Diaframma e numeri f 1,4; 2; 2,8; 4; 5,6; 8; 11; 16; 22; 32; ecc.

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1 Diaframma e numeri f All'interno della maggior parte degli obiettivi fotografici, tra il gruppo di lenti anteriore e quello posteriore, è disposto un diaframma regolabile, simile all'iride dell'occhio, costituito da una serie di lamelle metalliche parzialmente sovrapposte il cui movimento allarga o stringe l'apertura per il passaggio della luce che va a impressionare la pellicola. Questa apertura può allargarsi fino a corrispondere al diametro dell'obiettivo per poi restringersi a un forellino al centro di esso. L'apertura del diaframma, e quindi il diametro del fascio di luce, si regola normalmente ruotando una ghiera. Molte macchine di piccolo formato controllano automaticamente l'apertura al momento dell'esposizione, avendo il comando del diaframma collegato con l'esposimetro incorporato. Nelle reflex monoculari l'apertura risulta preselezionata, cioè il diaframma non si chiude con la ghiera ma rimane tutto aperto e si chiude sul valore scelto solo nell'attimo dello scatto. Si può chiudere con la ghiera manualmente prima dello scatto solo disinserendo la preselezione. Le varie aperture del diaframma si trovano in corrispondenza di una serie di tacche; tale serie costituisce una scala di valori, indicati da numeri f. Da notare che più piccola è l'apertura, maggiore è il numero f. Questa è la sequenza tipica delle aperture: 1,4; 2; 2,8; 4; 5,6; 8; 11; 16; 22; 32; ecc. Questi numeri f seguono una scala adottata internazionalmente, relativa alla luminosità dell'immagine. Il diaframma funziona come un "rubinetto" della luce: ogni volta che, chiudendolo, si passa da un numero a quello immediatamente superiore, si dimezza la quantità della luce che passa attraverso l'obiettivo. Poiché l'apertura è al centro dell'obiettivo, l'immagine subirà un aumento o una diminuzione uniforme della luminosità. Con i numeri f ogni obiettivo, indipendentemente dal formato della macchina o dalla lunghezza focale, messo a fuoco sullo stesso soggetto (a grande distanza) con la medesima apertura di diaframma forma un'immmagine della stessa luminosità Fig. 3.8 Tipica sequenza di aperture del diaframma. Molti obiettivi possono avere aperture superiori a f/2 e più piccole di f/16. Come funziona l'apertura del diaframma I numeri f della scala dei diaframmi di_un obiettivo indicano un rapporto, cioè la lunghezza focale per l effettivo diametro dell'apertura. Così f/2 significa chej'apertura,del diaframma misura metà della lunghezza focale; f/4 significa che è un quarto e così via. Questo sistema è particolarmente utile perché ogni numero f ci da importantissime informazioni su due fattori fondamentali per la luminosità dell'immagine: 1) la distanza fra l'obiettivo e l'immagine: raddoppiando la distanza di una sorgente luminosa da una superficie la quantità di luce che questa riceve diminuisce di quattro volte. 2) il diametro del fascio di luce: raddoppiando il diametro di un cerchio,la sua area si quadruplica. Allo stesso modo raddoppiando (o dimezzando)l'apertura del diaframma, l'immagine sarà quattro volte più (o meno) luminosa.

