Crisi della fisica classica

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1 Complementi alle lezioni di Fondamenti di Struttura della Materia Laurea Magistrale in Fisica - a.a. 2014/ Università degli Studi di Cagliari Crisi della fisica classica Luciano Colombo Dipartimento di Fisica - Università degli Studi di Cagliari Cittadella Universitaria, Monserrato (Ca) La riproduzione, anche parziale, di questa Dispensa in qualsivoglia formato cartaceo, elettronico o virtuale è severamente vietata. Si invita il Lettore ad inviare segnalazione di eventuali errori o ambiguità al seguente indirizzo di posta elettronica: luciano.colombo@dsf.unica.it

2 Presentazione Questa Dispensa è messa a disposizione degli Studenti sul sito ed è intesa come semplice complemento alle lezioni tenute dal prof. Luciano Colombo durante il secondo semestre dell a.a. 2014/2015, nell ambito del corso Fondamenti di Struttura della Materia - Laurea Magistrale in Fisica, dell Università degli Studi di Cagliari. E doveroso sottolineare che questi appunti non rappresentano un trattato completo; sono, piuttosto, da intendere come un semplice ausilio didattico offerto allo Studente, principalmente finalizzato a completare le lezioni frontali. Lo stile di scrittura è, dunque, molto conciso e le dimostrazioni sono spesso solo schematicamente illustrate, lasciando alla cura dello Studente la ricostruzione dettagliata di tutti i passaggi. 2

3 Indice 1 Inquadramento storico 4 2 Il calore specifico dei gas e dei solidi Teoria cinetica dei gas Energia interna di un gas monoatomico ideale ed equipartizione dell energia Calori specifici di gas mono e bi atomici Calori specifici dei solidi Lo spettro del corpo nero Gli esperimenti e la teoria classica La teoria quantistica di Planck L effetto fotoelettrico 18 5 La fisica dei quanti Spettri atomici Il modello di Bohr per l atomo di idrogeno Estensioni del modello di Bohr L ipotesi di de Broglie ed il dualismo onda corpuscolo Il principio di indeterminazione di Heisenberg Momenti magnetici associati ai moti orbitali elettronici Lo spin

4 Capitolo 1 Inquadramento storico Verso la fine del XIX secolo la fisica aveva raggiunto un soddisfacente livello di sviluppo teorico e sperimentale. Essa permetteva di rendere conto praticamente di tutti i fenomeni naturali allora conosciuti: La meccanica era stata completamente compresa e nella sua formulazione lagrangiana ed hamiltoniana aveva raggiunto un assoluto livello di rigore matematico. La derivazione delle quattro equazioni di Maxwell aveva, invece, riconciliato in un unica teoria di campo elettromagnetico tutta quella vastissima fenomenologia di effetti elettrici e magnetici scoperta ed investigata negli ultimi cento anni. Parallelamente, l ottica (sia geometrica che fisica) aveva spiegato tutti i principali fenomeni ondulatori (sia di tipo luminoso che meccanico). Infine, la termodinamica aveva permesso di capire in profondità le leggi che governano la generazione, lo scambio e la trasformazione di energia in forma di calore. Cosa importantissima, le conoscenze teoriche avevano una vivace controparte sperimentale che aveva favorito, a sua volta, un impetuoso sviluppo tecnologico. Questo quadro confortante era destinato ad essere sconvolto nel giro di pochissimi anni nella transizione tra i secoli XIX e XX. Stava, infatti, per offrirsi all attenzione dei fisici una ricca serie di nuovi fenomeni che sfuggivano ad ogni tentativo di interpretazione basato sulla meccanica, elettromagnetismo, ottica o termodinamica classica. In un modo o nell altro, essi risultarono tutti riconducibili alle proprietà fisiche del mondo microscopico. La risposta che la comunità internazionale dei fisici diede a questa sfida rappresentò probabilmente il momento di più grande fertilità intellettuale di questa disciplina scientifica. Essa, infatti, porterà all elaborazione della meccanica quantistica ed alla sua applicazione sistematica ai nuovi fenomeni. La meccanica quantistica rappresenta lo strumento più efficace per spiegare in modo profondo e completo i fenomeni naturali su scala microscopica. Questa rivoluzione rappresenta, inoltre, un esempio estremamente significativo di come il metodo scientifico è capace di superare e trasformare i propri postulati di base. In questo Dispensa vengono presentate e discusse alcune fenomenologie microscopiche che risultano non spiegabili in base alla fisica classica. Verrà, quindi, introdotto il rivoluzionario concetto di quanto di energia che sta alla base degli sviluppi teorici che hanno portato alla formalizzazione della meccanica quantistica. 4

