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2 la Capitanata Rivista semestrale della Biblioteca Provinciale di Foggia Direttore: Franco Mercurio Segretaria di redazione: Doriana Scaramuzzi Redazione e amministrazione: «la Capitanata», viale Michelangelo 1, Foggia tel ; fax ; capitanata@bibliotecaprovinciale.foggia.it «la Capitanata» è distribuita direttamente dalla Biblioteca Provinciale di Foggia. Per informazioni e per iscriversi alla lista delle persone e degli enti interessati rivolgersi a «la Capitanata», viale Michelangelo, Foggia, tel ; fax ; capitanata@bibliotecaprovinciale.foggia.it La Magna Capitana BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA è un servizio della Provincia di Foggia Direttore: Franco Mercurio, direttore@bibliotecaprovinciale.foggia.it Authority catalografica e Reference: Gabriella Berardi, berardi@bibliotecaprovinciale.foggia.it Authority editoriale: Elena Infantini, infantini@bibliotecaprovinciale.foggia.it Authority logistica: Paolo Digianvittorio, digianvittorio@bibliotecaprovinciale.foggia.it Consultazione, Emeroteca e ildock: Enrica Fatigato, fatigato@bibliotecaprovinciale.foggia.it Divulgazione e Narrativa: Annalisa Scillitani, Fondi antichi e speciali: Gabriella Berardi, berardi@bibliotecaprovinciale.foggia.it Immagini e suoni: Franco Corbo, corbo@bibliotecaprovinciale.foggia.it Biblioteca dei Ragazzi: Milena Tancredi, tancredi@bibliotecaprovinciale.foggia.it Erba curvata dal vento ( grano, canneti della costa o delle zone paludose ) e il terso cielo stellato sono elementi simbolicamente connotativi del nostro territorio. La dicitura A.D. 2000, insieme alla scritta ex-libris mutuata da Michele Vocino, rappresentano la volontà di tenere sempre presente il collegamento tra passato, presente e futuro senza soluzione di continuità. Questo ex-libris che d ora in poi caratterizzerà i documenti posseduti dalla Biblioteca Provinciale, è stato per noi elaborato da Red Hot - laboratorio di idee e comunicazione d impresa e da loro gentilmente donato. Red Hot: Gianluca Fiano, Saverio Mazzone, Andrea Pacilli e Lorenzo Trigiani. Manfredonia, a.d

3 la CAPITANATA RASSEGNA DI VITA E DI STUDI DELLA PROVINCIA DI FOGGIA 29 Ottobre 2013

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5 Indice Saggi p. 11 Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello di Giuseppe De Matteis 19 I riti della Settimana Santa in Capitanata di Massimiliano Monaco 31 Raffaele Pio Petrilli giurista, costituente e uomo di governo di Michele Galante 51 Maria Brandon-Albini. Una lombarda scopre il Mezzogiorno di Michele Ferri 59 L omicidio di Strada Mercantile Un atroce delitto nell alta società ottocentesca della Capitanata di Riccardo Galli 79 Del terraggio lucerino di Dionisio Morlacco 91 Τestimonianze monastiche pre-benedettine e benedettine nei territori delle antiche diocesi di Lucera e Troia. di Gaetano Schiraldi 101 Su Bartolomeo, vescovo di Lucera: alcune riflessioni per una ricostruzione storica di Antonio Antonetti 109 L ombelico del mondo: Foggia e l imperatore Federico II di Svevia di Felice Clima 5

6 p. 117 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore di Nicola Contegreco 149 Note sulla proiezione intertestuale dall Edipo a Colono di Sofocle alla Serata a Colono di Elsa Morante di Silvia Paglia 165 Tra arte e poesia: rassegna dei libri d artista italiani del Novecento di Luigi Paglia Attività della biblioteca 215 Il foggiano volante, eroe di Indianapolis, trova casa anche nella Biblioteca La Magna Capitana Un Centro Studi multimediale per onorare degnamente il campione Ralph De Palma di Maurizio De Tullio In memoria dei nostri 221 Giuseppe De Matteis: il docente universitario, lo studioso e l uomo semplice, sincero ed affabile di Grazia Stella Elia 227 Giuseppe De Matteis: ritratto di un intellettuale meridionale di Luigi Paglia 231 Giuseppe De Matteis: la «Lunga Fedeltà» alla letteratura italiana e alla cultura pugliese di Michele Urrasio 243 Ricordo di Giuseppe De Matteis di Leo Marchetti 6

7 Recensioni p. 249 Michele Cristoforo Strizzi. Uno sconosciuto autore italo americano di Giuseppe Trincucci 255 Giorgio Bocca. Spider bianca per statale pugliese di Giuseppe Trincucci 263 L indagine storico-letteraria nelle opere di Francesco Giuliani di Leonardo P. Aucello 271 Il mondo poetico ed esistenziale nelle raccolte di Michele Urrasio di Leonardo P. Aucello Gli autori 7

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11 Giuseppe De Matteis Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello di Giuseppe De Matteis Si sa che il verismo rappresentò una presa di coscienza notevole della nuova situazione culturale, politica, economica e sociale postunitaria. Anche il D Annunzio volle, per la parte che gli riguardava, realizzare sul piano della prosa la rivoluzione che aveva realizzato verso la poesia classica con Primo vere (1879) e con Canto nuovo (1886), ispirandosi al Carducci, ma molte volte superandolo e raggiungendo una sua autonomia espressiva. D Annunzio non abbracciò la poetica veristica in senso assoluto, ma vi aderì per due specifiche ragioni: perché gli permetteva di scandagliare gli istinti primitivi ed animaleschi della condotta umana e perché gli offriva anche l oggettività dei fatti, di ricostruire cioè scientificamente il processo degli avvenimenti e quindi uno studio, un analisi oggettiva della realtà psicologica umana. C è un istintività animalesca che guida la condotta dei personaggi dannunziani, studiati attraverso l uso frequente della similitudine, tecnica che corrisponde ad un continuo digradare dallo stadio umano a quello naturale o bestiale dell uomo: l uomo diventa quasi una cosa. Alcuni anni fa Carlo Bo ha insistito sul concetto che fin dagli esordi la preoccupazione del D Annunzio non fu, come per il Verga, la ricerca del vero, ma la ricerca del bello attraverso l appropriazione polifonia e policroma dell oggetto, vale a dire che tra i due autori v è quasi una differenza costituzionale. Mentre dai componimenti del Verga, che il giovane abruzzese prese a modello, traspare la simpatia dello scrittore per gli umili, dolenti personaggi inscenati, nel D Annunzio verista e naturalista si respira, a parere sempre di Carlo Bo, un distacco umano. Insomma per il D Annunzio il verismo e il naturalismo non furono più di un pretesto, di un esperimento per le sue prime gare di scrittura: Prova ne sia la disinvoltura del suo successivo trapasso dal verismo al decadentismo, dai quartieri bassi ai quartieri alti, da una scuola impregnata di umori solidali, se non dichiaratamente sociali, con i ceti più sfortunati, alla dilettazione estetizzante egocentrica e senza esclusione di colpi 1. 1 A. To d i s c o, «Corriere della Sera», 27 settembre

