1. Premessa. INDENNITÀ DI FINE RAPPORTO NEL CONTRATTO DI AGENZIA, SPUNTI DI ANALISI E SUGGERIMENTI

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1 INDENNITÀ DI FINE RAPPORTO NEL CONTRATTO DI AGENZIA, SPUNTI DI ANALISI E SUGGERIMENTI OPERATIVI ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI PRONUNCE DI MERITO E DI LEGITTIMITÀ E oramai prassi consolidata, anche a causa delle lacune soprattutto interpretative che caratterizzano la materia, che l ex agente il quale abbia percepito dalla Mandante, alla chiusura del rapporto, l indennità suppletiva di clientela, determinata ai sensi dell A.E.C. applicabile, trattenga tale importo in acconto sulla maggiore somma ritenuta spettantegli, a mente del disposto di cui all art c.c. (richiesta sempre nella misura massima prevista ex lege, vale a dire un anno). Tale incipiente consuetudine crea occasione per analizzare il problema dell applicabilità della disciplina del codice civile in alternativa a quella dell AEC. 1. Premessa. Il problema centrale è sapere come il preponente deve comportarsi, alla luce della recente pronuncia della Corte di Giustizia europea in materia e dei successivi sviluppi giurisprudenziali interni, in tema di indennità di fine rapporto ed in particolare riguardo la relazione tra applicazione dell A.E.C. di riferimento ed art c.c., per il calcolo e la determinazione delle stesse. Dopo la pronuncia, nell anno 2006, della Corte di Giustizia europea 1, il problema è lungi dall essere risolto. Invero, la lettura che ne ha fatto la giurisprudenza nazionale, con i risvolti pratici che ne conseguono, non consente affatto alla mandante di programmare, sotto il profilo di un adeguato accantonamento di risorse, il rapporto con l agente, ivi compreso il suo necessario epilogo e le spettanze di fine rapporto. Avvalendosi dei criteri di cui all A.E.C., il preponente può ragionevolmente prevedere quale potrà essere l esborso da sostenere ove, per un qualsiasi motivo, intenda chiudere il rapporto di collaborazione con un proprio agente. Addirittura corre l obbligo, per la Casa mandante, di accantonare presso l Enasarco il F.I.R.R., che assolve una funzione simile a quella svolta dal T.F.R., nei rapporti di lavoro subordinato. La sentenza della C.G.E. fa porre seri dubbi sulla applicabilità degli accordi collettivi, rendendo forse controproducente per il preponente, in primo luogo accantonare il F.I.R.R. ed in secondo liquidare, chiuso il rapporto, le indennità relative, determinate sulla base delle norme di cui alla contrattazione collettiva, con la quasi certezza che le somme erogate a tale titolo, verranno trattenute dall agente, quale acconto sulla maggiore somma, che l agente cercherà di recuperare agendo in giudizio contro la ex mandante. E senz altro conveniente per l agente promuovere il giudizio. Ove, infatti, venissero riconosciute nella misura massima le sue pretese, si vedrebbe elargire un importo pari ad un anno di provvigioni, calcolate sulla media degli ultimi cinque anni di rapporto, o su tutto il rapporto, se durato di meno. 1 Corte di Giustizia UE n. C-465/04 del 23 marzo

