SIMULAZIONI AD ELEMENTI FINITI LAGRANGIANI DI FRANE A SCALA REALE IN BACINI IDRICI

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1 POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Strutturale SIMULAZIONI AD ELEMENTI FINITI LAGRANGIANI DI FRANE A SCALA REALE IN BACINI IDRICI Relatore: Prof. Umberto Perego Correlatore: Dott. Massimiliano Cremonesi Candidati: Davide Capoccia Matr Giacomo Liberali Matr Anno accademico 2014/2015

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3 Un sasso è caduto in un bicchiere, l acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Dino Buzzati iii

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5 ABSTRACT Assieme alle alluvioni e ai terremoti, le frane sono fra le catastrofi idrogeologiche più distruttive e costituiscono un grave rischio per l ambiente, le costruzioni e le persone. Una tipologia di frane, particolarmente importanti per l ingegneria civile, è costituita da frane che impattano in bacini idrici naturali o artificiali, generando onde che possono infrangersi su opere strutturali quali dighe, edifici e ponti. Sarebbe quindi utile uno strumento in grado di simulare l innesco, lo scivolamento e le relative onde generate, in modo da poter progettare le necessarie opere per la mitigazione del rischio. In questo lavoro si utilizza un codice ad elementi finiti lagrangiani (Lagrangian Particle Finite Element Method) e si modella la frana come un fluido viscoplastico non lineare alla Bingham. Il codice, già validato in diversi lavori per problemi di interazione fluido - struttura, viene utilizzato per la prima volta al fine di simulare frane a scala reale. Nell elaborato si prendono in considerazione due delle più importanti frane della storia. La frana caduta nel bacino artificiale del Vajont il 9 ottobre 1963 e la frana nella baia di Lituya del 9 luglio Le simulazioni, realizzate attraverso il modello numerico, sono precedute da una trattazione geologica/geotecnica per la valutazione dei parametri geomeccanici, utili alla comprensione del problema. Successivamente, vengono fatte delle considerazioni sul modello utilizzato, in particolare sul legame costitutivo del materiale franoso e su alcuni parametri computazionali che permettono di descrivere al meglio i diversi possibili movimenti del corpo di frana. Per fare ciò, ci si serve dei risultati di un modello fisico idraulico realizzato dopo la catastrofe del Vajont, simulandolo numericamente. La modellazione delle due frane e delle relative onde, permette di effettuare un confronto con i dati disponibili in letteratura, che comprendono anche altri studi numerici realizzati con approcci differenti. Questo serve a validare il modello e a capirne l utilità, considerando altresì la possibilità di impiegarlo per simulare dei pendii nei quali si teme possano attivarsi delle frane, dei quali non si conoscono tutti i parametri disponibili, come nel caso di quelle già avvenute. v

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7 INDICE 1 INTRODUZIONE FRANA DEL VAJONT Breve storia della vicenda La diga La frana Gli effetti dell onda Studi successivi all evento FRANA DI LITUYA Onda del 9 luglio MODELLO MATEMATICO Equazioni di Navier - Stokes Formulazione Euleriana Formulazione Lagrangiana Fluidi Newtoniani e non Newtoniani MODELLO NUMERICO Approcci numerici Particle Finite Element Method (PFEM) Generazione del dominio computazionale Triangolazione di Delaunay Metodo Alpha Shape Aggiunta e rimozione di particelle Condizioni al contorno e parametro di slip Discretizzazione spazio temporale Formulazione debole e discretizzazione spaziale Discretizzazione temporale Fractional step method Stabilizzazione della soluzione Metodo di risoluzione iterativo Riassunto della procedura di calcolo ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Modello fisico idraulico di Nancy Considerazioni preliminari sulle condizioni di slip vii

8 6.1.2 Analisi della massa compatta Analisi della massa granulare Modello frana del Vajont Creazione della geometria Creazione della mesh Scelta dei parametri geomeccanici Analisi della frana Confronto con altre simulazioni Simulazione SPH Simulazione FEM ALE ANALISI DELLA FRANA DI LITUYA Creazione geometria e mesh Scelta dei parametri geomeccanici Analisi della frana Confronto con altre analisi CONCLUSIONI ALLEGATI BIBLIOGRAFIA viii

9 INDICE DELLE FIGURE Figura 1.1, Frane della val Pola e di Sarno... 2 Figura 1.2, Carta indice di franosità territorio italiano... 3 Figura 1.3, Frana di Lituya... 4 Figura 1.4, Il bacino del Vajont prima e dopo la frana Figura 2.1 Vista aerea valle del Vajont... 6 Figura 2.2 Diga... 8 Figura 2.3, Vista frontale e sezioni trasversali... 9 Figura 2.4, Limiti della frana ipotizzati dal geologo E. Semenza in Storia del Vajont Figura 2.5, Sezione geologica dal Monte Toc al Monte Salta Figura 2.6, morfologia della valle del Vajont Figura 2.7, Ricostruzione palinplastica della paleofrana Figura 2.8, Fessura a forma di M che delimitava la massa di frana Figura 2.9, Situazione prima e dopo la frana dell ottobre Figura 2.10, Planimetria della valle Figura 2.11, Modello fisico idraulico Figura 2.12, Schematizzazione del dispositivo usato nel modello idraulico Figura 2.13, Diagrammi comparativi Figura 2.14, Area colpita dall onda Figura 2.15, La zona della frana e dintorni colpita dall onda Figura 2.16, Profili geologici pre Figura 2.17, Profili geologici post Figura 2.18, Rappresentazione delle due falde Figura 2.19, Diagramma di Hendron e Patton Figura 3.1, La baia di Lituya Figura 3.2, Morfologia della baia Figura 3.3, La baia di Lituya: vista aerea e vista terrestre dall oceano Figura 3.4, Effetto dell onda Figura 3.5, Sradicamento degli alberi Figura 3.6, Limite dell onda sui versanti Figura 3.7, Aree potenzialmente instabili nella baia di Lituya Figura 4.1, Deformazione del dominio Ω Figura 4.2, Sforzi tangenziali e viscosità apparente - fluidi non Newtoniani Figura 4.3, Confronto tra fluido Newtoniano e non Newtoniano alla Bingham. 49 Figura 4.4, Approssimazione esponenziale della legge di Bingham Figura 5.1, Confronto tra metodi Mesh free e FEM Figura 5.2, Funzione interpolante Kernel usata nel metodo SPH Figura 5.3, Celle di Voronoi e triangolazione di Delauney Figura 5.4, Separazione e ricongiunzione tra particella isolata e dominio Figura 5.5, Aggiunta e rimozione di particelle Figura 5.6, Altezza di slip Figura 5.7, Flusso alla Couette Figura 5.8, Elementi finiti che soddisfano la condizione LBB Figura 5.9, Fasi operative del metodo PFEM Figura 6.1, Fotografia del modello impiegato a Nancy ix

10 Figura 6.2, Dispositivo per la discesa del carrello Nancy Figura 6.3, Dispositivo per la discesa del materiale incoerente - Nancy Figura 6.4, Superfici e volumi del modello di Nancy creati con GID Figura 6.5, Mesh computazionale del modello di Nancy creata con GID Figura 6.6, Zona dove si rileva un anomalia nel campo della pressione Figura 6.7, Significato fisico dell anomalia delle pressioni Figura 6.8, Modello a massa compatta materiali Figura 6.9, Modello a massa compatta modulo delle velocità nodali Figura 6.10, Velocità della massa al momento dell impatto Figura 6.11, Geometria del modello e angolo α Figura 6.12, Piano inclinato e forze in gioco Figura 6.13, Quota di risalita dell onda nel modello a massa compatta Figura 6.14, Modello a massa granulare materiali Figura 6.15, Modello a massa granulare modulo delle velocità nodali Figura 6.16, Quota di risalita dell onda nel modello a massa granulare Figura 6.17, Significato matrici dati iniziali Figura 6.18, Sistema di riferimento utilizzato Figura 6.19, Gemetria iniziale Figura 6.20, Profilo del terreno derivante dai dati iniziali Figura 6.21, Profilo del terreno completo Figura 6.22, Geometria completa Figura Punti della mesh Figura 6.24, Raffinamento Figura 6.25, Profilo di velocità nel terreno in sezione altezza di slip 5 m Figura 6.26, Profilo di velocità nel terreno in sezione altezza di slip 500 m Figura 6.27, Profilo di risalita dell onda no slip acqua Figura 6.28, Profilo di risalita dell onda altezza di slip dell acqua 50 m Figura 6.29, Analisi della frana del Vajont materiali Figura 6.30, Profilo di risalita dell ondata di piena 3d Figura 6.31, Profilo di risalita dell onda di piena 2d Figura 6.32, Discordanza fra i profili di risalita dell ondata Figura 6.33, Analisi della frana del Vajont modulo delle velocità nodali Figura 6.34, Massimo valore di velocità media dell ammasso franoso Figura 6.35, Velocità massime raggiunte dall acqua e dal materiale franoso Figura 6.36, Altezza dell ondata al di sopra della diga vista in sezione Figura 6.37, Altezza dell ondata sul pendio dell abitato di Casso Figura 6.38, Andamento della pressione idrostatica sulla parete della diga Figura 6.39, Andamento della pressione sulla parete interna della diga Figura 6.40, Riassunto andamento delle pressioni Figura 6.41, Risalita dell onda, sperimentale (rosso) e numerica (verde) Figura 6.42, Confronto tra i profili dell onda Figura 6.43, Confronto delle due analisi a diversi istanti temporali Figura 6.44, Portata che sfora la diga, in dipendenza dal tempo (Vacondio et al.) Figura 6.45, Run up onda simulazione FEM ALE Figura 6.46, Confronto FEM ALE e PFEM Figura 6.47, Confronto velocità FEM ALE e PFEM x

11 Figura 7.1, Geometria iniziale completa Figura 7.2. Geometria iniziale semplificata Figura 7.3, Mesh lituya Figura 7.4, Analisi della frana di Lituya materiali slip 5 m Figura 7.5, Analisi della frana di Lituya modulo delle velocità altezza di slip 5 m Figura 7.6, Confronto sui profili di risalita dell onda altezza di slip 5 m Figura 7.7, Profilo di velocità dell onda altezza di slip 5 m Figura 7.8, Analisi della frana di Lituya materiali altezza di slip 10 m Figura 7.9, Analisi della frana di Lituya modulo delle velocità altezza di slip 10 m Figura 7.10, Analisi della frana di Lituya materiali altezza di slip 100 m. 139 Figura 7.11, Analisi della frana di Lituya modulo delle velocità altezza di slip 100 m Figura 7.12, Confronto sui profili di risalita dell onda altezza di slip 10 m Figura 7.13, Confronto sui profili di risalita dell onda altezza di slip 100 m. 141 Figura 7.14, Profilo di velocità dell onda slip 100 m Figura 7.15, Confronto tra la simulazione di E. Oñate e quella presentata nel seguente elaborato xi

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13 1 INTRODUZIONE L elaborato rientra in un programma di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano riguardante l analisi di problemi di interazione fluido-struttura, nell ambito di eventi franosi impattanti bacini idrici. La simulazione di questi fenomeni, realizzata attraverso l utilizzo di modelli computazionali, risulta, infatti, uno dei principali campi di applicazione dell Ingegneria Civile. Lo studio presentato nell elaborato si propone di analizzare due importanti frane, trattate come fluidi viscosi non lineari, servendosi di un codice di ricerca ad elementi finiti Lagrangiani. Le frane, unitamente alle alluvioni e ai terremoti, appartengono alle cosiddette catastrofi naturali. Tali fenomeni sono largamente diffusi in tutto il mondo e le zone maggiormente colpite sono: Giappone, California, Nuova Zelanda, Grecia, Italia e regione himalayana. Generalmente, gli eventi franosi hanno una diffusione ed una ricorrenza tali da generare danni e costi globali più elevati rispetto a quelli legati ad alluvioni e terremoti. Gli autori dello Special Report 176 [1] definiscono frana un movimento di masse di terreno o di roccia costituenti un pendio, limitate da una superficie ben definita, con direzione verso il basso o verso l esterno del pendio stesso. Tale definizione comprende sia i movimenti di masse di roccia e di terreni appartenenti a pendii naturali, sia i movimenti di materiale che si verificano in rinterri artificiali in discariche di rifiuti. Questi movimenti possono realizzarsi per crollo, ribaltamento, scorrimento, espandimento o colata. La definizione include, inoltre, movimenti correlati a fenomeni di creep profondo di versanti rocciosi. Vengono

14 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE invece esclusi i movimenti che interessano il suolo di copertura di un versante, correlabili a fenomeni di creep superficiale, e i movimenti di masse di materiale causati da processi di erosione diffusa e/o concentrata ad opera dell azione delle acque superficiali. Infine, la definizione non comprende i movimenti che coinvolgono esclusivamente masse di neve o di ghiaccio. [4] L Italia è un paese con rischio di catastrofi idrogeologiche particolarmente elevato. Le frane, che risultano estremamente diffuse sul territorio nazionale, sono le calamità naturali che si ripetono con maggiore frequenza e, dopo i terremoti, causano il maggior numero di vittime e di danni a centri abitati, infrastrutture, beni ambientali, storici e culturali. Dal dopoguerra ad oggi si è, poi, assistito ad un aumento del rischio da frana, a causa della crescente antropizzazione del territorio, con un espansione del tessuto urbano, che è spesso avvenuto in aree instabili. Negli ultimi vent anni, infatti, si sono verificati numerosi eventi geologicoidraulici catastrofici come ad esempio in Val Pola (1987), in Piemonte (1994), in Versilia (1996), nelle città di Sarno e Quindici (1998), nell Italia nord-occidentale (2000) e in Val Canale (2003). Figura 1.1, Frane della val Pola e di Sarno Foto di sinistra: frana della val Pola; una massa di quaranta milioni di metri cubi si stacca dal Monte Zandila precipita a valle con elevata velocità. Travolge e distrugge Sant Antonio Morignone e Aquilone. La frana ricopre, sotto tonnellate di roccia e fango, tre chilometri e mezzo di valle. La forza della frana è tale da risalire come una gigantesca onda, sul versante opposto della vallata per 250 m distruggendo gran parte del paese di Aquilone che non era stato evacuato in quanto ritenuto erroneamente fuori pericolo. Foto di destra: frana di Sarno, una massa di fango e detriti si è staccata dalla montagna e dalla collina sovrastanti i paesi di Quindici (in Irpinia), Sarno, Siano e Braciliano (Salerno). Negli ultimi quindici anni la ricerca sulle frane ha compiuto importanti progressi, sia in ambito internazionale che nazionale. Infatti, l Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la dichiarazione del Decennio Internazionale 2

15 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE per la Riduzione dei Disastri Naturali ( ), ha promosso la costituzione nell ambito dell UNESCO di una Commissione delle Società Geotecniche Internazionali per il censimento mondiale dei fenomeni franosi (International Geotechnical Societies UNESCO Working Party on World Landslide Inventory - WP/WLI) la quale ha predisposto delle linee guida per uniformare i criteri di descrizione e classificazione delle frane. [3] Nella Figura 1.2 si riporta la carta dell indice di franosità relativo al territorio italiano, che viene calcolato su una maglia di lato 1 km ed è pari al rapporto percentuale dell'area in frana sulla superficie della cella. Relativamente al territorio montano-collinare, le regioni che mostrano valori elevati di tale indice sono rispettivamente: Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Molise, Valle d Aosta e Piemonte. Figura 1.2, Carta indice di franosità territorio italiano La frana, che sia causata da una scossa sismica o da ingenti precipitazioni, che si riversi in un bacino artificiale o naturale, rappresenta, sicuramente, una delle più gravi situazioni di pericolo che si possono verificare in un territorio. Quindi, la disponibilità di uno strumento di simulazione, capace di prevedere le condizioni di innesco, il percorso e la lunghezza di espandimento di una frana, sarebbe di estrema utilità per prevenire o, almeno, limitare i danni causati da questi fenomeni. Un esempio significativo riguarda l evento franoso avvenuto, il 9 luglio 1958, nella baia di Lituya in Alaska: un terremoto e la conseguente frana nella zona del Crillon, alla testa della baia furono la causa di un'onda anomala alta circa 525 metri, che sradicò alberi e suolo e sconvolse l intero golfo, distruggendo tre pescherecci e uccidendo due persone. Tuttavia, non appena l'onda raggiunse il mare, si esaurì velocemente. 3

16 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE Figura 1.3, Frana di Lituya Foto in alto a sinistra: la baia di Lituya. Foto in alto a destra: planimetria della baia con l'indicazione della zona franata. Foto in basso: traiettoria del franamento e dell onda generata. Un secondo esempio, molto conosciuto e discusso in Italia è quello della frana nella valle del Vajont avvenuta il 9 ottobre Un imponente massa di roccia si riversò nel lago artificiale, creato dopo la costruzione della diga per scopi idroelettrici. In questo caso, la strage fu inevitabile, poiché l acqua del bacino stramazzò al di sopra della diga riversandosi nella gola del Vajont fino a raggiungere il paese di Longarone che si trovava a valle. Le vittime furono più di Data la potenza distruttiva di questi fenomeni, sarebbe utile essere in possesso di uno strumento capace di simulare l innesco e la propagazione di queste frana e, in particolare, delle eventuali onde da esse generate. In questo modo si potrebbero studiare preventivamente i possibili rischi e progettare in adeguatamente le opere di protezione necessarie. Negli ultimi decenni sono stati utilizzati diversi approcci matematici per affrontare questo problema, la cui discussione è rimandata al capitolo 4 del corrente elaborato, che contiene lo stato dell arte di questi modelli. 4

17 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE Figura 1.4, Il bacino del Vajont prima e dopo la frana. In questo studio il comportamento della frana è modellato come un fluido non Newtoniano ed è quindi stato utilizzato, per simulare l evoluzione della frana, un metodo agli elementi finiti lagrangiano PFEM (Particle Finite Element Method), che permette di rappresentare il dominio mediante un insieme di particelle, corrispondenti ai nodi della mesh, che si muovono in accordo alle equazioni che governano il problema. Le proprietà fisiche sono associate alle particelle mentre la mesh viene continuamente rigenerata. Per questo motivo, il dominio della soluzione cambia con la posizione delle particelle. Questo approccio è particolarmente adatto per i fenomeni con superficie libera in movimento e anche per problemi di interazione fluido struttura. 5

18 2 FRANA DEL VAJONT La valle del Vajont è localizzata ad ovest nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia; si snoda tra i comuni di Casso ed Erto (PN) e sfocia nella valle del Piave nella sponda sinistra, all altezza della città di Longarone (BL). I confini topografici sono rappresentati a nord dalla catena del monte Borgà, ad est dal passo di S. Osvaldo, che segna il passaggio verso la val Cimoliana, a sud dalla catena del monte Tòc ed, infine, continuando verso ovest, il limite tra la valle del Vajont e quella del fiume Piave è rappresentato dalla famosa diga SADE. La vallata in considerazione ha orientamento EST-OVEST e si è formata in seguito all erosione di un antica doccia glaciale ad opera dei due corsi d acqua principali: il torrente Vajont, che dà il nome alla valle, ed il suo affluente maggiore, il torrente Mesazzo, che confluisce in sponda sinistra, ad est della penisola della Pineda. Figura 2.1 Vista aerea valle del Vajont

19 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT 2.1 Breve storia della vicenda Il pensiero di un sistematico uso delle acque del torrente Vajont, finalizzata alla produzione di energia idroelettrica, ebbe inizio nel 1925 quando l'ingegnere Carlo Semenza avviò una corrispondenza epistolare con il geologo svizzero Jakob Hug. In questa occasione, si ebbe la prima idea di costruzione di una diga e di realizzazione di un bacino idroelettrico nella valle. Il primo progetto di massima dell'impianto venne presentato il 30 gennaio del 1929: si prevedeva una diga alta 130 metri, con un invaso massimo di 33,6 milioni di metri cubi, ubicata alla stretta del ponte di Casso (Figura 2.6). La centrale elettrica che avrebbe sfruttato il salto idraulico sarebbe, invece, sorta a Dogna. In allegato a tale progetto vi era la relazione del professore Hug, che suggeriva, appunto, questa soluzione. Il geologo, inoltre, a causa della permeabilità e della fessurazione del calcare presente in situ (calcare del Vajont), sconsigliava la collocazione della centrale presso il ponte del Colomber, dove venne, invece, effettivamente realizzata secondo il progetto definitivo. L ubicazione dello sbarramento al ponte del Colomber era stata introdotta dal geologo Giorgio Dal Piaz, chiamato per una consulenza dall ingegnere Semenza. Il professore, all interno di una relazione redatta nell agosto del 1928, proponeva la costruzione di una diga al ponte di Casso, alta al massimo 50 metri, poiché al di sopra di tale quota la roccia (formazione di Soccher), presentava caratteristiche di resistenza scadenti. Negli anni successivi seguirono altre relazioni del geologo, ma l effettiva costruzione dell opera iniziò soltanto nel gennaio del 1957, da parte della società Adriatica di Elettricità (SADE), senza, però, averne autorizzazione ufficiale dal Ministero dei Lavori Pubblici. Nell aprile del medesimo anno, venne approvata una variante del progetto iniziale per portare l altezza della diga a 257,5 metri di altezza dal fondovalle (inizialmente l altezza prevista era di 202 metri); questo rese l invaso utile di progetto pari a 150 milioni di metri cubi. Tra il 1957 ed il 1959 i lavori di costruzione proseguirono e nel settembre 1959 la diga fu terminata: 261,60 m di altezza, quota di coronamento pari a 725,50 m e quota di massimo invaso pari a 722,50 m. Iniziarono, così, le varie fasi di collaudo dell opera che prevedevano una serie di invasi e svasi a quote sempre maggiori. Come si vedrà meglio nei paragrafi successivi, negli anni che intercorrono tra la fine della costruzione ed il disastro del 1963, ci furono vari segnali premonitori di complicazioni. Con il passare del tempo, queste evidenze fecero sospettare ai tecnici incaricati l esistenza di una massa in movimento sul versante sinistro della valle. Il problema fu inizialmente sottovalutato, e quando ci si rese conto della gravità della situazione, non era più possibile alcun intervento umano per la mitigazione del rischio. 7