12 Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello Questa tesi, che è comune oggi un po a tutti i critici verghiani, trova contrario Ettore Paratore, il noto latinista, il quale sostiene che il verismo e il naturalismo non sono per il Pescarese una semplice occasione, un esperimento una tantum, bensì un motivo sotterraneo, permanente della sua opera e che emerge sempre nei momenti più travagliati della sua ricerca: nella processione del Trionfo della Morte, nel Giovanni Episcopo, nella Figlia di Jorio, solo per fare qualche esempio, o ancora nella prosa di guerra. In definitiva, il primitivo verismo e naturalismo approderebbe, secondo il Paratore, ad una sincera pietas 2. La prima testimonianza dell impegno del D Annunzio per la novella è data dai bozzetti di Terra vergine (1883), di ispirazione verista, sostanziati tuttavia alla base da un guardare attento, pur nel desiderio di innovare, alla tradizione novellistica del Cinquecento. Il ricordo della scuola e della lezione verista, del magistero verghiano soprattutto, è presente nella successiva raccolta di novelle Il libro delle vergini: si veda in particolare la novella Favola sentimentale che ricorda Tigre reale del Verga, pur essendo già presente un sensibile allontanamento dallo scrittore siciliano. Ma un più concreto, definitivo quasi, distacco dal mondo verghiano si avrà nel D Annunzio con la raccolta San Pantaleone (1886), opera di piena autonomia stilistica ed artistica. Il faticoso esercizio di lingua, di stile, e di ambientazione fa finalmente approdare lo scrittore alla raccolta Novelle della Pescara (1902), una scelta oculata delle sue migliori novelle, diciotto in tutto, operazione compiuta dallo stesso D Annunzio. Il corpus dei racconti viene rivisto e corretto in forma definitiva e comprende le novelle di San Pantaleone, con l aggiunta della lunga novella La vergine Orsola, tratta dalla raccolta Il libro delle Vergini. Ad una prima lettura delle Novelle si possono cogliere ascendenze e suggestioni derivati dalla nostra migliore tradizione letteraria, Boccaccio in primo luogo, ma anche da grandi autori della letteratura francese, come Flaubert e Maupassant. Nei racconti, infatti, intitolati Il cerusico di mare, Il Traghettatore e La vergine Anna non sono pochi i punti in cui si potrebbe suggerire una comparazione o un confronto o un raffronto con gli scrittori sopra elencati. Ma il D Annunzio soprattutto vicinissimo, nelle Novelle della Pescara, ad Émile Zola. Si legga, ad esempio, La Vergine Orsola, prima convalescente, poi finalmente guarita: il processo di guarigione di questa donna ammalata di tifo è seguito dal D Annunzio scrupolosamente, così come avrebbe fatto Zola, come una diagnosi medica, come una precisa dissezione anatomica. La stessa tecnica narrativa si può cogliere in Veglia funebre, dove viene descritto con somma cura il disfacimento di un cadavere e nella Contessa di Amalfi, dove si assiste allo spettacolo orrendo di un delirio erotico senile. 2 Cfr. E. Pa r at o r e, Studi dannunziani, Napoli, Morano,

13 Giuseppe De Matteis Ma il senso dell orrido, del macabro, osservato con le lenti crudeli ed impietose del realista, è presente anche nel racconto Madia o nel Martirio di Gialluca, il marinaio curato male e straziato in mille modi dal bisturi degli amici improvvisati medici per necessità, che però gli procurano la morte e ne gettano il corpo in mare, in pasto ai pesci. Così, infine, nella Morte del duca d Ofena, dove si assiste all assalto del palazzo signorile da parte della folla inferocita, che spazza via gli abitatori del castello, seviziati come topi presi in trappola. Caratteristica di questa visualizzazione della realtà è che il D Annunzio non riesce, né vuole commuoversi di fronte a questi spettacoli: li osserva e li descrive minutamente, plasticamente, assaporandone le sensazioni. Egli è impassibile ma compiaciuto soprattutto nell adattare il linguaggio alle varie situazioni. Ciò, del resto, osservò con tanta autorevolezza il Croce, il cui giudizio, a nostro parere, resta ancora oggi, a distanza di tanti anni, di fondamentale importanza 3. Nelle Novelle della Pescara, stilisticamente parlando, tutto ha una fissità nel tempo: l uso frequente dell imperfetto, a-storico, a-temporale, determina un senso di indistinta fissità, di immobilità fuori del tempo. La prosa è sapientemente costruita ed ha un alto valore lirico. Anche sul versante strutturale, il ductus narrativo risulta essere felice, ché il D Annunzio, prima di presentare il personaggio, fornisce l antefatto con note descrittive o ambientali. Si legga, a questo proposito, l attacco della novella L eroe. Già i grandi stendardi di San Gonselvo erano usciti su la piazza ed oscillavano nell aria pesantemente. Li reggevano in pugno uomini di statura erculea, rossi in volto e con il collo gonfio di forza, che facevano giuochi. Dopo la vittoria su i Radusani, la gente di Mascàlico celebrava la festa di settembre con magnificenza nuova. Un meraviglioso ardore di religione teneva gli animi ( ). Su le vie, da una finestra all altra, le donne avevano tese le coperte nuziali. Gli uomini avevano inghirlandato di verzura le porte e infiorato le soglie. Come soffiava il vento, per le vie era un ondeggiamento immenso e abbarba- 3 Cfr. B. Cr o c e, Letteratura della Nuova Italia, vol. VI, Bari, Laterza, 1929, ma soprattutto il saggio L ultimo D Annunzio, in «La Critica», 20/5/1935. Il Croce, come si sa, riduce lo scrittore a dilettante di sensazioni, formula a cui resterà fedele anche dopo quaranta anni circa, quando interverrà su L ultimo D Annunzio. Del resto, abituato il Croce ad evidenziare nella storia letteraria più i contenuti e i valori umani anziché quelli strettamente tecnici e formali, non poteva, a proposito dello scrittore abruzzese, che essere coerente con il suo metro di giudizio; perciò dirà di lui che è artista, senza dubbio, che ha scritto il suo nome nelle pagine della storia letteraria italiana; ma che ( ) lo ha scritto anche in modo meraviglioso in quelle della nostra storia civile, la quale dovrà spesso ricordarlo come insigne documento del presente vuoto spirituale (Cfr. La letteratura della Nuova Italia, cit., p.191). Il Croce disconosce perciò qualsiasi contenuto ideale all arte del D Annunzio, qualsiasi concezione etica della vita. Solo nella rappresentazione frammentaria degli aspetti sensibili delle cose D Annunzio è poeta di una certa forza, di una certa incisività. Ritornando, però, alcuni decenni dopo sul poeta, il Croce gli negherà totalmente la qualità del poeta, perché privo di umanità ed incapace di sintonizzarsi con la vita del tutto, con la vita del cosmo ; la sua arte è fatta unicamente di suoni ed immagini ed è affidata al capriccio della fantasia e del senso. 13

