Fare Musica. Roma, PAOLO TEODORI, Fare musica

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1 PAOLO TEODORI Fare Musica Roma, 2006

2 Prima parte 2

3 Premessa Questo non è un libro sulla teoria della musica; né è un libro di teoria musicale, né una teoria sull analisi musicale. Guardando intorno alla realtà della nostra cultura musicale, si cercherà di rispondere a una domanda: come si fa la musica? Si risponderà non elaborando teorie, né proponendo modelli sperimentali, ma guardando direttamente alla musica, e cercando in ogni momento di mettersi nei panni di chi la musica la fa, non a parole, ma con matita e carta pentagrammata, o suonandola su uno strumento, o semplicemente ascoltandola. Si cercherà di rispondere in termini non banali, ed evitando quindi di ripetere stancamente moduli convenzionalmente e solo per comodo accettati nelle nostre scuole di musica. Si cercherà di dare risposte pratiche, utilizzabili. Si cercherà, infine, di evitare la banalità di linguaggi sofisticati o addirittura ermetici, che quasi sempre nascondono la pochezza di ciò che si ha da dire. Trattare tutte o anche solo le maggiori forme musicali sarebbe del tutto impossibile: richiederebbe spazi e conoscenze enormi. Così, ho preferito descrivere alcuni aspetti costanti del fare musica, indicando alcuni elementi che hanno trovato e trovano applicazione, trasversalmente, il tutte le nostre forme musicali. Nella seconda parte di questo libro, infine, ho avvicinato due delle maggiori forme del genere strumentale, la fuga e la sonata; sono forme complesse, che hanno rappresentato e sintetizzato tendenze stilistiche e strutturali comuni a moltissima musica sia di genere strumentale, che di genere vocale. 3

4 Introduzione 1. Sapere come è fatta la musica per farla meglio Si analizza la forma musicale per rispondere alla domanda: che senso ha una determinata musica? Per rispondere a tale domanda, si ritiene utile rispondere preliminarmente a un altra domanda: come è fatta questa determinata musica? Alla apparente semplicità della domanda iniziale corrisponde una molteplicità di risposte, tale da generare una certa confusione: per evitarla si deve avere chiaro quale sia l interesse iniziale, e si deve avere chiaro il percorso seguito per rispondere alla domanda. Le cose, infatti, cambiano radicalmente già a seconda di chi, per esempio, sia ad interrogarsi circa il senso di una musica; sicché, per esempio, è ben diverso che la domanda venga da uno storico piuttosto che da un esecutore o, ancora di più, da uno studioso del linguaggio musicale. Lo storico si occupa ricostruire o interpretare il senso e l evoluzione di una cultura; se lo storico è uno storico musicale, lo farà avendo come punto di riferimento la musica, guardando ad essa come punto iniziale della ricerca o punto di arrivo (si parte dalla conoscenza della musica per farsi un idea per esempio di come fossero e cosa significassero le feste fiorentine del Rinascimento); oppure si parte dal decadentismo post-romantico per cercare di capire le basi dell esperienza creativa di Wagner. La comparazione è lo strumento essenziale dello storico: si compara la musica di un autore con quella di un altro; si comparano le musiche di diverso genere e stile di uno stesso autore, o le musiche di uno stesso tipo composte in epoche diverse della vita di un autore (per esempio le sonate di Beethoven); si mette a riscontro l aspetto della esperienza musicale di un periodo della storia con gli altri aspetti della cultura di quello stesso periodo, o di altri periodi, precedenti o successivi rispetto a quello che si sta studiando. Altra cosa è occuparsi della musica per cercarne i fondamenti stessi del linguaggio musicale: sicché le domande possono andare dallo sfondo degli universali linguistici (quali sono, se ci sono, le strutture essenziali ad ogni linguaggio musicale, quelle strutture, cioè, che non possono mancare in nessun tipo di linguaggio, e che si ritrovano quindi nella musica occidentale del periodo paleocristiano, come in quella di Beethoven e in quella dei Pigmei dell Africa?), a domande più specifiche sui principi strutturali che sono alla radice di forme determinate del linguaggio musicale, come per esempio quello della musica tonale. E si vede che, mentre per lo storico il motivo estetico (cioè sul senso e sul significato della musica nel contesto della cultura allargata) è dominante, per lo studioso del linguaggio musicale è centrale il modo di essere, anche al di là e prima del suo significato specifico. Diverso ancora è l approccio di un esecutore, per il quale è primario l interesse nei confronti della specificità espressiva di una determinata composizione: per lui, l analisi dovrà agire da supporto razionale delle proprie scelte esecutive; l analisi deve saper rendere ragione di un determinato approccio esecutivo e, nello stesso tempo, lo può sostenere e rafforzare. Un esecutore dovrebbe essere sempre capace di rendere ragione delle proprie scelte, anche se questo, si deve riconoscere, non è affatto essenziale per eseguire una musica. E questa è faccenda assai spinosa, nella quale cercherò di fare chiarezza dall inizio, per non generare equivoci nei quali è facilissimo cadere. Il presupposto essenziale è che la musica non è, come si sente dire spesso in giro, un arte: la musica è un linguaggio, col quale, eventualmente, si può fare arte, così come avviene con tutte le forme di espressione attraverso cui l uomo comunica col mondo e con sé stesso. C è un livello artistico del far musica che dipende dallo spessore di quel che si vuol dire, dai valori messi in gioco e dalla capacità di esprimere tutto questo. Certo, non si dirà che stia facendo arte chi fischietta la mattina mentre si rade la barba; né che sia arte tanta musica commerciale (tanta, non tutta!) che si ascolta da mattina a sera alla radio o alla tv. Ed è altrettanto certo che da chi fischietta, così come da chi fa certa musica commerciale, non ci si attenda competenze musicali di chissà quale livello, benché capiti che, sia chi fischietta come chi fa musica commerciale, abbia competenze musicali assai profonde. Insomma, parlare si parla tutti: ma altra cosa è fare quel che ha fatto Dante con la lingua italiana. Ciò che fa grande la Divina Commedia è la quantità di valori essenziali dello spirito 4