20 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT 2.2 La diga Scopo della diga era di fungere da serbatoio di regolazione stagionale per le acque del fiume Piave, del torrente Maè e del torrente Boite, che, precedentemente, erano destinate al bacino della Val Gallina, che alimentava la grande centrale di Soverzene. Le acque, sottratte al loro corso naturale, vennero così incanalate dalle dighe di Pieve di Cadore (Piave), di Pontesei (Maè) e di Valle di Cadore (Boite) al bacino del Vajont tramite chilometri di tubazioni in cemento armato vibrato e spettacolari ponti-tubo. A questo complesso si aggiunse, successivamente, la vecchia diga di Vodo di Cadore, che, con la sua quota, permise di alzare di 15 m la diga del Vajont, rispetto al progetto originario. In questo sistema di "vasi comunicanti", le differenze di quota tra bacino e bacino venivano usate per produrre energia tramite piccole centrali idroelettriche, come quella del Colombèr, ricavata in caverna ai piedi della diga del Vajont e quella di Castellavazzo. Le acque scaricate dalla centrale di Soverzene venivano poi condotte, tramite un canale, al Lago di S.Croce e ai successivi, con relative centrali. Tale sistema era concepito per sfruttare al massimo tutte le acque ed i salti disponibili del fiume Piave e dei suoi affluenti, di cui il bacino del Vajont era il cuore. Tuttavia, questo schema venne presto compromesso prima dalla frana del Lago di Pontesei (ora quasi vuoto per motivi di sicurezza) e, poi, dalla frana che causò il disastro del Vajont. Figura 2.2 Diga Lo sbarramento, di tipo a doppio arco, è di 261,60 m con un volume di m³ e con un bacino di 168,715 milioni di metri cubi. All'epoca della sua costruzione era la diga più alta al mondo. Attualmente, a più di 50 anni dalla costruzione, è la quinta diga più alta del mondo, la terza ad arco. Lo sbarramento è a cupola. Il suo spessore alla base è di metri e quello minimo è di 2.9 metri. Il suo coronamento è lungo metri con una corda di 161 metri. Gli scarichi di superfice sono costituiti da 16 scarichi a stramazzo distribuiti sulla maggior parte del coronamento. La diga era dotata di 4 scarichi in profondità: 8

21 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT di alleggerimento a quota 579,36 m.s.m. di mezzo fondo a quota 573,36 m.s.m. di fondo a quota 514,37 m.s.m. di esaurimento a quota 481,9 m.s.m. Oltre agli scarichi dell impianto sono presenti i due scarichi di immissione provenienti dal serbatoio del Piave (quota 600,84) e dalla centrale di Gardona (quota 585) e le due prese, una per la centrale del Colomber (quota ) e una per il serbatoio di Val Gallina (quota 591). Di fronte alla diga è presente il ponte tubo che con l impianto in funzione avrebbe dovuto costituire il by-pass dai serbatoi a monte al serbatoio di Val Gallina. Recentemente (1988), con la messa in sicurezza della zona della diga, la galleria sul ponte tubo è stata costruita a monte della diga, dentro la frana. Figura 2.3, Vista frontale e sezioni trasversali 2.3 La frana Qualcuno potrebbe pensare che lo studio sulla stabilità della zona d invaso avrebbe dovuto essere fatto prima del 1959; alla luce della prassi attuale questa obiezione è ragionevole. In realtà questo studio era già stato eseguito da tempo, ma non con l accuratezza necessaria per riconoscere tutti gli eventuali indizi di instabilità dei versanti. Il punto centrale, quindi, è la scarsità degli studi, che si facevano generalmente a quei tempi sulle frane, e la mancanza, almeno in Italia, 9

22 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT di una scuola e di una cultura sufficienti a riguardo. Gli studi preliminari erano concentrati, soprattutto, sui problemi della zona di imposta della diga. Sarebbe stato necessario indagare anche la stabilità e la tenuta idraulica dell intero bacino. Questi erano effettivamente i compiti di tipo geologico che andavano svolti ed esposti nelle relazioni geologiche sia preliminari che esecutive. In realtà tali valutazioni erano state svolte, sia da J. Hug (nel 1925 e 1927) sia da G. Dal Piaz (nel 1928). Nelle varie relazioni, che accompagnavano le domande di concessione, ad ogni variazione del progetto, ed in particolare in quelle del 1948, del 1957 e del 1958, Dal Piaz accennava solamente all esistenza della massa di un antica frana ad est del Torrente Massalezza. Egli affermava che avrebbe potuto dare luogo a smottamenti e distacchi, ma riteneva, data la natura di quell ammasso, che si sarebbe trattato di un fenomeno di scarsa entità. Alla zona del Pian del Toc (Figura 2.6) soltanto Müller (ingegnere minerario tedesco) accennava nel suo secondo rapporto, datato 16 agosto 1957, ad alcune unità rocciose molto grandi, di cui una di circa 1 milione di metri cubi o più, che presentavano fenomeni di instabilità, evidenziati da fessure verticali. Non si trattava certo della grande frana, di cui, a quei tempi, non si sospettava l esistenza, bensì soltanto della sua parte frontale e più superficiale. Oltre a questo, non erano state fornite segnalazione riguardanti altri fenomeni importanti, e, quindi, da questo punto di vista, non erano insorte particolari preoccupazioni. [2] Il 22 marzo 1959, in località Fagarè sul versante sinistro del lago artificiale di Pontesei, situato nella Valle Zoldana, si staccò una grande frana di scivolamento rotazionale, ossia su una superficie di movimento concava, valutata allora di circa 3 milioni di metri cubi di materiale sciolto. I lavori di costruzione delle diga si erano svolti dal 1955 al La frana, entrando nel lago, che quel giorno era 13 metri sotto il livello di massimo invaso, produsse un ondata che raggiunse, contro la sponda opposta, circa 20 metri di altezza. Poiché la stabilità di quel versante non aveva mai destato preoccupazioni ai tecnici, che erano gli stessi che progettarono la diga del Vajont, questo franamento, ed in particolare la sua compattezza e velocità, fu un ammonimento a prendere in maggiore considerazione questi tipi di fenomeni. [2] Dopo l evento accaduto nel bacino di Pontesei iniziarono, quindi, le preoccupazioni per il bacino del Vajont che era in fase di realizzazione. I tecnici incaricarono L. Müller, che si stava occupando dei problemi alle imposte della diga, di analizzare la stabilità dei versanti della valle. Nel luglio del 1959, dopo un sopralluogo, l ingegnere affidò, a sua volta, al geologo E. Semenza, figlio del progettista C. Semenza, il compito di svolgere una campagna di studio per mettere in evidenza eventuali fenomeni di instabilità. In [2] l autore riporta la seguente valutazione, effettuata pochi mesi dopo aver ricevuto l incarico: già verso la fine di agosto posi l attenzione sulla zona del Pian del Toc e del Pian della Pozza [ ] che si presentava come una massa in un certo senso anomala, 10

23 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT avente un area di circa un chilometro quadrato (che fosse grande il doppio lo si è scoperto poi). Nella sua parte più prossima al torrente essa sporgeva nettamente dal resto del fianco sinistro della valle, e per una notevole lunghezza era addirittura bordata da pareti molto ripide o verticali, nelle quali la roccia affiorava ovunque, ma spesso con particolarità varie assai preoccupanti [ ]. Tutta la parte rimanente del versante aveva invece un andamento conforme a quello degli strati della sottostante formazione Figura 2.4, Limiti della frana ipotizzati dal geologo E. Semenza in Storia del Vajont L ipotesi appena riportata è stata ritenuta valida anche da altri esperti che studiarono la geologia della valle dopo l evento franoso. In figura Figura 2.5 è riportata una sezione geologica con direzione N-S dalla quale si comprende la diversa giacitura degli strati rocciosi tra la massa di frana e le formazioni sottostanti. [5] Figura 2.5, Sezione geologica dal Monte Toc al Monte Salta. 1) depositi quaternari; 2) Scaglia Rossa (Cretaceo superiore - Paleocene); 3b) banchi di Socchèr (Cretaceo inferiore e superiore); 3c) strati sottili di Fonzaso-Socchèr (Giurassico superiore Cretaceo inferiore); 4) Calcare del Vajont (Giurassico medio); 5) Fm. di Igne (Giurassico inferiore); 6) Fm. di Soverzene (Giurassico inferiore); 7) Dolomia Principale (Triassico superiore); 8) Faglie e sovrascorrimenti; 9) Superfici di rottura della frana 11

24 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Oltre a queste considerazioni, Semenza, studiando attentamente le formazioni e le relative giaciture dei vari affioramenti, scoprì che la massa in esame faceva parte di una paleofrana che si sarebbe mossa in un epoca precedente. Arrivò a questa conclusione grazie all identificazione, in due formazioni presenti sul versante destro della valle, di caratteristiche simili a quelle dell ammasso sul versante opposto. Una di queste masse venne da lui denominata Colle isolato. La sua ipotesi era quindi la seguente: in passato la gola del Vajont era un altra, spostata verso destra (si veda la sezione in Figura 2.5); in seguito, una gigantesca frana cadde e occupò interamente la valle e, successivamente, per effetto dell erosione del fiume, venne scavata la valle del Vajont attuale. Questi eventi geologici spiegavano la presenza del Colle Isolato sul versante destro. La massa che, a quel punto, secondo la sua opinione, poteva rimettersi in movimento, era quella della paleofrana rimasta sul versante sinistro della valle. Vengono, ora, riportate due immagini: nella prima è rappresentata la visione aerea della valle del Vajont con l indicazione degli elementi geologici principali, che hanno portato a questa valutazione; nella seconda, invece, si riporta il tentativo di ricostruzione palinplastica della zona della paleofrana eseguito sempre da Semenza. Figura 2.6, morfologia della valle del Vajont Salta all occhio quasi ovunque il stacco morfologico tra l area della frana (contornata dalla linea continua), con chiare ondulazioni ad asse EW, e quella circostante a ovest(a sinistra) e a Sud (in basso), dove affiora il Calcare del Vjont, che non ha partecipato al movimento, ed ha una superficie molto regolare. Il margine Est ha evidenze morfologiche meno chiare. Si notino nella massa della frana il solco della valle del Massalezza (M), indicato dalle frecce, e i suoi due affluenti (o rami) e in basso la cima del montr Toc, in alto il solco del T. Vajont (TV), a destra in alto buona parte del Colle della Pineda (P).C = Casso; Co = Ponte del Colombèr; CTr = Faglia del Col Tramontin; D = Diga del 12

25 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Colombèr; D = Diga progettata al ponte di Casso; MS = Mulini delle Spesse; Or = Costa delle Ortiche; E = T. Rui; Tu = Ponte Tubo; A = Avvallamento di q. 1110; Ca = Castelletto; DP = Depressione del Pian della Pozza; E = Porzione orientale; EE = Espansione orientale; I = Colle Isolato; I = Massa analoga al colle isolato, ma meno evidente; M = T. Massalezza; MC = Masserella analoga al colle isolato, presso il ponte di casso; ME = Ramo orientale del Massalezza; MW = Ramo occidentale del Massalezza; NE = Casere Nelve; PE = Parete orientale; PN = Parete settentrionale; PNW = Parete noroccidentale del Pian del Toc; PP = Pian della pozza; PT = Pian del Toc; W = Porzione occidentale; 3-60 = Zona della frana del marzo 1960; = Zona della frana del 4 novembre [2] Figura 2.7, Ricostruzione palinplastica della paleofrana La ricostruzione, molto schematica e quindi semplificata, si riferisce ad un profilo che va dal colle isolato (I), visibile sulla destra del profilo 6, e più in alto, fino a superare il margine Sud della paleofrana. L operazione è stata fatta riportando indietro ogni volta la massa, ricomponendone a grandi linee l assetto precedente ad ogni movimento, annullando, cioè, sia l erosione interbenuta, sia le pieghe e le faglie, e rifacendosi, soprattutto, alla parete adiacente nordoccidentale del Pian del Toc. In tutti i profili, la parte bianca inferiore corrisponde al Calcare del Vjont, la sottile fascia grigia al Fonzaso con argille, la parte tratteggiata e puntinata che gli sta sopra agli strati sottili Fonzaso Socchèr, e la parte rigata ai banche di Socchèer. Inoltre, in tutti i profili, dall 1 al 5, è riportato anche il profilo topografico del 1959 (puntinato), cioè quello del profilo numero 6. Nel profilo 8, invece, è riportato il 7 (puntinato). Dal profilo terzo in poi, è presente, alla base della serie marnosa, una linea grossa di diversa lunghezza, che indica il piano dello scollamento progressivo, e poco sopra vi è una linea sottile, che con le sue ondulazioni, intende dare un idea della deformazione subita da tutto l insieme degli strati sottili, durante il progressivo scollamento dal loro substrato. Il profilo 1 si riferisce alla probabile situazione precedente ai primi movimenti. Nel profili 2 e 3 si rappresentano i primi movimenti della frana. Nel profilo 4 si sono immaginati i successivi fenomeni di erosione della parte più a monte. Il profilo 5 cerca di riprodurre il grande e complesso fenomeno della paleofrana, avvenuto dopo il ritiro del ghiacciaio, al termine del processo di scollamento dell intera massa. Nel profilo 6 si mostra la situazione precedente al 4 novembre 1960, alla quale si è giunti con fenomeni erosivi durati migliaia di anni; a destra della nuova forra, strettissima, c è il Colle Isolato che copre le ghiaie del vecchio alveo; poco sopra la forra, la linea tratteggiata mostra la frana che è scesa il 4 novembre Il profilo 7 mostra la situazione successiva al franamento del 4 novembre 1960; l accumulo è sul fondovalle. Infine, nel profilo 8 è riportato il franamento dell ottobre [2] 13

26 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Le teorie di Semenza non furono accettate da alcuni, tra cui il geologo Dal Piaz e, per alcuni aspetti, anche l ingegnere Müller, il quale non riteneva corretta l idea della paleofrana, ma che, invece, concordava riguardo l esistenza di una grossa massa in movimento. A causa di queste opinioni discordanti, si decise, quindi, di svolgere delle indagini più approfondite come ricerche geosismiche, sondaggi e misure di eventuali spostamenti. Del rilievo geosismico si occupò il professor Caloi, il quale indicava l ottimo stato della roccia, al di sotto dei primi metri. Tuttavia, questa analisi, probabilmente a causa di errori di esecuzione risultò presto errata, come indicarono anche i periti del tribunale dopo la catastrofe. I sondaggi vennero eseguiti in tre punti tra il Pian del Toc e il Pian della Pozza ed il loro scopo era quello di verificare l esistenza della paleofrana. Durante l esecuzione, la roccia incontrata era talmente fratturata che le prove non vennero portate a termine. Questo fece pensare che lo spessore della frana potesse essere molto maggiore di quello inizialmente ipotizzato e permise, inoltre, insieme al rilievo geologico di dettaglio che E. Semenza continuò a svolgere, di identificare il vero limite della frana (Figura 2.4). Infine, le misure degli spostamenti vennero eseguite dai tecnici della SADE, tramite capisaldi posizionati sul versante sinistro della vallata. Q Questi rilievi iniziarono nel maggio 1960, poco dopo l inizio dell invaso, e proseguirono fino all ottobre Già dai primi giorni, si registrarono i primi movimenti di alcuni punti, con l invaso a quota 595 metri s.l.m. e, con il passare del tempo, aumentarono ed interessarono anche altri capisaldi. Nell ottobre 1960, quando il lago era a quota 645 metri s.l.m., si iniziò a notare, sul versante meridionale, una fessura a forma di emme, di oltre due chilometri, che ricalcava il limite della frana stimato da Semenza. La larghezza della fessura variava tra 50 e 100 cm (Figura 2.8). Figura 2.8, Fessura a forma di M che delimitava la massa di frana 14

27 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Il 4 novembre 1960 si verificò un evento che avrebbe segnato la svolta nelle considerazioni sulla stabilità del versante. Sul fronte della massa individuata, e precisamente sul ripido versante a Nord del Pian della Pozza, circa 200 metri a nord della strada, si staccò una fetta di frana (di larghezza pari a circa 350 metri) di materiale roccioso che scivolò nel lago e generò un onda alta circa due metri che si infranse sulla diga. Si trattava di una massa di circa metri cubi, ossia una piccolissima parte frontale della massa totale in movimento (Figura 2.9). Figura 2.9, Situazione prima e dopo la frana dell ottobre 1960 I progettisti, preoccupati della situazione, interpellarono ancora una volta Müller, il quale dopo un ulteriore sopralluogo consigliò di procedere allo svaso del bacino. Si effettuò così uno svaso controllato e graduale, in cui il livello di acqua veniva abbassato di 5 metri ogni due giorni e, successivamente, si attendevano alcuni giorni prima di proseguire. Questo procedimento venne ripetuto fino al raggiungimento della quota di 600 m s.l.m.; a questo punto la massa si arrestò completamente Nel frattempo, i tecnici della SADE decisero di procedere alla realizzazione di una galleria di sorpasso, una sorta di by-pass, che avrebbe garantito, in caso di ostruzione della valle per opera della frana, di utilizzare ugualmente il bacino. La galleria, con un diametro di 4,5 metri, fu scavata tra il febbraio ed il settembre 1961, con imbocco presso i Mulini delle Spesse (Figura 2.6) a quota 617,4 m s.l.m. e sbocco a ridosso della diga a quota 600,7 m s.l.m.. La costruzione era anche dotata di due finestre di servizio a Ovest del Ponte di Casso e al Colombèr. Inoltre, venne eseguita una seconda campagna di indagini geofisiche, sempre sotto la guida del professor Caloi. In contrasto con i risultati della prima campagna, egli evidenziò la presenza di roccia con caratteristiche pessime, associando questo all effetto dei movimenti avvenuti in quei mesi. Tuttavia, ad oggi, non sembra possibile che il movimento di circa un metro abbia provocato una tale diminuzione delle caratteristiche geomeccaniche; ciò dimostra, ancora una volta, che nelle prime indagini furono commessi errori grossolani. 15

28 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Figura 2.10, Planimetria della valle Sono visibili l indicazione del limite della frana (linea rossa), i capisaldi per le misurazioni degli spostamenti e il tracciato della galleria di sorpasso (linea nera) [39] Il quindicesimo rapporto di Müller era completamente dedicato alla frana nella zona del Toc e fu consegnato il 3 febbraio 1961: questo documento rappresenta un apporto fondamentale per la storia della frana. Qui, viene, infatti, evidenziata un ipotesi: il completo e definitivo arresto della frana è impossibile, ma si potrebbe limitarne e controllarne la velocità: Le misure dei movimenti finora eseguite dimostrano che con l abbassamento del livello del lago si verificò una diminuzione del movimento, ma per il momento non un arresto totale. Come succedeva anche prima, ogni pioggia intensa provoca ancora ogni volta accelerazioni temporanee, di breve durata, ma spesso considerevoli. Alla domanda, se gli scivolamenti possano essere arrestati mediante provvedimenti artificiali, in linea generale si deve rispondere di no, perché anche se in teoria si volesse rinunciare del tutto alla creazione di un serbatoio, si dovrebbe suppore che una frana cosi grande, dopo essersi mossa una volta, non tornerebbe tanto presto all arresto assoluto. Non rimane quindi altra via che cercare di ottenere il controllo dello scivolamento, e di limitare con misure artificiali sia i volumi rocciosi sia la velocità delle masse in frana, in modo da evitare gravi danno alle persone e alle costruzioni esistenti. Il professore, quindi, non consigliò l abbandono del bacino, ma suggerì invece opere per ridurre gli effetti del franamento. Müller indicava, inoltre, la possibilità di stabilire un rapporto tra il livello del lago, le precipitazioni e la velocità di scivolamento, in modo da controllarne la velocità. Infatti, a velocità controllata, si sarebbe potuto far cadere, progressivamente, all interno della gola, piccole masse 16

