[ Cover story ] Salvatore Gaziano

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1 [ Cover story ] AAA PARA E BANCAR Patrimoni e redditi in fuga? In tutto il mondo i governi sembrano alzare il tiro contro i contribuenti infedeli. E dall Ocse all Unione Europea, passando perfino per la Svizzera e le Cayman si inneggia, spesso solo a parole, a una maggiore trasparenza bancaria. Intanto in Italia c è chi, preoccupato dalla situazione politica ed economica, pensa di riportare all estero i propri capitali e di spossessarsi (legalmente) dei beni, per proteggere il denaro di famiglia. Ecco una panoramica sulle diverse alternative. cadere. O vuole scappare nell immediato dai cosiddetti accordi di Rubik (vedi box) come quello fra Italia e Svizzera di cui molto si è parlato prima delle elezioni politiche italiane, che imporrebbero a chi detiene capitali in nero nel territorio elvetico di pagare una robusta «taglia» per poter continuare a usufruire del segreto bancario. «Siamo in una situazione quasi tragicomica con voi italiani», racconta solo sotto la garanzia dell anonimato un banchiere ticinese. «Prima delle elezioni c era quasi la fila di risparmiatori italiani che non avevano fatto lo scudo e ci chiedevano consigli per portarli via dalla Svizzedi Salvatore Gaziano una volta i pirati. Così potrebbe cominciare questa inchiesta. Nell arcipelago caraibico le Baha- C erano mas sono state, infatti, per molto tempo uno dei covi preferiti dei pirati a partire del XVII secolo. A Nassau, la capitale, c è un museo dedicato che accoglie turisti provenienti da tutto il mondo curiosi di conoscere la storia dei più grandi filibustieri: Barbanera, Calico, Henry Morgan o Anne Bonny e Mary Read. La novità? Sono sempre di più gli italiani in visita a questo museo. Compatrioti (ma anche appartenenti ad altri paesi dell Unione Europea) con un problema particolare da risolvere: nascondere al fisco il proprio patrimonio. Anche illegalmente. Perché se oggi le Bahamas non sono più un porto franco per i pirati lo sono diventati negli anni per una delle più famose specialità dell isola insieme ai sigari Graycliff e ai frutti di mare: essere un paradiso bancario. Da Lugano a Nassau solo andata. Questo sembra, infatti, secondo i banchieri svizzeri e monegaschi interpellati una delle nuove tratte percorse (per capitali da 200/300 mila euro in su) da chi vuole far sparire al fisco i proprio patrimoni ed è preoccupato che il segreto bancario in Svizzera o in altri Paesi europei possa 12_Patrimoni_Marzo 2013

2 DISO FISCALE IO CERCASI Sopra, una veduta di Lugano, sotto lo skyline di Singapore. In alto a sinistra, sotto la bandiera americana, Nassau. 13_Patrimoni_Marzo 2013

3 [ Cover story ] asassasasasa sasasaas ra o addirittura trovare il modo di riportarli in Italia anche in contanti. Con tutti i problemi poi di versarli nelle banche italiane senza cadere nei radar delle normative anti-riciclaggio e nell occhio della vostra Agenzie delle Entrate. Ora accade quasi l opposto e sono tornati alla carica coloro che, invece, dall Italia vogliono riportare i soldi in Svizzera. Chi vi capisce è bravo». Gli ultimi dati ufficiali dalla Banca d Italia (al 31 ottobre 2012) non forniscono un quadro proprio esaltante sull andamento dei flussi. Si stimano in 115 miliardi di euro i capitali fuoriusciti dalle banche italiane tramite il circuito bancario ufficiale, mentre secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale, tra giugno 2011 e giugno 2012 sono andati fuori dai confini italiani ben 235 miliardi di euro. Un flusso ingente, che si era quasi arrestato negli scorsi mesi ma che, secondo alcune fonti bancarie, potrebbe nuovamente riprendere dopo l esito delle elezioni e la risalita dello spread. Come funziona l accordo di Rubik Così il Fisco vigila sui paradisi off-shore Non ci sono più i paradisi bancari di una volta Roberto Lenzi, avvocato specializzato in diritto finanziario e consulenza patrimoniale, descrive bene lo stato dell arte. «Contro i paradisi fiscali e bancari la pressione sta salendo perché tutti gli stati sono a caccia di entrate e la lotta all evasione è nell agenda di tutti i governi. E sarebbe quindi riduttivo dire che questa crociata è fatta nel segno di una Per evitare di rinunciare al segreto