5 dell uomo che ci si trovano rappresentati, valori tanto profondi, da essere riconosciuti dagli uomini del suo tempo, come da quelli di oggi. Ma c è anche la capacità straordinaria di dire e esprimere quei valori. E c è un reciproco completamento tra i valori che Dante esprime e il modo stesso di esprimerli: tutti abbiamo una percezione del bene e del male, tutti sappiamo cosa sia l amore nei confronti delle cose e delle persone, tutti abbiamo conosciuto la gioia e il dolore, così come tutti abbiamo sentito e riconosciuto la nostalgia; e la grandezza di Dante non può essere quindi solo nell aver sentito vissuto con forza e coerenza questi valori, queste passioni, queste emozioni: la sua grandezza sta nell aver dato loro voce in modo alto e inequivocabile, nell aver saputo esprimere la chiarezza di tutto questo nei termini evocativi e sfumati e anche perentori della poesia. Da una parte ci sono dei contenuti, dunque, dall altra c è il modo di esprimerli; ma il modo di esprimerli incide decisivamente sullo spessore e sulla qualità dei contenuti; sicché, appunto, pur ammettendo di condividere con Dante certe passioni, non avrò mai la sua capacità di rappresentarle. La comprensione di un opera d arte, che non è solo comprensione razionale ma prima ancora godimento estetico, è possibile perché il mondo nel quale l artista si muove è sostanzialmente lo stesso in cui noi viviamo. Il presupposto essenziale della comunicazione e della comprensione è la condivisione del patrimonio culturale e del linguaggio; al di fuori di tale condivisione, che naturalmente potrà essere più o meno ampia, non si può parlare di comprensione, bensì, al limite, di interesse nei confronti di qualcosa che non si capisce: se non conosco il russo, potrò mai apprezzare il mondo dei valori, dei sentimenti o delle emozioni espressi poeticamente in quella lingua? Per apprezzare un oggetto artistico non è naturalmente indispensabile essere letterati, scultori, poeti, o chissà quante altre cose; la comprensione di fondo è assicurata a tutti quelli che hanno più o meno le stesse basi culturali di chi ha confezionato quell oggetto; sicché, per continuare l esempio di Dante, tutti quelli che conoscono la lingua italiana possono realmente leggere la Divina Commedia; ma c è da immaginare che Alessandro Manzoni l abbia capita meglio e più a fondo di chi l italiano lo conosce solo per usarlo nella comunicazione quotidiana. La comprensione e il godimento di una qualsiasi cosa, anche di un opera d arte, sarà tanto migliore per quanto maggiori saranno le mie competenze. Per capire la Divina Commedia è indispensabile conoscere il mondo dei valori di Dante, le premesse teologiche e filosofiche da cui parte; si deve anche conoscere l italiano, naturalmente, e tanto meglio padroneggerò la lingua, tanto più sarò in grado di cogliere e apprezzare le infinite sfumature, le asprezze, le metafore che si trovano nel poema. La conoscenza della cultura, della sua storia, dei suoi linguaggi e delle forme attraverso cui essi prendono forma sono elementi essenziali, indispensabili per la comprensione di qualsiasi cosa, anche dell arte. Lo studio della grammatica e delle forme musicali, dunque, si dispone in questa prospettiva di migliore comprensione della musica. Studiare la forma di una musica vuol dire, in sostanza, capire come è fatta; ma capire come è fatta una musica vuol dire anche capire cosa voglia dire? Esiste, in altre parole, una corrispondenza assoluta tra la forma, il modo di essere fatta di una musica, e quel che la musica vuol dire? Esiste una identità tra segno e significato? No, non esiste. E che non esista una corrispondenza tra la forma e il significato è sotto gli occhi di tutti, altrimenti non sarebbe vero che una stessa sonata di Beethoven possa essere eseguita da duecento anni in modo sempre diverso, anche dallo stesso esecutore (ed è certo anche dal punto di vista scientifico: non sarà mai possibile ripetere un esecuzione nello stesso modo; e anche quando questa venisse registrata su disco, in realtà cambierebbe sempre il secondo termine, essenziale, della comunicazione, ovvero l ascoltatore). Il problema non è solo quello della mancanza di perfetta aderenza tra forma e contenuto, ma, ancora prima, della mancanza di identità nel contenuto stesso: il patrimonio di idee, di sensazioni e di emozioni che lo stesso compositore riversa in una sua musica è diverso di giorno in giorno, da istante a istante e, per quanto ci si voglia sforzare, non sarà mai possibile ripercorrere più che approssimativamente l insieme dei processi mentali che un musicista ha compiuto nell immaginare una certa musica, nel comporla, nel suonarla: non è che è difficile per noi, sarebbe impossibile per lui stesso. 5

6 Per tutte le forme di linguaggio vale la stessa premessa: non c è né può esserci un contenuto ultimo e assoluto identico a sé stesso in qualsiasi cosa che si dica o si esprima; e tuttavia, che non esista un significato ultimo, non vuol dire che ogni significato sia lecito. Vale l esempio del segmento ritagliato su una linea retta: i limiti del segmento sono determinati, ma resta il fatto che all interno stesso del segmento ci sia un numero illimitato di punti. Per capire meglio una musica, dunque, è necessario determinare con una certa sicurezza i limiti dentro cui essa ritaglia i propri possibili significati, e quante più cose saprò intorno ad essa, tanto meglio la potrò apprezzare. Così, pur mancando una corrispondenza tra forma e contenuto, sapere come è fatta una musica aiuta, eccome, nella sua comprensione; perché studiare come è fatta una musica nient altro vuol dire, se non cercare di ricostruire il percorso seguito dal compositore quando la ha creata, cercare di ripartire dalle sue premesse, e seguire il corso dei suoi possibili pensieri (anche sapendo che quei pensieri non hanno avuto un corso unico, e che anche il compositore può averne avuti tanti e anche contrastanti tra loro). La competenza è quindi un requisito fondamentale per utilizzare un linguaggio: quanto più saprò di un linguaggio e della cultura cui esso si lega, tanto più sarò in grado di comunicare ad altri e comprendere ciò che altri comunicano. Mettiamoci nei panni di che debba fare una musica. Ovviamente, non tutto si dovrà inventare da capo; anzi, buona parte del prodotto finale è già disponibile in partenza, sotto forma delle premesse ineludibili del patrimonio culturale del musicista. Un musicista, come un uomo qualsiasi, fa parte di una cultura, e ciò comporta la condivisione dei valori di quella cultura e delle forme attraverso cui essi si esprimono, ovvero dei linguaggi. Non esiste una tabula rasa: il mito romantico della perfetta spontaneità non è niente più che un mito, appunto. Per chiunque è indispensabile una premessa culturale, senza la quale qualsiasi forma di espressione diventa semplicemente impossibile. Oppure ci si dovrà convincere che esista un poeta che non parla alcuna lingua. Un compositore quindi avrà dalla sua i valori della sua cultura (valori che potranno essere mutevoli, che potranno essere contrapposti gli uni agli altri, ma che restano lì a indirizzare la nostra vita quotidiana personale e sociale); e avrà dalla sua il linguaggio musicale, attraverso cui esprimere il proprio pensiero. Ciò che vale per il musicista di professione, vale anche per l uomo comune. Nel processo di acculturazione la condivisione del linguaggio è garantita per tutti coloro che appartengano a una cultura sostanzialmente omogenea: tutti apprendiamo di fatto un lessico e una grammatica, e ciò avviene nel linguaggio verbale come in quello musicale e in tutti i linguaggi dell uomo. Tutti sappiamo fischiettare sotto al doccia melodie mai sentite, dotate tuttavia di senso; così come tutti siamo in grado di parlare la lingua italiana anche senza aver mai saputo cosa sia un complemento oggetto o un sintagma nominale. Potenzialmente tutti siamo ingegneri: tutti sappiamo come fare per fissare un quadro al muro, e tutti nella fantasia sappiamo gettare un ponte tra Reggio Calabria e Messina: ma l ingegnere è quello che, oltre a saper fissare un quadro al muro, sa far diventare realtà il ponte tra la Calabria e la Sicilia. Tutti siamo musicisti, ma il musicista di professione si distingue perché possiede il segreto della tecnica, e sa spingere l uso del linguaggio musicale oltre il limite che è imposto a tutti quelli che la musica la conoscono normalmente, verso espressioni di livello estetico elevato. Nella prassi musicale dei nostri tempi le funzioni sono distinte e separate molto più di quanto non lo fossero in passato. Chi compone la musica, raramente la esegue; chi la esegue ancor più raramente la saprebbe comporre; chi la ascolta in genere non sa fare né la prima, né la seconda cosa. Questo non è bene, naturalmente, anche se è il risultato inevitabile di un processo di specializzazione sempre più accelerato che si è avviato nell era moderna all interno della nostra cultura occidentale. Ma non è comune a tutta l esperienza musicale; infatti nella musica commerciale (dove comunque i traguardi estetici sono spesso notevoli) non esiste questa separazione di ruoli: chi compone in genere esegue e viceversa; e anche a chi non ha una cultura musicale professionale non è difficile riuscire a cantare e suonare accompagnandosi con una chitarra o con un pianoforte. E uno dei tanti casi in cui converrebbe che si imparasse da ambienti ritenuti spesso a torto di livello culturale meno nobile. 6

