TENSIONE SUPERFICIALE

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1 TENSIONE SUPERFICIALE La tensione superficiale è un fenomeno alla cui esistenza possiamo risalire dall'osservazione di molti fatti sperimentali. Ad esempio una goccia d'olio d'oliva, posta in una miscela di acqua e alcool di densità eguale a quella dell'olio, assume una forma sferica. La goccia può essere deformata con piccole sollecitazioni, ma appena abbandonata a se stessa riassume la forma sferica. L'esperienza mostra inoltre che la superficie libera di un liquido, in prossimità dei bordi del recipiente che lo contiene, assume una concavità verso l'alto o verso il basso, con un angolo di raccordo che dipende dal liquido e dal materiale con cui è fatto il recipiente. Numerosi altri esempi potrebbero essere ricordati, come il galleggiamento degli insetti sulla superficie dell'acqua o le bolle di sapone. Consideriamo il liquido contenuto nel recipiente di fig.1. Fra le molecole di un liquido agiscono delle forze di coesione (attrattive), più deboli di quelle che impongono ai solidi una forma propria, ma più forti di quelle che permettono ai gas di assumere la forma e il volume del recipiente che li contiene. I liquidi infatti hanno un volume proprio, ma assumono la forma del recipiente che li contiene; tuttavia, in alcuni casi la superficie libera del liquido, a causa di tali forze di coesione, assume una forma propria. In figura 1 su ogni molecola agiscono forze attrattive (di coesione) dovute a tutte le molecole vicine, forze che decrescono rapidamente con l'aumentare della distanza. In particolare ogni molecola viene attratta dalle molecole che si trovano entro la sfera di azione molecolare (il cui raggio massimo Fig.1 R=0 R a r ia a cq u a R=0 è di circa 100 nm). Le due molecole in figura, la cui sfera di azione è completamente interna al liquido, sono in equilibrio perché è nulla la risultante di tutte le forze che si esercitano su di loro. Nel caso della molecola in superficie una parte della sfera d'azione delle forze di coesione si trova in aria. E' evidente che su tale molecola si esercitano anche forze attrattive dovute alle molecole dell'aria sovrastante (forze di adesione), ma tali sono forze più deboli di quelle di coesione; infatti nel disegno sono state tracciate forze di intensità minore e con sfera di azione di raggio minore (n.b.: la proporzione fra le lunghezze dei vettori in acqua e in aria è arbitraria). Perciò, su tutte le molecole che si trovano in prossimità della superficie libera del liquido la risultante delle forze attrattive è diversa da zero come mostrato in figura 1: le molecole all'interfaccia liquido-aria sono attirate verso l'interno del liquido e per portare molecole in superficie è necessario compiere lavoro. Esiste in sostanza una tensione superficiale che tende ad opporsi ad ogni aumento della superficie libera del liquido, che quindi assume all' equilibrio una forma caratterizzata dalla minima area e dalla minima energia potenziale. Un esperimento che mette in evidenza la direzione e il verso delle forze dovute alla tensione superficiale è descritto in fig.2: a b Fig.2 1

2 sulla lamina liquida delimitata dal telaietto rigido viene posato un leggero filo chiuso ad anello, e ripiegato in modo qualsiasi (a); con uno spillo si rompe la membrana racchiusa dal filo, che subito assume forma circolare (b). Ora all'interno della circonferenza si trova l'aria ed all'esterno la lamina liquida che evidentemente tiene teso il filo con forze dirette e orientate come indicato in figura (tangenti alla lamina liquida, dirette perpendicolarmente al contorno e orientate verso la lamina stessa). Per definire operativamente la tensione superficiale possiamo ricorrere a un telaietto con un lato scorrevole (fig.3) sul quale sia stata depositata una lamina liquida molto sottile. A l F B a) b) Fig.3 A B l x F Il lato AB di lunghezza l può scorrere liberamente sul telaietto rigido e la forza F applicata è necessaria per equilibrare le forze di tensione superficiale e quindi per mantenere invariata la superficie della lamina liquida (fig.3a). A parità di area del telaietto, variando la lunghezza del lato scorrevole, si vede sperimentalmente che la forza necessaria per mantenere l'equilibrio varia in maniera direttamente proporzionale ad l, mentre mantenendo costante l e variando la superficie della lamina la forza F non cambia. Aumentiamo ora di una quantità infinitamente piccola e per un intervallo di tempo infinitamente breve l'intensità della forza F in modo da mettere in movimento il lato mobile AB e manteniamolo poi in movimento con velocità costante riportando la forza al valore F che equilibra le opposte forze di tensione superficiale; se AB si sposta di un tratto x, la superficie della lamina aumenta di s = 2l x (il fattore 2 sta ad indicare che la lamina liquida ha due facce e che la superficie di ciascuna aumenta di l x) ed il corrispondente lavoro è L = F x. E' evidente che aumentando S aumenta L: sperimentalmente si trova che le due grandezze sono direttamente proporzionali; sarà quindi: 1) τ = L S I1 coefficiente di proporzionalità τ prende il nome di tensione superficiale. Esso rappresenta il lavoro necessario per l aumento unitario di superficie della lamina (oppure l energia potenziale dell unità di superficie libera) e nel sistema S.I. si misura in J/m 2. Ricordando che L = F x e S = 2l x si può anche scrivere: F x = τ.2l x da cui si ottiene: 2) τ = F / 2l 2