2 Secondo la Corte, deve applicarsi (tra convenzionale e legale) la normativa che, in astratto e a priori, possa risolversi in una condizione di miglior favore (in termini prettamente economici) per l agente. Ne consegue che la normativa legale (art c.c.) apparentemente è più favorevole in quest ultimo senso, e cioè nel senso di consentire, malgrado l onere probatorio posto a carico dell agente delle condizioni di cui alla norma, il conseguimento, da parte dell agente, di un anno di provvigioni. Ciò rispetto agli A.E.C., i quali, a fronte di un c.d. minimo garantito, non consentono in nessun caso all agente di raggiungere il tetto massimo fissato dalla normativa codicistica. Da ciò però non è conseguita, come sarebbe corretto sul piano logico-giuridico 2, una disapplicazione degli A.E.C., in favore del 1751 c.c., che, anche se non consente di formulare previsioni sugli accantonamenti necessari all azienda per effettuare un recesso, pone a carico dell agente un rilevante onere probatorio delle condizioni previste dalla norma (incremento affari con vecchi clienti; apporto di nuova clientela e sviluppo degli affari con questa; sostanziali vantaggi per il preponente dopo il recesso con l agente), il quale, ove non venisse soddisfatto, precluderebbe (o meglio, dovrebbe precludere) all agente il conseguimento delle indennità stesse. Non solo ove l ex agente abbia lavorato male e comunque abbia prodotto scarsi risultati ma anche laddove si sia limitato a gestire l esistente senza portare nuovi clienti né incrementare gli affari con quelli esistenti, ma mantenendo lo status quo egli non avrebbe diritto a nulla (non il FURR presso ENASARCO, non indennità Suppletiva Clientela, men che meno indennità meritocratica, che invece gli vengono garantiti in ogni caso dagli A.E.C.). Questo scenario è, per ora, oscurato da una giurisprudenza (successiva a quella comunitaria) che ha ritenuto inderogabile il minimo di indennità previsto dagli A.E.C. (le tre voci: F.I.R.R. appositamente accantonato; indennità suppletiva di clientela; indennità meritocratica,di cui le prime due dovute sempre) e ha dato agio all agente, riferendosi in modo improprio alla sentenza della Corte europea, di cercare di dimostrare di meritare e quindi di avere diritto a quel surplus conferibile ex art c.c., con buona pace dell elemento meritocratico tanto voluto dal giudice comunitario, il quale, come detto, intendeva legittimare la sola indennità ai sensi dell art c.c. e non la sommatoria del salvagente di cui all A.E.C. e del successivo tentativo di cui all art c.c. 2. La reazione della giurisprudenza di legittimità e di merito susseguente alla pronuncia del giudice comunitario. 2 Cfr. in dottrina F. BORTOLOTTI, L indennità di scioglimento degli agenti di commercio dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea, in Mass. Giur. Lav., 6/2006, 510 e ss.; P. GUALTIEROTTI, Direttiva Cee, art c.c. ed A.E.C. nella pronuncia della Corte di Giustizia, in Agenti & rappresentanti di commercio, 2/2006, 3 e ss. 2

3 La sentenza del giudice comunitario ha ormai due anni di vita; pertanto, successive pronunce di merito vi sono state e, parimenti, ha avuto modo di pronunciarsi sull argomento anche il giudice di legittimità. Nel merito, si segnala, a pochi giorni dalla pronuncia della Corte di Giustizia, la decisione della Corte di Appello di Cagliari, anche se la pronuncia, pur essendo successiva (anche se di poco) e pur toccando l argomento vagliato dal giudice comunitario, per la sua semi-contestualità con l emissione della sentenza della Corte europea, pare non avere recepito del tutto la linea dettata da quest ultima 3. Ribadisce, invero, la Corte d Appello la compatibilità degli accordi economici con l art c.c. Ciò anche se afferma, in accordo con la sentenza comunitaria (che viene espressamente citata), che la valutazione se la regolamentazione pattizia sia o meno pregiudizievole per l agente rispetto a quella prevista dall art c.c. debba essere operata ex ante in astratto 4. Questa discrasia è dovuta al fatto che la Corte cagliaritana, pur ritenendo corretta tale ultima valutazione, non accoglie l altro passaggio operato dalla Corte europea, per il quale tale valutazione aprioristica deve considerare esclusivamente il possibile risultato economico utile finale per l agente. Il giudice italiano è, invece, tornato a parlare di miglior favore complessivo della normativa convenzionale e conseguente legittimazione della stessa, in ciò contravvenendo a quanto disposto dal giudice comunitario. Va detto, comunque, che tale sentenza ha rigettato l appello dell ex agente, il quale, come nel caso che occupa, avendo percepito le sole indennità ex A.E.C., aveva promosso un giudizio contro la propria ex mandante volto a vedersi riconosciuta, in aggiunta alle indennità già liquidate e trattenute come acconto, la maggiore somma dovuta a titolo di indennità di fine rapporto ai sensi dell art c.c. 5 3 In dottrina è d accordo sul punto, tra gli altri, F. BORTOLOTTI, Indennità di fine rapporto di agenzia: la Cassazione si pronuncia dopo la Corte di giustizia europea, in Mass. Giur. Lav., 1/2-2007, Sul punto, si vuole citare un passaggio della sentenza Corte d Appello di Cagliari Sez. dist. di Sassari del in Mass. giur. lav., 10/2006, 812: non è giuridicamente concepibile che l agente possa, al termine del rapporto, scegliere se chiedere o meno una liquidazione, secondo criteri diversi da quello indicato nell a.e.c., solo perché detto criterio si rivela in concreto a lui più favorevole 5 A conclusioni analoghe, ma senza alcun riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia, giunge il Tribunale di Catanzaro del in Agenti & rappresentanti di commercio, n. 3/2006, 49. Dello stesso avviso è Tribunale di Ancona del , il quale ritiene applicabile l A.E.C. a prescindere da un eventuale esito sfavorevole dell applicazione dell art. 1751, in questo caso l ex agente aveva chiesto il pagamento dell indennità ex A.E.C. o, in alternativa, di quella ex art c.c. e non il cumulo delle due; nonché Tribunale di Ravenna del , il quale ritiene che la disciplina collettiva continui a trovare applicazione nell ipotesi di esito sfavorevole per il singolo agente della verifica condotta sulla base dell art c.c.; tutte in Agenti & rappresentanti di commercio, n. 4/2006, 38 e ss. Sulla stessa linea si sono poste: App. Milano, e Tribunale di Roma, , entrambe inedite. 3