bancario e dover comunicare agli altri Stati i nominativi dei titolari di conti presso le proprie banche il governo svizzero ha proposto il cosiddetto schema di Rubik, analogamente al rompicapo inventato da Ernö Rubik nel 1974 al fine di «sistemare» tutti i tasselli finanziari nel rispettivo ambito. In pratica la Svizzera tramite accordi con singoli Paesi propone di applicare sui capitali non dichiarati nei paesi di appartenenza due tasse come sostituo d imposta (una sui proventi che maturano e una liberatoria), il cui gettito viene poi girato agli Stati in cui è residente il contribuente infedele. La più rilevante è quella secca liberatoria, secondo gli accordi già firmati (con Austria e Gran Bretagna o in divenire con la Germania), con un aliquota variabile che riguardo questi Paesi oscilla tra il 21% e il 41%, che verrebbe prelevata sui conti di chi detiene in territorio elvetico i capitali esportati illegalmente e non riemersi con lo Scudo. Il fisco italiano sorveglia tutti i rapporti con le società off-shore e pretende, in generale, che le transazioni economiche con società utilizzate in paradisi fiscali siano regolari e al giusto prezzo. Le più importanti disposizioni di legge in materia di società off-shore sono: la presunzione di residenza in Italia delle persone fisiche con residenza in paradisi fiscali (art. 2, comma 2-bis.Tuir); la tassazione integrale dei dividendi off-shore incassati da persone fisiche (art. 47, comma 4, Tuir); la presunzione di residenza in Italia di società collocate in paesi a bassa tassazione (art. 73, comma 5-bis, Tuir); la tassazione integrale dei dividendi off-shore incassati da società (art. 89, comma 3, Tuir); l indeducibilità dei costi pagati a società off-shore (8art. 110, commi 1 e 11, Tuir); il regime delle controlled foreign corporation o CFC (artt. 167 e 168 Tuir). maggiore onestà, perché molti Paesi (vedi gli Stati Uniti) che sono in prima fila a combattere i centri offshore altrui non vogliono certo mettere in discussione i propri porti franchi. Ma certo la Svizzera è il Paese più bersagliato perché è lì che si nasconde gran parte dei capitali di tutto il mondo, frutto anche di evasione». Si calcola che le più di 320 banche della Confederazione gestiscano patrimoni per oltre miliardi di euro di cui più della metà proviene da Paesi stranieri. Tra i 100 e i 200 miliardi dovrebbero essere di risparmiatori italiani. Secondo la gran parte delle stime circa il 90% di questi capitali sono arrivati in Svizzera illegalmente, cioè aggirando le leggi fiscali sull esportazione di capitali. Qualcuno pensa che basti spostare i soldi dalla Svizzera a Montecarlo... «È poco realistico pensare che la Svizzera», osserva Lenzi, «possa adeguarsi in materia di collaborazione in campo fiscale, se la stessa strada non la seguiranno 14_Patrimoni_Marzo 2013

4 asassasasasa sasasaas [ Cover story ] anche altri paesi (per esempio, Liechtenstein, Montecarlo, Austria, Lussemburgo). Si creerebbe, di fatto, un asimmetria competitiva proprio tra i paesi più coinvolti in questo processo». E l accordo con la Svizzera? Se tutto va bene, nel 2015 Secondo il think tank di attivisti Tax justice network, guidato da James Henry, esperto di tassazione, ex capo economista della società di consulenza McKinsey, i paradisi bancari occultano ricchezze molto più grandi del tesoro di Alì Babà: almeno 21mila miliardi di dollari (circa 15 mila miliardi di euro). Una cifra enorme pari al valore delle economia Usa e del Giappone messe insieme. Si è molto parlato negli scorsi mesi anche per l Italia di un accordo con la Svizzera alla tedesca, sul modello di Rubik, una sorta di nuovo scudo fiscale ma molto più salato e Silvio Berlusconi in campagna elettorale si era già lanciato nel considerarlo quasi fatto e con i proventi pronto a finanziare la restituzione dell Imu. «Non prima del 2015 si arriverà all effettiva applicazione, anche in caso di accordo fra Italia e Svizzera», hanno fatto comunque sapere i governanti svizzeri. «La chiusura di questo accordo», spiega Roberto Lenzi, «con la stessa Germania sembra arrivato, al momento, a un binario morto perché un ramo del Parlamento tedesco si oppone. Giudica troppo bassa l aliquota richiesta, intravede nella normativa troppi buchi e inoltre i La