2 diaframma (f) = diametro effettivo dell'apertura. lunghezza focale dell'obiettivo Fig. 3.9 Quando il diametro (D) di un cerchio raddoppia, la superficie (A) Aumenta 4 volte Nella pratica questa relazione non vale per riprese molto ravvicinate, perché la distanza tra l'obiettivo e l'immagine a fuoco è molto diversa dalla lunghezza focale. Se si osserva attentamente la sequenza dei numeri, si può notare come i valori di apertura del diaframma siano, alternativamente, l'uno il doppio dell'altro: 2,4,8 (alcuni valori sono approssimati, per esempio: 5.6x2 = 11.2 è arrotondato a 11). Questo conferma il fatto già detto che raddoppiando il diametro di un cerchio si quadruplica la sua superficie; così, aprendo il diaframma a un diametro doppio di quello di partenza si ha la differenza di due valori, e non di uno solo. Questi numeri f di apertura sono comunemente detti "stop". Nelle vecchie macchine fotografiche, molto prima dell'introduzione dei diaframmi a iride, il diaframma era costituito da una sottile lamina di metallo con un foro di opportune dimensioni nel mezzo, che veniva inserito in una scanalatura all'interno del corpo dell'obiettivo.nella pratica si può notare come i valori a fondo scala varino a seconda dei tipi di obiettivi. Molti obiettivi per macchine fotografiche di piccolo formato si fermano a f/16 o a f/22. Quelli per formati più grandi (6x7 cm) arrivano fino a f32 o a f45. Le aperture molto piccole sono utili per aumentare la profondità di campo (vedi più avanti), ma ai limiti la diffrazione comincia a compromettere la qualità dell'immagine. Non esiste infatti nessun obiettivo con un diaframma delle dimensioni di un piccolo foro stenopeico. La luminosità, la lunghezza focale, il modello e il numero di matricola sono incisi sul bordo della ghiera frontale dell'obiettivo. In commercio si possono trovare due obiettivi uguali pressoché in tutto, ma l'uno costa il doppio dell'altro solo perché ha un indice di luminosità più alto di un valore. Questo è lo scotto che occorre pagare per poter scattare foto con poca luce o con tempi di posa molto rapidi. Profondità di campo L'apertura del diaframma svolge l'importante funzione di controllo per la maggiore o minore luminosità dell'immagine, controllo che aiuta ad ottenere particolari effetti o a compensare condizioni di luce sfavorevoli (troppa o troppo poca luce). Ma ha un effetto ancora più importante pef la nitidezza dell'immagine, effetto che è da tenere in considerazione ogni volta che si fotografa una scena nella quale vi sono piani e dettagli situati a diverse distanze dall'obiettivo. Immaginiamo, per esempio, un ritratto a mezzobusto sfondo del quale si trovi un paesaggio e davanti una ringhiera. Se si mette a fuoco solo il volto, con un diaframma molto aperto lo sfondo e la ringhiera appariranno irrimediabilmente sfuocati. Se invece si sceglie una piccola apertura di diaframma (aumentando il tempo di esposizione per compensare la minore luminosità dell'immagine) ecco che la scena sarà a fuoco nella sua interezza, dal primo piano al paesaggio lontano. Questo spazio entro cui l'immagine risulta sufficientemente nitida si chiama profondità di campo, che è la distanza tra il piano più vicino e quello più lontano, rispetto all'obiettivo, che appaiono contemporaneamente a fuoco nell'immagine. La massima apertura di diaframma darà la profondità di campo minore, e viceversa. La profondità di campo dipende ancora da altri due fattori: 1) è minore quando il soggetto è molto vicino ed è maggiore quando il soggetto è relativamente lontano (cioè la profondità di campo è inversamente proporzionale alla distanza di messa a fuoco) 2) è minore con obiettivi di lunga focale e maggiore con quelli di corta focale (cioè la profondità di campo è inversamente proporzionale alla lun ghezza focale), a parità di apertura e distanza del soggetto (figg e 5.2). Visivamente la profondità di campo si può controllare sul vetro smerigliato, quindi nelle macchine di grande formato e nelle reflex monobiettivo. In queste ultime però è necessario staccare il dispositivo di preselezione del diaframma perché questo possa chiudersi all'apertura impostata.