5 Capitolo 2 Il calore specifico dei gas e dei solidi 2.1 Teoria cinetica dei gas La teoria cinetica dei gas predice le proprietà macroscopiche dei gas a partire dall ipotesi che essi siano formati da costituenti elementari quali atomi o molecole. L idea chiave alla base della teoria consiste nella rinuncia a calcolare esplicitamente in modo esatto le proprietà di particella singola (obiettivo praticamente irrealizzabile, visto che una mole di sostanza contiene dell ordine di atomi), ma piuttosto di ragionare in termini di grandezze medie, ovvero di grandezze valutate come media sull intera popolazione di atomi costituenti il gas. Per semplicità noi svilupperemo la teoria cinetica nel caso di un gas monoatomico ideale. In altre parole, assumeremo che: (i) il sistema sia costituito da una sola specie chimica in forma atomica; (ii) siano trascurabili le interazioni atomo atomo. Ognuno di essi, dunque, si muoverà liberamente (cioè, in basi alle leggi della meccanica classica, di moto rettilineo uniforme) fino a quando non urti occasionalmente con un altro atomo, o con una delle pareti del recipiente contenente il gas. Quando ciò accade l atomo subirà un urto che, sempre per semplicità, considereremo perfettamente elastico. Ne risulta, dunque, un moto casuale a zig zag come quello schematicamente rappresentato in Fig.2.1. Descrivere, come sopra suggerito, in media le proprietà di questo moto, equivale a sostituire il concetto di traiettoria esatta di ogni singola particella con quello di libero cammino medio λ. Supponiamo che gli atomi siano sfere di raggio d: due di essi si urteranno quando la loro distanza sarà pari a 2d. Possiamo, quindi, descrivere il moto del generico atomo del gas come quello di una particella di dimensioni 2d che si muove, con velocità media pari a v, contro un insieme di particelle fisse e puntuali. Il numero di urti sperimentato nell unità di tempo risulta pari a 4πd 2 vn, dove n è il numero di atomi per unità di volume (densità di particelle). Abbiamo, cioè, contato il numero di particelle contenute, nell unità di tempo, in un cilindro di raggio 2d ed altezza v. Secondo una definizione proposta originalmente da Maxwell, il libero cammino medio λ della particella è pari a λ = spazio percorso per unità di tempo numero urti per unità di tempo = v 4πd 2 vn = 1 4πd 2 n. (2.1) Questa espressione, che quantifica in media il moto di una particella di un gas, è in accordo con il senso comune: più denso è il materiale (maggiore è la sua densità n), minore è il libero cammino medio delle sue particelle costituenti. Ugualmente: maggiore è la dimensione atomica d, minore risulta λ. Consideriamo, dunque, un assemblea di N atomi contenuta entro un recipiente cubico di lato l disposto, rispetto agli assi cartesiani, come indicato in Fig.2.2. Sia v il vettore che rappresenta la velocità di un certo atomo, di componenti v x, v y e v z. Quando esso urta contro la parete posta a x = l subirà, come detto, un urto elastico che non altera le componenti y ed z della velocità, mentre fa variare la componente x dal valore iniziale v x al valore finale v x. In altre parole, l atomo varia la sua quantità di moto (o momento lineare) di un valore pari a 2mv x, essendo m la sua massa. Tra questo urto ed il successivo - contro questa stessa parete - deve passare, in media, un tempo pari a 2l/v x (questo, infatti, è il tempo necessario per attraversare l intero recipente da x = l ad x = 0 e tornare indietro da x = 0 ad x = l). Durante un certo intervallo di tempo t si osserveranno dunque un numero di urti contro la parete pari a t/(2l/v x ) in modo tale che la corrispondente variazione di quantità di moto risulta pari a variazione totale quantità di moto = (numero urti) (variazione quantità di moto per urto) (2.2) 5

6 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 6 Figura 2.1: Rappresentazione schematica del moto casuale di un atomo secondo la teoria cinetica dei gas. Figura 2.2: Cinematica del singolo urto elastico atomo parete. ovvero: ( vx ) variazione totale quantità di moto = 2l t (2mv x ) = mv2 x t. (2.3) l Secondo la meccanica classica, possiamo uguagliare tale variazione di quantità di moto all impulso che la particella ha esercitato in quell intervallo di tempo sulla parete 1 e scrivere f x t = mv2 x t (2.4) l da cui ricaviamo il valore medio della forza f x esercitata dall atomo sulla parete: f x = mv2 x l. (2.5) Questo ragionamento può essere esteso alle altre due componeti cartesiane (ovvero agli urti contro le pareti y = l e z = l) ed a tutte le altre particelle costituenti il gas, in modo che la forza totale media F esercitata sulle pareti sarà: F x = m l N i=1 v2 x,i F y = m l N i=1 v2 y,i F z = m l N i=1 v2 z,i. (2.6) Se il gas è all equilibrio non ci sono differenze macroscopiche tra le tre componenti cartesiane della forza totale e, quindi, possiamo calcolare la pressione P su una qualunque delle facce del recipiente cubico: P = F x l 2 = F y l 2 = F x l 2. (2.7) 1 Ricordiamo che l impulso di una forza F che agisce per un tempo t è semplicemente il prodotto F t

7 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 7 Possiamo, inoltre, scrivere che in media: v 2 x,i = v 2 y,i = v 2 z,i = 1 3 v2 (2.8) per ogni particella i del gas, dove abbiamo introdotto la grandezza velocità quadratica media v 2 = 1 N N vi 2 (2.9) i=1 dove vi 2 = v2 x,i +v2 y,i +v2 z,i rappresenta il modulo quadro della velocità della i esima particella. Finalmente, combinando le espressioni appena derivate, possiamo scrivere che la pressione vale P = 1 3 N m l 3 v2 (2.10) ovvero P V = 1 3 Nm v2 (2.11) dove abbiamo fatto uso del fatto che per il recipiente considerato V = l Energia interna di un gas monoatomico ideale ed equipartizione dell energia Consideriamo, ora, una mole di gas in modo che N = N A = sia il numero di Avogadro e, quindi, il prodotto M = N A m rappresenti la massa di una mole. Ricordando l equazione di stato dei gas perfetti P V = RT (dove la costante universale dei gas R vale R = J/K) possiamo scrivere P V = 1 3 M v2 = RT (2.12) dove T è la temperatura del gas. Ne segue immediatamente una relazione di fondamenale importanza: 3RT v = M. (2.13) Essa sancisce, a meno di costanti, l equivalenza tra la grandezza fisica macroscopica temperatura (quella grandezza legata alla esperienza fisiologica del caldo e freddo ) ed una grandezza fisica che descrive una proprietà microscopica dei costituenti elementari della materia: la velocità quadratica media degli atomi. Abbiamo, quindi, attribuito un chiaro significato fisico al concetto empirico di caldo e freddo: più veloce è il moto di agitazione termica a livello atomico, maggiore è la temperatura del corpo. In modo più quantitativo, possiamo legare l energia cinetica media degli atomi alla temperatura: avendo introdotto la costante di Boltzmann 1 2 m v2 = 3 R T = 3 2 N A 2 K BT (2.14) K B = R N A = J/K (2.15) Osserviamo che questa relazione è valida all equilibrio termodinamico quando, cioè, sia possibile definire la temperatura di un sistema. Per esempio, se consideriamo un gas formato da idrogeno o da ossigeno alla temperatura di 273 Kelvin (cioè allo zero gradi Celsius) otteniamo dei valori di velocità medie v 2 pari a 1840 ms 1 e 460 ms 1, rispettivamente. Torniamo a considerare la generica particella del gas libera di muoversi nello spazio. Possiamo affermare che essa possiede tre gradi di libertà. La particella, infatti, ha una componente di moto per ciascuno dei tre assi cartesiani. In modo alternativo, si può dire che una siffatta particella ha tre gradi di libertà perchè ci vogliono tre coordinate cartesiane per definire in modo univoco la sua posizione nello spazio. La eq.(2.14) stabilisce un risultato importantissimo: dato un gas monoatomico ideale all equilibrio termodinamico alla temperatura T, ad ogni sua particella compete, in media, una energia pari a 1 2 K BT per