3 Quindi la tensione superficiale si può anche definire come la forza agente per unità di lunghezza del contorno della lamina e nel sistema S.I. si misura in N/m. Dall'esperimento descritto in fig.2 si nota che tale forza è tangente alla superficie libera del liquido e perpendicolare al contorno. Tornando alla figura 1 è chiaro che la tensione superficiale di un liquido all'interfaccia di due mezzi dipende dalla natura di entrambi i mezzi, infatti, considerando di nuovo la molecola in superficie, la risultante delle forze che attira tale molecola verso l'interno del liquido dipende sia dalle forze di coesione (che si esercitano fra le molecole del liquido) sia dalle forze di adesione (che si esercitano fra le molecole del liquido e quelle del mezzo con cui il liquido si trova a contatto, aria in questo caso). La tensione superficiale di un liquido diminuisce all'aumentare della temperatura e può cambiare notevolmente se nel liquido sono presenti anche solo piccole tracce di sostanze disciolte. Per es. l'acqua saponata ha una tensione superficiale inferiore a quella dell'acqua pura: per questa ragione si ottengono facilmente lamine e bolle di acqua saponata, mentre con acqua pura esse si rompono subito per l'elevato valore di τ. Le sostanze che in soluzione abbassano la tensione superficiale del solvente sono dette "tensioattive". Sono di questo tipo i saponi, gli alcool, gli idrocarburi e le proteine. Anche la diversa miscibilità di due liquidi, dipende dalla loro tensione superficiale. In due liquidi completamente miscibili tra loro, l'energia superficiale delle superfici di contatto è infatti uguale a zero, mentre è notevolmente elevata se i liquidi non sono miscibili, come per esempio nei miscugli acqua/olio. In questo caso la miscibilità può essere favorita facendo intervenire all'interno dei liquidi delle altre forze, per esempio di tipo centrifugo o elastico, che si ottengono rispettivamente per centrifugazione o per irraggiamento con ultrasuoni. Questi metodi sono utilizzati nella preparazione delle emulsioni ed in molte tecniche industriali per la detergenza di superfici, la formazione di schiume, la flottazione ecc. Formula di Laplace Molti fenomeni di cui è responsabile la tensione superficiale trovano la loro spiegazione nel fatto che quando la superficie limite non è piana, la risultante delle forze dovute alla tensione superficiale è normale a tale superficie ed è orientata verso il centro di curvatura. Questo si può dimostrare facilmente se la superficie limite è sferica, sia nel caso di una lamina liquida (goccia, bolla di sapone), che nel caso di una membrana elastica (palloncino). 3

4 Consideriamo un punto P di una P S superficie limite di forma sferica in equilibrio ed immaginiamo attorno ad esso una calotta sferica S (fig.4). Sulla circonferenza limite della calotta sono evidentemente applicate le forze dovute alla tensione superficiale, in direzione tangente alla superficie sferica e O perpendicolare al contorno della calotta sferica: ciascuna di queste forze ha una componente diretta secondo il raggio OP della sfera e una perpendicolare ad esso. Le componenti perpendicolari ad OP hanno risultante nulla perché sono a due Fig. 4 a due eguali ed opposte; le altre hanno invece una risultante diversa da zero, diretta verso il centro della sfera e come tale perpendicolare in P alla calotta. In sostanza, per effetto della tensione superficiale, la calotta è sollecitata verso il centro della sfera cui appartiene. Quindi le forze di tensione superficiale hanno in ogni punto della superficie sferica una componente diretta verso il centro della sfera e l' equilibrio per un dato raggio della lamina sferica è assicurato da una sovrappressione p esistente all'interno della sfera rispetto all'esterno (le forze dovute alla sovrappressione sono dirette dall'interno verso l'esterno). [L'esistenza della sovrappressione fra l'interno e l'esterno della sfera è chiaro se si pensa che per gonfiare un palloncino o una bolla di sapone è necessario soffiare]. La legge di Laplace definisce la relazione che lega la tensione superficiale della lamina alla sovrappressione all'interno della sfera ed al raggio della sfera. Consideriamo una superficie limite di forma sferica (ad esempio una goccia di liquido) e teniamo presente che all'equilibrio la risultante delle forze sull' interfaccia acqua/aria deve essere nulla. Immaginiamo di tagliare la sfera mediante un piano equatoriale: otteniamo l'emisfero in figura 5. 4

5 F si = p S i α i S oi F si// S i α i =F si cosα i P r l i p int F si = p S i p=p int -p est F li = τ l i Fig. 5 Sul bordo circolare di raggio r agiscono le forze di tensione superficiale esercitate dall'altro emisfero: su ciascun tratto l si esercita una forza Fli=τ li; la risultante di tali forze è: 3) Fl = τ Σ li = τ2πr A questa forza fa equilibrio una forza dovuta alla differenza tra la pressione interna e la pressione esterna: p=pint-pest. Dividiamo la superficie emisferica in tante superfici elementari Si, abbastanza piccole da poter essere ritenute piane e fissiamo la nostra attenzione su due di esse diametralmente opposte. Il modulo della forza che si esercita su ciascuna delle superfici considerate è Fsi=p Si. E' chiaro che le forze sulle singole piccole superfici hanno direzioni diverse; scomponiamo ciascuna forza nelle sue componenti perpendicolare e parallela al raggio disegnato. Le componenti perpendicolari al raggio si annullano, mentre le componenti paralleli si sommano. Il modulo di ogni componente parallela è: F si =F si cosα i = p S i cosα i e, notando che Si cosαi è uguale a Soi, cioè uguale alla proiezione di Si sul piano equatoriale, si ottiene la risultante: 4) Fs=ΣFsi// =ΣFsicosαi =Σ p Si cosαi = pσ Soi = pπr2 All'equilibrio R=0, cioè Fl=Fs: τ 2πr=pπr 2 da cui 5) p = 2τ/r che è la formula di Laplace. Essa dice che la pressione che per effetto della tensione 5