3 Applicazioni pratiche E molto importante saper controllare la profondità di campo e saperla sfruttare per ottenere il risultato voluto. Scegliendo una profondità di campo limitata possiamo ad esempio isolare un dettaglio nitido dagli altri che rimangono sfuocati sullo sfondo e/o in primo piano. Si enfatizza così la parte del soggetto che più ci interessa e quindi si crea nella foto maggior forza espressiva (fig. 3.12). Occorre però ricordare che riducendo la profondità di campo con una grande apertura, diventa necessaria la massima attenzione nella messa a fuoco. Infatti in questi casi rimane poco margine di errore, specie con soggetti vicini. Si possono avere anche problemi di esposizione, se si usa una grande apertura di diaframma e c'è un'illuminazione intensa, con una pellicola sensibile, o se, volendo creare un effetto di "mosso", si sceglie un tempo di esposizione relativamente lungo. Nel caso contrario, scegliendo la profondità di campo più ampia possibile, tutta l'immagine sarà estremamente dettagliata e darà il massimo delle informazioni. Si potrebbe quasi dire che una foto di questo genere è più realistica della realtà stessa, perché chi la guarda può decidere di concentrare la sua attenzione su un particolare che sul luogo, a occhio nudo, sfuggirebbe alla vista. In questo caso il fotografo non circoscrive l'attenzione dell'osservatore su una parte della scena ma la propone in tutta la sua interezza. Nella maggior parte delle fotografìe commerciali o giornalistiche, solitamente la gente si aspetta che l'immagine mostri completamente tutti i dettagli di un soggetto. Bisogna solo stare attenti a rilevare (e a evitare) ogni eccesso di confusione di elementi indesiderati, in primo piano o sullo sfondo, nociva alla comprensione del contenuto. Quando è possibile, è bene controllare che l'immagine con l'apertura impostata sia effettivamente a fuoco nella sua parte più importante. A volte risulta impossibile ottenere la necessaria profondità di campo solo regolando l'apertura del diaframma (condizioni di luce scarsa o pellicola lenta, cioè poco sensibile, tali da richiedere tempi di esposizione inaccettabilmente lunghi). In questi casi, per cercare di ottenerla, occorre adottare qualsiasi sistema renda più piccola l'immagine: o ci si allontana dal piano più vicino, o si usa un obiettivo di focale più corta, o una macchina di minor formato. In seguito sarà sempre possibile ingrandire il negativo in stampa (vedi anche pag. 121). Per quanto si debba concedere un certo scadimento di qualità dovuto all'ingrandimento, la definizione in termini di profondità di campo ne trarrà vantaggio. Come si comporta la profondità campo Per capire perché la profondità di campo varia, bisogna tener presente che un obiettivo, di qualsiasi tipo, può mettere perfettamente a fiioco un solo piano del soggetto, ad una data distanza (fig. 3.14). Solo in quella posizione ogni raggio proveniente dall'oggetto a fuoco è riprodotto sull'immagine come un piccolissimo punto. Tutti gli altri piani, avanzati o arretrati rispetto a quello a fuoco, sfumeranno in immagini gradualmente meno definite in quanto non costituite da punti ma da circoletti, chiamati circoli di confusione; questi, sovrapponendosi l'uno all'altro, conferiscono all'immagine l'aspetto non nitido. Più grandi sono i circoletti, più confusa è l'immagine riprodotta. I limiti della profondità di campo sono determinati da quei piani che, più lontani o più vicini al punto di ripresa rispetto al piano messo a fuoco, pur non formando un'immagine perfettamente nitida, vengono ancora accettati dal nostro occhio come dei punti. Se riteniamo accettabili cerchietti di queste misure, ecco che le parti del soggetto leggermente più vicine e più lontane risultano anch'esse a fuoco. Se diminuisce l'apertura del diaframma tutti i coni di luce sui piani fuori fuoco diventano più piccoli, per cui i dettagli più vicini e più lontani appaiano ancora anch'essi nitidi, e così la profondità di campo risulta ampliata. Analogamente avviene se ci si allontana dal soggetto, o si cambia l'obiettivo con uno di focale più corta, perché l'immagine risulta rimpicciolita e il piano messo a fuoco risulta più lontano. Dunque la profondità di campo sarà tanto maggiore: quanto più piccola è l'apertura del diaframma quanto più è lontano il soggetto quanto più corta è la focale quanto maggiore è il cerchio di confusione accettabile.

4 Una buona norma è quindi mettere a fuoco un soggetto a circa 1/3 della profondità di campo utile complessiva. Nei soggetti vicini, invece, la profondità di campo si estende in modo pressoché uguale sia dietro il piano a fuoco, che davanti.