14 Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello gliante di cui la turba si inebriava [tutte le sottolineature sono nostre] La critica è unanime nel riconoscere che v è piena maturità nelle prose delle Novelle della Pescara, che qui si raggiungono alti esiti stilistici. Il Gargiulo ha parlato di racconti-paesaggi, nel senso che D Annunzio presenta i personaggi delle novelle sempre in stretta relazione col mondo circostante: le persone sono assorbite dall ambiente; le figure non vivono la loro vicenda psicologica da soli, ma hanno bisogno del corredo, del sostegno dell ambiente nel quali si muovono, agiscono, vivono 4. Mario Pomilio ha insistito, poi, assai più di recente, sull aderenza del D Annunzio alla natura abruzzese, al folle amore ; egli sembra essere dotato di una straordinaria sensibilità luministica: la vasta luce plenilunare delle sere d estate e quella solare, avvolta in polvere d oro dei meriggi 5. E abruzzesità del D Annunzio sono da ritenersi, nelle Novelle, la cornice, i protagonisti, la lingua, gli stilemi dialettali innestati sapientemente sulla lingua letteraria. Solo che l Abruzzo del D Annunzio è un Abruzzo più selvaggio rispetto alla Sicilia verghiana, come osserva giustamente il Contini, è cruento, disfatto, con tinte di stampo impressionistico a volte 6. Dunque è prosa d arte lirica più che narrativa in senso veristico, ché il dialogo è vernacolare, diaristico, non ha il respiro cosmico della parlata di tutto un popolo, non è unitario e corale come in Verga, nel Verga maggiore intendiamoci. Il suo Abruzzo è immaginario. Abruzzesi sono tutte le battute del parlato, mentre il narrato vero e proprio è privo di quest ultima complicità con l oggetto che si attua nel monologo interiore 7. Verga, in questo senso, diventerà maestro insuperabile dell erlebte rede. In D Annunzio pare sia assente il sostrato etico delle figure che ci mette sotto gli occhi: sa cogliere con prontezza e freschezza e bravura ogni atteggiamento dei personaggi, ma sembra non amarli abbastanza, né provare pietà per essi. Egli predilige il preumano, il primordiale, il barbarico, calcando la mano sulla elementarità e bestialità dei suoi personaggi, senza pretendere di immedesimarsi o di interiorizzarsi in essi. Sia il Russo, sia il Sapegno, sia altri autorevoli critici 8 sono, infatti, del parere che nel D Annunzio narratore v è l assenza di ragioni morali e sociali, non è presente la pietas del Verga o del Maupassant: c è solo il gusto di una vita primordiale 4 Cfr. A. Ga r g i u l o, G. D Annunzio, Firenze, Sansoni, Cfr. M. Pomilio, D Annunzio e l Abruzzo, in L arte di Gabriele D Annunzio Atti del convegno internazionale di studio Venezia-Gardone Riviera-Pescara, 7/13 ottobre 1963, Milano, Mondadori, Cfr. G. Co n t i n i, Gabriele D Annunzio, in La Letteratura dell Italia unita, Firenze, Sansoni, Cfr. G. Co n t i n i, op. cit., p Cfr. L. Russo, Gabriele D Annunzio, Firenze, Sansoni, 1938, ma ancora: N. Sa p e g n o, Disegno storico della letteratura italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1967; F. Tr o p e a n o, Saggio sulla prosa dannunziana, Firenze, Le Monnier, 1962; E. Gi a c h e ry, Verga e D Annunzio, Milano, Silva, 1968; E. De Mi c h e l i s, Tutto D Annunzio, Milano, Feltrinelli, 1960, oltre ad altri numerosi studi usciti di recente, ma che in questa sede non citiamo per ovvie ragioni di spazio. 14

15 Giuseppe De Matteis e ferina; inoltre, il canone dell arte impersonale che nel Verga, di volta in volta, si umanizza, nel D Annunzio sembra assumere connotazioni quasi disumane, diventando solo volontà di osservazione fredda, crudele, impassibile della realtà. E basterebbe citare il solo esempio del racconto Il Cerusico di mare, per avere la conferma di quanto asseriamo: la prosa qui è scarna, fredda, essenziale; eppure si tratta, forse, del migliore racconto dannunziano, ottimo soprattutto per il senso dell unità. D Annunzio non comprende, lo abbiamo già osservato, la novità sostanziale del mondo verghiano; se ne appropria, semmai, sul piano dei motivi, dei contenuti. È pur vero, però, che egli, nella prefazione del Trionfo della Morte, fa un generico omaggio alla prosa delle Novelle rusticane e a Verga, senza nominarlo direttamente; ma da lui trae soltanto la lezione che ne poteva dedurre: quella di concentrare l attenzione su figure, ambienti, cose, sensi della sua diretta esperienza pescarese, secondo gli schemi che il naturalismo in fase già veristica poteva suggerire agli scrittori della fine dell Ottocento. Giovanni Verga comprese e descrisse i sentimenti e le passioni di persone appartenenti alle classi sociali più umili, D Annunzio ne cantò altri che non possono essere propri se non di una aristocrazia intellettuale. Verga non ebbe una definitiva e ben motivata opinione circa l organizzazione politica e sociale del suo tempo, anzi si proclamò addirittura codino in politica. I suoi personaggi erano di Acitrezza o di Vizzini, ma potevano essere posti in qualsiasi altro angolo della Terra: a lui importava l uomo e non la società. D Annunzio fu, al contrario, vivamente ed attivamente partecipe alla cosa politica: fu patriota e nazionalista, anche se nella carta del Quarnaro risuonano spesso accenti che potrebbero essere propri di un socialismo piuttosto avanzato ed illuminato. Ma la diversità, secondo noi, fra la scarna sobrietà del Verga e l esuberanza verbale del D Annunzio la si legge con estrema evidenza, più che altrove, proprio nei mezzi espressivi dell uno e dell altro: è qui la chiave del segreto; è qui la macroscopica differenza tra questi due scrittori. Anche il Pirandello, come il D Annunzio, ha un esordio verista. Anch egli, come lo scrittore abruzzese, parte dal verismo, ma ben presto se ne allontana, che scopre di sapere ben dimensionare il proprio discorso sugli individui, sulle loro coscienze esasperate, difficili, contraddittorie, moderne, per farla breve, o decadenti. Coerentemente a questa sua propensione, Pirandello diventa aspro, violento a volte, sarcastico nel modo di raccontare. Nei suoi discorsi v è un pressante cerebralismo di fondo che contraddistingue il suo modo di raccontare prima e quello di far teatro poi. V è, inoltre, in lui una radice borghese di natura fortemente polemica: per questo bisognerà convenire che il suo è solo un verismo di partenza, esterno, fedele più che altro all ambiente esterno, alle situazioni più che agli stati d animo. 15

