai che camminavano all interno della ruota. Il sollevamento avveniva con la puleggia, il sistema più semplice utilizzato probabilmente già dai greci nelle navi. La puleggia offre una posizione di trazione molto efficace ma per contro può sollevare un carico non superiore al peso dell operaio. 7

8 Macchina elevatoria con ruota calcatoria La prima demoltiplicazione dello sforzo appare con il verricello, (tamburo ad asse orizzontale) in cui la manovella, grazie alla lunghezza del suo braccio, o leva, che è superiore al raggio del tamburo attorno a cui si avvolge la fune, alleggerisce lo sforzo del sollevamento richiedendo un giro ampio. Secondo la formula P = F (L/r) k dove P = carico da sollevare L = lunghezza della manovella r = raggio del tamburo F = la forza esercitata k = un coefficiente di attrito = c.a. 0,8 si ha ad esempio: 15 kg (40 cm/10 cm) 0,8 = 48 kg cioè un carico tre volte superiore alla forza impiegata. Per aumentare la potenza del sollevamento si ricorreva ai paranchi, un sistema costituito da più pulegge, anche riunite in bozzelli, per mezzo dei quali la fune che solleva il masso gira con una potenza proporzionale al numero delle pulegge. Il tipo di paranco più semplice è costituito da due pulegge: una fissa e una mobile e ha la formula: F = (P/2) k Moltiplicando il numero n delle pulegge si avrà F = (P/n) k In antichità la manovella non era molto usata, ma il verricello veniva manovrato mediante sbarre sporgenti da una o da entrambe le estremità del tamburo (il movimento in questo caso è discontinuo). La potenza della macchina veniva aumentata sostituendo la leva con la grande ruota calcatoria, raggiungendo una potenza di decine di tonnellate. L abbinamento di puleggia e verricello costituisce la macchina sollevatrice ancora oggi in uso, la capra o biga, due travi di legno sono legati in cima e divaricati in basso; vengono rizzati e tenuti in questa posizione da tiranti fissati in sommità. Al vertice viene messo una puleggia o un bozzello. In basso è montato un piccolo argano manovrato tramite leve che vengono alternativamente inserite nei fori del tamburo: sistema questo molto sicuro perché in caso si mollasse la presa le leve si bloccavano contro i piedi della capra o contro la traversina. L altezza delle capre dipende dal carico: quelle di bassa e media potenza, essendo smontabili e maneggevoli, potevano essere installate a diversi livelli mano a mano che si procedeva con il lavoro. L unica accortezza era assicurare il fissaggio dei tiranti. Vitruvio descrive chiaramente la capra: "Si prendano due pezzi di legno di misura adeguata alla grandezza dei pesi da sollevare. Essi vengono rizzati, legati in cima e divaricati in basso. Vengono mantenuti in questa posizione per mezzo di tiranti fissati alla sommità e disposti intorno ad essi; al vertice viene appeso un bozzello". Nelle macchine più grandi, per le quali occorreva provvedere allo spostamento della sommità della capra, i tiranti, che potevano essere numerosi, erano a loro volta muniti di paranchi che permettevano di accorciare o allungare i tiranti così da abbassare o alzare la testa della capra. 8

9 La capra Spostamento di colonne Naturalmente la resistenza del paranco dipende da quella degli assi delle pulegge e da quella delle funi. Una corda di canapa di 2 cm di diametro consente di sollevare un peso di 500 kg; con 4 cm si arriva a 2000 kg. Ma quest ultima richiede pulegge ingombranti ed è quindi preferibile usare corde più sottili e aumentare le pulegge. Ma la capra e i suoi derivati avevano uno sbraccio ridotto ed è quindi ammissibile pensare che vi fossero delle vere e proprie gru a braccio. Queste, a differenza di quelle moderne, avevano solo il movimento elevatorio e rotatorio mentre quello traslatorio è attestato per la prima volta come invenzione di Brunelleschi per la realizzazione della cupola di S. Maria del Fiore. Per sollevare le colonne di grandi dimensioni senza il rischio di spezzarle, si può pensare, in base a quanto si faceva nel Rinascimento, che dovessero essere usati altri sistemi. Uno era quello di imbracare la colonna entro un telaio rigido di legno che ruotasse al piede attorno ad un asse orizzontale: un braccio verticale (a 90 rispetto al fusto della colonna) veniva portato in posizione orizzontale da funi tese da argani cosicché la colonna assumesse la posizione verticale. Per sollevare i blocchi, il sistema più semplice era quello a imbraco con funi. Questo sistema non richiede la preparazione della pietra ma richiede l uso di leve per recuperare le corde dopo la posa del blocco. Questo limita il peso del blocco tranne che per gli architravi che hanno il lato inferiore libero. Già i Greci, per aggirare l'ostacolo avevano messo a punto quattro sistemi: - i dadi esterni (tenoni), sporgenze sul blocco, sulla faccia vista e su quella posteriore, simmetrici e posti lungo l asse, a cui venivano legate le funi. Tali sporgenze venivano eliminate nella fase di finitura della superficie; - le olivelle, elementi metallici inseriti ad incastro nel blocco. Erano costituite da tre barrette dal profilo complessivo a coda di rondine, una staffa che permetteva di fissare il tutto al gancio di tiro e un asse che fungeva da collegamento tra le barrette e la staffa. L'olivella veniva inserita in una cavità preparata dal tagliapietre dello stesso profilo della coda di rondine. Venivano introdotte prima le barrette laterali, poi quella centrale. I fori erano in genere cm 10x2x10 cm di profondità. Non contava tanto la dimensione della olivella quanto la resistenza della pietra coinvolta nella presa. L uso delle olivelle era molto diffuso per la praticità e velocità. Tra i fori per olivelle più grandi si ricordano quelli sui blocchi di travertino del Colosseo: 22 cm di lunghezza, 26 di larghezza, 6 di spessore; - gli orecchioni incavati lateralmente, che non richiedevano finiture sulla pietra poiché erano nascosti dai giunti; - gli orecchioni incavati superiormente (rari): erano canali a forma di V. I romani ripresero