5 Gli apparecchi fotografici In questo capitolo esamineremo la macchina fotografica nel suo insieme. Vedremo i principali componenti dell'apparecchio e le loro possibili interazioni, rilevando come questi deteminino la forma tipica delle macchine fotografiche odierne. Confronteremo poi tra loro i vantaggi e gli svantaggi dei vari tipi di apparecchi. Vedendo un sofisticato equipaggiamento fotografico moderno è difficile credere che la macchina fotografica sia sostanzialmente una scatola con un obiettivo davanti e una pellicola nella parte opposta. Eppure le prime macchine fotografiche erano proprio così: scatole di legno assemblate da un falegname. Un obiettivo telescopico veniva montato sul davanti della scatola, mentre V sulla parete opposta veniva sistemato un telaio per il materiale fotosensibile. In centocinquant'anni di evoluzione sono stati inventati, utilizzati o scartati molti differenti modelli di macchine. L'introduzione, relativamente recente, della microelettronica ha migliorato e ampliato sensibilmente le prestazioni, particolarmente nel piccolo formato. L'attuale produzione può essere divisa in quattro categorie: le macchine a soffietto e banco ottico (in genere di grande formato), con mirino a visione diretta (piccolo e medio formato), e le reflex I componenti essenziali (piccolo e medio formato). Nello stesso tempo, in base al formato Qualunque sia il formato del negativo o il tipo di modello, una macchina della pellicola, deve possiamo avere i classificare seguenti gli elementi con comandi manuali o automatici: apparecchi in tre gruppi: grande 1) un sistema di puntamento dell'apparecchio per il controllo dell'inquadratura formato (4x5", e pellicole composizione piane), medio del soggetto (mirino); formato (6x6,6x7,6x9 cm, pellicole in 2) un sistema di messa a fuoco; rullo 120), piccolo formato (essenzialmente 35 mm). 3) un sistema di otturazione per controllare il momento e la durata dell'esposizione; 4) un sistema di diaframmatura per controllare l'apertura dell'obiettivo in funzione della profondità di campo e della luminosità dell'immagine; 5) un sistema di caricamento, trascinamento e recupero della pellicola taleche questa non venga a contatto con la luce. 6) È poi opportuno che la macchina fotografica abbia un sistema per lamisurazione della luce (la quasi totalità delle macchine moderne di piccolo formato, è dotata di esposimetro incorporato). Senza soffermarsi troppo sulle strumentazioni per l inquadratura e la messa a fuoco analizziamo subito uno dei principali componenti della macchina fotografica: L'otturatore L'otturatore della macchina fotografica è un meccanismo che serve a controllare il tempo di esposizione e viene collocato in una delle due seguenti posizioni: a) nell'obiettivo fra due gruppi di lenti; b) immediatamente davanti al piano focale

6 Il primo (chiamato anche otturatore centrale) è costituito da diverse lamelle che, premendo il pulsante di scatto, si aprono e chiudono meccanicamente, in un tempo più o meno veloce, e permettono che il fascio di luce raggiunga la pellicola per il tempo necessario alla corretta esposizione. Trovandosi nel centro dell'obiettivo ed aprendosi ad iride, questo tipo di otturatore provoca un'esposizione uniforme e contemporanea su tutto il fotogramma e basta un piccolo comando per aprire e chiudere il passaggio alla luce. È anche semplice da sincronizzare con il flash: il contatto viene dato al circuito elettronico del flash nell'istante in cui le lamine sono completamente aperte. Non permette tempi più veloci di 1/500 ed è montato su macchine a obiettivo fisso, quindi con mirino diretto, su reflex bioculari e sugli obiettivi per macchine di grande formato a banco Otturatore centrale a lamelle. Il meccanismo in basso mostra come le lamelle (qui ridotte a tre per semplificare) si aprono e chiudono rapidamente ruotando l'anello. Il secondo tipo di otturatore (detto piano-focale o a tendina)(e il piu usato) ha un ingombro maggiore, in quanto deve coprire l'intera superficie della pellicola, ed è completamente diverso sia come concezione sia come funzionamento. Normalmente è costituito da due piccole tendine metalliche avvolte di fianco o sopra la pellicola e che scorrono davanti alla stessa. La prima, 1/ 250 sec riavvolge 1/ 60 sec al momento dello scatto, apre il passaggio della luce per iniziare l'esposizione, la seconda la segue per interromperlo. I diversi tempi di esposizione vengono appunto determinati dall'intervallo tra il movimento della prima e della seconda tendina. Per tempi brevi le due tendine si seguono così da vicino da formare come una finestrella attraverso la quale avviene l'esposizione. Dopo ogni scatto le due tendine si riavvolgono e la macchina è pronta per una nuova esposizione. Alcuni apparecchi di piccolo formato hanno l'otturatore focale costituito da due o tre lamelle che si aprono e chiudono, anziché tendine che si inseguono. La principale ragione per cui è necessario l'otturatore a tendina nel sistema reflex è per permettere il passaggio della luce attraverso l obiettivo fino al mirino, proteggendo nel contempo la pellicola.. Otturatore a tendina sul piano focale. Con i tempi più veloci (in alto) il fotogramma non rimane mai interamente scoperto. Per l'uso dei flash bisogna usare tempi più lunghi (in basso); il circuito del flash si chiude quando la prima tendina è completamente aperta. Le tendine vengono riportate in posizione (in fondo a destra) leggermente sovrapposte dal meccanismo di trascinamento della pellicola. Inoltre in questo modo è possibile utilizzare, con un solo otturatore facente parte del corpo macchina, altri obiettivi con caratteristiche diverse, senza rischio di infiltrazioni di luce durante la sostituzione. Infine, particolare importante, questi obiettivi sono molto meno costosi, essendo privi di otturatore.

