MILANO, 8 APRILE 2013
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1 DIFENDERE IL PATRIMONIO AZIENDALE: PATTO DI NON CONCORRENZA E INFORMAZIONI CONFIDENZIALI MILANO, 8 APRILE 2013 INDICE ARGOMENTI: 1. CONCORRENZA SLEALE E VIOLAZIONE DELL OBBLIGO DI FEDELTA (P. 2) 2. PATTO DI NON CONCORRENZA (P. 6) 3. CONGRUITA DEL CORRISPETTIVO (P. 17) La concorrenza sleale non può essere configurata né sulla base della dannosità della condotta per l'avversario né sulla base di un non ben definito animus nocendi. In particolare, va negato che tale animus nocendi valga a rendere illecite condotte che - esaminate sul piano oggettivo - tali non sarebbero. Ogni condotta di concorrenza è tenuta dall'imprenditore nella piena consapevolezza del danno che essa può arrecare al proprio concorrente ed è, anzi, finalizzata a questo obiettivo e solo una malintesa concezione dell'attività imprenditoriale può arrivare ad immaginare una concorrenza non finalizzata alla eliminazione del concorrente dal mercato. Con particolare riguardo allo storno di dipendenti, va affermato il pieno diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purché ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente. Di riflesso, va affermato il diritto di ogni lavoratore - sancito dall'art. 35 Cost. - a mutare il proprio datore di lavoro senza che il bagaglio di conoscenze ed esperienze maturato nell'ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permettergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in una sorta di vincolo che lo leghi all'attuale datore di lavoro e che precluda al lavoratore stesso la possibilità di cercare sul mercato nuovi sbocchi professionali (Cfr. Trib. Monza, 24 gennaio 2000). Studio Legale Via della Moscova Milano Tel Fax lexellent@lexellent.it -
2 CONCORRENZA SLEALE E VIOLAZIONE DELL OBBLIGO DI FEDELTA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E DI MERITO Ai fini della violazione dell'obbligo di fedeltà in relazione allo svolgimento di attività concorrenziale in pendenza del rapporto di lavoro, deve essere dimostrato non il mero proposito da parte del lavoratore bensì il compimento di almeno una parte dell'attività concorrenziale. Il danno deve essere provato secondo i principi generali in quanto non è in re ipsa per rapporto alla commissione dell'illecito ma ne costituisce conseguenza ulteriore rispetto alla distorsione della concorrenza da rimuovere. Cass. civ., Sez. lavoro, 04 aprile 2012, n Non integra violazione dell'obbligo di fedeltà l'utilizzazione di documenti aziendali finalizzata all'esercizio di diritti (nella specie, la Corte ha confermato l'illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore che aveva usato documenti riservati della società per fare causa al proprio datore). Cass. civ., Sez. lavoro, 16 novembre 2012, n In tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto illegittimo e sproporzionato il licenziamento di un dipendente bancario che aveva negato alla società datrice di lavoro di aver comunicato ai propri colleghi di essere in procinto di presentare le dimissioni, dovendosi ritenere che la ricerca di un diverso posto di lavoro costituisca un fatto attinente alla sfera privata del lavoratore, suscettibile di assumere rilevanza disciplinare solo se accompagnato ad una effettiva violazione dell'obbligo di fedeltà). Cass. civ., Sez. lavoro, 07 aprile 2011, n Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all'art cod. civ., tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell'azienda; ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite. Cass. civ., Sez. lavoro, 08 febbraio 2011, n Ai fini della configurabilità di una violazione dell'obbligo di fedeltà previsto dall'articolo 2105 c.c. che si specifica nel divieto di concorrenza nei confronti del prestatore di lavoro subordinato-divieto che riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del 2