i primi due sistemi e ne inventarono un altro, le tenaglie. Le tenaglie non richiedevano l esecuzione di tagli precisi, ma si adattavano a fori anche ridotti, purché simmetrici. Le tenaglie erano limitate a blocchi di dimensioni modeste a causa della limitata apertura delle barre e quindi dei rischi di scivolamento. Un primo tipo di tenaglie era a forma di X con due aste di forma arcuata incernierate al centro: le due estremità inferiori venivano inserite in un foro della pietra; le estremità superiori erano collegate alla fune. Tirando la fune le estremità inferiori si divaricavano aderendo per attrito alle pareti del foro (olivelle a chiusura automatica, usate fino ai nostri giorni). Un secondo tipo di tenaglie prevedeva di praticare due fori simmetrici sulle facce del blocco e, tirando le barre superiori delle tenaglie, i bracci inferiori si stringevano assicurando la presa. Quando i fori venivano praticati sulle 9

10 facce accostate dei blocchi, il sistema non lasciava tracce. Se i buchi delle tenaglie interessavano i paramenti, questi venivano effettuati su escrescenze che, come i tenoni, venivano poi scalpellati. Sistemi per sollevare i blocchi di pietra I Romani utilizzarono, soprattutto per le fondazioni, il sistema costruttivo denominato opus quadratum, costituito da blocchi tagliati a forma di parallelepipedo e disposti in filari orizzontali. I blocchi erano resi solidali sui lati verticali e orizzontali con grappe di ferro, del tipo già visto, ma in particolare quelle a P, fissate con una colata di piombo. I blocchi venivano collocati nella posizione esatta usando le leve per farli scivolare. Le leve si imperniavano su fori eseguiti sulle pietre già in opera. Talvolta l'accostamento veniva effettuato dalle impalcature con l'aiuto di fori sugli spigoli del blocco inferiore. Il furto degli elementi metallici effettuato nei secoli successivi non ha comunque compromesso la stabilità delle murature. Anche i fusti di colonne, come si è visto già per i Greci, erano collegati con uno o quattro perni, in relazione al diametro e fissati con il piombo fuso.. Una rigorosa suddivisione del lavoro e una adeguata preparazione delle maestranze guidate dal capomastro consentì ai Romani di sviluppare la tecnica costruttiva. Sistemazione dei blocchi Calci e malte La malta era già stata usata dai Greci. La malta romana era costituita da sabbie più o meno fini, calce con polvere di carbone di legna, argilla e talvolta ghiaia e mattoni pestati. Le proporzioni sono generalmente le medesime da un capo all'altro dell'impero e da un secolo all'altro. Fu per queste malte che i romani inventarono la cazzuola, in una forma molto vicina a quella odierna. Per ottenere la necessaria compattezza, evacuando le bolle d'aria, si usava un pestello. Le malte per legare i mattoni sono fatte con le calci. La calce si ottiene dalla cottura di pietre calcaree a circa 1000 C (calcinazione). Dalla cottura che prosegue ininterrotta per diverse ore, si ottengono delle pietre polverulente in superficie, molto leggere, le quali vengono idratate (spegnimento) per ottenere un legante. La reazione chimica è: CO 3 Ca (carbonato di calcio) + calcinazione (cottura) CO 2 + CaO (anidride carbonica + ossido di calcio) Il composto perde il gas carbonico e il prodotto che resta è un ossido di calcio, la calce viva. L immersione in acqua fa sciogliere le pietre liberando un forte calore e produce una pasta chiamata calce spenta. 10

11 La reazione chimica è: CaO (ossido di calcio) + H 2 O da cui si produce Ca(OH) 2 (idrossido di calcio o calce spenta). Per comodità di trasporto il fornaciaio vendeva al costruttore la calce viva. Il costruttore installava in cantiere la fossa di spegnimento. I calcari puri erano a presa estremamente lenta e questa era una qualità molto apprezzata perché consentiva dei lenti assestamenti della costruzione e una omogenea distribuzione delle spinte. La presenza di argilla nel calcare ne comprometteva la qualità. L argilla deve essere contenuta nel 20% altrimenti il calcare non è utilizzabile per fare la calce. In relazione alla percentuale di argilla si hanno calci aeree e idrauliche (tra l 8% e il 22% di argilla); i romani usavano solo calci aeree. Le calci aeree che fanno presa solo in presenza di aria, hanno presa lenta e la calce spenta può essere conservata a lungo. Le calci idrauliche fanno presa anche in presenza di acqua. Le calci vengono utilizzate per la produzione delle malte. Il mescolamento della malta viene fatto in cantiere su uno spiazzo di terra battuta dove viene disposta la sabbia a cratere (diametro da 1 a 3 m) al centro del quale viene posto il grassello di calce o calce grassa (sospensione in acqua di calce spenta) proveniente dalla fossa di spegnimento. Aggiungendo acqua e mescolando accuratamente con la marra, una zappa con il manico lungo, si ottiene un impasto omogeneo e privo di grumi. Dopo l impasto la malta viene portata sul luogo di messa in opera dove verrà utilizzata per legare i giunti di pietre o mattoni, ovvero sarà mischiata a frammenti lapidei per formare il nucleo dell opus caementicium, oppure serviva come rivestimento (intonaco). A questo punto inizia il lento fenomeno di cristallizzazione e presa, che consiste nella concrezione dell insieme, da cui il nome di muratura concreta, sotto forma di una crosta di carbonato di calcio che fissa i granelli di sabbia e i cocci e aderisce alle pietre. Preparazione della malta La costruzione in muratura di mattoni I romani inventarono nuovi tipi di costruzione, o meglio, li portarono a grande sviluppo: l'acquedotto (già noto ai Greci), il ponte, l'anfiteatro, l'arco di trionfo, la villa. Nel campo della pietra da taglio, come si è visto, non apportano grandi innovazioni. Di contro impiegano la muratura costituita da materiale di piccole dimensioni e malta. Il materiale base dei mattoni è l argilla, un materiale eccellente poiché è plastico e malleabile imbevuto d acqua e conserva la forma data dall uomo essiccando. Il suo campo di