29 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT di frana; si sarebbe così alleggerito l intero ammasso fino a quando non avrebbe avuto il peso necessario per proseguire la sua caduta (poiché nella parte frontale la superficie di movimento era sub orizzontale). L ingegnere suggerì anche di posizionare dei piezometri all interno del corpo di frana, che avrebbero aiutato a trovare un modo per regolare la velocità di discesa. Infine, egli ipotizzava la divisione in due parti della massa, sia perché i movimenti registrati erano di tipo differente, sia per la presenza del torrente Massalezza (Figura 2.6). Nel rapporto descrisse le seguenti misure attuabili, precisando, però, che nessuna di queste avrebbe risolto completamente il problema: Abbassamento lento del livello. Impedire o ridurre drasticamente la penetrazione dell acqua di precipitazione e disgelo. Alleggerire la frana. Drenare la massa, ad esempio realizzando una galleria drenante nel sottostante Calcare del Vajont. Cementare tutta la massa per renderla impermeabile. Costituire un ostacolo al piede della massa in frana. Alcuni di questi interventi erano troppo costosi e dal risultato incerto, come, ad esempio, l alleggerimento della frana o l impermeabilizzazione totale. Dopo l abbassamento del livello, la misura più efficace era sicuramente rappresentata dal drenaggio della massa mediante una galleria; nonostante un progetto di massima fu eseguito, la struttura non venne poi realizzata, anche a causa del pericolo previsto per le opere di scavo in relazione alle scarse caratteristiche geomeccaniche delle rocce. È opportuno, però, precisare che, a quell epoca, non si conosceva esattamente la caratteristica idrogeologica dell ammasso. Infatti, un successivo studio del 1985, ha dimostrato che gli acquiferi erano due. Il primo, con una fortissima permeabilità, corrispondente alla massa in movimento costituita dalle due formazioni di Socchèr e Fonzaso, molto fratturate (questo aspetto era verificato dal fatto che tre dei quattro piezometri posizionati riportavano un livello della falda corrispondente al livello del lago). Il secondo invece, nel sottostante Calcare del Vajont, era un acquifero indipendente, con una permeabilità scarsa e un altezza piezometrica molto più elevata poiché era alimentato a quote maggiori (dalla cima del monte Toc). È quindi importante specificare che una galleria drenante avrebbe avuto un effetto benefico solo se fosse stata realizzata nel secondo acquifero, cioè nel Calcare del Vajont, poiché in questo caso avrebbe diminuito di molto le sottopressioni sulla superficie di scorrimento che secondo molti esperti sono state la causa principale del movimento franoso. Ulteriore provvedimento da parte dei tecnici della SADE fu quello di commissionare al professore Augusto Ghetti, dell università di Padova, una serie di esperimenti su un modello fisico idraulico. Il modello, costruito a Nove, era la riproduzione in scala 1:200 della valle del Vajont, il cui scopo era quello di 17

30 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT indagare gli effetti idraulici (onda generata) della caduta di una frana nel serbatoio. Si effettuarono, quindi, più esperimenti cambiando il materiale e la sua velocità di caduta. Nella prima serie di esperimenti (agosto settembre 1961) il piano di scivolamento era costituito da un tavolato con un inclinazione uniforme pari a 30, mentre la massa in movimento era costituita da ghiaia tenuta in posizione da reti metalliche che venivano allentate. Questi primi esperimenti non furono soddisfacenti, poiché, secondo alcuni, in prima istanza secondo E. Semenza, il risultato non era confrontabile con quello che si avrebbe avuto con l impatto di una frana in roccia reale. Semenza suggerì quindi di cambiare il materiale e di modificare il piano di scivolamento, che nella realtà non aveva un inclinazione costante. Tuttavia, nella seconda campagna di esperimenti (Gennaio Aprile 1962), anche se si era in possesso dei profili geologici, risultò molto complesso modellare il vero piano di scivolamento; inoltre, utilizzare dei blocchi di materiale portava ad avere delle grosse resistenze di attrito non veritiere. Si continuò, quindi, ad utilizzare la ghiaia, ma si cercò di irrigidirla inserendo dei setti verticali e trainando l insieme con un trattore, in modo da poter conferire alla massa una velocità ben definita. Negli esperimenti la massa non veniva fatta cadere tutta contemporaneamente: si riteneva infatti, data la grande estensione, che essa potesse scivolare in due tempi differenti. In alcuni esperimenti, però, le due masse vennero fatte scendere ad intervalli tali da avere la massima onda possibile. Come tempi di caduta si prese in considerazione l intervallo da alcuni minuti ad un minuto. In questo ultimo caso, le ondate ottenute, sia con il lago pieno sia a 700 m s.l.m., erano di circa 30 m contro la sponda della diga. La differenza tra le due rilevazioni era rappresentata dall acqua che tracimava e si riversava nella gola: nel primo caso era di 10 milioni di metri cubi, mentre nel secondo di soli metri cubi. Per questo motivo la quota di 700 m s.l.m. venne considerata di assoluta sicurezza. È opportuno specificare che il problema principale di questi esperimenti fu la velocità data alla massa: nessuno, infatti, prima dell evento immaginava si potesse arrivare ad una velocità così elevata. I periti dei tribunali, che analizzarono gli esperimenti in seguito al disastro, riferirono che, essendo l energia proporzionale al quadrato della velocità, è plausibile che se si fossero realizzate delle prove con i tempi corretti il modello avrebbe rappresentato senza errori il comportamento reale. Tuttavia, si ritenne corretta l indicazione del tempo di un minuto come evento più catastrofico e quello di 700 m s.l.m. come quota limite di sicurezza. 18

31 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Figura 2.11, Modello fisico idraulico A sinistra: il modello di Nove in scala 1:200, usato per la seconda serie di prove. A destra: fotografia della relazione di Ghetti del Sulla sinistra si vede la massa di ghiaia appoggiata sulla superficie di scivolamento, trattenuta dalle reti di canapa e da cordicelle. Figura 2.12, Schematizzazione del dispositivo usato nel modello idraulico. La diga fu inaugurata il 17 ottobre 1961 e subito dopo iniziò il secondo invaso. Data l esperienza maturata durante il primo invaso, il secondo fu eseguito molto lentamente e con le dovute precauzioni: il livello veniva aumentato di pochi metri e successivamente si aspettavano alcuni giorni. Da quota 600 m si arrivò a 700 m soltanto nel novembre I movimenti registrati, che erano ricominciati circa nell aprile del 1962, raggiunsero il valore di 1,5 cm al giorno; si decise quindi di cominciare lo svaso. A questo punto, la velocità diminuì fino ad azzerarsi nel marzo del 1963, quando il livello del lago era a quota 650 m. Nel frattempo, la SADE fu accorpata all ENEL per effetto della legge sulla nazionalizzazione delle società elettriche. 19

32 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Dopo la seconda metà di marzo 1963, iniziò il terzo invaso, con il quale ci si prefiggeva di arrivare a quota 715, mentre il massimo era (questo non avrebbe permesso quindi il collaudo della diga). Come si può osservare dalla Figura 2.13, durante il terzo invaso, il livello crebbe, prima, rapidamente e poi a velocità sempre più ridotta fino a raggiungere quota 700 m. Al contempo, la velocità della frana era limitata, fino all inizio di agosto quando invece iniziò ad aumentare. Il comportamento più adeguato sarebbe stato, quindi, iniziare uno svaso di emergenza. Si decise, invece, di proseguire l invaso e di portare lentamente il livello a quota 710 m (tale livello fu raggiunto a fine agosto). Come si evince dal grafico, le velocità continuarono ad aumentare, e alla metà di settembre, erano di circa un centimetro al giorno, mentre, al 25 settembre, l aumento era di circa due centimetri al giorno. Vista la situazione preoccupante, i tecnici decisero di procedere ad uno svaso rapido del bacino, considerando che la quota di sicurezza data dal professor Ghetti era di 700 m. Tuttavia, questa volta, le velocità aumentarono ancora (il 4 ottobre si registravano fino a 4 centimetri al giorno); la mattina del 9 ottobre l incremento rilevato era pari a 30 centimetri al giorno. Figura 2.13, Diagrammi comparativi Dall alto verso il basso sono riportate le precipitazioni, il livello del lago, le velocità dei movimenti della frana e atmosferiche e il livello dei piezometri,, dal 1960 al 1963 (da Hendron e Patton 1985).[2] 20

33 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Il giorno 9 ottobre, alle ore la massa, di circa 270 milioni di metri cubi, si riversò nel bacino generando un onda che oltrepassò la diga, scese nella gola e rase al suolo il paese di Longarone. Durante quei minuti si registrarono delle scosse sismiche che si percepirono anche a diversi chilometri di distanza. È, dunque, importante capire quali siano stati gli errori dei tecnici e per quali motivi si siano prese determinate decisioni. Innanzitutto, la quota di sicurezza è sempre stata ritenuta valida: sono state quindi considerate, primariamente, le problematiche relative alle spalle della diga, mentre il problema della frana è stato messo in secondo piano. Infatti, per l ultimo innalzamento del livello, le deformazioni delle spalle avevano avuto una andamento non lineare e durante lo svaso da quota 710 m a 700 m non si erano annullate; per questo motivo si era deciso di mettere in posa altri tiranti, specialmente alla base della spalla destra. Un altro motivo di non preoccupazione nasceva dalla affermazioni di Caloi, il quale sosteneva, che le scosse sismiche, registrate in precedenza e soprattutto nelle ultime settimane, erano causate da terremoti con epicentro localizzato altrove. Tale affermazione venne, in seguito, ritenuta errata, poiché, sembra plausibile, che le scosse fossero generate dalla grande massa che iniziava a muoversi in modo significativo. Anche nei giorni precedenti il disastro, erano diversi i tecnici che non ritenevano veritiera l ipotesi di una frana così grande: ad esempio, il geologo Penta sosteneva che dovesse trattarsi di uno strato di spessore limitato. A convincere i tecnici della relativa non pericolosità della frana, era, soprattutto, l analisi dei movimenti che avevano raggiunto velocità massime minori, passando dal primo invaso (1960, 3,5 cm al giorno), al secondo ( , meno di 1,5 cm al giorno), nonostante il livello del lago, nel secondo caso, avesse raggiunto quota 700 m anziché 650. Müller, per giustificare questo fatto, formulò l ipotesi della prima bagnatura : egli sosteneva che il materiale sensibile alla presenza dell acqua, situato lungo il piano di scivolamento, in occasione del primo invaso, subisse un certo tipo di assestamento, e per questo motivo, alla stessa quota, durante il secondo invaso, i movimenti erano solo sensibili. Questa spiegazione, che fu poi smentita dallo stesso Müller, venne accettata dai tecnici prima dell evento. 21

34 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Gli effetti dell onda L area caratterizzata dall effettivo franamento e le zone colpite dall onda sono riportate nella Figura Figura 2.14, Area colpita dall onda. In azzurro è indicata l acqua. Le linee azzurre tratteggiate in azzurro mostrano le zone raggiunte dall onda; in rosa è rappresentato il corpo di frana al termine dell evento, mentre le parti in rosa tratteggiato costituiscono la zona di distacco. Sull effettiva altezza raggiunta dall onda ci sono, ad oggi, ancora idee contrastanti. Si ritiene che l altezza al di sopra del coronamento della diga sia stata di circa 210 metri, davanti a Casso, dove però i danni sono stati limitati. Qui, infatti, l onda non ha raggiunto l abitato: sono arrivati solo enormi spruzzi d acqua e sassi di medie dimensioni, che hanno aperto brecce in alcuni tetti. Nel paese di Erto non ci fu alcun tipo di danno e solo alcune case alle quote più basse della frazione di San Martino furono distrutte. A causa dell irregolarità del versante, l onda raggiunse quote differenti; ad esempio, in presenza di costoni, l acqua si alzava di più, ma tornava subito indietro rispetto ad una zona di pendio con inclinazione modesta e costante. Una volta raggiunto il versante destro, in prossimità di Casso, l acqua tornò indietro e si riversò sulla massa franata, trascinando detriti e frammenti strappati dalla superficie dell ammasso roccioso e depositandoli, infine, nelle zone in cui il suo moto era meno veloce (Figura 2.15). Gli edifici che si trovavano sulla massa franata furono tutti distrutti. Nella valle del Piave gli effetti furono molto più distruttivi: le frazioni di Vajont a fondovalle furono rase al suolo, Longarone fu distrutta quasi completamente, (solo una porzione di paese più a Nord non venne colpita). Lo stesso avvenne per le frazioni di Villanova e Faè. 22

35 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Dopo aver colpito Longarone, l onda si divise in due: una parte risalì la valle verso Nord fino a Davestra, dove distrusse il ponte sul Piave per poi tornare indietro, mentre l altra si diresse verso sud, distrusse Pirago e discese per la valle fino al mare facendo soprattutto danni nei paesi di Borgo Piave e Belluno. Figura 2.15, La zona della frana e dintorni colpita dall onda In giallo sono rappresentati i depositi lasciati dall onda, mentre le varie tonalità di grigio corrispondono ai vari livelli geologici. Le tre sezioni indicate sono riportate nelle figure seguenti. [2] Nonostante alcuni tecnici ritenessero nulli altri pericoli di franamento, venne comunque deciso di evacuare tutti gli abitanti della valle del Vajont. Furono rapidamente costruiti nuovi centri abitati in zone lontane per ospitare la popolazione evacuata; solo successivamente, venne ricostruito Casso ad una quota maggiore, ritenuta di sicurezza. Importanti furono anche le opere realizzate per impedire l innalzamento del livello del lago a monte, che era ormai rimasto senza fiume emissario. Per evitare reali pericoli per Erto e per altri nuclei attorno al lago a monte della frana, era estremamente urgente ripristinare l efficienza della galleria di sorpasso. La struttura doveva essere prolungata sia a valle per circa 300 metri, fino ad un centinaio di metri oltre la diga, sia a monte, collegandola nuovamente con il lago. Questa azione doveva essere eseguita mediante la costruzione di due pozzi di grande diametro e dragando presso l imbocco il materiale spostato dall onda, che ne aveva causato l ostruzione. Inoltre, si dovevano riaprire le gallerie di scarico sul fianco sinistro della diga. Nell attesa del completamento di queste opere, era però necessario garantire che il livello del lago si mantenesse sotto una certa quota. Si decise quindi di installare una grande stazione di pompaggio all estremità orientale del lago, capace di aspirare l acqua dal bacino per immetterla in una canaletta costruita a mezza costa sul versante destro della Val di Tuora. 23

36 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Studi successivi all evento Pochi giorni dopo il franamento, venne incaricato nuovamente E. Semenza insieme a D. Rossi, entrambi dell Università di Ferrara, di eseguire un rilevamento geologico di dettaglio della zona della frana. Furono disegnate due carte, una delle quali riguardava la situazione esistente; l altra, invece, ricostruiva quella precedente alla frana. Ciò fu possibile, poiché buona parte della vegetazione sul corpo di frana era stata asportata. Nella Figura 2.16 sono riportate tre sezioni della situazione precedente alla frana, mentre nella Figura 2.17 sono riportate le stesse tre sezioni dopo l evento. Figura 2.16, Profili geologici pre Profili 2 e 5 (zona occidentale) e 10 (zona orientale), prima del 9 ottobre 1963, disegnati da Rossi e Semenza. Con la lettera S sono indicati i tracciati dei sondaggi, mentre con la lettera P quelli dei piezometri. 24

37 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Figura 2.17, Profili geologici post 2 e 5 (zona occidentale) e 10 (zona orientale), dopo il 9 ottobre 1963, disegnati da Rossi e Semenza.[2] Tutto ciò permise di ricostruire molti dei dettagli stratigrafici e strutturali. Si poté, così, subito constatare che la massa, come previsto, si era mossa in un blocco unico: tutti i particolari strutturali erano rimasti pressoché identici, ad eccezione, naturalmente, della rotazione generale subita. Secondo E. Semenza, fu interessante la scoperta del movimento subito dal Colle Isolato (I), la cui massa di circa metri cubi, risultò alquanto deformata e sollevata di una cinquantina di metri rispetto alla sua posizione originaria sul versante destro. Tra i vari studi immediatamente successivi al franamento, risultano importanti quelli effettuati da Mϋller nel 1964, che descrivevano tutto ciò che era 25

38 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT successo negli anni precedenti. Un altro studio di fondamentale importanza è quello di R. Selli e L. Trevisan, due professori di geologia membri della Commissione Ministeriale d Inchiesta, i quali, con la collaborazione di M. Ciabatti, calcolarono la velocità del franamento, che secondo le loro stime doveva essere stato di circa 60 km/h. Durante il processo, le autorità giudiziarie richiesero ai periti l esecuzione di nuovi sondaggi volti a studiare il corpo di frana e, più in particolare, la superficie di rottura, che venne quindi determinata precisamente. Come si è già anticipato, il fattore che determinò la genesi di un onda così grande è da ricercarsi, senza dubbio, nella velocità con la quale la massa impattò nel bacino. Sicuramente, un elemento che ha influito nel raggiungimento di tale velocità è stata la produzione di vapore per effetto dell aumento di temperatura, dovuto alla frizione occorso a livello del piano di rottura. Bisogna però sottolineare che questa influenza è da ritenersi rilevante solo dopo che il movimento aveva già raggiunto una notevole velocità. Alcuni studiosi cercarono di calcolare, mediante prove geotecniche, i valori dell angolo di attrito del materiale argilloso presente lungo la superficie di riferimento. Queste prove portarono, tuttavia, a valori incompatibili con la velocità effettivamente raggiunta, che richiederebbe un angolo di attrito di circa 4. L argilla integra, invece, ha valori di picco all incirca pari a 20 e di circa 8 per argilla nella quale è avvenuto un movimento recente (ad esempio quello della paleofrana). Le prove portarono a risultati di circa 8. Tika e Hutchinson, in uno studio del 1999, hanno pubblicato il risultato delle loro prove effettuate con un nuovo metodo di misura. Con velocità di scivolamento superiori a 100 centimetri/giorno si è ottenuta una diminuzione dell angolo, fino ad un minimo di 5. Nel 2002 Vardoulakis, utilizzando il valore di angolo di attrito determinato da Tika e Hutchinson, ha calcolato, come velocità della massa, 20 metri/secondo raggiunti dopo 8 secondi dall attivazione e quando lo spostamento era pari a 74 metri. [5] Un grande contributo alla comprensione dei fenomeni è stato portato dallo studio di Hendron e Patton del Dopo aver scoperto la presenza di un livello di calcare ricco di sottili strati di argilla, che lo rendevano impermeabile, si poté spiegare la presenza di due acquiferi separati, appunto, da questo strato, uno nella massa della frana e uno nel sottostante Calcare del Vajont (Figura 2.18). Questa ipotesi è, inoltre, suffragata dalle misurazioni dei piezometri fatte negli anni poiché l oscillazione del livello nei due acquiferi aveva un comportamento diverso. 26

39 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Figura 2.18, Rappresentazione delle due falde Come già spiegato, a causa dell altissima permeabilità della massa di frana, nell acquifero superiore il livello della falda era uguale a quello del lago; qui le precipitazioni piovose penetravano velocemente nella massa e si trasferivano al lago e anche l acqua del lago poteva penetrare velocemente nella massa quando il livello si alzava. La variazione del livello della falda nell acquifero inferiore dipendeva, invece, solo dalle precipitazioni che penetravano in tutto il versante del monte Toc, a monte della massa di frana. Inoltre, la permeabilità del Calcare del Vajont, che stava al di sotto della frana, non era molto elevata: per questo motivo le oscillazioni del livello della falda erano molto lente. Le falde dei due acquiferi avevano, quindi, un regime differente: nella massa di frana il livello era all incirca sempre uguale a quello del lago, mentre in quello inferiore la pressione dipendeva dal totale delle piogge dei 30 giorni precedenti. Tuttavia, solo quando l acquifero era pieno, l acqua poteva esercitare sulla massa sovrastante una sottopressione non del tutto compensata dalla pressione della falda dell acquifero superiore, avendo quindi sulla massa un effetto destabilizzante. Infatti, la pressione dell acqua negli interstizi, anche piccolissimi, presenti nei livelli argillosi della Formazione di Fonzaso, riduceva la resistenza ad attrito tra i granuli che li componevano. [2] Questo fatto è confermato dal diagramma di Hendron e Patton (Figura 2.19), che mette in relazione, per ogni giorno, il livello del lago con la piovosità del periodo che lo precede e con i movimenti della massa. 27

40 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT Figura 2.19, Diagramma di Hendron e Patton La velocità di movimento della frana (in centimetri/giorno, e suddivise in quattro classi di velocità), misurate in giorni significativi (indicata di fianco a ciascun cerchietto o triangolino), sono state riportate nel diagramma. Sull asse X i giorni sono distribuiti secondo la somma delle precipitazioni nei 30 giorni precedenti, sull asse Y secondo il livello del lago. La correlazione è stata studiata per periodi di diversa durata, ma soltanto scegliendo il periodo di 30 giorni, i cerchietti risultano distribuiti in modo che tra i neri e i bianchi si possa tracciare un inviluppo di rottura dell equilibrio (linea nera), al di sopra del quale rimangono quelle combinazioni, che hanno portato, di fatto, ad accelerazioni del movimento (area in grigio). Si ritiene che in queste combinazioni si sia potuta determinare, nei livelli argillosi, una distribuzione delle pressioni nei pori sfavorevole alla stabilità della massa della paleofrana. Il risultato di questa correlazione spiega, quindi, perché in vari momenti la massa della frana è risultata instabile per determinati livelli del lago e perché essa, in altri momenti, durante i tre anni di osservazione, per un altezza del livello del lago uguale, o addirittura maggiore, è invece risultata stabile. [2] Osservando, di nuovo, la Figura 2.13, si può notare che i periodi durante i quali la massa si è mossa più velocemente sono stati proceduti da un mese di elevate precipitazioni. L importanza delle precipitazioni era stata già affermata da Mϋller nel 15 rapporto e, successivamente, anche dai periti del primo collegio. Analizzando il diagramma in Figura 2.19, si può quindi ad oggi affermare, che una galleria drenante scavata interamente nel Calcare del Vajont, atta a scaricare la falda inferiore al di sotto della frana, avrebbe probabilmente contribuito 28