3 rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso-non sono sufficienti gli atti che esprimono il semplice proposito del lavoratore di intraprendere un'attività economica concorrente con quella del datore di lavoro, essendo invece necessario che almeno una parte dell'attività concorrenziale sia stata compiuta, così che il pericolo per il datore di lavoro sia divenuto concreto durante la pendenza del rapporto. Trib. Modena, Sez. lavoro, 9 marzo 2010 È riservata ai giudici del merito e non può essere riesaminata in cassazione, se sorretta da adeguata e coerente motivazione, assolutamente pertinente, logica e risolutiva, la valutazione della sussistenza in concreto della rivelazione di segreti industriali, tutelati in base ai principi in materia di "know how", da parte di un addetto che era a conoscenza di tali segreti. Cass. civ., Sez. I, 30 ottobre 2009 n È legittimo il licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore che, in violazione dell'art c.c., abbia svolto attività di concorrenza sleale in danno del proprio datore di lavoro, anche in mancanza di affissione del codice disciplinare, purché siano osservate le garanzie previste dall'art. 7, 2 e 3 comma, legge n. 300 del Cass. civ., Sez. lavoro, 10 agosto 2009, n Il dipendente, una volta terminato il rapporto con un datore di lavoro può continuare ad esplicare, per conto proprio (in forma singola o associata)o di terzi, la sua attività, utilizzando le cognizioni e le esperienze acquisite nel corso del precedente rapporto di lavoro; peraltro è altresì pacifico che l'ex dipendente, ancorché non vincolato da un patto di non concorrenza, e l'azienda concorrente che lo assume, devono operare correttamente: da ciò consegue, atteso il disposto dell'art. 2598, n. 3, c.c., che l'ex dipendente non può utilizzare a favore del nuovo datore di lavoro quelle informazioni o conoscenze che vanno al di là del suo bagaglio di conoscenze professionali (e che, pur non assumendo i caratteri della segretezza di cui all'art. 98 C.p.i. - D.lgs. n. 30/2005, sono interne all'azienda di provenienza e non sono suscettibili di divulgazione e di utilizzazione al di fuori dell'azienda stessa), e che il secondo datore di lavoro, a vantaggio del quale viene operato l'illecito travaso delle informazioni riservate, risponde in solido con il predetto "ex dipendente" dei danni cagionati. Nel caso di specie, è stato accertato che presso alcuni dei convenuti ex dipendenti dell'attrice erano state rinvenute tabelle di tesatura, schede clienti e specifiche tecniche: dati ed informazioni che, sebbene non segreti nel senso indicato dagli artt. 98 e 99 C.p.i., costituiscono pur sempre patrimonio aziendale non suscettibile di divulgazione e utilizzazione fuori dell'impresa originaria datrice di lavoro, e sono proteggibili con la normativa della concorrenza sleale; nel caso concreto, poi, era risultato, dalle risultanze di procedimento penale, che la impresa concorrente convenuta aveva sicuramente utilizzato le predette informazioni commerciali: detta impresa è stata pertanto condannata al risarcimento dei danni a favore dell'attrice. Trib. Torino, Sez. IX, 2 luglio 2009 L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art cod. civ., dovendo integrarsi con gli artt e 1375 cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'illegittimità del licenziamento irrogato, per violazione dell'obbligo di fedeltà, ad un lavoratore che aveva 3
4 svolto la pratica legale curando, in sede giudiziaria o extragiudiziaria, interessi di terzi in conflitto con quelli del datore di lavoro, ritenendo irrilevante la scarsa complessità dell'attività o il ridotto impegno richiesto dalla stessa). Cass. civ., Sez. lavoro, 18 giugno 2009, n L'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, con modalità tali che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si traducono in una condotta lesiva del decoro dell'impresa datoriale, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro, è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione del dovere scaturente dall'art cod. civ., e può costituire giusta causa di licenziamento. Cass. civ., Sez. lavoro, 10 dicembre 2008, n Integra violazione del dovere di fedeltà di cui all'art cod. civ., ed è potenzialmente produttiva di danno, la costituzione, da parte di un lavoratore dipendente, di una società per lo svolgimento della medesima attività economica svolta dal datore di lavoro. Fattispecie in cui il dipendente, ricorrente, aveva costituito con altri una cooperativa di produzione e lavoro, all'interno della quale si era impegnato a svolgere la stessa attività che svolgeva per il proprio datore di lavoro, facendo diretta concorrenza a questi. Cass. civ., Sez. lavoro, 18 luglio 2006, n Il così detto storno di dipendenti mediante il quale l'imprenditore tende ad assicurasi le prestazioni lavorative di uno o più dipendenti di un'impresa concorrente, rappresenta una normale espressione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. e della libera circolazione del lavoro ex art. 4 Cost. Quindi affinché l'attività di acquisizione di collaboratori e dipendenti integri l'ipotesi di