Facoltà di Scienze M.F.N. Produzione di neutroni da bersaglio spesso

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1 Università degli Studi di Genova Facoltà di Scienze M.F.N. Anno Accademico Tesi di Laurea Specialistica in Fisica Produzione di neutroni da bersaglio spesso Andrea Celentano Relatori: Prof. Giovanni Ricco Dott. Marco Ripani Correlatore: Prof. Maurizio Lo Vetere

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3 Introduzione La ricerca di una fonte energetica abbondante, sicura e sostenibile da un punto di vista ambientale è un problema assolutamente attuale. È noto che durante l inizio del prossimo secolo le riserve di combustibile fossile (petrolio e gas naturale) tenderanno ad esaurirsi, e ciò sarà ulteriormente intensificato dai processi di industrializzazione pesante che caratterizzeranno i paesi emergenti, quali India e America Latina. La produzione di energia tramite centrali nucleari può essere una valida risposta a questo problema; in particolare, grazie alle attuali tecnologie esistenti, è possibile realizzare nuovi sistemi di produzione di energia, noti come ADS, Accelerator Driven Systems: essi sono costituiti da un reattore nucleare a fissione sotto-critico accoppiato ad una sorgente di neutroni esterna, quale quella che si ottiene facendo interagire un fascio di protoni o di ioni pesanti con un opportuno bersaglio, con conseguente emissione di neutroni; i vantaggi di questo sistema sono molteplici: essi riguardano la sicurezza della centrale per incidenti che la coinvolgano, la possibilità di trasmutare le scorie radioattive a vita media lunga, ed, infine, il tipo di combustibile nucleare che può essere utilizzato. Questo lavoro di tesi è incentrato sulla produzione di neutroni tramite l interazione di un fascio di protoni prodotto da un acceleratore che incida su un opportuno bersaglio: particelle con sufficiente energia cinetica che vengano fermate entro uno spessore adeguato, oltre a perdere energia per eccitazione e ionizzazione atomica, producono neutroni veloci (ovvero con energia tipicamente di qualche MeV) per interazione forte con i nuclei del bersaglio, che possono essere utilizzati come sorgente esterna accoppiata ad un reattore sotto-critico per realizzare un ADS. Per caratterizzare il funzionamento di tale sistema, e necessario conoscere lo spettro energetico dei neutroni prodotti a vari angoli da un bersaglio spesso: il Berillio sembra un ottimo candidato per una produzione abbondante utilizzando fasci di protoni non relativistici. Durante il lavoro di tesi mi sono occupato della progettazione, dell esecuzione e dell aiii

4 iv nalisi dati di una misura preliminare di produzione di neutroni tramite assorbimento di protoni di bassa energia in un bersaglio spesso di Berillio: la misura è stata realizzata utilizzando il fascio di protoni da 62 MeV prodotto dal ciclotrone dei Laboratori Nazionali del Sud (INFN) presso Catania. Nella misura sono stati utilizzati diversi rivelatori, ovvero scintillatori organici plastici e liquidi accoppiati a fotomoltiplicatori, al fine di individuare il miglior candidato per una successiva misura: per caratterizzarli, ho state eseguito alcune misure preliminari a tavolino, ho determinato la loro efficienza di rivelazione di neutroni con simulazioni MonteCarlo e, nel caso dello scintillatore liquido, ho implementato la tecnica di discriminazione in forma d impulso, in inglese pulse shape discrimination, per distinguere neutroni e fotoni. Terminata la misura, ho analizzato i dati raccolti per ottenere lo spettro energetico assoluto dei neutroni emessi dal bersaglio a diversi angoli. Punto critico nella misura è certamente stato il monitoraggio del fascio: a causa del fatto che il bersaglio è spesso, non è stato possibile usare la nota tecnica basata su una tazza di Faraday, per cui sono state adottate soluzioni alternative, di cui si è valutata la affidabilità. I capitoli della tesi sono così organizzati: Capitolo 1: Dopo una descrizione dei sistemi ADS, viene introdotta la misura di neutroni da Berillio, giustificando l utilizzo di questo materiale come sorgente di neutroni, e viene presententato un riassunto delle misure di questo tipo già eseguite, rintracciabili in letteratura. Capitolo 2: Viene presentato il progetto della misura, con riferimento alla configurazione sperimentale adottata, alla tecnica di rivelazione utilizzata e alla scelta dei rivelatori, di cui sono descritti i processi fisici responsabili dell interazione con le particelle; successivamente è introdotto il problema del monitoraggio del fascio e le soluzioni adottate per esso. In questo capitolo è anche discussa la tecnica della pulse shape discrimination implementata con lo scintillatore liquido. Capitolo 3: Vengono presentati i risultati di alcune simulazioni MonteCarlo eseguite per la caratterizzazione della misura: esse riguardano il bersaglio ed i rivelatori, dei quali vengono analizzati aspetti di geometria, efficienza intrinseca e risposta al passaggio di neutroni; successivamente vengono riportate le conclusioni ottenute da simulazioni di altri aspetti importanti della misura, tra cui la struttura periodica del fascio incidente ed eventuali schermature usate per attenuare o misurare direttamente il fondo.

5 v Capitolo 4: Sono riportati i risultati di alcune misure di test dei rivelatori eseguite in laboratorio: in particolare, dopo una descrizione del sistema di acquisizione dati, sono presentate le misure di calibrazione realizzate tramite sorgenti radioattive. In questo capitolo è anche discussa dettagliatamenta la risoluzione del sistema per la misura dell energia cinetica dei neutroni. Capitolo 5: Vengono mostrati i dati raccolti durante la misura ai LNS e l analisi preliminare che ho eseguito per ricavare lo spettro di neutroni emessi dal bersaglio in Berillio: particolare attenzione viene posta allo studio degli errori sistematici presenti, per determinare l influenza che essi hanno nella misura. Vengono infine presentati gli aspetti che, a mio avviso, possono essere corretti e migliorati per la misura futura.

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7 Indice 1 Introduzione ai sistemi ADS Reattori nucleari tradizionali La fissione nucleare Cattura neutronica e fissione nucleare Il fattore di moltiplicazione k eff Sistemi ADS Aspetti energetici Sicurezza Trasmutazione delle scorie Incenerimento dei frammenti di fissione Alcuni esempi Produzione di neutroni da un bersaglio Yield di produzione di neutroni Processi di interazione Utilizzo di un bersaglio in Berillio Misure di Yield di neutroni da Berillio Obiettivi della presente misura Caratteristiche della misura Bersaglio in Berillio Tecnica di misura Limitazioni Rivelatori utilizzati Interazione dei neutroni con i rivelatori Interazione dei fotoni con i rivelatori Rivelatore con scintillatore plastico Rivelatore con scintillatore liquido EJ

8 2 INDICE Pulse shape discrimination Geometria della configurazione sperimentale Schermature Monitoraggio del fascio Monitoraggio tradizionale con tazza di Faraday Utilizzo del bersaglio in Berillio come tazza di Faraday Monitoraggio del fascio mediante eventi di diffusione elastica su una lamina sottile Simulazioni MonteCarlo Scopo delle simulazioni Caratteristiche di Geant Processi fisici simulati Bersaglio in Berillio Range dei protoni all interno del bersaglio Deflessione dei protoni uscenti dal bersaglio Monitoraggio del fascio tramite il Berillio Distribuzione di neutroni e fotoni emessi Rivelatore con scintillatore plastico Geometria e materiali Distribuzione di energia depositata entro il rivelatore Efficienza Rivelatore con scintillatore liquido EJ Geometria e materiali Distribuzione di energia depositata entro il rivelatore Efficienza Schermature Schermatura in Piombo Shadow-bar Simulazione complessiva della misura Funzionamento del programma Risultati ottenuti Misure preliminari e configurazione del sistema Sistema di acquisizione dati Misura del tempo di volo Misura dell energia depositata nel rivelatore

9 INDICE Altri moduli utilizzati Misura della carica depositata nel bersaglio in Berillio Prove preliminari del sistema di acquisizione dati Funzionamento del discriminatore Constant Fraction Misura del tempo morto Pulse-shape discrimination Ricerca del punto di lavoro dei fotomoltiplicatori Calibrazione del sistema Calibrazione temporale Calibrazione in energia Risoluzione nella misura dell energia dei neutroni Incertezza sul tempo di volo σ t Incertezza sulla distanza percorsa σ d Risultato conclusivo: σ E (T n ) Analisi dei dati Dati sperimentali acquisiti Allineamento degli spettri temporali mediante i fotoni Risultato dopo le calibrazioni in tempo ed energia Quenching: confronto qualitativo tra i dati e le simulazioni MonteCarlo Luogo dei neutroni spuri Origine dei fotoni delayed Tagli applicati ai dati sperimentali Tagli sul tempo di volo delle particelle Tagli sull energia depositata Taglio tramite pulse-shape discrimination Ulteriori correzioni Tempo morto Sottrazione del fondo di sala Effetti della struttura temporale del fascio Yield di produzione di neutroni dal Berillio Efficienza dei rivelatori Risultato sperimentale Confronto con altri dati presenti in letteratura Effetti sistematici Allineamento spaziale e temporale

10 4 INDICE Efficienza di rivelazione dei neutroni Presenza della linea del fascio Altri effetti Possibili modifiche all esperimento Conclusioni 153 A Quenching e legge di Birks 155 B Funzionamento di un discriminatore Constant Fraction 157 C Programma di analisi per la pulse-shape discrimination 159 Bibliografia 165 Ringraziamenti 169

11 Capitolo 1 Introduzione ai sistemi ADS In questo capitolo, dopo aver brevemente introdotto l argomento della fissione nucleare (con riferimento ai reattori tradizionali), vengono descritti i sistemi ADS, includendo alcuni esempi di progetti in via di sviluppo; successivamente viene trattato l argomento della produzione di neutroni da un bersaglio su cui incide un fascio di protoni, descrivendo i diversi fenomeni fisici che intervengono al variare della energia; particolare attenzione è posta al caso del Berillio. In conclusione sono mostrate alcune misure di produzione di neutroni da bersaglio spesso già eseguite e rintracciabili in letteratura, mostrando gli aspetti originali di quella da noi realizzata. 1.1 Reattori nucleari tradizionali Un reattore nucleare è un sistema all interno del quale avvengono reazioni di fissione, ovvero processi nei quali un neutrone di opportuna energia incide su un nucleo bersaglio, frantumandolo in due o più frammenti e producendo ulteriori neutroni (oltre a fotoni e neutrini); tale processo libera energia, che si ritrova come energia cinetica delle particelle dello stato finale La fissione nucleare Se si considera un generico nucleo X costituito da A nucleoni e Z protoni, sperimentalmente si osserva che la massa del nucleo è minore della somma delle masse dei costituenti; si definisce energia di legame di un nucleo la quantità: B(Z, A) = Z M p + (A Z) M n M(Z, A) (1.1) 5

12 6 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Nella formula sopra, utilizzando il sistema di unità di misura c = 1, M p = MeV è la massa del protone, M n = MeV è la massa del neutrone e M(Z, A) è la massa del nucleo A Z X. L andamento della energia di legame in funzione del numero di nucleoni è riportata nella figura 1.1: essa ha un andamento dapprima crescente, raggiunge il massimo per A = 56 nel Ferro, e successivamente diminuisce in modo più graduale. Figura 1.1: Andamento della energia di legame per nucleone al variare del numero di nucleoni. È perciò possibile che, per A > 56, il seguente processo di fissione nucleare, nel quale un nucleo X si divide in due frammenti X 1 e X 2, sia esotermico 1 : A 1 A 2 A Z X Z 1 X 1 + Z 2 X 2 con Z = Z 1 + Z 2 e A = A 1 + A 2 (1.2) Il Q-valore di questa reazione 2 si ottiene come differenza tra le massa del nucleo iniziale e 1 Per semplicità è trascurato il fatto che, oltre ai frammenti nucleari, vengono emesse nella reazione di fissione altre particelle, in particolare neutroni; il numero di neutroni emessi in media in una reazione di fissione è indicato con ν. 2 Per una generica reazione nucleare a + b c + d (1.3) si definisce Q-valore la quantità, relativisticamente invariante, M a + M b M c M d. Q corrisponde alla energia liberata nella reazione: se Q 0 essa è esotermica, ovvero può avvenire spontaneamente, altrimenti è necessario che le particelle di stato iniziale posseggano un energia minima, affinché essa possa procedere. Particolarmente importante è tale energia minima misurata nel sistema di riferimento del laboratorio, in cui la particella b (bersaglio) è in quiete: essa viene chiamata energia di soglia nel laboratorio o semplicemente energia di soglia.

13 1.1. REATTORI NUCLEARI TRADIZIONALI 7 quella dei frammenti di fissione: Q = M(Z, A) M(Z 1, A 1 ) M(Z 2, A 2 ) = B(Z 1, A 1 ) + B(Z 2, A 2 ) B(Z, A) (1.4) Chiamando rispettivamente ε, ε 1, ε 2 le energie medie di legame per nucleone dei tre nuclei nella reazione 1.2 si può anche scrivere: Q = A 1 ε 1 + A 2 ε 2 A ε = A( A 1 ε 1 + A 2 ε 2 A ε) = A (ε ε) (1.5) ε è il valor medio della energia di legame dei due nuclei X 1 e X 2 ; dal grafico 1.1 si vede che se A > 56, ε > ε, dunque Q > 0. Come ordine di grandezza, il valore della energia liberata per fissione è pari a 200 MeV. Anche se la reazione 1.2 è cinematicamente ammessa, è possibile che essa non avvenga a causa della presenza di una barriera di potenziale nucleare che trattiene i due frammenti di fissione all interno del nucleo X; tale barriera diminuisce per i nuclei più pesanti, fino ad essere quasi nulla per elementi trans-uranici come il Mendelevio e il Laurenzio, per i quali avviene fissione spontanea 3. Vi sono nuclei nei quali la fissione nucleare non è spontanea ma può essere indotta dall esterno, fornendo sufficiente energia affinché i frammenti di fissione superino la barriera di potenziale nucleare: l energia minima necessaria è detta energia di soglia. Nei reattori nucleari vengono utilizzati materiali di questo tipo e l energia per realizzare la fissione è fornita mediante il meccanismo di cattura neutronica Cattura neutronica e fissione nucleare Sono chiamate reazioni di cattura neutronica quei processi nei quali un nucleo assorbe un neutrone esterno con conseguente liberazione di un eccesso di energia ε. Tale energia può portare il nucleo finale in uno stato eccitato che può decadere per emissione γ o α, o per fissione nucleare se ε è sufficiente per superare la barriera di potenziale nucleare. La reazione considerata è la seguente (indicando esplicitamente l energia liberata): n + A A+1 ZX Z X + ε (1.6) La conservazione della energia totale si scrive (indicando con T n l energia cinetica del neutrone incidente e assumendo il nucleo iniziale fermo): ε = M n + T n + M(Z, A) M(Z, A + 1) T A+1. (1.7) 3 Per nuclei più leggeri la probabilità che avvenga fissione spontanea è non-nulla a causa della presenza di effetto tunnel: è il caso, ad esempio, di 238 U e di 239 Pu.

14 8 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Applicando anche la conservazione dell impulso si ha che p n = p A+1, perciò in trattazione non relativistica: ε = B n + T n p 2 A+1 2M(Z, A + 1) = B M n n + T n (1 M(Z, A + 1) ) (1.8) Nell equazione 1.8 B n indica la energia di legame, presa positiva, del neutrone più esterno nel nucleo A+1 Z X che si forma in seguito alla cattura 4 ; inoltre, approssimando nella parentesi M(Z, A + 1) M n (A + 1) si ottiene la nota espressione: A ε = B n + T n A + 1 (1.9) Questa equazione mostra che, anche in seguito ad assorbimento di un neutrone termico 5, con energia cinetica praticamente nulla, viene liberata nella cattura un energia pari a B n. Nei reattori nucleari, tramite cattura neutronica viene ceduta energia ai nuclei del combustibile, al fine di superare la barriera di potenziale nucleare e rendere possibile la fissione. In particolare, si distinguono due tipi di materiali: Materiali fissili: Sono materiali nei quali è sufficiente la cattura di neutroni termici per ottenere la fissione. Fra di essi, U e Pu. Materiali fissionabili: Sono materiali non fissili nei quali per indurre fissione è neces- 238 saria la cattura di neutroni veloci. Fra di essi, U e Th Il fattore di moltiplicazione k eff Un reattore nucleare produce energia attraverso una catena di reazioni di fissione: i neutroni emessi da un nucleo che fissiona vengono catturati da altri nuclei, fissili o fissionabili, che a loro volta danno luogo a fissione producendo ulteriori neutroni, secondo un meccanismo a catena. Quantitativamente, questo processo è descritto dal fattore di moltiplicazione k eff, definito come: k eff = Numero di fissioni avvenute in una generazione Numero di fissioni avvenute nella generazione precedente (1.10) 4 B n = M n + M(Z, A 1) M(Z, A) per il generico nucleo A ZX 5 Tradizionalmente, nella fisica dei neutroni di bassa energia viene utilizzata la nomenclatura riassunta in tabella seguente: Intervallo di energia Nome E n < 0.01 ev Neutroni termici 0.01eV < E n < 100 kev Neutroni epitermici 100 kev < E n < 10 MeV Neutroni veloci

15 1.2. SISTEMI ADS 9 Figura 1.2: Rappresentazione grafica qualitativa di una reazione di fissione a catena; non sono mostrati i prodotti di fissione che si ottengono. Dalla definizione 1.10 (in cui con generazione si intende uno dei passaggi del processo a catena, nonché i neutroni ed i nuclei presenti durante esso) si vede che un reattore nucleare può trovarsi in tre regimi di funzionamento distinti, al variare di k eff : ˆ k eff = 1: il numero di fissioni che avvengono nel reattore è costante nel tempo, come la potenza sviluppata: il sistema è stazionario. Un reattore con un tale valore di k è detto critico. ˆ k eff > 1: il numero di fissioni che avvengono aumenta nel tempo, si ha un sistema sovra-critico: questo regime di funzionamento è quello che di un reattore durante la fase iniziale di accensione. ˆ k eff < 1: il numero di fissioni che avvengono diminuisce nel tempo, si ha un sistema sotto-critico: questo regime di funzionamento è quello che di un reattore durante la fase di spegnimento. Per un reattore con una data geometria e composizione, il valore nominale di k eff è fissato, e ciò comporta vincoli in fase di progettazione, ma durante il funzionamento è possibile modificare tale valore, mediante la movimentazione di barre di materiale assorbitore di neutroni, dette barre di controllo: estraendo tali barre il numero di fissioni (e conseguentemente k eff ) aumenta, inserendole nel sistema esso diminuisce; l intervallo di variabilità caratteristico di k eff per un reattore a regime è [1]. 1.2 Sistemi ADS In un reattore nucleare sottocritico (k eff < 1) la reazione di fissione a catena non può auto-sostenersi ed il numero di fissioni diminuisce nel tempo fino allo spegnimento; una sorgente esterna può però fornire i neutroni sufficienti affinchè il sistema sia stazionario.

16 10 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Un sistema ADS, Accelerator Driven System, è costituito da un reattore sottocritico accoppiato ad un acceleratore di particelle; la sorgente esterna di neutroni è ottenuta dalla interazione di queste con un opportuno bersaglio; tipicamente k eff per un ADS varia entro l intervallo [2]. Figura 1.3: Schema di un generico sistema ADS. In figura 1.3 è mostrato schematicamente un sistema ADS: esso è costituito da un reattore sottocritico nel quale è inserito un opportuno bersaglio che svolge la funzione di sorgente esterna di neutroni allorché un fascio di particelle, prodotto da un acceleratore, incide su di esso. Dal reattore viene estratta energia termica, che successivamente è convertita in energia elettrica con efficienza η ex ; una frazione f di questa energia è fornita all acceleratore di particelle, caratterizzato da una efficienza di accelerazione η ac : quest ultima è definita come il rapporto Ep E a, ove E a è la energia che è necessario fornire alla macchina per accelerare una particella alla energia E p (tipicamente, l ordine di grandezza di η ex e di η ac è 0.4). In questa sezione, dopo una discussione degli aspetti energetici di un ADS, si vuole brevemente presentare i vantaggi derivanti dall uso di un tale sistema rispetto ad un reattore termico convenzionale; in conclusione vengono presentati alcuni esempi di sistemi ADS proposti o in via di realizzazione. Una trattazione completa si puó trovare in [3] Aspetti energetici Sia N 0 il numero di neutroni che vengono prodotti dal bersaglio per ciascun protone incidente: se il sistema bersaglio+reattore è caratterizzato da un fattore di moltiplicazione

17 1.2. SISTEMI ADS 11 k s 6 il numero totale di neutroni che si hanno dopo la moltiplicazione è: Perciò il numero di neutroni secondari è: N = N 0 + N 0 k s + N 0 k s k s + = N 0 1 k s (1.11) k s N s = N N 0 = N 0 (1.12) 1 k s Considerando che questi neutroni secondari sono prodotti da reazioni di fissione, che per ciascuna fissione vengono in media prodotti ν neutroni e che la energia media liberata da una fissione è E f 200 MeV, si ha che la energia totale liberata dalla immissione degli N 0 neutroni nel sistema è: E tot = N s ν E N 0 k s f = E f (1.13) ν 1 k s Si definisce guadagno energetico del sistema G il rapporto tra E tot e la energia E p della particella che, incidendo sul bersaglio, produce i neutroni: G = E tot E p = E f N 0 k s E p ν(1 k s ) (1.14) Come visto sopra, parte della energia termica estratta dal sistema e convertita in energia elettrica è fornita all acceleratore, per ottenere un sistema che, a regime, si auto-sostiene: affinchè ciò accada, è necessario che valga la condizione seguente: E a = E p η ac = f E el = f E th η ex = f E p G η ex f = Sicurezza 1 G η ex η ac (1.15) In un ADS, l operatività del reattore è legata direttamente a quella dell acceleratore; quest ultimo svolge, nel problema del controllo del sistema, funzione analoga a quella delle barre di controllo in un reattore tradizionale, con l importante differenza che, essendo il sistema sottocritico, eliminando il fascio incidente il reattore si spegne poichè è privato della sorgente esterna di neutroni. Non sono perciò possibili incidenti nei quali il reattore, fuori controllo, abbia un escursione critica di potenza (come avvenuto nei due incidenti di Chernobyl e Three Mile Island): questo garantisce un alta affidabilità di questi sistemi dal punto di vista della sicurezza. 6 Non bisogna confondere il fattore di moltiplicazione intrinseco del reattore k eff con k s, fattore di moltiplicazione di sorgente: quest ultimo dipende, oltre che dalle caratteristiche geometriche e di composizione del reattore, anche dalla distribuzione energetica e spaziale dei neutroni da sorgente.

18 12 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Trasmutazione delle scorie Un reattore nucleare convenzionale produce al suo interno Plutonio e altri attinidi minori: essi sono elementi instabili che decadono α 7 con tempo di dimezzamento estremamente elevato (circa anni per Pu e più di 2 milioni di anni per Np); a causa di ciò è necessario prevedere un loro immagazzinamento in un luogo sicuro, tipicamente un deposito sotterraneo, per tempi ben superiori a quelli di una generazione umana. La tabella 1.1 riporta la produzione annuale tipica di tali elementi da parte di un reattore termico di potenza (elettrica) 1 GW. Nuclide Am Am Pu Np Cm T 1/2 (anni) Produzione annuale (kg) Tabella 1.1: Produzione annuale tipica di Plutonio e di Attinidi minori da reattore. Una soluzione a questo problema è offerta dai nuovi reattori nucleari, che posseggono uno spettro di neutroni veloce: tra essi gli ADS e i reattori convenzionali di quarta generazione. Viene sfruttato il fatto che tutti gli elementi sopra sono fissionabili, dunque possono essere utilizzati come combustibile direttamente all interno del reattore, producendo energia e contemporaneamente eliminandoli: la reazione di fissione è resa possibile dal fatto che il neutrone catturato è veloce, perciò fornisce al nucleo anche la sua energia cinetica, come si vede dalla equazione 1.9. La figura 1.4 mostra in particolare la forma di un tipico spettro di neutroni veloci in un reattore ADS o di quarta generazione confrontata con l andamento delle sezioni d urto di fissione di Plutonio e di attinidi minori: si nota che una notevole porzione dello spettro può dar luogo alla fissione di questi elementi Incenerimento dei frammenti di fissione Alcuni dei frammenti di fissione prodotti all interno di un reattore sono radioattivi, con vita media lunga 8 : essi sono scorie e devono essere trattati in modo opportuno, mediante immagazzinamento in luoghi sicuri. 7 Con il termine decadimento α si indica un processo di decadimento nel quale viene emesso un nucleo di Elio-4 (tradizionalmente chiamato particella α ), secondo la reazione: A A 4 Z X Z 2 Y + α (1.16) Spesso tale decadimento produce un processo a catena, in quanto il nucleo A 4 Z 2Y prodotto può essere instabile. 8 Tali frammenti tipicamente decadono con un meccanismo a cascata, attraverso processi β o γ. Il decadimento β consiste nella seguente reazione in cui un nucleo altera di una unità la sua carica elettrica,

19 1.2. SISTEMI ADS 13 Figura 1.4: Confronto tra lo spettro energetico tipico dei neutroni in un reattore ADS e le sezioni d urto di fissione degli attinidi minori. La tabella 1.2 mostra la produzione annuale tipica di questi elementi all interno dello stesso reattore termico considerato nella sezione precedente. Nuclide Se Zr Tc Pd Sn I Cs T 1/2 (anni) Produzione annuale (kg) Tabella 1.2: Produzione annuale tipica di frammenti di fissione a vita media lunga da reattore. Questi elementi possono essere inceneriti all interno di un reattore di nuova generazione: mediante reazioni di cattura neutronica è possibile trasformarli in elementi stabili o a vita media corta, per i quali non si presentano particolari problemi di trattamento. Esempi di queste reazioni sono: 99 Tc n Tc β (t 1/2 =15s) 100 Ru (stabile) (1.19) con emissione di un elettrone (o positrone) e di un antineutrino (o neutrino) elettronico: A Z X Z±1 A X + e + ν e (1.17) Con il termine decadimento γ si indica invece la reazione in cui un nucleo in uno stato eccitato transisce ad uno stato di energia inferiore, non necessariamente il fondamentale, con emissione di un fotone: A Z X A Z X + γ (1.18)

20 14 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS I + n I β (t 1/2 =12.5h) 130 Xe (stabile) (1.20) È da osservare che, al contrario della trasmutazione di attinidi, l incenerimento delle scorie non avviene tramite fissioni che liberino energia e contribuiscano alla catena di reazioni del reattore, bensì mediante processi che sottraggono neutroni dal sistema; questi materiali vengono per tale motivo definiti veleni e la loro presenza all interno di un reattore è critica in quanto può variare il valore di k eff Alcuni esempi Il progetto del Professor Carlo Rubbia Il progetto di reattore ADS elaborato dal Professor Carlo Rubbia [4] aveva come scopo primario la produzione di energia; solo successivamente sono state analizzate applicazioni di incenerimento e trasmutazione di scorie. Esso era costituito da un reattore sottocritico raffreddato a piombo: quest ultimo è anche il bersaglio su cui incide il fascio di protoni da acceleratore per produrre neutroni. Le caratteristiche di questo sistema sono riassunte nella tabella 1.3. Energia del fascio E p 1 GeV Corrente tipica 10 ma Potenza 1500 MW termici k eff 0.98 Tabella 1.3: Principali caratteristiche del sistema ADS proposto da C. Rubbia Progetto TRADE (Triga Accelerator Driven Experiment) Questo progetto [5] coinvolgeva il reattore sperimentale TRIGA sito nel centro di ricerca ENEA di Casaccia; esso prevedeva alcune modifiche strutturali a questo reattore per renderlo sottocritico, con k eff compreso nell intervallo Per realizzare il sistema ADS era previsto l utilizzo di un acceleratore di protoni il cui fascio avrebbe colpito un bersaglio solido in tungsteno all interno del reattore. Lo scopo primario di questo progetto di ricerca era quello di studiare alcuni aspetti di un ADS, tra cui la relazione tra l intensità del fascio incidente e la potenza del reattore ed il controllo del sistema mediante variazioni della corrente dell acceleratore; si proponeva anche di analizzare alcuni aspetti di cinetica del reattore 9 al variare di k eff. 9 Con la espressione cinetica di un reattore nucleare si intende il comportamento dello stesso in regime non-stazionario, nonché gli aspetti legati al controllo di un tale sistema.

21 1.3. PRODUZIONE DI NEUTRONI DA UN BERSAGLIO 15 Alcuni parametri di questo progetto sono riportati in tabella 1.4. Energia del fascio E p 110 MeV Corrente 1-2 ma Potenza 1 kw k eff k s 0.97 Tabella 1.4: Principali caratteristiche di TRADE Progetto MYRRHA MYRRHA [6] è un progetto attualmente in fase di realizzazione presso Mol (Belgio); esso ha avuto il via nel 1997 e si prevede diventi operativo nel Tale progetto include la costruzione di un dimostratore ADS per fini di ricerca e sviluppo, in particolare riguardo alle potenzialità di questo sistema nello smaltimento di scorie radioattive per incenerimento o trasmutazione. Esso prevede l utilizzo di un ciclotrone per protoni accoppiato ad un sistema sottocritico, raffreddato a Piombo-Bismuto liquido: questo materiale svolge anche il ruolo di bersaglio per la produzione di neutroni; per garantire la sicurezza del sistema, si ha che k eff < 0.95 durante la normale operatività del sistema. In tabella 1.5 sono riportate le principali caratteristiche di questo sistema. Energia del fascio E p 350 MeV (600 MeV) Corrente 5 ma (2.5 ma) Potenza 60 MW k eff < 0.95 Tabella 1.5: Principali caratteristiche di MYRRHA 1.3 Produzione di neutroni da un bersaglio I neutroni che vengono immessi dall esterno in un ADS sono ottenuti facendo incidere su un bersaglio un fascio di particelle (tipicamente costituito da protoni) prodotto da un acceleratore. Prima di descrivere i meccanismi fisici alla base di ciò, è necessario introdurre la grandezza fisica che caratterizza quantitativamente questo processo di emissione.

22 16 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Yield di produzione di neutroni Si definisce yield Y di neutroni il numero medio di particelle prodotte per protone incidente all interno di un bersaglio il cui spessore sia superiore al range dei protoni, affinché gli stessi vengano completamente fermati dentro di esso. Si introducono anche i due oggetti: dy de n e dy de n dω Essi sono lo yield differenziale rispetto all energia del neutrone emesso e lo yield doppiamente differenziale rispetto all energia e all angolo solido del neutrone emesso. Questa grandezza dipende sia dalla energia del protone incidente E p, sia dalle caratteristiche del bersaglio, ovvero dalla sua composizione e dalle sue proprietà geometriche; la definizione dello yield pone soltanto una condizione sulla dimensione longitudinale dello stesso. La dipendenza dalla geometria è dovuta al fatto che lo yield corrisponde al numero assoluto di neutroni emessi dal bersaglio, per protone incidente, ed è dunque legato a tutti i processi attivi nel bersaglio in seguito ad una collisione: le particelle (di elevata energia) emesse a seguito delle interazioni primarie possono a loro volta interagire con altri nuclei emettendo neutroni. I neutroni emessi possono inoltre essere ri-assorbiti dal bersaglio stesso, o, in seguito a diffusione elastica, possono alterare la loro direzione e la loro energia. L intensità di questi processi dipende criticamente dalla geometria del bersaglio: è a causa di questo fatto che, per bersagli diversi, a parità di energia del fascio incidente, lo Yield può cambiare, pur mantenendo lo stesso ordine di grandezza per oggetti simili fra loro. Range di particella carica all interno di un materiale Il meccanismo principale di interazione per una particella carica all interno di un materiale è la ionizzazione degli atomi del mezzo, con conseguente perdita di energia; la energia media perduta per unità di lunghezza da una particella è ben descritta dalla relazione di Bethe-Block: de dx = C ρz A (Z p β )2 (ln 2m ec 2 γ 2 β 2 β 2 ) (1.21) I Nella equazione 1.21 ρ, Z ed A sono la densità, il numero atomico e il numero di massa del bersaglio, Z p la carica della particella incidente (in unità di carica dell elettrone), β la velocità della particella incidente (nel sistema di unità di misura c = 1). La costante

23 1.3. PRODUZIONE DI NEUTRONI DA UN BERSAGLIO 17 C vale MeV cm 2 /g, ed I è il potenziale medio di ionizzazione atomico del mezzo considerato 10. Introducendo la quantitá ξ = ρx (spessore massico) si ottiene che la perdita di energia per unità di percorso diventa praticamente indipendente dal mezzo considerato, poichè per tutti i materiali Z A 1 2 (ad eccezione dell idrogeno): si ha solo la debole dipendenza logaritmica del potenziale di ionizzazione. La apparente divergenza per β 0 non sussiste poiché la relazione di Bethe-Block non è piú applicabile a basse energie: per utilizzarla, si richiede che la particella in moto abbia energia superiore a quella caratteristica degli elettroni nel mezzo considerato. In seguito al processo di ionizzazione, la particella incidente rallenta all interno del mezzo: si definisce range di una particella il tragitto che essa percorre prima di fermarsi; a causa delle fluttuazioni statistiche che caratterizzano la perdita di energia, dato un fascio monocromatico di energia E 0 incidente su un materiale le diverse particelle hanno range individuali diversi: si assume come range corrispondente alla energia E o il valor medio di questi. Da un punto di vista teorico, il range si puó calcolare conoscendo la perdita di energia media per unità di lunghezza: R(E 0 ) = E0 0 dx de (1.22) de In pratica, si fa uso di grafici e tabelle ([8]) che forniscono, per diversi materiali, il range di una particella in funzione della sua energia: i dati presenti in esse sono ottenuti da calcoli numerici o simulazioni MonteCarlo; a titolo di esempio, il seguente grafico riporta l andamento del range di protoni nel Berillio. È anche possibile ricavare un espressione che consente di calcolare, tramite tabelle, l energia E 1 con cui una particella di energia E 0 fuoriesce da un materiale di spessore s inferiore al range: R(E 0 ) = E0 0 dx de de = E1 0 dx de de + E0 E 1 dx de de = R(E 1) + s(e 0, E 1 ) (1.23) Si ha che il range di una particella di energia E 0 è pari allo spessore che essa attraversa passando da E 0 a E 1 più il range corrispondente alla energia E 1 : noti s ed E 0 si calcola R(E 1 ) e successivamente si ricava dalle tabelle E Processi di interazione I processi fisici che intervengono durante l interazione di un protone con un nucleo, con conseguente emissione di neutroni, sono molteplici e vengono descritti da diversi modelli; 10 Una formula semi-empirica che fornisce il valore di I è I = 16 Z 0.9 ev ([7]).