piazza centrale di Lugano Lander tedeschi vorrebbero che il gettito andasse a loro beneficio. Ma in questo momento l altro problema per la chiusura dell accordo è l Unione Europea, che vorrebbe si procedesse in senso comunitario. Ovvero si attuasse quello che prevede l Ocse, in pratica attraverso lo scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati contraenti. E a tutto ciò va aggiunta la confusa situazione politica e governativa italiana». Fiduciaria, un taxi per grandi patrimoni Come si stanno muovendo coloro che possiedono patrimoni importanti e sono preoccupati della situazione economica, finanziaria e politica italiana? Secondo Fabrizio Vedana, vicedirettore di Unione Fiduciaria, da diverso tempo la parola d ordine fra gli affluent è una sola: diversificazione. «Chi ha patrimoni ingenti non vuole correre troppi rischi e quindi punta sulla diversificazione. I rischi da cui Fabrizio Vedana, ci si vuole proteggere? Il rischio Paese, quello controparte, quello banca- vicedirettore di Unione Fiduciaria rio. E molti vedono soprattutto nella Svizzera, a torto o ragione, un porto sicuro». E il ruolo della fiduciaria è visto da molti investitori come quello di un taxi che accompagna a destinazione e fornisce una serie di utili servizi. Anche se non mancano coloro che ne hanno un idea distorta come quella di pensare che tramite una fiduciaria ci si nasconda agli occhi del Fisco. «Chi sottoscrive un mandato tramite una fiduciaria», spiega Vedana, «delega la sottoscrizione di un conto corrente o una gestione in Svizzera o in un altro Paese. La fiduciaria diventa intestataria di quel conto e fa da sostituto d imposta. Ma questo non vuol dire che non aderiamo alla normativa anti-riciclaggio o non comunichiamo all amministrazione finanziaria italiana chi sono i reali beneficiari dei nostri conti». Tra i diversi strumenti a cui guardano coloro che possiedono patrimoni che vogliono proteggere, due soprattutto i più utilizzati: i trust e le polizze assicurative. In Italia il trust, seppure non siano mai state emanate norme ad hoc, è un soggetto giuridico riconosciuto. E può offrire numerosi vantaggi a privati o aziende, visto che gli asset che possono entrare a fare parte del trust (finanziari o immobiliari) diventano una massa patrimoniale separata e distinta da quella del disponente (e del trustee). E fiscalmente questo può significare godere per i beneficiari di importanti vantaggi. «Il trust è un interessante cassaforte giuridica», conferma Vedana. «E visti i costi di gestione è un istituto che viene preso in considerazione da persone con patrimoni da 1 milione di euro in su. Ma è qualcosa che va strutturato rispettandone lo spirito e le regole, altrimenti tutta la struttura rischia di essere considerata illegale dal fisco. L obiettivo deve essere quello di proteggere un patrimonio e per esempio lasciarlo ai propri eredi. E chi dispone e fonda un trust evidentemente non può essere il beneficiario o voler mantenerne le leve del comando. La separatezza deve essere totale». Le polizze assicurative sono poi un ulteriore strumento che offre diversi vantaggi come l impignorabilità, l insequestrabilità (ferme restando le norme imperative previste dall ordinamento italiano) e la non assoggettabilità a imposte. Nel caso di quelle estere a questi vantaggi si può aggiungere quello di avere meno vincoli sugli investimenti sottostanti. Ma come ricordano i professionisti di questo settore, prima di affidarsi a qualsiasi soluzione è bene muoversi con cautela e sentendo il parere di strutture preparate di consolidata professionalità e reputazione, pena il rischio di trovarsi in guai seri. 17_Patrimoni_Marzo 2013