concorrenza sleale è necessario che sia stata attuata con la finalità di danneggiare l'altrui azienda, in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di dipendenti che scelgano di lavorare presso altra impresa. Tribunale Milano 11 agosto 2005 Il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, quindi, qualora non sussista il cosiddetto "rapporto di concorrenzialità", non esclude la sussistenza di un atto di concorrenza sleale anche nel caso in cui un tale atto sia posto in essere da colui il quale si trovi con il soggetto avvantaggiato in una particolare relazione, in grado di far ritenere che l'attività sia stata oggettivamente svolta nell'interesse di quest'ultimo; peraltro, a detto fine è insufficiente la mera circostanza del vantaggio arrecato all'imprenditore concorrente, ma neppure occorre che sia stato stipulato con questi un pactum sceleris, essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell'esistenza di una relazione di interessi tra autore dell'atto ed imprenditore avvantaggiato, in carenza del quale l'attività del primo può integrare un illecito ex art. 2043, c.c., non anche un atto di concorrenza sleale. (Nella specie, un rappresentante di commercio di tre diverse imprese aveva compiuto atti diretti a sviare la clientela di un imprenditore in favore di una impresa da lui non rappresentata; la S.C., in applicazione del succitato principio di diritto, ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto la responsabilità del rappresentante di commercio ex art. 2598, c.c., anche in mancanza di prova della esistenza di una relazione di 4
5 interessi tra il predetto e l'imprenditore concorrente avvantaggiato dall'atto di concorrenza sleale). Cass. civ., Sez. I, 8 settembre 2003 n Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all'art c.c., tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell'azienda. Cass. civ., Sez. lavoro, 4 maggio 2002, n L'obbligo di fedeltà del dipendente si ricollega ai principi di correttezza e buonafede di cui agli art e 1376 c.c. ed implica che il lavoratore debba astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art c.c., ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa del datore di lavoro o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto di lavoro. Trib. Milano, 25 agosto 2001 Il dovere di fedeltà consiste nell'obbligo di tenere un comportamento leale, anche al di fuori dell'orario di lavoro determinato dalla necessità di salvaguardare il datore di lavoro contro il possibile uso pregiudizievole delle notizie e delle informazioni di cui il lavoratore viene, comunque, a conoscenza. L'espressione "trattare affari" di cui all'art c.c., evoca l'esercizio di un'attività che sia connotata da un minimo di continuità oltre che da stabilità, sicché non viola l'obbligo di fedeltà il dipendente che fuori dell'orario di lavoro, occasionalmente compia in favore di terzi atti inerenti alla stessa attività dedotta nel contratto di lavoro subordinato. Trib. Milano, 16 maggio 2000 Costituisce atto di concorrenza sleale, contrario alle regole di correttezza professionale, lo sviamento di clientela posto in essere dall'ex-dipendente di un'azienda che, facendo uso di conoscenze riservate acquisite nel precedente rapporto di lavoro subordinato (e relative alla clientela ed alle condizioni economiche dei rapporti contrattuali in corso), intraprenda analoga attività imprenditoriale acquisendo sistematicamente i clienti del concorrente (attraverso la predisposizione di lettere di disdetta dei contratti preesistenti, l'invio delle stesse a sua cura nei termini contrattualmente previsti, la conseguente stipulazione di nuovi contratti). Con riguardo allo sviamento di clientela, che venga posto in essere utilizzando notizie sui rapporti con i clienti di altro imprenditore, acquisite nel corso di pregressa attività lavorativa svolta alle sue dipendenze, la configurabilità di concorrenza sleale, ai sensi dell'art n. 3 c.c., deve essere riconosciuta ove quelle notizie, ancorché normalmente accessibili ai dipendenti, siano per loro natura riservate, in quanto non destinate ad essere divulgate al di fuori dell'azienda. Cass. civ., Sez. I, 20 marzo 1991 n Il tentativo di asportazione di documenti aziendali riservati da parte del lavoratore, che pure ne abbia la disponibilità per ragioni inerenti al suo ufficio, allo scopo dichiarato di utilizzarli in un futuro ed eventuale giudizio nei confronti del datore di lavoro, costituisce violazione del dovere di fedeltà ai sensi dell'art c.c., posto che unico ed esclusivo titolare dei documenti è il datore 5