24 18 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Figura 1.5: Range di protoni nel Berillio. Da [8]. ciascuno di essi presenta limiti di applicabilità che coinvolgono l energia del proiettile incidente e quella del sistema nucleare. Sinteticamente, essi sono: Cascata intranucleare (INC): Questo modello ([9]) descrive l interazione del nucleo con un proiettile di energia sufficientemente elevata per risolvere la struttura nucleare 11 : come ordine di grandezza si deve avere E p > 200 MeV. Tale modello si applica considerando le interazioni primarie del proiettile incidente con uno o più nucleoni all interno del nucleo, i quali a loro volta interagiscono con altri nucleoni, secondo un processo a cascata; l interazione fra due particelle è trattata come un problema a due corpi, ignorando la presenza degli altri nucleoni. La statistica fermionica del sistema deve essere considerata e ciò porta ad introdurre sezioni d urto di interazione nucleone-nucleone efficaci, corrette rispetto a quelle che valgono per due particelle che interagiscano nel vuoto. Ciascuna particella è considerata fintanto che si trovi all interno del sistema, con un energia superiore ad un valore di taglio E cut, parametro libero del modello; quando non vi sono più particelle che soddisfino queste condizioni, la cascata intranucleare termina, lasciando il nucleo in uno stato eccitato. 11 Questa condizione si implementa come segue: se r è il raggio nucleare, affinché un proiettile esterno possa risolvere la struttura del nucleo è necessario che la sua lunghezza d onda di De Broglie sia inferiore ad r: λ < r. L impulso della particella è p = 2π h ; si ricava in tal modo che p > 2π h. Questo pone un λ r limite inferiore all energia del proiettile.

25 1.3. PRODUZIONE DI NEUTRONI DA UN BERSAGLIO 19 Pre-equilibrio: Questo modello ([10], [11]) descrive l interazione del proiettile con il nucleo (o, eventualmente, la dinamica di un nucleo precedentemente eccitato) attraverso il modello a shell: lo stato iniziale (nucleo + particella incidente) è del tipo p = 1, h = 0 (ove p sono le particelle e h le lacune del sistema). Esso, successivamente, decade verso l equilibrio attraverso stati del tipo p, h a causa dell interazione nucleare residua 12, con il vincolo che in ciascuna transizione il numero n = p + h vari di ±2 unità (vengono considerate solo interazioni a due corpi). Questo modello è applicabile fintanto che l energia media dei nucleoni è più grande della separazione caratteristica fra i livelli nucleari. Evaporazione: Questo modello ([12]) è applicabile quando le energie caratteristiche dei nucleoni sono inferiori alla profondità del potenziale nucleare (come o.d.g, vale la condizione E n < 40 MeV). In esso l energia di eccitazione del nucleo viene condivisa da tutti i nucleoni e la trattazione dei successivi processi di diseccitazione è fatta attraverso un approccio statistico, di tipo termodinamico: si sfrutta l analogia tra il sistema nucleare ed un liquido che bolle. In particolare, si associa al nucleo una temperatura, definita tramite la nota relazione: ds de = 1 T (1.24) in cui S è l entropia del sistema nucleare ed E la sua energia. In generale, l interazione di un protone con un nucleo procede attraverso diverse fasi, ciascuna descritta da uno dei modelli sopra; durante ognuna di esse vengono emessi nucleoni dal sistema, con energie e distribuzioni angolari caratteristiche. In particolare, si parla di spallazione allorché un proiettile di alta energia (E p > 200 MeV) colpisce un bersaglio pesante, con conseguente produzione di numerosi neutroni (come ordine di grandezza, sono richiesti circa 30 MeV per produrre un neutrone attraverso questo meccanismo). L interazione procede attraverso tre fasi, descritte dai modelli sopra: al termine di ciascuna di esse (ad eccezione di quella evaporativa) il sistema si trova in uno stato eccitato, che è l inizio per quella successiva. 12 L interazione nucleare residua, nel contesto del modello a shell, è descritta come segue: sia V ij il potenziale di interazione fra due nucleoni; il potenziale complessivo per il nucleo è V = Vij. Nel i>j modello a shell, esso viene sostituito con un potenziale di singola particella centrale U; si definisce potenziale di interazione residua l oggetto V U.

26 20 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS Questo meccanismo é quello comunemente sfruttato nei sistemi ADS (tra cui gli esempi citati prima) per produrre neutroni, nel caso in cui si preveda l utilizzo di acceleratori con energia sufficientemente elevata. 1.4 Utilizzo di un bersaglio in Berillio Il Berillio è un ottimo candidato come bersaglio per la produzione di neutroni in un sistema ADS con un acceleratore di particelle di bassa energia (E p < 100 MeV). Questo è dovuto, tra i vari motivi, al fatto che in questo elemento il neutrone più esterno (detto neutrone ottico ) è debolmente legato al nucleo, dunque è sufficiente una piccola quantità di energia per estrarlo; infatti l energia di legame di questo nucleone è pari a (dalla eq. 1.8): 9 B n ( Be 8 ) = M( Be 9 ) + M n M( Be) = MeV (1.25) Tale valore va messo in relazione alla energia di legame media per nucleone in 9 Be, pari a B = 6.59 MeV/nucleone: tra i due si ha una differenza relativa pari a circa il 75%. Per confronto, nel Piombo (materiale comunemente utilizzato come bersaglio di spallazione) si ha B n = MeV e B = 7.88 MeV/nucleone: la differenza relativa fra questi due valori è solo il 6.5%, ovvero il neutrone più esterno di questo nucleo è legato al sistema come quelli più interni. La figura 1.6 mostra il livello fondamentale di 9Be descritto dal modello a shell: si vede la presenza di un neutrone di valenza nella shell 1p 3/2, da cui derivano spin e parità di 3 + questo stato: 2 ; tutti gli altri nucleoni sono accoppiati fra loro in coppie bosoniche a spin 0, a causa della interazione residua, e non contribuiscono a spin e paritá del sistema. Reazione Q-valore Energia di soglia 8 (p,np) Be -1.9 MeV MeV 5 (p,nα) Li -3.5 MeV 3.9 MeV (p,n) 9 B -1.7 MeV 2.1 MeV 4 (p,npα) He -1.6 MeV 1.7 MeV Tabella 1.6: Alcuni canali per la reazione p+ 9 Be che danno luogo a produzione di neutroni. La produzione di neutroni in seguito all interazione di un protone con un nucleo di può procedere attraverso diversi canali (ovvero dar luogo a stati finali diversi): la tabella 1.6 ne riporta un parziale elenco (un elenco completo si può trovare in [13]) 13. Per ciascuno di essi sono mostrati il Q-valore e la energia di soglia nel laboratorio. 13 Viene qui utilizzata la usuale notazione compatta per indicare una reazione nucleare in cui un proiettile 9Be

27 1.4. UTILIZZO DI UN BERSAGLIO IN BERILLIO 21 Figura 1.6: Lo stato fondamentale di 9Be nel modello a shell; in bianco i protoni, in nero i neutroni. Sono indicati i primi quattro livello nucleari, con il loro momento angolare (orbitale e totale) Misure di Yield di neutroni da Berillio Sono mostrati di seguito alcuni risultati ottenuti da precedenti misure di Yield di neutroni dal Berillio; per ciascuna di esse è riportata una descrizione delle condizioni di lavoro ed il valore dell errore sperimentale riportato dagli autori. Si è cercato di riportare misure con protoni incidenti di diverse energie, in modo da presentare i risultati attualmente noti per l intervallo energetico MeV, nel quale si colloca la presente misura. Brede ed al. In questo lavoro [14] gli autori hanno misurato lo Yield di produzione di neutroni da un bersaglio in Berillio colpito da un fascio di protoni 14 con varie energie, comprese tra 17 e 22 MeV; il bersaglio era di forma cilindrica, con raggio r = 17.5 mm e spessore d = 5 mm. Per confronto, il range di protoni da 22 MeV entro il Berillio é R = 3.4 mm: il fascio di particelle è completamente fermato nel bersaglio. α impatta su un nucleo A Z X: α + A ZX β 1 + β β n + A Z X A Z X (α, β β n) A X Z 14 Nello stesso lavoro viene anche considerato il caso in cui il fascio incidente sia composto da deutoni, ma ciò non è importante per il confronto qui presentato.

28 22 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS In particolare, sono stati misurati lo yield differenziale in energia ed angolo solido ad un angolo di 0 rispetto all asse del fascio incidente, facendo variare l energia di quest ultimo; i dati sono riportati per neutroni con energia superiore a 500 kev. Successivamente è stato misurato lo yield totale a vari angoli (tra 0 e 135 ). La tecnica di misura utilizzata è quella del tempo di volo (si veda il paragrafo 2.2), utilizzando come rivelatore uno scintillatore liquido (NE213) accoppiato ad un opportuno fotomoltiplicatore (XP2020); per distinguere fotoni da neutroni è stata utilizzata la pulse shape analysis (descritta in seguito nella sezione 2.3.5). Nell articolo, gli autori riportano una incertezza complessiva sui dati pari a 4.5% per neutroni con energia superiore a 5 MeV, 6% ad 1 MeV e 10.5% a 400 KeV: questi valori sono ottenuti sommando quadraticamente vari contributi, tra cui quelli dominanti sono l incertezza sulla efficienza del rivelatore, sulla misura della carica depositata nel Berillio (ovvero sul numero di protoni incidenti su di esso) ed infine sul fattore correttivo allo Yield dovuto alla attenuazione del flusso di neutroni in aria. Figura 1.7: Yield differenziale di produzione di neutroni per protoni incidenti di energia (a):17.24 MeV; (b): MeV; (c): MeV. Da [14]. Il grafico 1.7 mostra lo yield differenziale in energia ed angolo solido per protoni incidenti con diverse energie; in esso gli autori normalizzano il numero di neutroni prodotti alla carica incidente sul bersaglio, non al numero di proiettili. Il fattore di conversione è dato dalla carica del protone: q p = C. Nel grafico 1.8 è invece mostrata la dipendenza dello yield totale di neutroni dall angolo di misura; la curva (a) si riferisce ad una energia di soglia pari a 2 MeV, la curva (b) a 800 kev; la normalizzazione scelta dagli autori per riportare i dati è riportata sul grafico. Infine, gli autori riportano una relazione semi-empirica per lo Yield totale di neutroni

29 1.4. UTILIZZO DI UN BERSAGLIO IN BERILLIO 23 Figura 1.8: Yield totale di neutroni per protoni incidenti con energia MeV al variare dell angolo di misura. Da [14]. emessi a 0 con energia superiore a 2 MeV in funzione della energia del protone incidente E p, misurata in MeV: dy dω = E 2.73 p neutroni / (sr C ) (1.26) I risultati di questa misura sono confrontabili con quelli di misure eseguite precedentemente da M.A.Lone ([15] e [16]); gli autori concludono che i risultati sono coerenti con quelli precedenti, entro il 10%, che quindi può essere considerato come errore sistematico di queste misure. Meier et al. In [17] è descritta una misura di Yield di neutroni da vari bersagli, tra cui il Berillio, eseguita nel 1988 presso il Weapons Neutron Research Facility all interno del Los Alamos Laboratory (New Mexico). È stato utilizzato un fascio di protoni di energia E p = 113 MeV su un bersaglio cilindrico di raggio r = 3.65 cm e spessore d = 5.7 cm; il range di protoni di tale energia nel Berillio è pari a R(E p ) = 6.3 cm, superiore allo spessore del bersaglio. In questo lavoro gli autori hanno misurato lo Yield di neutroni emessi, differenziale in energia, a quattro diversi angoli (rispetto all asse del fascio): 7.5, 30, 60, 150 ; la tecnica per misurare la energia dei neutroni utilizzata è, come nel caso precedente, quella del tempo di volo, come rivelatore è stato utilizzato uno scintillatore plastico (BC-418) con fotomoltiplicatore. Sono stati misurati neutroni con energia compresa tra 0.6 MeV e 113 MeV: l incertezza complessiva sui dati è pari al 25%, ottenuta dalla somma quadratica di diversi contributi;

30 24 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS in particolare, quelli dominanti sono l incertezza sulla efficienza del rivelatore (12%) e sul segnale di fondo che viene sottratto ai dati (20%). Figura 1.9: Yield differenziale di neutroni prodotti per protone incidente con energia 113 MeV a diversi angoli. Da [17]. Nel grafico 1.9 è riportato il risultato della misura, normalizzato al numero di protoni incidenti sul bersaglio; gli autori riportano anche il confronto con una simulazione MonteCarlo eseguita con il codice HETC [18]. Si osserva che, nella configurazione di lavoro utilizzata, il fascio incidente non viene fermato all interno del bersaglio, ma fuoriesce da esso; l energia media delle particelle uscenti si ricava dalla equazione 1.23: R(E 1 ) = R(E p ) d = 0.6 cm E MeV (1.27) Tale energia è ben superiore alla energia di legame del neutrone ottico nel Berillio (B n = MeV); ciò significa che lo Yield riportato dagli autori nell articolo è sottostimato, in quanto le particelle che fuoriescono dal bersaglio hanno energia sufficiente per produrre ulteriori neutroni. Waterman et al. In [19] è riportato il risultato di una misura di Yield di neutroni da Berillio con un fascio di protoni incidenti con energia 35 MeV o 46 MeV.

31 1.4. UTILIZZO DI UN BERSAGLIO IN BERILLIO 25 Nell articolo gli autori non riportano le caratteristiche geometriche del bersaglio; essi hanno misurato lo Yield differenziale in energia a tre angoli diversi (0, 15, 45 ) per neutroni con energia superiore a 1 MeV. La tecnica di misura utilizzata per ottenere la energia dei neutroni emessi è, anche in questo caso, quella del tempo di volo; come rivelatore è stato scelto uno scintillatore plastico (NE-102) con fotomoltiplicatore. La risoluzione in energia riportata è pari a 6% a 5 MeV e a 11% a 44 MeV; non vengono invece fornite informazioni circa la incertezza con cui è conosciuta la efficienza del rivelatore, nè vengono evidenziate correzioni apportate ai dati (quali sottrazione di fondo). Figura 1.10: Yield differenziale di neutroni prodotti per protone incidente con energia 35 MeV e 42 MeV a diversi angoli. Da [19]. Il grafico 1.10 riporta i risultati ottenuti per le due energie del fascio incidente; nell articolo è riportato anche un valore di Yield totale, integrato in energia a partire da 1 MeV: dy dω = n/ sr C a E p = 35 MeV n/ sr C a E p = 42 MeV Se confrontate con la relazione 1.26 ([14]), valida per neutroni con energia superiore a 2 MeV, si ottiene un ottimo accordo: si calcolano rispettivamente i valori n/ sr C a E p = 35 MeV e n/ sr C a E p = 42 MeV.

32 26 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE AI SISTEMI ADS 1.5 Obiettivi della presente misura Osservando gli esempi precedenti, si nota la assenza di dati di Yield di produzione di neutroni per protoni incidenti con energia compresa tra 50 e 100 MeV. In particolare, risulta importante ottenere dati intorno a 70 MeV di energia del fascio di protoni, in quanto un progetto italiano, attualmente in fase di studio, si basa sulla possibilità di installare un ciclotrone da 70 MeV presso i Laboratori Nazionali di Legnaro (INFN). Tale ciclotrone verrebbe utilizzato primariamente nel progetto INFN/SPES per la produzione di fasci di ioni radioattivi, ma è stato anche proposto di utilizzarlo come driver di un mini-nocciolo a neutroni veloci di bassa potenza. Tale mini-nocciolo, di potenza stimata pari a circa 200 kw termici, utilizzerebbe i protoni da 70 MeV incidenti su un bersaglio di Berillio per produrre neutroni veloci che fissionerebbero un apposita miscela di combustibile, nonché una parte di scorie composte da attinidi minori e frammenti di fissione a vita media lunga. La mia tesi riguarda un test preliminare di fattibilità della misura dello Yield di neutroni da bersaglio spesso in Berillio, sfruttando il fascio di protoni di energia E p =62 MeV prodotto dal ciclotrone di bassa intensità di corrente, ma già operativo, installato presso i Laboratori Nazionali del Sud (INFN) a Catania. In particolare, si vogliono ottenere informazioni circa la forma dello spettro dei neutroni emessi nella regione di bassa energia, ove i dati rintracciabili in letteratura appaiono maggiormente discordanti fra loro. Un tale test di fattibilità permette di studiare le condizioni di lavoro in sala sperimentale, la strumentazione da utilizzare e le sue prestazioni, al fine di ottenere una buona precisione nella misura vera e propria.

33 Capitolo 2 Caratteristiche della misura In questo capitolo vengono presentate le caratteristiche del test di fattibilità della misura dello Yield di neutroni da Berillio realizzata, con riferimento alle proprietà del bersaglio, alla geometria del sistema, alla tecnica utilizzata per misurare l energia delle particelle emesse e alle soluzioni adottate per risolvere il problema del monitoraggio del fascio. 2.1 Bersaglio in Berillio Le caratteristiche geometriche del bersaglio utilizzato sono riportate in tabella 2.1: Forma Cilindro Raggio r = 1.75 cm Spessore d = 3 cm Densità ρ = 1.85 g/cm 3 Tabella 2.1: Caratteristiche del bersaglio in Berillio utilizzato in misura. Il range di protoni con energia cinetica pari a 62 MeV all interno di questo materiale è pari a R = 2.16 cm [8]: poichè d > R il fascio incidente è fermato completamente dentro il bersaglio, condizione necessaria per poter misurare lo Yield di produzione di neutroni. Il bersaglio, in origine, era stato disegnato per protoni incidenti con energia E p = 70 MeV, dunque con uno spessore superiore al range di queste particelle, pari a 2.7 cm; successivamente i responsabili del ciclotrone dei LNS hanno comunicato che era preferibile lavorare a 62 MeV. Il fatto che il fascio di protoni venga completamente assorbito dal bersaglio pone dei problemi per il monitoraggio dello stesso, ovvero per la misura del numero di protoni as- 27

34 28 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA sorbiti nel Berillio: le soluzioni adottate per risolvere ciò vengono esposte successivamente in questo capitolo. Le dimensioni trasverse del bersaglio sono state scelte in modo da minimizzare il numero di particelle cariche emesse dallo stesso in seguito alle reazioni indotte dai protoni del fascio incidente: questa configurazione, determinata attraverso simulazioni MonteCarlo non descritte in questa tesi, è necessaria per adottare una delle tecniche di monitoraggio di fascio descritte in seguito. 2.2 Tecnica di misura La tecnica utilizzata per misurare l energia dei neutroni emessi dal Berillio è quella del tempo di volo: essa consiste nella misura dell intervallo di tempo T tra la produzione di un neutrone nel bersaglio in seguito ad un interazione e il passaggio dello stesso in un opportuno rivelatore posto a distanza d dal bersaglio; questo viene fatto tramite due segnali temporali, detti rispettivamente start e stop. Il segnale di start, prodotto dalla macchina acceleratrice, si può considerare sincrono con l istante in cui il fascio collide con il bersaglio, mentre quello di stop è fornito dal rivelatore, quando un neutrone è effettivamente rivelato in seguito ad una interazione in esso; la differenza fra start e stop fornisce T 1. La velocità della particella è data da: v n = d T Nota v n è possibile ricostruirne l energia cinetica del neutrone: 2 (2.1) T n = 1 2 M nv 2 n (2.2) M n indica, nella formula sopra, la massa del neutrone: in unità c = 1 si ha M n = MeV. L utilizzo di questa tecnica è standard per misure di questo tipo (come si può vedere osservando che è stata utilizzata in tutti gli esempi citati nella sezione 1.4.1) e sfrutta il fatto che, per particelle non-relativistiche, è possibile ricavare l energia cinetica direttamente dalla misura della velocità. 1 Operativamente, la elettronica dell esperimento implementa i segnali start e stop in modo leggermente diverso a causa di esigenze tecniche, come viene descritto in seguito: comunque, le caratteristiche della tecnica di misura utilizzata sono identiche a quelle descritte in questa sezione. 2 Per ricavare la energia cinetica dei neutroni tramite la tecnica del tempo di volo si usa una trattazione non-relativistica: questo è giustificato dal fatto che le energie dei neutroni, come ordine di grandezza, sono certamente inferiori alla energia del fascio di protoni, T p = 62 MeV. Il fatto che T p M n giustifica il limite non relativistico.

35 2.2. TECNICA DI MISURA 29 Per particelle di alta energia infatti si ha saturazione della velocità, v c: in tal caso questa tecnica può essere ancora applicata ma diventa critica la risoluzione temporale dell apparato, che si riflette direttamente sull accuratezza con cui si può determinare la velocità e quindi l energia cinetica della particella. Infatti, usando il sistema di unità di misura c = 1 e indicando con β la velocità del neutrone, si ha che la sua energia totale è data da: E = γ M n con γ = 1 1 β 2 (2.3) Dunque: E E = γ γ = β β 1 β 2 (2.4) Questa espressione diverge per v c (β 1): ciò dimostra che per neutroni relativistici la risoluzione nella misura della velocità rende problematico l uso di questa tecnica. Ad esempio, volendo realizzare una misura in cui E E è, al più, il 10% ed ipotizzando di avere un apparato in cui si misura il tempo di volo su un cammino d = 5 m con risoluzione temporale t = 1 ns, si ottiene β = t d β2, da cui la condizione t d < β 2 Il vincolo sulla risoluzione impone dunque che la massima velocità misurabile sia β max = che, per i neutroni, corrisponde ad una energia cinetica T max 700 MeV; se, invece, si richiede che la stessa misura dell esempio precedente sia realizzata con una indeterminazione relativa sull energia cinetica T T inferiore a 10% si ottiene, in modo simile, la condizione più restrittiva β < 0.596, ovvero T < 230 MeV. Le fonti di incertezza sulla misura della velocità presenti sono, oltre alla risoluzione intrinseca presente nella misura dei tempi: ˆ La larghezza temporale dei bunch del fascio: i protoni del fascio incidono sul bersaglio organizzati in pacchetti ( bunch ), con frequenza fissa. Particelle appartenenti allo stesso pacchetto non giungono sul bersaglio contemporaneamente, ma entro un intervallo temporale δ caratteristico della macchina acceleratrice, detto larghezza temporale dei pacchetti 3. A causa del fatto che la misura del tempo di volo dei neutroni è fatta utilizzando come start un segnale proveniente dalla macchina acceleratrice, sincrono con l impatto dei pacchetti con il bersaglio e a frequenza fissa f B, la larghezza δ è fonte di incertezza sulla misura: non è possibile conoscere quale dei protoni del bunch incidente produce, per interazione forte con i nuclei di Berillio, un neutrone successivamente 3 Tipicamente la struttura temporale dei bunch del fascio entro una macchina acceleratrice è gaussiana: la larghezza temporale δ qui riportata è la deviazione standard σ di tale distribuzione. β 3

36 30 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA misurato dal rivelatore, ovvero l istante di start utilizzato per misurare il tempo di volo possiede indeterminazione δ. La tabella 2.2 riporta le caratteristiche rilevanti in tal senso del sincrotrone presso i LNS utilizzato in questa misura. Frequenza f B dei bunch Periodo T B dei bunch (1/f B ) Larghezza dei bunch Numero medio di protoni per pacchetto (per corrente 1 na) 8.33 MHz 120 ns 0.4 ns 750 protoni Tabella 2.2: Alcune caratteristiche del ciclotrone installato presso i Laboratori Nazionali del Sud. ˆ Le dimensioni finite del rivelatore e del bersaglio: rivelatore e bersaglio sono posti ad una distanza nominale d, che è utilizzata per calcolare la velocità delle particelle tramite la equazione 2.1. La reale distanza percorsa dal neutrone tra l instante in cui è prodotto e quello in cui è rivelato può essere diversa in quanto rivelatore e bersaglio hanno dimensione finita, dunque non sono noti in modo esatto i punti effettivi di produzione nel bersaglio e di interazione nel rivelatore. Infine, un altra fonte di indeterminazione è dovuta alle dimensioni trasverse del fascio di protoni che incide sul bersaglio; essa risulta trascurabile rispetto ai contributi indicati sopra, in quanto il fascio ha una estensione laterale di qualche mm, molto inferiore alle dimensioni del bersaglio Limitazioni La tecnica di misura del tempo di volo ha una notevole limitazione, dovuta al fatto che i bunch del fascio incidono sul bersaglio con periodo T B fisso, producendo ciascuno un segnale di start: non è fisicamente possibile stabilire, per un neutrone rivelato, quale sia il bunch fra quelli precedenti il segnale di stop che, interagendo con il bersaglio, ha dato luogo alla sua produzione. A causa di questo, per ciascuna particella rivelata, il segnale di start utilizzato per la misura del tempo di volo è quello prodotto dal bunch immediatamente precedente il segnale di stop: i tempi misurati sono sempre compresi nell intervallo 0 T B. Un tempo di volo reale T 0 maggiore di T B viene misurato come T = T 0 n T B, ove n è un intero fissato dalla condizione che T appartenga all intervallo sopra; la figura 2.1 mostra questo effetto.

37 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI 31 La energia minima dei neutroni misurabile con questa tecnica è allora E min = 1 2 M n per distanza d = 1.5 m, E min 810 kev. d2 T 2 : B È possibile parzialmente correggere questo problema misurando anche l energia depositata dalle particelle nello scintillatore e analizzando la correlazione fra essa ed il tempo di volo: neutroni più lenti, dunque meno energetici, depositano in media meno energia nello scintillatore rispetto a quello più veloci. Figura 2.1: Errata misura del tempo di volo di un neutrone: il segnale di start del bunch che ha dato luogo alla produzione della particella è evidenziato in rosso, ed il tempo di volo fisico è T 0 ; a causa dell effetto descritto, il tempo di volo misurato è T < T Rivelatori utilizzati Il rivelatore utilizzato in questa misura deve avere le seguenti caratteristiche: ˆ Deve essere veloce, ovvero avere una buona risoluzione temporale intrinseca; il rivelatore è utilizzato per ottenere il segnale di stop in corrispondenza del passaggio di un neutrone al suo interno: si vuole che questo segnale sia il più possibile privo di fluttuazioni temporali che produrrebbero incertezza nella misura della velocità della particella, e dunque della sua energia. ˆ Deve essere compatto, per diminuire la incertezza sul cammino percorso dai neutroni dovuta alla non conoscenza del reale punto di interazione al suo interno. ˆ Deve avere un alta efficienza per la rivelazione di neutroni, in modo da avere un alto numero di conteggi: ciò permette di avere una bassa incertezza statistica sul risultato della misura. Si è scelto dunque di utilizzare come rivelatori scintillatori organici accoppiati ad opportuni fotomoltiplicatori; in particolare, vengono utilizzati due strumenti di tipo diverso,

38 32 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA al fine di poter determinare quello con le migliori caratteristiche da utilizzare in sviluppi futuri della misura. Essi sono: ˆ Uno scintillatore plastico (EJ200) accoppiato a 2 fotomoltiplicatori (Hamamatsu R7723). ˆ Uno scintillatore liquido (EJ301) contenuto in una cella di alluminio, accoppiata a due fotomoltiplicatori (EMI 9954B) Questi scintillatori sono di tipo organico: sono costituiti da molecole aromatiche, basate su una struttura del tipo C n H m con n m, disciolte in soluzione (solida nel primo caso, liquida nel secondo) Interazione dei neutroni con i rivelatori Prima di descrivere i rivelatori, nelle sezioni seguenti è presentata una breve descrizione dei processi di interazione dei neutroni e dei fotoni con uno scintillatore organico. Il processo dominante nell interazione di neutroni veloci (elettricamente neutri) con la materia è la diffusione elastica: tale reazione è caratterizzata dal fatto che le particelle finali coincidono con quelle iniziali, senza alcuna mutazione di stato. Interazione nucleare elastica non relativistica: perdita di energia Indicando con X il nucleo con il quale il neutrone n interagisce elasticamente, si ha la reazione: n + A ZX n + A Z X (2.5) La figura 2.2 mostra la reazione come vista nel sistema di riferimento del laboratorio, in cui inizialmente il nucleo X è in quiete ed il neutrone si muove con velocità v n, ed in quello del centro di massa (CM), ove gli impulsi delle due particelle sono uguali e opposti sia nello stato iniziale che in quello finale. Applicando le leggi di conservazione di energia ed impulso alla reazione 2.5 si ottiene una relazione tra le energie cinetiche del neutrone misurate nel laboratorio prima e dopo l urto, in funzione dell angolo di diffusione misurato nel sistema di riferimento del CM. Approssimando la massa del nucleo A X con M X A M n si ottiene: T f n T i n A A cos θ CM (A + 1) 2 (2.6) L energia perduta dal neutrone si ritrova come energia cinetica del nucleo bersaglio, che rincula e, essendo carico, ionizza gli atomi del mezzo in cui avviene l interazione.

39 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI 33 Figura 2.2: Rappresentazione grafica di un urto elastico di un neutrone con un nucleo X, nel sistema del laboratorio (sinistra) e nel sistema del centro di massa (destra). Con v ed u sono indicate rispettivamente le velocità delle particelle di stato iniziale e di stato finale. In modo del tutto analogo si può mostrare che vale la seguente relazione tra l angolo di diffusione misurato nel sistema di riferimento del centro di massa θ CM e quello misurato nel laboratorio θ l : cos θ l = 1 + A cos θ CM 1 + A 2 + 2A cos θ CM (2.7) Per una diffusione in avanti, θ CM = 0, e T f n = T i n: il neutrone non perde energia nella collisione. La massima perdita di energia si ha per θ CM = π, a cui si ha T f n = α T i n, avendo definito α = ( A 1 A+1 )2, parametro di collisione per l urto: in questa configurazione la perdita di energia è MAX = (1 α)t i n. Poichè per neutroni non relativistici la sezione d urto elastica differenziale in angolo è, con ottima approssimazione, isotropa nel centro di massa, il valor medio di cos θ CM è 0 e gli urti sono distribuiti in modo omogeneo: in ogni urto, un neutrone può perdere un energia compresa tra 0 e MAX, con distribuzione di probabilità costante. È interessante esaminare i casi limite della equazione 2.6: A 1 (Idrogeno ed elementi leggeri): Nel caso di urto elastico di neutroni su bersaglio leggero, si ha che: T f n = T i n 1 2 (1 + cos θ CM); la perdita di energia media per urto è = 1 2 T i n, ovvero la metà dell energia che il neutrone possedeva prima dello stesso. A 1 (Elementi Pesanti): Nel caso di urto elastico di neutrone su un bersaglio pesante, l equazione 2.6 si semplifica notevolmente: si ottiene Tn f Tn. i Il neutrone nella collisione non perde energia e il nucleo bersaglio praticamente non rincula.

40 34 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.3: Andamento del parametro d urto α (sinistra) e della perdita massima di energia per urto MAX al variare della massa atomica del nucleo bersaglio. La tabella 2.3 mostra, per alcuni elementi, il valore del parametro di collisione α e la massima energia che il neutrone può perdere in un urto, normalizzata all energia cinetica iniziale T n. Elemento A α MAX T n Idrogeno % Berillio % Carbonio % Ossigeno % Sodio % Ferro % Tabella 2.3: elementi. Perdita di energia massima del neutrone in un urto elastico con diversi Uno scintillatore organico, sensibile alla deposizione di energia di particelle cariche, rivela neutroni tramite un meccanismo indiretto : tali particelle interagiscono per interazione nucleare con i nuclei del materiale, trasferendo loro energia e mettendoli in moto: questi, essendo carichi, ionizzano ed eccitano gli atomi del mezzo con conseguente produzione di luce di scintillazione. Affinché questo meccanismo sia il più efficiente possibile è importante che il neutrone trasferisca molta energia ai nuclei del materiale: nel caso limite A 1 il rinculo di questi è assente ed il neutrone non verrebbe rivelato. Uno scintillatore organico, costituito da nuclei leggeri (Idrogeno e Carbonio), ha una buona efficienza di rivelazione per i neutroni: esso appare una scelta ottimale per rivelare tali particelle e misurarne l energia attraverso la tecnica del tempo di volo, in quanto

41 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI 35 possiede tutte le caratteristiche elencate precedentemente Interazione dei fotoni con i rivelatori Il processo dominante di interazione di fotoni con energia E γ entro l intervallo 10 kev 10 MeV con uno scintillatore organico è l effetto Compton, ovvero la diffusione di tali particelle sugli elettroni atomici del materiale. L effetto Compton consiste quindi nella reazione: γ + e γ + e (2.8) L elettrone di stato iniziale ha energia tipica di qualche decina di ev, dunque può essere considerato fermo: fatta tale approssimazione si può mostrare che l energia del fotone di stato finale, in funzione dell angolo di diffusione θ, è data da: E γ = E γ 1 + Eγ m e (1 cos θ) (2.9) L energia cinetica di rinculo dell elettrone è invece: T e = E γ E γ m e (1 cos θ) 1 + Eγ m e (1 cos θ) Te MAX 2 Eγ m = E γ e (2.10) Eγ m e Tale energia cinetica viene trasferita, per ionizzazione, dall elettrone agli atomi del materiale scintillatore, con conseguente produzione di luce: ciò permette la rivelazione del fotone incidente. Figura 2.4: Spettro teorico della deposizione di energia di fotoni entro un materiale per effetto Compton. Tale distribuzione presenta un massimo in corrispondenza del valore di energia depositato più elevato, detto Spalla Compton.

42 36 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Se un fascio di fotoni monocromatici incide sullo scintillatore, subendo una sola deflessione Compton, l energia depositata all interno dello stesso non è univoca, ma presenta una distribuzione compresa tra 0 e Te MAX : tale punto nello spettro di energia depositata viene comunemente chiamato spalla Compton o, con termine inglese, Compton Edge Rivelatore con scintillatore plastico Questo rivelatore, realizzato in due esemplari, è costituito da un cubo di scintillatore plastico EJ200 [20] di lato l = 5.2 cm, rivestito da uno strato di materiale riflettente su quattro facce adiacenti; esso è collocato entro un opportuno alloggiamento di alluminio, provvisto di due fori filettati per permettere l accoppiamento con i due fototubi Hamamatsu R7723 [21] e di due finestre in Tedlar (spessore l = 40 µm). I due fototubi sono provvisti di opportuni schermi in µ-metal per isolare gli stessi dal campo magnetico presente nell ambiente di misura e sono collocati entro due alloggiamenti in plastica, che vengono avvitati al supporto di alluminio. Le caratteristiche dello scintillatore e dei fototubi utilizzati dichiarate dal costruttore ed utilizzate per le simulazioni MonteCarlo sono riassunte nelle tabelle 2.4 e 2.5. Yield di luce 10 4 fotoni/mev Tempo di decadimento 2.1 ns Atomi di Idrogeno per cm Atomi di Carbonio per cm Indice di rifrazione n 1.58 Densità ρ g/cm 3 Tabella 2.4: Caratteristiche dello scintillatore EJ200 Lo spettro di emissione caratteristico dello scintillatore è riportato in figura 2.5: esso ha un massimo a circa 425 nm (luce visibile azzurra) ed ha una larghezza di circa 100 nm; è riportata accanto l efficienza quantica 4 del fotomoltiplicatore in funzione della lunghezza d onda incidente, nell intervallo nm: si nota un ottimo accordo tra i due spettri, ovvero il fototubo scelto è in grado di rivelare la luce emessa dallo scintillatore. 4 L efficienza quantica ε(λ) di un fotomoltiplicatore è definita come la probabilità che un fotone di lunghezza d onda λ, incidendo sul fotocatodo, interagisca per effetto fotoelettrico, producendo un elettrone.