8 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 8 Figura 2.3: Legge di distribuzione delle velocità molecolari per un gas di ossigeno a T=80K e T=800K. ogni grado di libertà. Questo risultato costituisce una prima (elementare) formulazione del principio di equipartizione dell energia. In base a questo principio, è immediato scrivere l espressione per l energia interna U di una mole di gas monoatomico ideale 2 : U = 3 RT. (2.16) 2 Sulla base di questi risultati, è possibile sviluppare un calcolo che permetta di ricavare la legge di distribuzione delle velocità molecolari di una gas all equilibrio termico. Con questo intendiamo una legge capace di prevedere il numero N v di particelle di un dato gas (all equilibrio termico alla temperatura T ) che possiedono velocità compresa, in modulo, tra v e v+dv. Per brevità noi ricorderemo solo il risultato finale che è dovuto a Maxwell: ( ) 3 ] m 2 N v = 4πN v 2 exp [ mv2 (2.17) 2πK B T 2K B T dove N è il numero totale di particelle formanti il gas. È importante ricordare che questa legge, riportata in forma grafica in Fig.2.3, è stata verificata sperimentalmente in modo molto accurato. Questo risultato costituisce una delle più convincenti prove di validità della teoria cinetica dei gas. 2.3 Calori specifici di gas mono e bi atomici Ricordiamo che, secondo la termodinamica classica, il calore specifico di una certa sostanza alla temperatura T rappresenta il calore che è necessario somministrare ad una massa unitaria di quella sostanza per aumentare la sua temperatura di un grado Kelvin. Quando questo processo è eseguito in condizioni di volume costante, si parla di calore specifico a volume costante C V. La quantità di calore scambiata Q, la variazione di temperatura T ed il calore specifico sono legati dalla semplice relazione: Q = C V T. (2.18) La termodinamica, poi, ci insegna che il calore scambiato Q tra un sistema e l ambiente esterno, il lavoro prodotto dal sistema W e la variazione della sua energia interna U sono legati dalla relazione Q = W + U (2.19) nota come primo principio della termodinamica. Esso, in sostanza, sancisce la conservazione dell energia per processi termodinamici e può essere postulato su base sperimentale. Il modo più semplice per illustrarlo consiste nel considerare un gas contenuto in un recipiente a pareti fisse, sormontato da un pistone mobile, come illustrato in Fig.2.4. Somministrando del calore Q al gas, esso: (i) si scalda o, equivalentemente, aumenta la sua energia interna secondo la eq.(2.16); (ii) scaldandosi, si espande muovendo 2 L energia interna, infatti, è solo di tipo cinetico, essendo il gas ideale caratterizzato dalla assoluta assenza di energie potenziali di interazione atomo atomo.

9 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 9 Figura 2.4: Rappresentazione schematica del bilancio energetico tra calore, lavoro ed energia interna. Figura 2.5: Rappresentazione dei due gradi di libertà rotazionali di una molecola biatomica rigida. verso l alto il pistone, cioè compiendo lavoro meccanico W. Se il pistone viene mantenuto fisso, non sarà più possibile compiere lavoro esterno e, in base al primo principio della termodinamica, tutto il calore assorbito dal sistema andrà in aumento di energia interna. Questo fenomeno può essere quantificato in base ai risultati della teoria cinetica dei gas. Per una mole di un gas monoatomico ideale, infatti, si ha che: da cui risulta immediatamente che Q = C V T = U = 3 R T (2.20) 2 C V = 3 R gas monoatomico ideale. (2.21) 2 Questo risultato è in buon accordo con il dato sperimentale e la cosa va considerata come un ulteriore lusinghiero successo della teoria cinetica dei gas, nonostante le drastiche approssimazioni che abbiamo adottato per svilupparla analiticamente. Proviamo, ora, ad estendere i risultati fino a qui ottenuti al caso di un gas biatomico. In questo caso, i suoi costituenti elementari sono molecole biatomiche formate da due atomi legati chimicamente. Cominciamo col considerare queste molecole biatomiche come entità rigide. In altre parole, assumiamo che i due atomi rimangano ad una distanza fissa. Un tale oggetto può, ovviamente, traslare nello spazio. Possiederà, quindi, 3 gradi di libertà traslazionali. Inoltre, la molecola biatomica può ruotare attorno alle due direzioni perpendicolari al suo asse molecolare, come illustrato in Fig.2.5. Dovremo, così aggiungere due gradi di libertà rotazionali, che portano ad un totale di 5 gradi di libertà complessivi per molecola. In base al principio di equipartizione dell energia, all equilibrio termodinamico alla temperatura T ogni molecola possiederà in media una energia pari a 5 2 K BT e, quindi, il calore

10 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 10 Figura 2.6: Andamento del calore specifico C V a volume costante per il gas biatomico H 2 in funzione della temperatura, riportata in ascissa in scala logaritmica. specifico a volume costante risulterà essere C V = 5 R gas biatomico (molecole rigide). (2.22) 2 Questa volta l accordo con i dati sperimentali è insoddisfacente. I valori misurati di C V, infatti, approssimano quello teorico soltanto in un limitato intervallo di temperature. La situazione è illustrata in Fig.2.6. Appare evidente che la predizione teorica risulta questa volta inadeguata sia alle basse, che alle alte temperature. In particolare si osserva che: alle basse temperature il gas biatomico sembra comportarsi come un gas monoatomico; in altre parole, sembra che i gradi di libertà rotazionali siano stati congelati e che non debbano essere inclusi nella applicazione del principio di equipartizione dell energia; alle alte temperature il gas biatomico sembra acquisire due nuovi gradi di libertà che portano il valore di C V a 7 2 R. L unico modo possibile per riconciliare teoria cinetica e dato sperimentale è ammettere che al progressivo aumentare della temperatura, vengano accesi sempre più gradi di libertà. Alle basse temperature, la molecola è animata solo da moto traslatorio; a temperature intermedie vengono innescati anche i modi di rotazione; infine, alle alte temperature i due atomi non possono più essere considerati fissi, ma acquistano ciascuno un grado di libertà vibrazionale lungo l asse molecolare 3. In altre parole, cioè, la molecola non può più essere vista come una unità rigida. Questa interpretazione trova solo una giustificazione euristica; non vi è modo di spiegare, tuttavia, il perchè debba esistere una tale dipendenza dalla temperatura del numero e tipo di gradi di libertà molecolari attivi. Questa difficoltà rappresenta il primo importante fallimento della teoria cinetica dei gas. 2.4 Calori specifici dei solidi Da un punto di vista strutturale, possiamo descrivere un solido come una distribuzione ordinata e periodica di atomi. L insieme di posizioni nello spazio occupate dagli atomi viene chiamato reticolo cristallino. Per esempio, in Fig.2.7 vengono riportati tre diversi modi di realizzare strutture cristalline a simmetria cubica. La differenza fondamentale tra un solido ed un gas è che, mentre in quest ultimo gli atomi (o molecole) sono liberi di muoversi nello spazio, in un solido (per temperature inferiori a quella di fusione) gli atomi sono vincolati ai siti reticolari. Essi, al più, possono oscillare attorno alla loro posizione di equilibrio, con ampiezza variabile in funzione della temperatura. Affinchè, tuttavia, un atomo possa essere confinato 3 Questo modo di giustificare i due nuovi gradi di libertà vibrazionali non è rigoroso, come verrà discusso più avanti a proposito del calore specifico dei solidi. Tuttavia esso rappresenta un semplice ed efficace modo per visualizzare il fenomeno dell accesione dei moti di vibrazione molecolare.