7 La normale scala dei tempi di esposizione di un otturatore di un buon apparecchio è la seguente: 1; 1/2; 1/4; 1/8; 1/15; 1/30; 1/60; 1/125; 1/250; 1/500 (frazioni di secondo). Macchine economiche portano in genere solo i tempi centrali. Gli otturatori a tendina giungono fino a un duemillesimo di secondo e negli apparecchi migliori anche meno. Questa progressione, in cui ogni valore è la metà del precedente (arrotondando in alcuni casi per eccesso o difetto), è complementare, in termini di esposizione della pellicola, alla scala dei diaframmi. Cioè, sapendo che ogni numero f raddoppia o dimezza la quantità di luce rispetto a quello che lo precede o lo segue, 1 /30 a f/8 da per esempio la medesima esposizione di 1 /60 a f/5,6 o di 1 /15 a fi 11. La scelta che poi verrà in pratica effettuata dipenderà da esigenze di profondità di campo o di nitidezza per soggetti in movimento ("congelati" o mossi: è un fatto espressivo) Combinando le varie velocità dell'otturatore con le opportune aperture di diaframma si può ottenere una corretta esposizione in quasi tutte le situazioni di illuminazione. Il tempo più lungo che si può ottenere con un sistema meccanico è normalmente di 1 secondo. Si possono ottenere esposizioni più lunghe impostando, sulla scala dei tempi, la lettera B (da Brief o Bulb). In questo caso l'otturatore rimane aperto finché si tiene premuto il pulsante di scatto e normalmente lo si fa con uno scatto flessibile, per evitare di trasmettere inavvertitamente alla macchina vibrazioni non volute nel momento in cui si preme il bottone. In alcuni otturatori per macchine a soffietto esiste anche un tempo T (Time). In questo caso l'otturatore è tenuto aperto da un dispositivo meccanico e per richiuderlo occorre premere di nuovo il pulsante. I tempi di otturazione più veloci si hanno con gli otturatori a tendina, in quanto il loro funzionamento è più semplice e l'alta velocità non è ottenuta da un movimento meccanico della tendina, che ha un normale scorrimento, ma dall'intervallo tra il movimento delle due tendine. Tempi di esposizione fino a 1 /4000 di secondo vengono ottenuti in macchine di piccolo formato con otturatori di questo tipo, costituiti però da lamelle metalliche con movimento rapidissimo. Gli otturatori centrali invece hanno meccanismi molto complessi e il loro principio di funzionamento non consente tempi tanto veloci (negli apparecchi a banco ottico non superano 1/250 di secondo). Il Diaframma cenni Il diaframma è costituito da una serie di lamelle che formano come un'iride e ha la funzione di modificare l'apertura dell'obiettivo. In qualche tipo di macchina l'otturatore centrale e il diaframma sono unificati in modo tale che l'otturatore, costituito da cinque o sei lamelle, aprendosi per il tempo d'esposizione prescelto, crei nel contempo un passaggio di forma esagonale di diametro corrispondente al diaframma impostato Nelle macchine con inquadratura e messa a fuoco attraverso l'obiettivo, l'apertura del diaframma può essere preselezionata in modo tale che, pur avendo impostato il diaframma prescelto, questo rimane alla massima apertura per far sì che nel mirino l'immagine rimanga più luminosa possibile per facilitare la messa a fuoco. Il diaframma si chiuderà automaticamente sul numero f impostato quando si preme il pulsante di scatto. Per l'eventuale controllo visivo della profondità di campo alle diverse aperture, sulla maggior parte delle reflex, sia di medio sia di piccolo formato, si preme un pulsante che chiude il diaframma al valore impostato permettendo di controllare la zona di nitidezza Chiudendo molto il diaframma l'immagine si scurisce nel mirino, specie se la scena non è molto luminosa, per cui la verifica diventa difficoltosa. Controllo della profondità di campo. Il diaframma preselezionato rimane alla massima apertura per l'inquadratura e la messa a fuoco Premendo l'apposito pulsante si chiude al valore prescelto ; lo schermo diventa più scuro, ma è possibile verificare la profondità di campo come risulterà nella foto.