5 Cover Story È infatti sull articolo 26 della convenzione dell Ocse che da anni si sta disputando una battaglia fra coloro che ne vogliono l attuazione e gli Stati che fanno melina perché temono che un applicazione porterebbe un serio danno alle proprie economie. La Svizzera è un caso emblematico di paese che mette davanti quasi a tutto il segreto bancario (si calcola che oltre il 10% del Pil della Confederazione derivi dall industria finanziaria), ma in Europa non è certo sola visto che anche altri Paesi, dal Belgio al Lussemburgo, dall Austria al Liechtenstein, hanno un po allentato il segreto bancario ma non vogliono certo rinunciarvi completamente. In ogni caso, in Svizzera si sta prendendo atto che il mondo (compreso quello dei paradisi bancari) sta cambiando e da qualche anno si sta dirigendo (soprattutto sotto la pressione di Paesi come gli Stati Uniti) verso lo scambio automatico di informazioni fiscali con l estero. «Entro cinque anni, forse dieci, il nome dei clienti esteri delle banche svizzere verrà consegnato automaticamente alle autorità estere», ha dichiarato qualche mese fa l ex presidente della Banca nazionale svizzera, Philipp Hildebrand. E l ultimo Consiglio Federale svizzero di febbraio ha ribadito alla banche di «rifiutare di stabilire relazioni d affari o non accettare capitali quando si sappia o si presuma sulla base di sospetti fondati che i valori patrimoniali non sono dichiarati al fisco», seppure al momento non si sia ancora arrivati a richiedere ai clienti esteri una dichiarazione di pagamento delle imposte nel paese di residenza. Cosa che invece potrebbe entro la fine dell anno concretizzarsi a Singapore dove molti capitali fuggiti dalla Svizzera avevano cercato riparo. «Coloro che hanno trasferito i propri asset dalla Svizzera a istituti di credito Roberto Lenzi, avvocato specializzato in diritto finanziario e consulenza patrimoniale della piazza asiatica», conferma Roberto Lenzi, «si trovano oggi in seri problemi. Un contribuente tedesco, inglese o italiano, oltre a considerare gli eventuali accordi sullo scambio di informazioni stipulati dal proprio Paese con Singapore (l Italia lo ha ratificato lo scorso settembre) deve altresì confrontarsi con la posizione assunta dall Autorità monetaria di Singapore che ha invitato le istituzioni finanziarie della piazza asiatica a prestare una particolare attenzione alle relazioni con la clientela (nuova ed esistente), attraverso l attuazione di policy più rigorosa e, in ogni caso, tale da classifica 2011 Philipp Hildebrand, ex presidente della Banca nazionale svizzera La top 20 dei paradisi più discreti. Con sorprese Quali sono i paesi al mondo che custodiscono i segreti finanziari più gelosamente? Il Financial Secrecy Index redatto da Tax Justice Network smentisce molti luoghi comuni sull argomento: i principali e più importanti attori del segreto finanziario mondiale non sono piccoli stati offshore, ma alcuni dei Paesi più grandi e più ricchi del mondo. Nello studio che ha portato alla classifica di 73 paesi in cui il segreto finanziario è molto importante, sono stati considerati 3 parametri: segreto bancario, giurisdizione societaria e barriere allo scambio di informazioni o alla cooperazione tra polizie fiscali. A destra, la top 20 dove oltre oltre al segreto finanziario si considera anche il mercato finanziario. Paese Punteggio Segretezza Peso del mercato 1 Svizzera Isole Cayman Lussemburgo Hong Kong Usa Singapore Jersey Giappone Germania Bahrain British Virgin Islands Bermuda Regno Unito Panama Belgio Isole Marshall Austria Emirati Arabi Uniti (Dubai) 19 Bahamas Cipro fonte: Tax Justice Network 18_Patrimoni_Marzo 2013

6 Cover Story La cancelliera tedesca Angela Merkel consentire una due diligence critica e accurata sulle transazioni e sulla provenienza del denaro». E così chi ha portato i soldi a Singapore, salvo che non possa dimostrare alle autorità che è stato dichiarato nel modello RW, dovrà prendere ancora le valigie alla caccia di un altro paradiso bancario. Già ma quale? C è il rischio concreto di passare dalla padella alla brace se si scelgono professionisti inadeguati, intermediari borderline o si punta sul paradiso fiscale sbagliato. «La concorrenza fra i paradisi bancari è alta e anche nella stessa Europa ci sono situazioni particolari», dice Lenzi. Fra quelli considerati poi paradisi offshore non tutti sono uguali per sicurezza, politica, legislazioni, trasparenza ed efficienza dei mercati. Elementi che spesso mal si conciliano con la scelta di mete esotiche come il Brunei, Nauru o altri paradisi lontani». In questa situazione i Paesi che stanno intercettando i flussi dei capitali irregolari sono quindi quelli che non hanno sostanzialmente aderito all articolo 26 dell Ocse e si oppongono allo scambio d informazioni fiscali fra Stati. Quelle giurisdizioni più favorevoli in tema di segreto