applicazioni non ha conosciuto limiti. Inizialmente, come si è visto, formata ed essiccata al sole, ha poi rivelato l impermeabilità dopo la cottura. L argilla veniva mischiata a sabbia, con funzione sgrassante, risultava meno plastica ma si riduceva il fenomeno delle fessurazioni. Veniva formata e cotta al forno producendo i mattoni e altri prodotti laterizi. Con l affermazione dell opera concreta, anche le fondazioni si fecero in opus caementicium, meno voluminose dell opera quadrata. Per quanto riguarda l alzato, tutti i muri, indipendentemente dal tipo di paramento erano realizzati in opus caementicium: la parte interna della costruzione, quella che doveva essere il nucleo portante, era formata da scarti o frammenti di tegole, mattoni o pietre legati con malta di calce, e costipata per renderla coerente, contenuti tra due paramenti accuratamente realizzati. I paramenti costituivano quindi una cassaforma a perdere. Nelle costruzioni di mediocre qualità (preimperiali come Pompei) il nucleo centrale era un miscuglio sommariamente legato all argilla e quindi non poteva costituire il supporto essenziale. Talvolta uno strato di calce pura sigillava ogni strato di posa (monumenti funerari della Via Appia), talvolta era uno strato di bipedali. Il muratore distribuiva omogeneamente a mano le pietre nel legante, ovvero, per spessori maggiori, inseriva alternativamente malta e pietre costipando poi il tutto. E' ragionevole pensare che nel corso della costipazione i muratori avessero l'accortezza di far uso anche di casseforme per contenere i paramenti la cui presa non era ancora ultimata. Siccome l'uso delle casseforme era molto oneroso, sembra che la tecnica della pestatura fosse fatta solo per i monumenti molto spessi contenuti entro paramenti molto spessi. 11

12 La diversità tra le diverse murature quindi riguarda il paramento che poteva essere apparecchiato in modo diverso. In termini generali il cuore delle murature rimarrà un riempimento qualsiasi, privo di rapporto con il paramento; i muri solo di mattoni saranno, per molti secoli, un fatto del tutto eccezionale. Inoltre tutti questi paramenti, erano destinati ad avere un rivestimento in marmo o intonaco, che copriva la ricchezza formale dell apparecchiatura costruttiva. L opus incertum, che riveste l opus caementicium, mette in opera pietre piuttosto piccole, talvolta lavorate per il facciavista. Raggiunge la sua più alta espressione tra il II e I sec. a.c., scomparendo progressivamente sino all età repubblicana, ma rimanendo per gli edifici rurali e rustici. L abbandono della tecnica dipese in gran parte dalla standardizzazione delle pietre, cosicché l abilità manuale si ridurrà alla preparazione della malta e al corretto accostamento delle pietre. (Santuario Fortuna Primigenia a Tivoli, fine II sec. a.c.) L opus reticolatum segue, (ultimo quarto del II sec. a.c.) attraverso il passaggio intermedio dell opus quasi reticolatum. Le pietre del paramento sono dapprima di forma poligonale variabile, e poi si regolarizzano ad avere un paramento regolare. Le pietre quadrate sono poste in diagonale a 45. L uso di questa tecnica dipese dalla disponibilità di manodopera poco qualificata utilizzata per il taglio che semplificherà il lavoro del muratore. La posa era complicata perché le pietre non seguivano assise orizzontali; veniva comunque integrata da catene angolari di mattoni disposti a dente di sega o in opera mista e per ricostituire un piano orizzontale venivano utilizzati alcuni filari di mattoni; ma i muratori sapevano che l impiego di malte di ottima qualità rendeva indifferente la disposizione delle pietre. L impiego di questa tecnica (limitata all area centromeridionale) si inizia a diradare e scomparire verso la metà del II secolo d.c., con il crescente uso del mattone (Ostia, Villa Adriana a Tivoli). Opera incerta e opera reticolata L opus vittatum, è un paramento composto di blocchetti quadrangolari di uguale altezza (circa cm, lunghezza cm), spesso di tufo, detti tufelli. Nonostante la semplicità non è una tecnica molto diffusa prima dell età augustea (dopo il I secolo). I filari sono regolari ed orizzontali disposti su assise orizzontali. Le estremità venivano ammorsate con grandi blocchi disposti di testa o di taglio. I giunti possono essere sottolineati a posteriori. L opus mixtum, si riferisce a quei paramenti nei quali sono impiegati insieme pietre e mattoni. Le fasce alterne di pietre e mattoni possono avere rapporti diversi sino a 1 o 2 filari di mattoni per 1 di pietra. Se in Italia i ricorsi di mattoni interessano solo il paramento, nella Gallia attraversavano l intera muratura costituendo vere catene orizzontali e collegando i paramenti con il nucleo interno. Nella maggior parte dei casi queste fasce corrispondevano ad una giornata di lavoro e lo spazio compreso tra una fascia e l altra corrispondeva allo spazio tra i piani dell impalcatura, come dimostrano i fori dei travetti. L opus spicatum ha le pietre alternate disposte a spiga. Invece di essere disposte su filari orizzontali e poggianti sul lato maggiore vengono messe in opera a 45, cambiando la direzione dell inclinazione ad ogni filare. Impiegata in quelle regioni (vallate fluviali) dove si trovano in natura pietre piatte. La posa era molto agevole. L opus testaceum impiega il mattone. Fu la tecnica preponderante dell architettura romana, soprattutto in età imperiale, con una massiccia produzione di materiali edilizi. I mattoni, vengono prodotti più velocemente dei precedenti materiali da costruzione e vengono messi in opera con maggiore facilità per la loro forma regolare e l ampia superficie portante. I mattoni erano chiamati bessales, sesquipedales e bipedales a secondo delle dimensioni e le misure erano definite e unificate, anche se si trovano usanze diverse. Potevano essere messi in opera direttamente o tagliati in elementi rettangolari o triangolari, adattandosi a tutte le necessità della costruzione. Questi mattoni e i loro sottomultipli si ritrovano in tutte le parti della costruzione. Alcuni mattoni hanno sporgenze 12