8 Misurazione della luce Praticamente tutte le moderne macchine di piccolo e medio formato hanno un dispositivo incorporato per misurare la luminosità del soggetto e indicare l'esposizione corretta. Lo strumento segnala quando la combinazione diaframma-tempo selezionata manualmente è accettabile, oppure sceglie automaticamente: a) il corretto tempo di posa per il diaframma impostato (priorità di diaframma) b) la corretta apertura per il tempo di posa impostato (priorità di tempi) e) una combinazione accettabile tra i due valori, scelta da un programma incorporato alla macchina stessa. La cellula fotosensibile è alloggiata sul piano frontale della macchina per essere sempre rivolta verso il soggetto. Nelle moderne 35 mm non reflex (compact) spesso è disposta all'interno della montatura dell'obiettivo; nelle reflex è sistemata invece all'interno della macchina stessa (TTL), in modo tale che misuri la luce che entra direttamente dall'obiettivo (vedi fig ) e va a impressionare la pellicola. In entrambe le posizioni la cellula misura la luce tenendo conto di qualsiasi filtro usato sull'obiettivo. Il sistema con cellula interna lavora ugualmente bene con qualsiasi obiettivo e a qualsiasi distanza di ripresa. Tutti i sistemi moderni di misurazione della luce richiedono un'alimentazione da parte di una batteria in quanto sono costituiti da fotocellule che, in funzione della luce che le colpisce, variano la loro resistenza al passaggio di corrente elettrica in un circuito. L'energia può essere ricavata dallo stesso circuito che alimenta l'autofocus, l'otturatore e l'avanzamento. La prima operazione da fare è tarare lo strumento in base alla sensibilità della pellicola che si sta usando (ISO). Questa impostazione in molte macchine 35 mm avviene automaticamente grazie a un contatto elettronico che "legge" un codice a barre stampato sul caricatore della pellicola. Le differenti combinazioni di tutti questi elementi (mirino, messa a fuoco, controllo dell'esposizione, misurazione della luce, avanzamento ecc.) determinano le caratteristiche dei modelli di apparecchi in commercio. Ogni innovazione tecnologica che provoca un'evoluzione in uno di questi settori porta con sé necessariamente una modificazione dei vari tipi di macchina. Ad esempio, negli anni '60 lo sviluppo delle fotocellule al CdS (solfuro di cadmio), decisamente più piccole di quelle al selenio, permise la realizzazione dei sistemi di misurazione della luce attraverso l'obiettivo; negli anni '70 l'elettronica portò alla programmazione dell'esposizione; negli anni '80 si ebbe l'introduzione dell'autofocus. La tendenza dei costruttori è quella di offrire le migliori prestazioni dalle attrezzature e rendere sempre più agevole da un punto di vista operativo il lavoro dei fotografi. I diversi tipi di macchine fotografiche Non esiste una macchina fotografica ideale. Alcune sono strumenti specializzati che rendono possibile affrontare determinati problemi specifici altrimenti insolubili con altre attrezzature. Altre invece sono estremamente versatili ed hanno così il limite di non essere ideali per alcun genere particolare di fotografia. Occorre valutare i prò e i contro di ognuno dei principali tipi di macchine e imparare a usarle nelle diverse situazioni che si presentano. Bisogna poi cercare di fare una buona pratica nell'uso degli apparecchi in modo da poterne comparare la convenienza, la praticità d'uso e l'affidabilità. Alla fine deciderete qual è la macchina che fa per voi considerando anche quale formato è più adatto alla vostra attività La scelta del formato In un primo momento si potrebbe pensare che le differenze nelle dimensioni della pellicola siano di poca importanza in quanto in fase di stampa ogni negativo può essere ingrandito come si vuole. Ma vi sono altri aspetti da considerare: 1 ) Maggiore è il formato dell'immagine sulla pellicola, migliore sarà la qualità della stampa finale: per la migliore definizione, la grana più piccola, la ricchezza tonale e la gradazione cromatica più ampie. La pellicola di formato 4x5" (pollici) per esempio, ha una superficie tredici volte maggiore di quella 24x36 mm; da essa si possono quindi ottenere ingrandimenti di 30x40 cm di qualità pari a quella di ingrandimenti di soli 10x15 cm del negativo 24x36 mm. La differenza di formato delle pellicole è più evidente nelle stampe che hanno dimensioni superiori ai 25x30 cm.