6 superficiale si esercita su una superficie limite curva (diretta lungo il raggio verso il centro della stessa superficie) è inversamente proporzionale al raggio di curvatura di tale superficie. Tale pressione è equilibrata da una sovrappressione p=pint-pest diretta in verso opposto. Ovviamente p e τ sono inversamente proporzionali solo se la tensione superficiale non varia al variare del raggio, circostanza che non è sempre vera (ad esempio τ non è costante nel caso degli alveoli polmonari). La (5) è valida per bolle liquide piene come ad esempio una goccia di acqua o di mercurio; nel caso di una bolla di sapone che è vuota al suo interno, essa diventa p = 4τ/r perché bisogna tener conto non solo della superficie esterna, ma anche della superficie interna. Inoltre per una membrana elastica di forma elissoidale si ha: 6) p = τ/r1 + τ/r2 dove r1 ed r2 sono i raggi delle sezioni principali. Per le membrane di forma cilindrica, quando uno dei raggi può essere ritenuto infinitamente grande (come nel caso dei vasi sanguigni) si ha: 7) p = τ/r τ sa τ sa τ la Forze di contatto τ sl α τ la Fig.6 τ sl α Fig.7 Quando un liquido è contenuto in un recipiente, le sue molecole sono attratte verso le pareti da una forza detta di adesione. Allo stesso tempo esse sono soggette anche alle forze di coesione che le tengono legate al liquido stesso. Quando le forze di adesione superano quelle di coesione, il liquido bagna le pareti del recipiente e la superficie libera mostra una concavità rivolta verso l'alto come si vede in fig. 6; è questo il caso dell'acqua a contatto con il vetro. Quando invece le forze di adesione sono minori di quelle di coesione, ed è questo il caso del mercurio a contatto con il vetro, il liquido non bagna le pareti del recipiente e la concavità è rivolta verso il basso (fig.7). L'angolo α formato fra la parete del recipiente e la tangente alla superficie del liquido nel punto di contatto con la parete prende il nome di angolo di raccordo. Per un dato liquido e per un dato materiale del recipiente esso assume un valore costante; nel caso di contatto acqua-vetro è α = 25. Il fenomeno si spiega ammettendo l'esistenza, lungo la linea di contatto dei tre mezzi, di tre tensioni superficiali: aria-liquido τla, aria-solido τsa e liquido-solido τsl. In condizioni di equilibrio, lungo la verticale deve essere: 8) τ sa = τ sl + τ la cos α come si ricava dalle fig. 6 e 7. Se τls > τsa allora cosα deve essere negativo e quindi α > 90 (fig. 7), come nel caso del 6

7 mercurio. Se invece τls < τsa allora cosα è positivo e quindi α < 90, come nel caso dell'acqua (fig. 6). Si spiega così perché quando cade del mercurio su una lastra di vetro si formano tante piccole gocce, magari distorte per effetto della forza di gravità, ma con superfici di contatto mercurio-vetro ridotte al minimo. Il contrario succede invece per l'acqua, le cui gocce su una lastra di vetro si espandono il più possibile rendendo grande la superficie di contatto acqua-vetro. Capillarità Quando le forze di adesione superano quelle di coesione, il liquido contenuto in un tubicino sottile, aperto alle due estremità, sale ad una certa quota h rispetto al livello dello stesso liquido contenuto in una bacinella nella quale il tubicino si trovi immerso (fig. 8a); il contrario succede se le forze di adesione sono più piccole di quelle di coesione (fig. 8b). Questi effetti prendono il nome di effetti di capillarità. Il valore di h si può facilmente calcolare. Consideriamo il caso in cui il liquido bagna la parete: in figura 8a, è mostrato molto ingrandito un capillare tanto sottile da consentire al menisco di assumere la forma di una calotta sferica di raggio r e con angolo di contatto α. Indicando con R il raggio del tubo capillare e considerando l'inserto di fig.8 (ingrandimento dell'interfaccia liquido-aria nel capillare di fig.8a) si vede che: 9) cosα = R/r h A B α α r α R C D h Fig.8a Fig.8b Sappiamo che per la legge di Laplace la caduta di pressione fra i punti A (in aria) e B (nel liquido), entrambi in prossimità dell'interfaccia, è 2τ/r, dove r è il raggio di curvatura della superficie. Inoltre l'aumento di pressione fra i punti B e C è ρgh. E' evidente che la pressione nei punti A, C e D è la stessa ed è uguale alla pressione atmosferica; perciò la caduta di pressione tra i punti A e B deve uguagliare l'aumento di pressione fra i punti B e C (poiché la differenza di pressione fra i punti A e C è zero): 10) 2τ/r = ρgh ricavando r dalla (9) e risolvendo rispetto ad h si ottiene la legge di Jurin: 7

8 2 τ cos α 10) h = ρgr Quando la forza di adesione è minore di quella di coesione (fig.8b) vale ancora la (10), ma con un valore negativo di h perché α > 90 e cos α < O. L'altezza a cui si porta il liquido è in definitiva inversamente proporzionale al raggio del tubo capillare. In alternativa, si può considerare la condizione di equilibrio fra la forza verticale dovuta alla tensione superficiale sul contorno del menisco e la forza peso della colonnina liquida: τ cosα 2πr = ρπr 2 hg da cui: h = 2 τ ρgr cos α Se il capillare è molto sottile e il liquido bagna perfettamente la parete il menisco é emisferico, l'angolo di contatto è uguale a zero e la (10) diventa: h = 2 τ ρgr 8