7 Già, perché la separazione delle funzioni genera problemi vistosi e assolutamente dannosi per il godimento pieno della musica stessa. E il maggiore di questi problemi è nella sensazione di estraneità che l ascoltatore comune e ciò che è peggio molto spesso lo stesso esecutore hanno nei confronti di ciò che ascoltano o eseguono; nella sensazione fastidiosa che rimanga comunque impossibile accedere alla comprensione delle ragioni che hanno spinto il compositore a dar forma alla musica in un certo modo. Sicché si cade in alcuni fastidiosi errori, legati alla considerazione spropositata della facoltà intuitiva: il primo è di guardare alla partitura come a qualcosa di perfetto e inalterabile, che resta fedele al suo contenuto originario solo se viene lasciata inalterata rispetto alla forma nella quale è stata fermata dal compositore; guardare alla partitura, cioè, come fosse un frutto unico e miracoloso di quel particolare stato di grazia che va sotto il nome di ispirazione del genio; l Urtext, che detto e scritto in tedesco incute ancora più timore, non esiste se non come mito: basta mettere un dito sul pianoforte e una sonata di Mozart non è più Urtext 1. Il secondo, grave errore prosegue dal primo: così come la musica sarebbe frutto di un intuizione primigenia perfetta, altrettanto spetterebbe all intuito dell esecutore il compito di recuperare il senso originale della musica, onde poterlo rendere accessibile ai più. Sembra poco, ma è un errore di prospettiva pernicioso, non foss altro per la quantità di geni che girano nell ambiente della musica e che si sentono depositari del modo autentico di eseguire una certa musica o un certo autore o una parte ancora più grande del repertorio: e quanti veri conoscitori degli abbellimenti della musica barocca girano nei nostri ambienti? Sono sciocchezze che capita di pensare quando si perde di vista il funzionamento dei linguaggi in genere o si ha poca dimestichezza col linguaggio stesso della musica. Certo che l intuito è necessario e insostituibile; ma la conoscenza delle ragioni delle cose non nega l intuito, lo appoggia e lo rafforza, al contrario. La conoscenza della musica arricchisce la fantasia, e restituisce vita alla pagina, permettendo di esaltarne i lati i ombra e meno definiti. Così come il testo originale è necessario che sia conosciuto, ed è altrettanto necessario che sia integrato di tutti quei segni che lo rendano avvicinabile a tutti, anche quelli (ovviamente i più) che non hanno effettuato studi storici e musicologici approfonditi. Altra questione è se la sola conoscenza formale della musica possa consentire di arrivare a comprenderne il significato. Immaginiamo una situazione abbastanza estrema, di chi voglia cercare di capire il senso di una certa musica senza averne mai sentito il suono, senza neanche riuscire a immaginarlo. E una situazione estrema, ma niente affatto rara; si pensi a tanti studenti universitari con poca o nessuna conoscenza addirittura del solfeggio alle prese con qualche affascinante inedito del passato; o immaginiamo chi dovesse studiare la musica di qualche popolazione primitiva attraverso le trascrizioni della sua musica disponibile in un saggio etnomusicologico. Allora: saranno mai in grado costoro di comprendere il senso della musica che stanno studiando? No, semplicemente. Il senso della musica non si esaurisce nella forma che essa assume una volta trascritta su carta pentagrammata; anzi, ciò che la carta pentagrammata può darci è niente rispetto a ciò che è la musica davvero. Al più, per l etnomusicologo sarà possibile svolgere alcune considerazioni su degli aspetti generali del linguaggio musicale; ma sarebbe lecito dubitare anche sulla efficacia di tali considerazioni. Perché la musica è suono ed è, soprattutto, l uso che di essa si fa; solo reinserita nel flusso culturale cui appartiene la musica può assumere un significato. Facendo attenzione, naturalmente, a non intendere il flusso culturale originario in senso stretto, e cioè che per capire una musica barocca si debba per forza ascoltarla in una chiesa barocca, magari nella chiesa dove lavorava il compositore, con le orecchie dei suoi concittadini, e, sarebbe ancora meglio, proprio con quelle del compositore. Perché siamo d accordo che la comprensione di qualcosa sia tanto migliore per quanto di più ci si avvicini al contesto in cui questa cosa fu generata; ma, svolgendo nei termini estremi questa pretesa, sarebbe inutile proprio 1 Le edizioni dovrebbero sempre consentire di rintracciare il testo nella sua forma originaria; ma gli interventi interpretativi dei revisori sono necessari, a meno che non si abbia la cognizione di causa che consenta di intervenire sulla partitura personalmente; una cosa, infatti, è certa: non intervenire, o eseguire facendo solo quel che è scritto è assolutamente impossibile. 7