43 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI 37 Diametro dell area sensibile del fotocatodo 46 mm Intervallo di sensibilità nm Guadagno caratteristico (1750 V) Tempo di propagazione del segnale 23 ns Tempo di salita 1.7 ns Transit time spread (T.T.S) (FWHM) 1.1 ns Tabella 2.5: Caratteristiche del fototubo Hamamatsu R7723 Figura 2.5: A sinistra: spettro di emissione caratteristico dello scintillatore EJ200, da [20]. A destra: efficienza quantica del fototubo HAMAMATSU R7723, da [21].

44 38 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Rivelatore con scintillatore liquido EJ301 Questo rivelatore, realizzato in due esemplari, è costituito da una cella cilindrica in alluminio, con diametro e altezza pari a 5.2 cm, contenente lo scintillatore liquido EJ301 [22]: sono stati realizzati due esemplari, uno rivestito internamente con una vernice diffondente ed uno di uno strato di materiale riflettente. Tramite due finestre di vetro sulle basi del cilindro tale scintillatore è accoppiato a due fototubi EMI 9954B [23]; il cilindro è inserito nello stesso alloggiamento di alluminio descritto nella sezione precedente, ed i fototubi sono collocati nei medesimi supporti in plastica. Il rivelatore è orientato verso il bersaglio in modo che l asse dello stesso sia ortogonale alla linea di volo delle particelle incidenti su di esso; a causa di questo fatto, lo spessore attraversato dalle stesse è diverso, e varia tra 0, per una particella che sfiori il bordo del cilindro, e il suo diametro. Questa particolare configurazione è stata scelta in quanto più semplice da realizzare in pratica, ma anche perché in tal modo si evita che la radiazione da rivelare passi attraverso uno dei due fototubi prima di incidere sulla cella contenente lo scintillatore liquido. Le tabelle ed i grafici seguenti riportano le caratteristiche di scintillatore 5 e fototubo; si nota nuovamente un ottimo accordo tra lo spettro di emissione dello scintillatore e la curva di efficienza quantica del fototubo. Yield di luce fotoni/mev Tempo di decadimento (componente veloce) 3.16 ns e 32.3 ns Tempo di decadimento (componente lenta) 279 ns Atomi di Idrogeno per cm Atomi di Carbonio per cm Indice di rifrazione n Densità ρ g/cm 3 Tabella 2.6: Caratteristiche dello scintillatore liquido EJ301; la componente veloce del segnale emesso è data dalla somma di due esponenziali, con tempi di decadimento indicati sopra. 5 L emissione di luce in uno scintillatore liquido è caratterizzata da più componenti esponenziali, con diversi tempi caratteristici di decadimento τ. Tipicamente ve ne è una veloce, con τ dell ordine di grandezza di qualche ns, ed una lenta, con τ 100 ns. Questa caratteristica permette l utilizzo della pulse shape discrimination, descritta in seguito.

45 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI 39 Diametro dell area sensibile del fotocatodo 46 mm Intervallo di sensibilità nm Guadagno caratteristico (1800 V) Tempo di propagazione del segnale 41 ns Tempo di salita 2 ns Transit time spread (T.T.S) (FWHM) 3 ns Tabella 2.7: Caratteristiche del fototubo EMI 9954B. Figura 2.6: A sinistra: spettro di emissione dello scintillatore EJ301, da [22]. A destra: curva di efficienza quantica per lo il fototubo EMI 9954B, da [23]; la curva di efficienza quantica è indicata con B. Figura 2.7: Vista dall alto (sinistra) e frontale (destra) dell alloggiamento in alluminio per lo scintillatore. È ben visibile una delle finestre in Tedlar.

46 40 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.8: A sinistra: il supporto in alluminio per lo scintillatore, con i due alloggiamenti per i fototubi attaccati. A destra: il cubotto di scintillatore fasciato e inserito all interno del supporto, con accanto un fototubo entro l alloggiamento in plastica. Figura 2.9: A sinistra: la cella cilindrica in alluminio in cui è presente lo scintillatore liquido EJ301. A destra: la cella inserita entro la struttura in alluminio.

47 2.3. RIVELATORI UTILIZZATI Pulse shape discrimination Una proprietà importante degli scintillatori liquidi è quella di produrre segnali luminosi con andamento temporale diverso per particelle di distinta natura che depositino in essi la stessa quantità di energia. La emissione di luce da tali scintillatori è data infatti dalla somma di due o più componenti, ciascuna avente un andamento temporale di tipo esponenziale decrescente, con tempo caratteristico τ i : tipicamente si distinguono le componenti veloci, con τ v al più pari a qualche decina di ns, da quelle lente, con τ l 200 ns (tab. 2.6). Sperimentalmente si osserva che la frazione di luce presente nella componente lenta dipende dal tipo di particella incidente: sfruttando questo fatto è possibile distinguere particelle diverse (come neutroni e fotoni, o particelle di carica e/o massa diversa) che depositino nello scintillatore la stessa quantità di energia efficace, ovvero producano complessivamente la stessa quantità di luce, in quanto la forma temporale del segnale in uscita dal sistema scintillatore + fotomoltiplicatore è diversa per esse, dipendendo dalla densità di energia depositata; per una particella carica, a parità di energia totale depositata, la luce presente nella componente lenta del segnale è tanto maggiore quanto più è intensa la energia perduta per unità di lunghezza. Nella presente misura la pulse shape discrimination è utilizzata per distinguere fotoni e neutroni: i primi interagisco con le molecole dello scintillatore per effetto Compton, dunque trasferiscono parte della loro energia agli elettroni atomici, che successivamente ionizzano, mentre la interazione dominante per i neutroni è la interazione elastica con i nuclei di idrogeno con successivo rinculo di quest ultimi. Entro l intervallo di energie caratteristiche della misura, la densità di energia depositata per unità di lunghezza dagli elettroni è notevolmente inferiore a quella di protoni: questo permette di utilizzare la pulse shape discrimination. In figura 2.10 è riportato un esempio di due segnali ideali emessi dallo scintillatore, nel passaggio di due particelle distinte che depositino la stessa energia. La discriminazione fra le particelle si può eseguire in diversi modi: ˆ Campionando il segnale in uscita dal fotomoltiplicatore, in modo da poterne ricostruire la intera forma, e da essa risalire al tipo di particella incidente ˆ Integrando il segnale in uscita dal fotomoltiplicatore due volte, con due intervalli di integrazione distinti: il primo sufficientemente ampio per includere l intero segnale, e misurarne la intera area, il secondo per integrare solo la prima parte dello stesso, tagliandone la coda a lunghi tempi. Considerando la correlazione fra i due risultati si risale al tipo di particella incidente.

48 42 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.10: Esempio di emissione di luce da uno scintillatore liquido nel passaggio di due particelle distinte: la luce totale emessa nei due casi è la stessa, ma la frazione f presente nella componente lenta è distinta. I tempi di decadimento sono τ v = 10 ns e τ l = 200 ns. Nella presente misura si è scelta la seconda soluzione, per esigenze tecniche legate al sistema di acquisizione dati, che verranno descritte in seguito. 2.4 Geometria della configurazione sperimentale La figura 2.11 mostra schematicamente la configurazione utilizzata in misura: il fascio di protoni incide ortogonalmente su una delle basi del bersaglio cilindrico in Berillio; i rivelatori sono posti ad una distanza nominale L = 1.5 m dal bersaglio, misurata tra i centri geometrici dei due oggetti, orientati verso di esso ad un angolo θ rispetto all asse del fascio incidente. A causa della simmetria cilindrica presente, il sistema è invariante per rotazioni attorno all asse del fascio incidente, preso come asse z del sistema di riferimento utilizzato: sfruttando questo grado di libertà si è scelto, per praticità, di collocare i rivelatori sul piano orizzontale, alla stessa quota, rispetto al pavimento, del bersaglio (nel sistema di riferimento scelto tale piano è quello definito dagli assi x e z). Le correnti tipiche utilizzate in questo esperimento sono inferiori ad I 0 = 100 pa: questo fa sì che non sia necessario, durante la misura, muovere il fascio sul bersaglio (attraverso opportuni magneti) per distribuire in modo omogeneo la potenza termica trasferita allo stesso. Infatti, avendo protoni con energia E p = 62 MeV la potenza termica che essi cedono al bersaglio, in seguito alla ionizzazione degli atomi dello stesso, è estremamente piccola,

49 2.4. GEOMETRIA DELLA CONFIGURAZIONE SPERIMENTALE 43 inferiore a W 0 = E p I0 q p = 6.2 mw, dunque gli effetti di riscaldamento sono trascurabili: la dissipazione termica avviene attraverso irraggiamento, ma anche per conduzione termica attraverso il contatto elettrico montato sul bersaglio, per monitorare il fascio (si veda la sezione 2.6.2). Figura 2.11: Vista dall alto, schematizzata, del bersaglio e del rivelatore (non in scala). Quest ultimo è alla distanza nominale L dal bersaglio, orientato verso di esso ad un angolo θ rispetto all asse z definito dal fascio incidente. Nella foto 2.12 è mostrata la configurazione sperimentale adottata in sala sperimentale, presso i Laboratori Nazionali del Sud: in primo piano sono visibili i rivelatori, montati su un opportuno supporto appositamente realizzato, e dietro di essi vi è la linea del fascio. Il bersaglio in Berillio è collocato dentro la linea, in corrispondenza dell elemento a T della stessa (nella foto, vicino al cartello di pericolo per radiazioni ), mentre l elemento di linea precedente (una crociera) contiene una lamina spessa in Piombo utilizzata durante alcune misure preliminari, descritte nel paragrafo I rivelatori sono collocati ad angolo di 30 e 60 rispetto alla direzione del fascio incidente, ed è stato scelto di posizionare, a ciascun angolo, sia un rivelatore con scintillatore plastico, sia un rivelatore con scintillatore liquido, per poter confrontare i risultati ottenuti da essi: la tabella seguente riporta la nomenclatura con cui, nella presente tesi, indico tali rivelatori. Rivelatore Nome Scintillatore plastico a 30 Plastico 1 Scintillatore plastico a 60 Plastico 2 Scintillatore liquido a 30 Liquido 1 Scintillatore liquido a 60 Liquido 2 Tabella 2.8: Nomenclatura con cui, nella presente Tesi, indico i diversi rivelatori.

50 44 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.12: I rivelatori montati in sala sperimentale per realizzare la misura; dietro di essi, è ben visibile la linea del fascio. La figura 2.11 mostra anche l effetto delle dimensioni finite di bersaglio e rivelatore sul cammino effettivo percorso dalle particelle rivelate: esso è compreso tra L min e L max ; la quantità L = L max L min corrisponde all indeterminazione su tale percorso, ed è, come vista prima, fonte di incertezza sulla misura dell energia dei neutroni tramite la tecnica del tempo di volo. In particolare, indicando con d lo spessore del bersaglio e con l la dimensione longitudinale del rivelatore (lungo la direzione del moto delle particelle rivelate), si ha che L d e L l (bersaglio e rivelatore hanno dimensioni caratteristiche di qualche centimetro, mentre la distanza nominale fra di essi è dell ordine di grandezza del metro): questo permette di approssimare θ θ 1 θ 2, e di trascurare le dimensioni trasverse del bersaglio. Le distanze minime e massime percorse sono data da: L min : L max : L x min = (L l 2 ) sin θ L z min = (L l 2 ) cos θ d 2 L x max = (L + l 2 ) sin θ L z max = (L + l 2 ) cos θ + d 2

51 2.4. GEOMETRIA DELLA CONFIGURAZIONE SPERIMENTALE 45 Figura 2.13: Preparazione della linea del fascio per la misura: sono visibili la giunzione a T in cui verrà inserito il bersaglio in Berillio e la crociera in cui verrà alloggiata la lamina spessa in Piombo per le misure preliminari descritte nel paragrafo In basso a sinistra si nota il supporto per il Berillio. Da cui: L 2 min = L 2 Ll + l2 4 + d2 4 L 2 max = L 2 + Ll + l2 4 + d2 4 Prendendo solo i termini dominanti in L si ottiene: L min L l 2 d cos θ 2 L max L + l 2 + d cos θ 2 dl cos θ + dl 2 cos θ + dl cos θ + dl 2 cos θ Si ottiene perció che l indeterminazione sul cammino percorso dalle particelle rilevate è data: L = L max L min = l + d cos θ (2.11) Ho utilizzato questa espressione per avere una stima preliminare della risoluzione sulla misura dell energia cinetica T n dei neutroni, per implementare le simulazioni MonteCarlo, mentre, in fase di analisi dei dati, ho indagato questo aspetto in modo più completo, come descritto nel paragrafo 4.5.

52 46 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA 2.5 Schermature L ambiente ove viene realizzata la misura è certamente caratterizzato da un fondo, costituito principalmente da: ˆ Fotoni, sia prodotti da interazione dei protoni nel bersaglio, sia da interazioni secondarie dei neutroni prodotti dal Berillio con i materiali presenti nella sala sperimentale, quali pareti, muri, supporti dei rivelatori. ˆ Neutroni diffusi all interno del rivelatore dagli oggetti circostanti. Tale fondo, difficile da stimare o simulare preliminarmente a causa della sua forte dipendenza dalla geometria della sala sperimentale, può essere fonte di notevole indeterminazione se non viene opportunamente trattato. Nella presente misura si è deciso di misurare il fondo utilizzando una barra di materiale opportuno ( shadow bar ) posta davanti ai rivelatori, per schermare i neutroni che incidono direttamente su di essi e misurare così solo quelli che vengono rivelati in seguito a diffusione su oggetti vicini; essa è costituita da paraffina, poichè tale materiale contiene una alta percentuale di Idrogeno, dunque termalizza in modo efficace i neutroni e li cattura tramite la reazione: n + H D + γ (2.12) In esse inoltre è presente anche Boro (circa 10% in peso), in quanto questo materiale possiede una alta sezione d urto per neutroni termici che interagiscano attraverso la reazione seguente: n + 10 B 7 α + Li(+γ) (2.13) La presenza di Boro permette dunque di catturare in modo più efficace i neutroni che sono stati termalizzati in seguito alle interazioni elastiche con i nuclei di idrogeno. Le caratteristiche riassuntive della schermatura sono indicate in tabella 2.9; per schermare i fotoni provenienti dal bersaglio, nonchè quelli prodotti dalle reazioni di cattura di neutroni che avvengono nella shadow bar, tra essa ed i rivelatori sono posti alcuni mattoni in Piombo, di spessore 10 cm. Il fatto che sia stata realizzata una sola shadow-bar, a forma di parallelepipedo con base quadrata, è stato dettato da esigenze pratiche e da vincoli temporali; questo ha reso ancor più necessario l allineamento del rivelatore con scintillatore liquido come descritto nella sezione precedente, in modo che fosse possibile usare, anche per esso, tale schermatura.

53 2.6. MONITORAGGIO DEL FASCIO 47 Shadow bar Forma Parallelepipedo a base quadrata Dimensioni Lato di base 7 cm, altezza 50 cm Composizione Paraffina (2002 g) e Boro (200 g) Tabella 2.9: Caratteristiche della shadow bar utilizzata nella misura. 2.6 Monitoraggio del fascio Come già evidenziato sopra, in questa misura il monitoraggio del fascio risulta problematico in quanto, avendo un bersaglio spesso che ferma completamente le particelle incidenti al suo interno, non è possibile utilizzare le usuali tecniche, in particolare quella che prevede l uso di una tazza di Faraday; è stato necessario implementare soluzioni diverse che vengono presentate di seguito, dopo una breve descrizione della tazza di Faraday Monitoraggio tradizionale con tazza di Faraday La configurazione tradizionale di una misura di sezione d urto effettuata inviando un fascio su un opportuno bersaglio è riportata schematicamente nella figura 2.14; in particolare, lo spessore del bersaglio deve essere piccolo rispetto al libero cammino medio λ delle particelle all interno dello stesso affinchè sia valida l ipotesi che ciascuna di esse interagisca al più una volta con i nuclei del bersaglio 6. In conseguenza, la frazione delle particelle che attraversando il bersaglio interagiscono è estremamente bassa, dunque in prima approssimazione il fascio passa oltre esso imperturbato. Come esempio che mostra ciò, si può considerare una misura di sezione d urto di protoni con energia 113 MeV incidenti su un bersaglio in Berillio, spesso x = 0.13 cm, riportata in [17]: in questa configurazione, la sezione d urto totale di interazione nucleare protone- Berillio vale σ tot = 230 mbarn. Il libero cammino medio λ è, indicando con n il numero di atomi del bersaglio per unità di volume, con ρ la densità e con A la massa atomica, è: λ 1 = nσ = N AV A ρσ = cm 1 x λ (2.14) 6 Allorché un fascio di particelle cariche incide su un materiale, l interazione dominante è quella elettromagnetica, da cui derivano i processi di ionizzazione e di produzione di radiazione di frenamento. Tale interazione ha intensità tale per cui il libero cammino medio associato ad essa è dell ordine di grandezza delle distanze interatomiche: essa viene dunque parametrizzata come una interazione continua, trascurando la struttura discreta della materia. In ogni caso essa contribuisce solo al rallentamento delle particelle nel materiale, senza alterare l intensità del fascio se lo spessore è inferiore al range

54 48 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.14: Vista schematica del monitoraggio di fascio per un usuale esperimento di misura di sezione d urto con fascio incidente su un bersaglio. L attenuazione del fascio nell attraversare il bersaglio, dovuta ai protoni che, interagendo coi nuclei, vengono sottratti ad esso, è assolutamente trascurabile: I(x) = I o exp( x λ ) I(x) 1 x = (2.15) I 0 λ Il monitoraggio tradizionale in questo tipo di misure sfrutta il fatto che il fascio oltre il bersaglio ha, con ottima approssimazione, la stessa intensità di quello incidente sullo stesso: viene posta oltre il bersaglio una tazza di Faraday, ovvero una tazza in metallo su cui il fascio collide; le dimensioni laterali di questo apparato sono tali da fermare completamente il fascio al suo interno. Per il funzionamento è necessario collegare la tazza a terra, tramite opportuna elettronica di lettura: quando una carica positiva collide con la coppa, viene neutralizzata da un elettrone proveniente da terra; conseguentemente si forma una corrente che, in condizioni ideali, è uguale a quella del fascio incidente. Misurando tale corrente si esegue il monitoraggio del fascio. Comuni fonti di incertezza presenti in questa misura sono l emissione di elettroni secondari prodotti per la ionizzazione che fuoriescono dall apparato o la possibilità che un protone, incidendo sulla coppa, venga diffuso all indietro senza fermarsi all interno della stessa; in entrambi questi casi la misura della carica depositata nella coppa è alterata e la corrente letta non coincide con quella del fascio incidente sulla stessa. Inoltre, è molto importante l isolamento del blocco metallico, onde evitare dispersioni di carica verso terra.

55 2.6. MONITORAGGIO DEL FASCIO Utilizzo del bersaglio in Berillio come tazza di Faraday Il Berillio è un materiale metallico, dunque elettricamente conduttore (la sua resistività elettrica è ρ = 36 nm Ω): è possibile allora eseguire il monitoraggio del fascio utilizzando il bersaglio stesso come tazza di Faraday, ovvero misurando direttamente la carica depositata in esso. La figura 2.15 schematizza questa soluzione. Figura 2.15: Monitoraggio del fascio tramite lettura della carica depositata sul Berillio. Questa tecnica ha il vantaggio di essere facilmente implementabile, in quanto viene utilizzata la stessa elettronica di lettura usata con una comune coppa di Faraday; è solamente necessario collegare un elettrodo al bersaglio, per realizzare il collegamento elettrico con cui effettuare la lettura della carica assorbita. Una soluzione adottata per impedire la fuga di elettroni secondari emessi dai protoni è l utilizzo di un anello di guardia, ovvero di un anello in materiale conduttore, posto davanti al bersaglio e tenuto a potenziale negativo costante (rispetto a terra): esso crea un campo elettrico che tende a riportare gli elettroni secondari eventualmente sfuggiti sul bersaglio in Berillio (a potenziale nullo). La tensione a cui porre l anello di guardia è scelta durante la misura, verificando gli effetti di sue variazioni sulla corrente letta; ci si aspetta che ad un valore sufficientemente elevato di tale tensione praticamente tutti gli elettroni secondari vengano riportati nel Berillio dal campo elettrico presente attorno ad esso, e la corrente letta sia dunque coincidente con quella del fascio incidente Monitoraggio del fascio mediante eventi di diffusione elastica su una lamina sottile Una soluzione alternativa per il monitoraggio del fascio, utilizzabile contemporaneamente a quella descritta nella sezione precedente, può essere la seguente: ponendo davanti al bersaglio in Berillio una lamina sottile di materiale opportuno e utilizzando un rivelatore

56 50 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA Figura 2.16: Supporto per il bersaglio in Berillio; si nota l anello di guardia posto davanti ad esso. che sia in grado di determinare quali siano le particelle diffuse misurandone anche l energia, è possibile conoscere la corrente del fascio incidente. Figura 2.17: Schema della configurazione adottata per il monitoraggio della fascio tramite diffusione elastica su lamina sottile (non in scala). Questo viene fatto selezionando, tra le particelle rivelate, solo i protoni che hanno interagito elasticamente con i nuclei della lamina e misurando la frequenza di conteggio R di tali eventi, identificati come quelli che presentano la massima deposizione d energia nel rivelatore. Infatti, se il rivelatore è posto a distanza d dalla lamina, ha una area efficace S ed una efficienza intrinseca ε, indicando con x, ρ, A lo spessore efficace, la densità e la massa

57 2.6. MONITORAGGIO DEL FASCIO 51 atomica della lamina si ha che in un tempo T il numero di conteggi è: N = T I 0 e N AV A dσ ρx Ω ε (2.16) dω Nell equazione 2.16 dσ dω è la sezione d urto differenziale in angolo solido per la diffusione elastica di protone con E p = 62 MeV, e Ω è l angolo solido sotteso dal rivelatore: Ω = S d 2. I 0 infine è la corrente media di protoni incidenti sul bersaglio nell intervallo di tempo di misura T : essa si può ricavare invertendo la 2.16, conoscendo tutti gli altri fattori e misurando N. Tabella 2.10: monitoraggio del fascio. Spessore s ρ 10 3 g/cm 2 Massa atomica A 12 Lunghezza di radiazione X 0 ρ 42.7 g/cm 2 Caratteristiche tipiche di una lamina in Carbonio utilizzabile per il Come indicato in figura 2.17, il rivelatore è posto ad un angolo θ = 90 rispetto all asse del fascio incidente, e la lamina è inclinata di circa 45 per evitare che le particelle diffuse a 90 la attraversino nel senso della larghezza, perdendo energia per ionizzazione: ciò fa sì che lo spessore effettivo della lamina sia x = 2s. Poiché la lamina è estremamente sottile, essa altera il fascio in modo assolutamente trascurabile, dunque la sua presenza non modifica la misura dello Yield di neutroni da Berillio: ˆ La sezione d urto totale di interazione nucleare per un protone con energia 62 MeV è σ C tot = 300 mbarn per il Carbonio: il libero cammino medio in tale materiale è λ C = g/cm 2 (eq. 2.14). Poiché lo spessore efficace ρ x della lamina è molto più piccolo di λ, l attenuazione del fascio nell attraversare la lamina, dovuta ai protoni che interagiscono nuclearmente in essa, è trascurabile. ˆ La perdita di energia per unità di lunghezza di protoni con questa energia vale de d(ρ x) = MeV cm2 /g nel Carbonio: approssimando l energia totale perduta con E x de dx si ottiene rispettivamente E C 10 kev. La perdita di energia è estremamente più piccola dell energia delle particelle incidenti, dunque quelle che fuoriescono dalla lamina possono essere considerate come aventi la stessa energia di quelle incidenti.

58 52 CAPITOLO 2. CARATTERISTICHE DELLA MISURA ˆ La deflessione media che le particelle del fascio (di impulso p e velocità βc) subiscono in seguito alle interazioni Coulombiane con i nuclei del mezzo è data dalla formula ([7]): θ 0 = 13.6 MeV x ( ln x ) (2.17) βcp X0 X 0 Per protoni con energia cinetica 62 MeV, si ha β = 0.35 e pc = MeV: si ottiene θ C = rad, dunque la deflessione del fascio è trascurabile, in quanto porta ad un allargamento sul bersaglio di Berillio di circa mm, ipotizzando una distanza tra esso e lamina d = 30 cm, compatibile con gli elementi della linea del fascio presenti. La scelta del Carbonio come materiale per realizzare la lamina è motivata dal fatto che la sezione d urto per la diffusione elastica di protoni, differenziale in angolo solido, è ben conosciuta, con un errore sistematico del 10%, e non presenta grosse variazioni in un intorno di θ l = 90 deg: i valori di sezione d urto utilizzati per ottenere il valore della corrente incidente sono, ad esempio, riportati in [24]. Nella presente misura si è scelto di effettuare il monitoraggio del fascio tramite il primo metodo descritto, ovvero sfruttando il Berillio stesso come tazza di Faraday.

59 Capitolo 3 Simulazioni MonteCarlo In questo capitolo sono riportati i risultati di alcune simulazioni MonteCarlo da me realizzate: esse riguardano il bersaglio, i rivelatori ed aspetti più generali della misura, quali gli effetti di eventuali schermature utilizzate per diminuire il fondo di misura o quelli dovuti ad oggetti presenti in sala sperimentale, tra cui i supporti per i rivelatori ed i tubi di acciaio che costituiscono la linea di fascio. 3.1 Scopo delle simulazioni Lo scopo delle simulazioni da me realizzate è quello di ottenere informazioni su caratteristiche della misura che è difficile calcolare o misurare direttamente. In particolare, ho studiato i seguenti aspetti: ˆ L interazione dei protoni con il bersaglio in Berillio: dopo una preliminare simulazione per studiare il range dei protoni incidenti su di esso, che ho utilizzato come verifica della simulazione stessa, ho analizzato il monitoraggio del fascio realizzato usando il bersaglio come tazza di Faraday. In particolare, ho studiato il problema degli elettroni secondari emessi per ionizzazione che fuggono da esso, alterando la misura della carica depositata. Ho altresì ricavato la distribuzione di energia dei fotoni e dei neutroni emessi dal bersaglio, a tutti gli angoli: ho utilizzato questa informazione come dato per realizzare alcune delle simulazioni successive. ˆ L interazione dei neutroni con i rivelatori: ho studiato quale è la forma della distribuzione di energia per i neutroni all interno dei due diversi rivelatori, per ottenere una sua semplice parametrizzazione da usare in seguito, e ho ricavato l efficienza di rivelazione come funzione dell energia cinetica dei neutroni incidenti. 53

60 54 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Per realizzare ciò, ho implementato due diversi algoritmi di rivelazione delle particelle, il primo basato sull energia depositata nello scintillatore, il secondo sul numero di fotoelettroni prodotti: ho quindi eseguito un confronto dei risultati ottenuti. ˆ L effetto di schermi posti davanti ai rivelatori, utilizzati per misurare il fondo diffuso di sala. ˆ Le conseguenze indotte sulla misura del tempo di volo dalla struttura a bunch del fascio: in particolare, ho analizzato come esse dipendano dalla distanza d tra bersaglio e rivelatori, al fine di trovare un valore ottimale per essa. Contemporaneamente, ho anche cercato di ottenere indicazioni circa una possibile procedura da applicare durante l analisi, al fine di eliminare dai dati sperimentali gli effetti dovuti ai bunch. Ho realizzato le simulazioni sia tramite programmi di calcolo numerico da me scritti con il linguaggio c++, sia tramite il software Geant4, descritto nel paragrafo seguente. 3.2 Caratteristiche di Geant4 Geant4 ([25], [26]) è il programma che ho utilizzato per realizzare alcune delle simulazioni MonteCarlo: esso è sviluppato dalla omonima collaborazione in linguaggio C++, ed è liberamente distribuito. Esso simula il passaggio di particelle attraverso la materia, e fornisce gli strumenti per includere nella simulazione tutti gli aspetti di un esperimento reale: geometria del sistema, materiali utilizzati, particelle e processi fisici da considerare, risposta (approssimata) dei rivelatori. Tale programma contiene inoltre gli strumenti per accedere, in tempo reale o al termine della esecuzione, alle informazioni ed ai dati prodotti dalla simulazione stessa, nonché per visualizzare graficamente l apparato sperimentale e le traccie delle particelle che si propagano attraverso esso. Operativamente, per realizzare una simulazione con Geant4, è necessario eseguire le seguenti operazioni: ˆ Definire la geometria dell apparato sperimentale da simulare, e specificare quali sono i materiali di cui esso è composto; questo è agevolato dall esistenza di una lista pre-costituita di materiali, che l utente può comunque integrare o modificare. Per simulazioni particolarmente complesse è possibile definire la geometria tramite un interfaccia con i comuni software CAD.

61 3.2. CARATTERISTICHE DI GEANT4 55 ˆ Scegliere quali sono le particelle ed i processi fisici da simulare: per ciascun processo possono essere utilizzati uno o più modelli, differenti per l intervallo di energia entro cui sono applicati. Sono disponibili diverse liste pre-configurate di processi fisici, in cui gli intervalli di energia sono opportunamente definiti: la scelta della lista da utilizzare è dettata dall applicazione che si desidera realizzare. ˆ Stabilire quali sono le grandezze fisiche di interesse che si desidera registrare durante la simulazione: questo può essere fatto sia specificando le regioni sensibili dell apparato, di cui simulare approssimativamente la risposta, sia introducendo parti di codice scritte dall utente che, interagendo con l esecuzione del programma, accedono direttamente a tali grandezze. Quest ultima possibilità rende Geant4 estremamente versatile, in quanto è possibile avere accesso a qualsiasi informazione legata alla simulazione in corso Processi fisici simulati La scelta dei processi fisici simulati è un punto critico nell implementazione di una simulazione tramite Geant4: per questo motivo, ho scelto di utilizzare liste pre-costituite di processi fisici. In particolare: ˆ Per i processi elettromagnetici, ho utilizzato la lista G4EmStandardPhysics: essa, a partire dalla versione , include automaticamente anche i modelli per i processi di bassa energia, sopra 250 ev. 1 ˆ Per i processi adronici, ho utilizzato la lista QGSP BIC HP, che include automaticamente anche il trasporto e le interazioni di neutroni con energia inferiore a 20 MeV, sfruttando il pacchetto di sezioni d urto di alta precisione NeutronHP. In particolare, i processi adronici registrati per protoni e neutroni ed i relativi modelli sono indicati nelle tabelle 3.1 e 3.2. Processo Intervallo di energia Modelli Diffusione elastica Tutte G4HadronElastic Diffusione inelastica Tutte G4BinaryCascade Tabella 3.1: Processi adronici attivati per i protoni nelle simulazioni MonteCarlo. 1 Geant4 può estendere il range di validità dei processi elettromagnetici degli elettroni sopra 10 ev, estrapolando le sezioni d urto fino a queste energie: ho utilizzato questa possibilità in una delle simulazioni implementate, come descritto in seguito.

62 56 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Processo Intervallo di energia Modelli Diffusione elastica E < 20 MeV NeutronHPElastic E > 20 MeV G4HadronElastic Diffusione inelastica E < 20 MeV NeutronHPInelastic E > 20 MeV G4BinaryCascade Cattura E < 20 MeV NeutronHPCapture E > 20 MeV G4LCapture Fissione E < 20 MeV NeutronHPFission E > 20 MeV G4LFission Tabella 3.2: Processi adronici attivati per i neutroni nelle simulazioni MonteCarlo. 3.3 Bersaglio in Berillio Ho realizzato una prima simulazione MonteCarlo con Geant4, al fine di studiare la interazione del fascio con il bersaglio; inizialmente, ho simulato il range di protoni all interno del Berillio, sia per imparare ad utilizzare tale programma, sia per verificare che i risultati ottenuti dalla mia applicazione fossero compatibili con i dati sperimentali. Successivamente, ho utilizzato questa simulazione per ottenere l angolo medio di deflessione dei protoni uscenti dal bersaglio rispetto all asse del fascio incidente, in funzione della lunghezza dello stesso (nei casi in cui essa è inferiore o molto prossima al range delle particelle); quest informazione è utile per verificare se si può utilizzare, come metodo alternativo di monitoraggio del fascio, il seguente: utilizzando un bersaglio con spessore leggermente inferiore al range di protoni con E p = 62 MeV, si può porre una tazza di Faraday tradizionale oltre lo stesso, su cui incidono i protoni fuoriuscenti dal bersaglio, e monitorare il fascio con le tecniche convenzionali. Tale configurazione, seppur non esattamente conforme con la definizione di yield Y, permetterebbe una misura dello stesso se i protoni uscenti avessero energia sufficientemente bassa, in modo tale da essere al di sotto della soglia per tutte le reazioni di produzione di neutroni da Berillio; in caso contrario, si avrebbe una sottostima dello stesso. Un altro aspetto che ho analizzato con questa simulazione è la effettiva possibilità di utilizzare il bersaglio in Berillio come tazza di Faraday per monitorare il fascio: ho verificato quanto sia intenso l effetto dovuto agli elettroni emessi per ionizzazione che sfuggono dallo stesso. Infine, ho ricavato la forma approssimata dello spettro energetico dei neutroni e dei fotoni emessi dal bersaglio, a tutti gli angoli: ho utilizzato questo risultato come dato di ingresso nelle simulazioni successive, in particolare quelle realizzate per studiare gli effetti

63 3.3. BERSAGLIO IN BERILLIO 57 delle schermature Range dei protoni all interno del bersaglio Ho eseguito diversi run 2, facendo variare lo spessore del bersaglio nella simulazione, registrando, in ciascun caso, il numero di protoni fuoriuscenti dallo stesso, da qualunque punto e in qualsiasi direzione. L energia del fascio di protoni è fissata a 62 MeV, e le particelle incidono normalmente alla base del cilindro: la figura mostra un tipico evento, in cui un protone (in blu) incide sul Berillio, fermandosi successivamente in esso. Figura 3.1: Esempio di un evento simulato con Geant4 per il fascio di protoni incidente sul bersaglio. Il risultato ottenuto è mostrato nel grafico 3.2: in esso è riportata la frazione di protoni che fuoriescono dal bersaglio, al variare dello spessore di quest ultimo (il passo con cui ho fatto variare questo parametro è pari a 0.1 mm nell intorno del valore R = 2.16 cm); per ciascuna configurazione, il numero di protoni simulati è pari a Dal grafico è possibile ricavare la misura del range per protoni con E p = 62 MeV nel Berillio, che individuo come lo spessore per il quale la frazione di protoni uscenti rispetto a quelli incidenti è pari a 0.5: ottengo 2.14 cm < R < 2.16 cm, in ottimo accordo con il dato riportato nel capitolo Deflessione dei protoni uscenti dal bersaglio Nel grafico 3.3 è mostrata la dipendenza dell angolo medio di deflessione dei protoni uscenti dal bersaglio, rispetto all asse del fascio, in funzione dello spessore del cilindro in Berillio; come mi aspetto, esso cresce all aumentare di tale spessore. 2 In Geant4, con il termine run si intende una simulazione che viene ripetuta per N volte, con identiche condizioni; N è scelto dall utente.