16 Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello Proprio perché Pirandello è stato più attento a considerare l uomo in pectore, anziché le situazioni esterne che pure servono in qualche modo a rappresentarlo, proprio per questa componente, dicevamo, tutta l opera dello scrittore siciliano emblematicamente configura la crisi dell uomo moderno. Già l Esclusa, infatti, testimonierà di questa crisi e di questa particolare fisionomia della poetica pirandelliana; così avverrà con Il fu Mattia Pascal, il romanzo classico della scomposizione della personalità; così anche con I vecchi e i giovani, dove l autore affronta il problema della società italiana nella situazione storica a lui contemporanea. Il romanzo, come si ricorderà, era incentrato in una particolare fase postrisorgimentale, in cui predominava uno scontro ideologico notevole tra la vecchia generazione e quella dei giovani, operazione che tentarono di rappresentare anche, con maggior fortuna, sia il De Roberto con I Viceré che il Lampedusa con Il Gattopardo. Insomma, Pirandello e Verga partono dalle premesse teoriche del verismo per approdare all umano, D Annunzio invece parte ugualmente da una base verista, solo che la sua adesione al movimento è epidermica, esteriore, non è suffragata ed arricchita dall urgenza dei dati umani che Verga e Pirandello avevano espresso nelle loro novelle attraverso il pessimismo e l assurdo. Tuttavia dobbiamo aggiungere che se dal Pirandello delle Novelle per un anno hanno ereditato non poco il Bontempelli, il Moravia, e l Alvaro, dal D Annunzio, stando almeno a quanto asseriva Federico Tozzi nel lontano 1916, soprattutto dalla fisionomia di un Andrea Sperelli, protagonista del Piacere, han preso le mosse scrittori come Borgese con il suo Rubé e I vivi e i morti, e Moravia con Gli indifferenti. Entro l orbita verghiana van, dunque collocate molte creature e situazioni del mondo narrativo pirandelliano, tratteggiate tutte con dosato senso del reale e con semplicità di linguaggio. Solo che i personaggi pirandelliani rifiutano il destino dei vinti, l accettazione cioè rassegnata e decisamente fatalistica ad una vita di dolore e di sacrifici. Pirandello, per questo suo specifico interessarsi all uomo, alla sua psicologia, al suo pensiero (si veda, come esempio più significativo, Il fu Mattia Pascal) e, contemporaneamente, per questa sua necessità di rimuovere gli ostacoli che non consentono alla società di migliorarsi (si veda ancora, per fornire un altra esemplificazione, I vecchi e i giovani), segna una svolta dalla tradizione narrativa ottocentesca, in particolare dal Verismo. Anche la prosa delle novelle pirandelliane è singolare e si adatta agli stati d animo più che alle cose da illustrare: essa procede paratatticamente. La sintassi è analitica ed è, pertanto, strettamente legata alla nervatura logica del periodare. La terminologia è puntuale, esatta; l aggettivo non ha impennate retoriche, come in D Annunzio. Insomma, Pirandello è sostanzialmente concettuale nel suo discorso narrativo ed è tutto compreso nel rappresentare l essenza della realtà interiore, ciò che non si vede o che non si manifesta al di fuori. 16

17 Giuseppe De Matteis Ciàula scopre la luna pare essere la più verghiana delle Novelle per un anno e pare abbia tratto ispirazione da Rosso Malpelo. Nel discorso narrativo Pirandello era quasi sempre fluviale: inventava e trovava, con una ricchezza fantastica veramente invidiabile, mille casi dotati di una vita e di una verità, di un senso simbolico forte e sconvolgente, ma tarpava un po troppo le ali del suo fantasticare con quella tentazione, a tutti ormai nota, del continuo ragionare, che disturbava a lungo andare e che rendeva impotente lo scrittore di fronte alla letteratura, almeno a quella narrativa. Pirandello forse non ebbe mai, prima di far teatro, il bene di una poetica sufficientemente chiara e rigorosa: rinnegava continuamente il naturalismo e intanto continuava a partire sempre dalle concezioni veriste, tentando di teorizzare una poetica dell umorismo che poco aveva realmente in comune con esso. In realtà quella di Pirandello era una poetica poco difesa, in cui confluivano ecletticamente e in maniera confusa norme e modi del naturalismo, del crepuscolarismo, dell intimismo, e del preespressionismo. A distinguere, inoltre, il Pirandello dal Verga era quella sua scarsa propensione ad amare e ad essere caritatevole: c è in lui, sempre, una assai rabbiosa ricerca d amore che si scontra con l incapacità di amare. Le donne pirandelliane, ad esempio, sono scarsamente dotate di affetto e appaiono quasi sempre isteriche; quelle di Verga sono, al contrario, subito percepibili alla nostra esperienza e per questo ci diventano anche più care e familiari; quelle, infine, del D Annunzio sono diaboliche e violente, potenti e selvaggi insieme, solo raramente vicine alla contemporaneità dell autore e nostra anche. Un ultima osservazione che possiamo fare in questo mosaico di comparazione tra scrittori che recuperano al mondo dell arte tematiche quasi identiche ma espresse tanto contenutisticamente che formalmente in maniera assai diversa, è che quello che poteva dirsi umorismo verghiano, è negato dal Pirandello, che non riconosce altro umorismo se non il proprio, fondato sulla opposizione dei contrasti e sulla diffidenza della realtà del mondo posta da noi. Dunque Pirandello non è, né può essere, nel senso vero del termine, un umorista, mentre Verga, dotato di equilibrio, quando è umorista, lo è secondo il filone del grande umorismo europeo, che preferisce servirsi piuttosto della gradazione e della sfumatura anziché dell opposizione e del contrasto. Possiamo concludere affermando che con il Verga novelliere c è la proposta di un mondo umano, vicinissimo alla fantasia e alla sensibilità dello scrittore, arricchito di un linguaggio lineare, semplice, davvero rivoluzionario di fronte al passato della nostra tradizione linguistica; col Pirandello, novelliere sempre, c è in un primo momento l adesione al mondo verghiano e più tardi il superamento in direzione di uno scandaglio diretto in interiore nomine, ché è qui che habitat veritas (proprio secondo l accezione gnoseologica agostiniana), fino a convogliarsi poi nella direzione del teatro, certamente più congeniale al talento di Pirandello; col D Annunzio, infine, registriamo la capacità di cogliere e di rappresentare con 17