9 2) Le macchine di grande formato offrono una grande possibilità di movimenti(decentramenti e basculaggi) per il controllo dell'immagine. 3)Più piccola è la macchina, meno ostacoli pone tra il fotografo e il soggetto. Una macchina piccola consente maggiore libertà operativa, dalla scelta del punto di ripresa alla rapidità di inquadratura e di messa a fuoco e permette di scattare diversi fotogrammi in rapida successione. 4)II piccolo formato ha maggiore profondità di campo rispetto al grande formato, a parità di apertura di diaframma (riferendoci a obiettivi normali) anche stampando nello stesso formato. In altri termini si può scattare una fotografia a una apertura più grande e ottenere la stessa profondità di campo. 5)Gli obiettivi delle macchine di piccolo formato sono generalmente più luminosi, cioè hanno un'apertura massima maggiore rispetto a quelli per formati maggiori. Questo consente, tra gli altri vantaggi, di poter scattare fotografie in condizioni di luce impossibili operando con la macchina in mano e usando tempi di posa lunghi. Inoltre le macchine fotografiche di buon livello hanno una ricca gamma di obiettivi e accessori che possono risultare veramente utili nelle situazioni più disparate (Cap. 5). Accessori equivalenti per le macchine di grande formato costano molto di più. 6)Diversi materiali sensibili speciali vengono prodotti solo per le macchin di grande formato, con le quali si può cambiare facilmente, dopo ogni fotografia, la pellicola e sviluppare singolarmente ogni immagine. Per contro le macchine piccole sono più facili da portare con i relativi accessori e rendono più semplice scattare e sviluppare una grande quantità di immagini. Inoltre le macchine 35 mm sono ideali per le diapositive destinate alla proiezione. Bisogna fare un'altra importante considerazione riguardante il formato. La maggior parte dei formati è rettangolare e la proporzione tra altezza e larghezza ha una grande influenza sulla composizione dell'immagine. A prima vista un formato quadrato sembrerebbe più facile da usare, in quanto non occorre decidere a priori se scattare la fotografia verticalmente oppure in orizzontale. Ma il formato quadrato priva sempre l'immagine di una "spinta" dinamica. La maggior parte delle fotografie, infatti, viene riprodotta in un formato rettangolare. Con il formato quadrato, quindi, non si sfrutta mai l'intero fotogramma. Macchine a soffietto di grande formato (professionali). Sia il banco ottico (al centro) sia la cassa rigida (a destra) derivano dai primi apparecchi costruiti intorno al 1840, costituiti da due cassette inserite l'una nell'altra (per consentire la messa a fuoco): in una era fissato l'obiettivo, sul fondo della seconda si poneva la lastra fotografica.

10 Tralasciando per ora le apparecchiature di medio e grande formato, soffermiamoci sulle macchine reflex di piccolo formato Fotocamere reflex monobiettivo Attualmente le reflex monobiettivo dominano quasi incontrastate il mercato delle fotocamere 35 mm di elevata qualità per molte ragioni. Il maggior vantaggio di questo tipo di fotocamera consiste nel fatto che permette al fotografo di vedere l'immagine effettivamente inquadrata dall'unico obiettivo della fotocamera. Il problema della parallasse è pertanto eliminato, e il fotografo può valutare visivamente la profondità di campo approssimativa e l'effetto del cambiamento degli obiettivi, oppure quello provocato dall'uso di un soffietto, di un filtro polarizzatore o di altri accessori. L'immagine osservata nel mirino è a «pieno fotogramma» qualunque sia l'obiettivo usato, e possiede una diretta, tangibile qualità che non si riscontra in un sistema a mirino telemetrico. (Ci sono alcune fotocamere in cui l'immagine osservata è circa il 10% più piccola rispetto all'immagine effettivamente registrata sulla pellicola. Suggerisco di effettuare qualche prova accurata per determinare se con il proprio apparecchio fotografico viene rappresentata o meno l'intera area dell'immagine). L'osservazione attraverso l'obiettivo è resa possibile collocando uno specchio sul percorso della luce trasmessa dall'obiettivo, per cui l'immagine è deviata sullo schermo di messa a fuoco posto nella parte superiore della fotocamera <. Questa immagine sul vetro smerigliato è osservata dal fotografo per mezzo di un sistema ottico, che di solito include un prisma (un pentaprisma), con il quale è possibile l'osservazione direttamente verso il soggetto; inoltre il pentaprisma corregge l'orientamento dell'immagine (l'immagine vista