8 avvicinarsi alla Commedia di Dante (che ne so io del mondo di 700 anni fa?), così come sarebbe inutile avvicinarsi a Manzoni (che è più vicino, ma che viveva in tutt altro contesto); e, a pensarci bene, sarebbe inutile avvicinarsi anche solo a quel che è stato scritto ieri, perché oggi le cose sono cambiate. Per contesto culturale originario si dovrà pensare a qualcosa di più complesso, e cioè all uso di un patrimonio di conoscenze e di valori del presente e del passato che una società fa nel quotidiano. I linguaggi sono fatti per comunicare: al di fuori di questo non sono niente. Se una linea melodica su un pentagramma non è in grado di suggerirmi la benché minima ripercussione emotiva (perché non sono in grado di immaginare che suono abbia), quel che vedo non vale più di un mucchio, magari ordinato e carino, di pallette su carta rigata: buona per fare i pacchi. I linguaggi sono sistemi complessi, nei quali si custodisce la ricchezza incommensurabile di una cultura e dove si imprimono le tracce infinite di quanti quella cultura hanno condiviso o di quanti con quella cultura hanno interagito. L uso dell analisi musicale sarà tanto più proficuo, dunque, per quanto di più si conosca del linguaggio musicale, per quanto più si sia padroni dei suoi meccanismi, per quanto più si sia in grado di governarne l uso; per questo sarebbe bene che, come succedeva fino a poco tempo fa e come succede anche oggi nell ambiente della musica commerciale, si restituisca a tutti i musicisti la capacità di usare i meccanismi di base della composizione. Si apprezza di più il senso di una musica, quando le sue strutture e le sue forme, di là da essere semplici codici di tipo matematico o, peggio, contenitori vuoti, sono sentite e usate come il mezzo attraverso cui si dà vita al mondo dei valori, delle idee, delle conoscenze, delle emozioni e delle suggestioni che la determinano; quando si è in grado di sentire e comprendere come quella sua struttura, quella sua forma particolare rappresentino una scelta dell autore, significativa proprio perché quella rispetto a tante altre che avrebbe potuto scegliere per esprimersi. La grammatica, intesa in senso moderno, è il modello attraverso cui si descrive il funzionamento di un linguaggio nella sua interezza. Essa, quindi, ha il compito di dire come si formano le parole, come si formano le parti del discorso e come si forma il discorso intero. Con riferimento al linguaggio della musica occidentale, una grammatica musicale ci dice in breve quali siano le consonanze e quali le dissonanze, per esempio, o come siano fate le scale, o, anche, come si formano gli accordi, come si formano le frasi musicali e come queste frasi si connettono per formare un discorso musicale. La grammatica è una sintesi indispensabile, per esempio, per dire quando è corretto l uso del congiuntivo e quando no, così come è indispensabile, in musica, per fare un giro armonico che stia in piedi. Tuttavia, essendo una sintesi, la grammatica non avrà mai la possibilità di esaurire la complessità multiforme e mutevole della realtà. Lo studio della grammatica della nostra musica viene articolato in parti distinte, per facilitare lo sguardo sintetico ma non troppo generalizzante su di esse. La teoria della musica (quella che si apprende con lo studio del solfeggio) e l armonia si occupano degli aspetti essenziali del linguaggio, mentre lo studio delle forme musicali si rivolge all aspetto della formazione delle frasi e dei discorsi. Entrambi questi aspetti del linguaggio musicale (così come i linguaggi di ogni tempo e luogo) hanno una dimensione storica, variando incessantemente nel corso del tempo. Alcuni mutamenti, tuttavia, sono più rapidi e investono aspetti di superficie del linguaggio, altri sono assai lenti, e riguardano aspetti più profondi. Tra questi ultimi si può includere, per fare un esempio, la funzione della sensibile, tenuta a salire sulla nota finale nella risoluzione cadenzale; una funzione antichissima, le cui origini si perdono letteralmente nella notte dei tempi; i mutamenti più veloci si possono riscontrare nel trascorrere rapido delle mode e dei costumi: sicché, una canzone di Madonna di una ventina di anni fa suona per noi in modo radicalmente diverso rispetto a una canzone di oggi. La consuetudine a impiegare determinati modelli per certe funzioni (come la sensibile in cadenza) fa si che molto di quel si fa quando si crea un pezzo di musica, sia già fatto. Lo studio della teoria della musica e delle forme musicali tende quindi a individuare dei modelli, che riguardano gli 8

9 aspetti essenziali del linguaggio (come si forma una scala, per esempio) e quelli più complessi (come si forma una canzone, sempre per fare un esempio). È uno studio di sintesi, perché generalizza su oggetti, che tutti, più o meno, presentano varianti rispetto al modello ideale di riferimento. Ci si potrebbe contentare di elaborare dei modelli; lo studio delle strutture del linguaggio, dalle parti più semplici a quelle più complesse, è un obbiettivo in sé, che a sua volta potrebbe avere come obbiettivo quello di vedere come il pensiero degli uomini si strutturi ed esprima attraverso i linguaggi, e dunque anche attraverso la musica. Per altro, proprio uno studio di questo tipo è stato centrale nella ricerca filosofica del XX secolo. Ma elaborare modelli e strutture non può essere il fine ultimo di chi la musica la fa, componendola o eseguendola: in questo caso, lo studio delle strutture è il mezzo attraverso cui avvicinare l obbiettivo primario, che resta quello del senso della musica, del suo significato. Solo per fare un esempio: dire che la Dominante risolve sulla Tonica o dire che una certa forma è tripartita è importante, perché ci aiuta a individuare l articolazione di un certa musica, ma il senso di una musica non si esaurisce, ovviamente, nella Dominante che va a Tonica o nel fatto che è tripartita; se no, avremo una miriade di musiche tutte uguali e per questo fondamentalmente inutili. La musica, come ogni linguaggio, esprime i valori della cultura cui appartiene, esprime sensazioni, emozioni, idee, passioni; per condividere tutto ciò è necessario conoscere al meglio il linguaggio, la sua grammatica, il suo uso, la sua destinazione. La ricostruzione dello sfondo culturale e del contesto nei quali una musica è stata generata è fondamentale per la comprensione del suo significato; in caso contrario, è inevitabile prendere fischi per fiaschi e usare per il matrimonio la musica che fu composta per il funerale 2. O almeno, si può fare, così come sentendo una parola detta in una determinata lingua che non intendo, posso darle un significato mio e continuare a usare quella parola anche con altri con questo significato; fino a far entrare questa parola sbagliata nell uso comune e a renderla parte del linguaggio stesso; fino cioè a sentire giusta per un matrimonio la musica che fu composta per un funerale; deve essere successo più o meno così riguardo alla parola footing, che in inglese non significa affatto quel che noi tutti in Italia intendiamo. Si può fare, certo, ma magari può essere interessante sapere invece cosa volesse dire una cosa in origine: è un modo per recuperare il valore della cultura passata e arricchire quello della cultura presente. Per questo, mentre un compito dello studio della teoria della musica si rivolge alla sintesi, dall altra, è altrettanto importante il percorso inverso, che cerca di individuare i motivi specifici di una singola composizione, ciò che la fa unica nel complesso delle musiche circostanti. 2. Alcuni termini di uso comune 2.1. Stile La parola stile indica il modo di essere di una certa musica o il suo appartenere a una corrente. In questo senso generale, la parola stile può essere usata nelle forme più diverse, e tutte lecite. Per esempio, si può parlare di uno stile antico e di uno stile moderno, di uno stile pop o di uno classico, di uno stile barocco e così via. La parola stile si può usare per esempio per attribuire una musica a qualche periodo della nostra storia culturale; sicché si può dire che una musica è di stile barocco, o galante, o classicoromantico, ecc. Naturalmente, dire che una composizione sia di stile romantico non implica determinare il periodo effettivo in cui sia stata composta; anche oggi si può comporre in stile romantico. 2 Molta parte del significato di una musica sta nel contesto cui essa si lega: non c è da andare troppo lontano a cercare il senso, almeno in termini generali, di un kyrie cantato in chiesa durante la messa, così come non c è da andare lontano ascoltando una marcia suonata in corsa dai bersaglieri. Ma non tutti i casi sono così evidenti, né il contesto in cui una certa musica viene eseguita esaurisce il suo significato: altrimenti tutta la musica ascoltata in concerto avrebbe lo stesso senso, ed esisterebbe un unica marcia dei bersaglieri. Il contesto è un versante dell esperienza, sull altro versante c è il modo più o meno personale di interpretare quel contesto; quanto più si conosce dei due versanti, tanto meglio è. 9