4 Ed è proprio questo il punto: la cumulatività o meno delle indennità ex A.E.C. con quella ai sensi dell art c.c. In definitiva, tratto comune delle pronunce di merito successive alla sentenza della Corte europea è la forte resistenza dei giudici statali ad accettare l idea che il sistema di calcolo degli A.E.C., concordato dalle parti sociali nell interesse dei loro associati, debba considerarsi come una illegittima deroga in peius dell art c.c. 6 ; ciò per la considerazione esclusivamente monetaria del raffronto tra la normativa pattizia e quella legale (art c.c.; norma recettiva delle direttive comunitarie in materia), operata dalla Corte di Giustizia. Se, da un lato, le corti di merito insistono nel ribadire la validità degli A.E.C., la Suprema Corte 7, pur avvicinandosi maggiormente alla posizione assunta dalla Corte di Giustizia, non vi si adegua perfettamente, pretendendo che si effettui un confronto a posteriori tra le due discipline. La prima sentenza (n /2006) cita la sentenza della Corte europea ed afferma correttamente che il disposto dell art c.c. può essere derogato solamente in melius dall A.E.C., salvo poi statuire, in aperto contrasto con il giudice comunitario, che il raffronto tra le due discipline va operato a posteriori, nel caso concreto. Secondo la Corte di Giustizia occorre invece stabilire se gli A.E.C. garantiscano, in generale (e quindi prescindendo dai calcoli finali) un trattamento (economico) uguale o migliore di quello consentito dalla norma codicistica. Anche la seconda sentenza (n /2006) giunge a conclusioni incompatibili, almeno parzialmente, con i principi sanciti dalla Corte europea. Afferma, infatti, che l art c.c. deve essere interpretato nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell agente comporta che l importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. E, sulla base di tale assunto, la S.C. rimette la causa al giudice del rinvio sancendo che egli dovrà verificare se, applicando l art c.c., l agente percepirà un indennità superiore a quella garantita dall A.E.C. ed, in caso positivo, applicare la prima disciplina. Da questa seconda pronuncia è ribadito in modo ancora più netto il principio del raffronto effettuato in concreto a posteriori tra le discipline normativa e convenzionale, cui segue l applicazione di quella che garantisca all agente un risultato economico migliore ed il conseguente conguaglio positivo in favore dell agente, ove egli abbia già percepito le indennità ex A.E.C. (e sicuramente avrà percepito almeno il F.I.R.R.). Entrambe le sentenze partono dall erroneo presupposto che gli A.E.C. restino comunque applicabili, mentre appare palese che il trattamento degli A.E.C. non è cumulabile con 6 F. BORTOLOTTI, Indennità di fine rapporto di agenzia, cit., 1/2-2007, Cass. civ., Sez. lav., , n e Cass. civ., Sez. lav., , n