41 CAPITOLO 2. FRANA DEL VAJONT all arresto del movimento franoso. A suo tempo questa soluzione non era stata approfondita sufficientemente. È inoltre facile comprendere, che il livello del lago, che avrebbe potuto portare alla frana anche in assenza di pioggia, risulta essere di circa metri. Questi valori possono essere confrontati con il massimo valore livello del lago raggiungibile (722.5 metri); ne risulta che, a tale livello, la frana avrebbe potuto innescarsi anche in un periodo di scarsa piovosità. In conclusione, il movimento così veloce della frana potrebbe, quindi, essere il risultato degli effetti combinati dell elevazione del livello del lago e dell aumento del livello piezometrico nell acquifero inferiore, causato dalle precipitazioni nei 30 giorni precedenti, unito al bassissimo valore di angolo di attrito dell argilla causato dai movimenti precedenti all evento vero e proprio. 29

42 3 FRANA DI LITUYA La baia di Lituya è un insenatura sulla sponda nord est del Golfo dell Alaska, di origine glaciale e provvista di un piccolissimo sbocco sul mare. Tutti gli esploratori che si sono avventurati in questo luogo in passato, hanno descritto la sua particolare pericolosità in relazione alle forti maree; sono però spesso stati trascurati fattori potenzialmente più distruttivi, ad esempio la stranezza idraulica che la rende incline allo sviluppo di onde enormi. Figura 3.1, La baia di Lituya

43 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Durante l ultimo secolo, sono state almeno quattro le onde che si spinsero fino al di fuori della baia, distruggendo la vegetazione sulle sponde. La più importante è sicuramente quella del 9 luglio 1958, quando, un terremoto con epicentro vicino alla baia, provocò una frana e di conseguenza un onda, che rase al suolo la vegetazione per circa 9 chilometri quadrati, distrusse due barche e uccise due persone. La baia di Lituya presenta una forma a T con un ingresso singolo; la parte principale, corrispondente allo stelo della T, è di circa 12 chilometri e ha una larghezza variabile da un chilometro a circa tre chilometri, ad eccezione dell ingresso dove la larghezza è di soli 300 metri con la bassa marea. A metà circa della baia c è un isola di piccole dimensioni che la divide in due canali. Il nome di Lituya si pensa significhi lago all interno del punto, in riferimento alla natura della baia, quasi senza sbocco sul mare. Figura 3.2, Morfologia della baia La baia riempie e sommerge lievemente una depressione incisa da un ghiacciaio vallivo di cui Lituya, North Crillon e Cascade sono ghiacciai rimanenti. Le rive intorno alle pareti esterne sono principalmente delle spiagge, e diventano pendii ad una distanza variabile tra 30 metri e 1,8 chilometri; attorno alla testa della baia, invece, le pareti sono alte e ripide. 31

44 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Il contorno sottomarino è a forma di U, con pareti scoscese e un ampio piano inclinato che si immerge verso l ingresso della baia; la profondità massima è di circa 220 metri. La marea è diurna, con una variazione pari a circa 4 metri, e la corrente di marea raggiunge una velocità di 22 chilometri all ora La baia di Lituya fa parte di una vasta zona nella quale affiorano rocce sedimentarie. Alla testa della baia i versanti sono scoscesi tipo fiordi poiché sono stati sostenuti dai ghiacciai fino a tempi recenti. Datazioni al radiocarbonio sulle alte morene suggeriscono un ritiro dei ghiacciai sono nell ultimo millennio. I due bracci alla testa della baia fanno parte di una grande fossa che si estende per decine di chilometri verso nord ovest e sud est come espressione topografica di una faglia maggiore, denominata faglia di Fairweather. Figura 3.3, La baia di Lituya: vista aerea e vista terrestre dall oceano 3.1 Onda del 9 luglio 1958 Le onde generate nella baia di Lituya, sono testimoniate da due tipi di evidenze: l osservazione diretta delle onde, tramite testimoni oculari o pubblicazioni scritte, e in secondo luogo gli effetti che l onda ha avuto, come l asportazione della vegetazione, l erosione, il trasporto di detriti, la distruzione della vita marina e delle opere dell uomo. L onda del luglio 1958 e quella dell ottobre 1936 sono documentate da entrambi i tipi di prove. Probabilmente ci sono state altre onde, ma i loro effetti sono stati cancellati dalle onde più distruttive che si sono verificate in seguito. Il frequente verificarsi di onde giganti nella baia di Lituya, in confronto a baie simili, è attribuito all effetto combinato dei seguenti fattori: frane ghiacciate recentemente su versanti scoscesi, rocce altamente fratturate, acque profonde, piogge intense, frequenti geli e disgeli. Nel 1958 si è avuto il più grande run up di onda documentato nella storia (524 m) ed è stato osservato su un crinale del versante nell insenatura Gilbert. 32

45 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Il 9 luglio 1958, alle 22:16 ora locale, i lati sud ovest e il fondo delle insenature Gilbert e Crillon si sono mosse in direzione nord ovest e verso l alto in relazione al litorale nord est in testa alla baia, sul lato opposto della faglia di Fairweather. È stato notato un movimento totale di 6,4 m in orizzontale e 1 m in verticale. Un intensa scossa nella baia è continuata per un tempo che va da uno a quattro minuti: il tempo è stato indicato da due testimoni oculari che si trovavano con le loro barche ancorati nella baia. Il sisma ha avuto una magnitudo di 8,3 della scala Richter. Non meno di un minuto e non più di due minuti e mezzo dopo il sisma, è stata avvistata per la prima volta una grande massa di roccia scivolare dal versante nord est dell insenatura Gilbert. L innesco della frana è stato causato in modo impulsivo dal movimento di faglia e dalle intense vibrazioni del sisma, permettendo una netta localizzazione sull asse del tempo. Si ritiene molto probabile l ipotesi che l intera massa si sia immersa nell insenatura Gilbert come un corpo unico nel momento del sisma. Il movimento della massa è stato classificato come una frana di crollo subaerea da Pararas Carayannis (1999) per distinguerla dai normali processi graduali di frana; Miller (1960) l aveva classificata invece tra scivolamento in roccia e frana di crollo. Lo scivolamento di roccia è avvenuto in un area di frane già attive, ad un altitudine di 915 m s.l.m, su una pendenza media di 40. Le rocce erano principalmente scisti anfibolitici e biotitici (rocce metamorfiche di origine magmatica) con una densità presunta di 2700 kg/m 3. Le dimensioni dello scivolamento sul versante sono accurate mentre lo spessore dello strato del materiale scivolato è stato stimato solo approssimativamente. La massa principale dello scivolamento ha coinvolto presumibilmente un prisma di roccia di forma più o meno triangolare in sezione trasversale, con un ampiezza che va da 732 m a 915 m, una lunghezza misurata sotto lo scivolamento di 970 m, uno spessore massimo, normale allo scivolamento, di circa 92 m, e un centro di gravità a circa 610 m di altitudine. Con queste dimensioni il volume stimato è pari a 30,6 milioni di metri cubi. Si presume che parte dello scivolamento abbia colpito il ghiacciaio di Lituya e i suoi depositi ghiaiosi morenici, infatti il fronte del ghiacciaio, dopo l evento, era una parete pressoché verticale, quasi normale all asse dell insenatura Gilbert (si veda Figura 3.4). Durante l evento circa 400 m di ghiaccio del fronte del ghiacciaio sono stati tranciati in parti e i depositi ghiaiosi sono stati spinti e spazzati via. L impatto della frana ha creato una gigantesca onda con un massimo run up di onda pari a 524 m in prolungamento rettilineo dell asse di scivolamento su un crinale sulla costa sud ovest dell insenatura Gilbert. 33

46 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Figura 3.4, Effetto dell onda Il run up di 524 m è sette volte più alto della più alta onda di run up osservata nel 1936 nel Loen Lake e circa il doppio dell onda del Vajont. La conseguenza più evidente, che ha permesso di delineare il limite che l onda ha avuto sui versanti, è stato lo sradicamento della vegetazione. Questo limite è stato misurato tramite altimetri dalla quota zero presa dal livello medio del mare. Nella Figura 3.6 è riportata la zona di testa della baia, con l indicazione della zona di distacco e del limite presunto che l onda raggiunse sulle sponde. Come si può facilmente notare, dopo essere arrivata al crinale opposto a quello di distacco della frana, l onda è in parte tornata indietro e in parte si è propagata verso la baia. Ha così inondato le parti meno ripide: sul versante sud, la più alta traccia di alberi tranciati è stata ad un altitudine pari a 208 m s.l.m.. Nell immagine è inoltre riportato il limite del ghiacciaio Lituya che si è staccato a causa del franamento. Figura 3.5, Sradicamento degli alberi 34

47 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Figura 3.6, Limite dell onda sui versanti Oltre agli effetti sulla vegetazione, sono stati identificate anche alcuni effetti sulle specie marine presenti, alcuni essere viventi (come crostacei e molluschi) sono stati spazzati via dall onda, anche se si trovavano a grande distanza dalla testa della baia. Nel 1958, ma anche tuttora sono poche le opere dell uomo presenti sulle rive della baia e risulta quindi difficile stimare la reale e potenziale entità dei danni a costruzioni. A giudicare dagli effetti sulla vegetazione e sulle barche ormeggiate, gli effetti risultanti sarebbero comunque stati devastanti. R. L. Wiegel nel 1964 ha stimato che le forze idrodinamiche che si sono spinte sugli alberi erano circa dieci volte maggiori delle forze sufficienti a spezzarli o sradicarli. Sempre secondo Wiegel, la velocità dell onda può essere stimata dalla seguente formula: v = g(d + H) (3.1) Dove, g è l accelerazione di gravità, d è la profondità dell acqua e H è l altezza dell onda sopra il livello del mare. Quindi, se si considera la profondità pari a m e l altezza dell onda pari a m si ottiene una velocità di circa 160 km/h. Se si considera invece una profondità di 400 m e un altezza di 100 m la velocità si riduce a circa 140 km/h. 35

48 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA È risaputo che le onde con grande energia sono generalmente causate da diversi meccanismi come eventi sismici subacquei, bombe atomiche e grandi masse che si immergono improvvisamente nell acqua. Le caratteristiche delle onde generate dipendono dalla forza perturbatrice e dalla morfologia della zona interessata. L onda in esame, dopo essersi abbattuta sul crinale a sud della zona di distacco, ha iniziato a oscillare intorno alla parte principale della baia, a causa della rifrazione e della diffrazione. I movimenti dell onda principale e della coda dentro la baia sono stati complicati dalla riflessione e dagli effetti batimetrici che tuttavia sono stati modellati con una buona approssimazione da un modello fisico realizzato da Wiegel. Egli, all università della California Berkley, ha realizzato un modello tridimensionale in scala 1:1000, con il quale ha potuto concludere che una lama d acqua ha spazzato il versante opposto allo scivolamento fino ad una elevazione di almeno tre volte la profondità dell acqua per uno scivolamento che ha impattato come un unico corpo e molto rapidamente. Sfortunatamente non sono disponibili i dati di questo esperimento, tuttavia Fritz (2001) ha riprodotto accuratamente il run up di 524 m in un modello fisico bidimensionale. Onde simili a quella della baia di Lituya sono state generate in molte occasioni, per cause diverse. Si può citare lo scorrimento di una parte di montagna nella baia di Shimabara in Giappone, o il distacco di grandi masse di roccia in laghi e fiordi in Norvegia, la caduta di una valanga in Alaska o ancora le frane in un lago di Washington. È importante quindi porre l attenzione in quelle zone dove si hanno pendii molto ripidi e instabili adiacenti a corpi di acqua. I terremoti possono avere un effetto di attivazione (o innesco) come per la frana di Lituya o per quella in Giappone, ma ci sono altri casi in cui nessun terremoto è stato segnalato al momento dell onda come in Norvegia o a Washington. È noto che nella baia si Lituya si sono registrate diverse onde giganti negli ultimi decenni e questi fenomeni possono essere ascritti ad un insieme di cause, alcune delle quali già discusse precedentemente. Sicuramente i più importanti sono: i versanti della baia molto ripidi e composti da rocce metamorfiche fratturate e tranciati lungo la zona di faglia, gli ammassi rocciosi sottoposti a cicli di gelo e disgelo intensificati dalle forte precipitazioni e la presenza al di sotto dei ripidi pendii di acque subito profonde. Per questi motivi, non si esclude la possibilità di altri eventi simili a quello preso in esame. Nella Figura 3.7 sono riportate le aree suscettibili di franamenti nella zona di testa della baia. 36

49 CAPITOLO 3. FRANA DI LITUYA Figura 3.7, Aree potenzialmente instabili nella baia di Lituya 37

50 4 MODELLO MATEMATICO I movimenti su larga scala di fluidi e solidi giocano un ruolo fondamentale in molti problemi legati alle scienze ambientali. In particolare gli ingegneri che si occupano di oceani, bacini idrici e dighe hanno da sempre volto la loro attenzione sulle frane che, impattando l acqua ad alta velocità, generano onde di considerevoli dimensioni. L importanza catastrofica di questi fenomeni ha stimolato intense indagini, volte a valutare il rischio associato all estensione degli allagamenti nelle aree limitrofe all evento franoso. A causa della complessità della materia da indagare, le prime predizioni ingegneristiche si basavano su test sperimentali, che sono ora frequentemente utilizzati come riferimenti per le simulazioni numeriche. Tali modelli numerici sono limitati a quei problemi in cui, poiché si considerano volumi di fluido che contengono un immenso numero di molecole, è possibile trascurare la natura discontinua del materiale franoso ed adottarne un interpretazione continua. A livello macroscopico, molti materiali come neve, lava vulcanica e detriti fluviali si comportano approssimativamente come un fluido non Newtoniano. Il modello fisico-matematico considera il flusso come un corpo continuo deformabile, in cui sono definiti campi vettoriali e scalari che rappresentano proprietà fisiche come pressione, densità, velocità etc. Questa interpretazione continua della natura del materiale consente di modellare il flusso attraverso equazioni di conservazione. Il problema fluido dinamico, infatti, è governato da un sistema di equazioni alle derivate parziali, che prendono il nome da Claude-Louis Navier e George Gabriel Stokes, i quali le derivarono indipendentemente in Francia, nei primi anni dell 800.

51 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO 4.1 Equazioni di Navier - Stokes Le equazioni di Navier - Stokes sono un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali, che descrive il comportamento di un fluido dal punto di vista macroscopico. Esse presuppongono la continuità del fluido in esame e perdono validità nello studio di un gas rarefatto. L ipotesi di base è che il fluido possa essere modellato come un continuo deformabile. A causa della loro non linearità, non ammettono quasi mai una soluzione analitica esatta, e richiedono quindi di essere trattate numericamente. Nel caso generale tridimensionale, le equazioni di Navier - Stokes coinvolgono 4 variabili indipendenti, ovvero le 3 coordinate spaziali (x, y, z) ed il tempo t, e le seguenti variabili dipendenti: Vettore velocità (3 incognite); Pressione; Densità; Tensore degli sforzi deviatorici (6 incognite); Energia interna (espressa in termini della temperatura incognita); In sostanza, le equazioni di Navier-Stokes sono la formalizzazione matematica di tre principi fisici ai quali i fluidi, come continui deformabili, sono costretti a sottostare: Principio di conservazione della massa (equazione di continuità); Secondo principio della dinamica (bilancio della quantità di moto, 3 equazioni) Primo principio della termodinamica (conservazione dell energia). Chiaramente sono richieste altre equazioni per risolvere il sistema, poiché sono state presentate 5 equazioni a fronte di 12 incognite. Con un equazione di stato è possibile mettere in relazione pressione, temperatura e densità del fluido, mentre tutti i termini del tensore di sforzo deviatorico devono essere specificati mediante appropriate relazioni costitutive. Infine le condizioni iniziali e al contorno completano il problema e lo rendono ben posto. In particolare, nel presente lavoro si considerano esclusivamente situazioni in cui la temperatura è costante e, di conseguenza, il vettore di flusso termico svanisce, consentendo di trascurare il primo principio della termodinamica, poiché risulta equivalente alla conservazione del momento della quantità di moto. Per questa ragione ci si concentra solamente sui primi due principi. Le equazioni derivanti da questi tre principi sono dette equazioni di bilancio e possono essere analizzate con due diversi approcci: Approccio Euleriano (anche detto spaziale), nel quale il movimento del fluido è studiato descrivendone le caratteristiche in funzione dello spazio e del tempo, con osservazione da punti fissi nello spazio (cioè da un volume di controllo fisso); 39

52 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Approccio Lagrangiano (anche detto materiale), nel quale il movimento del fluido è descritto seguendo la storia di ogni singola particella di fluido e descrivendone le caratteristiche in funzione dei suoi spostamenti e del tempo. La differenza fra i due approcci si evidenzia matematicamente nei soli termini contenenti derivate temporali,[9]. Considerando una generica proprietà G = f(x, y, z), la derivata totale rispetto al tempo si può scrivere come: dg dt = G t + G x x t + G y y t + G z z t = G t + G x u x + G y u y + G z u z (3.1) Il primo termine G t rappresenta il contributo dovuto alla variazione nel tempo della proprietà G nel punto geometrico considerato e viene di norma chiamata derivata locale. Gli altri sono i cosiddetti termini convettivi, relativi alla variazione del valore di G nella particella, dovuta al fatto che nell intervallo infinitesimo di tempo dt, essa si è mossa dal punto (x, y, z) al punto (x + u x dt, y + u y dt, z + u z dt), dove u x, u y, u z sono le tre componenti del vettore velocità u : in altre parole tali termini tengono in conto la variazione spaziale di G. La formula (3.1) prende il nome di regola di derivazione Euleriana, mentre in una concezione Lagrangiana, la derivata temporale di una determinata proprietà G è data solamente dalla derivata parziale rispetto al tempo, poiché il dominio considerato varia seguendo i movimenti delle particelle. In particolare, vale la seguente relazione: dg dt = G t (3.2) L approccio Euleriano viene di norma utilizzato nella maggior parte dei problemi fluidodinamici, poiché l attenzione è rivolta essenzialmente all evoluzione delle proprietà di un determinato dominio di fluido, anziché al moto delle singole particelle. Tuttavia, l approccio Lagrangiano si rivela molto efficiente nell ambito di problemi che comprendono flussi di fluidi aventi superfici libere in movimento ed ha il notevole vantaggio che i termini convettivi nelle equazioni del moto svaniscono Formulazione Euleriana Come precedentemente accennato, per lo studio teorico della fluidodinamica risulta vantaggiosa una descrizione Euleriana: a causa della possibilità di deformazioni illimitate, nello studio dei fluidi può essere complesso seguire la storia delle diverse porzioni di materia, bensì conviene fissare l attenzione su punti, linee, superfici o volumi prefissati a priori nello spazio. 40

53 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Il principio di conservazione della massa può essere espresso come segue: Per un fluido incomprimibile, la variazione di massa in un elemento infinitesimo di fluido nell unità di tempo uguaglia la differenza tra i flussi di massa entranti e quelli uscenti. Un generico flusso di massa attraverso una porzione di superficie è definito come il prodotto tra la densità ρ del fluido, la componente della velocità u in direzione perpendicolare alla superficie e l area della porzione di superficie considerata (il flusso di una componente attraverso facce parallele alla componente stessa è nullo). L equazione di conservazione della massa che ne consegue [10] risulta: ρ t + ρ div(u) = 0 (3.3) Se si considera un fluido incomprimibile, la densità è costante nel tempo ( ρ t = 0), quindi la (3.3) diventa: div(u) = 0 (3.4) Il secondo principio della dinamica esprime la conservazione della quantità di moto e può essere enunciato come segue: La variazione nell unità di tempo della quantità di moto del fluido contenuto nel volume di controllo sommata al flusso netto di quantità di moto attraverso la superficie uguaglia la risultante delle forze esterne agenti sull elemento di fluido contenuto nel volumetto stesso. Per il calcolo della variazione della quantità di moto nel tempo definita con la formulazione Euleriana si deve usare la derivazione parziale descritta nella equazione (3.1), in cui si scompone la derivazione in un termine di variazione locale della velocità (variazione nel tempo a parità di punto geometrico ma non di punto materiale) e in un termine detto convettivo, legato allo spostamento del punto materiale (nell intervallo dt la particella si è spostata e avverte la variazione spaziale della velocità). Le forze di pressione P, agenti su un elementino di fluido sono definite come: P = grad (p) (3.5) Gli sforzi deviatorici, legati alle forze di taglio, sono generati dalla viscosità del fluido in moto rotazionale e agiscono normalmente e tangenzialmente alle facce dell elementino di fluido considerato. Utilizzando la consueta notazione vettoriale si possono esprimere le forze di taglio F s come: F s = div(τ) (3.6) Per i fluidi Newtoniani, il tensore deviatorico degli sforzi τ ij può essere espresso in funzione del campo di velocità attraverso la viscosità dinamica μ, che dipende 41