10 Ma si può dire anche stile vocale o stile strumentale, per intendere un determinato modo di essere della musica o di una parte di essa. È chiaro che lo stile vocale sia una caratteristica prevalente della musica vocale, e che lo stile strumentale lo sia di quella strumentale; ma nulla impedisce che una musica destinata a un organico vocale abbia uno stile decisamente strumentale: come si dirà, per esempio, dei mottetti di Bach (per l estensione richiesta alle voci, per la velocità delle note, per la difficoltà di effettuare respirazioni fisiologiche adeguate e per altro ancora). Nello stesso modo, una musica strumentale può avere un chiaro stile vocale: ad esempio la parte di un adagio di una sonata a 3 di Corelli: La parola stile può essere impiegata anche per definire velocemente il modo di essere di una determinata musica; così si può parlare di uno stile pianistico o di uno stile violinistico; nello stesso modo si potrà parlare di uno stile jazz o dire che una canzone è scritta nello stile di Sanremo. In ogni caso si intenderà definire sinteticamente una musica, assegnandola a una tipologia conosciuta. La definizione di stile è generica e sintetica; non ha alcuna portata analitica e può anche essere in larga parte soggettiva. Non per questo è inutile; anzi, è necessaria, dal momento che la generalizzazione è normale in qualsiasi processo conoscitivo, e permette di ricondurre il nuovo a qualcosa che già si conosce. E frequente anche sentire parlare, a proposito delle cose dell arte e di quelle musicali, di stile classico. La definizione di stile classico è impossibile in termini assoluti. È classico lo stile di quella musica che, in un certo modo, rappresenta meglio di altre i canoni estetici di una determinata epoca; in questo senso sono classici Palestrina quanto Corelli, Mozart, Chopin e altri ancora. Uno stile classico, usando la parola con ulteriori implicazioni estetiche, può essere anche quello che si erge sugli altri per la capacità di dire e rappresentare valori profondi e duraturi dello spirito dell uomo (in questo senso sicuramente classico è lo stile ancora una volta di Palestrina). C è poi un modo diverso e più stretto con cui la parola stile viene impiegata quando si parla della musica; per esempio si dice stile omofonico, o stile polifonico. Su questa accezione diversa della parola stile si torna più avanti, quando si parlerà della scrittura musicale Genere Con la parola genere si intende assegnare una certa musica a un suo determinato uso, o al modo di essere eseguita. Così, per esempio, si parlerà di genere vocale o di genere strumentale, a seconda che la musica abbia una esecuzione vocale o strumentale; si parlerà di genere sinfonico o cameristico per dire che una certa musica è eseguita dall orchestra, oppure da un numero ridotto di strumenti in una sala da concerto; si dirà genere teatrale di quelle opere destinate alla rappresentazione teatrale; genere sacro spirituale e profano distinguono le musiche destinate alla celebrazione liturgica da quelle il cui argomento è religioso senza però essere composte per il servizio liturgico (per servizio liturgico, nel rito della chiesa cristiana, si intende la messa e l ufficio delle ore), mentre le musiche profane sono quelle che hanno tutti gli altri contenuti che non si riferiscono, o non si riferiscono direttamente, a contenuti religiosi. Il termine genere può combinarsi a quello stile per descrivere un certo modo di essere di una musica. Così si può avere una musica di genere strumentale la cui scrittura riecheggia lo stile vocale (si pensi a certi adagi delle sonate da camera di Corelli, per fare un esempio tra mille possibili), e, al contrario, sarà possibile avere una musica di genere vocale la cui scrittura si riferisce con chiarezza allo stile strumentale (la più parte delle composizioni per coro e orchestra o anche i mottetti di Bach, anche qui per fare solo un esempio). Nello stesso modo, si può parlare correttamente di una musica di genere sacro e di stile profano, o viceversa Struttura Quando si parla di struttura di una musica, ci si riferisce sinteticamente al suo aspetto formale generale. Quando si dice che una musica ha una forma A B - A ci si riferisce in realtà alla struttura, più che alla forma, che, come è detto dopo, è l insieme dei contenuti generali e particolari 10

11 che fanno di una composizione qualcosa di unico. La struttura, quindi, è una visione schematica e d insieme sulla costruzione di una musica. I termini che riguardano l analisi della musica non vengono impiegati con un confine lessicale netto, per cui spesso si sovrappongono o vengono impiegati l uno invece dell altro. Il più delle volte capita che al termine struttura venga preferito quello di forma; sicché in qualsiasi libro sulle forme musicali è normale leggere forma musicale, o forma bipartita e ancora forma A-B A. Tale uso della parla forma è corretto, dal momento che è stato da sempre usato e fa parte della tradizione degli studi musicologici anche con il significato che ora si è accennato. Ciò non toglie che in senso stretto, quando ci si riferisce ad argomenti o definizioni come quelle ora date, è anche corretto impiegare la parola struttura Scrittura Il termine struttura si impiega anche per indicare in senso tecnico l aspetto dello stile di una musica; così è normale leggere struttura imitativa o struttura fugata ; al posto del termine struttura, in questo senso, si può trovare usato il termine scrittura ( scrittura polifonica ecc.). Quando si parla della scrittura musicale, non ci si riferisce in genere all aspetto generale della struttura di una musica, ma alla tecnica compositiva usata; così è senz altro più corretto parlare di una scrittura polifonica o di una scrittura omofonica, piuttosto che di una struttura omofonica o polifonica. Si tratta di sottigliezze, e spesso le definizioni possono essere usate una in luogo di un altra, senza che nessuno se ne debba avere a male, dal momento che i termini non hanno mai un confine lessicale determinato. Ma distinguere tra questi stessi termini aiuta a distinguere tra i vari aspetti della pratica della composizione Forma Benché il termine forma sia spesso usato riduttivamente al posto del termine struttura, esso indica in modo determinato il complesso dei fattori che fanno essere una musica proprio in quel modo e non in un altro. La forma di una certa musica coincide con quella musica stessa; per questo, la forma comprende la collocazione storica, le condizioni estetiche, il linguaggio, lo stile, il genere, la struttura e la scrittura, il sistema complesso all infinito dei riferimenti in cui è stata concepita una composizione; fare l analisi musicale di una certa composizione, conseguentemente, vuol dire ricostruire la trama complicata di tutto ciò che fa essere una musica proprio quella e nessun altra. È necessario ribadire quanto già detto. Per quanto si possa scendere nel particolare di come una musica sia stata concepita, per quanto si possa studiare il sistema complesso dei riferimenti che un certo compositore potesse avere nel momento in cui era impegnato nella scrittura di una certa musica, per quanto ci si possa sforzare di rendere con obbiettività la costruzione di quella stessa musica in termini di struttura e di scrittura, non sarà mai possibile arrivare a determinare la forma autentica e vera di una musica. L analisi non ha come fine quello di raggiungere il mito dell assoluto, semplicemente perché autentica e vera e originaria una musica non è mai, nemmeno nella testa del compositore quando la scrive (dal momento che la composizione comunque avviene in un certo lasso di tempo e non sarà mai possibile, nemmeno con le macchine più sofisticate, ricostruire l intreccio complicato dei pensieri e dei processi mentali del compositore in quel lasso di tempo; figuriamoci poi se il lasso di tempo è di anni, come nel caso di alcune opere o sinfonie o anche cose molto più semplici). Per questo, inevitabilmente l analisi avrà sempre una componente soggettiva, e non ci sarà niente di male se una stessa musica sarà descritta in termini anche molto diversi tra loro. Ciò non vuol dire, ovviamente, che qualsiasi analisi è corretta. I dati obbiettivi non possono essere disconosciuti, sia quelli storici che quelli riguardanti la struttura della musica. Non si può dire che una musica sia in Do maggiore se è in Re, così come non è possibile scambiare uno stile fugato con uno di corale, e non è possibile dire che una musica di Corelli sia stata composta nel