bancario e fiscalità più morbide in tema di compliance, che rispondono al momento a località esotiche come: Bahamas, Anguilla, Aruba, Barbados, Belize, Bermuda, Panama, Brunei, Macao, Isole Vergini o le Tuvalu, solo per fare qualche esempio. Le multinazionali e dumping fiscale Se questa è la situazione dei paradisi bancari (dove sono maggiormente tutelati gli aspetti legati al segreto bancario), la situazione è molto variegata anche nei cosiddetti paradisi fiscali, ovvero quei paesi che consentono di pagare a privati (come Monaco) o imprese (come l Irlanda, ma anche il Delaware o il Nevada negli Stati Uniti) non residenti imposte nulle o molto basse. Un vero dumping fiscale che ha consentito in questi anni a molte aziende (anche multinazionali) di evadere legalmente le tasse, grazie a collaudate triangolazioni con l obiettivo di ottimizzare il carico fiscale, sottraendolo all erario dei rispettivi stati. Anche qui lentamente il vento sta cambiando e secondo i più ottimisti molte società europee e multinazionali potrebbero avere i giorni contati nell applicare queste furbizie, che sfruttano le numerose lacune legislative in tema di tasse nell utilizzo dei paradisi fiscali. Tra i casi recentemente balzati alle cronache, le accuse a marchi famosi (e che compaiono nell elenco delle aziende più ammirate al mondo) come Google, Amazon, Starbucks, Facebook ed Apple. Aziende che fatturano migliaia di miliardi ma che riescono ad alleggerire il carico fiscale quasi come fossero delle onlus. Secondo le stime europee le multinazionali, portando i propri guadagni verso paesi meno aggressivi sulle tasse e sottraggono alle casse dei paesi membri della Ue ben 60 miliardi di dollari ogni anno. Un meccanismo di elusione o più spesso di vera e propria evasione che sta facendo breccia tra professionisti e imprenditori italiani, sempre più attratti dalle pubblicità seducenti di chi offre sul web, per poche migliaia di dollari, il catalogo completo dei paradisi fiscali dove poter costituire la propria «corporation» o «limited». Idea furba? Nella maggior dei casi no perché se non è vietato costituire società all estero va ricordato che secondo l ordinamento italiano le tasse si pagano dove il reddito si produce. E l esterovestizione è un grave reato tributario. «Solo il popolino paga le tasse», ha detto Leona Helmsley, milionaria newyorkese. Che è stata comunque pizzicata dal fisco americano ma la cui considerazione è condivisa da un sempre più elevato numero di contribuenti nel mondo. Compresa la cancelliera tedesca Angela Merkel probabilmente, che qualche settimana fa in una conferenza ha alzato il suo ditino contro i furbetti dell elusione internazionale. «Non può essere che le grandi multinazionali», ha detto, «facciano enormi profitti da noi, in tutta Europa, negli Usa o altrove, e che poi paghino le tasse in un paradiso fiscale». Al prossimo G8, che si terrà a giugno in Gran Bretagna, ha aggiunto la cancelliera, «combatteremo per mettere fine alle oasi fiscali. Per questo obiettivo deve combattere però il mondo intero, altrimenti non ce la faremo». Demagogia elettorale? Può essere. Anche perché come osserva giustamente Fabrizio Vedana, vicedirettore generale di Unione Fiduciaria, «se non si arriva a una vera armonizzazione fiscale europea queste sono delle battaglie contro i mulini a vento. Se prima non si definisce per bene quali sono i reati finanziari, cosa è l evasione e l elusione e valgano le stesse regole almeno in tutto il Vecchio Continente non si va lontani». E in effetti quello che capita oggi, per esempio, è che se un italiano va in banca e chiede di versare 10mila euro in contanti perché frutto di nero non lo può fare o viene segnalato alle Autorità, mentre se fa la stessa operazione in Svizzera, ma anche in Lussemburgo o in Inghilterra, non è un problema e non compie un operazione illegale. «In campo fiscale», spiega Vedana, «sono numerosi i disallineamenti di questo tipo. E se Bruxelles non interviene quello che si decide a Roma non serve a nulla perché se una cosa è vietata in Italia ma è lecita oltrefrontiera ci sarà sempre chi saprà sfruttare queste differenze in un regime di libero mercato. Il risultato saà solo quello di allontanare gli investitori. Anche buoni». P 20_Patrimoni_Marzo 2013