54 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO dal tipo di fluido considerato: τ ij = μ ( u i x j + u j x i 2 3 u l x l δ ij ) (3.7) dove, per fluidi incomprimibili, si possono trascurare i termini u i x i [15]; pertanto l equazione (3.7) diventa: τ ij = μ ( u i x j + u j x i ) (3.8) Per ritradurre le forze di taglio, il tensore τ ij deve essere derivato come nella equazione (3.6); τ ij x j può essere sviluppato come: τ ij = (μ ( u i + u j )) = μ ( u i ) + μ ( u j ) (3.9) x j x j x j x i x j x j x j x i che, scambiando gli operatori di derivazione del secondo termine, può essere riscritta come: τ ij = μ ( u i ) + μ ( u j ) = μ x j x j x j x i x j ( u i ) (3.10) x j x j dove nell ultimo passaggio è stata applicata la conservazione della massa per fluidi incomprimibili (3.4). Infine, le forze di volume b sono dovute, nel caso in esame, alla gravità terrestre e sono considerate come il prodotto tra la densità del fluido in esame ed il vettore b = {0,0,9.81} T accelerazione di gravità. Pertanto la conservazione del momento della quantità di moto si può esprimere come: ρ ( u + u grad(u)) = grad(p) + μ u + ρ b (3.11) t dove Δ è l operatore Laplaciano, μ è la viscosità dinamica e la densità ρ è assunta costante nello spazio e nel tempo per ciascun materiale. Nell espressione precedente si riconosce, a primo membro, la derivata totale di u, mentre, a secondo membro, è possibile mettere in evidenza il tensore degli sforzi di Cauchy σ, che sarà definito più in dettaglio nel paragrafo 3.2. L equazione di conservazione della quantità di moto può pertanto essere riscritta nella seguente notazione tensoriale: 42

55 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO ρ Du Dt = div(σ) + ρ b (3.12) Il primo principio della termodinamica, ovvero il principio di conservazione dell energia può essere enunciato come: La variazione nell unità di tempo dell energia totale del fluido contenuto nel volume di controllo, sommata al flusso netto di energia totale attraverso le facce del volume di controllo, uguaglia la somma della potenza delle forze agenti sull elemento di fluido e del flusso netto di energia termica trasmessa all elemento di fluido per conduzione. Nella presente trattazione non si considera alcun flusso di energia termica, semplificando notevolmente il problema. Assumendo quindi la temperatura costante è possibile annullare le variabili vettoriali di flusso termico. Per la mancanza di flusso termico, il terzo ed ultimo principio non è necessario per la risoluzione del sistema, poichè equivalente al principio di conservazione del momento della quantità di moto. In conclusione la formulazione Euleriana del generico problema fluidodinamico può essere enunciata nel modo seguente [11]: Sia Ω t R d un dominio in movimento nell intervallo di tempo [0, T], dove d = 2,3 rappresenta la dimensione dello spazio del dominio. Sia Ω 0 la configurazione iniziale di riferimento, nella quale la posizione di una particella viene indicata con il vettore X. Nella generica configurazione Ω t, al tempo t, la posizione della medesima particella è individuata con x = χ(x, t), dove χ rappresenta il moto della suddetta particella. In ambito Euleriano, il movimento di un fluido omogeneo nel dominio Ω t, è governato dal seguente sistema di equazioni di equilibrio: Du ρ = div(σ) + ρ b { Dt div(u) = 0 in Ω t [0, T] in Ω t [0, T] (3.13) Le appropriate condizioni iniziali e al contorno, in modo da renderlo ben posto. u(x, t = 0) = u 0 { u(x, t) = u (x, t) σ n = h(x, t) in Ω 0 su Γ D (0, T) su Γ N (0, T) (3.14) In cui u 0, u, h sono funzioni assegnate, n è la normale uscente dal contorno Γ t = Ω t. Si assume che il contorno Γ t sia diviso in due porzioni non sovrapposte Γ D e Γ N, in modo che Γ D Γ N = Γ t e che Γ D Γ N =. 43

56 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Formulazione Lagrangiana A differenza della descrizione Euleriana del fenomeno, la descrizione Lagrangiana identifica un sistema materiale (particelle, insieme di particelle, corpo rigido etc..) e ne segue gli spostamenti nello spazio; in ogni istante e per ogni punto materiale sono descritti i valori delle grandezze di interesse e la posizione del punto medesimo, ottenendo una completa descrizione spazio-temporale del campo. Le leggi della fisica vengono tipicamente formulate con questo tipo di approccio, con l importante vantaggio di non dover considerare i termini convettivi nella conservazione della quantità di moto. Il punto di vista Lagrangiano è quello per cui tutte le variabili sono espresse secondo la condizione indeformata X (approccio tipico della meccanica strutturale); al contrario nel punto di vista Euleriano tutte le variabili sono espresse secondo la condizione deformata x (approccio tipico della meccanica dei fluidi). I due punti di vista si possono confondere sotto l ipotesi di piccoli spostamenti. Partendo dalle equazioni formulate nel contesto Euleriano, si possono ricavare quelle nel contesto Lagrangiano. Per fare ciò è necessario conoscere come variano il volume e la superficie del dominio considerato, a seguito della deformazione subita nel passaggio dalla situazione iniziale a quella corrente. Si consideri, dunque, un dominio di riferimento Ω 0 che si porta da una configurazione iniziale indeformata, ad una configurazione finale deformata Ω t : Figura 4.1, Deformazione del dominio Ω Come precedentemente introdotto, la trasformazione χ, che rappresenta il moto di una particella, mette in relazione le coordinate materiali X, corrispondenti alla configurazione iniziale di riferimento Ω 0, con le coordinate spaziali x, che individuano la posizione della particella nel dominio spaziale Ω t, in funzione del tempo trascorso t. x = χ(x, t) (3.15) 44

57 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Il vettore dx, distanza infinitesima tra i punti P e Q, si porterà nella configurazine deformata dx e ciò può essere espresso dalla relazione: dx = χ(x + dx, t) χ(x, t) = Sia F(X, t) il gradiente di deformazione, definito come: χ(x + dx, t) χ(x, t) χ(x, t) dx = dx X X (3.16) F(X, t) = χ(x, t) X x 1 X 1 x 1 X 2 x 1 X 3 = x 2 x 2 x 2 X 1 X 2 X 3 [ x 3 X 1 x 3 X 2 x 3 X 3 ] (3.17) nel quale le derivate s intendono calcolate nel punto X e all istante t. Pertanto è possibile definire il legame tra dx e dx come: dx = F(X, t)dx (3.18) Se esiste la trasformazione inversa (X, t) = χ 1 (x, t), allora si può scrivere: F 1 (x, t) = χ 1 (x, t) x (3.19) Definendo J come il determinante di F, la variazione di volume di un elementino infinitesimo al tempo t può essere calcolata come: dv = J(X, t) dv (3.20) Si faccia riferimento ad una configurazione indeformata, considerando un area ds di normale N. A seguito della deformazione, l area ds si trasforma nell area ds, di normale n, in base alla formula di Nanson: n ds = J F T N ds (3.21) Ora, è possibile ricavare il bilancio della quantità di moto nel riferimento Lagrangiano, partendo dalla medesima scritta in ambito Euleriano. L equazione (3.12) può essere scritta in forma integrale come: ρ D Dt v u dv = σ n ds + ρb dv s v (3.22) Passando dal riferimento Euleriano a quello Lagrangiano (dv = J dv) e nota la formula di Nanson (3.27), si ottiene: 45

58 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO ρ D Dt U J dv = σ J F T N ds + ρ 0 B J dv V S Ω 0 (3.23) ρ D Dt U dv = 1 J (J σ F T )N ds + ρ 0 B dv V S Ω 0 (3.24) Dove U = U(X, t) e B = B(X, t) sono rispettivamente il campo di velocità e il vettore delle forze di volume, riferiti alla configurazione iniziale e Ω 0 è il volume occupato dalla massa fluida nella configurazione di riferimento. Introducendo ora il tensore di Piola Kirchoff Π = J σ F T ed applicando il teorema della divergenza, si ottengono le equazioni di equilibrio nel riferimento Lagrangiano [12]: ρ DU Dt = 1 J Div(Π) + ρ 0B in Ω 0 (3.25). Il tensore di Piola Kirchoff è definito dalla relazione: Π N ds = σ n ds (3.26) Da cui, richiamando ancora una volta la formula di Nanson (3.21), è possibile ricavare l espressione precedentemente proposta: Π = J σ F T (3.27) Analogamente a quanto fatto per l equazione di bilancio della quantità di moto, si può ora analizzare il bilancio di massa. Per un fluido incomprimibile la conservazione della massa implica la conservazione dei volumi: D(ρ Ω) Dt Dove grad(u) = U. Infine, dato che X = DJ Dt = JF T : grad(u) = 0 (3.28) JF T : grad(uu) = Div( JF 1 U) Div( JF T )U (3.29) e poiché Div(JF T ) = 0, l equazione di conservazione della massa nella versione Lagrangiana assume la forma seguente: Div( JF 1 U) = 0 in Ω 0 (3.30) In conclusione il problema fluidodinamico, espresso in termini lagrangiani, può essere formulato in riferimento al seguente sistema di equazioni di equilibrio: 46

59 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO DU ρ { Dt = 1 Div(Π) + ρb J Div( JF 1 U) = 0 (3.31) 4.2 Fluidi Newtoniani e non Newtoniani Come precedentemente accennato, nel presente lavoro, si tratteranno volumi di fluido che contengono un immenso numero di molecole. In questi casi, è possibile trascurare la natura discontinua del materiale franoso ed adottarne un interpretazione continua. Nel caso generale di frane impattanti ammassi di acqua, come bacini idrici, il materiale franoso sarà trattato come un fluido viscoso Non-Newtoniano, mentre l acqua verrà modellata come un fluido viscoso Newtoniano [18]. In un fluido incomprimibile Newtoniano il tensore di sforzo σ è scomponibile in parte idrostatica p e parte deviatorica τ : σ = p I + τ (3.32) dove I è il tensore identità. Analogamente a quanto espresso dall equazione (3.8), il tensore deviatorico degli sforzi può essere scritto in funzione della velocità: τ = 2μ ε(u) (3.33) dove μ è una grandezza scalare costante che rappresenta la viscosità dinamica e ε(u) = 1 2 (grad(u) + grad(u)t ) rappresenta la parte simmetrica del gradiente di velocità. Usando le equazioni (3.32) e (3.33), l equazione della conservazione della quantità di moto (3.25) nel contesto Lagrangiano, assume la forma: ρ DU Dt = 1 J Div(JpF T ) + 1 J μ Div[J(gradU)F 1 F T ] + ρb in Ω 0 (3.34) L ipotesi di linearità tra τ e ε(u), attraverso la viscosità dinamica del fluido μ, è propria dei fluidi Newtoniani. Al venir meno di tale linearità è necessario riferirsi a fluidi non Newtoniani. Esistono diverse tipologie di fluidi non Newtoniani, che differiscono tra loro proprio per il tipo di legame tra tensore deviatorico e velocità di deformazione. Fluidi non Newtoniani possono anche essere fanghi, oli, cibi liquidi, metalli allo stato di fusione, soluzioni polimeriche o, in ambito medico, sangue. Ciascuno di questi fluidi è caratterizzato da un comportamento che correla tensore deviatorico degli sforzi e moto. 47

60 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO In generale per un fluido non Newtoniano si ha τ = τ(ε(u), t). Per definire il comportamento dei fluidi non Newtoniani si può ricorrere alla viscosità apparente μ, definita come il rapporto tra stato tensionale e velocità di deformazione. Ad esempio nel caso monodimensionale: μ = τ γ (3.35) Dove γ indica la velocità di deformazione angolare. Le diverse tipologie di fluido non Newtoniano, rappresentate in Figura 4.2, sono: materiali con comportamento dipendente dal tempo (materiali reologici) fluidi con viscosità crescente (a sforzo costante applicato) fluidi con viscosità decrescente (a sforzo costante applicato) materiali con comportamento indipendente dal tempo fluidi dilatanti: la viscosità aumenta all aumentare dello sforzo applicato fluidi pseudo-plastici: la viscosità diminuisce all aumentare dello sforzo applicato Figura 4.2, Sforzi tangenziali e viscosità apparente - fluidi non Newtoniani Nel caso monodimensionale, il modello analitico di questi ultimi due tipi di fluidi può essere espresso come: dove K è una costante legata al tipo di fluido. τ = K γ m (3.36) 48

61 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Se l esponente m < 1 allora il modello descrive un comportamento pseudoplastico; se, invece, l esponente m > 1 allora il modello descrive un comportamento dilatante. Un ulteriore tipologia di comportamento non lineare indipendente dal tempo è il modello alla Bingham (Figura 4.3), che può essere descritto come: { γ = 0 τ = τ 0 + μ γ per τ < τ 0 per τ > τ 0 (3.37) dove τ 0 è il limite di scorrimento, un parametro che indica lo sforzo tangenziale per cui si attiva la velocità di deformazione deviatorica. Figura 4.3, Confronto tra fluido Newtoniano e non Newtoniano alla Bingham Il problema fluidodinamico è, in questo caso, governato da tre parametri: la densità ρ, la viscosità μ e il limite di scorrimento τ 0. Nelle simulazioni numeriche risulta comodo sostituire le relazioni (3.37) con una funzione biunivoca che approssima il grafico della legge di Bingham nell intervallo di valori fisicamente significativi. Con buona approssimazione, la legge di Bingham può essere descritta, nel caso monodimensionale, con la seguente espressione analitica [19]: τ = [μ + τ 0 γ (1 e N γ )] γ (3.38) Valori alti del parametro N permettono una buona approssimazione della legge teorica (3.37), come evidenziato in Figura 4.4. La funzione approssimante può essere anche espressa per mezzo della viscosità apparente μ : τ = μ γ μ = μ + τ 0 γ (1 e N γ ) (3.39) 49

62 CAPITOLO 4. MODELLO MATEMATICO Il concetto di viscosità apparente può essere facilmente esteso al caso tridimensionale con il tensore deviatorico degli sforzi τ e la parte simmetrica del gradiente della velocità ε(u): dove la viscosità apparente è definita come: Dove ε(u) = ε(u): ε(u). τ = 2 μ ε(u) (3.40) μ = μ + τ 0 ε(u) (1 e N ε(u) ) per ε(u) 0 (3.41) Figura 4.4, Approssimazione esponenziale della legge di Bingham Nel presente elaborato si utilizzerà come legame costitutivo un modello alla Bingham regolarizzato di tipo attritivo: l unica differenza con l espressione precedente risiede nel fatto che lo sforzo tangenziale limite τ 0, al di sopra del quale si attiva la velocità di deformazione deviatorica, risente dell attrito interno del materiale granulare, ed è pertanto governato da due parametri: la pressione p e l angolo d attrito φ. La viscosità apparente si può quindi riscrivere come: τ 0 = p tan (φ) (3.42) μ = μ + p tan (φ) ε(u) (1 e N ε(u) ) per ε(u) 0 (3.43) 50

63 5 MODELLO NUMERICO 5.1 Approcci numerici Sono molti i metodi numerici proposti in letteratura per la modellazione di problemi fluidodinamici in presenza di superfici libere. E risaputo che l approccio più diffuso per la meccanica dei fluidi è quello Euleriano: in questo campo i metodi più usati sono probabilmente il Metodo alle Differenze Finite, il Metodo degli Elementi Finiti, e il Metodo dei Volumi Finiti. Tuttavia, i classici Metodi Euleriani, in questo caso, non sono efficienti per molti altri motivi: essi infatti sono scomodi per quanto riguarda la trattazione dei termini convettivi, la modellazione ed il tracciamento delle superfici libere del flusso, per il trasferimento di informazioni tra il fluido ed il dominio solido attraverso gli elementi di interfaccia, per la modellazione delle onde che si infrangono. Di conseguenza, nel panorama degli approcci Euleriani sono stati introdotti nuovi algoritmi specifici che potessero fronteggiare più agevolmente i problemi precedentemente esposti, in particolare quello del tracciamento delle superfici libere. Harlow e Welch, [22], introdussero il Marker Particle Method o Marker and Cell Method, come lo chiamarono nella loro prima pubblicazione. Esso è basato su di un approssimazione alle differenze finite delle equazioni di Navier Stokes sia nel dominio dello spazio, sia in quello del tempo. Più in dettaglio, si definisce una mesh fissa di tipo Euleriano composta da celle computazionali; per ogni cella si assegna un set di particelle marcatore, le quali si muovono coerentemente con la velocità calcolata per la cella. I marcatori consentono di individuare a quale fase del fluido appartenga la cella considerata, per esempio una cella senza particelle

64 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO marcatore si considera che non contenga alcun fluido, mentre una cella con una particella marcatore che giace vicino ad una cella vuota, viene denominata cella di superficie. Il Volume of Fluid Method (Hirt e Welch, [23]), può essere considerato un estensione del precedente. Si definisce una funzione f, il cui valore è unitario in ogni punto occupato dal fluido, mentre vale zero in ogni altro punto. Il valore medio della funzione f in una cella rappresenta la frazione di volume della cella occupata dal fluido. Di conseguenza tutte le celle in cui la funzione f assume valori tra zero e uno, devono contenere una porzione di superficie libera. La direzione normale al contorno è quella definita dal gradiente di f: pertanto conoscendo f e calcolando il suo gradiente, è possibile determinare una linea che taglia una cella di contorno e stimare così la superficie libera. Il Level Set Method, invece, fu descritto da Osher e Sethian [24]. L idea è semplicemente quella di definire una funzione liscia (al limite una funzione Lipschitziana) Φ(x, t), positiva all interno del dominio del fluido, negativa al di fuori e nulla all interfaccia. Per individuare la superficie libera, è sufficiente trovare il set di punti in cui Φ(x, t) si annulla, mentre i suoi spostamenti possono essere valutati analizzando simultaneamente i valori di Φ ed il campo di velocità [25]. Nonostante la diffusione di questi algoritmi specializzati, la difficoltà di analizzare una superficie libera, rende gli approcci Euleriani non pienamente efficienti. Un alternativa molto conosciuta e ampiamente utilizzata per la formulazione del problema fluido dinamico, è l approccio Arbitrario Lagrangiano Euleriano (ALE) [26]. Tale approccio fu sviluppato con l intento di combinare di vantaggi delle descrizioni Lagrangiana ed Euleriana, cercando di minimizzarne per quanto possibile gli svantaggi. Il movimento delle particelle di fluido è disaccoppiato da quello dei nodi della griglia; in questo modo comparirà un termine convettivo come nell approccio Euleriano, ma tale termine dipenderà dalla velocità relativa tra le particelle del continuo e i nodi della griglia. In realtà l approccio ALE può essere considerato un panorama generale, in cui si possono trovare le descrizioni Lagrangiana ed Euleriana, come casi particolari; infatti, essi possono essere ricavati dalla formulazione ALE rispettivamente annullando la velocità dei nodi della griglia, oppure quella relativa tra nodi e particelle. L approccio ALE è stato ampiamente utilizzato per risolvere problemi di fluido dinamica o di interazione fluido struttura, con il Metodo degli Elementi Finiti, anche in presenza di un movimento della superficie libera. I quei casi, in cui la posizione dei contorni del problema è sconosciuta, infatti, la modellazione ALE prevede una formulazione completamente Lagrangiana sulla superficie corrispondente al contorno in movimento, mentre una zona di transizione mista la separa da una descrizione fissa Euleriana nella zona centrale. Questa modellazione del problema è molto efficace poiché sfrutta la capacità dell approccio Lagrangiano di tracciare il movimento delle superfici libere al 52

65 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO contorno, mentre lontano da esso, si serve della formulazione Euleriana per minimizzare la distorsione della griglia. In ogni caso, il difetto principale di questa tecnica risiede nel fatto che è essenzialmente limitata dalla geometria, in quei casi in cui il flusso del materiale è relativamente prevedibile e i movimenti della superficie libera sono piuttosto limitati. Al contrario, nei problemi in cui il movimento del contorno è particolarmente consistente ed imprevedibile, la formulazione ALE finirà per prescrivere una descrizione Lagrangiana per un ampia parte del dominio, mantenendo però allo stesso tempo tutte le difficoltà collegate alla trattazione dei termini convettivi. Molti di questi problemi possono essere superati adottando un approccio Lagrangiano. Infatti, nella formulazione Lagrangiana, le equazioni di Navier Stokes sono scritte in funzione delle coordinate materiali, che sono aggiornate in continuazione mediante una procedura iterativa. Pertanto non è necessario un metodo per tracciare le interfacce o la superficie libera, in quanto esse sono definite direttamente dalla posizione corrente dei punti materiali. Un ulteriore vantaggio di questo approccio risiede nel fatto che scompaiono i termini convettivi nell equazione di conservazione della quantità di moto. D altra parte, la griglia associata al Metodo classico degli Elementi Finiti rimane attaccata ai nodi corrispondenti ai punti materiali e si deforma coerentemente ai loro movimenti. Molto presto la distorsione degli elementi diviene tale da richiedere un operazione di rigenerazione della griglia (remeshing). Tuttavia questa operazione spesso diviene troppo frequente, a causa delle grandi deformazioni alle quali sono sottoposti gli elementi, e richiede pertanto un eccessivo impiego di tempo computazionale. L introduzione dei cosiddetti Mesh free Particle Methods, offre valide alternative computazionali per eludere i problemi precedentemente descritti, incontrati dal Metodo degli Elementi Finiti Lagrangiano [27]. Il motivo principale per adottare il Mesh free Particle Method, consiste nella possibilità di eliminare almeno una parte della struttura della griglia, come in Figura 5.1, costruendo l approssimazione di una generica funzione di campo f(x), interamente in termini di punti nodali, che seguono il movimento delle particelle di fluido, in accordo con la loro massa e le forze interne o esterne applicate. 53