9 SOLUZIONI Una soluzione è una miscela fisicamente omogenea costituita da due o più sostanze, le cui relative quantità possono variare con continuità entro certi limiti. In genere si considera uno dei componenti della soluzione come solvente e l'altro (o gli altri) come soluto (o soluti). Bisogna osservare che questa distinzione non indica una effettiva differenza funzionale fra i componenti. Di solito viene chiamato "solvente" il componente a concentrazione maggiore e "soluto" quello a concentrazione minore e si parla di soluzione del soluto nel solvente. La distinzione fra soluto e solvente diventa significativa nel caso di due sostanze che allo stato puro si trovano in stati fisici diversi. Si assegna allora il nome di solvente al componente che conserva nella soluzione lo stato fisico proprio dello stato puro. Sono comuni le soluzioni in cui un gas è miscelato ad un altro gas (ad esempio l'aria), e le soluzioni di un solido in un liquido, di un liquido in un liquido, di un gas in un liquido; ne sono esempio rispettivamente una soluzione di zucchero in acqua, di alcool in acqua, di ossigeno e anidride carbonica in acqua. Consideriamo ora una soluzione di due o più componenti definiamo concentrazione c di un suo componente il rapporto fra la massa m di tale componente e il volume V del solvente o della soluzione: c = m/v. l'unità di misura della concentrazione nel sistema internazionale é Kg/m3, ma molto spesso si usa: a) la molalità, ovvero il numero di moli di soluto per kg di solvente; b) la molarità, cioè il numero di moli di soluto per litro di soluzione; c) la frazione molare, cioè il rapporto fra il numero di moli di soluto ed il numero di moli totali della soluzione. DIFFUSIONE E LEGGE DI FICK Nei liquidi e nei gas le particelle (atomi, molecole e ioni) sono libere di muoversi in tutto il volume occupato dal fluido. Questo moto avviene a zig-zag a causa dei continui urti e la energia cinetica media dipende dalla temperatura assoluta. Se due liquidi miscibili, inizialmente c separati da un setto, sono messi a contatto si 2 osserva la diffusione di un liquido nell'altro: x più o meno velocemente i due liquidi finiscono per mescolarsi. s Il fenomeno può essere favorito dai c 1 c 1 > c 2 seguenti fattori: 1) scosse meccaniche o vibrazioni; Fig.1 2) gradienti termici che determinano delle correnti convettive; 9

10 3) agitazione termica delle molecole. Si parla di diffusione quando il fenomeno avviene esclusivamente a causa dell'agitazione termica. In una soluzione, ogni componente diffonde spontaneamente verso zone in cui si trovi a concentrazione minore; il fenomeno evolve verso una situazione di equilibrio, in cui la concentrazione è la stessa in ogni punto ed il flusso netto, attraverso una qualsiasi superficie ideale in seno alla soluzione, è nullo. Nel recipiente schematizzato in fig. 1 è contenuta una soluzione non in equilibrio. Consideriamo uno strato ideale di sezione S e spessore x; siano c1 e c2 le concentrazioni della sostanza che diffonde ai due lati dello strato x. Se c1 > c2, la massa di soluto che passa per diffusione nel tempo t, attraverso lo strato considerato, è: m = D c 1 - c 2 S t x dove c = c 2 - c 1 = - c 1 - c 2 (1) M S = m S t = - D c x m = -D c x S t (legge di Fick) dove MS è il flusso di diffusione e D è il coefficiente di diffusione. Nel sistema C.G.S. tale coefficiente rappresenta la quantità di sostanza espressa in grammi che attraversa la superficie di 1 cm2 in un secondo, quando la concentrazione varia di un grammo per cm 3 in un cm. Il coefficiente di diffusione dipende dalla sostanza che diffonde, dalla viscosità del solvente, dalla temperatura e, se la diffusione avviene attraverso una membrana permeabile, dipende anche dal tipo di membrana. Notiamo che l'agitazione termica non è orientata (tutte le direzioni hanno la stessa probabilità) mentre la diffusione è orientata. Cerchiamo quindi di esprimere la legge di Fick in forma vettoriale. La concentrazione è una grandezza scalare, il gradiente di concentrazione è, per definizione, un vettore che ha modulo c/ x, direzione quella in cui la variazione di concentrazione per unità di lunghezza è massima, verso quello delle concentrazioni crescenti, quindi m/s t è il modulo del vettore flusso M S, definito come: (2) M S = - D grad c Il flusso di diffusione è orientato verso le concentrazioni decrescenti quindi ha la stessa direzione del gradiente di concentrazione e verso opposto. La diffusione non concerne solo il soluto; anche il solvente diffonde a causa di un gradiente di concentrazione. Alla diffusione del soluto corrisponde quella del solvente con verso opposto: i due flussi di diffusione espressi in volumi per secondo sono uguali. Diffusione attraverso una membrana Se la diffusione avviene attraverso una membrana permeabile di spessore δ il flusso, ricordando la (1), diventa: 10