64 58 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.2: Andamento della frazione di protoni uscenti dal bersaglio in funzione dello spessore, ottenuto dalla simulazione con Geant4; l errore statistico sui punti è trascurabile, a causa dell alto numero di particelle simulate per ciascun run. Lo stesso vale per i risultati presentati in seguito nel presente capitolo. Figura 3.3: Andamento dell angolo medio di deflessione dei protoni uscenti dal bersaglio in funzione dello spessore, ottenuto dalla simulazione con Geant4.

65 3.3. BERSAGLIO IN BERILLIO 59 L angolo di deflessione medio per spessore pari a circa il range (R = 2.16 cm) è θ 0 4 : ciò rende assai difficoltoso il monitoraggio del fascio tramite l utilizzo di un usuale tazza di Faraday, come descritto sopra: infatti, per un dato spessore del bersaglio, la distribuzione degli angoli di deflessione dei protoni uscenti non è simmetrica rispetto a θ 0, ma presenta una coda, a grandi angoli, dovuta ad eventi in cui un protone fuoriesce dal bersaglio fortemente deflesso, come mostra il grafico 3.4, ricavato per spessore 2.15 cm (valore appena inferiore al range dei protoni) Il valore più probabile θ MP 3 è inferiore a quello medio θ 0 4 : vi è una frazione considerevole di eventi in cui la deflessione è estremamente elevata. Ad esempio, a distanza d = 2 m oltre il bersaglio si avrebbe un allargamento trasverso medio dei protoni uscenti pari a δ = 2 tan θ 0 28 cm, nel caso di bersaglio spesso 2.15 cm: ciò richiederebbe l uso di una tazza di Faraday di grande dimensione, per raccogliere completamente tutti i protoni emessi dal Berillio, anche quelli a grandi angoli. Figura 3.4: Distribuzione degli angoli di deflessione dei protoni per bersaglio spesso d=2.15 cm, ottenuto dalla simulazione con Geant Monitoraggio del fascio tramite il Berillio Per verificare la possibilità di utilizzare il Berillio come tazza di Faraday tramite la quale monitorare il fascio, ho studiato l effetto dovuto agli elettroni secondari, emessi per ioniz-

66 60 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO zazione da parte dei protoni incidenti, che fuoriescono dal bersaglio influenzando la misura di carica; nella simulazione, ho utilizzato un bersaglio con le stesse caratteristiche di quello utilizzato realmente nella misura. Per realizzare una simulazione il più dettagliata possibile, ho portato la energia di cut 3 degli elettroni al valore di 10 ev; in particolare, il codice che ho utilizzato per realizzare ciò, inserito all interno della definizione dei processi fisici da attivare, è: G4ProductionCutsTable::GetProductionCutsTable()->SetEnergyRange(10*eV,100*MeV); Ho simulato N 0 = eventi, e per ciascuno di essi ho verificato se vi fossero elettroni fuoriuscenti dal bersaglio, registrando per essi energia, punto ed angolo di uscita, nonché il processo che li ha generati. Ho trovato N e = 1048 elettroni che fuoriescono dal bersaglio: in particolare, alcune caratteristiche riassuntive della simulazione sono riassunte nella tabella 3.3; i termini anteriore e posteriore si riferiscono rispettivamente alla base del cilindro in Berillio su cui incide il fascio di protoni e a quella opposta. Protoni simulati: Elettroni uscenti dal bersaglio: elettroni/protone Punti di uscita: Elettroni fuoriuscenti dalla base anteriore: 964 Elettroni fuoriuscenti dalla superficie laterale: 68 Elettroni fuoriuscenti dalla base posteriore: 16 Processi che generano gli elettroni: Elettroni generati per ionizzazione: 960 con energia media E = 19.3 kev Elettroni generati per effetto Compton: 69 con energia media E = 5.8 MeV Elettroni generati per conversione di coppia: 19 con energia media E = 5.9 MeV Tabella 3.3: Riassunto della caratteristiche degli elettroni che fuoriescono dal Berillio durante la esposizione al fascio. Si osserva chiaramente che la maggior parte degli elettroni fuoriuscenti dal bersaglio vengono prodotti da processi di ionizzazione ed escono dalla base anteriore del cilindro; questo motiva l utilizzo di un anello di guardia davanti al bersaglio per contenere gli stessi, invece di una struttura metallica che lo circondi completamente. 3 All interno di Geant4, ciascuna particella simulata è tracciata fintanto che la sua energia non è inferiore ad un valore limite, detto valore di cut : al di sotto di esso, la particella è eliminata dalla simulazione. Il valore di cut è selezionabile dall utente.

67 3.3. BERSAGLIO IN BERILLIO 61 Concludendo, il risultato di questa simulazione sostiene la possibilità di utilizzare il Berillio stesso come tazza di Faraday per monitorare il fascio: l errore causato dalla fuga di elettroni secondari, pari al numero di elettroni che fuoriescono per protone incidente, , è trascurabile. Tuttavia, a causa del fatto che la simulazione potrebbe sottostimare la perdita di elettroni con energia inferiore a 10 ev, nella misura è stato comunque implementato l anello di guardia, il cui effetto è stato poi testato sperimentalmente (come descritto all inizio del paragrafo 5.1) Lo spettro di energia degli elettroni secondari fuoriuscenti dal bersaglio, ottenuto dalla simulazione, è riportato nella figura 3.5. Figura 3.5: Distribuzione in energia degli elettroni che fuoriescono dal Berillio durante l esposizione al fascio, ottenuta dalla simulazione con Geant Distribuzione di neutroni e fotoni emessi Come risultato conclusivo della simulazione del bersaglio descritta, nella configurazione in cui lo spessore dello stesso coincide con quello reale, ho ottenuto lo spettro energetico dei fotoni e neutroni emessi dal Berillio, e la distribuzione angolare di quest ultimi, allorché il fascio di protoni incide sul bersaglio: ho utilizzato questi dati nelle simulazioni successive, come evidenziato in seguito.

68 62 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.6: Spettro energetico dei neutroni (sinistra) e dei fotoni (destra) prodotti dal Berillio, a tutti gli angoli, in seguito alla interazione con i protoni del fascio incidente, da simulazione Geant4. Figura 3.7: Spettro energetico dei neutroni, in funzione dell angolo di emissione rispetto all asse del fascio incidente: si ricordi che, nel caso isotropo, la distribuzione angolare è data da dp dθ = 1 2 sin θ.

69 3.4. RIVELATORE CON SCINTILLATORE PLASTICO 63 Protoni simulati: 10 6 Neutroni ottenuti: neutroni/protone Fotoni ottenuti: fotoni/protone Tabella 3.4: Neutroni e fotoni complessivi prodotti dal bersaglio allorché il fascio di protoni incide su di esso, da simulazione Geant Rivelatore con scintillatore plastico Ho realizzato la simulazione MonteCarlo del rivelatore con scintillatore plastico con il duplice scopo già evidenziato precedentemente: ottenere informazioni circa la forma dello spettro di energia depositata all interno da neutroni con energia cinetica T n e ricavare l efficienza di rivelazione di tali particelle, al variare della soglia impostata Geometria e materiali La figura 3.8 mostra il rivelatore simulato con Geant4: si distinguono i due fotomoltiplicatori e lo scintillatore plastico; per semplificare la simulazione non ho incluso in essa la struttura di supporto in alluminio e le finestre in Tedlar, assumendo che tali elementi non influenzino in modo significativo la rivelazione dei neutroni. La presenza dei fototubi è puramente grafica : solamente il fotocatodo è considerato nella simulazione. Riporto di seguito le caratteristiche dei vari componenti del rivelatore che ho implementato nella simulazione; per quelle non esplicitamente indicate, si faccia riferimento alla sezione Figura 3.8: Il rivelatore a scintillatore plastico simulato con Geant4.

70 64 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Scintillatore Il cubo di materiale scintillatore è costituito da una base polimerica in poliviniltoluene (C 10 H 11 ): esso è rivestito di uno strato di materiale riflettente, con riflettività R = 95%. Per simulare più realisticamente il rivestimento, tra lo scintillatore ed il materiale riflettente è interposto uno strato di aria, con spessore d air = 10 µm (in figura 3.8 l aria è riportata in blu, ed è mostrata solo per una delle facce del cubo; non è riportato invece lo strato di materiale riflettente). Il valore della costante di Birks (parametro che caratterizza il processo di quenching, descritto nella appendice A) non viene riportato nel data-sheet dello scintillatore, perciò ho scelto di utilizzare per esso un valore tipico riportato in letteratura ([27]): kb = 0.01 cm/mev; in seguito ho controllato, tramite i dati sperimentali, la validità di questa assunzione (si veda il paragrafo 5.1.3). La attuale versione di Geant4 non permette di specificare il valore della costante di Birks per ciascuna particella che depositi energia nello scintillatore, ma la considera come un parametro dipendente solo dal materiale. Fotocatodo Il fototubo è accoppiato direttamente allo scintillatore, senza alcun materiale intermedio: per simulare meglio l apparato reale, è interposto uno strato di aria tra scintillatore e vetro del fotocatodo, con le stesse caratteristiche dello strato d aria tra scintillatore e materiale riflettente. Il vetro anteposto al fotocatodo (in rosso nella figura 3.8) è in borosilicato, con spessore s = 2 mm; il diametro del vetro e del fotocatodo è pari a d = 46 mm (diametro dell area sensibile del fototubo). Per simulare l interazione dei fotoni ottici con il fotocatodo non ho utilizzato gli algoritmi caratteristici di Geant4, ma ne ho implementato uno diverso: quando un fotone di lunghezza d onda λ incide, al tempo t 0, sul fotocatodo (avente efficienza quantica ε), viene cancellato dalla simulazione e vengono generati N e fotoelettroni; N e è un numero casuale estratto da una distribuzione poissoniana con valor medio ε(λ). Ho fatto questa scelta in quanto, nella presente simulazione, non è necessario tracciare i fotoelettroni emessi dal fotocatodo, in quanto il fotomoltiplicatore è assente nella stessa; al fine di raggiungere i due scopi indicati, ovvero determinare la distribuzione di energia depositata e la efficienza, è sufficiente conoscere quanti sono i fotoelettroni emessi. È da evidenziare il fatto che, con la presente simulazione, sarebbe anche possibile studiare le caratteristiche temporali del rivelatore, includendo le proprietà del fototubo nella

71 3.4. RIVELATORE CON SCINTILLATORE PLASTICO 65 simulazione ( transit time spread e jitter ); ho esplorato questa ipotesi in alcune simulazioni preliminari, qui non riportate, ma successivamente non la ho sviluppata in quanto le proprietà di timing del rivelatore sono ricavabili per via sperimentale: si veda il paragrafo Distribuzione di energia depositata entro il rivelatore La conoscenza della forma attesa della distribuzione di energia efficace 4 depositata nello scintillatore da neutroni con energia T n è necessaria per poter implementare successive simulazioni della misura, per completare alcuni passaggi dell analisi dei dati, nonché per poter eseguire un confronto coi dati sperimentali, tramite il quale validare la implementazione del meccanismo di quenching entro Geant4; il risultato di tale confronto è riportato nel paragrafo Tale distribuzione, in assenza di quenching, si estenderebbe da 0 fino a T n : un neutrone che urti elasticamente un protone all interno dello scintillatore, con angolo di diffusione misurato nel sistema del centro di massa θ CM circa π, trasferisce allo stesso tutta la sua energia cinetica, come evidenziato precedentemente nel paragrafo In realtà non, tutta l energia che il protone trasferisce allo scintillatore per ionizzazione viene effettivamente convertita in luce, a causa di meccanismi di saturazione interni allo stesso. Dalla simulazione dello scintillatore plastico eseguita ho ricavato le informazioni richieste circa la forma della distribuzione di energia efficace; esse si possono riassumere come segue: in prima approssimazione, un neutrone con energia T n incidente entro lo scintillatore e interagente con le molecole dello stesso deposita al suo interno un energia efficace E dep con distribuzione di probabilità uniforme entro l intervallo [0, E max ]. E max è dato da una relazione empirica da me ricavata: E max = E 0 T α n, con T n in MeV (3.1) I parametri presenti valgono E 0 = MeV e α = 1.205; la figura 3.9 riporta l andamento di E max in funzione dell energia cinetica del neutrone incidente Efficienza La conoscenza dell efficienza per la rivelazione di neutroni del rivelatore, come funzione dell energia cinetica T n dei neutroni incidenti, è necessaria per ricavare lo yield assoluto di 4 Con energia depositata efficace si intende qui l energia effettivamente convertita in luce dai processi di scintillazione: essa non coincide con l energia depositata totale, a causa della presenza del fenomeno del quenching. Si veda la appendice A per una breve descrizione di esso.

72 66 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.9: Energia efficace massima depositata nello scintillatore plastico dai neutroni incidenti. produzione di neutroni dal bersaglio; tale caratteristica del rivelatore è difficile da ricavare per via sperimentale, dunque la ho ottenuta dalla simulazione MonteCarlo. Ho realizzato diversi run, utilizzando fasci di neutroni monocromatici che collidono sul rivelatore: in ognuno di essi ho simulato N 0 particelle che colpiscono il rivelatore, contando quante siano quelle che, in seguito ad interazione, vengano rivelate, N riv ; la efficienza ε è semplicemente data dal rapporto N riv N 0. Per stabilire se una particella venga rivelata, ho utilizzato due diversi algoritmi: ˆ Impostando una soglia in energia depositata: per ciascun neutrone incidente la simulazione considera l energia depositata efficace nello scintillatore dalla particella primaria e da tutti i secondari successivamente emessi. Se la somma di tali energie è superiore ad un valore di soglia scelto dall utente, si considera che il neutrone venga rivelato. Questo algoritmo ha il vantaggio di essere molto veloce, ma non considera il processo di scintillazione con il quale le particelle vengono realmente rivelate. ˆ Impostando una soglia in fotoelettroni: con questo algoritmo si sfrutta la potenzialità di Geant4 nel simulare i processi di scintillazione e successiva propagazione dei fotoni ottici all interno dello scintillatore. Per ciascun neutrone incidente la simulazione considera il numero di fotoelettroni prodotti ai due fotocatodi e, se la somma 5 di essi è superiore ad un valore di soglia scelto dall utente, si assume che il neutrone 5 Come viene descritto in seguito, nella configurazione sperimentale i segnali provenienti dai due fotomoltiplicatori sono sommati prima di essere discriminati: per questo motivo, la soglia in fotoelettroni nel programma di simulazione è impostata sulla somma dei due fotocatodi.

73 3.4. RIVELATORE CON SCINTILLATORE PLASTICO 67 venga rivelato. Lo svantaggio principale di questo metodo è quello del tempo molto elevato necessario per completare la simulazione, a causa del gran numero di fotoni ottici che è necessario tracciare. Relazione tra energia depositata e fotoelettroni Prima di ottenere l efficienza del rivelatore a scintillatore plastico per la misura di neutroni, ho confrontato i due algoritmi descritti sopra per stabilire quando considerare rivelato il neutrone: ho perciò ricavato la relazione tra energia efficace depositata nello scintillatore e fotoelettroni prodotti ai fotocatodi. Operativamente, ho eseguito un run inviando sul rivelatore neutroni monocromatici con energia 1 MeV, registrando per ogni evento l energia efficace depositata ed il numero di fotoelettroni prodotti ai fotocatodi; la scelta dell energia con cui simulare i neutroni incidenti è irrilevante, in quanto per ciascun evento la energia efficace depositata varia con continuità entro l intervallo [0, E max ], e ciò è sufficiente per ottenere la relazione cercata. Terminata la simulazione, ho isolato gli eventi in cui l energia depositata è compresa entro un intervallo centrato su E 0, con indeterminazione E = 2 kev: ho quindi considerato la distribuzione dei fotoelettroni prodotti associati a questi eventi e ne ho ricavato il valore medio eseguendo un best-fit con una funzione gaussiana; ho scelto E in modo da isolare eventi in cui la energia depositata fosse il più possibile monocromatica, avendo però una statistica sufficiente per realizzare i best-fit gaussiani. Nel grafico 3.10 sono riportate la distribuzione complessiva di energia depositata e di fotoelettroni prodotti al fotocatodo nonché i fotoelettroni corrispondenti agli eventi in cui E 0 = 30 kev. Successivamente, ho iterato la procedura descritta variando E 0 e ho ricavato così la relazione tra energia depositata efficace e numero medio di fotoelettroni prodotti, mostrata nel grafico Come errore sull energia e sul numero di fotoelettroni ho considerato rispettivamente la semi-larghezza E/2 e la deviazione standard della funzione gaussiana sopra citata. Ho infine eseguito un best-fit con funzione lineare ai dati per ricavare una relazione analitica tra queste due grandezze: osservo che, come aspettato, il termine costante in essa (p 0 = nel grafico 3.11) è compatibile con 0 entro l errore. Efficienza con soglia in energia A questo punto, ho valutato l efficienza del rivelatore impostando la soglia per i neutroni con il primo algoritmo descritto sopra, che considera l energia efficace depositata nello

74 68 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.10: A sinistra: distribuzione complessiva dell energia efficace depositata nello scintillatore e dei fotoelettroni prodotti al fotocatodo. A destra: distribuzione di fotoelettroni per eventi con E 0 = 30 kev, a cui è eseguito un best-fit gaussiano. Figura 3.11: Relazione tra energia depositata efficace e fotoelettroni prodotti al fotocatodo; la curva tratteggiata è il risultato di un best-fit con una funzione lineare, N phe = p 0 + p 1 E(keV). L errore sperimentale non è ben visibile sul grafico, poichè piccolo rispetto alle dimensioni dei punti.

75 3.4. RIVELATORE CON SCINTILLATORE PLASTICO 69 scintillatore; per ciascun run ho simulato N n = 10 5 neutroni incidenti. Ho ripetuto la simulazione a diverse energie di soglia, al fine di valutare quanto sia critica la dipendenza dell efficienza da tale parametro: ho scelto di impostare valori di soglia entro l intervallo 120 kev 200 kev, a cui appartengono i valori reali usati nella misura, come descritto in seguito nel paragrafo Figura 3.12: Diverse curve di efficienza in funzione della energia del neutrone incidente: le soglie impostate sono, partendo dalla curva superiore: 122 kev ( ), 140 kev ( ), 160 kev (+), 187 kev ( ), 200 kev ( ). I valori 122 kev e 187 kev (in rosso) corrispondono a quelli reali utilizzati nella misura, come descritto successivamente: per tali soglie ho simulato N n = 10 6 neutroni incidenti, al fine di avere un errore statistico minore sulla curva di efficienza. Il grafico 3.12 mostra i risultati della simulazione: le diverse curve tendono a sovrapporsi ad energie elevate, mentre per valori più bassi vi sono notevoli differenze; ad energia 2 MeV si hanno i valori di efficienza 36% per soglia 187 kev e 42% per soglia 122 kev, con una differenza percentuale δ pari a circa 15%: questo mostra che si ha una forte dipendenza della curva di efficienza dalla soglia impostata, nella regione di bassa energia. L apparente discontinuità presente, per tutte le soglie, tra 15 e 20 MeV è probabilmente dovuta al fatto

76 70 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO che, per tale energia, cambia il modello che Geant4 utilizza per descrivere l interazione dei neutroni, elastica e non, con lo scintillatore (tab. 3.2). Efficienza con soglia in fotoelettroni La valutazione dell efficienza mediante il secondo algoritmo descritto sopra è più complessa, in quanto ciascun fotone ottico deve essere tracciato durante la simulazione; a causa di questo, ho realizzato run con soli N n = neutroni incidenti. Ho considerato cinque soglie distinte, che corrispondono a quelle già considerate nel paragrafo precedente: 178 fotoelettroni (122 kev), 205 fotoelettroni (140 kev), 234 fotoelettroni (160 kev), 274 fotoelettroni (187 kev), 292 fotoelettroni (200 kev). Il grafico 3.13 mostra i risultati della simulazione. Figura 3.13: Diverse curve di efficienza in funzione della energia del neutrone incidente: le soglie impostate sono, partendo dalla curva superiore: 178 fotoelettroni ( ), 205 fotoelettroni ( ), 234 fotoelettroni (+), 274 fotoelettroni ( ) e 292 fotoelettroni ( ); le curve in rosso corrispondono alle reali soglie usate nella misura.

77 3.5. RIVELATORE CON SCINTILLATORE LIQUIDO EJ Confronto tra i due metodi Confrontando i due algoritmi per determinare l efficienza dei rivelatori, tramite i run eseguiti con soglia pari a quella presente nella misura, posso concludere che essi producono gli stessi risultati, in quanto la differenza relativa fra le efficienze, a parità di energia dei neutroni incidenti, è sempre inferiore a 1.5 %. Nelle simulazioni successive, per il rivelatore con scintillatore liquido, utilizzerò allora solo il primo algoritmo, impostando la soglia in energia depositata, in quanto esso è più semplice e veloce. Il fatto che i due algoritmi abbiano portato allo stesso risultato è una verifica della bontà del codice di simulazione da me realizzato, ovvero del fatto che siano assenti errori nelle parti da me scritte, per estrarre dal programma i dati di interesse fisico. 3.5 Rivelatore con scintillatore liquido EJ301 Successivamente ho implementato una simulazione MonteCarlo del rivelatore con scintillatore liquido EJ301, al fine di determinare per esso le stesse informazioni già ottenute per il rivelatore a scintillatore plastico, ovvero la forma della distribuzione di energia depositata dai neutroni e l efficienza per la rivelazione di quest ultimi. Ho sfruttato il risultato ottenuto dal caso precedente, circa il fatto che l utilizzo dell algoritmo di rivelazione dei neutroni basato sull energia depositata nel rivelatore è equivalente a quello che considera i fotoelettroni prodotti al fotocatodo, a parità di soglia impostata: ho utilizzato allora solo il primo, in quanto più veloce. Questo mi ha permesso di semplificare estremamente la geometria del rivelatore simulato, non dovendo includere tutti gli elementi che contribuiscono alla diffusione dei fotoni ottici, quali le superfici riflettenti e diffondenti o i vetri montati sulle cellette contenenti lo scintillatore Geometria e materiali Scintillatore Lo scintillatore liquido è costituito da una base polimerica del tipo C 10 H 12 : per considerare esplicitamente il fatto che esso si trovi allo stato solido è necessario impostare entro il codice, nella sezione ove vengono definiti i materiali, il flag kstateliquid=1. Anche in questo caso il valore della costante di Birks non è presente nel data-sheet dello scintillatore, perciò ho scelto di utilizzare per esso il valore già usato precedentemente per lo scintillatore plastico: kb = 0.01 cm/mev.

78 72 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Fotocatodo A causa del fatto che non è necessario simulare il processo di scintillazione e la successiva propagazione dei fotoni ottici per ricavare l efficienza del rivelatore, non ho introdotto nella simulazione il fotocatodo e l emissione di fotoelettroni da parte di esso Distribuzione di energia depositata entro il rivelatore Come già fatto per lo scintillatore plastico, ho ricavato la distribuzione di energia efficace depositata dai neutroni dentro il rivelatore con scintillatore liquido; il risultato che ho ottenuto si può riassumere come segue: neutroni con energia T n che interagiscono con lo scintillatore depositano entro lo stesso un energia efficace compresa entro l intervallo [0,E max ], con distribuzione di probabilità, in prima approssimazione, uniforme. E max è dato dalla relazione empirica: E max = E 0 T n α, con E 0 in MeV. (3.2) I parametri E 0 e α valgono rispettivamente MeV e 1.136; la figura 3.14 mostra la dipendenza di E max da T n ; su di essa, in rosso, è riportata una analoga relazione che lega tali quantità, presentata in [28] 6. Figura 3.14: Energia efficace massima depositata nello scintillatore liquido dai neutroni incidenti: in nero, la relazione 3.2; in rosso, la relazione riportata in [28]. 6 Nell articolo indicato gli autori presentano i risultati di simulazioni MonteCarlo eseguite con lo scintillatore NE201, le cui caratteristiche sono del tutto analoghe a quelle dello scintillatore EJ301, come evidenziato in [22].

79 3.6. SCHERMATURE 73 Si osserva un notevole accordo tra le due curve, a tutte le energie: per le simulazioni successive ho scelto allora di utilizzare l equazione 3.2, in quanto essa, oltre ad avere una espressione analitica semplice, è stata ricavata usando Geant4, programma di simulazione più moderno rispetto a quello usato dagli autori in [28] Efficienza Per considerare il fatto che il rivelatore, in quanto cilindrico, non offre lo stesso spessore a tutte le particelle che incidano su di esso (si veda la sezione 2.3.4) ho simulato le stesse come provenienti da una sorgente distante d = 1.5 m, emesse in modo isotropo 7. Per valutare l efficienza ho allora considerato il rapporto N riv N inc, ove N riv è il numero di particelle rilevate e N inc quello delle particelle che effettivamente incidono sul rivelatore: ho impostato la soglia per i neutroni con l algoritmo che considera la energia efficace depositata nello scintillatore, simulando per ciascun run N n = 10 5 neutroni incidenti. I valori di soglia impostati sono compresi entro l intervallo 50keV 100 kev, al quale appartengono i valori reali usati nella misura, come descritto in seguito nel paragrafo Il grafico 3.12 mostra i risultati della simulazione. 3.6 Schermature Per determinare le dimensioni caratteristiche e la composizione delle schermature da utilizzare durante la misura (si veda il paragrafo 2.5) ho implementato alcune simulazioni MonteCarlo, esplorando in particolare le due possibilità descritte in seguito Schermatura in Piombo Ho inizialmente studiato la possibilità di utilizzare di una schermatura in Piombo posta davanti al rivelatore con scintillatore plastico per attenuare i fotoni diretti incidenti su di esso; in particolare, ho verificato quanto tale schermo interferisse con la rivelazione dei neutroni. Per fare ciò, ho simulato la presenza davanti al rivelatore plastico di un mattone di Piombo, di spessore 8 d = 6 cm e dimensione trasversa coincidente con quella del rivelatore; 7 Questa distanza corrisponde a quella reale tra bersaglio in Berillio e rivelatore nella misura, come descritto in seguito. 8 Lo spessore della schermatura di Piombo simulata è ottenuto imponendo un fattore di attenuazione pari circa 10 2 sui fotoni incidenti, considerati per semplicità monocromatici, con energia 1 MeV (si veda il grafico 3.6): a tale energia si ha un libero cammino medio λ = 1.25 cm, per cui dalla relazione I(x) = I 0 exp( x ) si ricava lo spessore visto sopra se si impone I(x) = 0.01I0. λ

80 74 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.15: Diverse curve di efficienza in funzione della energia del neutrone incidente: le soglie impostate sono, partendo dalla curva superiore: 50 kev ( ), 59.1 kev ( ), 65 kev (+), 72.4 kev ( ), 85 kev ( ). I valori 59.1 kev e 72.4 kev (in rosso) corrispondono a quelli reali utilizzati nella misura, come descritto successivamente: per tali soglie ho simulato N n = 10 6 neutroni incidenti, al fine di avere un errore statistico minore sulla curva di efficienza.

81 3.6. SCHERMATURE 75 lo spettro energetico dei neutroni simulato è quello ottenuto da una simulazione precedente (grafico 3.6). Ho considerato due configurazioni di incidenza dei neutroni: la prima, più semplice, considera i neutroni come un fascio incidente perpendicolarmente sulla schermatura, mentre la seconda, più realistica, considera gli stessi come se venissero emessi, in modo isotropo, da una sorgente posta a distanza d = 1.5 m dal rivelatore. Per valutare, in prima approssimazione, l effetto dello schermatura sulla misura ho semplicemente contato il numero di neutroni incidenti sul rivelatore con e senza di essa. La tabella 3.5 riassume i risultati ottenuti: da questa analisi preliminare è evidente che la presenza di una schermatura in Piombo davanti al rivelatore altera notevolmente la misura del numero di neutroni che incidono su di esso, dunque non è possibile il suo utilizzo. Neutroni incidenti sul rivelatore Neutroni incidenti sul rivelatore Configurazione senza schermatura con schermatura Fascio Emissione isotropa Tabella 3.5: Simulazione di schermatura in Piombo, davanti al rivelatore Shadow-bar Come descritto precedentemente nel paragrafo 2.5, l utilizzo di una shadow-bar posta davanti al rivelatore permette di schermare i neutroni diretti provenienti dal bersaglio e misurare il fondo dovuto alle particelle diffuse (i fotoni diretti e quelli prodotti dai meccanismi di cattura nella shadow bar possono essere facilmente schermati ponendo un blocco di Piombo tra la shadow-bar ed lo scintillatore); scopo della simulazione da me implementata è stato quello di ottenere informazioni circa la geometria e la composizione ottimali per essa. Operativamente, ho implementato diversi run, ponendo davanti al rivelatore a scintillatore plastico una shadow-bar a forma di parallelepipedo quadrato (lato di base: 7 cm) di lunghezza variabile, composta di paraffina borata, con percentuale in peso del Boro anch essa variabile; in ognuno dei run ho simulato i neutroni incidenti con spettro energetico ricavato dalla simulazione precedente del bersaglio (grafico 3.6), come se venissero emessi isotropicamente da una sorgente puntiforme distante d = 1.5 m dallo scintillatore. Ho ripetuto ciascun run con e senza schermatura, registrando in ambedue i casi quanti neutroni incidono sul rivelatore: la tabella 3.6 riassume i risultati che ho ottenuto. La con-

82 76 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO figurazione ritenuta ottimale è quella di una shadow-bar di lunghezza 50 cm, contenete Boro in frazione 10% in peso; si può comunque osservare che il fattore di attenuazione non dipende in modo critico da quest ultimo parametro. Spessore Composizione Fattore di attenuazione 30 cm Paraffina 95.5% 40 cm Paraffina 97.5% 50 cm Paraffina 98.6% 40 cm Paraffina borata Boro: 5 % in peso 97.6% 50 cm Paraffina borata Boro: 5 % in peso 98.6% 30 cm Paraffina borata Boro: 10 % in peso 95.2% 40 cm Paraffina borata Boro: 10 % in peso 97.4% 50 cm Paraffina borata Boro: 10 % in peso 98.9% 40 cm Paraffina borata Boro: 20 % in peso 97.3% 50 cm Paraffina borata Boro: 20 % in peso 98.7% Tabella 3.6: Simulazione di schermatura con una shadow-bar posta davanti al rivelatore. Il fattore di attenuazione è la differenza relativa tra il numero di neutroni incidenti sul rivelatore con e senza la schermatura.

83 3.7. SIMULAZIONE COMPLESSIVA DELLA MISURA Simulazione complessiva della misura Ho infine implementato una simulazione MonteCarlo per avere un riferimento circa il risultato complessivo della misura, ed in particolare per avere una stima del peso che in essa hanno i vari fattori fino a qui visti, tra cui l efficienza di rivelazione, e le incertezze dovute alla tecnica del tempo di volo: ho scelto di realizzare essa simulando il rivelatore a scintillatore plastico. Per realizzare un programma il più semplice possibile non ho utilizzato, come nei casi precedenti, Geant4, ma un codice di simulazione numerica da me scritto con il linguaggio C++; ho usato i risultati delle simulazioni presentate sopra come dati di ingresso per il programma, come descritto in seguito Funzionamento del programma I dati che devono essere forniti dall utente sono: ˆ Il periodo T b tra due bunch consecutivi del fascio. ˆ La distanza d 0 tra bersaglio in Berillio e rivelatore: in prima approssimazione, non ho considerato alcuna dipendenza angolare nella emissione di neutroni e fotoni, dunque non è richiesto di indicare anche l angolo rispetto all asse del fascio a cui il rivelatore è collocato. L emissione delle particelle è isotropa nel sistema del centro di massa. ˆ Il numero N n di neutroni incidenti sul rivelatore che si vuole simulare: da quanto ricavato precedentemente (si veda la tabella 3.4) il numero di fotoni diretti presenti è N γ 2N n. Il programma è strutturato in un ciclo che viene ripetuto N n volte: le operazioni eseguite in ciascuna iterazione sono riassunte in seguito. 1. Viene generata casualmente l energia cinetica T n del neutrone simulato: per fare questo, ho scelto di utilizzare i dati presenti in [17] (grafico 1.9) circa lo Yield di produzione di neutroni differenziale in energia ed angolo solido, per fascio di protoni incidente con energia 113 MeV. Per adattare in modo semplice tali dati alla presente misura, ho considerato che la distribuzione di energia dei neutroni emessi sia suddivisa in quattro regioni distinte, ove ha andamento di tipo potenza ; successivamente ho riscalato gli estremi di tali regioni per passare dall intervallo MeV a quello caratteristico per la presente misura, MeV (ho mantenuto la stessa energia minima dei neutroni riportata nell articolo citato).

84 78 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Per generare casualmente l energia del neutrone simulato ho utilizzato il metodo dell inversione, più efficiente di quello di reiezione 9 ; il grafico 3.16 mostra, per N n = 10 6, le energie cinetiche dei neutroni così simulate. 2. Nota l energia cinetica del neutrone T n, il programma determina se esso viene rivelato all interno dello scintillatore: per fare questo, viene estratto un numero casuale u da una distribuzione uniforme tra 0 ed 1, e confrontato con l efficienza per la rivelazione di neutroni ε n (T n ); se u < ε n (T n ) il neutrone è rivelato, e il programma passa al punto successivo, altrimenti il ciclo ricomincia simulando il neutrone successivo. Ho utilizzato come dati di efficienza quelli ricavati dalla simulazione MonteCarlo, usando l algoritmo di rivelazione basato sull energia efficace depositata: la soglia impostata 10 è 75 kev; per ottenere una funzione analitica ε n (T n ) ho applicato un interpolazione lineare tra i punti. 3. Per i neutroni rivelati, il programma calcola il tempo di volo reale tramite la relazione t 0 = Mnd 2 2T n ; d è la distanza nominale tra bersaglio e rivelatore, ovvero misurata 9 La reiezione e la inversione sono metodi numerici per ricavare numeri casuali estratti da una distribuzione h(x) continua, avendo a disposizione un generatore di numeri casuali distribuiti uniformemente entro un intervallo limitato. Senza dare una descrizione della teoria alla base degli stessi, la loro implementazione è la seguente: ˆ Il metodo della reiezione è applicabile se l intervallo [a, b] entro cui si vogliono ricavare i numeri casuali è limitato, ed in corrispondenza di esso la distribuzione h(x) varia tra 0 ed un massimo h M. Esso consiste nel generare due numeri casuali, x entro [a, b] e y entro [0, f M ], e successivamente verificare se y < f(x). In caso affermativo, x è un buon numero casuale estratto dalla distribuzione h(x), in caso contrario la procedura viene iterata. Il principale difetto di questo metodo è dato dalla ridotta efficienza, che si traduce in un tempo di calcolo elevato; esso inoltre risulta poco affidabile se la distribuzione h(x) presenta forti variazioni. ˆ Il metodo della inversione è applicabile se la distribuzione h(x), preliminarmente normalizzata ad 1 entro l intervallo di interesse [a, b], è invertibile, ovvero l espressione x u = H(x) = h(t)dt con a x b (3.3) a si può scrivere esplicitamente, in forma chiusa, come x = H 1 (u). Qualora ciò sia verificato, estraendo casualmente u entro l intervallo [0, 1] e calcolando x tramite la espressione sopra si ottiene un numero casuale distribuito secondo h(x) entro l intervallo [a, b]. Il vantaggio di questo algoritmo rispetto al precedente è la elevata efficienza in termini di tempo di calcolo, ma la condizione di applicabilità limita il suo utilizzo a sole alcune distribuzioni h(x) integrabili analiticamente e invertibili secondo la eq Ho utilizzato questo valore di soglia per l efficienza di rivelazione dei neutroni e dei fotoni in quanto, per quest ultimi, non ho a disposizione altri dati.