18 Le Novelle della Pescara tra Verga e Pirandello pronta e fresca naturalezza di modi e di forme ogni atteggiamento dei personaggi delle sue novelle con tutto il corredo dell ambiente circostante; solo che lo scrittore non fa scattare quel senso di pietas o di medesimezza umana, come osservava il Gramsci a proposito del Manzoni, tanto da consentire il totale coinvolgimento del lettore. Va comunque detto che il corpus delle Novelle della Pescara è a metà strada tra l esperienza verista verghiana e quella robustamente orientata alla sensibilità decadente e moderna del Pirandello. Mario Pomilio alludeva proprio a questo quando alcuni anni fa scriveva che Il corpus delle Novelle della Pescara non solo si iscrive in prima linea nella storia della nostra narrativa regionale ma ne rappresenta ( ) l altra faccia o ( ) si svolge in senso autonomo ( ) rispetto ai modi sperimentati dal Verga ( ). Nelle novelle dannunziane vi si mostrano in piena dissoluzione proprio i moduli veristici con quanto essi comportavano in sede d atteggiamento etico e di modalità espressive, e vi fa le prime prove un tipo di sensibilità (e siamo appena intorno al 1885!) che nessuno esiterebbe a definire decadente ( v è, infatti,) una distanza del D Annunzio rispetto al mondo regionale, una disposizione aristocratica, un nativo disamore nei confronti della realtà popolare che si andranno sempre più accentuando a mano a mano che lo scrittore si libererà delle ultime scorie dell iniziale verghismo ed entrerà nel pieno della frase nicciana 9. 9 M. Pomilio, op. cit., p

19 Massimiliano Monaco I riti della Settimana Santa in Capitanata di Massimiliano Monaco Prima parte Ogni anno, dal Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua, le comunità locali di Capitanata rivivono il dramma della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo e lo straziante dolore della Vergine Maria attraverso varie forme di processioni composte da personaggi vestiti e gruppi statuari che illustrano e animano la liturgia e la paraliturgia. Come accade in tutte le province dell intera Italia, in questi quattro giorni anche la nostra terra parla una sola lingua: quella dei simboli; e le processioni, particolarmente quelle del Cristo morto, percorrono quasi in simultanea le strade di tutte le città, ciascuna con proprie peculiarità, ma unite da un unica passione. Raccontare queste esperienze di fede significa raccontare la storia di una terra dalle profonde, autentiche radici cristiane. Nelle manifestazioni esteriori di questi aspetti della cosiddetta devozione popolare, che tanti segni ha lasciato in eredità ai nostri tempi, gli elementi consueti della pietas (canti e preghiere, inni e marce funebri, gesti come l ostensione, il bacio, la processione e la benedizione con la croce) e i simboli come la scalinata del Pretorio e la colonna della flagellazione, lo scettro di canna, il mantello di porpora, i flagelli e la corona di spine, la scala, il martello, i chiodi e le tenaglie, la tabella con la scritta INRI, la lancia, la spugna e i dadi, il gallo appollaiato sulla colonna e il lino della Veronica con il volto sofferente di Gesù, si intrecciano in vario modo per dar vita a pii esercizi, talora pregevoli per valore contenutistico e formale. Nato sotto la pressione della Controriforma a partire dalla seconda metà del XVI secolo, il teatro religioso della Settimana Santa di Capitanata sembra indirizzarsi principalmente verso forme di pietà che danno vita a sentite manifestazioni di compassione a cui ancora oggi, in una commistione di fede, devozione e spettacolarità, partecipano, coralmente, moltitudini di fedeli e di curiosi. Queste forme di religiosità popolare, maturate nel clima spirituale della Riforma cattolica, si esprimono compiutamente nella ritualità penitenziale delle processioni, specialmente in quelle legate al ricordo della Passione di Cristo, e trovano il loro antecedente storico in quel movimento di rinnovamento promosso in età barocca dal veemente impegno degli Ordini religiosi, primo fra tutti quello dei Gesuiti che, attraverso 19