6 di lavoro che può opporsi alla loro divulgazione anche in sede giudiziaria non aderendo all'ordine di esibizione del giudice (salva la valutazione di tale sua condotta a norma degli art. 116, 118 c.p.c.). (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza del tribunale che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore responsabile di tentata sottrazione di documenti aziendali riservati). Cass. civ., Sez. lavoro 24 maggio 1985 n Lo storno dei dipendenti di un'impresa da parte di un imprenditore concorrente deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell'art n. 3 c.c., allorché sia attuato non solo con la consapevolezza nell'agente dell'idoneità dell'atto a danneggiare l'altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato (cosiddetto "animus nocendi"), la quale va ritenuta sussistente ogni volta che, in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell'autore l'intento di danneggiare l'organizzazione e la struttura produttiva dell'imprenditore concorrente; ed il detto divieto manifestamente non si pone in contrasto con gli art. 41 e 35 cost., atteso che la tutela costituzionale dei principi di libertà dell'iniziativa economica e del diritto al lavoro è subordinata alla non lesione dell'utilità sociale e di una corretta economia di mercato, a cui risponde l'esigenza che la concorrenza fra gli imprenditori si svolga in modo leale. Cass. cic., Sez. I, 21 novembre 1983 n Il giudizio circa la sussistenza di una giusta causa di licenziamento presuppone il complessivo esame del comportamento del dipendente, sotto il profilo sia del contenuto oggettivo che della portata soggettiva, al fine di valutarne la concreta idoneità ad incidere gravemente sull'elemento fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro. Tale valutazione va rapportata, da un lato, alla qualità ed all'importanza delle mansioni e dei doveri propri del lavoratore e, dall'altro lato, all'esigenza della regolare attività aziendale. (Nella specie, affermando questo principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza con la quale era stato annullato il licenziamento di un lavoratore - prosciolto per amnistia dall'accusa di indebita sottrazione di documenti di ufficio prodotti nel giudizio per l'ottenimento di una qualifica superiore - senza adeguata valutazione della reale gravità di tale sottrazione sia in relazione alla posizione di capo della sorveglianza aziendale, propria del lavoratore stesso, sia in relazione alla rilevanza amministrativa, contabile ed organizzativa dell'integrità dell'archivio aziendale). Ai fini della valutazione della giusta causa è irrilevante indagare se il comportamento del lavoratore abbia in concreto prodotto anche un effettivo pregiudizio, essendo sufficiente la sua attitudine a scuotere la fiducia che l'imprenditore ripone nel proprio dipendente. Cass. cic., Sez. lavoro, 29 giugno 1981 n
7 PATTO DI NON CONCORRENZA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E DI MERITO AREA Cass. civ., Sez. lavoro, 16 settembre 2010, n Contratto di agenzia Zona e clientela App. Bologna, Sez. lavoro, 20 maggio 2008 Attività Settore merceologico Prodotti Cass. civ., Sez. lavoro, 15 maggio 2007, n Limiti oggetto, tempo, luogo Il patto di non concorrenza stipulato tra agenti di assicurazione è valido solo nell'ambito della medesima zona e clientela, mentre deve ritenersi nullo per le parti eccedenti, con esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva attesa la natura indisponibile alle parti della previsione di cui all'art bis, primo comma, cod. civ. Nel patto di non concorrenza previsto e disciplinato dall'art c.c. vengono in rilievo le attività che non siano estranee allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera l'azienda con la quale il lavoratore stipula tale patto; si deve quindi ritenere violato il patto quando l'impresa con la quale il dipendente stipulò il patto e l'impresa per la quale lo stesso ha iniziato a lavorare dopo aver cessato il rapporto con la prima, operano nello stesso settore merceologico, nel medesimo ambito territoriale e si rivolgono ad una clientela comune, per cui tra le stesse sussista un rapporto di concorrenza; la circostanza che i rispettivi prodotti si diversifichino per tipologia e prezzo non può certo valere ad escludere il rapporto concorrenziale, rapporto che sussiste anche quando i prodotti non sono identici ma soltanto affini e destinati a soddisfare bisogni analoghi o complementari. Il patto di non concorrenza che può essere stipulato tra datore di lavoro e dipendente per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, dev'essere contenuto, ai sensi dell'art c.c., entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo. Possono 7