85 3.7. SIMULAZIONE COMPLESSIVA DELLA MISURA 79 Figura 3.16: Spettro in energia dei neutroni generati nella simulazione. tra i due centri geometrici, corretta per tener conto dell indeterminazione geometrica circa i punti di interazione (si veda la sezione 2.2 e la equazione 2.11); per fare ciò, a d 0 viene sommato un numero casuale distribuito uniformemente entro l intervallo [ L 2, L 2 ]: L è ottenuto dalla eq. 2.11, opportunamente mediata rispetto all angolo θ. Dopo aver calcolato il tempo di volo reale, esso viene corretto per considerare la risoluzione temporale del detector e la larghezza dei pacchetti del fascio: assumendo che il secondo contributo sia quello dominante, per fare ciò a t 0 viene sommato un numero casuale δt estratto da una distribuzione gaussiana con media nulla e deviazione standard σ = 1 ns, corrispondente, come ordine di grandezza, alla risoluzione temporale complessiva presente in misura. Infine, il tempo t 0 + δt è modificato per simulare l effetto dovuto al periodo fisso dei bunch del fascio, descritto nella sezione 2.2.1: ad esso è sottratta la quantità n T b, ove n è un intero fissato dalla condizione che il risultato finale appartenga all intervallo [0, T b ]. 4. Per ciascun neutrone incidente sul rivelatore, il programma simula inoltre la deposizione di energia all interno dello stesso; per fare questo ho utilizzato risultati ottenuti da una simulazione precedente (descritta nella sezione 3.4.2) che si possono riassumere come segue: un neutrone con energia cinetica T n può depositare

86 80 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO nello scintillatore un energia efficace compresa tra 0 ed E max, con distribuzione di probabilità uniforme. E max è dato dalla relazione empirica E max = E 0 T α n, con T n in MeV; i parametri presenti valgono E 0 = MeV e α = Il programma calcola E max e successivamente determina l energia efficace depositata estraendo un numero casuale distribuito uniformemente tra 0 e tale valore. Terminato il ciclo per i neutroni, il programma simula l incidenza dei fotoni sul rivelatore, con operazioni del tutto analoghe a quelle descritte sopra; è assente la parte relativa alla deposizione di energia all interno del rivelatore. I fotoni vengono generati con uno spettro energetico ottenuto da una mia simulazione MonteCarlo precedente (si veda il paragrafo 3.3.4), in quanto in [17] tale dato non è presente: anche se tali particelle si muovono tutte con velocità c, la loro energia è importante per l efficienza di rivelazione ε γ (T γ ) dello scintillatore; ho utilizzato per essa dati ottenuti da una simulazione MonteCarlo, non riportata 11, con algoritmo di rivelazione basato sull energia efficace depositata, con soglia 75 kev Risultati ottenuti Il primo risultato che ho ottenuto dalla simulazione MonteCarlo della misura è il confronto tra il tempo di volo di neutroni e fotoni con e senza l effetto dovuto ai bunch del fascio descritto precedentemente. Ho ripetuto la simulazione quattro volte, facendo variare la distanza d tra il bersaglio ed il rivelatore, generando N n = 10 6 neutroni incidenti: i risultati sono riportati nel grafico 3.17, per d = 1 m, d = 1.5 m, d = 2 m, d = 5 m. In ciascuno di essi è ben visibile il picco dovuto ai fotoni, il cui tempo di volo fisico è fisso al valore t γ = d c, e successivamente la distribuzione di tempi di volo dei neutroni, da cui ricavare la corrispondente distribuzione in energia. In particolare, il tempo di volo dei neutroni più veloci, con energia T n = 62 Mev, è t min n = d Mn c 2 c 2T n 2.75 d c. All aumentare della distanza tra bersaglio e rivelatore sono presenti due effetti distinti: ˆ Il picco nella distribuzione di tempi dovuto ai fotoni si allontana dalla regione di spettro caratteristica dei neutroni: la distanza temporale fra essi è δt = t min n t γ 1.75 d c ; lo spettro dei fotoni è allargato a causa degli effetti di risoluzione e di indeterminazione sulla distanza percorsa. 11 Non ritengo importante mostrare i risultati ottenuti circa l efficienza per la rivelazione dei fotoni in quanto, per ottenere lo yield di produzione dei neutroni da Berillio, tale dato non è necessario.

87 3.7. SIMULAZIONE COMPLESSIVA DELLA MISURA 81 La separazione tra le due regioni aumenta con la distanza del rivelatore dal bersaglio, il che farebbe preferire distanze grandi, in modo da risolvere esse correttamente e non avere contaminazioni. ˆ Aumentano i neutroni con tempo di volo superiore a T b, periodo dei bunch del fascio, che vengono dunque erroneamente misurati come particelle aventi tempo di volo inferiore; l energia di un neutrone avente tempo di volo pari a T b è T max n = MeV d 2 (m), per T b = 120 ns. Tutti i neutroni con energia inferiore a questa non sono misurabili con precisione, a causa della sovrapposizione dell effetto dei diversi bunch e dei fondi di sala. Questo effetto, a differenza del precedente, cresce con la distanza. Bisogna trovare una distanza che porti ad un compromesso tra questi due effetti: la scelta che appare migliore è quella di porre il rivelatore a distanza d = 1.5 m, in quanto in tale configurazione la distribuzione di tempi ipoteticamente misurata senza effetto del periodo di bunch di fascio ha ben distinte le regioni corrispondenti ai fotoni ed ai neutroni. La minima energia dei neutroni misurabile è pari a circa 0.81 MeV, e sfruttando il gradino di neutroni lenti precedenti ai fotoni, nonché, eventualmente, i dati compresi tra la regione dei fotoni e quella dei neutroni, è possibile, una volta sottratto il fondo di sala, avere una stima dei neutroni lenti e correggere parzialmente lo spettro. Un ulteriore risultato ottenuto dalla simulazione è la correlazione presente tra il tempo di volo dei neutroni e l energia efficace depositata da essi entro il rivelatore: il grafico 3.18 mostra il risultato ottenuto dalla simulazione MonteCarlo, considerando i soli neutroni, per distanza d = 1.5 m. Si nota in particolare la presenza di eventi a bassi tempi, caratterizzati da una piccola energia depositata, che corrispondono ai neutroni lenti erroneamente misurati; tali eventi si sovrappongono a quelli corrispondenti ai reali neutroni veloci, dando luogo ad una discontinuità nella distribuzione di energia depositata. Un esempio di tale discontinuità è riportato nel grafico 3.19, in cui è mostrata l energia depositata dai neutroni con tempo di volo misurato compreso tra 19 e 21 ns: si nota un picco nella distribuzione a circa 1 MeV, dovuto ai neutroni lenti erroneamente misurati a causa degli effetti dovuti ai bunch del fascio già descritti.

88 82 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO Figura 3.17: Confronto tra il tempo di volo delle particelle con (nero) e senza (rosso) gli effetti dovuti al periodo dei bunch del fascio, per diverse distanze tra bersaglio e rivelatore; la presenza di tempi negativi è legata agli effetti di risoluzione temporale: nella misura reale, essi sono assenti in quanti un segnale di stop precedente a quello di start corrispondente viene ignorato dalla elettronica di lettura.

89 3.7. SIMULAZIONE COMPLESSIVA DELLA MISURA 83 Figura 3.18: Correlazione tra tempo di volo dei neutroni ed energia efficace depositata; nell inserto, particolare della regione compresa tra 10 e 40 ns. Figura 3.19: Energia depositata efficace dai neutroni con tempo di volo misurato tra 19 e 21 ns.

90 84 CAPITOLO 3. SIMULAZIONI MONTECARLO

91 Capitolo 4 Misure preliminari e configurazione del sistema Per realizzare la misura dello yield di neutroni da Berillio, usando i rivelatori a scintillatore organico descritti nel capitolo precedente, è necessario un sistema di acquisizione dati che sia in grado di leggere i segnali provenienti dai fotomoltiplicatori, elaborarli e salvare le informazioni circa le quantità fisiche di interesse su memoria, per la loro successiva analisi; in questo capitolo è riportata la descrizione del sistema di acquisizione dati da me realizzato, nonchè le misure fatte per caratterizzarlo e per verificare il suo corretto funzionamento: in particolare, viene presentata l implementazione della pulse-shape discrimination per distinguere, evento per evento, quale particella incida sui rivelatori a scintillatore liquido. Successivamente sono mostrati i risultati delle misure da me eseguite per determinare il punto di lavoro dei fotomoltiplicatori e per calibrare l intero sistema di misura, ovvero per determinare i parametri che permettono di convertire le informazioni registrate nelle quantità fisiche di interesse, con le usuali unità di misura. L ultima parte del capitolo, infine, è dedicata allo studio della risoluzione con cui viene misurata l energia cinetica dei neutroni tramite l apparato sperimentale utilizzato. 4.1 Sistema di acquisizione dati Nel presente esperimento, tramite il sistema di acquisizione dati si vogliono misurare le seguenti grandezze fisiche: ˆ Il tempo di volo delle particelle tra bersaglio e rivelatori. ˆ L energia depositata nel rivelatore dalle particelle incidenti su di essi. 85

92 86 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Figura 4.1: Il sistema di acquisizione dati: in alto, i moduli NIM, in basso i moduli CAMAC. Nel caso di rivelatori con scintillatore liquido, la natura della particella incidente. L intervallo di tempi che si vuole misurare e compreso tra 0 e 120 ns, in quanto, come descritto precedentemente nel paragrafo 2.2.1, il periodo caratteristico del segnale sincrono con la macchina acceleratrice non permette di misurare tempi di volo maggiori; le energie depositate sono invece comprese, come ordine di grandezza, tra 0 e 45 MeV, a causa della presenza del meccanismo di quenching : per i rivelatori a scintillatore plastico, secondo il risultato della simulazione MonteCarlo, cio si traduce in un numero massimo di fotoelettroni prodotti ai fotocatodi pari a Nphe ' , ovvero ad una carica massima del segnale in uscita pari a Qmax ' 10.5 nc, calcolata considerando che i due fotomoltiplicatori hanno un guadagno nominale G = per tensione di alimentazione V = 1750 Volt (per i rivelatori a scintillatore liquido, si ottiene un risultato analogo). Tale valore e solo indicativo in quanto dipende dal numero medio di fotoelettroni prodotti per unita d energia depositata nello scintillatore, stimato dalla simulazione. Il sistema utilizzato, inoltre, implementa la lettura della carica depositata nel bersaglio dal fascio incidente, utilizzata per monitorare lo stesso, come descritto nel paragrafo Esso e stato realizzato utilizzando moduli commerciali NIM (non programmabili) e CAMAC (programmabili), gestiti da un calcolatore a cui sono interfacciati tramite protocollo

93 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 87 GPIB (la tabella 4.3 riporta i componenti utilizzati): di seguito vengono descritti separatamente, per maggior chiarezza, i due sistemi realizzati per misurare le grandezze sopra indicate, anche se, in realtà, essi non sono distinti, in quanto realizzati, in parte, con i medesimi moduli elettronici Misura del tempo di volo Lo schema del sistema di misura dei tempi di volo delle particelle, realizzato interamente con moduli di tipo CAMAC, è riportato in figura 4.2 seguente. Figura 4.2: Schema del sistema di misura dei tempi di volo; le frecce più spesse rappresentano un gruppo di canali; in figura non sono riportati i rivelatori dai quali proviene il segnale in ingresso al discriminatore. Discriminatore Constant Fraction Questo modulo converte i segnali analogici provenienti dai fotomoltiplicatori montati sui diversi rivelatori in segnali logici, che possono essere successivamente elaborati da altri moduli; esso possiede due uscite identiche, in standard ECL 1, per ciascuno dei 16 canali in ingresso ed una uscita NIM che corrisponde alla funzione logica OR di tutte le uscite. 1 I valori di tensione caratteristici degli standard logici NIM ed ECL sono riportati nella tabella seguente: Valore logico Tensione (NIM) Tensione (ECL) V -0.9 V V -1.5 V

94 88 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Allorché la tensione del segnale presente ad uno dei canali in ingresso supera un dato valore, detto tensione di soglia, alla corrispondente uscita è generato un segnale logico 1: il valore della soglia e la lunghezza temporale del segnale in uscita devono essere configurate prima della misura. In un discriminatore tradizionale, di tipo Leading Edge, il segnale logico di uscita viene generato quando il segnale in ingresso oltrepassa il valore di soglia 2 : tale istante dipende dalla ampiezza del segnale di ingresso e ciò da luogo ad un effetto detto timewalk (figura 4.3) che, se non opportunamente corretto, introduce un indeterminazione nella misura dei tempi; misurando infatti la differenza di tempo tra l arrivo di un segnale proveniente da un rivelatore e la generazione del segnale logico di uscita si ottiene che essa è funzione dell ampiezza del segnale in ingresso, ovvero ad ampiezze più grandi corrispondono intervalli di tempo più brevi. Figura 4.3: Effetto di time-walk per un discriminatore leading-edge (tempo e ampiezza in scale arbitrarie): due segnali aventi ampiezza distinta giungono sincroni al discriminatore, e oltrepassano il valore di soglia ad istanti differenti, per cui i due segnali logici in uscita non sono più sincroni. In un discriminatore Constant Fraction l effetto di time-walk è corretto in quanto il segnale logico in uscita viene generato quando il segnale in ingresso supera un valore di 2 In realtà è presente un ritardo fisso tra l arrivo del segnale e la generazione dell uscita, dovuto al tempo impiegato dal modulo per processare il segnale: questo aspetto è rilevante nella discussione successiva sui ritardi da applicare ai segnali analogici.

95 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 89 soglia pari ad una frazione f della sua ampiezza: in tal modo, l istante in cui il segnale di uscita è generato è indipendente dalla ampiezza di quello ingresso. Il parametro f è caratteristico del modulo e non può essere modificato (f = 0.2 per il modulo utilizzato in questa misura). Nel discriminatore è comunque presente una soglia in tensione fissa, configurabile: solo i segnali che la superino vengono effettivamente processati come descritto, ma il suo valore non influenza le proprietà temporali del modulo. Operativamente, in un Constant Fraction il segnale in ingresso è invertito ed attenuato di un fattore f e ad esso è sommata una sua copia non attenuata, ritardata di un tempo t d : il modulo genera il segnale di uscita quando il segnale complessivo ottenuto è nullo; per il corretto funzionamento, se il segnale in ingresso ha un tempo di salita t r, il valore di t d deve essere scelto come segue: t d = t r (1 f) (4.1) Nella tabella 4.1 sono riportati i valori di ritardo impostati per i diversi rivelatori, dopo aver misurato il tempo di salita caratteristico dei corrispondenti segnali tramite un oscilloscopio: per una descrizione più completa circa il funzionamento di questo modulo, si veda l appendice B. Rivelatore Scintillatore plastico Scintillatore liquido EJ301 Tempo di ritardo 4 ns 8 ns Tabella 4.1: Ritardi impostati sul discriminatore Constant Fraction TFC Questo modulo misura le differenze temporali δ i T fra ciascuno dei 16 segnali logici in ingresso ed un opportuno segnale di riferimento, operando in due modalità: ˆ Common Start: il segnale esterno di riferimento fornisce l istante iniziale per misurare gli intervalli di tempo δ i T ed è comune a tutti i canali, mentre i segnali presenti in ingresso al TFC forniscono gli istanti finali: se uno di essi è assente, il corrispondente intervallo δt misurato è pari al fondoscala del modulo. ˆ Common Stop: i segnali in ingresso al TFC forniscono gli istanti iniziali per la misura di δ i T, mentre quello di riferimento fornisce l istante finale, comune a tutti i canali: se uno dei segnali in ingresso è assente, il corrispondente intervallo δt misurato è pari a 0.

96 90 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Figura 4.4: Misura di tempi in modalità Common Stop : il tempo delle particelle più veloci (i fotoni) t γ viene misurato come quello più lungo. In questa misura non è possibile lavorare in Common Start, usando come segnale esterno di riferimento quello sincrono 3 con i bunch della macchina acceleratrice, detto segnale RF, in quanto esso ha frequenza f B = 8.33 MHz troppo elevata (si veda la tabella 2.2), incompatibile con i moduli elettronici usati: in tale modalità, infatti, il TFC è inizializzato ogni volta che giunge ad esso un segnale esterno di riferimento e ciò comporta alcune operazioni successive, che si concludono con il trasferimento dei dati al calcolatore, le quali non possono avvenire alla frequenza f B, ma devono essere svolte più lentamente. Si è scelto dunque di operare in modalità Common Stop, usando come start i segnali provenienti dai rivelatori, e come stop il segnale RF opportunamente ritardato: in tale configurazione il tempo di volo delle particelle più veloci, i fotoni, viene misurato come quello più lungo, come mostrato in figura 4.4. Ciò non è problematico in quanto il tempo di volo dei fotoni è noto e può essere utilizzato per calibrare il sistema e ottenere i tempi di volo assoluti. Il TFC possiede, oltre ai 16 ingressi di start individuale menzionati, un ingresso di start globale a cui deve essere inviato un segnale che inizializzi il modulo prima della misura degli intervalli di tempo, e il modo più semplice per fare ciò è utilizzare per esso un segnale corrispondente alla funzione logica OR di tutti gli start individuali, a patto di rispettare alcuni vincoli temporali [29]: in particolare, ciascuno start individuale deve giungere al modulo almeno 36 ns dopo lo start globale. In fase di configurazione del sistema ho altresì notato che, se un segnale di stop giunge al modulo tra il segnale di start globale ed uno degli 3 A priori non si conosce il ritardo temporale fra il segnale RF e l istante in cui i bunch del fascio colpiscono effettivamente il bersaglio; esso è a da intendersi a tutti gli effetti come un clock con periodo 120 ns sincronizzato con la macchina acceleratrice.

97 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 91 Figura 4.5: Esempio di errore di misura causato dal segnale di stop precedente a quello di riferimento (rispetto a cui misurare il tempo δt) che giunge tra common start e individual start: in conseguenza, il TFC ignora quest ultimo e non misura nulla. start individuali, quest ultimi vengono ignorati, ed il modulo non misura nulla: questo può accadere a causa del fatto che i segnali di stop giungono al modulo ogni T b = 120 ns, come mostrato dalla figura 4.5. Ho risolto questo problema impostando un veto sui segnali di stop, ovvero impedendo che essi giungano al TFC nell intervallo tra i due segnali di start: allorchè ciò accade, lo stop corrispondente è ignorato, e il sistema considera quello successivo. Il modulo TFC non produce direttamente in uscita un numero proporzionale alla differenza di tempo misurata per ciascun canale in ingresso, ma genera, per ciascun canale, una onda quadra di lunghezza pari a tale differenza con ampiezza fissa, regolabile prima della misura. I 16 segnali di uscita così ottenuti sono inviati ad un successivo modulo FERA, descritto in seguito, che ne integra la carica: il risultato di tale operazione è direttamente proporzionale alla differenza di tempo misurata. Il modulo TFC produce anche il segnale di gate necessario per tale integrazione, ogni volta che ad esso giunge un segnale di start globale: il gate è sincrono con le onde quadre generate ma la sua lunghezza deve essere configurata prima della misura. PLU (Programmable Logic Unit) Questo modulo è una unità logica programmabile, con 8 ingressi e 8 uscite di tipo ECL, ciascuna delle quali può implementare una qualsiasi funzione logica degli ingressi. Esso può lavorare in modalità continua, in cui i valori di uscita dipendono istante per istante da quelli di ingresso, o in modalità strobed : in questo secondo caso, quando al modulo viene inviato un segnale detto strobe (in logica NIM) esso legge i valori logici presenti agli ingressi e abilita le uscite con i valori dati dalla funzione programmata, per

98 92 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA una lunghezza temporale fissa, da configurare prima della misura; in quest ultima modalità il ritardo tra l arrivo del segnale di strobe e l abilitazione delle uscite è indipendente dalla funzione logica implementata. In questa misura, tutti i moduli PLU sono utilizzati in modalità strobed e sono programmati in modo da eseguire le seguenti funzioni logiche: ˆ PLU 1 Questo modulo serve per modificare la lunghezza temporale del segnale OR del discriminatore, utilizzato come strobe, per cui la funzione logica programmata è 1 per tutti i canali di uscita. L uscita del modulo viene utilizzata per realizzare il veto. ˆ PLU 2 Questo modulo è quello che implementa il veto sul segnale di stop del TFC, utilizzando come strobe il segnale RF e come ingresso il segnale di uscita di PLU 1: la funzione logica programmata è il NOT dell ingresso. ˆ PLU 3 Questo modulo ha la medesima funzione di PLU 1, ovvero modifica la lunghezza temporale del segnale OR del discriminatore, successivamente inviato all ingresso common start del TFC: la funzione logica programmata è 1 per tutti i canali di uscita. Delay Questo modulo riproduce su ciascuna uscita una copia identica del segnale logico presente al corrispondente ingresso, con un ritardo fisso programmabile. Nello schema di acquisizione dati sono presenti due moduli di questo tipo, utilizzati per temporizzare correttamente il sistema: in particolare, DELAY 1 serve per implementare il veto mentre DELAY 2 permette ai segnali di start individuali di giungere al TFC 36 ns dopo lo start globale. La figura 4.6 mostra il funzionamento del veto sul segnale RF : quando il segnale proveniente da un rivelatore oltrepassa la soglia del discriminatore, quest ultimo crea un segnale logico in uscita che viene elaborato per produrre i segnali di common start e individual start del TFC, nonchè per generare il segnale in ingresso a PLU 2, il cui inizio e fine sono sincroni con il segnale di common start e individual start (primi quattro segnali in figura, nero). ˆ Se il segnale RF giunge dopo quello di individual start, l ingresso di PLU 2 è 0, perciò essa genera il segnale di stop per TFC (segnali verdi in figura).

99 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 93 ˆ Se il segnale RF giunge tra quelli di start, l ingresso di PL 2 è 1, perciò essa non genera alcun segnale in uscita: il segnale RF è dunque ignorato (segnali rossi in figura). Figura 4.6: Esempio d applicazione del veto sul segnale RF : per semplicità è mostrata solo un uscita del discriminatore Misura dell energia depositata nel rivelatore Lo schema del sistema di misura dell energia depositata dalle particelle entro i rivelatori è riportato in figura 4.7: FERA è un modulo di tipo CAMAC, mentre gli altri sono di tipo NIM. Fan in/fan out Questo modulo produce su ciascuna delle 4 uscite analogiche la somma dei quattro segnali in ingresso presenti, per cui se vi è solo uno di essi, in uscita si ottengono 4 sue copie identiche. Nella presente misura i segnali provenienti dai rivelatori sono direttamente sommati tramite tale modulo, senza eseguire alcuna coincidenza fra essi, in quanto, in fase di configurazione dei rivelatori, ho osservato che i conteggi dovuti al rumore erano molto inferiori

100 94 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Figura 4.7: Schema del sistema di misura della energia depositata nel rivelatore per i rivelatori con scintillatore plastico (sopra) e liquido (sotto); le frecce più spesse rappresentano cavi di ritardo a bassa attenuazione, mentre i cerchi gli attenuatori di segnale, con fattore di soppressione dato dal numero all interno. I moduli in blu sono utilizzati per realizzare la pulse-shape discrimination con i rivelatori a scintillatore liquido. a quelli attesi, secondo alcune stime preliminari, in misura: ciò è stato successivamente confermato durante l acquisizione dei dati. FERA Questo modulo permette di integrare, entro un opportuno intervallo temporale, i segnali analogici presenti ai 16 ingressi, fornendo in uscita, per ciascuno di essi, un numero (in canali ) proporzionale alla sua carica; il fondoscala dello strumento è 480 pc, valore a cui corrispondono 1920 canali. L intervallo di integrazione è specificato inviando al modulo un segnale logico, detto gate : fintanto che esso è pari ad 1, il modulo integra i segnali analogici in ingresso; prima della misura è necessario temporizzare correttamente il sistema, in modo che i segnali che si vogliono integrare siano compresi entro il gate, la cui lunghezza deve essere opportunamente scelta. Utilizzando nella misura di tempi il modulo TFC, che sfrutta necessariamente un modulo FERA dedicato, è necessario utilizzare come gate, anche per il FERA che integra i

101 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 95 segnali analogici, il segnale prodotto dal TFC, il quale giunge al FERA posticipato rispetto ai segnali da integrare, a causa delle operazioni logiche precedenti la sua formazione: è dunque necessario, per ottenere una misura corretta, ritardare anch essi, e ciò viene fatto attraverso cavi di ritardo a bassa attenuazione (modello RG213). In figura 4.7 sono riportati anche i moduli utilizzati per realizzare la pulse-shape discrimination con gli scintillatori liquidi: una copia del segnale analogico è notevolmente ritardata, in modo che solo la prima porzione di esso ricada entro la finestra di gate e venga integrata, come mostrato in figura 4.8: dalla correlazione tra l integrale complessivo del segnale e quello parziale si può risalire alla natura della particella incidente sul bersaglio. Figura 4.8: Esempio di segnale analogico ritardato rispetto al gate, per integrare solo la prima parte di esso. La porzione di segnale (giallo) al di fuori della finestra di integrazione (rosso) non viene integrata dal FERA. Attenuatori Questi moduli, che permettono di ridurre l ampiezza dei segnali in ingresso di un fattore costante, sono utilizzati nella misura per diversi scopi: ˆ Per sfruttare completamente il range dinamico del modulo FERA durante la misura, senza generare overflow 4, il segnale proveniente dai rivelatori è attenuato, con 4 Allorchè un segnale in ingresso al FERA possiede una carica totale maggiore di quella massima

102 96 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA fattori di soppressione rispettivamente 1 3 per il segnale totale e 2 3 per quello parziale, usato nella pulse-shape discrimination : tali valori sono diversi in quanto il segnale parziale possiede una carica più piccola rispetto a quella del totale; in fase di configurazione dei rivelatori (ricerca del punto di lavoro e calibrazione) gli attenuatori anteposti al modulo FERA sono assenti, come evidenziato nei paragrafi 4.3 e 4.4.2, in quanto le energie delle sorgenti utilizzate (tabella 4.5) sono notevolmente più piccole rispetto alle energie caratteristiche misurate durante l esperimento. ˆ Nel caso dei rivelatori con scintillatore liquido, il rapporto segnale rumore è critico per la pulse-shape discrimination, perciò, per aumentare quest ultimo, è stato scelto di aumentare il guadagno dei fotomoltiplicatori di tali rivelatori e di porre, a valle dei cavi che trasportano i segnali dalla sala sperimentale a quella di acquisizione, un attenuatore con fattore di soppressione 1 3. Ritardo programmabile Questo modulo NIM produce in uscita una copia del segnale analogico in ingresso, con un ritardo fisso, programmabile prima della misura: esso è utilizzato per selezionare in modo fine il ritardo del segnale integrato parzialmente per realizzare la pulse-shape discrimination. Richiamando quanto mostrato all inizio del presente capitolo, la carica massima dei segnali in uscita dai rivelatori a scintillatore plastico è Q max 10.5 nc, calcolata assumendo il guadagno nominale dei fototubi: anche in seguito all attenuazione, essa è incompatibile con il fondoscala del modulo FERA, per cui in misura ho regolato il guadagno dei PMT in modo opportuno, per lavorare in condizione tale che la carica massima dei segnali fosse 480 pc dopo l attenuazione. In tale configurazione, la carica massima su ciascuno dei due anodi è circa 720 pc, corrispondente ad una corrente di picco IP max ma: per tale valore di corrente, i fototubi lavorano in regime di linearità, con scostamenti al più del 2%; per i rivelatori a scintillatore liquido si giunge alla stessa conclusione, considerando che, pur avendo un ulteriore attenuatore di segnale, e dunque corrente di picco è I max p ma, i fototubi utilizzati (EMI 9954B) operano in regime di linearità per valori di corrente fino a 200 ma. integrabile, 480 pc, il modulo fornisce in risposta un numero fisso pari a 2048 canali, detto overflow.

103 4.1. SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI Altri moduli utilizzati Per completare il sistema di acquisizione dati sono stati utilizzati i seguenti moduli, non descritti precedentemente: ˆ Un crate-controller che permette la comunicazione dei moduli CAMAC con il calcolatore, ed è utilizzato sia nella fase di configurazione, sia in quella di misura, durante la quale esegue il trasferimento dei dati sulla memoria fisica del computer. ˆ Due memorie, sulle quali i FERA trasferiscono i dati digitalizzati in seguito all arrivo di un gate : la loro presenza permette al sistema di lavorare con frequenza più elevata in quanto diminuiscono le comunicazioni sul bus del sistema CAMAC. Le memorie infatti sono lette e successivamente azzerate solamente al loro riempimento, e prima di ciò lavorano in modo indipendente dal crate-controller. ˆ Un Fera-Driver che gestisce la comunicazione tra FERA e memorie, attraverso un bus frontale, durante l acquisizione dei dati: tra le altre operazioni, esso distribuisce anche il segnale di gate proveniente dal TFC ai FERA presenti sul sistema. ˆ Uno scaler che permette di contare, entro un dato intervallo temporale, il numero di segnali in ingresso al discriminatore che oltrepassano il valore di soglia, per ciascun canale. Tale modulo è stato anche utilizzato per digitalizzare la carica depositata nel bersaglio, come descritto nel paragrafo seguente Misura della carica depositata nel bersaglio in Berillio La misura della carica depositata dalle particelle del fascio incidente nel bersaglio in Berillio, descritta nel paragrafo 2.6.2, è realizzata tramite un modulo NIM disegnato appositamente per questo scopo, ovvero il Digital Current Integrator, modello ORTEC 439. All ingresso di tale modulo è collegato il cavo che, attraverso il contatto elettrico montato sul Berillio, preleva la carica depositata dentro quest ultimo dalle particelle del fascio incidente: il modulo integra la corrente al suo ingresso, e quando la carica raggiunge un valore pre-impostato genera in uscita un impulso logico (in standard NIM) e si riazzera. Contando il numero di impulsi generati in ciascun run si ottiene, tramite un fattore di conversione, la carica complessiva integrata, coincidente con quella depositata nel Berillio: per fare questo, viene utilizzato lo scaler descritto precedentemente. Le caratteristiche del modulo utilizzato sono riassunte in tabella 4.2.

104 98 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Fattore di conversione 1 impulso / 100 pc Impedenza di ingresso 0 Accuratezza 2 Tabella 4.2: Caratteristiche del modulo Digital Current Integrator usato nella misura. Per determinare l accuratezza del modulo, è stata eseguita una misura inviando al modulo una corrente pari a 100 pa, ovvero dello stesso ordine di grandezza di quella del fascio, tramite un generatore di tensione ed una resistenza calibrati all 1, e successivamente contando il numero di impulsi generati in un intervallo di tempo T = 1000 s: è risultato che l integratore genera, come atteso, 1 impulso al secondo, dunque si può stimare l accuratezza dello stesso come l indeterminazione sulla corrente inviata, più quella di un impulso. Elenco dei moduli utilizzati La tabella 4.3 riporta la lista completa dei moduli utilizzati per realizzare il sistema di acquisizione dati. Modulo Quantità Modello Marca Standard Quad Fan in/fan out 2 NIM Programmable analog delay 2 N146A Caen NIM Discriminatore Constant Fraction 1 C808 Caen CAMAC FERA B Lecroy CAMAC TFC Lecroy CAMAC FERA Driver Lecroy CAMAC FERA Memory Lecroy CAMAC Logic Delay Lecroy CAMAC PLU Lecroy CAMAC Scaler Lecroy CAMAC Tabella 4.3: Lista dei moduli elettronici utilizzati per realizzare il sistema di acquisizione dati. Canali e rivelatori La corrispondenza tra i rivelatori usati in misura ed i corrispondenti canali in ingresso per il sistema di acquisizione dati è riportata in tabella 4.4.

105 4.2. PROVE PRELIMINARI DEL SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 99 Rivelatore Canale TDC Canale ADC totale Canale ADC parziale Plastico NO Plastico NO Liquido Liquido Tabella 4.4: Corrispondenza fra rivelatore e canali di ingresso del sistema di acquisizione dati; nel caso dei rivelatori con scintillatore plastico non è presente il canale di ADC per il segnale parziale poiché non si esegue la pulse-shape discrimination. 4.2 Prove preliminari del sistema di acquisizione dati Per provare il corretto funzionamento del sistema di acquisizione dati, ho realizzato alcune misure preliminari con lo scopo di verificare alcuni aspetti dello stesso, nelle quali ho utilizzato alcune sorgenti radioattive, descritte brevemente nella tabella 4.5. Sorgente Particelle emesse Energia Note 22Na γ 511 kev 60 Co Emette due γ simultanei a 180. Spalla Compton a 341 kev γ 1.17 MeV Spalla Compton a 960 kev γ 1.33 MeV Spalla Compton a 1.12 MeV 90Sr e 2.28 MeV Emette e con spettro β fino a questa energia 137Cs γ kev Spalla Compton a 477 kev AmBe γ e neutroni Descrizione nella sezione successiva Tabella 4.5: Sorgenti radioattive utilizzate nelle misure preliminari. La sorgente AmBe Una sorgente di Americio-Berillio, costituita da una miscela omogenea di questi due elementi, emette neutroni e fotoni con spettro in energia continuo entro l intervallo caratteristico [0, 10] MeV mediante il seguente meccanismo: 241Am decade α con tempo di dimezzamento T 1 = y, emettendo una particella α con energia cinetica T α = MeV che può interagire con i nuclei di Berillio ed emettere neutroni tramite la reazione: 9 α + Be n + 12 C (4.2) I neutroni emessi non sono monocromatici, sia a causa della dipendenza della loro energia cinetica dall angolo di emissione misurato, nel laboratorio, rispetto all impulso della

106 100 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA particella α incidente, sia perchè quest ultima, prima di interagire con i nuclei di Berillio, perde energia per ionizzazione all interno della sorgente stessa, per cui la reazione precedente avviene con un energia iniziale variabile. L emissione di fotoni invece è dovuta sia al decadimento di 241 Am, processo a cascata che coinvolge altri nuclei, alcuni dei quali sono prodotti in stati eccitati che successivamente decadono γ al fondamentale, sia a causa della possibilità che il nucleo di Carbonio di stato finale nella reazione 4.2 sia prodotto in uno stato diverso dal fondamentale, con conseguente decadimento γ. Alcuni spettri caratteristici di neutroni e fotoni emessi da sorgenti di Americio-Berillio si possono trovare in [30] e [31] Funzionamento del discriminatore Constant Fraction Ho realizzato una misura per verificare il corretto funzionamento del discriminatore Constant Fraction, ovvero per provare che esso elimini l effetto di time-walk : per fare questo ho inviato al discriminatore segnali con ampiezza distinta, tramite un generatore di funzioni, e con un oscilloscopio ho misurato l intervallo di tempo tra l arrivo del segnale al discriminatore (istante t 0 ) e la generazione del segnale logico in uscita (istante t 1 ). Il segnale inviato in ingresso ha tempo di salita costante t r = 5 ns, per cui ho scelto come ritardo del discriminatore il valore t d = 4 ns (eq. 4.1) e, per non commettere errore di time-walk nella misura del tempo di partenza del segnale con l oscilloscopio, ho considerato come t o l istante in cui il segnale in ingresso raggiunge il 50% del suo valore massimo. Ho confrontato i risultati ottenuti con il discriminatore Constant Fraction sostituendo ad esso un discriminatore Leading Edge (Lecroy 3412), come mostrato sul grafico 4.10: in esso riporto la differenza di tempo misurata (t 1 t 0 ) come funzione della ampiezza del segnale in ingresso per i due diversi discriminatori. Osservo un evidente effetto di time-walk nel caso del discriminatore Leading Edge, ovvero la differenza di tempo misurata è funzione della ampiezza del segnale in ingresso, diminuendo all aumentare di essa; nel caso del discriminatore Constant Fraction questo effetto è assente, ma si osserva una fluttuazione delle differenze di tempo misurate, con ampiezza pari a circa 0.3 ns, paragonabile all errore commesso nella misura di t 0 con l oscilloscopio. Concludendo, posso quindi affermare che il discriminatore Constant Fraction funziona correttamente, correggendo l effetto di time-walk come atteso.