11 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 11 Figura 2.7: Celle convenzionali per il cristallo cubico semplice (sinistra), cubico a corpo centrato (centro) e cubico a facce centrate (destra). I pallini neri rappresentano i siti reticolari, cioè le posizioni degli atomi. Replicando periodicamente lungo i tre assi cartesiani queste celle convenzionali si ottiene il reticolo cristallino completo. in prossimità di un sito anche a temperatura finita, è necessario che su di esso agisca un potenziale confinante, ovvero che esista una forza di richiamo che impedisca all atomo il definitivo allontanamento. È chiaro, dunque, che nel caso di un solido non potremo applicare banalmente la teoria cinetica del gas ideale dove, invece, si erano escluse a priori azioni di forza su/tra gli atomi. Per poter procedere, abbiamo bisogno di specificare la natura del potenziale confinante che ciascun atomo di un solido sperimenta. Un ottimo modello approssimato (che risulta efficace nel descrivere moltissime proprietà della materia allo stato solido) consiste nell assumere che ogni atomo oscilli sul fondo di una buca di potenziale di tipo armonico. In altre parole, possiamo assumere che ogni atomo sia vincolato alla propria posizione di equilibrio da un potenziale elastico di tipo armonico. Ciò equivale ad ammettere l esistenza di una forza di richiamo del tipo F = kr, dove r rappresenta il vettore spostamento dal sito reticolare e k la costante elastica della molla efficace di richiamo all equilibrio. Poichè ciascun atomo può oscillare nelle tre dimensioni, possiamo facilmente scrivere la sua energia totale E T : E T = 1 2 mv2 x mv2 y mv2 z kx ky kz2 (2.23) avendo, per semplicità, assunto che la costante di forza k sia la stessa nelle tre direzioni e che il vettore spostamento r abbia componenti (x, y, z). Figura 2.8: Confronto tra la legge di Dulong e Petit (curva sottile) ed i dati sperimentali (curva spessa) per il calore specifico a volume costante di un solido di argento. La differenza fondamentale tra un atomo di un gas ideale e quello di un cristallo armonico consiste nella presenza di tre contributi di energia potenziale elastica nell energia totale di quest ultimo. Notiamo, però, che esiste una caratteristica comune ai contributi cinetici e potenziali nell espressione di E T : entrambi sono quadratici. I termini cinetici, infatti, dipendono dal quadrato della velocità, mentre quelli potenziali dal quadrato dello spostamento. Questa analogia formale ci consente di giustificare una

12 CAPITOLO 2. IL CALORE SPECIFICO DEI GAS E DEI SOLIDI 12 estensione importante del principio di equipartizione dell energia: assumeremo che per un sistema all equilibrio termodinamico alla temperatura T competa, in media, un energia pari a 1 2 K BT ad ogni grado di libertà che introduca un termine quadratico nelle posizioni o nelle velocità nell espressione dell energia totale. Questa formulazione generale del principio può essere dimostrata rigorosamente con i metodi della meccanica statistica. Considerando un solido costituito da N atomi e supponendo che sia all equilibrio alla temperatura T possiamo immediatamente scrivere la sua energia interna come U = 3NK B T e, per una mole di sostanza (cioè N = N A ), ricavare il calore specifico: C V = 3R solido cristallino armonico. (2.24) Questo risultato è noto come legge di Dulong e Petit ed è verificato in buona approssimazione da moltissimi solidi a temperature sufficientemente alte. Quando, tuttavia, si scende in temperatura, le risultanze sperimentali evidenziano forti deviazioni dalla legge di Dulong e Petit fino a dimostrare che C V si annulla alla temperatura zero. Questo risultato è illustrato in Fig.2.8. L incapacità di spiegare il calore specifico dei solidi costitisce un nuovo importante fallimento della fisica classica. Per riconciliare teoria ed esperimento bisognerà, infatti, sostituire la descrizione di un atomo cristallino come oscillatore classico, con quella più rigorosa di un oscillatore che obbedisce alle regole della fisica quantistica.

13 Capitolo 3 Lo spettro del corpo nero È esperienza comune che un corpo a temperatura sufficientemente alta irradia calore, facilmente percepibile anche senza strumenti sofisticati (si pensi al termosifone od alla stufa usati per riscaldamento domestico). Questo fatto rappresenta una manifestazione del fenomeno dell irraggiamento termico: ogni corpo che si trovi ad una temperatura superiore allo zero assoluto emette radiazione elettromagnetica. Tale radiazione (che, spesso, è indicata come radiazione termica per ricordare lo stretto legame con la temperatura) è distribuita su tutto lo spettro delle frequenze (vedi Fig.3.1) e la sua intensità aumenta con l aumentare della temperatura. La distribuzione spettrale della radiazione termica manifesta un massimo in corrispondenza di una frequenza ν max che aumenta all aumentare della temperatura del corpo. Anche questo fenomeno rientra nella nostra esperienza quotidiana: limitandosi, per esempio, a quella porzione dello spettro elettromagnetico che corrisponde alla luce visibile (cioè a quella parte dello spettro che può essere rilevata dall occhio umano) è noto che scaldando sempre più un pezzo di metallo, il suo colore passa dal rosso, all arancio, al bianco. Il massimo di emissione di radiazione da parte del metallo avviene, cioè, a frequenze sempre maggiori. In generale, caratterizziamo la radiazione termica emessa da un corpo qualunque tramite il suo potere emissivo spettrale e ν (detto anche brillanza spettrale) che rappresenta la quantità di energia elettromagnetica emessa nell unità di tempo dall unità di superficie nell intervallo di frequenze [ν, ν + dν]. Il potere emissivo spettrale è legato da una semplice relazione alla densità di energia elettromagnetica u ν emessa 1 : e ν = c 4 u ν (3.1) dove c è la velocità della luce. Naturalmente, un corpo può anche assorbire radiazione elettromagnetica. Possiamo quantificare il processo di assorbimento tramite il potere assorbente spettrale a ν (o assorbanza 1 Ricordiamo che u ν rappresenta la quantità di energia elettromagnetica per unità di volume ed è proporzionale al modulo quadro del vettore campo elettrico ed al modulo quadro del vettore campo magnetico che definiscono l onda elettromagnetica di frequenza ν che stiamo considerando. Figura 3.1: Lo spettro della radiazione elettromagnetica. 13