13 che servivano a facilitare l adesione con la malta; lo spessore variava da 3 a 4,2 cm. L apparecchiatura aveva a volte funzione decorativa (mattoni policromi) e non doveva essere rivestita di intonaco. I mattoni romani Le tecniche costruttive romane si trasferirono a grandi costruttori, quali furono i bizantini, che non introdussero sostanziali innovazioni. Tra gli sviluppi costruttivi dell età romana troviamo la volta, già conosciuta come principio costruttivo, ma alla quale i Romani hanno dato un'ampiezza che non possedeva nelle civiltà anteriori. Invece è ben possibile che i romani abbiano inventato la cupola; e ben presto ci si accorse che poteva essere montata anche senza l'utilizzazione di impalcature. I ponteggi o impalcature I romani fecero progressi anche nella carpenteria. Si pensa che sia stato l'uso di immensi ponteggi, richiesti dalle grandi costruzioni quello che permise di risolvere problemi fino ad allora risolti in modo mediocre. Il grande titolo di gloria a questo proposito è l invenzione della capriata e dell'impalcatura a struttura triangolare che sostituisce vantaggiosamente gli impilamenti conosciuti prima: era la nascita della carpenteria moderna. La capriata trasmette solo compressione nelle murature, perché tutte le spinte sono contenute dagli elementi stessi. Analogamente a quanto avviene in epoca moderna, con il termine di ponteggi si intendono quelle strutture di servizio (ponti) connessi al cantiere per l elevazione dei muri. Si trattava di impalcature provvisorie necessarie agli operai per lavorare alle altezze necessarie e ai materiali di essere deposti in attesa dell impiego. Il termine ponte indica solo il tavolato su cui lavorano i muratori ma il significato è spesso esteso all intera struttura (ponteggi). I muratori non potevano lavorare sul muro, come nelle costruzioni di pietra, ma avevano necessità di costruire lateralmente una struttura di legno provvisoria, parallela alla costruzione e munita di piani di lavoro. L impiego del mattone ha molto semplificato i trasporti e le operazioni di sollevamento sino al livello di posa. Per un edificio a due piani è inutile l uso di macchine sollevatrici poiché i muratori possono caricare sulle spalle le ceste con il materiale: è sufficiente una puleggia per sollevare agevolmente pesi di kg. Qualunque sia la costruzione, l impalcatura è una struttura leggera destinata a sostenere il peso degli operai, degli attrezzi e dei materiali di piccole dimensioni. E opportune distinguere le impalcature dai puntelli e centine, destinati invece a reggere il peso della costruzione e che sono pertanto realizzati con legni più spessi. I ponteggi esterni erano posti lungo il perimetro della fabbrica e si elevavano per l intera altezza di essa, su uno o su due lati del muro. Quelli interni erano limitati ai singoli piani. Per i muri bassi veniva utilizzato una impalcatura mobile costituita da una tavola su cavalletti. Quando la muratura era più alta si allestiva un ponteggio a più piani che poteva essere isolato o appoggiato all edificio. Al primo caso appartengono le impalcature indipendenti che devono poggiare a terra e essere stabili. La costruzione dei ponti esterni era molto impegnativa. Essi erano composti da antenne verticali dette pertica o candela, correnti longitudinali o traversoni, travetti trasversali e tavole o palanche. Le antenne, che potevano essere allungate con altre antenne, in relazione all altezza necessaria, erano composte di due o più (max 4) abetelle unite insieme e infisse nel terreno, poggiate su una tavola di legno o masso di pietra per allargarne il piede ed evitarne l affondamento. L abetella (da abete, ma in antico era il castagno, più forte e resistente) era un palo grossolanamente squadrato giuntato ad altri con le ganasce, poste a distanza di circa 50 cm. La distanza tra le antenne dipendeva dall impegno della costruzione, ma in genere era intorno ai 3 m. Per la tendenza delle antenne a conficcarsi nel terreno e per gli assestamenti del suolo il ponteggio tende a distaccarsi dalla parete, uscendo fuori piombo. Per tale motivo si poteva dare una inclinazione verso l interno alle antenne del 3%. Questo comportava una riduzione dei ponteggi superiori, specie per altezze elevate (il Colosseo, alto 40 m, aveva un ponteggio a 2 m da terra largo 3 m che arrivava al coronamento a 1,80 m). 13

14 Ad altezze regolari, corrispondenti ai piani di lavoro vengono posti elementi orizzontali che collegano le antenne in senso longitudinale, i traversoni, e trasversale, i travicelli, che sorreggono il tavolato. Controventature diagonali e puntelli obliqui poggianti a terra assicuravano la stabilità dell insieme. I ponteggi a incastro erano sostenuti dal muro stesso. Erano messi a sbalzo e i travetti che reggevano il tavolato potevano attraversare l intero spessore murario, costituendo un efficace ancoraggio e sostenevano il tavolato anche dall altra parte. I fori in cui passavano erano detti fori da ponte. I travetti potevano anche essere inseriti nel muro in fori non passanti che venivano praticati durante la costruzione. Un antenna poteva collaborare alla stabilità. Veniva anche utilizzato un palo verticale con una saetta obliqua. I travetti potevano essere recuperati, oppure venivano segati e restavano nel muro svolgendo il ruolo di catene interne al muro di collegamento tra le due cortine e il nucleo di riempimento svolgendo una funzione simile a quella svolta nella muratura laterizia dai diatoni e dai ricorsi di bipedali (0,60x0,60 m), che venivano messi in opera interi, incatenavano le cortine al nucleo e ripartivano i carichi con maggiore efficacia. Non tutti i fori da ponte che si riscontrano negli edifici antichi erano utilizzati a questo scopo (a volte sono troppo ravvicinati, troppo piccoli e iniziano troppo in basso); alcuni si pensa fossero utilizzati per casseforme mobili per evitare lo spanciamento dei muri in costruzione rapida. E probabile che per risparmiare legname il tavolato di un piano fosse smontato e trasferito al ponte successivo col crescere del muro, almeno fino ad una certa altezza, oltre la quale i ponti conservati dovevano essere due per sicurezza (come è obbligatorio fare oggi, cfr. ponte di sicurezza), così un eventuale crollo del ponte superiore veniva arrestato da quello inferiore. Le andatoie erano piani inclinati necessari all accesso ai vari piani, in corrispondenza delle quali si raddoppiava il ritmo delle antenne. Il castello era il settore destinato alle macchine elevatorie, quindi la parte più robusta di tutta l impalcatura e sistemata strategicamente in modo da servire la maggiore area possibile. I ponteggi 14