107 4.2. PROVE PRELIMINARI DEL SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 101 Figura 4.9: Configurazione della misura per verificare il funzionamento del discriminatore Constant Fraction. Le impedenze di ingresso utilizzate sui canali dell oscilloscopio sono Z 1 = 1 MΩ e Z 2 = 50 Ω. Il convertitore ECL/NIM è un modulo NIM che permette di convertire i segnali logici da uno standard all altro. Figura 4.10: Risultato della misura per verificare il funzionamento del discriminatore Constant Fraction ; per poterlo confrontare con quello ottenuto usando un discriminatore Leading Edge ho traslato entrambe le serie di dati in modo che il valore di tempo corrispondente ad ampiezza 1750 mv fosse 0 (punto azzurro sul grafico).

108 102 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Misura del tempo morto Il tempo morto di un sistema di acquisizione dati τ m è il tempo che esso impiega nella esecuzione delle operazioni che seguono l arrivo di un segnale (nel caso presente, la misura della sua carica e del suo tempo tramite i moduli TFC e FERA, la digitalizzazione dei dati, il trasferimento di quest ultimi alle memorie): durante il tempo morto, il sistema è cieco ad altri segnali in ingresso, che dunque non vengono acquisiti. diverse tipologie di tempo morto: Esistono due Non-paralizzante: un segnale in arrivo entro il tempo morto viene semplicemente ignorato dal sistema, perciò all aumentare della frequenza dei segnali in ingresso il sistema raggiunge una frequenza massima di acquisizione, pari a 1 τ m Paralizzante: un segnale in arrivo entro il tempo morto viene ignorato dal sistema, ma contemporaneamente fa ripartire il tempo morto: a causa di ciò, il sistema non è più in grado di registrare alcun evento, eccetto il primo, se la frequenza dei segnali in ingresso è superiore a 1 τ m. Si può mostrare che, nei due diversi casi, il rate reale R real di eventi è legato a quello misurato R mis tramite le seguenti relazioni 5 : 1 R mis 1 R mis τ m R real = R mis e R real τ m caso non-paralizzante caso paralizzante (4.3) Se non si considera in modo opportuno τ m il risultato della misura è errato, in quanto sottostima il numero reale di conteggi, per cui nel sistema di acquisizione dati è presente uno scaler che conta, per ciascun rivelatore, il numero di segnali che effettivamente hanno superato la soglia del discriminatore: confrontando esso con il numero di segnali acquisiti dal sistema si può correggere i dati sperimentali. Ho comunque eseguito una misura preliminare di τ m, per verificare che esso non fosse troppo elevato, utilizzando una sorgente di 60Co posta davanti al rivelatore a scintillatore plastico, in modo da ottenere segnali da acquisire: ho misurato la frequenza degli eventi sullo scaler e l ho confrontata con quella degli eventi effettivamente acquisiti. Nel grafico 4.11 è riportato il risultato della misura, ovvero la quantità f m = R real R mis 1 in funzione di R real (per variare R real ho modificato la distanza della sorgente dal rivelatore): essa è la frazione di eventi non acquisiti dal sistema, nell ipotesi che il tempo morto sia di tipo non-paralizzante, dedotta da [29] e [32]. 5 Nel caso paralizzante, è necessario risolvere numericamente la equazione 4.3 per ricavare la frequenza reale di conteggio.

109 4.2. PROVE PRELIMINARI DEL SISTEMA DI ACQUISIZIONE DATI 103 Ho eseguito un best-fit con una funzione lineare, del tipo f m = p 0 + p 1 R real (khz), equivalente all equazione 4.3, con in più un termine noto, da cui ho ricavato τ m = p = 13.2 µs: si vede che l ipotesi fatta circa la natura del tempo morto del sistema è corretta. È possibile inoltre confrontare τ m con il tempo che i moduli FERA impiegano a digitalizzare il risultato di una integrazione e a trasferire tale dato alle memorie, pari a circa 12 µs [32], concludendo che il contributo dominante nel tempo morto è dato da tali moduli, come ragionevolmente atteso. Figura 4.11: Misura del tempo morto del sistema Pulse-shape discrimination Utilizzando il rivelatore con scintillatore liquido EJ301 ed una sorgente di Americio-Berillio che emette neutroni e fotoni, ho eseguito una misura qualitativa per verificare il funzionamento della pulse-shape discrimination, con lo scopo di verificare che tale tecnica si possa implementare utilizzando un solo gate nella integrazione del segnale proveniente dal rivelatore, facendone due copie e ritardandole di tempi diversi, come descritto nel paragrafo 4.1.2: in tal modo si ottiene sia l integrale totale del segnale, sia quello della sola componente veloce 6. Come evidenziato nella sezione 2.3.5, a parità di carica totale, ovvero di energia efficace depositata nello scintillatore, il segnale dei neutroni è caratterizzato da una componente 6 Per semplificare la trattazione, nel seguito indico con E 0 il valore dell integrale totale e con E fast quello dell integrale parziale.

110 104 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA veloce meno intensa rispetto a quella dei fotoni, e dalla presenza significativa di una componente lenta, per cui inserendo in un grafico i valori dei due integrali misurati su un gran numero di eventi ci si aspetta di osservare due luoghi di punti distinti, caratteristici delle due particelle. La figura 4.12 mostra il risultato ottenuto con uno dei rivelatori, dopo alcune prove preliminari per trovare il miglior valore di ritardo del segnale integrato parzialmente: si osservano due bande ben distinte, e ciò mostra il corretto funzionamento del sistema; le prestazioni ottenute con esso sono confrontabili con quelle di misure analoghe che si possono trovare in letteratura ([33]). In appendice C riporto la descrizione del programma di analisi che ho scritto per automatizzare la procedura di identificazione della particella incidente. Figura 4.12: Risultato della verifica della pulse-shape discrimination con sorgente di Americio-Berillio; le scale sono in canali FERA. Nell inserto, particolare della regione di basse energie. 4.3 Ricerca del punto di lavoro dei fotomoltiplicatori Prima di poter eseguire misure quantitative utilizzando i rivelatori è necessario determinare il punto di lavoro degli stessi, ovvero scegliere la tensione di alimentazione dei fotomoltiplicatori: ho fatto questo fissando tali tensioni in modo che, in assenza del fattore di attenuazione anteposto al modulo FERA (fig. 4.7), un segnale corrispondente ad un

111 4.3. RICERCA DEL PUNTO DI LAVORO DEI FOTOMOLTIPLICATORI 105 evento in cui vengono depositati circa 20 MeV nei rivelatori venga integrato al valore di 1920 canali, fondoscala del modulo FERA. In tal modo è possibile ottenere, per la configurazione dei rivelatori e per le prove preliminari, una risoluzione sufficientemente alta in modo da apprezzare la deposizione di energia nei rivelatori da parte di particelle emesse da sorgenti radioattive, pari al più a qualche MeV, così da avere successivamente, durante la misura, un fondoscala pari a circa 60 MeV, nelle stesse condizioni di lavoro, semplicemente applicando gli attenuatori di segnale. Per determinare il punto di lavoro ho utilizzato le sorgenti di Co e Cs e, acquisiti i corrispondenti spettri di energia depositata 7, ho guardato a quale canale corrispondesse la spalla Compton, ricavando così un approssimata relazione di calibrazione tra energia depositata e canali FERA: tramite essa ho verificato quale fosse il fondoscala per il punto di lavoro considerato; ho variato le tensioni di alimentazione fintanto che ho ottenuto un fondoscala compatibile con quello richiesto, pari a 20 MeV. Poiché i rivelatori possiedono due fototubi, i cui segnali vengono sommati prima della acquisizione, ho preliminarmente verificato l eventuale transit time 8, poi corretto tramite opportuni cavi di ritardo 9, determinando successivamente il punto di lavoro come descritto sopra, facendo in modo che i guadagni dei due fototubi fossero circa uguali. La tabella 4.6 riporta i valori di tensione utilizzati nelle misure definitive: Rivelatore Tensione fototubo 1 Tensione fototubo 2 Plastico V 1440 V Plastico V 1430 V Liquido V 1900 V Liquido V 2030 V Tabella 4.6: Valori di tensione dei fototubi utilizzati nelle misure; la numerazione 1 e 2 è utilizzata semplicemente per distinguere i due fototubi dello stesso rivelatore Nel caso di Co ho considerato per la spalla Compton un valore pari a 1.04 MeV, mediando sui due γ emessi. 8 Il transit time di un fotomoltiplicatore è la differenza di tempo tra l istante in cui un elettrone è prodotto al fotocatodo e quello in cui si ha formazione del corrispondente segnale elettrico all anodo. 9 Questa operazione è stata eseguita una volta installati i rivelatori in sala sperimentale ai LNS, poiché vengono utilizzati cavi a bassa attenuazione per portare i segnali generati da essi alla sala di acquisizione dati: tali cavi possono avere lunghezza leggermente diversa.

112 106 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA 4.4 Calibrazione del sistema Come evidenziato sopra, il sistema di acquisizione dati permette di misurare le energie depositate dalle particelle nei rivelatori e i loro tempi di volo ma queste informazioni sono fornite in unità di misura arbitrarie (canali), caratteristiche dei moduli FERA: per ottenere i valori di tali grandezze in unità con significato fisico è necessario eseguire la calibrazione del sistema Calibrazione temporale La relazione che lega i tempi di volo fisici, espressi ad esempio in ns, a quelli misurati dal sistema di acquisizione, in canali, è la seguente: T = a ch + b (4.4) In essa il parametro a rappresenta il fattore di conversione canali - nanosecondi, ed è caratteristico del sistema di elettronica, mentre il segno - è presente in quanto il sistema è configurato in modalità common-stop (si veda la figura 4.4). Il parametro costante b a priori è incognito, e dipende da fattori quali i ritardi intrinseci del sistema e la differenza di tempo fra il segnale RF e l istante in cui effettivamente i protoni colpiscono il bersaglio; per determinarlo, noto a, è necessario imporre l eguaglianza tra il tempo di volo teorico di una particella nota e il corrispondente valore misurato. Scopo della calibrazione temporale è determinare, per ciascun rivelatore, il valore della costante a : per fare questo ho modificato la configurazione del sistema di acquisizione utilizzando come segnale di stop quello di start individuale ritardato di un tempo T noto e ho successivamente usato il sistema di acquisizione per misurare il tempo corrispondente in canali. Per conoscere T ho utilizzato un oscilloscopio, sul quale ho visualizzato contemporaneamente i segnali di start individuale e stop, misurandone così la differenza temporale. Ho ripetuto questa procedura variando T e ho riportato in un grafico i valori così ottenuti, facendo infine un best-fit con una funzione lineare a tale grafico per ricavare il parametro di calibrazione a cercato. La figura 4.13 mostra i risultati che ho ottenuto: per ciascun punto nei grafici riportati ho stimato l errore sulla misura del tempo tramite oscilloscopio pari a 0.5 ns, e ho posto l errore sui canali pari alla risoluzione minima del sistema di misura, ovvero 1 canale. Osservo che, per tutti i grafici riportati, χ 2 / ndf 1: questo è dovuto al fatto che, per le misure fatte, le fluttuazioni presenti sono più piccole della sensibilità temporale del sistema, come anche si deduce osservando che, per ciascuna misura di tempo (ovvero per

113 4.4. CALIBRAZIONE DEL SISTEMA 107 Figura 4.13: Risultato della calibrazione temporale del sistema; per ciascun grafico ho eseguito un best-fit con una funzione lineare, del tipo T = p 0 + ch p 1. Per ciascun rivelatore, il parametro p 1 corrisponde alla costante di calibrazione a cercata. Il parametro p o è inessenziale, in quanto corrisponde solo ad un termine costante, che contribuisce parzialmente alla costante di calibrazione b.

114 108 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA ciascun punto nei grafici), il segnale digitalizzato corrisponde praticamente ad un solo canale. A causa di questo fatto, l errore sulla costante di calibrazione a determinato dal bestfit non è attendibile: per stimarlo ho utilizzato il metodo detto della leva, ovvero ho individuato le due rette di massima e minima pendenza passanti per i punti dei diversi grafici e ho considerato come errore la semi-differenza fra i loro coefficienti angolari. La tabella 4.7 riporta i valori dei parametri ottenuti, con il loro errore, che, come si vede, è dell ordine di 1%. Canale Parametro di calibrazione a 0 ( ± ) ns/canale 1 ( ± ) ns/canale 2 ( ± ) ns/canale 3 ( ± ) ns/canale Tabella 4.7: Parametri di calibrazione temporale ottenuti; ho ricavato l errore su di essi utilizzando il metodo della leva descritto sopra Calibrazione in energia La relazione che lega le energie fisiche depositate dalle particelle entro i rivelatori, espresse ad esempio in MeV, a quelle misurate dal sistema di acquisizione, in canali, è la seguente: E = a ch + b (4.5) Scopo della calibrazione in energia del sistema è determinare, per ciascun rivelatore, il valore delle costanti a e b 10 : per fare questo ho utilizzato alcune sorgenti radioattive, Co e Cs, misurando la deposizione di energia dei fotoni emessi 11 (si veda la tabella 4.5) entro i rivelatori. Lo spettro di energia atteso non è di tipo monocromatico, ma presenta una distribuzione di tipo Compton (figura 2.4) convoluta con la funzione di risposta del rivelatore 12, per cui non è ovvio individuare nello spettro misurato un punto a cui corrisponde una energia depositata univoca e nota. 10 Nel caso dei rivelatori con scintillatore liquido ho eseguito la calibrazione in energia solo per i canali del FERA corrispondenti agli integrali totali dei segnali Per semplificare la procedura di calibrazione ho eseguito una media sui due fotoni emessi da Co, considerando che tale sorgente emetta un unico fotone con energia 1.25 MeV. 12 La funzione di risposta del rivelatore è definita come lo spettro di energia misurato h(e, E 0) allorché sullo scintillatore incide una radiazione che depositi la energia E 0. Tipicamente h(e, E 0) ha una forma gaussiana, con valor medio E 0 e deviazione standard pari alla risoluzione del rivelatore.

115 4.4. CALIBRAZIONE DEL SISTEMA 109 La figura 4.14 mostra lo spettro di energia dai fotoni emessi da 60Co misurato tramite un rivelatore a scintillatore plastico; a causa della risoluzione finita dello strumento, l endpoint dello spettro non è netto. Figura 4.14: Spettro di energia depositata da una sorgente di 60Co entro uno dei rivelatori a scintillatore plastico. Sono indicati la posizione del picco dello spettro misurato n max e quella del canale cui realmente corrisponde la spalla Compton n Compton. In rosso, la funzione gaussiana con cui ho eseguito il best-fit alla porzione rilevante di spettro. Per eseguire la calibrazione in energia, ho utilizzato il metodo descritto in [34]: il canale n Compton a cui corrisponde effettivamente la spalla Compton, ovvero quello in cui viene misurata la massima energia depositata entro lo scintillatore, non è quello a cui lo spettro presenta un massimo (n max in figura 4.14), ma si ricava dalla relazione empirica: n Compton = n max σ (4.6) Nella 4.6 n max e σ sono rispettivamente il valore medio e la deviazione standard della funzione gaussiana con cui eseguire un best-fit alla distribuzione di energia depositata misurata, considerando unicamente i canali oltre il picco; noto n Compton si associa ad esso la deposizione di energia corrispondente all end-point dello spettro Compton (0.477 MeV per Cs e 1.04 MeV per Co). Tramite questa procedura ottengo, per ciascun rivelatore, due punti di calibrazione coi quali ricavare i parametri a e b della 4.5: per fare ciò non ho eseguito un best-fit a tali punti tramite una funzione lineare, in quanto per essi passa una ed una sola retta, individuabile in modo analitico.

116 110 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Per ricavare l errore sui parametri di calibrazione ho utilizzato il metodo della leva descritto nella sezione precedente: per i due punti di calibrazione, ho assunto nullo l errore sulla energia depositata corrispondente alla spalla Compton, ricavata dalla equazione 2.10, e ho ricavato l errore sul canale corrispondente n Compton da quello sui parametri della gaussiana con cui ho fatto il best-fit ai vari spettri, propagando l equazione La tabella 4.8 riporta i parametri di calibrazione ottenuti per i diversi rivelatori. Rivelatore Parametro a Parametro b Plastico 1 (27.3 ± 1.8) kev/canale (-0.03 ± 0.04) MeV Plastico 2 (24.0 ± 1.2) kev/canale (-0.02 ± 0.03) MeV Liquido 1 (20.1 ± 1.5) kev/canale (-0.01 ± 0.01) MeV Liquido 2 (17.4 ± 1.5) kev/canale (-0.02 ± 0.02) MeV Tabella 4.8: Parametri di calibrazione in energia per i diversi rivelatori per la configurazione di misura finale. Come evidenziato precedentemente, ho eseguito la calibrazione in energia senza gli attenuatori di segnale (fattore di attenuazione 1 3 ) anteposti al modulo FERA: durante la misura essi sono presenti, e questo comporta che il parametro di calibrazione a ricavato tramite le sorgenti debba essere moltiplicato per 3, come riportato nella tabella riassuntiva 4.8. Osservo che il parametro b di calibrazione è compatibile con 0 entro l errore per tutti i rivelatori, mentre il valori del parametro a (legato al guadagno dei fotomoltiplicatori presenti sui diversi rivelatori) differiscono sensibilmente fra loro. Ciò è dovuto al fatto che, durante la scelta del punto di lavoro, ho utilizzato come riferimento per la posizione della Spalla Compton il punto ove lo spettro di energia depositata presenta il massimo, al fine di velocizzare tale procedura, mentre in fase di analisi dei dati ho utilizzato un algoritmo più raffinato: ho scelto di utilizzare la procedura descritta sopra in quanto essa è semplice e veloce, anche se fornisce valori dei parametri di calibrazione con un errore non trascurabile. Questo, a mio avviso, è accettabile, in quanto lo scopo primario dell esperimento è quello di 9 misurare i tempi di volo dei neutroni emessi da Be per ricavarne l energica cinetica, mentre la misura della energia depositata entro i rivelatori fornisce un informazione ulteriore per migliorare con opportune correzioni il risultato finale. 13 A causa del fatto che, nell equazione 4.6, n max e σ sono ricavati dal medesimo best-fit con funzione gaussiana, dunque non sono completamente indipendenti, ho scelto di propagare l errore su n Compton linearmente e non in quadratura: δn Compton = δn max δσ.

117 4.4. CALIBRAZIONE DEL SISTEMA 111 Valore della soglia impostata sul discriminatore Il discriminatore utilizzato nella misura (descritto nella sezione 4.1.2) possiede, per ciascun canale in ingresso, una soglia in tensione: solo i segnali provenienti dai rivelatori la cui ampiezza è maggiore di tale valore vengono effettivamente processati dallo stesso. Ciò si traduce nel fatto che solo gli eventi in cui viene depositata nei rivelatori una energia superiore ad un valore minimo di soglia, E thr, siano acquisiti dal sistema: a priori il valore di E thr corrispondente a ciascun rivelatore non è noto, in quanto esso dipende dal valore di soglia in tensione impostato, ma anche dalle caratteristiche dei fototubi sui rivelatori (guadagno e forma tipica del segnale), per cui è necessario misurare tale grandezza per poter simulare l efficienza di rivelazione dei neutroni (sez e 3.5.3). Per misurare E thr ho sfruttato il fatto che, misurando uno spettro di energia depositata, il numero di conteggi ad energia inferiore ad E thr sarebbe idealmente nullo, mentre, in realtà, a causa della risoluzione energetica finita del rivelatore, nell intorno di E thr tale spettro ha un andamento continuo crescente, tra 0 ed un valore massimo, oltre il quale mantiene la sua forma caratteristica: la figura 4.15 mostra questo effetto per uno spettro di energia depositata entro uno scintillatore plastico da una sorgente di 137 Cs. Ho assunto come valore della energia di soglia E thr, misurata in canali, quello corrispondente al punto in cui la curva di salita assume un valore pari alla metà della sua altezza massima e ho successivamente convertito questo valore in energia, tramite la relazione di calibrazione ricavata precedentemente. Per ciascun rivelatore ho ripetuto questa procedura per le sorgenti utilizzate in fase di calibrazione, ricavando due valori per E thr con indeterminazione δ, ottenuto propagando gli errori sui parametri di calibrazione e sulla posizione del canale a cui corrisponde la soglia, assumendo per esso, conservativamente, un errore di 5 canali; successivamente ho combinato 14 le due misure così eseguite per ricavare il valore definitivo 15 di soglia di ciascun rivelatore, riportato in tabella 4.9. Come si vede, per gli scintillatori plastici si è usato un valore di soglia più elevato rispetto ai liquidi, in quanto, impostando tutte le soglie a 5 14 Per combinare le due misure ho utilizzato la seguente procedura, derivata dall algoritmo dei minimi quadrati: indicati i due dati con x 1 ± δ 1 e x 2 ± δ 2, si ha che la miglior stima della grandezza cercata è x 1 δ x 2 δ 2 2 δ δ2 2 ± δ1 δ2 δ δ 2 2 (4.7) 15 La presenza degli attenuatori di segnale nella misura definitiva non influisce sul valore di soglia trovato, in quanto essi sono posti dopo il discriminatore, prima del modulo FERA che integra i segnali; per questo, ho potuto misurare E thr durante la calibrazione in energia, con l accortezza di usare, come parametri di calibrazione, quelli ricavati direttamente dalla misura con le sorgenti, non corretti del fattore 3 che tiene conto degli attenuatori.

118 112 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA mv, il tempo morto dell acquisizione sarebbe stato troppo elevato: dovendo scegliere, si è preferito impostare la soglia minima sui rivelatori con scintillatore liquido. Rivelatore Soglia in Tensione (mv) Soglia in Energia (kev) Plastico ± 44 Plastico ± 35 Liquido ± 25 Liquido ± 21 Tabella 4.9: Valori di soglia impostati nella misura. Figura 4.15: Porzione di bassa energia dello spettro di deposizione di una sorgente di 137Cs entro uno dei rivelatori a scintillatore plastico. È mostrato il valore massimo dello spettro, presente oltre la curva di salita caratteristica della soglia, ed il valore in canali corrispondenti alla metà altezza. 4.5 Risoluzione nella misura dell energia dei neutroni Nel presente paragrafo discuto la risoluzione σ E con cui, in questo esperimento, viene misurata l energia dei neutroni tramite la tecnica del tempo di volo utilizzando l apparato sperimentale: essa è data dalla somma di diversi contributi, che presento separatamente, di cui alcuni possono essere misurati sperimentalmente, mentre altri devono essere stimati tramite calcoli analitici o simulazioni MonteCarlo.

119 4.5. RISOLUZIONE NELLA MISURA DELL ENERGIA DEI NEUTRONI 113 In particolare, richiamando le formule 2.1 e 2.2, l energia cinetica dei neutroni T n si calcola come: T n = 1 2 M d 2 n t 2 (4.8) Nella formula sopra, t è il tempo di volo misurato e d la distanza percorsa dal neutrone, per cui si ricava che le incertezze intrinseche con cui sono note queste grandezze portano ad un contributo sulla risoluzione nella misura dell energia dato dalle seguenti relazioni: σ T = 2 T n σt t = 2 T n d Mn 2T n σ t (4.9) σ T = 2 T n σd d (4.10) σ t e σ d sono, rispettivamente, le incertezze con cui t e d sono noti; per ottenere la risoluzione complessiva sulla misura della energia è necessario sommare quadraticamente i due contributi che da derivano da esse Incertezza sul tempo di volo σ t L incertezza complessiva sulla misura del tempo di volo dei neutroni è data dalla somma di diversi contributi indipendenti: σ 2 t = σ 2 Bunch + σ 2 El + σ 2 Luce + σ 2 Rall (4.11) ˆ σ Bunch è il contributo all incertezza di misura sul tempo di volo dovuto alla larghezza temporale dei bunch, il cui effetto è descritto nel paragrafo 2.2: esso coincide con la deviazione standard della distribuzione temporale dei pacchetti di protoni che incidono sul bersaglio, che, secondo gli operatori del ciclotrone, risultava pari a δ = 0.4 ns. ˆ σ El è il contributo introdotto dalla incertezza con cui il sistema di acquisizione misura i tempi di volo delle particelle. Posso stimare σ El osservando che, durante la calibrazione temporale del sistema (paragrafo 4.4.1), ho misurato intervalli di tempi T fissi, ottenendo come risposta del sistema distribuzioni in canali con un picco centrato su un solo valore. Ho scelto dunque di utilizzare come valore di σ El la semi-larghezza di un canale, divisa 16 per 3: σ El = a 1 canale ps (4.12) 16 Ho diviso per 3 la semi-larghezza del canale per poter sommare quadraticamente σ El con gli altri contributi di incertezza sul tempo di volo: in tal modo modo infatti si ricava la deviazione standard della distribuzione corrispondente, assunta uniforme per semplicità.

120 114 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Nell equazione precedente, a è il parametro di calibrazione temporale di ciascun rivelatore (tabella 4.7). ˆ σ Luce è il contributo all incertezza dovuto alle fluttuazioni intrinseche del segnale in uscita dal rivelatore, che dipende dalla statistica dei fotoelettroni prodotti al fotocatodo in seguito al passaggio di una particella all interno del rivelatore: esso può essere parametrizzato come segue (si veda, ad esempio, [35]): σ Luce = α Edep (4.13) Nell equazione precedente, α è una costante caratteristica dello scintillatore e del PMT, da determinare attraverso i dati sperimentali, mentre E dep è l energia efficace depositata dalla radiazione incidente nel rivelatore. ˆ σ Rall è il contributo dovuto al fatto che, per un protone incidente sul Berillio, non è noto l istante in cui esso effettivamente interagisce con un nucleo producendo un neutrone successivamente rivelato; è difficile calcolare analiticamente questo termine partendo dal rallentamento dei protoni entro il bersaglio, perciò ho scelto di ricavarlo dalla simulazione MonteCarlo dell interazione del fascio con il bersaglio. Ho simulato N p = 10 6 protoni incidenti, registrando per ciascuna interazione con i nuclei di Berillio l istante di produzione di un neutrone: la distribuzione di tempi che ho ricavato ha deviazione standard σ = 65 ps, per cui utilizzo per σ Rall questo valore. In conclusione, mi aspetto che la somma dei contributi indipendenti dall energia depositata, dominata dall effetto dovuto ai bunch del fascio, sia pari a: σbunch 2 + σ2 El + σ2 Rall 0.4 ns (4.14) Misura di σ Luce dai dati sperimentali Al fine di determinare, per ciascun rivelatore, il valore della costante α che compare nell espressione di σ Luce (eq. 4.13), ovvero caratterizzare la risoluzione intrinseca per misure di tempo degli stessi, ho implementato l analisi descritta di seguito. Il tempo nominale di volo dei fotoni è pari a t γ = d c, indipendente dalla loro energia, e la ampiezza delle fluttuazioni su di esso si può esprimere come la somma quadratica di due contributi: il primo è costante, ed è dovuto ad effetti quali la larghezza dei bunch del fascio, mentre il secondo, σ Luce, dipende dall energia efficace depositata dai γ all interno del rivelatore. Ho selezionato quindi dai dati sperimentali gli eventi in cui i fotoni depositano all interno del rivelatore un energia compresa entro l intervallo [E dep E, E dep + E], osservando

121 4.5. RISOLUZIONE NELLA MISURA DELL ENERGIA DEI NEUTRONI 115 la corrispondente distribuzione di tempi di volo, e ricavandone la deviazione standard σ(e dep ), con il suo errore δσ, tramite un best-fit con funzione gaussiana. Ho ripetuto la procedura variando E dep e successivamente ho utilizzato i risultati ottenuti per ricavare, α per ciascun rivelatore, mediante un best-fit con la funzione: σ(e dep ) = p p2 1 E dep (4.15) con p 0 e p 1 parametri, da cui ricavo p 1 = α, mentre p 0 rappresenta il contributo alla risoluzione temporale dovuta ai termini costanti. Figura 4.16: Spettro di tempi di volo misurato con lamina spessa in Piombo anteposta al bersaglio in Berillio Ho eseguito quest analisi sui dati raccolti durante una misura preliminare eseguita utilizzando la stessa configurazione e gli stessi rivelatori di quella per lo Yield di neutroni da Berillio, in cui è stata anteposta al bersaglio in Berillio un bersaglio spesso in Piombo. Sperimentalmente, ho osservato che il numero di fotoni emessi per protone incidente sul Piombo è maggiore rispetto al caso del Berillio, ed inoltre, nello spettro di tempi di volo, la posizione del picco dovuto ai γ è ben isolata dalla regione caratteristica dei neutroni: la figura 4.16 mostra lo spettro dei tempi di volo misurati con il rivelatore a scintillatore plastico posto a 30. In figura 4.17 sono riportati, per i quattro rivelatori, i risultati ottenuti: gli errori quotati per i punti sperimentali sono E/ 3 per l energia depositata e δσ per la risoluzione temporale; i valori ottenuti per il parametro α sono in tabella 4.10, e da essi si ottiene il valore della risoluzione temporale intrinseca dei rivelatori, al variare dell energia depositata in essi. È altresì interessante notare che, per tutti e quattro i rivelatori, il valore

122 116 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA del parametro p 0, che rappresenta il contributo alla risoluzione temporale indipendente dall energia depositata, è compatibile con il valore ricavato sopra. Rivelatore Valore del parametro α Plastico 1 (0.41 ± 0.03) ns MeV 1 2 Plastico 2 (0.49 ± 0.03) ns MeV 1 2 Liquido1 (0.25 ± 0.04) ns MeV 1 2 Liquido 2 (0.33 ± 0.04) ns MeV 1 2 Tabella 4.10: Valore del parametro α ricavato, per ciascun rivelatore, dai dati sperimentali. Nell equazione 4.13, E dep è l energia efficace depositata da una particella incidente nel rivelatore: per ottenere una espressione che leghi σ Luce all energia cinetica T n del neutrone incidente è necessario convolvere tale espressione con lo spettro di energia depositata da esso entro lo scintillatore. Richiamando i risultati ottenuti nelle sezioni e 3.5.2, si può approssimare tale distribuzione come uniforme entro l intervallo [0, E max ], ove E max è funzione di T n : il risultato della convoluzione è che il contributo alla risoluzione temporale dovuta alla statistica dei fotoelettroni per un neutrone di energia T n è pari a 2 σ Luce (E max ), con σ Luce calcolato tramite la equazione Il calcolo si esegue come segue: la distribuzione di probabilità differenziale di deposizione di energia per un neutrone entro un rivelatore (normalizzata ad 1) è data da: La risoluzione temporale media è perciò: σ = + 0 σ Luce (E) dp de de = 1 Emax E max 0 dp de = 1 con 0 < E < E max (4.16) E max α E de = 2 α Emax = 2 σ Luce (E max ) (4.17)

123 4.5. RISOLUZIONE NELLA MISURA DELL ENERGIA DEI NEUTRONI 117 Figura 4.17: I best-fit eseguiti ai dati sperimentali per ricavare i parametri caratteristici del termine di risoluzione temporale σ Luce.

124 118 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Incertezza sulla distanza percorsa σ d L incertezza complessiva sulla distanza percorsa in volo dai neutroni è data dalla somma di due contributi indipendenti: σ 2 d = σ 2 Riv + σ 2 Be (4.18) ˆ σ Riv è il contributo all incertezza sulla distanza percorsa dai neutroni dovuto alle dimensioni finite del rivelatore: questo termine si può facilmente stimare se si fanno le ipotesi che, per tali particelle, la probabilità di interazione entro lo scintillatore sia uniforme e che le dimensioni trasverse dello stesso siano trascurabili. La prima è supportata dal fatto che, per l intervallo di energie caratteristiche della presente misura, il libero cammino medio λ dei neutroni nello scintillatore è maggiore delle dimensioni dei rivelatori, mentre la seconda si basa sul fatto che la distanza tra questi ed il bersaglio è molto maggiore delle loro dimensioni trasverse. Indicato con s lo spessore del rivelatore, si ottiene σ Riv = 2 3 s, pari alla deviazione standard di una distribuzione di probabilità uniforme entro l intervallo [ s 2, s 2 ]. Nel caso dei rivelatori con scintillatore liquido, a causa del loro orientamento (si veda la sezione 2.3.4), lo spessore attraversato dai neutroni non è fisso, ma può variare da 0, per un neutrone che sfiori il rivelatore, fino a s max = 2r, con r raggio della cella cilindrica entro cui è contenuto lo scintillatore; per calcolare σ Riv è necessario trovare uno spessore efficace del rivelatore: sempre sfruttando il fatto che la distanza dal Berillio è molto piu grande delle sue dimensioni, si possono schematizzare i neutroni incidenti come un fascio parallelo uniforme, come riportato in figura questa ipotesi, si ottiene 17 che lo spessore efficace è s = r π 2. Fatta ˆ σ Be è il contributo all indeterminazione sulla distanza percorsa dai neutroni dovuto al fatto che non si conosce il punto ove queste particelle sono prodotte nel bersaglio in Berillio; tale termine è legato a σ Rall, ovvero all indeterminazione sul tempo di volo causata dal rallentamento dei protoni, in quanto ad un dato istante di produzione di un neutrone corrisponde una definita posizione di vertice: bisognerebbe dunque ricavare σ Be, in modo analitico, da σ Rall. Questo è reso complicato dal fatto che un neutrone, prima di fuoriuscire dal bersaglio, può interagire con i nuclei di Berillio, 17 Ho ricavato s come segue: i neutroni incidono sul rivelatore cilindrico con una distribuzione di probabilità uniforme rispetto alla coordinata z, e lo spessore attraversato in funzione di quest ultima è s(z) = 2 r 2 z 2, per r z r. Lo spessore efficace si ricava tramite una media: r s = s(z) dp dz dz = 1 r r r 2 z 2 dz = r π 2 r r (4.19)

125 4.5. RISOLUZIONE NELLA MISURA DELL ENERGIA DEI NEUTRONI 119 Figura 4.18: I neutroni incidenti sul rivelatore a scintillatore liquido, schematizzati come un fascio uniforme di particelle con impulsi paralleli; l asse z è ortogonale al pavimento della sala sperimentale. ed il punto che teoricamente bisognerebbe assumere come vertice di produzione è quello in cui è avvenuta la sua ultima interazione: ciò altera la correlazione fra σ Rall e σ Be. Per ottenere quest ultimo, ho dunque fatto una ipotesi semplificatrice, ovvero che i due termini indicati siano completamente scorrelati ed indipendenti, ed ho ricavato il contributo alla indeterminazione sulla distanza percorsa dai neutroni tramite la simulazione MonteCarlo del bersaglio, simulando N p = 10 6 protoni incidenti e e registrando, per ciascuno neutrone che fuoriesca dal Berillio, la distanza del vertice di produzione dal centro del bersaglio; ho assunto σ Be pari alla deviazione standard della distribuzione così ottenuta, 0.45 cm Risultato conclusivo: σ E (T n ) Il grafico 4.19 riporta l andamento della risoluzione nella misura dell energia dei neutroni utilizzando la tecnica del tempo di volo, per i quattro rivelatori utilizzati: non sono presenti significative differenze fra di essi.