11 M S = D c δ = p c, p = D δ dove con p abbiamo indicato la permeabilità della membrana per la sostanza considerata. E' opportuno aggiungere che tutte le sostanze in soluzione attraversano le membrane con una velocità molto più bassa di quella con cui diffondono nell'acqua. La velocità di diffusione attraverso una membrana varia molto da un soluto ad un altro; per certe grosse molecole ad esempio il coefficiente di diffusione può essere nullo attraverso membrane i cui pori non siano abbastanza grandi: tali membrane risultano allora impermeabili a quelle molecole e si comportano come membrane selettive. Occorre tuttavia precisare che non si può ridurre il discorso della permeabilità selettiva ad un paragone fra dimensioni delle molecole e dimensioni dei pori. Vi sono problemi infatti di affinità chimiche fra membrane e molecole diffondenti. Inoltre, data la struttura a dipolo permanente delle molecole d'acqua, c'è un fenomeno di idratazione ionica e molecolare o solvatazione: per esempio lo ione Li dovrebbe essere circondato da 15 molecole di acqua, Na da 8, K da 4 ecc. Così è il diametro degli ioni solvatati che influisce sulla loro mobilità attraverso la membrana. Quando una membrana è selettiva, la diffusione si complica con fenomeni che non esistono in diffusione libera e che sono gli effetti osmotici. OSMOSI E PRESSIONE OSMOTICA Consideriamo la situazione sperimentale schematizzata in figura 2: un recipiente B contenente una soluzione acquosa è immerso in un recipiente A contenente acqua distillata. Il recipiente B ha il fondo costituito da una membrane semipermeabile, permeabile cioè alle molecole d'acqua ma non a quelle del soluto, e termina superiormente in una canna manometrica. Inizialmente il livello della soluzione in B e quello del solvente puro nel recipiente esterno A coincidono. Sperimentalmente vediamo però che il sistema non è in equilibrio: infatti c'è un flusso netto spontaneo di solvente attraverso la membrana dal recipiente A al recipiente B, con conseguente diluizione della soluzione ed innalzamento del livello nella canna manometrica (é evidente che dei due flussi di diffusione discussi nel paragrafo precedente, il primo, quello del soluto, é bloccato dalla membrana semipermeabile, ma il secondo, quello dell'acqua, avviene normalmente). Questo fenomeno è detto "osmosi" ed evolve in tempi anche molto lunghi verso una condizione di equilibrio. Infatti, il livello della soluzione nel recipiente B aumenta via via, creando una pressione idrostatica addizionale che si oppone alla osmosi. Per un certo dislivello h, la pressione idrostatica raggiunge un valore ρ gh, in corrispondenza del quale la osmosi si interrompe: da questo istante il flusso netto attraverso la membrana diventa nullo. Poichè il sistema è in equilibrio, è necessario che tale pressione idrostatica sia bilanciata da un'altra pressione rivolta verso l'interno della soluzione, che indichiamo con la lettera π e chiamiamo pressione osmotica. In fig. 2 è schematizzata una situazione di equilibrio. 11

12 B h p Α + ρgh p Α + π p A + ρgh = p A + π A π = ρgh Fig. 2 A livello del setto semipermeabile, di cui a lato è ingrandito un poro, agiscono dall'alto verso il basso una pressione pari alla somma della pressione atmosferica e della sovrapressione idrostatica ρgh e dal basso verso l'alto una pressione pari alla somma della pressione atmosferica e della pressione osmotica (le due superfici libere sono entrambe a pressione atmosferica). E' chiaro che una volta raggiunto l'equilibrio il dislivello misura la pressione osmotica di una soluzione più diluita di quella originale. Si può rendere questa diluizione trascurabile utilizzando un tubo di diametro molto piccolo per l'ascensione del liquido. In queste condizioni, si può dire che la pressione idrostatica dovuta al dislivello, misura la pressione osmotica della soluzione primitiva (4) π = ρ gh E' questo il principio su cui si basa il funzionamento degli osmometri. Van't Hoff studiò sperimentalmente il fenomeno della osmosi e stabilì per soluzioni diluite e ideali, alcune leggi che così possiamo riassumere: i La pressione osmotica, ad una data temperatura, è proporzionale alla concentrazione espressa come numero di moli di soluto per unità di volume della soluzione c = n/v; ii La pressione osmotica è proporzionale alla temperatura assoluta T: π = R T c = nrt V dove R è la costante dei gas perfetti. iii A uguale temperatura, soluzioni contenenti lo stesso numero di particelle, (atomi, molecole, ioni) di soluto nello stesso volume di soluzione, hanno uguale pressione osmotica. La legge si può scrivere: (5) πv = n R T equazione analoga a quella dei gas perfetti. 12

13 Questa analogia non deve far pensare ad una identità di fenomeni fisici: il soluto infatti è allo stato liquido e non gassoso, inoltre la nozione di pressione osmotica ha senso solo in caso di opposizione effettiva della soluzione al suo solvente attraverso una membrana semipermeabile. La pressione osmotica di una soluzione è comunque "numericamente" uguale alla pressione che eserciterebbero le particelle del soluto, se occupassero, allo stato gassoso, il volume a disposizione della soluzione. E' da notare che se una sostanza in soluzione si dissocia in ioni, bisogna introdurre il coefficiente di dissociazione elettrolitica, che è il numero di ioni in cui si dissocia in media una molecola di soluto (σ = 1 se la sostanza non si dissocia) (6) πv = σ n R T L'effetto osmotico è quindi raddoppiato per gli elettroliti forti in soluzione diluita (es. NaCl, σ = 2). La pressione osmotica si può misurare in atmosfere o in N/m2 o in dine/cm2. L'unità di misura più usata è la osmolarità: una soluzione si dice osmolare quando esercita la stessa pressione osmotica esercitata da una soluzione molare di una sostanza non elettrolitica (σ = 1), a 0 C. Oltre alla osmolarità si usa spesso anche la osmolalità. Per semplificare notiamo che: una soluzione che ha molarità uguale a 1, ha anche osmolarità uguale a 1, se il soluto non è dissociato; una soluzione che ha molalità uguale a 1, ha anche osmolalità uguale a 1, se il soluto non è dissociato. Se la costante di dissociazione è σ 1, la osmolarità è la osmolalità si ottengono moltiplicando per σ il numero che esprime rispettivamente la molarità e la molalità della soluzione. Per chiarire meglio il concetto precisiamo che una osmole è data da 6, particelle siano esse molecole, atomi o ioni. Ad una mole di soluto corrispondono σ osmoli dello stesso soluto, se σ è la costante di dissociazione elettrolitica. La osmolarità è quindi il numero di osmoli di soluto per litro di soluzione, la osmolalità è il numero di osmoli di soluto per Kg di solvente. Ricordando che la legge di Vant' Hoff è πv = n R T, calcoliamo ora quanto vale in N/m 2 e in atmosfere la pressione osmotica di una soluzione la cui osmolarità sia unitaria. Se la soluzione è osmolare, n/v = 1 osmole/litro = 10 3 osmoli/m 3, T = 273 K, R = 8,31 Joule/mole K π 0 = n R T V = , = 2, N/ m 2 sapendo che 1 atm = 1, N/m 2 π0 = 22,4 atmosfere. Questo significa che una soluzione ideale di osmolarità 1 (contenente perciò 6, particelle disciolte per litro di soluzione) opposta al suo solvente attraverso una membrana semipermeabile sviluppa secondo la legge di Vant'Hoff a 0 C una pressione 13