20 I riti della Settimana Santa in Capitanata un accorta e perseverante capacità missionaria, segnarono un preciso carattere alla religiosità meridionale. Elemento costante della pietà popolare, continuamente ripresentato e riattualizzato come fatto esemplare e normativo per il fedele, quello della passione e morte di Gesù è la tragedia delle tragedie, in cui è possibile individuare alcune modalità appartenenti all ideologia funeraria che conferiscono all avvenimento la connotazione di un funerale simbolico e, insieme, paradigmatico, il dramma sacro per eccellenza, presentato e vissuto come la passione di ogni uomo. Attorno a questo aspetto della pietas meridionale, con il suo corredo di riti, di gesti e di immagini sceniche, racchiusi entro un humus culturale dove il fatto religioso costituisce un elemento fortemente aggregante e totalizzante, oltre che sul piano spirituale, su quello sociale, civile ed umano, si possono tentare letture in chiave etnoantropologica e sociologica. Si può sostenere, ad esempio, che nella configurazione rituale confluisce la duplice attesa che sostanzia la domanda religiosa popolare: consacrare il tempo e lo spazio, per cui la processione attraversa il tempo per la sua durata e copre lo spazio per la sua estensione. Cosicché la sua efficacia è affidata al movimento lungo, lento, cadenzato secondo il modulo della ripetizione rituale, dell impetrazione insistente. Si può altresì indulgere sulla funzione mimetica dell azione della Passione vissuta nelle processioni dei Misteri, come nell incedere e nella foggia dell abito dei confratelli nel loro peregrinare di sepolcro in sepolcro percorrendo l itinerario ideale verso la tomba del Cristo, o come nelle donne vestite a lutto che accompagnano il corteo dell Addolorata e che cantano e gridano, sul ritmo delle marce funebri delle bande, il loro struggente dolore 1. Tali modelli devozionali, con il loro fervore drammaturgico e la loro forza spettacolare, hanno attraversato indenni i secoli e sono giunti pressoché inalterati fino ai nostri giorni, custodendo immutata la loro carica emozionale e sentimentale, espressa soprattutto dal passaggio dal dolore della Croce all apoteosi della Resurrezione. È un percorso simbolico di espiazione e di glorificazione di tutto il popolo cristiano, che fa della Pasqua il momento culminante della rivelazione di Dio al Suo popolo. Nella loro rappresentazione c è il cammino di dolore e di fatica dell uomo verso la redenzione, c è la paura della morte, il tradimento, la sofferenza, la solitudine, lo scoramento e l incapacità di comprendere il disegno di Dio, ma anche l attesa fiduciosa, la fede nella resurrezione, la speranza della gloria eterna, del riscatto al termine del dolore. Un itinerario penoso e difficile, ma sempre animato dalla certezza che la crocefissione è il gesto d amore più grande, che dà senso e forza all evento pasquale. 1 Cfr. Cosimo Damiano Fo n s e c a, L Atletica penitentiale : alle origini della religiosità e delle ritualità barocca in Puglia, in La Puglia tra Barocco e Rococò, a cura di C.D. Fonseca, Electa Milano, 1982 (Civiltà e Culture in Puglia 4), pp

21 Massimiliano Monaco Ancora oggi, nella Puglia Dauna, dal Preappennino al Tavoliere al Gargano, questo patrimonio di suggestioni porta a rivivere il dramma della Passione attraverso apparati scenografici di notevole impatto che rendono vive e partecipate le processioni figurate di personaggi e gruppi statuari che popolano la liturgia e le sacre rappresentazioni. A differenza che in altre regioni dell Italia meridionale, dove i teatri processionali sono quasi sempre demandati a maestranze o altre categorie lavorative, nella nostra regione le processioni quaresimali sono organizzate quasi esclusivamente da confraternite e, non a caso, sono svolte in una cornice mistica e di profondo raccoglimento. Ogni venerdì di quaresima viene celebrato nelle chiese il pio esercizio della Via Crucis, la cui forma è rimasta invariata nel tempo, officiata da una terna di confratelli in abito di rito che sosta davanti ad ognuna delle stazioni. Il fedele o il confratello che si trova al centro regge la croce, mentre i due confratelli ai lati portano in mano una candela o un lume. Un importante rilievo storico assume, nella cittadina garganica di San Nicandro, la quarta domenica di Quaresima, detta della predica dei morti, che rievoca il mistero della morte e il ricordo dei cari defunti, e la breve processione del mercoledì delle Palme, che si svolge in forma di Via Matris, sulle note della meditazione sceneggiata dei dolori di Maria. La domenica delle Palme la lettura del racconto della Passione di Gesù (Passio) è preceduta da una breve processione animata dalle due confraternite del SS. Sacramento e della Pietà o Morte, durante la quale, sul sagrato della chiesa dell Addolorata, viene impartita la tradizionale benedizione dei rami d ulivo 2. Tra le sacre manifestazioni in cui più forte si avverte il coinvolgimento del popolo, spiccano le processioni degli ultimi tre giorni che precedono la Pasqua, svolte in un clima di generale austerità, di silenzio e di preghiera, e con la partecipazione di numerosi confratelli e fedeli. La sequela rituale è immutata da secoli: la sera e la notte del Giovedì la messa in Coena Domini con la lavanda dei piedi, quindi la visita ai solenni altari della reposizione e l adorazione del Santissimo Sacramento con la preghiera nelle principali chiese, detta comunemente la visita ai Sepolcri 3. 2 Cfr. La Settimana Santa a San Nicandro Garganico, testi di Angelo Diana, Matteo Vocale, Francesco Stanzione, all URL < 3 La mattina del giovedì santo è tradizione che gli altari delle chiese siano addobbati, in ricordo dell ultima cena, con fiori e doni portati dai fedeli. Le chiese assumono un aspetto apparentemente più sobrio. Gli interni vengono spogliati di arredi e luci, in segno di dolore e cordoglio. Gli stessi doni sono ridotti all essenziale: pane e vino, che simboleggiano la Passione, fiori, piante e soprattutto grano (simbolo della vita che termina per diventare elemento cardine del sacrificio), sono un esplicito segno della devozione popolare. I germogli, per esempio, stanno a significare che la vita fa compagnia alla morte del Cristo. Essi hanno però anche un altro significato, legato ad un passo del Vangelo di Giovanni: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». 21