12 Alcuni consigli preliminari 1. L uso delle lettere nella analisi della musica Nell analisi musicale è d uso impiegare le lettere dell alfabeto per aiutarsi nella definizione sintetica della struttura. È una consuetudine: non c è alcuna regola che indichi in senso categorico come si debbano usare queste lettere, l importante è che si usino con chiarezza. Ecco come le lettere possono essere usate per schematizzare la disposizione delle parti del discorso: W.A.Mozart, Andante grazioso, dalla Sonata in La maggiore K.V.331 (parte) Le lettere dell alfabeto greco sono state usate per segnare gli incisi (vedi oltre nel secondo capitolo: L articolazione regolare del periodo nella musica a ritmo regolare ); le lettere minuscole dell alfabeto latino segnano le semifrasi, quelle maiuscole le frasi. Come si vede, la musica è ottenuta giocando con pochissimi elementi di base, appena tre incisi (α, β, γ), che Mozart amministra in vario modo per ottenere tre diverse semifrasi (a, b, c); le semifrasi danno luogo a due tipi di frase (A, B). Fino al primo ritornello abbiamo quindi un periodo di 8 battute ottenuto con l addizione di due frasi A; nella seconda parte, fino al secondo ritornello, abbiamo un secondo periodo, questa volta formato dalla frase B cui segue la ripresa della frase A¹, costituita di tre semifrasi anziché di due. Servendoci dell esempio ora mostrato si possono dare alcuni riferimenti essenziali per l uso pratico delle lettere nell analisi della struttura della musica: 12

13 a. le lettere di un certo tipo (per esempio quelle dell alfabeto greco) devono servire per segnare parti coerenti della musica (in questo caso le lettere greche segnano gli incisi; sarebbe stato errato usare le lettere greche una volta per segnare gli incisi, un altra per segnare le frasi); b. vengono segnate con la stessa lettera parti uguali o ragionevolmente simili della musica; da questo punto di vista fa testo il ritmo melodico (ritmo della parte tematica); così, guardando l esempio, l inciso della seconda battuta è ancora segnato con α, perché il ritmo della parte melodica è identico a quello dell inciso della prima battuta; non si tiene conto della variazione di altezza. c. Si segnano con numeri in apice (per esempio come in A¹, sempre nell esempio sopra) parti che sono abbastanza simili, ma che contengono delle differenze rispetto al modello originario (si guardi sopra la differenza ritmica tra β e β¹). d. Per convenzione, fatta salva la libertà di fare altrimenti in casi particolari, con le lettere maiuscole si indica la struttura complessiva di una musica; così, per fare un esempio, la formasonata si sintetizza nella formula A B A¹, dove A sta per l esposizione, B per lo sviluppo e A¹ per la ripresa. Quanto detto a proposito della musica di Mozart appena vista, può essere applicato senza difficoltà anche all analisi di musica di tipo affatto diverso. Qui sotto, le lettere dell alfabeto latino (a, b, c) segnano i tre soggetti delle sinfonia a tre voci in Fa minore di Bach, mentre le lettere dell alfabeto greco (α, β, γ) segnano le tre cellule di cui si costituisce il soggetto a.; naturalmente si sarebbe potuto proseguire usando altre lettere dell alfabeto greco per segnare le cellule costitutive anche degli altri due soggetti: J.S.Bach, Sinfonia in Fa minore (parte) Sarà bene notare che l uso delle lettere nell analisi di una musica è del tutto soggettivo; con lettere diverse si può decidere di segnalare due soggetti diversi; ma si può anche decidere di usare lettere diverse per segnare lo stesso soggetto che si ripresenta su diversi gradi della scala. Si possono usare accanto alle lettere simboli di altro tipo, per segnare funzioni particolari che secondo noi sono rilevanti al fine di chiarire taluni aspetti della struttura di una musica (per esempio con m T o m D si può segnalare uno stesso motivo m che viene ripreso sulla Tonica e sulla Dominante). Insomma, l uso delle lettere dell alfabeto o di altri simboli è strumentale. Si ha un idea della musica e si cerca di sintetizzarla o renderla visibile tramite l analisi: la schematizzazione della struttura attraverso l uso delle lettere fa parte di questo percorso interpretativo. Va da sé che, proprio per questo, non è affatto necessario segnare tutto: si può decidere di mettere a confronto solo le frasi di una certa musica, o solo gli incisi, o solamente porzioni più ampie. Non che si debba tralasciare il resto, ma magari, ai fini di quel che ci interessa di mettere in rilievo, è utile solo parlare di un livello della struttura (l inciso, per esempio, o le frasi, o le sezioni di una canzone, un soggetto, ecc.) e non di altro. 13

14 2. Come riconoscere accordi e tonalità Vale la pena di ricordare, molto rapidamente, che si può parlare pienamente di accordi e tonalità solo per la musica posteriore al XVII secolo; infatti, nella evoluzione della modalità, il sistema tonale si impose lentamente e gradualmente tra la fine del XVI secolo e l intero secolo successivo. Per una prima teorizzazione della formazione degli accordi, simile a quelle che noi oggi conosciamo (ovvero dell accordo che si forma per sovrapposizione di intervalli di terza con la conseguente individuazione dei rivolti), si dovrà attendere il quarto decennio del XVIII secolo; prima di allora, nella teoria le armonie si formano sovrapponendo intervalli consonanti e/o dissonanti rispetto a un suono grave. Per capirci: quello segnato con la freccia nell esempio che segue, per noi è un accordo di Do minore, costruito sul II grado della scala di Si bemolle maggiore e allo stato di primo rivolto (quindi al basso si trova il IV grado della stessa scala): Per Giovanni Pierluigi da Palestrina, la stesso accordo è una armonia di terza e sesta formata su Mi bemolle, IV grado della scala di Sol 3 : G.Pierluigi da Palestrina, Osculetur me, mottetto (parte) Nella grammatica tonale, l armonia svolge una funzione fondamentale: è su di essa che si incardina la struttura e la forma di una musica. Per questo è fondamentale saper individuare tonalità e accordi all interno di ogni musica: perché, per chi non lo sapesse fare, il rischio è quello di perdere i nessi fondamentali della forma; di perdere il come e il perché di un certo percorso formale e dinamico. Insomma, di capire poco e approssimativamente Per definire un accordo si deve: 1. riconoscere e dire il nome delle note di cui si costituisce, cominciando dalla fondamentale e sovrapponendo gli altri suoni per intervalli di terza; 2. classificare l accordo come triade (maggiore/minore/diminuita/aumentata) o settima (di prima-quinta specie); 3. dire il grado della scala su cui l accordo si trova costruito (per fare questo si deve sapere in quale tonalità è inserito l accordo che si sta individuando); 4. indicare la funzione dell accordo; le funzioni dell armonia tonale sono tre, quella di Tonica, di Dominante e di Sottodominante (T, D, S, sono sigle internazionalmente conosciute e impiegate per indicare, in campo musicologico, appunto le funzioni degli accordi di una 3 La musica è composta in un primo modo trasportato, ovvero nel modo dorico. 14