14 osmotica di 22,4 atmosfere. Ricordiamo però che questa legge vale per soluzioni ideali e che le soluzioni reali hanno un comportamento previsto dalla legge di Vant' Hoff solo se sono molto diluite. Come esempio applichiamo la legge di Vant' Hoff al plasma: poichè le particelle per litro di soluzione sono ~ N/3, se il plasma fosse opposto all'acqua attraverso una membrana semipermeabile svilupperebbe una pressione osmotica (7) π = 22,4/3 = 7,43 atmosfere. Più comunemente si dice che il plasma è circa 0,3 osmolare. (Il dosaggio chimico dà N/3 particelle di soluto per litro di soluzione del plasma, il valore calcolato della pressione osmotica (7) é tuttavia maggiore del valore misurato, che é =0.296 osmoli, valore usato per determinare la concentrazione delle soluzioni isotoniche con il plasma. Questa differenza non deve stupire, perché il plasma non é una soluzione ideale) Aggiungiamo ancora che se in una soluzione sono contenuti diversi tipi di soluto per cui la membrana è impermeabile si ha: π = π1 + π πi πn = Σσi Ci R T dove con πi si indica la pressione osmotica che l'iesimo componente eserciterebbe se si trovasse da solo nel volume della soluzione. Evidentemente una soluzione contenente più componenti può avere più pressioni osmotiche corrispondenti a membrane differenti. Per parlare correttamente di pressione osmotica di una soluzione occorre che essa sia opposta al suo solvente attraverso una membrana selettiva e bisogna specificare qual'è il tipo di membrana e per quali soluti essa è impermeabile. La parete dei capillari ad esempio è permeabile oltre che all'acqua, anche agli acidi, ai sali e alle basi (cristalloidi) ed impermeabile ai colloidi (le proteine del plasma). Se di una soluzione è indicata la pressione osmotica, senza altra precisazione, si intende considerare il caso in cui la soluzione è opposta al suo solvente attraverso una membrana rigorosamente semipermeabile, cioè permeabile solo al solvente. Due soluzioni sono isoosmotiche quando opposte al proprio solvente puro attraverso una membrana rigorosamente semipermeabile, hanno la stessa pressione osmotica. Quando due soluzioni acquose sono separate da una membrana selettiva ed è soddisfatta la condizione di equilibrio, per cui il flusso netto di solvente attraverso la membrana è nullo, si dice che le due soluzioni sono isotoniche. Se non c'è equilibrio, il flusso di solvente va dalla soluzione ipotonica a quella ipertonica. I concetti di isoosmoticità e di isotonicità non sempre coincidono, perchè le membrane biologiche non sono perfettamente semipermeabili, e per la isoosmoticità si tiene conto di tutte le particelle di soluto presenti, mentre per la isotonicità si tiene conto solo di quelle che non diffondono attraverso la membrana che separa le due soluzioni. E' interessante quello che succede nel caso di cellule. Infatti cellule immerse in soluzioni ipotoniche si gonfiano (turgore) anche fino alla rottura (lisi), mentre cellule immerse in soluzioni ipertoniche si afflosciano (raggrinzimento). Soluzioni isoosmotiche ed isotoniche con il plasma (a t = 37 C) sono ad esempio: 1) soluzioni di NaCl, moli/l σ = 1.86 (soluzione fisiologica) 2) soluzioni di Glucosio, moli/l σ = 1 14

15 Le stesse soluzioni con concentrazioni minori provocano turgore delle emazie ed anche emolisi ipotonica. Dobbiamo aggiungere che se la concentrazione salina del plasma varia molto lentamente non si ha crisi emolitica, perchè la membrana degli eritrociti è permeabile non solo all'acqua, ma anche ai piccoli ioni e molecole, che l'attraversano però molto più lentamente dell'acqua. Come esempio di soluzione isoosmolare alla precedente ma non isotonica con il contenuto delle emazie consideriamo una soluzione di urea a 20 g/l. Le emazie immerse in essa vanno incontro ad emolisi immediata, perchè la loro membrana è permeabile all'urea. Tale soluzione è quindi equivalente all'acqua pura dal punto di vista della tonicità. Concludiamo osservando che la pressione osmotica del plasma é stata prima calcolata supponendo che una membrana rigidamente semipermeabile lo separi dall'acqua; tuttavia la membrana dei capillari, che separa il plasma dal liquido interstiziale, é una membrana selettiva permeabile all'acqua e a piccoli ioni e molecole (che insieme all'acqua fanno quindi parte del solvente) ed impermeabile alle proteine, che si trovano nel plasma e non nel liquido interstiziale. Sarebbe quindi logico pensare che la differenza di pressione osmotica fra il plasma e il liquido interstiziale dipenda solo dalla concentrazione delle proteine (pressione oncotica). Essendo la concentrazione delle proteine nel plasma di circa 1 mm/litro, mediante la legge di Van't Hoff si trova per la pressione oncotica il valore π =19 mmhg, mentre il valore sperimentale é più alto di circa il 50%. Come vedremo più avanti (equilibrio di Donnan Gibbs) per la presenza di elettroliti e di proteine in forma ionica e per l'esistenza di un potenziale transmembranario, in condizioni di equilibrio la concentrazione degli ioni che diffondono attraverso la membrana non é la stessa nel plasma e nel liquido interstiziale; quindi anche gli ioni diffusibili contribuiscono alla pressione oncotica elevandone il valore a π = mmhg. LA FILTRAZIONE Se consideriamo due soluzioni acquose separate da una membrana semipermeabile, il passaggio di acqua da una soluzione all'altra può avvenire per osmosi e per filtrazione. Occupiamoci ora di quest'ultima. 15