14 CAPITOLO 3. LO SPETTRO DEL CORPO NERO 14 Figura 3.2: Rappresentazione schematica di un corpo nero come cavità. spettrale), definito come la quantità di energia elettromagnetica assorbita nell unità di tempo dall unità di superficie nell intervallo di frequenze [ν, ν + dν]. È naturale aspettarsi che e ν ed a ν dipendano, presi singolarmente, dalla natura chimico fisica del corpo che stiamo considerando (un pezzo di metallo esposto all irraggiamento solare si scalda diversamente da un pezzo di plastica) e dalle caratteristiche della sua superficie (un corpo di superficie lucida assorbe meno radiazione di un corpo uguale, ma con superficie opaca). Tuttavia è possibile dimostrare che, per ogni fissata frequenza ν, il loro rapporto è una funzione universale della sola temperatura. In altre parole, vale la seguente legge di Kirchhoff Σ ν (T ) = e ν a ν (3.2) dove Σ ν (T ) rappresenta tale funzione universale, che non dipenderà più in alcun modo dallo specifico corpo considerato, ma solo dalla sua temperatura. È utile introdurre a questo punto il concetto di corpo nero, come quel corpo capace di assorbire tutta la radiazione elettromagnatica su di esso incidente, per qualunque frequenza e per qualunque temperatura. In altre parole, un corpo nero è un oggetto che non riflette (nè trasmette) radiazione. Il concetto di corpo nero è un astrazione, ma possiamo citare diversi esempi pratici in cui un oggetto si comporta quasi esattamente come un corpo nero. Si pensi, ad esempio, ad una cavità ricavata dentro ad un oggetto come rappresentata in Fig.3.2. La radiazione elettromagnetica può penetrare entro la cavità (caratterizzata da pareti riflettenti) attraverso una piccola apertura. Una volta entrata nella cavità, la radiazione rimane ivi intrappolata, perchè è molto poco probabile che riesca a fuoriscire attraverso la piccola fenditura. In altre parole, la cavità assorbe praticamente tutta la radiazione che riceve. È, quindi, un corpo nero a tutti gli effetti pratici. Segue immediatamente dalla definizione data che un corpo nero ha potere assorbente spettrale unitario a qualunque frequenza: a ν (corpo nero)=1. La legge di Kirchhoff, dunque, può essere interpretata come segue: il rapporto tra potere emissivo e potere assorbente di un corpo qualsiasi ad un certa frequenza e temperatura è sempre uguale al potere emissivo del corpo nero a quella frequenza e temperatura. Da questa semplice deduzione, discende l enorme importanza concettuale che ha il corpo nero per quel capitolo della fisica che si occupa di termodinamica della radiazione. Se conosciamo lo spettro di emissione del corpo nero, siamo in grado di risalire, tramite la legge di Kirchhoff, alle caratteristiche di assorbimento ed emissione di un qualsiasi altro oggetto. Per questo motivo, il corpo nero fu dettagliatamente studiato negli ultimi tre decenni del XIX secolo. 3.1 Gli esperimenti e la teoria classica Il tipico apparato sperimentale per lo studio dello spettro di emissione del corpo nero è schematicamente rappresentato in Fig.3.3: la cavità C rappresenta il corpo nero le cui pareti vengono portate alla temperatura desiderata tramite accoppiamento con il termostato T. La materia che forma queste pareti emette radiazione termica che rimane intrappolata nella cavità 2. Se pratichiamo un orefizio O attraverso una 2 Più rigorosamente, diremo che la radiazione emessa dalle pareti della cavità rimane ivi confinata dando origine ad un sistema di onde elettromagnetiche stazionarie.

15 CAPITOLO 3. LO SPETTRO DEL CORPO NERO 15 Figura 3.3: Apparato sperimentale per la rivelazione dello spettro di corpo nero. Figura 3.4: Lo spettro di corpo nero raccolto sperimentalmente a diverse temperature (linee continue). La linea tratteggiata rappresenta la legge classica di Rayleigh Jeans. parete, la radiazione termica può fuoriuscire, ovvero viene emesso lo spettro di corpo nero che è infine raccolto ed analizzato (sia in intensità, che in distribuzione spettrale) dal rivelatore R. Il risultato sperimentale è descritto in Fig.3.4 dove viene riportata la densità di energia elettromagnetica u ν emessa da un corpo nero a diverse temperature, in funzione della frequenza ν. L analisi quantitativa delle curve sperimentali ha permesso di stabilire alcune leggi fenomenologiche: legge di Stefan (1879): l energia elettromagnetica totale u tot irraggiata per unità di tempo dall unità di area è proporzionale alla quarta potenza della temperatura T del corpo nero: dove σ = Wm 2 K 4 è detta costante di Stefan; u tot = σt 4 (3.3) legge di Wien (1893): la frequenza ν max alla quale si ha il massimo della densità spettrale della radiazione di corpo nero dipende in modo direttamente proporzionale dalla temperatura: ν max T = costante (3.4) (questa legge è anche nota come legge dello spostamento). Il tentativo classico di spiegazione di queste risultanze sperimentali e delle corrispondenti leggi fenomenologiche fu elaborato come segue. Quando la radiazione di corpo nero presente nella cavità è in equilibrio termico con la materia che costituisce le pareti di quest ultima, allora deve esserci corrispondenza tra la distribuzione di energia della radiazione e quella degli atomi che formano il materiale delle