22 I riti della Settimana Santa in Capitanata Il venerdì santo, consacrato alla celebrazione della Passione del Signore e all Adorazione della Santa Croce, è il giorno per eccellenza della fede cristiana, dedicato ad esprimere, anche e soprattutto, il trionfo della luce sulle tenebre, ad anticipare la vittoria della vita sulla morte. Il giorno della comparsa, nei moduli propri della pietà popolare, del piccolo corteo di amici e discepoli che, dopo aver deposto dalla croce il corpo del Maestro, lo collocano nella tomba scavata nella roccia. Il dramma sacro acquista tinte di particolare impatto emotivo con la processione rievocativa dell incontro tra la Madonna e Gesù morto; avvenimento nel cui ricordo storia, tradizione, culto, devozione e pietà popolare riescono a fondersi in un unico tumultuoso emozionante mistero. Univoca e a volte identica, nell aderenza al narrato evangelico, la drammatizzazione di questo episodio si colora di tinte locali nelle processioni di molti paesi: nella Turba di Carpino, Cagnano, Ischitella, come in tantissimi altri centri, a partire dal capoluogo. In un solitario cammino per le strade di Gerusalemme, l Addolorata, avvolta nel suo nero manto ricamato d oro, segue la croce, protagonista e partecipe di un dramma che si è già consumato. Tra canti che diventano veri e propri lamenti, la statua, col pallido volto e il cuore trafitto da una o più spade o pugnali, si avvia in processione a cercare il Figlio di cui non ha più notizie. Le statue della Vergine e del Figlio escono da due chiese diverse e, dopo aver percorso separatamente le strade del paese, si incontrano in uno spazio aperto. Ne abbiamo esempio a San Marco in Lamis, Foggia, Ortanova, Castelluccio Valmaggiore, Casalvecchio di Puglia, Biccari. A Faeto la statua dell Addolorata è portata a spalla da donne vestite a lutto. A Roseto Valfortore le varie fasi della processione sono intercalate da riflessioni e sermoni sul tema della passione e alle statue si affiancano, come reliquie di sacre rappresentazioni medievali, personaggi viventi che interpretano il ruolo di San Giovanni e delle tre Marie 4. A Foggia, il venerdì santo si snoda per le vie della città un mesto corteo in ricordo della passione e morte di Gesù Cristo, che vive il suo momento saliente nel commovente incontro, in piazza XX Settembre, tra la statua dell Addolorata e quella del corpo esanime del Cristo; mentre il giorno di Pasqua, in segno di gioia per la resurrezione del Figlio, nella chiesa dell Addolorata la stessa statua della Vergine viene ornata di fiori. A Cerignola sono ben cinque le processioni che, tra il venerdì di passione e il sabato santo, percorrono le vie cittadine, in una lunga e drammatica rivisitazione dei momenti più importanti e drammatici della passione del Figlio di Dio, che vede nel Cristo Rosso, inteso nella tradizione popolare come il Cireneo che aiutò Gesù a portare la croce, il personaggio predominante di tutti i riti. Questi è interpretato da un confratello o da un emigrante che a piedi scalzi indossa una 4 Cfr. Anna Maria Tr i p p u t i, Viola di passione, in In Tabula. Colori e cultura del Tavoliere, a cura di Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2008, p

23 Massimiliano Monaco tunica e un cappuccio di colore rosso, cinto ai fianchi da una ruvida corda e sul capo reca una corona di spine 5. Schiacciato sotto il peso della croce, il suo avanzare cadenzato, piegato sulle ginocchia, al ritmo delle note funebri, rappresenta la massima espressione del mistero della via dolorosa del Cristo. Ad aprire la serie delle cinque celebrazioni cerignolane è, due giorni prima della Domenica delle Palme (nel cosiddetto Venerdì di Passione), la processione della Beata Vergine Perdolente, di recente istituzione (2008), già di Maria SS. Addolorata, che un tempo veniva curata dalla confraternita di S. Maria della Pietà 6. La rinnovata processione è una Via Matris caratterizzata dal particolare abbigliamento dei portatori della Madonna, che indossano una cappa nera, al pari delle dame che procedono accanto al simulacro. Il venerdì santo hanno luogo tre diverse manifestazioni di pietà popolare: la processione dei Misteri, nella mattinata, che parte dalla chiesa dell Addolorata; la processione della Desolata, nel tardo pomeriggio, che esce dalla chiesa di S. Agostino, e la processione del Cristo Morto, in tarda serata, che ha inizio dalla chiesa del Purgatorio. Durante la processione dei Misteri, organizzata dalla confraternita dell Addolorata, il manichino della Vergine, le quattro statue dei Misteri, raffiguranti Gesù in preghiera nell orto, Gesù alla colonna, Gesù con la canna (Ecce Homo) e Gesù caricato della croce, sono portati a spalla dai confratelli del Carmine, di S. Giuseppe e dell Addolorata, i quali ultimi, fino alla metà degli anni 50, procedevano solo con calzini bianchi 7. 5 Sul Cristo Rosso ed altri simboli della cultura popolare a Cerignola, si rinvia a Roberto Cipriani, Il Cristo rosso. Riti e simboli, religione e politica nella cultura popolare, Ianua, Roma, Il culto di Maria SS. della Pietà era praticato dalla confraternita omonima (originariamente insediata in una cappella, detta di S. Leonardo, attigua al vecchio ospedale) e rientrava tra gli obblighi statutari della medesima, approvati nel Nell 800 si organizzò la processione della Pietà la sera del venerdì precedente la domenica delle Palme, perpetuando la volontà testamentaria del benefattore Pasquale Fornari, che prevedeva nel Venerdì di Passione lo svolgimento della processione della sacra immagine della Pietà. In seguito il corteo fu posticipato alla sera del giovedì santo e nel 1936 al venerdì santo, dopo quella del SS. Sacramento. Nel 1945, per evitare che si svolgessero due rappresentazioni simili, la processione della sola Madonna della Pietà tornò a svolgersi la sera del giovedì santo. Nel 1992 fu nuovamente spostata, collocandola nella mattina del sabato santo, ma con diverso significato. 7 La croce calvarica e i confratelli dell Addolorata, con i cappucci a forma di tocco, aprivano il corteo, seguiti da quelli di S. Giuseppe e del Carmine, ciascuno con il proprio Calvario. Dinanzi al primo Mistero prendeva posto il Cristo Rosso della confraternita dell Addolorata; dinanzi al quarto Mistero quello di S. Giuseppe e davanti alla Madonna Addolorata, il Cristo Rosso del sodalizio carmelitano. Ai lati di ciascuna statua erano i confratelli con lampieri e fasce nere in segno di lutto. Fino agli anni 50 il simulacro della Madre Addolorata entrava in tutte le chiese per visitare il proprio Figlio. Attraversate le anguste vie dei rioni periferici, la processione proseguiva lentamente verso la chiesa del Carmine, poi verso S. Gioacchino, S. Antonio, Duomo, S. Domenico, Assunta, Purgatorio, per immettersi nelle suggestive viuzze della Terra Vecchia, passando davanti alla chiesa madre e alla cappella di S. Agostino. Per queste notizie sugli antichi e nuovi riti processionali di Cerignola si v. R. Cipriani, Il Cristo rosso, cit. e Francesco Co n t e, Settimana Santa, Centro Grafico, Foggia Una sintesi, curata da Francesco St a n z i o n e, è in La Settimana Santa a Cerignola, all URL < 23