5 la disciplina del codice, avendo le stesse parti sociali inteso prevedere tale regime come soluzione da applicarsi in sostituzione di quella del codice civile. Pertanto, se il contrasto sussiste (come sussiste, in quanto la normativa convenzionale appare meno favorevole di quella legale), gli A.E.C. non si devono applicare tout court (quanto al regime di calcolo delle indennità), perché contrari ad una norma imperativa. Questo perché non si può attribuire alla norma collettiva un efficacia di minimo garantito (salva l applicazione del 1751 c.c.) che, tra l altro, le parti sociali hanno espressamente dichiarato di non volere. Quello che il giudice nazionale sembra non volere capire, è che, a prescindere dalla qualità del ragionamento effettuato dal giudice comunitario (non esente da pecche), il principio da questi espresso cui l Italia deve necessariamente uniformarsi (in primo luogo nella giurisprudenza interna che ha del resto dato luogo alla pronuncia della Corte europea) è che, quando si applica l art c.c., non si tratta di valutare se all agente spetti una somma aggiuntiva rispetto a quella percepita in virtù dell applicazione degli A.E.C., ma di calcolare l indennità unicamente secondo i criteri, diversi, previsti dall art c.c. Và da sé che, ove tale calcolo porti ad una somma inferiore a quella garantita dall A.E.C. o addirittura ad una somma vicina allo zero o pari a zero, tale somma spetterà all agente, e non, invece, quanto gli spetterebbe per effetto dell applicazione dell A.E.C. 8 L obiettivo perseguito dal giudice europeo è quello di garantire (potenzialmente) all agente quell indennità massima nella misura di un anno di provvigioni, ove l agente la abbia meritata e maturata, seguendo cioè un criterio prettamente meritocratico, la qual cosa, stranamente, non riesce ad attecchire nel nostro Paese. 3. Effetti dell applicazione dell art c.c.: lo scenario attuale, prospettive. Il giudice nazionale è spesso giunto alla conclusione per cui, in virtù di una valutazione c.d. ex post, e cioè, effettuata dopo la fine del rapporto di agenzia, all agente competerebbe, oltre alle indennità previste dagli AEC (se già ricevute), e ad integrazione delle stesse, l indennità di natura legale prevista dall art c.c., la quale costituirebbe così una sorta di conguaglio per quegli agenti che provino di essere stati più meritevoli e di avere quindi soddisfatto entrambe le condizioni previste dalla norma da ultimo citata. Ebbene, tale impostazione, benché apparentemente avallata, anche se non in questi termini di estremo favor per l agente, da alcune decisioni della Suprema Corte 9 che sono 8 Cfr. F. BORTOLOTTI, cit., A titolo di esempio, si cita proprio quella che diede luogo alla pregiudiziale: Cass. civ., Sez. lavoro, , n , in Lavoro nella Giur., 2007, 2, 161, nota di DI FRANCESCO. Vi sono, in ogni caso, voci discostanti: la disciplina contenuta nell accordo economico 20 marzo 2002 è nulla in quanto in contrasto con norma imperativa laddove non garantisce in astratto che la somma degli emolumenti nello stesso previsti, nei casi in cui all agente spetterebbe l importo massimo determinato in applicazione dei criteri legislativi, dia un risultato almeno equivalente a tale importo 5

6 seguite alla pronuncia del giudice comunitario, non coglie assolutamente nel segno, e quindi non applica la ratio della giurisprudenza comunitaria (e, ovviamente, neanche della legislazione, a partire dalla Direttiva 86/653/CEE) 10. Con la decisione in commento, la Corte europea, convalidando un orientamento almeno trentennale, ha voluto sottolineare che l erogazione della indennità di cessazione del rapporto deve essere conferita solo in presenza di precise condizioni di meritevolezza dell agente, e non come processo automatico (come una sorta di t.f.r., se vogliamo). Nel nostro Paese, al contrario, vigeva da decenni un principio contrattuale collettivo opposto: l agente, cioè, percepiva comunque, indipendentemente dai risultati raggiunti, una indennità proporzionale alle vendite effettuate (il FIRR), in qualsiasi caso di risoluzione del rapporto, anche ove il rapporto fosse stato chiuso con recesso per giusta causa da parte della Mandante,. Ove il rapporto fosse stato concluso dalla Mandante, ma non per giusta causa, anche se le performances dell agente fossero state pessime, all Agente sarebbero spettate poi le ulteriori voci di cui all AEC: l indennità suppletiva di clientela e, da ultimo, l indennità meritocratica, oltre naturalmente al FIRR. Se invece si applica l art c.c., l agente ha l onere di provare che solo per suo merito, solo per il suo intervento, il fatturato della Mandante è aumentato, ed ha altresì l onere di provare che tali clienti, acquisiti per merito del suo lavoro, sono rimasti alla mandante anche dopo la cessazione del rapporto d agenzia. Per cui se si sceglie la disciplina, per così dire europea, rappresentata in Italia dall art c.c., e se all esito dell istruttoria, l agente risulta non essere meritevole dell indennità in parola, allo stesso non spetterebbe nulla, non il FIRR, non l Ind. Suppletiva Clientela, non l Indennità meritocratica. Ciò perché i due regimi, quello contrattuale da un lato e quello codicistico dall altro, sono visti e progettati in via alternativa. Quale contropartita dello sforzo (anche probatorio) richiesto agli agenti, la Corte, sempre nell alveo interpretativo ormai storico, ha precisato che l indennità alla quale, in astratto, può aspirare l agente non può essere inferiore (potenzialmente) ad un anno di provvigioni calcolato facendo una media di quelle percepite nell ultimo periodo o, se il rapporto è stato più breve, dell intera sua durata 11. (Trib. Pistoia, , in Agenti & Rappresentanti, n. 1, 2007, 45) Il Tribunale dichiara altresì espressamente di non condividere la pronuncia della Corte di Cassazione n /2006 laddove ritiene che la pattuizione collettiva può essere considerata di miglior favore per l agente soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all agente l indennità di legge in misura superiore. Osserva il Tribunale che tale soluzione sposta il momento valutativo della fase di costituzione del rapporto a quella della cessazione. 10 Cfr. P. GUALTIEROTTI, Art c.c. ed accordi economici collettivi dopo la sentenza della Corte di Giustizia Coraggio, il meglio è passato, in Agenti & Rappresentanti, 2007, n. 4, 10, il quale rileva che: La Cassazione dunque, ritiene di dover fare ricorso ad una valutazione ex post riferita al singolo caso concreto, esattamente l opposto di quanto suggerito dalla Corte di Giustizia.. 11 Cfr. in dottrina F. BORTOLOTTI, L indennità di scioglimento degli agenti di commercio dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea, in Mass. Giur. Lav., 6/2006, 510 e ss.; P. GUALTIEROTTI, 6