16 Α Β Α Β h c A > c B c A > c B π A >π Β π A >π Β a) b) Fig.3 Consideriamo due soluzioni acquose di diversa concentrazione nei rami A e B di figura 3a, separate da una membrana semipermeabile; per il fenomeno dell'osmosi ci sarà un flusso di solvente proveniente dalla soluzione a concentrazione minore (cb) verso quella a concentrazione maggiore (ca). La quantità di acqua che attraversa la membrana nell'unità di tempo è M/ t = k (πa - πb) = k' (ca - cb) dove le costanti k e k' dipendono dal tipo di soluzione, dal tipo di membrana e dalla temperatura. Come è noto l'aumento di pressione idrostatica dovuto all'innalzamento del livello in A bilancia, all'equilibrio, la pressione osmotica. Infatti quando comincia ad instaurarsi il dislivello dovuto alla differenza di pressione osmotica, il gradiente di pressione idrostatica tra i compartimenti ai due lati della membrana semipermeabile determina un flusso di solvente attraverso la membrana in verso opposto a quello dovuto alla differenza di pressione osmotica. Dunque il flusso netto sarà: M/ t = k (πa - πb) - k (pa - pb) = k ( π - p) e all'equilibrio dinamico si ha M/ t = 0 da cui segue che π- p=0 e quindi π= p. Se si applica una pressione in A (fig. 3b) mediante uno stantuffo, può accadere che il gradiente di pressione annulli gli effetti del gradiente di concentrazione (prima del raggiungimento del dislivello raggiunto in assenza di pressione esterna) portando il sistema all'equilibrio (flusso netto nullo) oppure determini addirittura un flusso nel verso opposto cioè una filtrazione dei componenti, per i quali la membrana è permeabile, dalla soluzione 16

17 A alla soluzione B contro il gradiente di concentrazione. Se p>> π, la quantità di acqua che filtra nell'unità di tempo attraverso la membrana vale M/ t = k(pa - pb) (in questo caso il flusso dovuto al gradiente di concentrazione è trascurabile rispetto a quello dovuto al gradiente di pressione idraulica). Occorre precisare che la quantità M può riferirsi anche ad una quantità di "acqua e soluto", se nella soluzione è contenuto un tipo di soluto per il quale la membrana è permeabile. Le membrane biologiche, ad esempio, possono permettere il transito anche ad un certo numero di piccoli ioni o molecole come sodio, potassio, cloro, urea, ecc. ESTREMO VENOSO p < π flusso dovuto a gradiente di pressione idrostatica ESTREMO ARTERIOSO Fig.4 p > π flusso dovuto a gradiente di pressione osmotica Come esempio consideriamo la circolazione sanguigna nei capillari: la differenza di pressione osmotica fra plasma e liquido interstiziale é π = mmhg, valore che può essere stimato usando la legge di Van't Hoff e l'equilibrio di Donnan-Gibbs (come vedremo in seguito). Affinchè ci sia una situazione di equilibrio (flusso netto nullo attraverso la membrana), occorre che esista una differenza di pressione idrostatica ai due lati dell'endotelio che per filtrazione faccia passare in senso inverso attraverso la membrana la stessa quantità di acqua che passa per osmosi (ovvero π = p). La pressione idrostatica nei capillari é maggiore di quella nei tessuti: Pcapillari > Ptessuti (~ 0); tuttavia la P varia da circa 40 a circa 20 mmhg passando dall'estremità arteriosa a quella venosa dei capillari. Dunque all'estremità arteriosa si ha P > π ( P = 40 mmhg e π = mmhg) perciò c'é un flusso netto di solvente verso i tessuti (ultrafiltrazione); all'estremità venosa P < π, per cui c'é flusso netto di solvente verso l'interno dei capillari (riassorbimento). Si instaura quindi una microcircolazione di solvente attorno ai capillari, che trasferisce sostanze nutritive dal sangue ai tessuti e sostanze di scarto dai tessuti al sangue, mantenendo nullo il flusso netto complessivo lungo tutto il capillare. Se l'equilibrio descritto dovesse rompersi si avrebbero notevoli alterazioni come ad esempio l'edema. 17