16 CAPITOLO 3. LO SPETTRO DEL CORPO NERO 16 pareti 3. Calcoliamo, dunque, quella degli atomi che, essendo animati da moti di oscillazione termica, si comportano in buona approssimazione come oscillatori armonici. Dalla meccanica classica sappiamo che un oscillatore armonico di massa m, frequenza propria ν ed ampiezza di oscillazione R possiede energia E oscillatore armonico classico = 2π 2 mν 2 R 2, (3.5) ovvero può possedere qualunque valore continuo di energia (purchè la frequenza e l ampiezza di oscillazione abbiano valori opportuni). Classicamente, dunque, la radiazione di corpo nero è descritta come un insieme di onde stazionarie confinate nella cavità con distribuzione continua di frequenze. È possibile calcolare che il numero dn ν di onde per unità di volume con frequenza compresa nell intervallo [ν, ν + dν] è dn ν = 8π c 3 ν2 dν (3.6) cui, alla temperatura T, corrisponde una energia media per unità di volume e per intervallo spettrale [ν, ν + dν] pari a: u ν dν = E m dn ν = K B T dn ν (3.7) dove abbiamo fatto uso del principio di equipartizione dell energia, imponendo che l energia media E m degli oscillatori armonici valga all equilibrio termico K B T. Segue immediatamente che per la densità di energia u ν vale la seguente espressione u ν = 8π c 3 ν2 K B T (3.8) nota come legge di Rayleigh Jeans. Il confronto tra i risultati sperimentali ed il modello teorico che abbiamo fin qui sviluppato è riassunto in Fig.3.4. Come si vede possiamo ritenere buono tale accordo nel limite di piccole frequenze, mentre esso risulta assolutamente insoddisfacente alle alte frequenze. Il modello di Rayleigh Jeans, infatti, non prevede l esistenza di un massimo per u ν che, addirittura, cresce in modo monotono fino a divergere per frequenze elevate. La conseguenza di ciò è importante: integrando l eq.(3.8) su tutto lo spettro, si ottiene un risultato infinito. Questo risultato paradossale fu chiamato catastrofe ultravioletta per indicare il fallimento della teoria alle alte frequenze. Il risultato trovato è particolarmente insoddisfacente perchè: (i) contrasta con il principio di conservazione dell energia 4 ; (ii) non permette di spiegare la legge di Stefan; (iii) non consente di giustificare il valore numerico della costante di Stefan σ. In conclusione, la fisica classica non riesce a spiegare lo spettro di emissione di un corpo nero. 3.2 La teoria quantistica di Planck L enigma dello spettro di corpo nero fu risolto da Planck nel 1900 con l introduzione di una ipotesi rivoluzionaria. Planck, infatti, assunse che ciascun oscillatore armonico radiativo potesse emettere (e, equivalentemente, assorbire) energia solo in quantità proporzionali alla sua frequenza ν. Questa ipotesi corrisponde ad ammettere che l energia di un oscillatore atomico sia quantizzata 5. Questa condizione è in totale discontinuità con la teoria elettromagnetica classica che, invece, prevede che energia emessa (o assorbita) e frequenza di oscillazione siano direttamente proporzionali e variabili con continuità. Operativamente, Planck sostituì l eq.(3.5) con la seguente espressione E oscillatore armonico quantistico = nhν (3.9) dove n = 1, 2, 3, è un numero intero qualunque e h è una opportuna costante di proporzionalità il cui valore deve essere ancora determinato. Planck ripercorse il ragionamento che abbiamo già schematicamente sviluppato, utilizzando la nuova espressione per l energia di oscillatore. Il risultato ottenuto è rappresentato dalla espressione u ν = 8πh ν ( 3 c 3 exp hν K B T ) 1 (3.10) 3 Se così non fosse, si osserverebbe un flusso di energia tra parete e radiazione, o viceversa. Possiamo, perciò calcolare indifferentemente la distribuzione di energia degli atomi o della radiazione, a seconda della nostra convenienza: le due distribuzioni sono uguali in virtù di questo equilibrio. 4 Basterebbe scaldare un corpo nero ad una qualunque temperatura maggiore di zero per emettere una quantità infinita di energia. 5 L aggettivo quantizzata significa che tale energia non è più una funzione continua della frequenza, ma diventa una grandezza discreta.

17 CAPITOLO 3. LO SPETTRO DEL CORPO NERO 17 nota come legge di Planck per il corpo nero. Questa formula è in ottimo accordo con i dati sperimentali di Fig.3.4. Infatti: il limite per frequenze infinite è zero; il limite per frequenza nulla è zero; il limite per frequenze piccole è u ν ν 2, in accordo con la teoria di Rayleigh Jeans; l-eq.(3.10) ammette un massimo per una certa frequenza ν max temperatura; che dipende linearmente dalla il grafico dell eq.(3.10) per ogni data temperatura è indistinguibile dalle curve sperimentali su tutto lo spettro di frequenze. Il valore di h, chiamata costante di Planck, fu ottenuta per calibrazione sulle curve sperimentali. Ad essa è assegnato il valore numerico h = J s. (3.11) L ipotesi di quantizzazione delle energie introdotta da Planck ebbe, nonostante il suo carattere rivoluzionario, grande eco in virtù dell eccellente accordo teoria esperimento che essa forniva. Essa fu immediatamente adottata da Einstein per tentare di risolvere il problema ancora aperto del calore specifico dei solidi. Considerando, dunque, gli N atomi di un reticolo cristallino come oscillatori armonici quantizzati tridimensionali, Einstein ricavò una nuova espressione per l energia interna U di un solido, ottenendo: hν U = 3N ( ) solido cristallino armonico quantizzato. (3.12) exp 1 hν K B T Nel caso di volume costante, il primo principio della termodinamica consente di scrivere 6 per una variazione finita T di temperatura: C V = U. (3.13) T Estendendo questa espressione al caso di trasformazioni infinitesime a volume costante otteniamo immediatamente che 2 C V = du hν ( ) dt = 3R K B T ( ) hν exp (3.14) exp 1 K B T hν K B T dove abbiamo considerato una mole di sostanza N = N A. Considerando questa nuova espressione per il calore specifico di un solido, è facile dimostrare che: il limite per temperatura nulla è zero; il limite per temperatura infinita è 3R. Inoltre, la rappresentazione grafica dell eq.(3.14) riproduce quasi esattamente l andamento sperimentale di Fig.2.18 per tutti i materiali considerati 7. 6 Si vedano le eq.(2.19) e (2.20), facendo uso del fatto che W = 0. 7 È possibile migliorare ulteriormente l accordo con il dato sperimentale, ammettendo che gli N atomi di un cristallo possano oscillare a frequenze diverse. Esisteranno, quindi, per ciascun materiale considerato delle frequenze proprie di oscillazione su ciascuna delle quali si può ripetere il ragionamento di Einstein, pervenendo ad una formula solo leggermente diversa, ma in eccellente accordo con gli esperimenti. Il fatto che gli atomi di un cristallo possano oscillare a diverse frequenze è conseguenza diretta delle loro interazioni reciproche. Questo miglioramento della teoria di Einstein fu dovuto al fisico Debye.