66 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Figura 5.1, Confronto tra metodi Mesh free e FEM I Mesh free Particle Methods descrivono il dominio di analisi usando un set di punti nodali non vincolati alla griglia, costruendo un sistema di equazioni algebriche per l intero dominio del problema, basato sulle funzioni di forma di ogni punto nodale. Nei metodi FEM le funzioni di forma sono costruite basandosi sulla struttura della griglia ed, essendo le medesime per ogni elemento dello stesso tipo, sono solitamente predeterminate prima dell inizio dell analisi. Nel Mesh free Particle Method invece, le funzioni di forma sono solitamente costruite appositamente per un determinato punto di interesse e cambieranno ogni volta che la posizione del punto verrà aggiornata; quindi la costruzione delle funzioni di forma viene realizzata durante l analisi. Tra i metodi di questa categoria, si richiamano di seguito i più famosi, come i cosiddetti Smooth Particle Hydrodynamics (SPH) e il Discrete Element Method (DEM). Il metodo SPH è stato probabilmente il primo fra i metodi MPM, formulato per la prima volta contemporaneamente da Lucy ([28]) e da Gingold Monaghan ([29]), i quali si interessavano a problemi di astrofisica come esplosioni di stelle o nuvole di polvere. È interessante notare che, poiché il metodo fu ideato per trattare problemi in ambito astrofisico, l idea di base è sostanzialmente opposta rispetto ai convenzionali metodi di discretizzazione. Infatti, in genere si è avvezzi all idea di discretizzare un sistema continuo in uno algebrico discreto, mentre in astrofisica il sistema fisico reale è discreto fin dal principio [30]. Il metodo SPH si basa sulla discretizzazione della massa in movimento attraverso un set di punti mobili, che possono essere interpretati come rappresentativi di particelle materiali elementari. I valori di qualsiasi variabile f, in un generico punto dello spazio, sono quindi ottenuti mediante un interpolazione basata sui valori noti nei punti mobili, attraverso una funzione di interpolazione, detta anche kernel (Figura 5.2). Si richiede che la funzione kernel sia continua e abbia valori non nulli solo in un cerchio centrato sul punto considerato e di raggio 2h (con h definita come smoothing length). Questo approccio è di norma basato sulla forma forte delle equazioni di equilibrio e di conservazione, che in qualche caso ha attirato delle critiche. Quando è possibile, risolvere le equazioni di equilibrio in forma debole migliora l accuratezza, la stabilità e la robustezza dell approccio numerico. Analogamente al metodo SPH, anche il metodo DEM prevede la rappresentazione del dominio attraverso un numero discreto di particelle. Il metodo DEM è un metodo discontinuo che schematizza il sistema come un insieme di corpi indipendenti che interagiscono tra loro attraverso i punti di reciproco contatto, i quali sono i responsabili della trasmissione delle forze all interno del mezzo. L interazione tra gli elementi è considerata come un processo dinamico che raggiunge l equilibrio quando le sollecitazioni interne al sistema sono bilanciate. Le forze e gli spostamenti del mezzo si ricavano tracciando i movimenti dei singoli corpi che lo compongono, i quali sono il risultato 54

67 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO della propagazione all interno del terreno di cause di disturbo che hanno origine ai confini del modello. La caratteristica principale introdotta da questo metodo consiste nella sostituzione della classica interpolazione tipica del metodo FEM, valida su di un elemento, con un approssimazione locale ponderata ai minimi quadrati, valida in un piccolo intorno di una determinata particella e basata sui nodi posti vicino al punto considerato. Ciò può essere interpretato come un approssimazione standard agli Elementi Finiti, ma valida solamente in una piccola area circostante il punto considerato [31]. Figura 5.2, Funzione interpolante Kernel usata nel metodo SPH Nel presente lavoro si utilizzerà un Metodo agli Elementi Finiti Lagrangiano, che si basa sulle particelle, ma richiede una continua ri triangolazione del dominio: è il cosiddetto Particle Finite Element Method (PFEM), che sarà descritto in dettaglio nei prossimi paragrafi. 5.2 Particle Finite Element Method (PFEM) Il metodo PFEM è un promettente metodo Lagrangiano usato per risolvere in modo efficiente problemi fluido dinamici che includono il movimento della superficie libera del fluido, ma anche interazioni fluido struttura ([16] [17]). In questo metodo, il dominio in movimento è visto come un insieme discreto di particelle, che si possono muovere liberamente, in accordo con la loro massa e l azione delle forze interne ed esterne presenti. Le forze agenti internamente sono valutate sulla base dell interazione con le particelle circostanti. Un altra peculiarità risiede nel fatto che le proprietà fisiche (come densità e viscosità) o le variabili fisiche (come velocità, temperatura e pressione) sono proprie delle particelle e non dell elemento, come nel metodo FEM standard. 55

68 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Di conseguenza, è importante notare che utilizzando questo metodo, non vi è un dominio di soluzioni specificato a priori, ma esso va determinato sulla base della posizione dell insieme di particelle: una volta che il dominio è stato identificato, è possibile risolvere la forma debole delle equazioni governanti differenziali. Inoltre, questa caratteristica si rivela molto utile per tracciare la rapida evoluzione della superfice libera del fluido, anche in casi complessi quali spruzzi di liquidi oppure onde che si infrangono, poiché essa risulta determinata direttamente dalla posizione delle particelle. Tale metodo ha il vantaggio di semplificare la formulazione in un problema di tipo FEM mediante l introduzione di una griglia di base; mentre dall altra parte, modellare la separazione delle particelle di acqua dal dominio del fluido principale è utile, in quanto in seguito basterà seguire il loro movimento come particelle singole, aventi velocità iniziale e massa, soggette alla forza di gravità. E chiaro che uno dei punti fondamentali per il successo del metodo PFEM è la creazione rapida e accurata della griglia, sulla base della posizione dei nodi nel dominio spaziale. L algoritmo utilizzato per questo scopo deve essere molto veloce, poiché la rigenerazione della mesh è una procedura eseguita molto frequentemente (teoricamente ad ogni passo temporale, in pratica non appena gli elementi divengono troppo distorti). Inoltre esso deve essere anche particolarmente accurato, in quanto deve definire in modo preciso le superfici libere e le altre condizioni al contorno, per poter risolvere le equazioni governanti nel dominio corretto. Per questo motivo, lo schema di triangolazione e i metodi di identificazione del contorno verranno descritte in dettaglio nei paragrafi seguenti Generazione del dominio computazionale Triangolazione di Delaunay Un metodo efficiente per generare una mesh, partendo da un insieme di particelle, è la cosiddetta triangolazione di Delaunay, la quale definisce in modo univoco il guscio convesso che contiene l intero insieme di punti. Per capirne meglio il funzionamento, si analizzerà nel seguito la construzione geometrica e si introdurrà la definizione di diagramma di Voronoi [35]. Si consideri un insieme di N punti P i ; ad ogni punto si associ una regione V i, definita come il luogo dei punti X i tale che: d(x i, P i ) < d(x i, P j ) i j (4.1) Dove con d(x, x i ) = x x i si considera la distanza Euclidea. 56

69 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Figura 5.3, Celle di Voronoi e triangolazione di Delauney Ogni regione V i viene chiamata cella di Voronoi e risulta essere chiusa e convessa, nel caso in cui sia interna, mentre sarà aperta se si trova lungo il contorno. Inoltre, l unione di tutti i lati delle celle di Voronoi viene chiamato diagramma di Voronoi. Vale la pena notare che ogni lato di una cella di Voronoi appartiene a due regioni distinte T i e T j, di conseguenza esso è il luogo dei punti equidistanti da P i e P j, o in altre parole esso giace sull asse del segmento P. i j Per di più, ogni vertice del diagramma di Voronoi appartiene a tre regioni distinte V i, V j, V k e per questo motivo risulta essere equidistante dai tre punti P i, P j, P k ; in altre parole, tale vertice è il centro della circonferenza (sfera di Voronoi) passante per i tre punti. Il grafo duale al diagramma di Voronoi è la triangolazione di Delaunay, che può essere costruita congiungendo i punti le cui celle di Voronoi hanno un lato in comune. Le principali caratteristiche della triangolazione di Delaunay sono di seguito elencate: Il cerchio circoscritto a ciascun triangolo non contiene nessun altro nodo della triangolazione; Dato un insieme di punti in un piano (R 2 ), la triangolazione di Delaunay è unica, a meno che quattro o più punti giacciono sulla medesima circonferenza. La triangolazione di Delaunay massimizza il minimo angolo di ogni triangolo della mesh, ovvero crea una mesh regolare, che è assolutamente fondamentale nel contesto FEM. La configurazione generata dall unione di tutti i triangoli generati, coincide con il guscio convesso individuato dai nodi, in altre parole corrisponde alla figura convessa di area minima che include tutti i punti dell insieme. 57

70 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Infine si può osservare come nel caso tridimensionale, le regioni di Voronoi diventino poliedri e i triangoli di Delaunay corrispondano a tetraedri, mentre tutti i concetti precedentemente esposti si mantengono validi Metodo Alpha Shape Nell approccio PFEM è necessario individuare i contorni aggiornati ogni volta che una nuova mesh viene generata. Considerando il movimento della superficie libera, le particelle appartenenti ad essa cambiano la loro posizione e devono essere indentificati di continuo i nuovi nodi di contorno. È ben noto quanto sia importante avere una definizione accurata dei confini del dominio, non solo quando è necessario conoscere i vettori normali alla superficie esterna per imporre le condizioni al contorno, ma anche per la corretta valutazione dei termini integrali nella formulazione debole del problema, che verrà esposta dettagliatamente nel seguito. La triangolazione di Delaunay genera una mesh convessa, non coerente con eventuali non convessità del contorno fisico, inoltre si nota che gli elementi che non appartengono al dominio reale del fluido sono generalmente più distorti, poiché essi congiungono particelle che sono lontane le une dalle altre. Questa osservazione suggerisce l idea di introdurre un criterio geometrico di rimozione degli elementi in eccesso, generati dalla triangolazione, attraverso l applicazione del cosiddetto metodo Alpha-shape [11] [12]. Per ogni elemento e viene presa la lunghezza del lato minore h e e il raggio del cerchio circoscritto R e. Calcolata la media h dei lati più corti di tutti gli elementi, viene definito l indice di distorsione degli elementi con la grandezza α e : α e = R e h (4.2) Tale grandezza è confrontata con un valore α costante deciso a priori per ciascun tipo di fluido. Gli elementi per i quali non è verificata la seguente disequazione verranno eliminati dalla mesh: α e < α R e αh (4.3) Chiaramente, uno dei punti chiave per il corretto funzionamento del metodo risiede nell opportuna definizione del parametro α. Infatti modificando tale valore si fa sì che un diverso numero di elementi venga rimosso, in modo che il contorno del dominio sia adeguatamente delineato. Ponendo invece α, si riottiene l originale triangolazione di Delaunay. Il metodo Alpha-shape adempie altri compiti molto importanti. Per prima cosa viene utilizzato per identificare le particelle che si separano dal resto del dominio. Quando un nodo del bordo appartiene ad un solo tetraedro distorto, l elemento viene rimosso e la particella è separata dal resto del dominio. Dopo la separazione 58

71 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO il moto della particella è governato esclusivamente dall accelerazione di gravità e dalla velocità iniziale. Analogamente il metodo Alpha-shape permette di aggiungere una particella isolata al dominio fluido quando essa si avvicina al bordo ed il tetraedro che si forma rispetta di nuovo la condizione α e < α. Figura 5.4, Separazione e ricongiunzione tra particella isolata e dominio Tale metodo viene utilizzato anche per risolvere il problema del contatto, sia tra più fluidi sia tra fluidi e strutture. Quando le particelle di materiali diversi si avvicinano e gli elementi interposti hanno dimensioni coerenti con la taglia media della mesh, nascono nuovi elementi che identificano uno strato di interfaccia attraverso il quale vengono scambiate delle tensioni. Anche in questo caso nasce un errore d approssimazione, la cui entità decresce con l infittirsi della mesh Aggiunta e rimozione di particelle I grandi spostamenti del fluido provocano grandi distorsioni degli elementi finiti, rendendo necessaria la periodica ri triangolazione della mesh. Come già spiegato, questa è basata sulla posizione corrente dei nodi. Tuttavia, anche partendo da una distribuzione regolare dei nodi, accade frequentemente che questi, in conseguenza del loro moto, tendano ad addensarsi in alcune zone del dominio, rarefacendosi in altre. In questi casi, la ri triangolazione porta comunque a mesh disomogenee, con elementi molto grandi nelle zone rarefatte e piccoli nelle zone di addensamento dei nodi. Per ottenere una soluzione di accuratezza omogenea nel dominio di calcolo è stato sviluppato un metodo per l aggiunta e la rimozione di nodi, presentato dapprima da Cremonesi e sviluppato poi da Bettinotti [36] e Ferri [14]. La filosofia del metodo è quella di rimuovere le particelle dove sono troppo addensate per ridistribuirle dove, invece, sono diradate. 59

72 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Figura 5.5, Aggiunta e rimozione di particelle Quando il rapporto tra area (o volume) di un elemento e area (o volume) media di tutti gli elementi supera un certo valore prestabilito, tale elemento viene inserito nella lista degli elementi dove si possono aggiungere particelle. Viceversa, quando una particella è troppo vicina alle particelle contigue, essa viene rimossa e trasferita nel baricentro di un elemento reputato troppo grande. La velocità e la pressione delle particelle spostate da un punto all altro vengono ricavate per interpolazione lineare dai valori delle particelle vicine; le informazioni della particella rimossa, invece, vengono perse. Per non compromettere la conservazione del volume è necessario evitare la rimozione di particelle sul contorno di ciascun fluido, quindi sulla superficie libera e sulla superficie di contatto tra diversi fluidi Condizioni al contorno e parametro di slip Nel Metodo ad Elementi Finiti Particellari, le condizioni al contorno sono solitamente rappresentate attraverso un insieme di particelle, a cui sono assegnate specifiche proprietà del materiale ed una determinata velocità, che assicurano il rispetto dei vincoli imposti dal dominio computazionale. Nella risoluzione delle equazioni di Navier Stokes per problemi fluidodinamici, si assumono solitamente condizioni standard, che prevedono particelle di contorno fisse, aventi velocità nulla. Nel caso di flussi granulari o della simulazione di eventi franosi, ciò in genere non è accettabile. Infatti, nell ambito di studi sperimentali sul profilo di velocità in frane granulari ([43]), si è osservato che la velocità relativa (denominata anche velocità di slip) tra la massa in movimento e la superficie di scorrimento, aumenta con la dimensione media dei grani. 60

73 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Come conseguenza dello scorrimento relativo, è necessario caratterizzare un nuovo meccanismo di dissipazione all interfaccia, in aggiunta alla dissipazione di tipo viscoso, presente all interno del dominio del materiale. Ciò viene realizzato solitamente introducendo un coefficiente di attrito alla base, che tuttavia, nelle frane reali, non è semplice da identificare. Recenti studi ([44]) hanno mostrato che il coefficiente di attrito effettivo non è una proprietà costante dell interfaccia, ma decresce con l aumentare della velocità di slip e con la massa totale della frana in movimento. Questo indebolimento della zona di scorrimento può essere prodotto da processi micro meccanici, come il surriscaldamento istantaneo della zona di contatto. Tuttavia, per velocità di slip elevate, la dissipazione di calore viene evitata mediante processi di indebolimento termico, come la fusione o altre trasformazioni di fase. L utilizzo di condizioni al contorno di slip, con le equazioni di Navier Stokes, non è comune. Le classiche condizioni senza scorrimento sono macroscopicamente accettabili in molti casi, in ambito fluido dinamico, ed sono basate su considerazioni fisiche e matematiche effettuate in scala microscopica. Tuttavia tali condizioni non sono fisicamente accettabili in molti casi di flusso di liquido o di superfici solide, in particolare nel caso di flussi granulari con diametro crescente. La più semplice alternativa a questo tipo di condizioni, consiste nell utilizzo delle cosiddette condizioni al contorno di Navier, che stabiliscono una dipendenza lineare tra lo sforzo tangenziale alla base e la velocità di slip. In pratica, si può immaginare un infinità di condizioni differenti, passando da quella caratterizzata da sforzo tangenziale massimo e scorrimento nullo, a quella avente sforzo di taglio pari a zero e scorrimento libero in direzione tangenziale Figura 5.6, Altezza di slip Un parametro geometrico utile a descrivere questa varietà di condizioni è rappresentato dalla lunghezza di slip h slip ([45]). Il suo significato è spiegato in Figura 5.6, nella quale si rappresenta un flusso alla Couette tra due pareti rigide. 61

74 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO La parete superiore si muove con un assegnata velocità in direzione orizzontale, mentre quella inferiore è fissa. Il caso di condizioni no slip perfette corrisponde alla Figura 5.6. Nella Figura 5.6b invece viene tenuta in conto una certa quantità di scorrimento, che comporta una velocità tangenziale non nulla del fluido all interfaccia con la parete inferiore. L altezza di slip h slip è definita come la distanza dalla parete inferiore del punto avente velocità nulla, ottenuto estrapolando il profilo di velocità. La Figura 5.6c mostra invece il caso limite di scorrimento libero, in cui si considera una lunghezza di slip tendente all infinito. Poiché l altezza di slip è un parametro chiave della modellazione, è opportuno approfondirne la trattazione. In particolare si fa riferimento al flusso alla Couette, definito in Figura 5.7, Flusso alla Couette, dove U è la velocità impressa alla piastra superiore e h rappresenta l altezza del canale. Figura 5.7, Flusso alla Couette Si definisce uno sforzo tangenziale limite τ 0, al di sopra del quale si attiva lo slip. Pertanto per τ > τ 0 si può definire la legge della velocità all interfaccia come: u slip = τ τ 0 β (4.4) Mentre per τ < τ 0, definendo la relazione geometrica γ = U, si può scrivere: h τ = μ γ = μ U h U 0 = h μ τ 0 (4.5) Dove U 0 è la velocità limite impressa alla piastra superiore. Quindi per U > U 0 inizia ad esserci spostamento relativo tra il fluido e la piastra inferiore. La velocità U può, di conseguenza, essere riscritta come U = U 0 + U, dove U rappresenta la quota parte della velocità impressa alla piastra superiore, responsabile dello scorrimento (u slip ). Pertanto per U > U 0, si ha: 62

75 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO τ = μ γ = μ U u slip h = μ h (U 0 + U) μ h u slip (4.6) τ = τ 0 + μ h ( U u slip) (4.7) Dalla legge costitutiva all interfaccia 4.4, si ottiene: Sottraendo la relazione 4.8 alla 4.7, si ricava: τ = β u slip + τ 0 (4.8) (1 + h μ β) u slip = U (4.9) In questo modo si è ricavata la relazione fra la velocità di slip e la quota parte di velocità della piastra superiore eccendente il valore limite. A questo punto si può anche calcolare come varia h slip, inteso come quota del punto a velocità nulla, al crescere di U. Per fare ciò si può scrivere: Da cui si ricava: γ = U 0 + U u slip h = u slip h slip (4.10) h slip u slip = ( ) (U h + h 0 + U) (4.11) slip Sostituendo l espressione 4.11 nella 4.9, si ottiene la relazione desiderata per h slip : μ h μ + h β U h slip = (4.12) μ U 0 + (1 μ + h β ) U Si osserva che per U = 0, cioè per U < U 0, l altezza di slip si annulla e pertanto non vi è scorrimento relativo tra fluido e piastra inferiore. Al contrario per U 0 = 0, si deve ritrovare la definizione di h slip del caso senza limite di scorrimento: μ h μ + h β h slip = (1 μ μ + h β ) = μ β (4.13) Da questa definizione risulta che, in presenza di un valore limite τ 0 0, al di sotto del quale non si ha scorrimento, h slip non è costante, ma dipende dalla velocità del 63

76 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO fluido. Nel seguito, si denoterà perciò con h slip l altezzza di slip di un moto fluido ideale alla Couette, con τ 0 = 0. Infine, in analogia a quanto proposto per il flusso alla Couette, è opportuno definire la relazione tra β e h slip che caratterizza l interfaccia, nel caso di fluido viscoso alla Bingham regolarizzato, ovvero per il modello di terreno implementato nel codice: β = μ + p tanφ basal (1 e N uslip ) (4.14) h slip u slip Poiché, come è stato anticipato in precedenza, sia la frana del Vajont che quella di Lituya furono caratterizzate essenzialmente da una sorta di traslazione rigida del corpo di frana, sarà necessario assegnare un valore adeguato al parametro di slip, per descrivere al meglio tale comportamento Discretizzazione spazio temporale In questa sezione si completerà la descrizione generale dell approccio PFEM per fluidi incomprimibili, discutendo le discretizzazioni spaziale e temporale del sistema di equazioni governanti Formulazione debole e discretizzazione spaziale Per la formulazione debole delle equazioni di Navier Stokes, si definiscono i seguenti spazi, per ciascun istante temporale t [0, T]: S(t) = {U H 1 (Ω t ) U = U 0 su Γ D } (4.4) S 0 (t) = {W H 1 (Ω t ) W = 0 su Γ D } (4.5) Q(t) = {p, q L 2 (Ω t )} (4.6) dove Γ D indica il bordo con condizione di Dirichlet. La formulazione debole si ottiene moltiplicando l equazione della conservazione della quantità di moto (3.40) e della massa (3.36) per una funzione test W S 0 e q Q rispettivamente. Le equazioni ottenute devono essere integrate sul dominio Ω 0, e applicata la formula di Green, si ottiene: ρ DU 0 W dω Ω 0 Dt 0 = JpF T : grad(w)dω 0 + ρ 0 bw dω 0 Ω 0 Ω 0 + (4.7) μ J(gradU)F 1 F T : grad(w) dω 0 Ω 0 + W h Γ N W S 0 64