126 120 CAPITOLO 4. MISURE PRELIMINARI E CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA Figura 4.19: Risoluzione nella misura dell energia cinetica dei neutroni con la tecnica del tempo di volo, implementata attraverso i quattro rivelatori.

127 Capitolo 5 Analisi dei dati In questo capitolo vengono presentati i dati raccolti durante il test di fattibilità della misura dello yield di neutroni da bersaglio in Berillio, eseguito presso i Laboratori Nazionali del Sud. Mediante l analisi da me effettuata, ho ricavato lo yield differenziale in energia a due angoli nel laboratorio (30 e 60 ). Inoltre, ho evidenziato i punti critici della misura, su cui porre attenzione in vista del suo futuro sviluppo: per questo motivo ho studiato dettagliatamente gli errori presenti, statistici ed, in particolare, sistematici, cercando di individuarne le cause e di stimare il loro effetto sulla misura. In conclusione del capitolo ho riportato le possibili modifiche da introdurre nella misura futura per correggere gli errori sistematici attualmetente presenti ed aumentare così l accuratezza dei dati sperimentali. 5.1 Dati sperimentali acquisiti In questo paragrafo sono mostrati i dati sperimentali ottenuti nella misura, prima di eseguire l analisi degli stessi per ottenere il risultato cercato: dopo la descrizione della procedura utilizzata per allineare gli spettri temporali, e completare così la calibrazione del sistema, vengono mostrate le distribuzioni delle quantità fisiche misurate, tempo di volo ed energia depositata, ed infine presentati alcuni confronti tra i dati ed i risultati delle simulazioni MonteCarlo. La tabella 5.1 riassume le caratteristiche della misura eseguita: il valore della carica accumulata è quello misurato tramite l integrazione della corrente proveniente dal bersaglio, utilizzato come tazza di Faraday, mentre i rate di acquisizione sono quelli misurati tramite lo scaler integrato nel sistema. Prima di iniziare l acquisizione dei dati, ho verificato gli effetti della tensione applicata all anello di guardia, misurando la carica depositata nel bersaglio per diverse tensioni applicate, senza però osservare alcuna correlazione tra 121

128 122 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI queste due grandezze: ciò è compatibile con la simulazione MonteCarlo realizzata. Per semplicità nella misura non è stata applicata alcuna tensione all anello di guardia. Tempo complessivo di misura Carica accumulata Corrente media incidente sul bersaglio Rate medio di acquisizione T =3031 s Q = pc I=70.2 pa R P l1 = khz R P l2 = khz R Liq1 = khz R Liq2 = khz Tabella 5.1: Caratteristiche generali della misura eseguita Allineamento degli spettri temporali mediante i fotoni Come evidenziato precedentemente (sez ), la relazione di calibrazione che lega i tempi misurati dal sistema di acquisizione, in canali FERA, a quelli fisici, espressi in ns, è la seguente: T = a ch + b (5.1) In essa, il parametro a è caratteristico del sistema elettronico, mentre b deve essere determinato imponendo l eguaglianza tra il tempo di volo teorico di una particella nota e quello corrispondentemente misurato: per fare questo, ho scelto di utilizzare come riferimento il tempo di volo dei fotoni prompt, ovvero quelli prodotti per interazione dei protoni sul bersaglio, il cui tempo di volo teorico è t teo γ = d c = 5 ns per d = 1.5 m. La procedura che ho utilizzato è la seguente, ripetuta più volte raggruppando fra loro diversi run, per compensare eventuali scostamenti temporali verificatisi durante il periodo di misura: ˆ Ho utilizzato la relazione di calibrazione temporale 5.1, con b = 0, per ottenere uno spettro temporale misurato in unità di tempo fisiche (ns), correttamente allineato: il segno - corregge gli effetti dovuti alla modalità di common stop. ˆ Individuato il picco dei fotoni ho eseguito su di esso un opportuno best-fit per ricavare il corrispondente tempo, t mis γ : noto quest ultimo, ho infine ottenuto b imponendo la seguente condizione: t teo γ = b + t mis γ b = t teo γ t mis γ (5.2)

129 5.1. DATI SPERIMENTALI ACQUISITI 123 Durante l allineamento, ho osservato che la forma della regione temporale dello spettro caratteristica dei γ non è semplicemente gaussiana come si potrebbe ipotizzare, ma presenta una struttura in cui compare un picco stretto, a tempi più brevi, ed una distribuzione più larga, per tempi più lunghi. L analisi di forma d impulso mostra chiaramente che gli eventi della seconda distribuzione a tempi più lunghi corrispondono a fotoni, la cui origine deve essere spiegata. Ho verificato in seguito che la distribuzione ritardata più larga è dovuta a fotoni prodotti da interazioni anelastiche dei neutroni sui componenti in acciaio della linea del fascio: il tempo di volo corrispondente a questi fotoni delayed non è univoco, sia a causa del fatto che la loro produzione può avvenire in punti diversi della linea, a differenti distanze dal rivelatore, sia in quanto i neutroni che li producono impiegano tempi diversi per giungere dal bersaglio alla linea stessa; a causa di questi due effetti, i fotoni delayed giungono sul rivelatore con un tempo di volo maggiore di quelli prompt, e danno luogo ad una distribuzione più larga rispetto a quella di quest ultimi. Basandomi su questo fatto (per la cui discussione si veda il paragrafo 5.1.5) ho eseguito un best-fit alla distribuzione di tempi di volo dei fotoni con una funzione data dalla somma di due gaussiane, e ho considerato come tempo di volo dei fotoni prompt, da cui ricavare il parametro di calibrazione temporale b, il valor medio di quella che descrive il picco più stretto. In figura 5.1 sono riportate, per uno dei gruppi di run analizzati, le distribuzioni di tempo per i quattro rivelatori nella regione caratteristica dei γ, con i best-fit realizzati per trovare la posizione del picco prompt ; il valore ottenuto per il parametro di calibrazione b è in tabella 5.2, comune per tutti i run analizzati (non ho osservato scostamenti tra essi). Rivelatore Plastico 1 Plastico 2 Liquido 1 Liquido 2 Parametro ± ns ± ns ± ns ± ns Tabella 5.2: Valore del parametro di calibrazione temporale b, per ciascun rivelatore; ho assunto come errore su di esso quello ottenuto mediante il best-fit con funzione gaussiana.

130 124 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI Figura 5.1: Spettro temporale misurato, regione dei fotoni: sono presenti i due picchi, a cui ho eseguito un best-fit con la somma di due gaussiane, per ricavare il parametro di calibrazione temporale b di ciascun rivelatore. I tempi di volo sono espressi in ns, a meno del fattore additivo costante da determinarsi, e la larghezza dei bin è scelta in modo che ciascuno di essi corrisponde ad un canale FERA.

131 5.1. DATI SPERIMENTALI ACQUISITI Risultato dopo le calibrazioni in tempo ed energia Le figure 5.2 e 5.3 mostrano rispettivamente gli spettri di tempi di volo misurati con i diversi rivelatori, dopo l allineamento temporale degli stessi tramite il picco dei fotoni prompt, e la correlazione tra il tempo di volo misurato e l energia depositata in ciascun evento. Figura 5.2: Spettri temporali acquisiti con i diversi rivelatori.

132 126 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI Figura 5.3: Correlazione tra il tempo di volo misurato e l energia depositata efficace per i quattro rivelatori, dopo aver selezionato solo gli eventi per i quali 0 < t < 120 ns.

133 5.1. DATI SPERIMENTALI ACQUISITI 127 Osservando gli spettri temporali, si nota che la forma degli stessi, nonchè il valore il valore dei conteggi, è simile nella regione dei fotoni e dei neutroni veloci per le coppie di rivelatori adiacenti (Plastico 1 - Liquido 1 a 30 e Plastico 2 - Liquido 2 a 60 ). Le differenze di forma dello spettro e di conteggi sono dovute alla diversa accetanza geometrica e alla diversa efficienza per fotoni e neutroni lenti, quest ultima in particolare dovuta alle diverse soglie in energia: è necessario ovviamente corregere i dati per questi effetti, al fine di ottenere lo yield assoluto. Inoltre, si vede che gli spettri temporali non giungono fino a 120 ns, ma si estendono solo da 0 fino a circa 116 ns, fatto imputabile alla sensibilità con cui ho impostato la scala di misura. A posteriori non si può compensare questo effetto: la minima energia cinetica dei neutroni misurabile è perciò Tn min 870 kev (nel caso in cui i tempi di volo si estendessero fino a 120 ns, la minima energia misurabile sarebbe circa pari a 815 kev). In figura 5.3 è ben visibile il luogo di punti caratteristico dei neutroni: la sua forma a vela è del tutto analoga a quella riportata in figura 3.18, ricavata dalla simulazione MonteCarlo nella quale ho studiato complessivamente la misura (si veda il paragrafo 3.7); accanto ad esso, per tempi di volo più lunghi, è presente un secondo luogo di punti, più rado, analogo al precedente: prima di presentare le ipotesi che ho fatto per spiegare la sua presenza e le correzioni che ho adottato, utilizzo questi dati sperimentali per fare un confronto con i risultati ottenuti dalle simulazioni, in particolare per verificare l implementazione del fenomeno di quenching. In figura 5.4 è mostrato invece il risultato della pulse-shape discrimination ottenuto con i dati acquisiti durante uno dei run misura 1, e si osservano distintamente tre bande, ovvero ve ne è una in più rispetto ai dati acquisiti con la sorgente di AmBe: confrontando i due risultati si osserva che a tale terza banda appartengono eventi in cui, a parità di energia depositata totale, la componente lenta è ancora più intensa rispetto alla normale banda dei neutroni, corrispondente all interazione elastica con un nucleo nello scintillatore. Ricordando che la componente lenta del segnale è tanto più intensa quanto più è grande la densità di energia depositata dalle particelle cariche entro lo scintillatore, si può ipotizzare che tali punti sul grafico corrispondano ad eventi nei quali un neutrone interagisca con un nucleo di Carbonio, producendo una particella α: quest ultima, possedendo una carica elettrica doppia rispetto a quella del protone, e massa circa quadrupla, ionizza le molecole dello scintillatore con alta deposizione di energia per unità di lunghezza 2, producendo così 1 Durante la misura sono stati realizzati diversi run di acquisizione, ovvero intervalli temporali durante i quali sono stati registrati e processati i dati provenienti dai rivelatori. 2 La perdita di energia per unità di lunghezza di una particella carica scala come la carica della stessa al quadrato, e, a parità di energia cinetica, come la massa.

134 128 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI Figura 5.4: Esempio di pulse-shape discrimination durante uno dei run di misura; le scale sono in canali FERA. Questo run è quello utilizzato come esempio per la sezione successiva. segnali in cui la componente lenta è più intensa. Seguendo questa ipotesi, ho identificato questi come eventi nei quali si ha un neutrone incidente sul rivelatore Quenching: confronto qualitativo tra i dati e le simulazioni MonteCarlo Sfruttando i dati riportati in figura 5.3 è possibile eseguire un confronto qualitativo con i risultati ottenuti dalle simulazioni MonteCarlo dei rivelatori, in particolare si può verificare che l algoritmo utilizzato per simulare il processo di quenching riproduca i risultati sperimentali: ho confrontato l energia massima misurata, per ciascun tempo di volo, con il valore ottenuto applicando le equazioni 3.2 e 3.1, secondo cui la massima energia depositata entro i rivelatori da un neutrone con energia cinetica T n è data dalla relazione: E max = E 0 T n α, con E 0 in MeV. (5.3) Usando i valori dei parametri E 0 ed α ricavati ( MeV e per i rivelatori a scintillatore plastico e MeV e per quelli con scintillatore liquido), e calcolando T n dal tempo di volo, ho sovrapposto la curva corrispondente all equazione 5.3 ai grafici

135 5.1. DATI SPERIMENTALI ACQUISITI 129 che riportano la correlazione tra tempo di volo ed energia depositata: il risultato è in figura 5.5. Figura 5.5: Confronto tra i dati sperimentali e la relazione ottenuta dalla simulazione MonteCarlo per la massima energia efficace depositata dai neutroni. Osservo un notevole accordo tra il confine della vela dei neutroni ottenuto dai dati sperimentali e quello ricavato dalle simulazioni, considerato il fatto che le relazioni 3.1 e 3.2 non tengono conto della risoluzione dei rivelatori nella misura di energia e che i dati sperimentali contengono anche eventi di fondo, non ancora sottratto: posso concludere che l algoritmo di quenching utilizzato riproduce i dati sperimentali, e che le misure di calibrazione in energia sono affidabili Luogo dei neutroni spuri Ho formulato le ipotesi circa l origine della seconda vela di neutroni sulla base del fatto che essa è ad una distanza temporale dalla prima pari a circa 24 ns: il periodo caratteristico del ciclotrone installato presso i LNS, ovvero la distanza tra i bunch del fascio, è appunto 24 ns, e il segnale RF originale è sincrono con esso; sulla linea del fascio è installato un chopper, ovvero un apparecchio in grado di selezionare solo un pacchetto di protoni ogni cinque, che permette di ottenere un fascio con periodo T B = 120 ns, rispetto a cui il segnale RF originario è sincronizzato attraverso un opportuno modulo elettronico che lo de-moltiplica (questo modulo si aggancia ad uno dei fronti di salita del segnale RF originario e lo riproduce con il nuovo periodo).

136 130 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI In questa procedura, possono verificarsi alcuni errori che alterano la sincronia tra i pacchetti del fascio incidenti sul bersaglio ed il segnale RF : ˆ Il chopper potrebbe selezionare, oltre al pacchetto di interesse, anche una parte di quello precedente o successivo, per cui il fascio che incide sul bersaglio presenterebbe delle code temporali. ˆ Il modulo che esegue la de-moltiplicazione del segnale RF potrebbe presentare delle fluttuazioni, agganciandosi temporaneamente al fronte di salita precedente o successivo rispetto a quello corretto. La presenza di uno di questi problemi strumentali fa sì che alla distribuzione di tempi di volo misurata sia sommata una sua copia, meno fitta, che differisce dalla prima a meno di un offset discreto, pari a T B /5 = 24 ns: tale effetto si osserva nei dati sperimentali, dalla correlazione tra tempo di volo ed energia depositata nei rivelatori, ed il suo contributo si può stimare dal rapporto fra gli eventi presenti nelle due diverse vele di neutroni, ottenendo un valore compreso tra 1.6% ed 1.9%, a seconda del rivelatore; il picco dei fotoni traslato non è visibile in figura 5.3, in quanto è sovrapposto al luogo dei neutroni correttamente misurato. Per correggere i dati sperimentali, osservato che il peso di questo effetto è piccolo, ho utilizzato solamente i tagli applicati per selezionare gli eventi, descritti in seguito, senza introdurre nuovi algoritmi, ed ho tenuto conto di esso nella stima dell errore sistematico. Considerando che il problema descritto è apparso probabilmente in seguito ad alcune interruzioni di potenza elettrica, mentre era assente in alcune prove preliminari in cui è stato messo a punto il sistema d acquisizione, nella misura definitiva esso non dovrebbe essere presente Origine dei fotoni delayed La presenza dei fotoni delayed nello spettro di tempo di volo si può spiegare ipotizzando che essi siano prodotti dall interazione anelastica dei neutroni con materiali vicini al bersaglio di Berillio. Poichè l insieme di materiali più vicino ad esso era costituito dagli elementi in acciaio della linea di fascio, ho implementato una semplice simulazione MonteCarlo, utilizzando il codice MCNPX[36], in cui ho considerato il bersaglio in Berillio circondato da un cilindro cavo di Ferro, lungo 1 m e di raggi 8 cm ed 8.3 cm, registrando i tempi di volo di neutroni e fotoni che incidano su un rivelatore cubico, di lato l=5.2 cm, posto a distanza d = 1.5 m, ad angolo 90 rispetto al fascio di protoni incidenti. Ho

137 5.2. TAGLI APPLICATI AI DATI SPERIMENTALI 131 scelto di utilizzare questo codice in quanto esso è specificatamente sviluppato per simulare il trasporto e le interazioni con la materia di neutroni di bassa energia 3. Il risultato ottenuto, simulando N p = 10 9 protoni incidenti, è in figura 5.6, ove vengono riportati i tempi di volo di fotoni e neutroni con e senza la linea del fascio, in condizioni ideali, ovvero senza considerare la risoluzione temporale del rivelatore: è evidente che, introdotta la linea del fascio, compare una distribuzione secondaria non trascurabile accanto al picco dei fotoni prompt. Concludo perciò che l osservazione di fotoni delayed nei dati sperimentali è spiegabile con il meccanismo descritto. Figura 5.6: Risultato della simulazione MonteCarlo realizzata con MCNPX per verificare l ipotesi fatta circa l origine dei fotoni delayed ; a sinistra, i tempi di volo delle particelle senza la linea del fascio, e, a destra, i tempi di volo delle particelle con la linea del fascio. I conteggi sono riportati nelle unità di misura caratteristiche del programma. 5.2 Tagli applicati ai dati sperimentali Dopo aver allineato gli spettri temporali ed aver così ottenuto, per ciascun evento, il tempo di volo assoluto della particella incidente sul rivelatore e l energia depositata in 3 Ho ripetuto questa simulazione anche utilizzando il codice Geant4, ed ho ottenuto risultati in accordo con MCNPX, in particolare ho osservato la produzione di fotoni delayed a causa dell interazione dei neutroni con la linea del fascio; Geant4 non riproduce il corretto rapporto tra i picchi dei fotoni prompt e delayed, producendo troppi eventi del primo tipo rispetto al secondo. Ho ipotizzato che ciò sia dovuto ad una differente parametrizzazione dell interazione inelastica dei neutroni con il Ferro tra i due programmi.

138 132 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI esso, ho eseguito alcuni tagli sui dati acquisiti, in modo da selezionare solo quelli che effettivamente corrispondono agli eventi in cui un neutrone incide su uno dei rivelatori: di seguito riporto la descrizione dei vari tagli utilizzati, motivando la loro scelta Tagli sul tempo di volo delle particelle Ho imposto due tagli considerando il tempo di volo delle particelle: anzitutto, ho selezionato gli eventi per cui esso è compreso tra 0 e 120 ns, successivamente ho anche richiesto che esso sia superiore a t min = 12 ns. La prima richiesta non elimina nessuno degli eventi misurati dal rivelatore, ma serve per cancellare alcuni effetti introdotti dal sistema di acquisizione dati: come evidenziato nel paragrafo 4.1, allorché si ha un segnale in ingresso su uno qualsiasi dei canali che superi la soglia del discriminatore viene generato un gate comune, distribuito ai due moduli FERA; in particolare, quello che misura i tempi, integrando i segnali analogici in uscita dal TFC, fornisce un valore uguale al piedistallo per i canali diversi da quello del rivelatore che effettivamente ha registrato l evento: a causa della modalità di lavoro utilizzata e della conseguente relazione di calibrazione temporale, ciò introduce degli eventi spuri, con tempo di volo superiore a 120 ns. Il taglio applicato elimina questi eventi, mantenendo solo quelli di origine fisica. Ho invece applicato il secondo taglio considerando che il tempo di volo fisico dei neutroni è necessariamente superiore ad un valore minimo, pari a quello dei neutroni più veloci: questi hanno energia pari, al più, a E p = 62 MeV, per cui t n min = ns. Eventi in cui il tempo di volo misurato è inferiore a questo valore sono dovuti ad effetti diversi: ˆ Viene misurato un fotone, prompt o delayed. ˆ Un neutrone lento, con tempo di volo superiore a T B, viene misurato come veloce a causa degli effetti della struttura temporale del fascio (descritti nel paragrafo 2.2.1). ˆ Si verifica un evento di fondo, con tempo di volo scorrelato rispetto ai protoni incidenti sul bersaglio. Tale tipo di eventi è principalmente dovuto a neutroni diffusi all interno della sala sperimentale o a fotoni provenienti da interazioni anelastiche dei neutroni. Per eliminare questi eventi ho quindi introdotto una soglia temporale, t > 12 ns, considerando l effetto della risoluzione temporale.

139 5.2. TAGLI APPLICATI AI DATI SPERIMENTALI Tagli sull energia depositata Ho successivamente applicato due tagli sugli eventi considerando la correlazione tra il tempo di volo e l energia depositata nei diversi rivelatori: inizialmente ho imposto una condizione conservativa, selezionando solo gli eventi per i quali l energia depositata nel rivelatore è inferiore all energia cinetica della particella, ricavata dal tempo di volo. Successivamente, ho utilizzato una condizione più restrittiva, sfruttando il risultato che ho ottenuto dalle simulazioni Montecarlo circa il quenching per i neutroni (paragrafi e 3.5.2), secondo il quale un neutrone con energia T n deposita, al più, un energia efficace entro i rivelatori pari a: E max = E 0 T n α, con T n in MeV (5.4) Sfruttando questa informazione, ho selezionato gli eventi in cui l energia depositata è inferiore ad E max, ricavata dalla formula sopra, corretta per considerare la risoluzione energetica dei rivelatori: quest ultima si potrebbe ricavare sperimentalmente dai dati acquisiti con le sorgenti usate in fase di calibrazione, ma ne ho ottenuto una semplice valutazione utilizzando la simulazione MonteCarlo del rivelatore a scintillatore plastico. Ho assunto che la risoluzione σ(e) dipenda essenzialmente dagli effetti statistici, di tipo poissoniano, legati ai fotoelettroni prodotti al fotocatodo, per cui vale la condizione: σ(n phe ) = N phe (5.5) Dalla relazione che lega l energia efficace depositata al numero medio di fotoelettroni prodotti ai fotocatodi, ottenuta dalla simulazione (par ), posso stimare la risoluzione in energia σ(e), ottenendo la relazione seguente: σ(e) = E(MeV) MeV (5.6) Utilizzando questa relazione anche per i rivelatori a scintillatore liquido, ho implementato i tagli in energia depositata considerando solo gli eventi per i quali essa è inferiore ad E max + 3 σ(e max ): ciò elimina anche parte di quelli appartenenti al luogo di neutroni spurio descritto nel paragrafo precedente Taglio tramite pulse-shape discrimination La figura 5.7 mostra il risultato della pulse-shape discrimination applicata ai dati sperimentali acquisiti con i rivelatori a scintillatore liquido (si veda il paragrafo 4.2.3, e l appendice C in particolare la tabella C.1): sullo spettro di tempi di volo complessivo è sovrapposto quello corrispondente ai solo eventi identificati come fotoni, per i quali vale la

140 134 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI condizione ID=1 (in figura sono mostrati solo gli eventi fisici, ovvero quelli con tempo di volo compreso tra 0 e 120 ns, in cui l energia efficace depositata è superiore a 750 kev: sotto tale valore la pulse-shape discrimination non è implementata. Da essa si osserva che la discriminazione implementata porta ad una corretta identificazione dei fotoni prompt, e si ha la conferma del fatto che il secondo picco accanto a quest ultimi sia dovuto anch esso a fotoni, indicati nei paragrafi precedenti come delayed ; si nota altresì che sono presenti alcuni eventi identificati come γ nella regione di spettro temporale caratteristica dei neutroni 4 : per spiegare ciò, ho fatto l ipotesi che tali eventi siano dovuti a neutroni provenienti dal bersaglio che interagiscono inelasticamente con gli oggetti vicino ai rivelatori, come le strutture di supporto, producendo fotoni successivamente rivelati; il tempo di volo di questi eventi riproduce quello dei neutroni in quanto il tempo impiegato dai fotoni per propagarsi dai punti di produzione al rivelatore è trascurabile. Figura 5.7: Risultato della pulse-shape discrimination applicata ai dati sperimentali; in nero, lo spettro temporale complessivo, in rosso, quello corrispondente agli eventi identificati come fotoni. La larghezza dei bin è tale per cui a ciascuno di essi corrisponde ad un canale FERA; sono riportati solo gli eventi per i quali l energia depositata è superiore a 750 kev. Sfruttando questa informazione, ho implementato un ultimo taglio sui dati sperimen- 4 Come visto precedentemente, anche l effetto dovuto agli errori di sincronia tra bunch del fascio e segnale RF, a causa di cui è presente la seconda vela di neutroni, produce dei fotoni il cui tempo di volo misurato appartiene alla regione di spettro dei neutroni; tale effetto ha un peso pari, al più, al 2% del numero complessivo di eventi, dunque non può da solo spiegare la forma delle distribuzioni in figura 5.7.

141 5.3. ULTERIORI CORREZIONI 135 tali, selezionando solo gli eventi che, oltre a soddisfare le condizioni gà esposte nei paragrafi precedenti, non sono identificati come fotoni, ovvero quelli per cui vale la relazione seguente: ID! = 1 (5.7) Ho fatto questa scelta in quanto essa è conservativa: tramite questo taglio non elimino alcun evento in cui si ha un neutrone incidente sul rivelatore, mentre se avessi selezionato solo gli eventi identificati come neutroni avrei eliminato quelli in cui un neutrone incidente non viene discriminato ed è perciò considerato ambiguo, con ID=2. Nel caso dei rivelatori con scintillatore plastico, per i quali la pulse shape discrimination è assente, ho sfruttato i risultati ottenuti con gli scintillatori liquidi per ottenere una correzione da applicare ai dati, al fine di considerare anche per essi la presenza di eventi di tipo γ i cui tempi di volo ricadono nella regione caratteristica dei neutroni. La procedura che ho utilizzato è la seguente: se si considera lo spettro dei tempi di volo misurati con i rivelatori a scintillatore plastico, si può esprimere il contenuto N i di ciascun bin come la somma di due contributi, il primo dovuto agli eventi di tipo γ, e il secondo a tutti gli altri: N i = N i!γ + N i γ (5.8) Introducendo la quantità f i = N γ i si ottiene che il numero di eventi, in ciascun bin, N i diversi da quelli in cui si ha un fotone incidente è dato dalla seguente espressione: N i!γ = N i (1 f i ) (5.9) Per ricavare il fattore di correzione f i per ciascuno dei due rivelatori a scintillatore plastico ho fatto l assunzione che esso si possa ottenere dalla misura fatta con lo scintillatore liquido adiacente, tenendo però in conto il fatto che particelle che depositino energia inferiore a circa 750 kev non vengono identificate: la correzione che ho effettivamente usato per lo spettro temporale distingue gli eventi sopra tale soglia e quelli sotto, ovvero, indicando con + i primi e con - i secondi: N i!γ = N i + N i + (1 f i +) (5.10) La funzione f i + è calcolata per ciascun scintillatore plastico tramite i dati sopra la soglia di discriminazione misurati con lo scintillatore liquido adiacente. 5.3 Ulteriori correzioni Scopo della presente misura è ottenere lo yield assoluto di produzione di neutroni dal bersaglio, per cui, dopo aver applicato ai dati sperimentali i tagli descritti precedentemente

142 136 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI per selezionare solo gli eventi in cui si hanno neutroni prodotti dal Berillio che incidono su un rivelatore, è necessario considerare tutti gli effetti per i quali il numero di eventi misurati differisce da quello reale, e introdurre le necessarie correzioni Tempo morto Come descritto nel paragrafo 4.2.2, il numero di eventi misurati dal sistema di acquisizione è inferiore a quello reale a causa del tempo morto impiegato nell esecuzione delle operazioni che seguono l arrivo di un segnale. Per correggere quest effetto, ho sfruttato i dati acquisiti dallo scaler, ovvero il numero di segnali in ingresso al discriminatore che oltrepassano, per ciascun rivelatore, il valore di soglia: in assenza di tempo morto, esso sarebbe pari al numero di eventi effettivamente acquisiti, perciò dal confronto tra tali valori si ottiene il fattore per cui è necessario correggere i dati sperimentali. Ho implementato la correzione considerando, per ciascun rivelatore, la quantità f τm, data dal rapporto tra conteggi dello scaler ed eventi effettivamente acquisiti, ed ho ri-scalato con essa ogni distribuzione misurata: f τm = N real N mis (5.11) Il tempo morto misurato è pari a 14% per i rivelatori a scintillatore plastico e 20% per i rivelatori a scintillatore liquido, diverso a causa dei rate di acquisizione e delle soglie impostate Sottrazione del fondo di sala Per stimare il contributo alla misura dovuto al fondo diffuso di sala, ho utilizzato le misure fatte ponendo, davanti a ciascun rivelatore, la shadow-bar composta di paraffina borata ed i mattoni in Piombo, descritti nel paragrafo 2.5. Con tale configurazione, si schermano i neutroni ed i fotoni provenienti direttamente dal bersaglio, e si misura così il fondo di sala, dovuto alle particelle diffuse dagli oggetti presenti in essa (come gli elementi della linea del fascio, le strutture di supporto, le pareti ed il pavimento) che vengono successivamente rivelate. Non tutti questi eventi vengono cancellati dai tagli imposti sui dati: si pensi, ad esempio, ad un neutrone veloce che interagisca elasticamente con uno dei supporti dei rivelatori, depositando in seguito in uno di essi un energia molto inferiore alla sua energia cinetica: questo evento è visto, a tutti gli effetti, come corrispondente ad un neutrone lento, in quanto il suo tempo di volo aumenta a causa del cammino percorso tra supporto e rivelatore, e nè i tagli sul tempo di volo, nè quelli sull energia depositata lo cancellano.

143 5.3. ULTERIORI CORREZIONI 137 Figura 5.8: Confronto tra le misure eseguite, per ciascun rivelatore, con e senza schermature; i dati sono normalizzati alle corrispondenti cariche depositate entro il bersaglio, ottenute dalla misura di carica fatta utilizzando il bersaglio come tazza di Faraday ed espresse in pc.

144 138 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI La misura del fondo di sala permette di conoscere quanti sono gli eventi dovuti alle particelle diffuse, per poter eseguire una correzione dei dati sperimentali mediante sottrazione: per evitare di fare un double counting, ovvero di sottrarre eventi già cancellati tramite i tagli sui dati, ho applicato gli stessi, coi medesimi parametri, anche alle misure fatte con le schermature prima di eseguire la sottrazione 5. Prima di eseguire la sottrazione è altresì necessario considerare che le misure con e senza schermatura hanno avuto durata diversa, ovvero è stata depositata nel bersaglio una carica differente, per cui bisogna normalizzare i dati ad essa: la figura 5.8 mostra, per ciascun rivelatore, gli spettri temporali acquisiti con e senza schermatura 6, prima di applicare i tagli Effetti della struttura temporale del fascio Precedentemente è già stato evidenziato il fatto che il segnale RF utilizzato come common stop ha periodo T B = 120 ns, dunque non è possibile misurare correttamente neutroni lenti fuori scala, ovvero aventi tempo di volo superiore a tale valore: essi sono visti come particelle veloci, con tempo di volo 7 t mis = t real T B, che depositano poca energia nel rivelatore; nè i tagli applicati, nè la sottrazione del fondo di sala permette di distinguerli dai veri neutroni aventi tempo di volo nell intervallo richiesto. Ho stimato l effetto di questi neutroni lenti con una procedura empirica, osservando la forma della distribuzione N(t) dei tempi di volo, già corretta per tutti gli effetti visto fin qui, per valori prossimi a T B, al fine di cercare una semplice parametrizzazione della stessa: ottenuta tale parametrizzazione, ho assunto di poterla estendere anche a tempi maggiori e, sulla base di ciò, ho ricavato quanti siano i neutroni lenti misurati come veloci, la cui distribuzione dei tempi di volo è assunta pari a N F S = N(t + T B ). Ho utilizzato tale risultato per correggere i dati sperimentali, sottraendo alla distribuzione di tempi di volo la funzione N F S, di cui ho considerato il valor medio in ciascun 5 Un esempio di double counting che si commetterebbe se non si applicassero i tagli anche ai dati acquisiti con le schermature è il seguente: riferendosi all esempio in cui un neutrone è diffuso dal tavolo di supporto, se in seguito esso depositasse tutta la sua energia in un rivelatore, l evento corrispondente verrebbe già cancellato dai tagli imposti sull energia depositata, in quanto essa è superiore all energia cinetica calcolata mediante il tempo di volo. Sottraendo il fondo misurato con la shadow-bar, senza tagli, si conterebbe due volte questo tipo di eventi, compiendo un errore. 6 Per eseguire questa normalizzazione ho utilizzato i dati ottenuti sfruttando il bersaglio come tazza di Faraday, come descritto nel paragrafo In realtà, come visto nel paragrafo 2.2.1, il tempo di volo di un neutrone misurato è dato da t mis = t real n T B, ove n è un intero fissato dalla condizione che t mis appartenga all intervallo [0, T B]; in pratica, oltre al caso n = 0 dei neutroni correttamente misurati, solo il caso n = 1, corrispondente ai neutroni prodotti dal bunch precedente, è rilevante.