15 Le centine Per costruire la volta il tagliapietre e i muratori avevano bisogno di un robusto supporto che avesse esattamente il profilo della curva da realizzare: la centina. La centina è composta da almeno due archi di cerchio e da una superficie semicilindrica detta sottostruttura, che ha la forma della volta. La centina può essere appoggiata sia direttamente a terra, per mezzo di pali, sia nel punto di innesto della volta, risparmiando così il legno. Per quest ultima soluzione era necessario preparare delle sporgenze, che assumevano funzione decorativa, su cui poggiavano le centine. Le volte di mattoni erano montate per file parallele, senza incrocio di mattoni, facendo quindi scorrere le centine. Un altro sistema era la volta in concreto che prevedeva uno strato di mattoni quadrati sopra la centina, che costituivano una seconda cassaforma, sul quale a intervalli regolari si montavano degli archi di mattoni collegati tra loro da file di mattoni disposte a raggiera. Si creavano una serie di cassoni nei quali si gettava l opus caementicium. Si otteneva una struttura elastica e resistente. Poteva anche essere gettata direttamente sulla centina. Le centine Le finiture Gli intonaci erano di buona qualità e generalmente si componevano di tre strati sovrapposti. Il primo strato, applicato direttamente alla struttura muraria aderisce senza difficoltà su murature di pietra o laterizie; su quelle di argilla si devono fare dei solchi. E composto di calce e sabbia non vagliata, in modo che sia granuloso e con spessore di circa 3-5 cm. Un sistema poteva anche prevedere l inclusione di frammenti ceramici o di marmo, per dargli solidità durante la presa, evitare la formazione di crepe e fornire aderenza al secondo strato. La seconda applicazione, 2-4 cm, era con malta di sabbia più fine e vagliata, lisciata con il frattazzo, così da preparare per uno strato di finitura molto accurato. L ultimo strato, 1-2 cm, era frequentemente costituito da calce pura accuratamente lisciata. Se al posto della calce si usava la malta, la sabbia era molto fine o sostituita con calcare, gesso o marmo polverizzato. Su questo strato potevano essere applicati i pigmenti per la decorazione. Lo stucco: con il termine di stucchi si intendono tutte le decorazioni a rilievo fatte con malta. Quello bianco, con una miscela di calcare e polvere di marmo, era più nobile perché evocava il marmo. Se i rilievi erano molto accentuati, la maggior parte di volume era realizzata con malta di sabbia o tegole fratte e solo lo strato più superficiale era fine. A volte era necessario una struttura di supporto formata da chiodi di diversa lunghezza o cavicchi di legno, inseriti in profondità nella muratura. Le lastre di marmo erano molto spesse e quindi autoportanti anche se lo strato di lastre era comunque legato alla muratura con grappe. La solidità dipendeva dal peso della lastra. 15

16 Il cantiere della cupola del Pantheon (cfr. F. Lucchini, Il Pantheon, Carocci, Roma 2000) La cupola del Pantheon, capolavoro dell architettura romana (costruito da Agrippa nel 27 a.c., commissionato da Adriano, diametro 43,30 m) è formata da un opera cementizia che si alleggerisce via via che si sale. La centina di legno era probabilmente poggiata a livello del piano d imposta dell emisfera. La centina funzionava essenzialmente come una cassaforma e aveva le sagome dei cassettoni predisposte. La tecnica di costruire per anelli sovrapposti lascia supporre che la volta fosse autoportante. Quindi fosse sufficiente una struttura leggera. Dopo il montaggio degli archi meridiani in legno la superficie fu chiusa gradualmente con le sagome dei cassettoni, secondo la cadenza d esecuzione dei lavori. Ogni strato veniva deposto quando il precedente iniziava ad indurire e quindi offriva una certa capacità di resistenza. Appena il calcestruzzo faceva presa la cassaforma veniva smontata e gli operai lavoravano alla finitura della superficie. Alla quota di circa m 30 la costruzione della cupola proseguiva arretrando di 3 m il filo verso l interno. Fu elevato il doppio anello di muratura piena, senza più archi o volte di scarico all interno della muratura, presentando all estradosso un primo risalto verticale. Successivamente si fecero i gradoni anulari che consentivano la riduzione dello spessore. Questa parte della cupola gravava sul muro sottostante e la compattezza del conglomerato assicurava la resistenza della muratura in aggetto. L esecuzione prosegue con altri due anelli realizzati con calcestruzzo di mattoni e frammenti di tufo leggero. Poi gli anelli furono realizzati con calcestruzzo di tufo e lava, con cavità e aspetto spugnoso. La lava è prodotta dal rapido raffreddamento del magma di superficie, è resistente come la malta e le asperità superficiali garantiscono l adesione. Tali strati, alternati a tufo leggero arrivarono sino ad un angolo di circa 43, poco prima dell ultimo gradone, oltre il quale la calotta si riduce al minimo spessore di 1,50 m. Da questo punto la cupola, ormai in forte aggetto fu eseguita deponendo strati orizzontali tra le due superfici dell intradosso e dell estradosso. Sull ultimo strato venne posto uno strato di mattoni semilateres (triangolari) disposti a squame, ricoperto da uno strato di opus signinum (malta formata da un impasto di calce e sabbia) costipato con battitura. La costruzione fu completata sino all oculo dove il cerchio fatto di mattoni bipedali legati (alto 1,40 m) conclude al costruzione. L anello è una sorta di arco orizzontale resistente alle forze di compressione. In sintesi, gli strati di cui è composta la cupola sono i seguenti: 1, uno strato di opera cementizia per il massiccio di fondazione 2, una gettata di opera cementizia a scaglie di tufo e travertino fino alla sommità dell ordine 3, una seconda gettata in opera cementizia con tufo e mattoni sino all innesto della volta 4, il primo anello della cupola realizzato con opera cementizia e frammenti laterizi 5, un secondo anello in cui ai frammenti di laterizi si sostituiscono mattoni e frammenti tufacei 6, la calotta terminale con blocchetti di tufo e lava alveolare. 16