77 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Div( JF 1 U) q d dω 0 = 0 q Q (4.8) Ω 0 dove W S 0 è una funzione test vettoriale, q Q è una funzione test scalare, h identifica le condizioni al contorno naturali del problema, e Γ N indica il bordo con condizione di Neumann. La discretizzazione spaziale delle equazioni (4.7) e (4.8), nello spirito del approccio FEM di Galerkin, viene ottenuta imponendo che la forma debole delle equazioni predette appartenga ai sottospazi S h S, S h,0 S 0 e Q h Q, approssimazioni discrete degli spazi in cui sono inclusi, e introducendo una discretizzazione ad elementi finiti isoparametrici si ottiene: N nodi U i (x, t) = N a u (x) U ai (t) a=1 N nodi grad(u i (x, t)) ij = U ai (t) grad j (N a u (x)) a=1 (4.9) N nodi p(x, t) = N a p (x) P a (t) a=1 Dove N a u (x) e N a p (x) rappresentano le funzioni di forma di ogni nodo dell elemento rispettivamente per velocità e pressione, p è il vettore delle pressioni nodali e U i è il vettore delle velocità nodali nell i esima direzione. La risolvibilità del sistema algebrico dipende dalla scelta di opportuni spazi per gli elementi finiti. Per ottenere una soluzione stabile essi devono soddisfare la cosiddetta condizione LBB (Ladyzhenskaya Babuška Brezzi). In particolare tale condizione prevede che le funzioni di forma della velocità debbano essere di ordine superiore rispetto a quelle della pressione. D altra parte, come è stato già accennato, l approccio PFEM richiede triangolazioni molto frequenti del dominio e di conseguenza le informazioni devono essere trasmesse ogni volta dalla mesh precedente a quella aggiornata. Ciò vincola inevitabilmente la scelta delle funzioni di forma: si vuole infatti evitare laboriose interpolazioni per trasferire le informazioni da una mesh ad un altra. Pertanto, per la discretizzazione vengono utilizzati solamente i gradi di libertà delle particelle posizionate sui vertici dei triangoli, in modo che vengano usate funzioni di forma lineari sia per le velocità che par la pressione. Ciò implica che la condizione LBB non sia soddisfatta e si rende necessario un metodo di stabilizzazione per evitare il manifestarsi di oscillazioni spurie nel campo delle pressioni. La tecnica di stabilizzazione sarà descritta in modo dettagliato nel successivo paragrafo Tenendo in considerazione le osservazioni fatte in precedenza, si utilizzerà la medesima discretizzazione spaziale sia per le velocità che per la pressione, basata sulle stesse funzioni di forma lineari (ovvero N a u = N a p = N a) 65

78 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Il sistema discretizzato che si ottiene è il seguente: M(x) du dt + K(x) U + DT (x) P = B Conservazione del moto (4.10) D(x) U = 0 Conservazione della massa (4.11) dove M è la matrice di massa del fluido, K è la matrice di rigidezza del fluido, D è la discretizzazione dell operatore divergenza, b è il vettore che rappresenta le forze esterne equivalenti ai nodi, x contiene le coordinate nodali nella configurazione corrente, U è il vettore che rappresenta le velocità nodali e P è il vettore che rappresenta le pressioni nodali 1. M ab = ρ 0 N a N b I dω 0 Ω 0 (4.12) D ab = J N a grad(n b ) F 1 dω 0 Ω 0 (4.13) K ab = μ J (grad(n a )F 1 ) (grad(n b )F 1 ) dω 0 Ω 0 (4.14) B a = ρ 0 b N a dω 0 Ω 0 (4.15) dove I è la matrice identità, N a e N b sono le funzioni di forma calcolate su ogni singolo elemento. Le matrici K e D dipendono dalla configurazione corrente x attraverso la derivazione delle funzioni di forma Discretizzazione temporale Per discretizzare il problema nel tempo, è stata adottata una semplice partizione in n intervalli di uguale lunghezza; per la trattazione si definiscono: t n : istante iniziale; t n+1 : istante finale; t = t n+1 t n : intervallo temporale n-esimo; 1 Nella formulazione teorica, la matrice M non dovrebbe dipendere dalla configurazione corrente x; nel metodo, al contrario, essa viene ricalcolata a ogni iterazione in funzione della nuova configurazione, analogamente alle altre matrici; da questo motivo deriva la dipendenza da x nell equazione (4.10). 66

79 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Il problema ottenuto deve essere discretizzato nel tempo al fine di ottenere la soluzione nel dominio [0, T]. Si utilizza un metodo della famiglia θ: G n+θ = θ G n+1 + (1 θ) G n (4.16) Dove G n è l approssimazione di G(t n ), t n = n t e θ [0,1]. Al variare del valore di θ si ottengono diversi schemi di integrazione temporale. Un aspetto peculiare dei metodi di integrazione è la stabilità. La stabilità è la proprietà di un metodo di integrazione di mantenere limitati, per ogni istante temporale, gli errori derivanti dal processo di integrazione di una determinata equazione. Un metodo di integrazione instabile genererà errori che aumentano esponenzialmente, rendendo possibile l insorgere di un overflow aritmetico, anche dopo pochi istanti temporali. Gran parte dei metodi impliciti, ed in particolare lo schema di integrazione di Eulero all indietro (θ = 1 nell equazione precedente), sono incondizionatamente stabili. In questi casi si deve valutare l ampiezza degli intervalli temporali solamente per fini legati all accuratezza della soluzione e non per quanto riguarda invece la stabilità. D altro canto il prezzo speso per la stabilità incondizionata degli schemi impliciti risiede nel fatto che essi prevedono di risolvere sistemi di equazioni lineari ad ogni passo temporale, elevando la complessità computazionale del problema. In caso di problemi lineari si ottiene un risultato sicuramente stabile per valori θ 1/2. Si consideri ora il generico passo di tempo t n t n+1 e si ponga l equilibrio per t = t n+1 e θ = 1 (schema di integrazione di Eulero all indietro). L accelerazione e l approssimazione della configurazione corrente sono espresse come: DU Dt = Un+1 U n t (4.17) t n+1 x n+1 = x n + U n+1 dt x n + U n+1 t (4.18) t n Scegliendo come configurazione di riferimento la configurazione nota all istante t n il sistema finale discretizzato, corrispondente alle equazioni (4.10) e (4.11), si può scrivere come : M(x n+1 ) Un+1 U n + K(x n+1 ) U n+1 + D T (x n+1 ) P n+1 = B n+1 (4.19) t D(x n+1 ) U n+1 = 0 (4.20) Il sistema che si ottiene allora può essere espresso come: Dove: A Y n+1 = F n+1 (4.21) 67

80 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO A = [ C DT ] Matrice dei coefficienti (4.22) D 0 Y n+1 = [ Un+1 Pn+1] Vettore delle incognite (4.23) F n+1 = [ Bn t MUn ] Vettore dei termini noti (4.24) 0 C = 1 t M + K Matrice C (4.25) Fractional step method Il codice di calcolo implementato è stato impostato in modo da risolvere il sistema di equazioni con due metodi differenti: l approccio monolitico o il Metodo a Passi Frazionari [37]. Quest ultimo permette di risolvere il sistema in più passi, riducendo la grandezza dei sistemi lineari da risolvere; esso conduce a una soluzione approssimata, ma permette di ottenere soluzioni attendibili in minor tempo. Lo schema a passi frazionari, applicato alle equazioni (4.19) e (4.20), è equivalente a scrivere: 1 t M [U n+1 U n ] + K(x n+1 )U n+1 + γd T P n = B n+1 (4.26) 1 t M [U n+1 U n+1 ] + D T (P n+1 γp n ) = 0 (4.27) DU n+1 = 0 (4.28) Dove U n+1 è una variabile ausiliaria che viene denominata velocità intermedia e γ è un parametro numerico, con valori di interesse pari a 1 e 0. Per ora si considera γ = 0, tale metodo può essere classificato come uno schema al primo ordine ( t). A questo punto può essere fatta la seguente approssimazione: K(x n+1 )U n+1 K(x n+1 )U n+1 (4.29) Utilizzando l equazione (4.27) si può esprimere U n+1 in termini di U n+1 : U n+1 = U n+1 tm 1 D T P n+1 (4.30) Inserendo i risultati nell equazione (4.28) si ottiene l ultima equazione del sistema risolvente: tdm 1 D T P n+1 = DU n+1 (4.31) 68

81 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Il sistema risolvente si presenta pertanto nella seguente forma: 1 t M [U n+1 U n ] + K(x n+1 )U n+1 = B n+1 (4.32) tdm 1 D T P n+1 = DU n+1 (4.33) 1 t M [U n+1 U n+1 ] + D T P n+1 = 0 (4.34) Le equazioni sono state ordinate in funzione della sequenza di risoluzione: nella prima si calcola la velocità intermedia U n+1, che viene utilizzata nella seconda per ricavare il campo di pressione P n+1. Infine, il campo di pressione viene usato nella terza ed ultima equazione per correggere la velocità intermedia ed ottenere il campo di velocità finale U n+1, che soddisfa il vincolo di incomprimibilità. Il disaccoppiamento delle variabili U n+1, P n+1 e U n+1 è possibile grazie alla (4.29). Questa approssimazione è interpretata in [38] come una fattorizzazione algebrica generalizzata LU della matrice A. Si vogliono analizzare ora le peculiarità di questo metodo attraverso un confronto con lo schema di risoluzione monolitico. Da un lato l approccio monolitico è meno approssimato rispetto al Metodo a Passi Frazionari, tuttavia esso aumenta notevolmente l onere computazionale, poiché si ha a che fare con un unico sistema di grandi dimensioni, che consente di calcolare velocità e pressioni simultaneamente. Per comprendere meglio tale aggravio in termini computazionali si sottolinea che, dato un insieme di n particelle, la risoluzione del sistema di equazioni governanti richiede l utilizzo di matrici 4n 4n, nel caso tridimensionale. Inoltre, a causa della diversa natura dimensionale delle incognite, i coefficienti del sistema possono differire di diversi ordini di grandezza, portando a un cattivo condizionamento della matrice, con conseguenti difficoltà numeriche. Al contrario il Metodo a Passi Frazionari risolve il sistema con una sequenza di tre passaggi, pertanto si ha a che fare con problemi di dimensioni ridotte. Se ci si riferisce ancora una volta ad un insieme di n particelle, nel caso tridimensionale, il primo passaggio richiede l utilizzo di una matrice 3n 3n, mentre il secondo passaggio si serve di una matrice n n. Per questo motivo è di gran lunga più conveniente rispetto all approccio monolitico. Il terzo step consiste semplicemente in una correzione della velocità intermedia. Infine tutte le incognite utilizzate sono della stessa natura e pertanto le difficoltà numeriche sono evitate Stabilizzazione della soluzione Per la risoluzione numerica del problema accoppiato con campo di velocità e campo di pressione, la scelta delle funzioni di forma, nella discretizzazione di 69

82 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO ciascun campo, determina la stabilità della soluzione. Per avere una soluzione stabile è necessario usare accoppiamenti di funzioni di forma tali da soddisfare la condizione di stabilità LBB; tali accoppiamenti prevedono funzioni di forma del campo di velocità più raffinate rispetto a quelle del campo delle pressioni, assumendo come funzioni di forma raffinate quelle con grado polinomiale più elevato. Tra i tanti, i più noti sono Figura 5.8: Elementi di tipo Taylor Hood: funzioni di forma paraboliche per il campo di velocità e funzioni di forma lineari per il campo di pressione; Elementi di tipo Mini (Brezzi): funzioni di forma lineari con l arricchimento di un grado di libertà nel baricentro del triangolo per il campo di velocità e funzioni di forma lineari per il campo di pressione. Figura 5.8, Elementi finiti che soddisfano la condizione LBB Entrambi gli accoppiamenti non sono convenienti per il problema in esame perché tra un istante temporale e l altro la mesh viene cancellata e vengono salvate solo le informazioni ai vertici degli elementi, mentre le informazioni sugli spigoli (per gli elementi di tipo Taylor-Hood) o nel baricentro (per gli elementi di tipo Mini) sarebbero da ricavare per interpolazione lineare, con un onere computazionale elevato e con l introduzione di ulteriori approssimazioni. Quindi, per ovviare al problema di compatibilità degli elementi, si è sfruttato il fatto che il Metodo a Passi Frazionari fornisce la possibilità di aumentare la stabilità della soluzione. Più in particolare, è possibile modificare leggermente le equazioni (4.32), (4.33) e (4.34) per stabilizzare la soluzione ed eludere la condizione di stabilità LBB: in pratica di realizza una sorta di rilassamento del vincolo di incomprimibilità. In letteratura sono proposti vari suggerimenti, per esempio è possibile introdurre l operatore di Lapalace L nella seconda equazione (4.33) [37]. Infatti si può osservare che DM 1 D T rappresenta un approssimazione discreta dell operatore Laplaciano. 70

83 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Il sistema di equazioni che si ottiene è il seguente: Dove L è definito come: DM 1 D T L (4.35) 1 t M [U n+1 U n ] + KU n+1 = B n+1 (4.36) tlp n+1 = DU n+1 (4.37) 1 t M [U n+1 U n+1 ] + D T P n+1 = 0 (4.38) L = Ω N i x i N i x i T dω (4.39) Si può dimostrare che tale sostituzione comporta un approssimazione nella conservazione della massa, aumentando la stabilità della soluzione. Tale approssimazione dipende dall intervallo di discretizzazione temporale t, ovvero per intervalli temporali molto ridotti, l effetto stabilizzante tende a scomparire. Per questa ragione si rende utile adottare un ulteriore modifica nella seconda equazione, aggiungendo un nuovo termine che rende il metodo stabile indipendentemente dalla scelta dell intervallo temporale t. In particolare, l equazione (4.37) deve assumere la seguente espressione: tlp n+1 + τ stab [L DM 1 D T ] P n+1 = DU n+1 (4.40) Dove τ stab è un parametro di stabilizzazione costante che dipende dalla dimensione dell elemento considerato, [37]. A questo punto, è particolarmente importante sottolineare come il rilassamento del vincolo di incomprimibilità conduca ad una perdita di massa. Per capire meglio in che modo ciò può succedere, si ricordi che nella presente formulazione, il problema richiede l imposizione di condizioni al contorno di Dirichelet sulla pressione in corrispondenza della superficie libera. Di conseguenza, quando accade che tutti i nodi di un elemento siano di superficie libera, su tale elemento è imposta pressione nulla e nella terza equazione del Metodo a Passi Frazionari (4.38), la velocità non è più costretta a rispettare il vincolo di incomprimibilità; per questo motivo si può verificare perdita di massa. Vale la pena notare che esistono molte altre tecniche di stabilizzazione, presentate in letteratura per risolvere i problemi derivanti dal mancato adempimento della condizione di stabilità LBB, che possono essere applicate solo nel caso di approccio monolitico. Come esempio si può ricordare il Metodo di Stabilizzazione Pressure Stabilizing Petrov Galerkin (PSPG). 71

84 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Metodo di risoluzione iterativo Le equazioni discretizzate sono non lineari per la presenza del gradiente di deformazione F, quindi, devono essere risolte iterativamente ad ogni passo temporale. Si utilizza il metodo di Picard dove la configurazione di riferimento coincide con l ultima configurazione nota (configurazione ottenuta nell ultima iterazione). Dato il problema: A(x) x = b(x) (4.41) se la matrice A è invertibile allora viene risolto il seguente sistema lineare per iterazione (approssimazioni successive): A(x k 1 ) x k = b(x k 1 ) (4.42) Le matrice delle equazioni (4.36) (4.37) e (4.38), nell iterazione k esima, vengono valutate nella configurazione dell iterazione k 1. Il metodo di Picard viene preferito al metodo di Newton-Raphson per evitare il calcolo esplicito della matrice tangente. Il criterio di convergenza che si utilizza è il seguente: Dove: u k u k 1 u k 1 = N el k,k 1 e=1 d e N el dk 1 e=1 e d e k,k 1 = 1 2 [N e(x G e,k ) 3 i=1 3 (U k e,i d e k 1 = 1 2 [N e(x G e,k ) i=1 ε = 10 2 (4.43) U k 1 e,i )] 2 (4.44) U k 1 e,i ] 2 (4.45) dove U e k indica le velocità nodali dell elemento e e N e (x G e,k ) indica la matrice delle funzioni di forma relative al baricentro G. Si procede iterativamente fino a che la disequazione (4.43) non risulta soddisfatta. 72

85 CAPITOLO 5. MODELLO NUMERICO Riassunto della procedura di calcolo A questo punto, tutte le parti del Particle Finite Element Method per fluidi incomprimibili sono state esposte. Figura 5.9, Fasi operative del metodo PFEM Per completezza di trattazione si riassumono in seguito le fasi operative del metodo, come in Figura 5.9: 1. Definizione del dominio fluido come un insieme di punti o particelle. L accuratezza dei risultati dipende, come evidente, dal numero di particelle, numero che rimane invariato durante l intera simulazione. 2. Generazione di una mesh ad elementi finiti tetraedrici (tramite algoritmo di Delaunay) 3. Definizione del bordo interno ed esterno al fine di valutare il dominio di integrazione e le condizioni al contorno da assegnare. 4. Risoluzione del sistema non lineare di equazioni dal quale otteniamo il valore della pressione e della velocità in ciascun nodo. 5. Definizione della nuova configurazione tramite i valori della pressione e della velocità ottenuti nella fase precedente. 6. Esecuzione di un controllo sulla distorsione degli elementi. In caso positivo, ritorno al punto 2 altrimenti al punto 4 e ripetizione delle fasi per il passo di tempo successivo. 73

86 6 ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Dopo aver esposto i fondamenti teorici e matematici su cui si basa l algoritmo di calcolo e dopo averne analizzato la struttura numerica in termini di schema risolutivo, è possibile procedere con l esposizione delle analisi effettuate. Nel presente capitolo pertanto ci si occuperà delle modellazioni numeriche riguardanti la catastrofe idrogeologica del Vajont. Dapprima si porrà l attenzione sull analisi di un modello fisico realizzato nell ambito di indagini in laboratorio, svolte dal professor M. Roubault a Nancy. Successivamente invece si affronterà la modellazione dell evento in scala reale: si prenderà in esame la creazione della geometria e la realizzazione della mesh computazionale, si valuteranno i parametri geologici impiegati e si utilizzeranno i risultati dell analisi per realizzare confronti con altre simulazioni reperibili in letteratura.