18 Capitolo 4 L effetto fotoelettrico Discutiamo un altro effetto la cui interpretazione corretta è basata sull ipotesi di quantizzazione dell energia. Si consideri l apparato sperimentale di Fig.4.1 dove due armature metalliche A (anodo) e C (catodo) sono inserite in un tubo a vuoto T. Le due armature sono collegate ad un generatore di differenza di potenziale V ed il circuito è completato da un misuratore di intensità di corrente elettrica G. In condizioni normali, ovviamente, il misuratore G non registra il passaggio di alcuna corrente. Tuttavia, qualora il catodo C venga illuminato da una radiazione elettromagnetica opportuna, si osserva passaggio di corrente nel circuito. Questo fenomeno, scoperto ed analizzato in due fasi distinte da Hertz e da Hallwachs e Lenard, fu chiamato effetto fotolelettrico. La cosa importante da sottolineare in modo particolare è che si osserva passaggio di corrente solo se la radiazione incidente ha frequenza opportuna. Per esempio, se le due armature C ed A sono di tipo metallico, si osserva effetto fotoelettrico solo se la frequenza è maggiore od uguale a quella della luce ultravioletta. Per frequenze inferiori, non si osserverà mai il fenomeno, neanche aumentando di molto l intensità della radiazione. In condizioni di opportuna illuminazione (cioè fissando la frequenza della luce ad un valore opportuno), si osserva tra anodo e catodo una corrente elettrica i il cui andamento in funzione della differenza di potenziale V tra C ed A è illustrato in Fig.4.2. Questa curva sperimentale ha alcune caratteristiche importanti: i è diversa da zero anche quando V = 0; i satura ad un valore massimo, oltre il quale non si riesce ad andare, neanche aumentando arbitrariamente la differenza di potenziale; esiste un valore di differenza di potenziale negativo (cioè corrispondende ad una situazione di inversione di polarità della V) in corrispondenza del quale i si annulla; mantenendo la frequenza della luce costante ad un valore opportuno, ma aumentando l intensità della stessa, la corrente satura ad un valore di intensità maggiore. Figura 4.1: Schema dell apparato sperimentale per l osservazione dell effetto fotoelettrico. 18

19 CAPITOLO 4. L EFFETTO FOTOELETTRICO 19 Figura 4.2: Andamento sperimentale della corrente i prodotta per effetto fotoelettrico in funzione della d.d.p. erogata dal generatore V. L interpretazione teorica dell effetto fotoelettrico fu offerta per la prima volta da Einstein nel Innanzitutto va osservato che affinchè circoli corrente nel circuito di Fig.4.1 è necessario ammettere che dei portatori di carica (elettroni, in questo caso) siano emessi da catodo. Essi, accelerati dalla tensione generata da V, verranno raccolti sull anodo e, quindi, rilevati da G. Bisogna, quindi, ammettere che la radiazione elettromagnetica abbia, in opportune conduzioni, la capacità di estrarre elettroni dalla superficie metallica del catodo. Einstein, utilizzando il concetto di quantizzazione di Planck, ipotizzò che una radiazione di frequenza ν fosse rappresentabile come pacchetti di luce, ciascuno avente energia pari a hν. Questi pacchetti furono chiamati fotoni o quanti di luce. In altre parole Einstein sostituì la descrizione tradizionale della luce come fenomeno ondulatorio, con una descrizione corpuscolare: un raggio luminoso di frequenza ν è un flusso di fotoni di energia hν. Ciascun fotone incidente sul catodo può interagire con gli elettroni di conduzione e trasmettere ad uno di essi tutta la sua energia. In altre parole, il meccanismo di interazione radiazione materia tra luce e catodo è descritto come una serie di interazioni tra corpuscoli (elettroni e fotoni) che scambiano energia 1. Un elettrone che acquista energia hν da un fotone fuoriesce dalla superficie metallica solo se la sua energia cinetica E cin è maggiore o al più uguale al lavoro di estrazione W del metallo. Ricordiamo che il lavoro di estrazione di un metallo rappresenta la minima quantità di energia che è necessario trasmettere ad un elettrone immerso in un metallo affinchè venga rotto il suo legame col metallo stesso. Questa grandezza assume un valore caratteristico tipico per ciascun metallo. Tipicamente W ha il valore di alcuni elettronvolt (ev) per i metalli più noti. Ricordiamo che l elettronvolt rappresenta una unità di misura di energia definita così : 1 ev è l energia cinetica acquistata da un elettrone accelerato da una differenza di potenziale pari ad 1 Volt. Quindi, poichè si ha che E cin = hν W (4.1) la condizione sotto la quale si osserva estrazione di elettroni, ovvero si misura corrente nel circuito, risulta essere: hν > W. (4.2) L ipotesi di esistenza del fotone spiega, quindi, in modo naturale perchè la manifestazione dell effetto fotoelettrico dipenda dalla frequenza della radiazione usata. Possiamo, poi, aggiungere una stima quantitativa per la cosidetta frequenza di soglia ν 0 al di sotto della quale non si osserverà mai fotoemissione di elettroni: ν 0 = W h che corrisponde, per i metalli, ad una frequenza ultravioletta. 1 L ipotesi di Einstein, che gli valse il premio Nobel per la fisica, anticipò il concetto di dualismo onda corpuscolo che sottointende tutta la fisica quantistica. Secondo questo concetto, ogni fenomeno naturale può efficacemente essere descritto come un onda o come un corpuscolo, a seconda della specifica situazione considerata. Esistono, poi, precise regole di corrispondenza tra la natura ondulatoria e corpuscolare dello stesso fenomeno o oggetto. La luce, quindi, è descritta in modo impeccabile come un onda quando se ne considerino le modalità di propagazione, riflessione, rifrazione, interferenza. In modo parimenti efficace e veritiero, la luce è descrivibile come un flusso di corpuscoli, i fotoni, quando interagisce con l insieme degli elettroni di un cristallo. (4.3)