15 musica tonale). Ecco come si assegnano le funzioni agli accordi costruiti sui vari gradi della scala: I grado: Tonica V e VII grado, Dominante VI, IV e II grado, Sottodominante (alcuni mettono tra gli accordi con funzione di sottodominante anche il III grado, che tuttavia, nell armonia classica, non viene normalmente impiegato). N.B. Gli accodi indicati qui sopra accanto alle loro funzioni sono considerati allo stato fondamentale; sicché, per esempio, VII grado indica in Do maggiore l accordo costruito allo stato fondamentale sul Si (Si / Re / Fa, o Si / Re / Fa / La). Si deve considerare che gli accordi assolvono una determinata funzione nella tonalità (ovvero, si dispongono in un certo ordine gli uni rispetto agli altri) proprio a seconda del grado della scala su cui poggia la loro fondamentale. La funzione di un accordo non cambia se esso viene costruito come triade o come accordo dissonante; neppure la funzione cambia se sono impiegati suoni alterati cromaticamente. In alcuni casi riconoscere un accordo in una certa musica non è difficile, perché è scritto con chiarezza, in un contesto tonale non ambiguo; vediamo un esempio: R.Schumann, Un Corale, dall Album per la gioventù (parte) secondo quanto detto sopra, l accordo segnato deve essere individuato così: 1. nome delle note: La / Do / Mi / Sol; 2. settima di seconda specie; 3. costruita sul II grado della scala di Sol maggiore; 4. Sottodominante Il più delle volte, tuttavia, sorgono problemi nella individuazione degli accordi, problemi derivati dalla ambiguità del contesto tonale (potrebbe essere difficile determinare con sicurezza la tonalità in cui ci si trova in un certo momento di una musica) o dallo stesso modo in cui sono scritti gli accordi. Nel caso che segue, tratto dallo stesso Corale di Schumann, pur in un contesto armonicamente semplice e chiaramente visibile, potrebbe crearsi qualche imbarazzo nel determinare la tonalità cui riferire l accordo che ho segnato; Ibidem, A quale tonalità appartiene l accordo segnato nel cerchio: alla tonalità di impianto Sol maggiore o a quella verso cui si sta proiettando la cadenza alla fine della frase sul punto coronato in Re maggiore? Attribuendo un valore strutturante alla modulazione verso la Dominante, confermata 15

16 dalla cadenza finale alla fine della frase, sul punto coronato, conviene considerare l accordo segnato appunto nella tonalità di Re maggiore Sempre secondo quanto detto, l accordo segnato nel cerchio si definisce in questo modo: 1. nome delle note: La / Do diesis / Mi / Sol; 2. settima di prima specie; 3. costruita sul V grado della scala di Re maggiore; 4. Dominante Dall esempio appena fatto emerge con chiarezza che, per identificare correttamente un accordo o un certo passaggio armonico, sono necessarie due cose: la prima, di identificare l accordo in sé, indipendentemente dalla tonalità in cui è inserito; la seconda, di identificare la tonalità, onde poter individuare la funzione che quell accordo svolge all interno di essa. Vediamo qui di seguito, in breve, entrambi le cose Identificazione dell accordo indipendentemente dal contesto tonale. Identificare l accordo in sé, indipendentemente dal contesto tonale significa: a. dire il nome delle note di cui l accordo si costituisce, iniziando dalla fondamentale e sovrapponendo gli altri suoni per intervalli di terza; b. classificare l accordo come triade (maggiore/minore/diminuita/aumentata), o come settima (di prima quinta specie) Accordi scritti in verticale o sciolti in arpeggio Molto spesso le sovrapposizioni di note sono immediatamente riconducibili ad accordi; un esempio evidente è quello proposto proprio all inizio di questo capitolo, il Corale di Schumann. Anche se non proprio con la stessa evidenza, molte volte gli accordi sono scritti per intero e la loro classificazione non presenta alcun problema: L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Largo appassionato (parte) Anche nel caso che segue la scrittura è esplicitamente armonica, benché gli accordi siano scritti non in verticale, ma sciolti in arpeggio: R.Schumann, Piccolo studio, dall Album per la gioventù (parte) Nella prima battuta c è una triade di Sol maggiore, nella seconda una triade di Do maggiore. Riconoscerle è facile: basta sovrapporre i suoni; quelli della prima battuta danno appunto la triade di Sol maggiore, quelli della seconda battuta danno la triade di Do maggiore. Un altra scrittura che manifesta immediatamente la forma degli accordi è quella del cosiddetto basso albertino: 16

17 F.J.Haydn, Sonata in mi minore, Finale, Molto vivace (parte) Si vede con chiarezza che l accordo della prima battuta è quello di Mi minore, così come quello della seconda battuta, la settima di prima specie costruita sulla nota Si. Ancora una volta basta sovrapporre i suoni disposti in orizzontale, immaginare che si trovino invece disposti uno sull altro, e l identificazione dell accordo è immediata. Anche nell esempio qui sotto le armonie, una per battuta, si leggono immediatamente: basta sovrapporre sulla nota del basso l accordo che lo segue sempre alla mano sinistra, e l accordo è disponibile (nella seconda battuta la terza dell accodo di settima sul fa diesis, il La diesis, si trova nella mano destra): F.Chpin, Valzer op. 69, n. 2 (parte) Accordi deducibili da figure contenenti note estranee Spesso la scrittura non è armonicamente così chiara e trasparente; il più delle volte intervengono note estranee all accordo (note di fioritura, ritardi, appoggiature, pedali) che ne complicano la identificazione. Riguardo a ciò, si deve ricordare che le note estranee possono essere: a. note estranee all accordo che non cadono sul tempo possono essere: 1. note di passaggio o volta: raggiunte e lasciate per grado congiunto; 2. note sfuggite o con elisione: raggiunte per grado congiunto e lasciate per salto o viceversa; b. note estranee all accordo che cadono sul tempo (o sulla suddivisione maggiore) possono essere: 1. ritardi: note legate all unisono dall accordo precedente e risolte per grado congiunto discendente 2. appoggiature; note raggiunte per salto e risolte per grado congiunto Discendente / ascendente. c. pedale Da quanto appena esposto, si capisce che le note che fanno parte dell accordo (note reali) possono essere raggiunte e lasciate tranquillamente per salto superiore alla seconda; sicché, se vediamo una nota raggiunta e lasciata per salto, siamo quasi sicuri che quella nota fa parte dell accordo. 17