18 LAVORO DI CONCENTRAZIONE - POTENZIALE CHIMICO Consideriamo il sistema in equilibrio in figura 5, formato da due soluzioni con soluti non elettroliti, aventi la stessa concentrazione (c1 = c2) e separate da una membrana Α Β semipermeabile. E' facile convincersi che per far passare solvente dall'una all'altra soluzione e quindi per concentrare una della due soluzioni e c 1 c 2 diluire l'altra occorre compiere un lavoro contro le forze di pressione osmotica (lavoro osmotico). Fig.5 Se, ad esempio, esercitiamo una pressione sulla superficie libera della soluzione contenuta nello scomparto A, otteniamo un flusso di solvente da A a B, quindi una riduzione di volume in A con aumento della concentrazione c1 e diminuzione della concentrazione c2. In analogia con la termodinamica consideriamo positivo il lavoro fatto dal sistema verso l'esterno e pensiamo che concentrare una soluzione equivale a comprimere un gas. Immaginiamo di provocare una variazione Vi di volume talmente piccola da poter ritenere costante la pressione osmotica. Il lavoro di concentrazione sarà Li = π Vi e sarà negativo perché il volume va diminuendo. Riscrivendo l'equazione (6) per un soluto non dissociato: πv = nrt, sommando il lavoro di tutte le microvariazioni di concentrazione e passando al limite per Vi 0 si ottiene: L = lim Σ i π i V i = lim Σ i nrt V i 0 V i 0 V i 0 V i V i = nrt lim Σ i V i V i = = nrt ln V 2 V 1 = nrt ln π2 π 1 = nrt ln c2 c 1 = nrt ln c 1 - nrt lnc 2 Poiché il lavoro osmotico dipende solo dalle concentrazioni iniziale e finale, tenendo presenti le analogie meccaniche ed elettriche, si definisce differenza di potenziale chimico il lavoro necessario per trasportare una mole da un punto in cui la concentrazione è c1 ad un punto in cui la concentrazione è c2 contro un gradiente di concentrazione: definiamo perciò, a meno di una costante, il potenziale chimico µ : µ = RT 1n C + µ0 dove µ0 è una costante che dipende dal tipo di soluto e di solvente Si ottiene L=µ1-µ2 = - µ In una situazione di equilibrio i potenziali chimici sono uguali (µ1 = µ2), essendo 18

19 C1 = C2, quindi L = 0. LEGGE DI NERNST Consideriamo ora una membrana biologica ed analizziamone il funzionamento (figura 6). Per definizione essa separa lo spazio in due domini distinti: liquido interstiziale e liquido intracellulare.. E liquido interstiziale liquido intracellulare - + K K + Cl Cl Fig. 6 c 1 >c 2 Sperimentalmente si misura tra questi due domini una differenza di potenziale [potenziale di stato stabile della membrana, Vm = - 90 mv (interno negativo, esterno positivo), se si tratta di una membrana muscolare]. Per capire come sia possibile la presenza di tale d.d.p. in condizioni di equilibrio, prendiamo in considerazione una soluzione elettrolitica di cloruro di potassio (KCl). Facciamo ora l'ipotesi che la membrana permetta il passaggio dello ione K+ (che è più piccolo), ma non di quello Cl- e supponiamo che C1 > C2 (fig.6) ; ne segue che il potassio tenderà a diffondere verso la parte con concentrazione minore e questo flusso di cariche positive attraverso la parete creerà una asimmetrica distribuzione di carica responsabile della d.d.p. in questione. Di più: questa stessa d.d.p. costituisce una barriera di potenziale all'ulteriore diffusione del potassio e fa evolvere l'intera situazione verso l'equilibrio, quando il flusso di ioni potassio dovuto al gradiente di potenziale elettrico diviene uguale e opposto al flusso di ioni potassio dovuto al gradiente di concentrazione. Il valore stesso della differenza di potenziale all'equilibrio è un indice di quanto grande fosse la differenza di concentrazione all'inizio del processo. Ora, per fare delle ulteriori considerazioni quantitative, occorre ricordare che il lavoro osmotico ed il potenziale chimico sono stati calcolati per un soluto non dissociato. Quando sono presenti degli ioni sottoposti all'azione di un campo elettrico è necessario tener conto anche dell'energia potenziale elettrica: come si può vedere in figura 6, il potenziale elettrico varia in modo opposto a quello chimico, in altre parole se µ1 > µ2, perchè C1 > C2, allora V1 < V2, come risulta dal verso del vettore campo elettrico. Nasce così il concetto di potenziale elettrochimico µel: µel = µc + Vel 19

20 dove Vel è l'energia potenziale elettrica per grammoione e µc è il potenziale elettrochimico: Vel = V Qmole = ZeNV = VZF essendo Z la valenza degli ioni, 'e' la carica elementare, N il numero di Avogadro, V il potenziale elettrico e F = C la costante di Faraday. Dunque µel = µc + VZF = µo + RT 1n c + VZF. L = µel1 - µel2 = (RT 1n c1 + V1ZF) - (RT 1n c2 + V2ZF). All'equilibrio i due potenziali devono essere uguali (L=0): RT 1n c1 + V1ZF = RT 1n c2 + V2ZF RT 1n c1 - RT 1n c2 = ZF (V2 - V1) e RT 1n (c1/c2) = ZF (V2 - V1) L'ultima relazione può essere messa nella forma V 2 - V 1 = RT ZF.1n c 1 c 2 che prende il nome di legge di Nernst. Torniamo ora alla nostra membrana biologica e scriviamo (ponendo: 1 = est, 2 = int) V int - V est = RT ZF 1nc est c int dove Vint - Vest = Vm è il potenziale di membrana (negativo nello stato stabile ): V m = RT ZF 1nc est c int. In condizioni di equilibrio il potenziale di stato stabile della membrana è negativo all'interno, dove sono presenti ioni negativi che non diffondono attraverso la membrana, e positivo all'esterno (E' chiaro che essendo Vm negativo gli ioni positivi avranno concentrazione maggiore all'interno e gli ioni negativi all'esterno). 20

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