8 Trib. Torino, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 18 gennaio 2007 Rapporto art e art c.c. Cass. civ., Sez. lavoro, 4 aprile 2006, n Limiti oggetto, tempo, luogo ritenersi ammissibili anche delle clausole aggiuntive che peraltro non siano in violazione in concreto di tali principi. In costanza di rapporto di lavoro, il dipendente è tenuto ad osservare l'obbligo di fedeltà di cui all'art c.c.. Terminato il rapporto di lavoro, l'ex dipendente, ove non abbia sottoscritto un patto di non concorrenza ex art c.c., può ben continuare ad esplicare, per conto proprio o di terzi, la propria attività, utilizzando le cognizioni e le esperienze acquisite nel precedente rapporto di lavoro. L'evoluzione professionale del lavoratore, la quale dipenda da conoscenze acquisite nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, può, in quanto ormai divenuta parte della personalità del medesimo, essere da lui posta a supporto di sue migliori possibilità professionali nella vita di relazione, sia che ciò avvenga in ulteriori successivi rapporti di lavoro alle dipendenze di altri imprenditori, sia che si manifesti nell'impostazione di una propria iniziativa imprenditoriale della quale la competizione professionale, anche con il precedente rapporto di lavoro, costituisce situazione fisiologica, anche quando si traduca nell'acquisizione di componenti dell'altrui clientela. Non costituisce concorrenza sleale lo sfruttamento da parte dell'ex dipendente passato alle dipendenze di un'impresa concorrente, delle conoscenze tecniche, delle esperienze e financo delle informazioni relative alla politica commerciale dell'impresa dalla quale egli proviene, a condizione che non si tratti di informazioni segrete o riservate, e che, in ogni caso, non emerga una sistematica attività di distrazione della clientela e imitazione delle iniziative imprenditoriali della medesima. Nel rapporto di lavoro subordinato il patto di non concorrenza è nullo se il divieto di attività successive alla risoluzione del rapporto non è contenuto entro limiti determinati di oggetto, di tempo e di luogo, poiché l'ampiezza del relativo vincolo deve essere tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita. La valutazione circa la compatibilità del 8
9 Trib. Torino, 16 gennaio 2006 Mansioni Professionalità Nullità Trib. Milano, 03 maggio 2005 Estensione territoriale Territorio Europeo Trib. Forlì, 31 marzo 2005 Territorio Trib. Ravenna, 24 marzo 2005 Attività Mansioni Trib. Monza, 3 settembre 2004 suddetto vincolo concernente l'attività con la necessità di non compromettere la possibilità di assicurarsi il riferito guadagno come pure la valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. Il patto di non concorrenza, previsto dall'art c.c., può riguardare una qualsiasi attività lavorativa suscettibile di competere con quella del datore di lavoro e non deve, quindi, limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. La nullità del patto è dunque ravvisabile solo allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale, considerata la sua complessiva esperienza lavorativa. Ai sensi dell'art c.c., deve ritenersi valido il patto di non concorrenza che preveda la corresponsione del corrispettivo successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro e che inibisca al lavoratore lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con quella del datore di lavoro nel territorio europeo non potendo, in linea di principio, una simile estensione territoriale ritenersi in contrasto con i limiti previsti dalla norma, tenuto conto della dimensione globalizzata dell'economia e della sfera di influenza dell'attività del datore di lavoro interessato. È legittimo il patto di non concorrenza esteso a tutto il territorio nazionale. Il patto di non concorrenza può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni svolte nel corso del rapporto, purché residui per il prestatore un margine di attività idoneo a procurargli un guadagno adeguato alle esigenze di vita, da valutarsi in relazione all'intera esperienza lavorativa maturata e non alle sole mansioni da ultimo svolte. È nullo il patto di non concorrenza tale da precludere in assoluto 9