24 I riti della Settimana Santa in Capitanata Un tempo, rientrata la processione dei Misteri nella chiesa dell Addolorata, i confratelli si preparavano per le Lamentazioni di Geremia e, subito dopo, i fedeli si recavano nelle chiese per assistere alla funzione religiosa detta dell Agonia, la quale, dopo canti e preci che commentavano le sette parole pronunciate da Gesù sulla croce, culminava con la rievocazione della morte del Signore alle ore tre del pomeriggio. Intanto nella chiesa madre si venerava un Cristo con il collo, il tronco e le braccia mobili, sostenuto da alcune corde, che venivano mollate al momento della morte, dando così l impressione di un corpo esanime. Dopo il bacio della Croce, iniziava la liturgia della Passione durante la quale il sacerdote e i ministranti, a piedi scalzi in segno di riverenza, si prostravano ai piedi della Croce per adorarla, tra un silenzio commovente che pervadeva gli animi dei presenti. Seguiva la lettura del Passio e lo scoprimento della Croce. Intanto il popolo cantava gli improperia, parole di rimprovero al popolo ebreo attribuite al Redentore, intercalate dal Trisagio, antichissima preghiera composta da S. Giovanni Damasceno. Seguiva il canto del Vexilla Regis prodeunt, un inno alla Croce del VI secolo attribuito a Venanzio Fortunato, la spoliazione del Sepolcro e la distribuzione dell eucaristia, mentre il Crocifisso rimaneva ai piedi dell altare per l adorazione dei fedeli. All imbrunire si snoda, dalla chiesa di S. Agostino, il corteo della Desolata, una paraliturgia officiata dalla confraternita del SS. Sacramento. Il simulacro portato in processione è un gruppo statuario risalente alla metà dell 800: una Madonna Addolorata con abiti neri ricamati e un cuore d argento trafitto da un pugnale, un Cristo Morto adagiato sul suo grembo e due angeli che recano i simboli della Passione. Dietro la Vergine, un Angelo, adagiandole un braccio sulle spalle, la consola. Sovrasta il gruppo una Croce con il sudario. Davanti, una lumiera con ceri rende ancora più suggestiva l atmosfera. Raggiunto il corso principale, transitando davanti alla chiesa madre, il corteo, chiuso dalla banda cittadina, che esegue struggenti marce funebri, e dalla schola cantorum, fa rientro in chiesa. Una terza processione, del Cristo Morto con i simulacri di Gesù e di Maria Addolorata, ha inizio, in tarda serata, dalla chiesa del Purgatorio. Il rito è officiato dall Arciconfraternita della Morte e Orazione, comunemente detta del Purgatorio. Il silenzio che domina la folla è interrotto dalle orazioni e la commozione è resa più viva dal rullio cadenzato dei tamburi, che imprimono il ritmo alla folla muta che segue il feretro del Cristo come in una celebrazione funebre. Più che un atto penitenziale, trattasi di un vero e proprio funerale. Infatti il simulacro della Madonna, nel tradizionale abito e velo nero con merletti, ha il cuore trafitto da una spada dorata e in mano un fazzoletto bianco merlettato. 8 8 Un tempo il corteo rientrava quando l orologio diffondeva i tocchi delle prime ore del sabato. Dal 1992 la processione ha assunto un aspetto ancora più caratteristico, con tutti i portantini dei due simulacri che indossano tunica e cappuccio violaceo e una ruvida fune in vita, e con i confratelli che procedono incappucciati. 24

25 Massimiliano Monaco La mattina del sabato santo, conclude i riti della Settimana Santa la processione delle Donne al Sepolcro in attesa della resurrezione di Gesù. Questa cerimonia fu istituita dopo l abolizione, nel 1992, del vecchio rito processionale del giovedì santo, che distoglieva i fedeli dal raccoglimento nelle chiese per l adorazione del SS. Sacramento. Al corteo prendono parte le statue di Maria SS.ma della Pietà, di S. Maria di Magdala, che reca nella mano destra un uovo perché, secondo una leggenda, si presentò a Tiberio con un uovo rosso per annunziare la resurrezione di Cristo (da cui l usanza dei primi cristiani di scambiarsi uova colorate di rosso). Nella mano sinistra regge un ampolla contenente profumo di nardo, che servì per ungere i piedi di Cristo che poi asciugò con i suoi capelli. La terza statua è quella di S. Giovanni che reca un asciugatoio, simbolo del gesto della lavanda dei piedi. L ultima rappresenta S. Maria di Cleofa che reca nella mano destra spighe di grano cotto, simbolo della Resurrezione (se il grano non muore non rinasce), e nella sinistra le bende che richiamano il rito della sepoltura. 9 A San Nicandro Garganico, la breve, ma significativa rappresentazione dell Incontro tra la Vergine Addolorata e Gesù caricato della Croce, inaugurata nel 1982 e interrotta nel 1996, traeva spunto dal medesimo rito celebrato da secoli in quasi tutti i comuni dell area. Trascorse le ore dei Sepolcri tra veglie, preghiere e processioni che tenevano le chiese aperte per tutta la notte, all alba del venerdì una folla di fedeli prendeva a gremire la piazza antistante le chiese della Pietà e del Carmine. Il rito si apriva alle cinque del mattino, con la processione dei simulacri del Cristo e dell Addolorata. Il primo, facente parte della serie dei Misteri portati in processione la sera dello stesso giorno, usciva dalla chiesa madre, ed era portato dai confratelli del SS. Sacramento. La Vergine Addolorata, invece, partiva dalla chiesa della Pietà, portata a spalla dai confratelli della Pietà e Morte. Dopo un tragitto di circa un ora, differente per i due sacri cortei, animato dalla recita del Rosario e dai canti della Passione e annunciato dalle troccole in legno (che sostituiscono le campane nel triduo pasquale), le due statue venivano condotte ai due imbocchi della piazza, mentre su un terzo lato si appostava una grande croce nera. Quando i fedeli che seguivano i due simulacri venivano fatti passare nella piazza, il rumore delle troccole impazzite annunciava la vista reciproca e la corsa delle due statue, il cui avvicinamento era prontamente impedito, in un evidente metafora passionistica, dalla grande croce nera. Zittivano in quell istante tutte le troccole e la 9 I primi anni, alle sei del mattino, la processione con le sole statue di Maria di Magdala e di Cleofa, usciva da una cappella periferica per raggiungere la chiesa di S. Antonio, ove si recitavano le lodi. Subito dopo si snodava il corteo con le tre statue portate a spalla da ragazze con mantelle rosse e il simulacro della Pietà da uomini in abito scuro, scortati da carabinieri in alta uniforme. Negli ultimi anni invece, la processione esce dalla chiesa di S. Antonio con la partecipazione di quattro Cristi Rossi, raffigurati tutti da confratelli della Pietà. Percorse le vie principali della città, tra le note di commoventi inni musicali, la processione fa rientro verso mezzogiorno. 25

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