17 Il cantiere medievale era un luogo di apprendistato non solo delle maestranze ma anche dei giovani tecnici. Erano ignoti i concetti di tensione e resistenza dei materiali, mentre, si conosceva, oltre il principio della leva e del piano inclinato, il principio della composizione delle forze. Una testimonianza eccezionale delle tecniche di cantiere, di misure e costruzione delle antiche cattedrali si trova nelle 33 tavole del taccuino di Villard de Honnecurt redatto a partire dal Il cantiere medievale evidenzia un ulteriore distinzione di funzioni, rispetto al cantiere romano, con separate competenze amministrative, tecniche e decorative. In questo periodo il cantiere è organizzato in maestranze più o meno specializzate (muratori, scultori, carpentieri) la cui origine risale all organizzazione del lavoro presso i Romani. Ogni maestranza era guidata da un capomastro, che poteva assumere funzioni direttive più vaste all interno del cantiere. I cantieri medievali più significativi sono quelli delle grandi cattedrali. Al cantiere della cattedrale erano chiamate tutte le forze economiche, intellettuali e lavorative del territorio. La produzione medievale aveva tempi lunghissimi: passavano decenni, talvolta secoli, tra il momento in cui si decideva di erigere una cattedrale e il suo compimento. Si ingaggiava, infatti, molta manodopera non specializzata reclutata tra gli abitanti i quali prestavano la loro opera, distratti dalle attività lavorative ordinarie. Di fronte alla realtà organizzativa medievale, la committenza, realisticamente, gestiva i lavori appaltandoli per fasi della durata di diversi anni (tracciamento, scavo e fondazioni; elevazione di muri e pilastri; costruzione delle volte; realizzazione della facciata) e dando di volta in volta incarico ai tecnici considerati adeguati per quella particolare opera (muratore, lapicida, carpentiere, scultore, scalpellino). Questo, anche in assenza di un piano complessivo chiaro dei lavori al momento dell'inizio dell'opera: nel caso del duomo di Milano, solo dopo la conclusione dei lavori di fondazione si cominciarono a concepire gli alzati e il dimensionamento dei pilastri. Si fa stretto il rapporto tra il progettista e il cantiere; egli diviene anche costruttore, poiché lavorava sul posto dove veniva realizzata la sua opera. I tempi di costruzione erano lunghi, spesso si protraevano oltre la morte dell'architetto. Spesso si lavorava senza o con pochi disegni tecnici e ciò non consentiva ad altri di proseguire i lavori secondo un'idea prestabilita. L'architetto realizzava disegni o modelli (di contenuto non necessariamente tecnico), essenzialmente per comunicare le proprie idee alla committenza ed averne il gradimento; i disegni avevano perciò una funzione propagandistica più che tecnica. Ai modelli veniva demandato il delicato compito di fermare un'idea originaria, seppure vaga, e di provare a servire da testimone che, probabilmente, architetti diversi si sarebbero passato. Essi mostravano piuttosto "l'edificio che si aveva in mente di costruire, piuttosto che l'edificio che sarà costruito ; non erano perciò diretti alle maestranze. Il disegno architettonico è una traccia da seguire nella realizzazione e non, in senso moderno, la prefigurazione del costruito. La costruzione per addizione e l'assenza di un'idea globale iniziale, portava con sé la possibilità di realizzare la parte che si stava costruendo prendendo a modello la stessa parte di un edificio già costruito e che aveva dato buona prova di sé, sia per il gradimento da parte del popolo sia per il comportamento statico. Quando vi erano disegni d'insieme si trattava quasi solo piante, mentre le sezioni erano rare; perciò il disegno in pianta dominava il cantiere medievale così come dominerà quello rinascimentale, nel corso del quale la decisione sugli alzati evolveva durante il processo di costruzione. La produzione di disegni diventa notevole quando occorreva rappresentare elementi decorativi: si realizzavano spesso disegni in scala al vero, dai quali lo scalpellino poteva ricavare sagome. Le unità di misura erano variabili da regione a regione e ciò creava problemi sulla trasmissibilità di informazioni sotto forma di misure assolute dell'edificio. Non venivano usate nemmeno le scale di rappresentazione, ossia il rapporto che lega dimensionalmente l'oggetto disegnato all'oggetto reale. Almeno apparentemente, in quanto la maggior parte dei disegni architettonici gotici si è scoperto basarsi su rapporti duodecimali (1:24, 1:36, 1:48). Il cantiere della cupola di Santa Maria del fiore (cfr. Ippolito, La cupola di Santa Maria del Fiore, Nis, Roma 1998) La cupola ( , diagonale ottagono di base 44,93 m) concluse il lungo iter di costruzione della chiesa fondata nel 1296 su disegno di Arnolfo di Cambio. Era un cantiere di grande importanza e dimensione tanto da richiedere la carica di Ufficiale della cupola, titolo che veniva assegnato a quattro membri della corporazione dell Arte della Lana, con durata semestrale, e con il compito di redigere rapporti periodici sullo stato di avanzamento dei lavori e sul proseguimento, sorvegliare l operato dei provveditori della cupola con i quali a volte collaboravano