sul vetro smerigliato senza il prisma appare invertita nel senso destra-sinistra). Quando si preme il pulsante di scatto, lo specchio si solleva e un otturatore, di solito posto sul piano pellicola <, provvede all'esposizione. In tutte le fotocamere attuali lo specchio ritorna immediatamente nella posizione di osservazione, per cui c'è solo un breve periodo di oscuramento, durante il tempo dell'esposizione, in cui non è possibile vedere l'immagine attraverso il mirino. L'inquadratura e la messa a fuoco sono facilitate dall'uso di un diaframma automatico, che rimane alla massima apertura < per l'osservazione e si chiude fino all'apertura di diaframma selezionata un momento prima che l'otturatore si apra. Questo sistema rende possibile l'osservazione di un'immagine quanto più luminosa possibile per l'inquadratura e la messa a fuoco. (L'effettiva luminosità è determinata dalla qualità ottica del mirino e dall'apertura massima del diaframma dell'obiettivo utilizzato). L'osservazione con l'obiettivo alla massima apertura aumenta inoltre l'accuratezza della messa a fuoco, poiché questa regolazione risulta più semplice quando l'obiettivo è alla sua massima apertura; in questo caso si può osservare l'immagine a fuoco molto più chiaramente e rapidamente rispetto a un diaframma più chiuso. La maggior parte delle fotocamere di buona qualità è fornita di una leva che consente di chiudere manualmente il diaframma dell obiiettivo.

11 Sistema ottico di una reflex monobiettivo. Lo specchio, posto davanti alla pellicola, riflette verso l'alto, sullo schermo di messa a fuoco, i raggi luminosi che passano attraverso l'obiettivo; questa immagine è quindi riflessa tramite un prisma fino all'occhio, per l'osservazione. Le moderne fotocamere reflex monobiettivo utilizzano un pentaprisma che consente la visione di un'immagine dritta. Quando si preme il pulsante di scatto, lo specchio si solleva verso lo schermo di messa a fuoco e la luce arriva fino alla pellicola per l'esposizione; quest'ultima è controllata tramite un otturatore posto proprio davanti al piano della Pellicola. fino al valore impostato per realizzare la foto; in tal modo è possibile verificare visivamente la profondità di campo approssimativa <l. Ci sono diversi sistemi ausiliari che possono essere incorporati nello schermo di messa a fuoco; di solito al centro del campo del mirino è collocato un dispositivo a immagine spezzata. Una linea continua presente nel soggetto, passando per quest'area, apparirà spezzata o interrotta se l'obiettivo non è a fuoco sul soggetto, mentre la linea diventa continua quando viene raggiunta la corretta messa a fuoco <. I «microprismi» sono un altro comune sistema per facilitare la messa a fuoco: questi esagerano l'effetto visivo di leggeri errori di messa a fuoco, aiutando così il fotografo in questa operazione. Altri schermi di messa a fuoco sono destinati ad applicazioni particolari; per esempio, lo schermo con una griglia rettangolare è utile nella ripresa di soggetti architettonici o rettilinei; per la macrofotografia esistono appositi schermi smerigliati. In alcuni casi la sostituzione dello schermo di messa a fuoco può essere necessaria per l'impiego di obiettivi di notevole lunghezza focale. La grande popolarità delle reflex monobiettivo è dovuta al fatto che il fotografo vede la composizione precisa dell'immagine, indipendentemente dalla lunghezza focale dell'obiettivo, o dall'uso del polarizzatore, di sistemi per riprese ravvicinate o di altri accessori. Per questa ragione le fotocamere reflex monobiettivo possono essere usate con gli zoom, i telescopi, i microscopi e con altri sistemi ottici. Gli inconvenienti di questo tipo di fotocamere sono in proporzione minori e correlati alla presenza di uno specchio mobile nel sistema di visione. La necessità di uno specchio aggiunge una maggior complessità meccanica, vibrazioni, rumore e provoca il momentaneo oscuramente dell'immagine di cui già si è parlato.

12 monobiettivo. Lo specchio, posto davanti alla pellicola, riflette verso l'alto, sullo schermo di messa prisma fino all'occhio, per l'osservazione. Le moderne fotocamere reflex monobiettivo utilizzano un pentaprisma che consente la visione di un'immagine dritta. Quando si preme il pulsante di scatto, lo specchio si solleva verso lo schermo di messa a fuoco e la luce arriva fino alla pellicola per l'esposizione; quest'ultima è controllata tramite un otturatore posto proprio davanti al piano della

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