20 CAPITOLO 4. L EFFETTO FOTOELETTRICO 20 Figura 4.3: Analisi grafica qualitativa delle traiettorie degli elettroni fotoemessi dal catodo ed accelerati dal campo elettrico esistente tra catodo ed anodo. L ipotesi di Einstein consente anche di spiegare l andamento della corrente in funzione della tensione applicata. Il generico elettrone fotoemesso fuoriesce dalla superficie del catodo con una vettore velocità orientato a caso. Tale velocità iniziale, quindi, possiede una componente orizzontale ed una verticale. Poichè tra le due armature esiste un campo elettrico costante ed uniforme, l elettrone subisce l azione di una forza costante diretta orizzontalmente, così come indicato in Fig.4.3. Il moto risultante è descritto da un arco di parabola, la cui curvatura dipende dal modulo e dalla direzione della velocità iniziale dell elettrone fotoemesso, così come dal valore della differenza di potenziale elettrostatico applicata tra catodo ed anodo. In generale, non tutte le traiettorie hanno una curvatura tale per cui l elettrone possa venire raccolto sull anodo. Tuttavia, se aumentiamo la differenza di potenziale, riusciremo a curvare sempre più le traiettorie, fino a raggiungere il valore in corrispondenza del quale tutti gli elettroni fotoemessi dal catodo vengono raccolti sull anodo: questa condizione corrisponde alla condizione di corrente di saturazione. Al contrario, se invertiamo la polarità del generatore V, otteniamo l effetto di curvare le traiettore degli elettroni emessi in direzione opposta, cioè faremo deflettere gli elettroni uscenti verso il catodo. Quando la differenza di potenziale negativa raggiunge un certo valore, allora tutti gli elettroni emessi tornano sul catodo e la corrente si annulla. Questo valore di differenza di potenziale negativa si chiama potenziale di arresto V arresto. Infine, i diversi valori di corrente di saturazione che si osservano al variare della intensità della radiazione, sono anch essi spiegabili in base a questa interpretazione corpuscolare della luce. Aumentare l intensità di un fascio luminoso, infatti, significa aumentare il numero di fotoni contenuti nel fascio. Un fascio più intenso (di opportuna frequenza), dunque, depositerà un maggior numero di fotoni sulla superficie del catodo e conseguentemente farà emettere un maggior numero di elettroni. Ciò equivale a raggiungere correnti di maggior intensità. In conclusione, possiamo affermare che per la terza volta (calori specifici, spettro del corpo nero ed effetto fotoelettrico) l introduzione di una ipotesi di quantizzazione ha riconciliato i dati sperimentali con l interpretazione teorica. Appare, quindi, evidente che le leggi della Natura sulla scala microscopica non possono più essere quelle della fisica classica, cui è estraneo ogni concetto di discretizzazione (quantizzazione). Fino ad ora, tuttavia, il concetto di quanto è stato introdotto per pura convenienza, senza alcuna giustificazione formale, se non quella euristica: così facendo si mettono a posto le cose... Appare evidente, quindi, la necessità di sviluppare un nuovo capitolo della fisica dove i fenomeni di quantizzazione risultino come naturale conseguenza dei principi di base.

21 Capitolo 5 La fisica dei quanti Questo Capitolo si apre con la discussione di una nuova serie di risultanze sperimentali emerse agli inizi del XX secolo a riguardo degli spettri di emissione ed assorbimento di radiazione elettromagnetica da parte di sistemi atomici. Ancora una volta, le misure risultarono sconcertanti perchè non giustificabili classicamente. La prima risposta organica al nuovo enigma fu elaborata da Bohr e condusse alla formulazione del primo modello teorico per la struttura dell atomo, descritto nel secondo e terzo paragrafo di questo Capitolo. La teoria di Bohr ha la notevole caratteristica di essere fondata su una ipotesi di partenza di tipo quantistico. Il Capitolo termina con la discussione del concetto di dualismo onda corpuscolo, concetto che sta alla base della moderna teoria quantistica. 5.1 Spettri atomici Riferiamoci, per semplicità, all atomo di idrogeno che, come noto, è formato da un elettrone legato ad un nucleo formato da un solo protone. Se si misura sperimentalmente la frequenza della radiazione elettromagnetica emessa da questo atomo, si ottiene il risultato rappresentato in Fig.5.1 da cui si evince una cosa importantissima: la radiazione emessa da un atomo possiede solamente alcune lunghezze d onda determinate (o, analogalmente, alcune frequenze determinate). In altre parole, lo spettro di emissione è discreto. Tali lunghezze d onda si raggruppano inoltre in sequenze di righe. Più in dettaglio, possiamo dire che le diverse righe spettrali si raggruppano in sequenze regolari chiamate serie. Le lunghezze d onda λ delle diverse righe formanti una serie soddisfano la seguente regola empirica scoperta da Rydberg: ( 1 1 λ = R n 2 1 ) 1 n 2 (5.1) 2 dove la costante R (costante di Rydberg) vale cm 1. I numeri n 1 ed n 2 sono numeri interi positivi che individuano le diverse serie secondo le seguenti relazioni n 1 = 1 e n 2 = 2, 3, 4, serie di Lyman n 1 = 2 e n 2 = 3, 4, 5, serie di Balmer n 1 = 3 e n 2 = 4, 5, 6, serie di Paschen n 1 = 4 e n 2 = 5, 6, 7, serie di Brackett n 1 = 5 e n 2 = 6, 7, 8, serie di Pfund ; (5.2) le serie hanno preso il nome dallo sperimentatore che per primo le ha risolte spettroscopicamente. È importante notare che gli spettri di assorbimento presentano esattamente le stesse caratteristiche. La radiazione elettromagnetica è anch essa assorbita da un atomo di idrogeno (o da un qualunque altro atomo) a lunghezze d onda date dalla legge di Rydberg. Le lunghezze d onda (e le frequenze) di assorbimento/emissione sono esattamente coincidenti. L interpretazione delle misure sperimentali sugli spettri atomici richiede l utilizzo di un adeguato modello di struttura atomica. L ipotesi allora più accreditata era basata sul modello atomico di Thomson, secondo il quale un atomo all equilibrio è formato da una distribuzione continua di carica elettrica 21

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