e accompagnare i consulenti sul cantiere. I provveditori della cupola (Brunelleschi, Ghiberti e Battista D Antonio) sovrintendevanono l andamento dei lavori accertandosi che le maestranze si attenessero scrupolosamente alle indicazioni di progetto di cui loro stessi erano autori, mentre l attività costruttiva vera e propria era affidata a 8 maestri muratori eletti. D Antonio, che aveva grande pratica di cantiere, si occupò di vendita e acquisto di materiale e macchine, e di controllo di alcune maestranze. Un cantiere di tali dimensioni sollevava molti problemi sul trasporto e messa in opera dei materiali. Su entrambe le questioni Brunelleschi inventò nuovi sistemi. Dal 1433 egli divenne il solo responsabile del progetto. Il ruolo assunto segnava una rottura con l organizzazione corporativa del lavoro e si affermava una nuova figura professionale, quella dell architetto con ingegno, tecnica, pratica di cantiere oltre che competenze teoriche e progettuali. 17

18 La cupola venne realizzata senza armature; a motivare la scelta contribuirono il peso delle future vele che avrebbero reso le centine difficilmente stabili, i problemi di reperimento di legname, il costo e l ingombro eccessivo delle centine per la movimentazione di uomini e macchine. La costruzione senza centine avvenne a condizione che ogni piano di posa formasse un anello chiuso (è una cupola a padiglione ma, per evitare le centine, viene costruita come una cupola di rotazione), in grado di sostenersi al momento della chiusura e tutt al più vincolato da sostegni parziali nelle fasi intermedie. Il tamburo è alto 13 m e spesso 5 m. La cupola è concepita come struttura pesante e non spingente (a sesto di quinto acuto). A partire da 3,50 m la cupola è a doppio guscio, divisa cioè in due calotte di diverso spessore distanziate da una intercapedine che accoglie le scale e, a diversi livelli, tre camminamenti anulari. E innervata da 8 sproni angolari e 16 mediani, a cui le due calotte sono strutturalmente collegate in una coesione strutturale tra settori (h dell imposta della cupola da terra m 54,60 distanza tra gli spigoli opposti m 55, peso della cupola c. tonn , n. di mattoni impiegati c ). E un cantiere difficile per il movimento di maestranze e macchine e per la realizzazione dell autoportanza della cupola. Elementi realizzati fuori opera e assemblati sul posto, unificati per tipo e dimensione, come i macigni di rinforzo, dimostrano la razionalità del metodo costruttivo. L insieme delle lavorazioni faceva capo ad un cantiere grande ai piedi della cattedrale e altri microcantieri vicini per le specifiche esigenze. Per la cupola vi erano probabilmente 8 cantieri, autonomi anche nelle macchine. Questo consentiva anche di non avere un peso eccessivo su un unico punto dell impalcatura. L altezza crescente dei ponteggi metteva a rischio la vita degli operai e, oltre una paga maggiore, erano state predisposte alcune minimali misure di sicurezza quali la realizzazione di parapetti o il divieto di bere vino. 18

19 Incerti oggi sulle opere provvisionali, si concorda sulla presenza di un ponteggio interno a sbalzo, a circa 54 m di altezza, che costituisce il cantiere base della fabbrica, realizzato in legno e sostenuto da grandi travi inserite in buche pontaie. L aggetto era di circa 6-8 m, ed era rinforzato da puntoni a sostegno di travicelli e tavole d impalcato. Per i piani superiori è probabile che gli anelli di ferro murati e ritrovati servissero a sostenere impalcati superiori sempre a sbalzo. Anche all esterno i ponteggi erano a sbalzo e fissati con anelli di ferro. Tra le macchine individuate nella costruzione della cupola vi è una gru, attestata per la prima volta come invenzione di Brunelleschi, che aggiunge al movimento elevatorio e rotatorio quello traslatorio. Gli unici disegni tecnici di questa invenzione, che hanno consentito la realizzazione del modello, sono di Bonaiuto Ghiberti e Leonardo da Vinci. Questo tipo di gru con i tre movimenti fu poi dimenticato e reinventato verso la metà del XIX secolo. Tutti i congegni di Brunelleschi sfruttano i principi conosciuti già dagli antichi: il verricello, il piano inclinato e la leva. L argano a tre velocità sfrutta la capacità di autofrenamento della vite di manovra: azionata da una coppia di buoi ha un meccanismo tale che consente di invertire il movimento senza cambiamento di direzione dei buoi. Gru girevole della lanterna: la lanterna fu costruita dopo la morte di Brunelleschi (1446) con l impiego di macchine da lui concepite. La gru girevole era disposta al centro dell occhio della cupola, con la circonferenza di base interna al perimetro ottagonale sul quale si elevano le pareti della lanterna. La gru presentava un braccio girevole di 360, con un sistema a vite che consentiva oltre alla rotazione l escursione trasversale del carico. La piattaforma di appoggia veniva sollevata tramite viti. La gru alzava e posizionava con precisione i blocchi di marmo che formano la parte inferiore della lanterna. Argano a tre velocità: inventato da Brunelleschi è formato da una robusta struttura saldamente ancorata a terra. Mediante due ruote orizzontali solidali, che operano in alternativa ognuna dotata di ingranaggi cilindrici ruotanti (per ridurre gli effetti di attrito), un albero verticale aziona un albero orizzontale cilindrico che presenta due diversi spessori e trascina, mediante un sistema rocchetto-ruota dentata, un altro albero cilindrico orizzontale di spessore ancora diverso. Gli alberi cilindrici orizzontali, attorno ai quali sono avvolti i canapi di sollevamento girano con tre diverse velocità (corrispondenti a tre diverse potenze) che vengono selezionate in relazione al carico da sollevare. La macchina, fornita di un dispositivo di sicurezza per impedire l inversione della rotazione degli alberi, è azionata da una coppia di buoi. Alla base dell albero motore si osserva un dispositivo senza fine che consente di alzarlo e di abbassarlo con la conseguenza di ingranare l una o l altra