10 Settore economico Professionalità Nullità Trib. Milano, 22 ottobre 2003 Limiti Cass. civ., Sez. lavoro, 10 settembre 2003, n Attività Mansioni Potenzialità reddituale Trib. Mantova, 7 giugno 2003 Attività Trib. Milano, 23 maggio 2003 Contratto di agenzia Limiti territoriali App. Torino, 16 maggio 2003 ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento, essendo privo di limitazione territoriale ed utilizzando per l'individuazione dell'attività una espressione assolutamente generica come "fornire prodotti analoghi", laddove il riferimento ai prodotti "analoghi" finisca per impedire ad una parte l'esercizio su tutto il territorio nazionale dell'attività per cui la stessa società era stata costituita, di fatto ponendola nella impossibilità di operare. Il patto di non concorrenza, previsto dall'art c.c., è valido purché sia stipulato in forma scritta, sia previsto un corrispettivo proporzionato all'entità della limitazione e sia contenuto entro determinati limiti di oggetto e di luogo che, valutati nel loro complesso, lascino in concreto al lavoratore la possibilità di svolgere un'attività lavorativa coerente con la professionalità acquisita. Il patto di non concorrenza, previsto dall'art c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto; esso è, perciò, nulla allorché la sua ampiezza è tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. Il patto di non concorrenza non può considerarsi limitato alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore né ai dipendenti di alto livello (dirigenti), ma deve essere esteso anche ad altre attività ed anche ai lavoratori con compiti meramente esecutivi qualora ciò possa comunque recare pregiudizio all'imprenditore, con il solo limite di non compromettere ogni potenzialità reddituale del lavoratore. In materia di contratto di agenzia, il patto di non concorrenza stipulato senza l'indicazione dei limiti territoriali previsti dall'art bis c.c. deve intendersi circoscritto alla zona di competenza dell'agente nel corso del rapporto di agenzia. L'art c.c. richiede soltanto che siano determinati i limiti di oggetto, di tempo e di luogo dell'obbligo di non concorrenza 10
11 Limiti Estensione Ratio della norma App. Milano, 31 luglio 2002 Assenza limiti territoriali Trib. Milano, 8 giugno 2002 Limiti oggetto, tempo e luogo Nullità Professionalità Cass. civ., Sez. lavoro, 19 aprile 2002, n Settore e attività Esperienza e professionalità Tipo di lavoro Ammissibilità pattuito dal lavoratore con il datore di lavoro, ma non fornisce indicazioni sulla loro estensione, desumibile quindi dalla ratio della norma che è quella di assicurare al lavoratore un margine di attività idoneo a garantirgli un guadagno adeguato alle esigenze di vita. L'assenza di limiti territoriali non determina per ciò solo la nullità di un patto di non concorrenza. Infatti, nell'ipotesi in cui sia ridotta l'area in cui il lavoratore non può occuparsi - sicché in un più esteso e differenziato settore merceologico, nel quale tale area si inserisce, egli, anche in considerazione dell'elevato livello di professionalità raggiunto, ha ampie possibilità di utilizzare capacità manageriali - la sua capacità redditizia non ne è compromessa in modo significativo ed è, quindi, salva la ratio dell'art c.c. Ai sensi dell'art c.c., la nullità del patto di non concorrenza per mancato rispetto dei limiti di oggetto, di tempo e di luogo, ai quali deve conformarsi la previsione del divieto di attività successive alla risoluzione del rapporto di lavoro, è ravvisabile quando l'ampiezza del patto sia tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non salvaguardino un margine di attività coerente con la professionalità acquisita e sufficiente per il soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore (nella fattispecie, è stato ritenuto nullo il patto con il quale era stato inibito ad un lavoratore di svolgere, per un periodo di tre anni e nell'intero territorio della Repubblica italiana, qualsiasi attività in concorrenza con quella del datore di lavoro. Nell'attuale situazione di mercato, caratterizzata da agguerrita concorrenza tra imprenditori, anche il commesso addetto alle vendite può risultare portatore di elementi di conoscenza ad esperienza tali da influire sulle scelte dei consumatori, e pertanto è ammissibile (e non è nullo per difetto di causa giustificatrice) il patto di non concorrenza che ne limiti, in termini ragionevoli, l'attività per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. 11
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