145 5.4. YIELD DI PRODUZIONE DI NEUTRONI DAL BERILLIO 139 bin : come controllo preliminare, ho verificato che essa fosse compatibile con il gradino presente prima del picco dei fotoni prompt, dovuto, una volta sottratto il fondo diffuso di sala, ai soli neutroni lenti fuori scala. Dopo alcune iterazioni, ho ottenuto una buona parametrizzazione per N F S (t) con una funzione esponenziale decrescente, con cui ho fatto un best-fit ai dati sperimentali; in figura 5.9 è riportato il risultato per uno dei rivelatori a scintillatore plastico, da cui si osserva che la parametrizzazione esponenziale scelta riproduce bene la forma della distribuzione ed il gradino prima dei fotoni prompt : la correzione da applicare ai dati è estremamente piccola, come già si poteva dedurre dai risultati ottenuti con la simulazione MonteCarlo della misura complessiva (si guardi, in particolare, la figura 3.17). Figura 5.9: Correzione per gli effetti dei bunch del fascio: a sinistra, la funzione esponenziale usata per parametrizzare la distribuzione N(t) dei tempi di volo, per eventi prossimi a T B ; a destra, i dati a tempi di volo piccoli, insieme alla funzione N F S ricavata. I dati riportati per gli istogrammi sono già corretti attraverso i tagli (escluso quello sui tempi di volo) e per la sottrazione di fondo. 5.4 Yield di produzione di neutroni dal Berillio Terminata la prima parte di analisi dei dati sperimentali, ho ottenuto lo yield di neutroni dal bersaglio in Berillio, per i quattro rivelatori: ho considerato la distribuzione dei tempi di volo dopo le correzioni e da essa ho ottenuto lo spettro in energia dei neutroni, che ho rinormalizzato al numero di protoni incidenti sul bersaglio e all angolo solido sotteso dai

146 140 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI rivelatori, ottenuto da un semplice programma di calcolo numerico da me scritto; infine, ho corretto il risultato per considerare l efficienza di rivelazione dei neutroni Efficienza dei rivelatori La figura 5.10 riporta le efficienze dei quattro rivelatori, ottenute tramite le simulazioni MonteCarlo dei rivelatori in cui ho impostato la soglia in energia depositata efficace, ovvero corretta per il quenching, al valore ricavato dalle misure sperimentali (paragrafo 4.4.2): per ottenere una parametrizzazione dell efficienza in funzione dell energia cinetica del neutrone incidente ho utilizzato un interpolazione lineare tra i punti. Le curve di efficienza presentano un picco, per T n compresa tra 1 e 2 MeV, prima del quale si ha forte dipendenza dalla soglia. Quindi, per T n < 2 MeV, ho scelto per precauzione di considerare solo i punti sperimentali per i quali l efficienza è superiore al 50% del valore di picco (nella sezione discuto più in dettaglio questo aspetto). Ho invece utilizzato tutti i punti sperimentali con T n > 2 MeV, in quanto per essi la dipendenza dalla soglia impostata è trascurabile, e il valore d efficienza dipende essenzialmente dalle sezioni d urto di interazione dei neutroni con i materiali che compongono gli scintillatori. Figura 5.10: Efficienza di rivelazione dei neutroni per i quattro rivelatori, utilizzata per ricavare lo yield assoluto di produzione da Berillio.

147 5.4. YIELD DI PRODUZIONE DI NEUTRONI DAL BERILLIO Risultato sperimentale Lo yield di produzione di neutroni, differenziale rispetto all energia cinetica, ottenuto da questa misura preliminare è riportato in figura 5.11: l errore quotato sui dati sperimentali è puramente di tipo statistico, mentre ho scelto la larghezza dei diversi bin in energia pari alla risoluzione con cui si misurano le energie cinetiche dei neutroni con l apparato sperimentale utilizzato, calcolata al centro del bin (si guardi il paragrafo 4.5 per la relativa trattazione). Figura 5.11: Yield di produzione di neutroni ricavato sperimentalmente, confronto per i quattro diversi rivelatori; i dati sono normalizzati al numero totale di protoni incidenti sul bersaglio. Si possono fare alcune osservazioni: ˆ Per energie comprese tra 2 e 10 MeV tutti i dati ottenuti con i diversi rivelatori sono in ottimo accordo entro l errore, e non si ha dipendenza dello yield dall angolo di emissione dei neutroni, misurato rispetto all asse del fascio incidente.

148 142 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI ˆ Per energie superiori a 10 MeV si mantiene la corrispondenza fra rivelatori con scintillatore plastico e liquido adiacenti, ma compare una dipendenza angolare: ad angolo più elevato si ha una minor produzione di neutroni di alta energia. ˆ Per energie comprese tra 900 kev e 2 MeV si osserva uno scostamento tra le diverse misure: in particolare quella corrispondente ai dati misurati con il rivelatore Liquido 2, posizionato a 60 rispetto alla linea del fascio, assume valori più elevati delle altre. I dati sperimentali si comprendono osservando che i neutroni più energetici sono prodotti da meccanismi diretti e dunque, per ragioni cinematiche, prevalentemente ad angoli piccoli; ad energia più bassa la dipendenza angolare tende a scomparire, in quanto la produzione avviene sempre più attraverso meccanismi indiretti, non correlati alla direzione del protone incidente. Pure per energia inferiore a 2 MeV ci si aspetterebbe la compatibilità dei punti di plastico e liquido adiacenti, mentre la letteratura sembra indicare yield più elevati a 30 rispetto a 60. Sperimentalmente si osserva un comportamento diverso tra rivelatori a scintillatore plastico e a scintillatore liquido, ed inoltre lo yield a 30 risulta inferiore a quello a 60, risultato non imputabile ad effetti fisici ma piuttosto alla presenza di effetti di tipo sistematico nella misura. Più avanti discuto in dettaglio ciò, cercando di spiegare le differenze osservate, traendone spunto per delineare le modifiche necessarie ad eliminare questi effetti nella misura futura Confronto con altri dati presenti in letteratura Per verificare l ordine di grandezza del risultato ottenuto nella presente misura, ho confrontato le curve di yield ricavate con i diversi rivelatori con quelle che si trovano in letteratura, descritte nel paragrafo 1.4.1, scegliendo in particolare quelle riportati nel lavoro di M.Meier [17], in quanto riferite ai medesimi angoli di misura rispetto all asse del fascio, 30 e 60 ; il confronto, riportato in figura 5.12, è necessariamente di tipo qualitativo, sia in quanto l energia dei protoni del fascio è diversa nelle due misure (62 MeV e 113 MeV), sia in quanto i bersagli utilizzati hanno forma e dimensioni diverse. Si può concludere che i risultati della misura sono in buon accordo con quelli ottenuti da M.Meier, in particolare per energie inferiori a 10 MeV, mentre per valori superiori si hanno differenze, dovute alla diversa energia dei protoni incidenti; osservando inoltre la regione di bassa energia si vede che i rivelatori che meglio riproducono, ad entrambi gli angoli di misura, la forma della curva riportata in letteratura sono quelli con scintillatore liquido.

149 5.4. YIELD DI PRODUZIONE DI NEUTRONI DAL BERILLIO 143 Figura 5.12: Confronto tra lo yield di produzione di neutroni ricavato nella presente misura (punti colorati) e quello riportato in [17], per protoni incidenti con energia 113 MeV; la scala di misura è riportata in alto a destra nella figura.

150 144 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI 5.5 Effetti sistematici I dati sperimentali dello yield di neutroni da Berillio sono soggetti, oltre ad una indeterminazione statistica, anche ad un errore sistematico, caratterizzato dal fatto di essere costante al ripetersi della misura, dunque non eliminabile attraverso la semplice ripetizione della stessa. Una preliminare valutazione di quest errore si può ottenere dalla differenza tra i dati sperimentali ottenuti dai rivelatori adiacenti: in assenza di effetti sistematici essa dovrebbe essere nulla entro l incertezza statistica, mentre per energie inferiori a 2 MeV ciò non si verifica. Tale differenza fornisce però soltanto un indicazione su parte degli effetti sistematici, per cui ho cercato di identificare i vari effetti possibili, fornendone una valutazione numerica e indicando, quanto possibile, gli accorgimenti da adottare. Prima di descrivere separatamente i contributi che ho individuato, riporto in tabella 5.3 i valori che ho ottenuto: Causa d errore Contributo sistematico Spaziale: 1.3% Allineamento dei rivelatori Temporale: 2% Eventi spuri 2% Accuratezza integratore: 2 Lettura errata di carica Difficile stimare le dispersioni di corrente Dipende dal rivelatore e dall energia dei neutroni Determinazione dell efficienza Riportato in fig e 5.14 La parametrizzazione del quenching è critica Presenza della linea del fascio Dipende dall energia dei neutroni Tabella 5.3: Contributi all errore sistematico individuati Allineamento spaziale e temporale Le più semplici fonti di errore sistematico che si possono individuare sono quelle legate all allineamento spaziale e temporale dei rivelatori, ovvero all incertezza con cui è nota la distanza fisica tra essi ed il bersaglio e l indeterminazione con cui è localizzato il picco dei fotoni prompt, mediante il quale si completa la calibrazione temporale del sistema; questi due effetti non vanno confusi con quelli discussi precedentemente nel paragrafo 4.5, in quanto non sono legati alla risoluzione nella misura dell energia con la tecnica del tempo di volo, ma alla sua accuratezza, anche se il formalismo per trattarli è il medesimo, per cui, se si indicano con δ d e δ t gli errori di allineamento, i rispettivi contributi all accuratezza di misura sono dati da:

151 5.5. EFFETTI SISTEMATICI 145 δ Tn = 2 T n δt t = 2 T n d Mn 2T n δ t (5.12) δ Tn = 2 T n δd d (5.13) L errore sistematico relativo dovuto ai difetti d allineamento spaziale è costante rispetto all energia: stimando l incertezza dell allineamento spaziale dei rivelatori δ d come pari, al più, a qualche mm 8, si ottiene che che il corrispondente contributo all accuratezza con cui si misurano le energie è pari a δ Tn T n 1.3%. Per ricavare δ t è opportuno richiamare il fatto che, nella relazione di calibrazione temporale (eq. 4.4), il parametro b, trovato localizzando il picco dei fotoni prompt, non è indipendente dal fattore di conversione canali-tempo a, in quanto l operazione di allineamento è stata eseguita dopo aver convertito i tempi misurati da canali FERA a nanosecondi, per cui è necessario riscrivere la relazione di calibrazione temporale, mettendo in evidenza i termini indipendenti (ch γ e t γ sono, rispettivamente, la posizione, in canali, a cui è misurato il picco dei fotoni prompt e il tempo di volo che gli corrisponde): t = a ch + a ch γ + t γ (5.14) Propagando gli errori su quest espressione, e applicando ragionevoli approssimazioni, si giunge alla relazione seguente: δt = t δa a δt n = 2T n δa a 0.02 T n δ T n T n 2% (5.15) Concludendo, gli errori sistematici di allineamento, spaziale e temporale, dei rivelatori non possono, da soli, spiegare la discrepanza tra i dati sperimentali di bassa energia acquisiti con i diversi rivelatori Efficienza di rivelazione dei neutroni Energia di soglia L algoritmo che ho scelto per determinare l energia di soglia di ciascun rivelatore, pur avendo il vantaggio di essere estremamente semplice da implementare, produce un risultato con una notevole incertezza, come si osserva dai dati in tabella 4.9: ciò si riflette sulla curva di efficienza per la rivelazione dei neutroni, determinata per ciascun rivelatore con la simulazione MonteCarlo. In particolare, variazioni dell energia di soglia producono 8 δ x = 10 mm è una stima conservativa per l errore di allineamento spaziale, considerato che i rivelatori sono montati su supporti, i quali a loro volta sono stati allineati al bersaglio utilizzando squadre e compassi.

152 146 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI modifiche della curva d efficienza per neutroni incidenti di bassa energia, mentre sono praticamente trascurabili ad alta energia, come si osserva dai grafici in figura 5.13 in cui, per ciascun rivelatore, sono mostrati tutti valori di efficienza compresi entro quelli che si ottengono nei casi estremi in cui la soglia in energia è pari al valore nominale più o meno il suo errore. Figura 5.13: Valori di efficienza che si ottengono, per ciascun rivelatore, impostando la soglia in energia al valore nominale più o meno l errore: la linea più scura rappresenta la curva di efficienza calcolata alla soglia nominale. L indeterminazione a bassa energia della curva d efficienza si propaga sullo yield di produzione di neutroni da Berillio, e può spiegare lo scostamento delle curve nella regione inferiore a 2 MeV, come si osserva chiaramente dalla figura 5.14 in cui, per ciascun rive-

153 5.5. EFFETTI SISTEMATICI 147 latore, è riportato il risultato della misura nella regione di bassa energia, quotando come errore la differenza con i valori che si ottengono usando le curve di efficienza ottenute impostando la soglia al valore nominale più o meno l errore. Figura 5.14: Errore sistematico sullo yield di produzione di neutroni da Berillio introdotto dall indeterminazione sull energia di soglia e, dunque, sulla curva d efficienza. Dai grafici si osserva anche che l errore sistematico introdotto dall indeterminazione sulla curva di efficienza è tanto più grande quanto più è alta la soglia impostata, a causa del fatto che, in tal caso, essa è confrontabile con l energia massima depositata dai neutroni lenti entro i rivelatori: piccole variazioni della soglia comportano notevoli differenze sul numero di neutroni lenti rivelati.

154 148 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI Parametrizzazione del quenching Per calcolare l efficienza dei rivelatori per la rivelazione di neutroni tramite le simulazioni MonteCarlo ho utilizzato la legge di Birks per la descrizione del quenching : in letteratura ([37]) ho trovato evidenze sperimentali del fatto che tale legge mostra, nel caso di bassa deposizione d energia per unità di lunghezza alcuni scostamenti rispetto ai dati, per cui ho provato a modificare la parametrizzazione del quenching entro Geant4 per verificare quanto essa sia critica nella determinazione delle curve di efficienza, e quale sia dunque l effetto sistematico sullo yield sperimentale introdotto. Ho utilizzato la parametrizzazione suggerita da Chou 9, scegliendo valori tipici trovati in letteratura ([38]) per fissare le costanti presenti in essa (kb e C): kb, in particolare, coincide con il parametro di Birks. Figura 5.15: Yield sperimentale di produzione di neutroni da Berillio, normalizzato al numero totale di protoni incidenti sul bersaglio, ottenuto con le curve d efficienza calcolate dopo la modifica della parametrizzazione del quenching in Geant4. Ho ricalcolato le curve d efficienza, senza modificare la soglia in energia, e con esse ho ottenuto nuovamente lo yield di neutroni da Berillio, mostrato nel grafico 5.15 per i diversi rivelatori: confrontando esso con il risultato precedente (fig. 5.11) si osservano no- 9 La parametrizzazione del quenching descritta da Chou in [37] è: dl dx = Y0 1 + kb de dx de dx + C( de dx )2 (5.16) Ho posto, per tutti i rivelatori, kb = 0.01 cm/mev e C = (cm/mev) 2, utilizzanto i valori indicati in [38].

155 5.5. EFFETTI SISTEMATICI 149 tevoli differenze nella regione di bassa energia, ove il quenching è maggiormente intenso. Questo mostra che lo yield sperimentale dipende criticamente, per i neutroni di bassa energia, dalla parametrizzazione scelta per descrivere il quenching, tanto più quanto la soglia in energia è elevata: è difficile stimare quantitativamente l errore sistematico introdotto da questo effetto, ma uno studio dettagliato della risposta dello scintillatore permetterebbe di correggerlo Presenza della linea del fascio La presenza della linea del fascio in acciaio non è trascurabile nella presente misura, come già visto parlando dei fotoni delayed nel paragrafo 5.1.5, in quanto i neutroni prodotti dal Berillio possono interagire con essa prima di essere rivelati, dando luogo a due effetti diversi: ˆ Un neutrone inizialmente non diretto verso alcuno dei rivelatori è diffuso su uno di essi in seguito ad un interazione con la linea del fascio, e viene misurato. ˆ Un neutrone prodotto dal Berillio e diretto verso uno dei rivelatori interagisce con la linea e viene deviato altrove, senza essere misurato. La sottrazione del fondo di sala misurato con la shadow-bar permette di correggere il primo di questi effetti, in quanto la traiettoria dei neutroni diffusi dalla linea e successivamente misurati è diversa da quella delle particelle provenienti direttamente dal bersaglio, ma non il secondo: per valutare il peso di quest ultimo ho realizzato una simulazione MonteCarlo, con lo scopo di ottenere una valutazione qualitativa di esso che possa fornire indicazioni circa la necessità di modificare la linea stessa in vista della futura misura. Per realizzare una simulazione semplice, con un numero di eventi sufficientemente elevato, ho scelto di simulare direttamente i neutroni emessi dal Berillio, sfruttando i risultati già ottenuti per gli spettri in energia ed in angolo dei neutroni (fig. 3.7), con l ulteriore approssimazione di considerare tutte le particelle come emesse dal centro del bersaglio. Ho eseguito diverse simulazioni, aggiungendo e togliendo gli elementi della linea e le shadow-bar, per ottenere una stima dell effetto descritto, e ho considerato le distribuzioni d energia dei neutroni che, in ciascun caso, incidono sul rivelatore, calcolando la seguente espressione, in cui shadow indica la presenza della schermatura, e c.l. quella della linea ( s.l. indica assenza della linea): f(t n ) = (N N shadow ) s.l. (N N shadow ) c.l. (5.17) Tale quantità è il rapporto tra il numero di neutroni, con energia T n, che incidono sul rivelatore, giungendo direttamente dal bersaglio, in assenza ed in presenza della linea del

156 150 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI Figura 5.16: Geometria della linea del fascio simulata: in azzurro, il tubo in acciaio, in grigio, altri elementi della stessa, come flange e tappi. Il bersaglio in Berillio, non visibile, è collocato dentro di essa, nel punto in cui termina la traccia del protone incidente. fascio, e fornisce dunque indicazione di quanto quest ultima influenzi la misura: nel caso in cui la linea non interagisse affatto con i neutroni, si avrebbe f(t n ) = 1 per qualsiasi energia. Il grafico 5.17 riporta i risultati della simulazione, e da esso si vede che l effetto della linea non è completamente trascurabile, in quanto i punti, considerando le fluttuazioni statistiche, non seguono l andamento f = 1 per tutte le energie ma si discostano da esso entro il 10 15%, in particolare per T n < 2 MeV, ovvero nella regione in cui si osservano discrepanze tra i rivelatori: questo mostra la necessità di indagare ulteriormente quali siano gli effetti introdotti dalla linea del fascio, ad esempio studiando quale è la parte di essa che effettivamente perturba la misura per sostituirla con un materiale nel quale si abbiano meno interazioni. Ho scelto di non correggere i dati sperimentali attraverso f(t n ), sia a causa delle fluttuazioni statistiche presenti, che possono essere diminuite aumentando il numero di neutroni simulati, sia perchè il modello di linea introdotto nella simulazione è approssimato.

157 5.5. EFFETTI SISTEMATICI 151 Figura 5.17: Effetto della linea del fascio sulla misura dello yield di neutroni, per i rivelatori posti a 30 e 60 : la retta rappresenta il caso f = Altri effetti ˆ L accuratezza caratteristica del modulo con cui viene misurata la carica depositata dal fascio nel bersaglio, pari a 2, introduce un errore sistematico trascurabile se confrontato con quelli precedentemente descritti, ma non è banale stimare quale sia l indeterminazione dovuta ad eventuali dispersioni di corrente dal bersaglio. Durante la misura è stata perciò sfruttata una tazza di Faraday mobile, gestita dagli operatori dell acceleratore, che si poteva anteporre al bersaglio per ottenere una lettura istantanea della corrente del fascio. Confrontando questa lettura con il valore ottenuto dal Berillio si sono ottenute differenze dell ordine dell 1%, ma bisogna osservare che la misura di corrente con il bersaglio, eseguita dopo la lettura della tazza di Faraday mobile, aveva durata pari a circa un minuto, durante il quale potevano essere presenti fluttuazioni del fascio. ˆ Durante l analisi ho eliminato gli eventi fasulli introdotti dalle fluttuazioni del segnale RF o dalle code dei bunch (par ), tramite i tagli in tempo di volo ed energia depositata, e la misura di carica raccolta dovrebbe essere corretta per tener conto di ciò: poichè non è semplice stimare l effettiva efficienza dei tagli, ho scelto di non applicare alcuna correzione alla carica misurata, ed attribuire ad essa un ulteriore errore sistematico pari alla frazione di eventi spuri presenti nella misura, pari circa a 2%.

158 152 CAPITOLO 5. ANALISI DEI DATI 5.6 Possibili modifiche all esperimento Riporto qui le modifiche che, a mio avviso, è necessario introdurre nella futura misura dello yield di neutroni da Berillio, al fine di diminuire gli errori sistematici ed aumentare così l accuratezza. ˆ La soluzione con cui è stata implementata la pulse-shape discrimination, usando un solo modulo FERA e facendo una copia ritardata del segnale per ottenere l integrale della componente fast, è risultata affidabile, ma permette di distinguere solo le particelle che depositino almeno 750 kev nel rivelatore: per diminuire tale soglia è possibile amplificare maggiormente i segnali provenienti dai rivelatori. Ciò comporta una migliore separazione fra i luoghi di punti di neutroni e fotoni a bassa energia, ma contemporaneamente fa sì che particelle di alta energia generino un overflow sul modulo, e non siano identificate; questo è accettabile, poichè dai dati sperimentali si osserva che, per energia depositata superiore a 20 MeV, si hanno solamente neutroni. ˆ Per diminuire gli effetti sistematici dovuti all indeterminazione presente sulla curva d efficienza è necessario determinare la soglia in energia tramite un algoritmo diverso da quello utilizzato nell analisi eseguita, che produca un risultato il più possibile accurato, nel quale il quenching sia parametrizzato correttamente; compatibilmente con il rate del rumore presente, è altresì opportuno impostare sul discriminatore soglie le più basse possibili, per aumentare l efficienza di rivelazione dei neutroni lenti e diminuire l incertezza introdotta da essa. Sarebbe anche desiderabile eseguire una misura sperimentale dell efficienza, per confrontare il risultato con la simulazione, ma nel caso dei neutroni ciò non è banale. ˆ La linea del fascio ha un effetto sulla misura che, nella presente tesi, è stato solo stimato qualitativamente: per la misura futura è necessario indagare ulteriormente questo aspetto ed, eventualmente, sostituire una parte della linea con materiali di spessore inferiore, che presentino sezioni d urto minori per l interazione con i neutroni. ˆ Per determinare la presenza di eventuali errori sulla lettura di carica eseguita con il bersaglio in Berillio sarebbe opportuno sostituire aggiungere all integratore di carica un modulo che sia anche in grado di fornire una lettura istantanea della corrente proveniente dal bersaglio, in modo da poter confrontare tale valore con quello ottenuto dalla tazza di Faraday mobile gestita dagli operatori del ciclotrone. Inoltre, si dovrebbe sostituire l integratore con un modulo a sensibilità maggiore (< 100 pc) in modo tale da avere frequenza d impulsi superiore, a parità di corrente del fascio.

159 Conclusioni In questo lavoro di tesi ho eseguito una misura preliminare dello yield di neutroni da un bersaglio spesso in Berillio su cui incide un fascio di protoni di energia E p = 62 MeV e bassa corrente, utilizzando la tecnica del tempo di volo per la misura dell energia delle particelle, attraverso rivelatori con scintillatore organico, plastico e liquido: ho caratterizzato tali rivelatori sia attraverso misure sperimentali, ricavando ad esempio la risoluzione temporale intrinseca degli stessi, sia utilizzando codici numerici che sfruttano il programma Geant4, ottenendo l efficienza per la rivelazione dei neutroni. Il sistema di acquisizione dati da me realizzato con moduli programmabili di tipo CA- MAC è risultato affidabile, e potrà essere utilizzato anche per la misura vera e propria: in particolare, è possibile realizzare tramite esso la pulse-shape discrimination, facendo una copia ritardata del segnale da integrare; per poter applicare questa tecnica ai dati sperimentali ho realizzato uno specifico programma di analisi, integrato con quello che ho sviluppato per ricavare lo yield sperimentale. L analisi dei dati raccolti ha evidenziato come, per la misura definitiva da realizzarsi in futuro, sia opportuno utilizzare rivelatori con scintillatore liquido, tramite i quali è possibile realizzare la pulse-shape discrimination : l utilizzo di questa tecnica permette di diminuire notevolmente i fondi di misura presenti e di avere un informazione ulteriore, il tipo di particella incidente, utile per comprendere l origine di vari effetti presenti nei dati, come il picco dei fotoni delayed presente nella misura eseguita. Un risultato molto importante di questo lavoro di tesi è legato al monitoraggio del fascio: l utilizzo del Berillio come tazza di Faraday per misurare la carica depositata dal fascio incidente nel bersaglio si è rivelato una valida soluzione, anche se è necessario perfezionare il metodo di verifica della correttezza della lettura. Concludendo, i dati ottenuti con i diversi rivelatori sono qualitativamente in accordo con i risultati di misure simili rintracciabili in letteratura ([17]) e con le simulazioni MonteCarlo eseguite, ma per energia inferiore a 2 MeV si osservano effetti certamente dovuti ad errori sistematici: al termine dell analisi dei dati ho evidenziato alcune fonti d errore, cercando 153

160 di stimare per ciascuna il contributo introdotto nella misura e di evidenziare altresì le possibili correzioni da introdurre in futuro per eliminarlo. 154

161 Appendice A Quenching e legge di Birks Misurando la quantità totale di luce emessa da particelle diverse, di uguale energia cinetica, che interagiscono con uno scintillatore plastico depositando in esso tutta la loro energia, si osserva una risposta diversa dello stesso: gli elettroni generano più luce delle particelle pesanti. Tale fenomeno è detto quenching dello scintillatore. Questo è dovuto ad effetti di non-linearità presenti nella conversione tra energia depositata per unità di lunghezza de dl dx e luce emessa per unità di lunghezza dx : Birks [39] ha ottenuto una relazione tra queste due quantità assumendo che, in presenza di alta energia depositata per unità di lunghezza, si abbia un effetto di saturazione delle molecole dello scintillatore. Si ottiene così la seguente espressione semi-empirica, nota come legge di Birks : de dl dx = Y dx kb de dx (A.1) Y 0 è lo yield di luce emessa, e kb una costante caratteristica dello scintillatore considerato e della particella che deposita energia in esso; essa deve essere ottenuta tramite best-fit ai dati sperimentali. La equazione A.1 possiede due interessanti casi limite: ˆ Se de dl dx 0, dx Y 0 de dx : per particelle che ionizzino debolmente le molecole dello scintillatore si ha una relazione lineare tra energia depositata e luce emessa, ovvero il fenomeno del quenching è assente. Tra queste, gli elettroni con energia superiore a circa 100 kev. ˆ Se de dx 0, dl dx Y 0 kb : per particelle che ionizzino fortemente le molecole dello scintillatore si ha completa saturazione delle stesse, e la luce emessa per unità di lunghezza diventa indipendente dall energia depositata. Questo accade, ad esempio, per gli ioni pesanti. 155

162 156 APPENDICE A. QUENCHING E LEGGE DI BIRKS Sperimentalmente si osserva che, in presenza di particelle che ionizzino fortemente le molecole dello scintillatore, la legge di Birks riproduce solo approssimativamente i dati sperimentali, per cui sono state suggerite espressioni diverse per descrivere i dati sperimentali. In particolare, Chou ([37]) ha proposto la seguente espressione: dl dx = Y kb de dx de dx + C( de dx )2 (A.2) Nell equazione A.2 kb e C sono parametri caratteristici dello scintillatore, da determinare sperimentalmente; per bassa energia depositata per unità di lunghezza, tale equazione ha la stessa forma di A.1, mentre si hanno differenze nel limite opposto (alta deposizione d energia). Figura A.1: Luce emessa da protoni ed elettroni in uno scintillatore plastico (NE102A). Per gli elettroni, la linea tratteggiata rappresenta il risultato di un best-fit eseguito considerando il quenchign assente, mentre per i protoni sono riportati i risultati di due best-fit differenti, usando la legge di Birks ( one-parameter ) e quella di Chou ( twoparameter ). La normalizzazione per la luce emessa è arbitraria. La figura è presa da [40].

163 Appendice B Funzionamento di un discriminatore Constant Fraction Un discriminatore Constant Fraction permette di eliminare l effetto di time-walk caratteristico dei discriminatori tradizionali, di tipo Leading Edge : in essi due segnali con lo stesso andamento temporale e di ampiezza distinta che giungano sincroni all ingresso producono in uscita due segnali logici temporalmente sfasati. Nei discriminatori Leading Edge la soglia in tensione svolge due funzioni: determina quali segnali analogici vengano processati dal modulo, producendo un segnale logico in uscita, e fissa l istante temporale a cui tale uscita è abilitata: esso corrisponde al tempo in cui il segnale di ingresso supera il valore di soglia. In un discriminatore Constant Fraction l effetto di time-walk viene corretto separando queste due funzioni: la soglia in tensione determina solo quali siano i segnali analogici che fanno scattare il discriminatore, ma il segnale logico in uscita viene generato quando quello in ingresso raggiunge una certa frazione del suo valore massimo. Ciò viene realizzato all interno del discriminatore facendo due copie del segnale in ingresso: una di esse viene ritardata di un tempo t d, configurabile, mentre la seconda è invertita ed attenuata di un fattore f caratteristico del modulo. Le due copie sono successivamente sommate e il segnale di uscita è abilitato quando tale somma raggiunge il valore 0. Schematizzando il fronte di salita del segnale come una rampa lineare, del tipo V in = m t e tempo di salita t r, le due copie sono rispettivamente: V rit = m(t t d ) V att = fmt La somma dei due segnali è V sum = mt d mt(1 f), e raggiunge il valore 0 all istante 157

164 158APPENDICE B. FUNZIONAMENTO DI UN DISCRIMINATORE CONSTANT FRACTION t out = t d 1 f, indipendente da m e dunque dalla ampiezza massima del segnale, pari ad A = mt r : il discriminatore genera il segnale di uscita al tempo t out. Per far si che tale tempo corrisponda a quello in cui la copia ritardata aggiunge una ampiezza pari ad f volte il valore massimo si impone: m t out t d 1 f = A = mt r t d = (1 f)t r Questa relazione (eq. 4.1) lega il tempo di salita del segnale in ingresso al ritardo del discriminatore: questo deve essere impostato correttamente prima della misura. Figura B.1: Esempio di segnale processato attraverso un discriminatore Costant Fraction, in cui f = 0.2. Esso ha tempo di salita 5 ns, dunque il ritardo impostato sul modulo è t d = 4 ns. Il discriminatore genera il segnale di uscita al tempo T = t out.

165 Appendice C Programma di analisi per la pulse-shape discrimination Per automatizzare la procedura di pulse-shape discrimination, ovvero per riconoscere in ciascun evento acquisito durante la misura quale particella è stata rivelata (neutrone o fotone), ho scritto un programma di analisi utilizzando il codice C++ e le librerie ROOT ([41],[42]) sviluppate presso il CERN. I dati di ingresso per questo programma sono, per ciascun run di acquisizione, i valori degli integrali totale e parziale dei segnali misurati provenienti da uno dei rivelatori a scintillatore liquido, i quali, durante l analisi, sono considerati separatamente. Non è necessario fornire al programma le costanti di calibrazione in energia, in quanto la discriminazione fra i due tipi di particella può avvenire anche considerando i valori dei due integrali misurati in canali FERA, nè viene eseguita la sottrazione dei piedistalli 1. Le operazioni che vengono successivamente svolte sono le seguenti: 1. Viene costruito un istogramma bidimensionale, analogo a quello in figura C.1, entro cui vengono riportati, per ciascun evento, i valori dei due integrali eseguiti sul segnale acquisito. 2. Viene eseguito un taglio sugli eventi acquisiti, selezionando solo quelli per cui l energia totale depositata è compresa entro l intervallo [E 0 E, E 0 + E]. Successivamente viene considerata la distribuzione di E fast per tali eventi: la figura C.2 mostra un esempio ottenuto con E 0 = 160 canali e E = 10 canali. 1 Con il termine piedistallo si indica, per un generico ADC che misuri la carica di un segnale di ingresso entro un gate, il valore che si ottiene allorché il segnale di ingresso è temporalmente scorrelato rispetto al gate, ovvero è a media nulla. Tale valore, non nullo, dipende da caratteristiche interne del modulo, e deve essere sottratto ai dati acquisiti prima della loro analisi. 159

166 160APPENDICE C. PROGRAMMA DI ANALISI PER LA PULSE-SHAPE DISCRIMINATION Figura C.1: Esempio di pulse-shape discrimination durante uno dei run di misura; le scale sono in canali FERA. Questo run è quello utilizzato come esempio per la descrizione del programma di analisi. La forma di tale distribuzione è ben descritta come la somma di due gaussiane, attribuibili rispettivamente agli eventi di tipo neutrone o fotone ; il programma esegue un best-fit ad essa tramite una funzione di questo tipo, per ricavare i due valori medi degli integrali parziali corrispondenti, per i due tipi di particella, all energia depositata E 0. Non ho eseguito un best fit con una funzione data dalla somma di tre gaussiane, in quanto il numero di eventi appartenenti alla terza banda (eventi di tipo α) è notevolmente inferiore rispetto a quelli di tipo n o γ, come si può vedere dalla figura C Il punto precedente viene ripetuto variando E 0, in modo da ottenere, per diverse energie totali depositate, il valore medio di E fast associato agli eventi di tipo neutrone o fotone. Al termine di questa procedura iterativa, tali punti vengono utilizzati per ricavare, con un best-fit, due espressioni analitiche che leghino E 0 a E fast per le due particelle da distinguere: ho scelto la loro forma osservando i dati sperimentali e, privilegiando la soluzione più semplice, ho utilizzato due funzioni lineari, del tipo

167 161 E fast = p 0 E 0 + p 1 (p 0 e p 1 sono i due parametri da ricavare dal best-fit ). La figura C.3 mostra le rette individuate per uno dei run analizzati, lo stesso da cui è stata ricavata la distribuzione in figura C Individuate le due rette del punto precedente, per ciascun punto sull istogramma il programma verifica quale sia la più vicina, determinando così il tipo di particella incidente sul rivelatore. In particolare, i punti che si trovino sopra la retta dei fotoni o sotto quella dei neutroni vengono identificati univocamente, mentre per quelli collocati nella regione intermedia possono esservi ambiguità: per questo, oltre a controllare quale sia la retta più vicina, per ciascun punto viene calcolata la distanza assoluta da essa, e verificato che essa non sia superiore ad un valore pre-impostato; qualora ciò accada, l evento viene considerato ambiguo, e non identificato. Infine, come indicato sopra, i punti appartenenti alla terza banda, che ho ipotizzato essere di tipo α, vengono identificati come eventi in cui è stato rivelato un neutrone. Sono altresì considerati ambigui, e non identificati, tutti gli eventi per i quali l energia totale depositata è inferiore ad un valore minimo, sotto cui le due bande non sono più distinte: per l analisi eseguita sui dati sperimentali ho scelto tale valore minimo pari a 40 canali FERA, al netto del piedistallo, dopo aver osservato la forma delle bande ; come ordine di grandezza, ciò significa che vengono identificati solo gli eventi in cui l energia totale efficacie depositata, ovvero ridotta per effetto del quenching, è superiore a circa 750 kev. Per poter utilizzare i risultati della pulse-shape discrimination durante l analisi dei dati, a ciascun evento viene assegnato un identificatore (ID), secondo lo schema nella tabella C.1. La figura C.4 mostra il risultato della discriminazione per il run già preso come esempio nei punti precedenti. Particella ID Neutrone 0 Fotone 1 Non identificata 2 Tabella C.1: Codice di identificazione delle particelle utilizzato negli algoritmi di pulseshape discrimination e analisi dei dati.

168 162APPENDICE C. PROGRAMMA DI ANALISI PER LA PULSE-SHAPE DISCRIMINATION Figura C.2: Esempio di best-fit con somma di due funzioni gaussiane alla distribuzione di E fast per gli eventi con E 0 compresa entro un intervallo definito: best-fit di questo tipo sono eseguiti durante l analisi dei dati per realizzare la pulse-shape discrimination, come descritto al punto 2 del paragrafo precedente. Figura C.3: Le due rette individuate durante la pulse-shape discrimination per descrivere la dipendenza di E fast da E 0.

169 163 Figura C.4: Risultato finale della pulse-shape discrimination, sovrapposto al grafico di figura C.1; in rosso, i punti individuati come eventi di tipo γ, in nero quelli di tipo n. Tutti gli eventi con E 0 inferiore a 100 canali FERA non sono identificati.

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