18 Per riconoscere un accordo si deve partire dal basso, ovvero, dalla nota più grave e si devono sovrapporre su di esso quelle note che possono formare un accordo con esso, note disposte in verticale, ma anche in orizzontale, escludendo quelle che non possono far parte dell accordo perché non sovrapponibili per terze; mi rendo conto che è un indicazione un po generica, ma non si può dire nulla di più preciso: stiamo infatti invadendo il campo dell invenzione melodica, e in tale campo davvero non si pone un limite alla fantasia creatrice. Anche le indicazioni di uso delle note di fioritura, che sono state riportate sopra, sono interpretate dai compositori spesso con larghezza. Tuttavia, si deve sempre ricordare che l armonia e le sue funzioni svolgono un ruolo fondamentale nella nostra musica e che da ciò consegue l interesse primario, proprio da parte del compositore, di rendere chiara la costruzione degli accordi e il percorso delle armonie; se difficoltà possono esserci, saranno presto superate con un po di esperienza e con l aiuto dell orecchio. Tra tutte le note di fioritura, forse le più facilmente riconoscibili sono le appoggiature. Sono note estranee la loro risoluzione è quasi sempre per grado congiunto discendente (appoggiatura superiore), o ascendente (appoggiatura inferiore); in ogni caso sono note che cadono sul tempo, o, al limite, sulla principale suddivisione; nell esempio che segue il fa sull ultimo tempo della battuta è una appoggiatura della quinta dell accordo di La minore; si noti il segno di legatura, tipico, tra il Fa stesso e il Mi, nota di risoluzione della appoggiatura: L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Rondò, Grazioso (parte) sul battere della seconda battuta dell esempio qui sotto il La appoggia la terza dell accordo di Mi maggiore, Sol diesis; ancora una volta il segno di legatura tra le due note rende esplicita la funzione di appoggiatura della prima delle due note: R.Schumann, Album per la gioventù, Sheherazade, (parte) Del tutto frequente è l appoggiatura dell accodo finale di una musica, che realizza il tempo piano conclusivo: Le appoggiature si riconoscono facilmente: sono note estranee che cadono sul tempo o comunque sulla maggiore suddivisione; risolvono per grado congiunto discendente (appoggiature superiori) o per grado congiunto ascendente (appoggiatura inferiore). Può capitare, così, di incontrare sovrapposizioni di note che non siano riconducibili ad alcuna forma di accordo, semplicemente perché le note non si sovrappongono per terze. Da questo punto di vista è bene chiarire un equivoco nel quale alcuni trattati scolastici di armonia possono far cadere con una certa facilità. Nella nostra grammatica musicale, almeno fino alla fine del XIX secolo è assolutamente improprio 18

19 parlare di accordi di undicesima e tredicesima; gli stessi accordi di nona sono estranei alla musica fino all inizio di quello stesso secolo. Per questo, eventuali sovrapposizioni di note che non siano riconducibili nella forma ad accordi di settima o al più di nona (sempre facendo attenzione al periodo in cui la musica è stata scritta) si deve considerare che sono state ottenute usando una o più note estranee. Ecco un esempio efficace: R.Schumann, Album per la gioventù, Tempo allegro L accordo, come si vede, è quello di settima di prima specie costruito sul Si; il Mi diesis e il Do doppio diesis in battere sono rispettivamente appoggiatura del Fa diesis e del Re diesis. Le note di passaggio, volta e sfuggite non cadono sul tempo, hanno quindi una funzione esclusivamente melodica; si riconoscono perché sono comunque almeno raggiunte o lasciate per grado congiunto: Le note segnate con la x sono note di passaggio, mentre con la y è segnata l appoggiatura; si vede bene quindi la differenza tra i due tipi di nota di fioritura: le note di passaggio sono sulla suddivisione, raggiunte e lasciate per grado congiunto, l appoggiatura cade sul tempo, ed è perciò molto più in rilievo sul piano armonico; in altre parole, si sente che è un suono estraneo, mentre le note di passaggio scivolano senza risaltare come dissonanze. Si notino infine le note raggiunte per salto: sono, così come avviene di solito, note di arpeggio, ovvero note che fanno parte dell accordo. A volte anche al basso possono essere usate note di fioritura; saranno le note superiori a chiarire la natura dell accordo: L.van Beethoven, Sonata op. 10, n. 3, Largo e mesto (parte) Nella seconda battuta dell esempio qui sopra il basso si muove on una nota di volta prima, poi con una nota sfuggita intorno al Si bemolle, fondamentale dell accordo; che si tratti proprio dell accordo di Si bemolle maggiore lo dice inequivocabilmente l arpeggio della mano destra. Il pedale è una nota persistente, che viene tenuta o ripetuta su una stessa altezza; si parla di pedale inferiore quando tale nota è tenuta nella parte grave, di pedale superiore quando essa è 19

20 tenuta nella parte acuta e di pedale mediano quando si trova in una parte intermedia. Mentre la nota pedale viene tenuta, le armonie si svolgono su di essa in modo regolare, rispettando le funzioni normali dell armonia tonale; la nota pedale può far parte degli accordi che si seguono, ma può anche non farne parte; per regola, deve essere contenuta nel primo e nell ultimo accordo di quelli che si trovano costruiti su di essa. Vediamo un esempio eloquente e semplice, sempre tratto dal Piccolo studio di Schumann: R.Schumann, Piccolo studio, dall Album per la gioventù (parte) L accordo segnato con la freccia è un accodo di Fa diesis / La / Do / Mi, settima di sensibile della tonalità di Sol maggiore; il Sol che si trova all inizio della battuta è estraneo quindi all accodo e si tratta appunto di un pedale inferiore. Che si tratti di una nota estranea è evidente: L unico modo per poterla considerare come parte dell accodo, sarebbe quello di immaginare un accordo di nona Fa diesis / La / Do / Mi / Sol; ma un accordo di nona costruito sulla sensibile anzitutto è estraneo del tutto allo stile della musica dell Ottocento; in ogni caso, poi, La nona dell accordo, in un accordo di nona, deve sempre trovarsi sopra la fondamentale Come riconoscere gli accordi in una scrittura con un limitato numero di voci Gli accordi, come noto, sono costituiti dalla sovrapposizione di almeno tre suoni disposti a intervalli di terza; si dice nei manuali di teoria che la sovrapposizione di due suoni non produce un accordo, ma un bicordo. Non è del tutto vero; nel senso che in una scrittura a due voci, o addirittura a una sola voce, è il contesto tonale (vedi sotto) che consente di integrare facilmente le note che mancano per formare un accordo: in un contesto tonale le note mancanti sono implicite. Non sono necessarie regole, basta il buon senso a determinare le seguenti indicazioni: a. un intervallo di terza determina un accordo di triade allo stato fondamentale; b. un intervallo di quinta determina un accordo di triade allo stato fondamentale; c. un intervallo di sesta determina un accordo di triade allo stato di primo rivolto; d. un intervallo di settima determina un accordo di settima allo stato fondamentale, o un ritardo della fondamentale in un accordo di triade allo stato di primo rivolto; e. un intervallo di seconda determina un accordo di settima allo stato di terzo rivolto (settima al basso), o un ritardo della fondamentale in una triade. Nell esempio qui sotto, basta un contrappunto a due voci, una nota alla mano sinistra e lo scorrere della linea melodia alla destra, per chiarire quali siano gli accodi impiegati e la successione degli accordi stessi: R.Schumann, ibidem (parte) 20

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