delle ruote orizzontali con i pioli del tamburo. Questa operazione consente di invertire il senso di rotazione degli alberi cilindrici orizzontali (passare alla salita e discesa del carico) senza bisogno di staccare gli animali dal giogo e riattaccarli in senso contrario. Gru girevole della lanterna e argano a tre velocità Gru girevole brunelleschiana con albero: utilizzata sui ponteggi allestiti sulle murature. E dotta di una ruota verticale a pioli che aziona un verricello che solleva piccoli pesi e di una slitta vite per spostare lateralmente il peso sollevato. Gru girevole: misurava almeno 20 m di altezza. Probabilmente fu utilizzata nella fase di chiusura dell occhio della cupola. L albero verticale della gru, manovrato da un lungo timone, poteva ruotare di 360. Il carico e il contrappeso venivano spostati simultaneamente in modo da mantenere sempre l equilibrio sulla verticale. La ruota la piede serviva a ridurre l attrito provocato dalla rotazione sulla piattaforma di base. Il carico veniva sollevato e abbassato mediante una vite verticale dotata di tre tenditori per mantenere in piano il carico. Per il funzionamento della gru erano necessarie quattro squadre di operai: una faceva ruotare la gru, due azionavano le viti per lo spostamento radiale del carico e del contrappeso, una azionava la vite verticale. 19

20 Gru girevole brunelleschiana e gru girevole Tracciamento: sul tracciamento dei profili angolari si fanno solo delle ipotesi. E probabile che vi fossero delle centine non come struttura di sostegno ma come guida nella costruzione, relativamente ai profili angolari, a misura di quinto acuto. Anche la modalità del controllo geometrico della curvatura mano a mano che andava avanti il cantiere è solo una ipotesi. E accertato l uso del calandrino e dell archipenzolo insieme, come strumenti di controllo locale per le maestranze, probabilmente per determinare la direzione dello spinapesce: appoggiando la base del triangolo alla corda blanda e imponendo al filo a piombo di passare per la linea di fede in mezzeria, esso disegnava le linee meridiane che i mattoni verticali avrebbero rispettato, così come le corde blande disegnavano sulla superficie delle vele i paralleli. Il controllo geometrico doveva ancora prevedere, con frequenza costante, per gli otto settori della cupola il controllo della curvatura della volta, della convergenza al centro dei giunti laterali dell apparato murario e dei piani verticali degli sproni, dell inclinazione costante per ogni letto di posa che si conformava secondo una superficie conica. Nei documenti il termine "centina" non assume significato di struttura di sostegno, come nella consueta accezione, ma di guida della costruzione entro limiti geometrici e dimensionali prefissati, di riferimento provvisorio per lo sviluppo delle superfici e degli spigoli della muratura. All avvio dei lavori sono messe in opera otto centine a materializzare i profili angolari della prima sezione della volta. Non resta testimonianza del modo di sostenere le centine e di posizionarle correttamente rispetto ai riferimenti di quota e di orientamento; non è escluso che esse fossero vincolate a una struttura centrale avente funzione di coordinamento strutturale e geometrico. In ogni caso è evidente che a guidare la curvatura delle vele dovessero esserci negli angoli elementi conformati secondo criteri di geometria elementare, disposti su piani verticali orientati radialmente e incidenti su un comune asse centrale. Per le modalità di tracciamento dei profili d'angolo, le ipotesi sulle procedure di controllo geometrico attivate in corso d'opera riconoscono sia l'adozione di sistemi di riferimento assoluto che locale. L impiego di fili di ferro nel modello dimostrativo comporta nella realtà, in ogni caso, problemi non irrilevanti per l accessibilità allo spazio interno, per il movimento dei fili a causa dell'ostacolo di macchine e impalcature. Per un'interpretazione realistica della prassi esecutiva appare più immediato far riferimento a sistemi di controllo locale, gestiti dalle maestranze sul piano di avanzamento del cantiere, ai vari livelli. Vi è però, tra i documenti dell epoca, una disposizione che fissa nuove modalità nella guida del tracciamento attraverso l'uso del gualandrino con tre corde. Il termine "gualandrino" corrisponde con buona probabilità a quello di calandrino, lo squadro per scalpellini e falegnami utilizzato come misuratore o rapportatore di valori angolari tra direzioni prefissate che, evidentemente secondo la prescrizione, erano da materializzare con tre corde per ognuna delle otto vele. Più plausibile invece risulta una più agile e diretta utilizzazione del gualandrino da parte delle maestranze come strumento di guida locale, come metodo di allineamento, oltretutto funzionale ad un avanzamento del cantiere in otto settori distinti, seppure contemporanei e coordinati. In ogni caso le operazioni di tracciamento, precedendo la messa in opera dei materiali, richiedevano un attento coordinamento nell'imposizione di riferimenti su diversi settori della struttura; controllo di curvatura della volta con centine-guida angolari, controllo della convergenza al centro dei giunti laterali dell'apparato murario e dei piani verticali degli sproni, controllo dell'inclinazione costante per ogni letto di posa, dovevano essere effettuati con frequenza per evitare discontinuità strutturali e per compensare eventuali irregolarità. L'uso del gualandrino, per i profili interno ed esterno della cupola, può aver avuto come riferimento sia le stesse centine angolari, opportunamente presegnalizzate secondo intervalli angolari costanti riferiti al teorico centro di quinto acuto, sia le direttrici orizzontali delle vele evidenziate da fili tesi tra punti posti ad uguale altezza in corrispondenza degli spigoli, sia le direzioni radiali di convergenza al centro dell'ottagono. In particolare, l'inclinazione della superficie di posa di 20

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