7 Invero, la sentenza del giudice comunitario, pronunciando sulla prima delle due questioni pregiudiziali sollevate 12, ha disposto, al punto n. 29, che il solo fatto che il detto accordo [Accordo Ponte del , n.d.r.] possa essere favorevole all agente commerciale nel caso in cui quest ultimo abbia diritto, in applicazione dei criteri di cui all art. 17, n. 2, della direttiva [e quindi all art 1751 c.c., n.d.r.], solo ad un indennità molto ridotta, o addirittura non abbia diritto ad alcuna indennità, non può bastare a dimostrare che esso non deroga alle disposizioni degli artt. 17 e 18 della direttiva a detrimento dell agente commerciale. 13 E la sentenza è ancora più chiara nel passo che segue (punto n. 27), ove si legge che: una deroga alle disposizioni dell art. 17 di quest ultima [direttiva n.d.r.] può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell agente commerciale, ed al seguente punto n. 28: Ciò si verificherebbe per quanto riguarda l accordo del 1992, nell ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l applicazione di tale accordo non è mai sfavorevole all agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente a quest ultimo, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un indennità superiore o almeno pari a quella che risulterebbe dall applicazione dell art. 17 della direttiva. 14. Nessuna integrazione quindi, con effetto salvagente degli AEC, ma disapplicazione di questi ultimi in favore della normativa legale. La verità è che è impossibile, secondo una valutazione ex ante, come pretende la CGE, stabilire quale sistema sia il migliore, perché è impossibile conoscere in anticipo quali saranno le performances dell agente. Secondo l impostazione che la CGE ne ha dato, ovvero prevalenza del parametro normativo salvo che si dimostri ex ante che quello contrattuale sarà migliore, sulla base di una valutazione a priori dovrebbe essere sempre preferito l assetto delineato dall art cod. civ. Ne consegue che ove poi risolti che l agente non ha migliorato il giro d affari, nulla gli spetterà. Questa l intenzione del giudice europeo. La sua attuazione crea enormi problemi, anzitutto sul ruolo, sulla funzione e sull assetto dei rapporti con Enasarco, poi sui parametri di determinazione dell indennità legale prevista fino a dodici mesi, ma senza indicare quali parametri si possano utilizzare per determinare la misura esatta di tale indennità: fino a dodici mesi può voler dire che in alcuni casi sarà giusto riconoscere un mese, o meno, ed in altri sarà corretto riconoscere il massimo. Ma la norma introduce il concetto di equità, che rende ( e di fatto a reso finora), impugnabile qualsiasi accordo intervenuto fra le Parti per determinare cosa sia maturato in concreto, fra un ora, un Direttiva Cee, art c.c. ed A.E.C. nella pronuncia della Corte di Giustizia, in Agenti & rappresentanti di commercio, 2/2006, 3 e ss. 12 Con la sua prima questione, il giudice di rinvio chiede in sostanza se l art. 19 della direttiva debba essere interpretato nel senso che l indennità di cessazione del rapporto prevista all art. 17, n. 2, della direttiva può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, con un indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest ultima disposizione. (punto n. 16, Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza n C-465/04). 13 Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia UE n C-465/04 del 23 marzo 2006, punto n Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia UE n C-465/04 del 23 marzo 2006, punti n. 27 e 28. 7

8 giorno, e dodici mesi di indennità. Fino a che l art codice civile non indicherà criteri più oggettivi, o non lascerà alle Parti il potere di determinare secondo equità, come avvenuto, ad esempio, in materia di indennità per il divieto di concorrenza post contrattuale, ogni controversia dovrà inevitabilmente finire sul tavolo del Giudice. 8

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