87 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 6.1 Modello fisico idraulico di Nancy Il Prof. M. Roubault, membro della commissione peritale nominata durante il processo, svolse delle esperienze nel Laboratorio dell'ecole Nationale Supérieure de Géologie Appliquéé et de Prospection Miniére di Nancy, allo scopo di valutare l'altezza raggiunta dall'onda sul fanco opposto alla frana, in funzione della granulometria del materiale impiegato per schematizzare la massa franante. Nel modello adottato, la valle del Vajont era sommariamente riprodotta in scala 1 : 830. Sebbene si trattasse di un modello tridimensionale, non fu analizzato il profilo dell onda generatasi, in quanto la geometria era decisamente troppo schematica per potersi prestare ad un utilizzo simile. I risultati furono bensì analizzati in forma bidimensionale, prendendo in considerazione solamente la quota massima raggiunta dall onda durante la sua risalita. Figura 6.1, Fotografia del modello impiegato a Nancy Gli esperimenti si suddivisero in due serie distinte di prove [39] Prima serie di prove: allo scopo di riprodurre una massa compatta, l ammasso franoso venne simulato attraverso un carrello rigido, fatto scendere lungo delle rotaie, poste su un piano inclinato a pendenza costante. Le diverse velocità di caduta erano ottenute variando la massa di un contrappeso, che funzionava mediante una carrucola. La geometria generale del problema è esposta in Figura

88 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.2, Dispositivo per la discesa del carrello Nancy I risultati furono espressi mediante la posizione raggiunta dall onda durante la sua risalita sulla parete del modello, in termini di quota assoluta s.l.m. nella scala reale. Per mettere in relazione le quote del modello sperimentale con quelle reali, è stato sufficiente considerare i seguenti punti di riferimento: Quota rispetto al fondo del serbatoio nel modello [cm] Quota assoluta s.l.m. reale [m] Livello dell acqua Punto A Tabella 6.1, Punti di riferimento del modello di Nancy Di conseguenza, i risultati sperimentali ottenuti, variando la massa assegnata al contrappeso, furono i seguenti: Massa [kg] Contrappeso [kg] Quota raggiunta [m] Tabella 6.2, Quote di risalita dell acqua nel modello con massa compatta Seconda serie di prove: il materiale incoerente era inserito in una cassetta senza fondo che, una volta sollevata, provocava la discesa per gravità dei corpi, così come illustra lo schema di Figura 6.3. Furono utilizzate diverse tipologie di materiale granulare, per mostrare l incidenza della dimensione dei grani sull onda da essi generata. Nella simulazione realizzata nel seguito si è preso in considerazione materiale incoerente di tipo sabbioso, avente una granulometria pari a circa 1 mm. Con una massa liberata di 112 kg, l onda si spinse fino ad quota equivalente di 740 metri s.l.m. 76

89 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.3, Dispositivo per la discesa del materiale incoerente - Nancy Queste esperienze portarono i periti ad affermare che la caduta di una massa coerente in un solo blocco, dotato di fronte d'impatto, genera un'onda ben superiore a quella causata dalla caduta di una massa incoerente di elementi solidi". Tali conclusioni furono utilizzate per criticare la scelta della ghiaia, come materiale per simulare la frana, utilizzata in un altro modello, realizzato a Nove, sotto la supervisione del Professor Ghetti, direttore dell Istituto di Idraulica dell Università di Padova. Si trattava di un modello fisico idraulico tridimensionale, in assoluto il primo costruito al mondo, nel quale venne riprodotta in maniera dettagliata la geometria reale del problema in scala 1 : 200. Non essendo la ghiaia in grado di muoversi per effetto della sola forza di gravità, e di raggiungere una velocità adeguata, a causa delle dimensioni ridotte del modello, fu necessario usare dei trattori per trascinare la massa di frana ed imprimergli l energia necessaria. Gli stessi periti dovettero però riconoscere, in sede processuale, la sostanziale correttezza dei risultati ottenuti nelle esperienze di Nove, notando che se nel modello del Prof. Ghetti fosse stata, per mezzo di un artificio, riprodotta la frana nel tempo di 2 secondi nel modello, pari a 25 secondi nella realtà, l'onda che ne sarebbe derivata sarebbe stata corrispondente a quella reale di 200 metri. Il modello realizzato a Nove poco si presta ad essere simulato numericamente in questa sede, in quanto, rappresentando fedelmente la geometria reale del problema, sarebbe sostanzialmente equivalente all analisi sulla geometria reale modellata nel seguito. Inoltre la sostanziale differenza risiede nel fatto che, a causa delle dimensioni ridotte, sarebbe stato necessario imprimere alla massa una velocità iniziale, per simulare l azione di trascinamento svolta nella realtà del trattore, introducendo pertanto un ulteriore fonte di approssimazione e di errore. Avendo la possibilità di modellare numericamente il problema con le sue dimensioni reali, sfruttando quindi la sola forza di gravità come motore della 77

90 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT frana, si preferisce trascurare l analisi degli esperimenti di Nove, concentrandosi invece su quelli realizzati dal Professor Rubault a Nancy. Per prima si è riprodotta la geometria discretizzata del problema utilizzando il preprocessore GID: servendosi delle misure bidimensionali proposte in Figura 6.2, si sono create le superfici che delimitano il modello e i volumi di acqua e terreno. Lungo la terza dimensione, la profondità del carrello rigido risulta pari a 0,3 m. Figura 6.4, Superfici e volumi del modello di Nancy creati con GID Dopodiché si è generata la mesh sui volumi: considerando le grandezze medie del problema si è scelto il valore di 0,18 m come dimensione caratteristica degli elementi, in modo da ottenerne un numero computazionalmente adeguato, Figura 6.5. Figura 6.5, Mesh computazionale del modello di Nancy creata con GID 78

91 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Considerazioni preliminari sulle condizioni di slip Durante le analisi preliminari effettuate sul modello, utilizzando la geometria descritta in precedenza, si è notata un anomalia, relativa al campo delle pressioni. In particolare, a partire dal momento in cui avviene il contatto tra il terreno, solido o granulare che sia, e l acqua, si genera una sottile zona sul piano di scorrimento, caratterizzata da pressioni elevatissime, non giustificabili dal normale contatto fra i due materiali. Tale situazione è evidenziata in Figura 6.6. Figura 6.6, Zona dove si rileva un anomalia nel campo della pressione Si ricorda che il Fractional Step, di cui ci si serve per la risoluzione del sistema di equazioni governanti (paragrafo Fractional step method), prevede l utilizzo del campo di pressione P n+1,per correggere i valori della velocità intermedia U n+1 ed ottenere il campo di velocità finale U n+1. Pertanto ne segue che la presenza dell anomalia descritta in precedenza nel campo delle pressioni, è responsabile altresì di errori nel calcolo delle velocità, inficiando così il realismo e l accuratezza del metodo. Si rende necessario quindi indagare la causa che genera la comparsa di pressioni così elevate. In particolare si nota che la zona in questione coincide con quella di contatto fra i due materiali. Semplificando per comodità la trattazione ad un caso bidimensionale, la situazione è rappresentata in Figura 6.7. Figura 6.7, Significato fisico dell anomalia delle pressioni Si precisa che i nodi della superficie di scorrimento sono suddivisi in due categorie, in funzione della condizione al contorno che gli viene assegnata: 79

92 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Nodi bound privi di slip, ai quali viene imposta velocità nulla. A questa categoria appartengono tutti i nodi di contorno sui quali non poggia alcun materiale appartenente al dominio, e quelli in corrispondenza del dominio acqua. Si pensa infatti che l acqua, avendo viscosità molto ridotta, sia dotata di un adeguata capacità di scivolamento, anche senza l imposizione delle condizioni di slip. Nodi bound dotati di condizioni di slip, caratterizzati pertanto da una velocità tangenziale non nulla. In questo gruppo rientrano invece i nodi di contorno in corrispondenza del dominio terreno, solido o materiale granulare che sia. Dall analisi della Figura 6.7, si osserva che nella zona di contatto vi sono nodi bound slip, in movimento, che si avvicinano a nodi bound no slip, ai quali è imposta velocità nulla. Ciò determina la comparsa di pressioni via via crescenti, e di conseguenza anomalie che interessano anche il campo di velocità. Questa osservazione ha suggerito una riflessione riguardante le condizioni al contorno dei nodi bound, in corrispondenza del dominio acqua. La considerazione già fatta in precedenza, ossia che per tali nodi non sembrerebbe utile l assegnazione di condizioni di slip, in virtù della viscosità dell acqua, rimane valida. Tuttavia è da restringersi al campo di applicazioni in cui è realizzabile una discretizzazione molto fine del dominio del fluido. Nel caso ci si trovi costretti, invece, a fare una discretizzazione più grossolana, a causa delle dimensioni del dominio di analisi, si ritiene più opportuno assegnare condizioni di slip anche ai nodi bound a contatto con l acqua. Il valore di h slip, in questo caso, deve essere ragionevolmente minore rispetto a quello assegnato ai nodi a contatto con il terreno, in modo da mantenere un comportamento realistico del dominio di fluido Analisi della massa compatta Nota la massa di materiale, pari a 160 kg, è stato necessario calcolarne la densità media, da fornire come dato di input al programma. Essendo il volume del carrello rigido pari a: La densità media del materiale risulta: V c = (0,4 0,3 0,1)m = 0,012m 3 (6.1) ρ c = m V c = 160 kg kg = ,012 m3 m 3 (6.2) Per modellare il materiale compatto costituente il carrello rigido si è deciso di utilizzare un fluido Newtoniano molto viscoso. La viscosità, costante in un fluido Newtoniano, è stata valutata pari a 1000 P (Poise). Per simulare in modo realistico la traslazione rigida del corpo solido è necessario servirsi di un opportuno valore dell altezza di slip, introdotta in precedenza nel 80

93 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT paragrafo Adottando un valore elevato per tale parametro, si rende uniforme il profilo di velocità del fluido in sezione, assimilandone il comportamento a quello di un corpo solido. Poiché la scelta dell altezza di slip dipende dalle dimensioni del modello, e volendo adottare un valore che corrisponda ad uno slip che tenda all infinito, si è scelto di quantificarlo in 100 m. Per lo slip dell acqua, invece, in accordo con quanto esposto nel paragrafo precedente, si è scelto un valore di minimo, pari a 0,1 m. Nella realtà l attrito dinamico fra carrello e superficie di scorrimento si può considerare del tutto trascurabile, in virtù della presenza delle rotaie su cui il carrello può scorrere liberamente. Nel modello simulato, all interfaccia tra corpo solido e superficie di scorrimento, si è disposto uno strato di elementi dotati di una viscosità molto inferiore a quella del materiale solido. Nonostante ciò è comunque presente una frizione, dovuta al generarsi di elementi tetraedrici, aventi due o più nodi appartenenti alla superficie di scorrimento (dotati pertanto di velocità nulla imposta, oppure in questo caso governata dal parametro di slip) e i rimanenti nodi appartenenti al fluido viscoso. Lo slip è proprio un espediente per tenere in considerazione questo problema ed assegnare una velocità non nulla anche a questi nodi. Nel codice tuttavia, per agevolare la convergenza nelle fasi iniziali del calcolo, lo slip è assegnato a partire dal centesimo passo temporale, in modo graduale nell arco di 1000 step. Essendo il Δt pari a s, durante 0,22 s iniziali, gli elementi a contatto con la superficie di scorrimento, non essendo lo slip ancora attivo al 100%, rallentano il moto della massa. A causa della durata ridotta del fenomeno simulato, pari a 1,8 s, ciò potrebbe assumere una valenza rilevante. Per questo motivo ci si attende che la velocità raggiunta dal solido in moto durante la modellazione, sia inferiore a quella del carrello, considerato senza contrappeso. Disponendo delle quote di risalita dell onda al variare della massa posta come contrappeso, si è pensato di effettuare un confronto tra la velocità teorica del carrello, al variare del contrappeso, nell istante in cui avviene il contatto con l acqua, e la velocità del corpo solido, estrapolata dalla simulazione. In questo modo sarà possibile valutare se il modello computazionale risulta implicitamente soggetto ad un contrappeso equivalente, e ci si potrà di conseguenza riferire all appropriata quota di risalita dell acqua, scelta tra quelle proposte in Tabella 6.2. Per realizzare l analisi è stato scelto un Δt pari a s e l intera simulazione rappresenta un fenomeno reale di durata 1,8 s. Di seguito si riporta una serie di 10 immagini, ricavate ad intervalli temporali costanti e pari 0,2 s. Nella prima sequenza di immagini si sono messi in evidenza i materiali coinvolti, mentre nella seconda sequenza il fenomeno è rappresentato in termini di velocità nodali. Sullo sfondo, i punti di colore rosso sono quelli toccati almeno una volta dai materiali, mentre i rimanenti sono di colore blu. 81

94 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.8, Modello a massa compatta materiali 82

95 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.9, Modello a massa compatta modulo delle velocità nodali 83

96 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Come accennato in precedenza, a questo punto, si rende necessario effettuare un confronto tra le velocità in direzione parallela al piano, al momento dell impatto. Per questo motivo si riporta l immagine relativa all istante temporale desiderato, raffigurante la distribuzione di velocità in direzione x, a partire dalla quale è possibile ricavare, tramite una semplice relazione goniometrica, la velocità in direzione parallela desiderata. Figura 6.10, Velocità della massa al momento dell impatto Si nota che la distribuzione delle velocità non è perfettamente uniforme, come sarebbe nel caso di un solido, tuttavia è caratterizzata da una variabilità limitata. Ciò è ragionevole e spiegabile con il fatto che il materiale, sebbene molto viscoso, è dotato di una limitata deformabilità. Si ricava pertanto che la velocità massima raggiunta dal materiale compatto, al momento dell impatto con l acqua, è pari a: v = v x cosα (6.3) Dove v x = 1,295 m s, mentre cosα si ricava semplicemente dalla geometria del 161,52 cm modello (Figura 6.11) e risulta pari a cosα = = 0, cm Figura 6.11, Geometria del modello e angolo α 84

97 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT La velocità desiderata si può pertanto calcolare come: v = v x cosα = 1,295 m s 0,923 = 1,403 m s (6.4) Nella situazione reale, invece, è possibile ricavare la velocità teorica raggiunta dal carrello, nel medesimo istante temporale, ovvero dopo che ha percorso la distanza h = 28 cm che la separa dall acqua. Figura 6.12, Piano inclinato e forze in gioco Riferendosi alla situazione rappresentata in Figura 6.12, in cui sono messe in evidenza la geometria e le forze in gioco, si possono fare semplici considerazioni di carattere fisico. In particolare, sfruttando il noto principio di conservazione dell energia meccanica, si può scrivere: (Mg senα mg) h = 1 2 Mv2 (6.5) 2 (Mg senα mg) h v = M (6.6) Dove M = 160 kg, h = 0,28 m e senα si può ricavare di nuovo usando la geometria 67,36 cm esposta in Figura 6.11, ovvero senα = = 0, cm Utilizzando un contrappeso pari a m = 12 kg, ovvero il minore disponibile, si ottiene: 2 (Mg senα mg) h v = = 1,305 M m s (6.7) 85

98 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Invece la situazione della massa senza contrappeso, corrisponde ad una velocità all impatto pari a: v = 2 g senα h = 1,454 m s (6.8) Di conseguenza si stabilisce che la quota di risalita dell onda generatasi nel modello simulato dovrà essere confrontata con quella ottenuta nel modello fisico senza contrappeso, ovvero 1000 m (Tabella 6.2). Ci si aspetta inoltre, che essa sia leggermente inferiore al valore sopra indicato, in virtù della minore velocità raggiunta dalla massa nel modello simulato, al momento dell impatto. Analizzando i file di output del codice, si ricava che il nodo 25056, denominato per comodità nodo B e corrispondente all area evidenziata in Figura 6.13, è caratterizzato da una coordinata in direzione z pari a z B = 0,6294 m. Figura 6.13, Quota di risalita dell onda nel modello a massa compatta Attraverso una semplice proporzione, riferendosi al punto A di Figura 6.2, di cui di conoscono sia la quota nel modello (z A = 70 cm) sia quella nella scala reale (Z A = 1100 m), è possibile calcolare la quota di risalita dell onda, come espressa in Tabella 6.2. z A Z A = z B Z B (6.9) Z B = z B Z A z A = 989,1 m (6.10) Si può concludere quindi che la quota di risalita dell onda, fornita dalla simulazione del modello, si avvicina con buona approssimazione a quella attesa. 86

99 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Analisi della massa granulare Come fatto in precedenza, per prima cosa è stato necessario calcolare la densità media del materiale. Il volume della cassetta in cui venne inserito il materiale è il medesimo del carrello dell esperimento precedente, ovvero: V c = (0,4 0,3 0,1)m = 0,012m 3 (6.11) Essendo invece la massa liberata pari a 112 kg, la densità media del materiale risulta essere: ρ c = m V c = 112 kg kg = ,012 m3 m 3 (6.12) Per modellare il materiale granulare contenuto nella cassetta, invece, si è deciso di utilizzare un fluido non Newtoniano viscoso, con comportamento alla Bingham regolarizzato di tipo attritivo, il cui legame costitutivo è stato in precedenza descritto nel paragrafo 3.2. Dovendo simulare il comportamento di un materiale sabbioso, con granulometria Φ dell ordine di 1 mm, si è scelto un angolo di attrito pari a 35 e una viscosità di base μ = 0.01 Poise. Per quanto riguarda l altezza di slip invece, in questo caso non è necessario utilizzare un valore particolarmente alto, in quanto essendo il materiale granulare deformabile, non si vuole riprodurre una traslazione rigida della massa. Si assume tuttavia un valore pari a 1 m, in modo che anche i nodi in corrispondenza della superficie di scorrimento siano dotati di una minima velocità. In caso contrario a tali nodi sarebbe imposta velocità nulla, e si avrebbe una diminuzione non realistica della massa in movimento, corrispondente allo strato di elementi a contatto con la superficie di scorrimento. Al parametro di slip dell acqua, invece, si assegna il medesimo valore utilizzato nel caso precedente, ovvero 0,1 m. Come nel caso precedente, per realizzare l analisi è stato scelto un Δt pari a s e l intera simulazione rappresenta un fenomeno reale di durata 1,8 s. Di seguito si riporta una serie di 10 immagini, ricavate ad intervalli temporali costanti e pari 0,2 s. Nella prima sequenza di immagini si sono messi in evidenza i materiali coinvolti, mentre nella seconda sequenza il fenomeno è rappresentato in termini di velocità nodali. Sullo sfondo, i punti di colore rosso sono quelli toccati almeno una volta dai materiali, mentre i rimanenti sono di colore blu. Ciò si rivelerà utile per ricavare in modo immediato la quota massima di risalita dell onda. 87

100 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.14, Modello a massa granulare materiali 88

101 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.15, Modello a massa granulare modulo delle velocità nodali 89

102 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Analizzando i file di output del codice, si ricava che il nodo (nodo C), corrispondente all area evidenziata in Figura 6.16, è caratterizzato da una coordinata in direzione z pari a z C = 0,5167 m. Figura 6.16, Quota di risalita dell onda nel modello a massa granulare Con la medesima proporzione usata in precedenza si può ricavare la quota di interesse nella scala reale: z A Z A = z C Z C (6.13) Z C = z C Z A z A = 738,14 m (6.14) Durante l esperimento fisico effettuato a Nancy dal professor Roubault, l onda aveva raggiunto quota 740 m, pertanto si può concludere che la simulazione svolta è stata in grado di riprodurre in modo corretto il fenomeno desiderato. 90

103 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 6.2 Modello frana del Vajont Nel seguente paragrafo si affronterà il problema della creazione della mesh di input per il codice PFEM utilizzato (da qui in poi denominato fluid code) per l analisi della catastrofe del 9 ottobre 1963, partendo dai dati iniziali in possesso Creazione della geometria I dati di partenza che contengono la geometria del problema, sono stati forniti dal Dipartimento di Scienze dell Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra dell Università Bicocca di Milano. Tali dati sono composti essenzialmente da quattro matrici (preslide, materi, preld e post), che compongono una griglia regolare in pianta, di spaziatura pari a 10 metri in entrambe le direzioni x e y. I valori in esse riportati corrispondono alla coordinata z di ogni punto identificato dalla griglia. Nella Figura 6.17 è riportata una sezione della geometria, utile a chiarire il significato dei dati: La matrice preslide riporta il profilo del terreno lungo il quale la massa di frana si è mossa e che non ha quindi subito trasformazioni durante l evento. La matrice preld rappresenta la situazione della massa prima della frana, al di sopra della superficie definita da preslide, ed è composta dal corpo frana, dal lago e dalla diga. La matrice materi, associata a preld, riporta, per ogni punto della griglia, il materiale corrispondente: viene assegnato valore 0 per la superficie di scivolamento, valore 1 per il materiale di frana, valore 2 per l acqua e valore 4 per la diga. La matrice post, riscostruisce la situazione venutasi a formare dopo l evento dell ottobre Per prima cosa, è stato necessario passare dai dati in forma matriciale, a dati in coordinate cartesiane. Per fare ciò, si sono scritti due script Matlab, xyz_materiali e xyz_preslide (riportati in allegato): Il primo, avente come input le matrici preld e materi, fornisce come output quattro vettori, contenenti le coordinate cartesiane (x,y,z) dei punti rispettivamente di roccia, acqua, terreno e diga. Il secondo invece permette di trasformare la matrice preslide in un vettore contenente le coordinate di ogni punto. 91

104 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.17, Significato matrici dati iniziali Figura 6.18, Sistema di riferimento utilizzato Avendo a disposizione le coordinate dei punti in forma cartesiana, attraverso il post processore Paraview è stato possibile visualizzare la geometria in forma tridimensionale (Figura 6.19). 92

105 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.19, Gemetria iniziale Un primo problema, che ci si è trovati ad affrontare, riguarda il profilo del corpo frana. Essendo i dati organizzati in matrici regolari, che hanno, per ogni punto in pianta, un solo valore come coordinata in direzione z, il profilo della massa di terreno franoso, al di sotto del livello del lago, non poteva essere specificato (linea tratteggiata in Figura 6.17). Questo problema lo si può percepire anche dalle sezioni riportate alle pagine seguenti, nelle quali sono riportati in colore blu il piano di scivolamento, in colore azzurro la situazione post frana e in marrone i dati forniti dalla matrice preld. Tramite le sezioni geologiche, presentate anche nel Capitolo 2 di questo elaborato, si è potuto constatare che il terreno al disotto del lago (a quota 700 m s.l.m.) aveva un andamento pressoché lineare che si immergeva verso la gola della valle. Si è deciso quindi di completare il profilo del terreno tenendo conto di questo aspetto. Pertanto si è scritto uno script apposito per risolvere questo problema: il programma denominato completamento_frana è riportato in allegato, dove viene descritto nei suoi passaggi salienti. Sezione y= , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 93

106 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Sezione y= , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 Sezione , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 Sezione y= , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 94

107 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Sezione y= , , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 Sezione y= , , , , ,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 0,00 500, , , , , ,00 Nelle figure seguenti sono riportate le due situazioni, prima e dopo il completamento del terreno. Figura 6.20, Profilo del terreno derivante dai dati iniziali 95

108 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.21, Profilo del terreno completo A questo punto, i dati relativi alla geometria, risultano completi ed è stato possibile procedere alla creazione della mesh. La zona presa in esame per la simulazione è di circa tre chilometri in direzione x e quattro chilometri in direzione y. Nella realtà la valle e il relativo lago avevano una lunghezza maggiore, ma per lo scopo del seguente elaborato, ossia la modellazione della frana e della relativa onda generata, si è ritenuto più che sufficiente considerare questa porzione di valle. Figura 6.22, Geometria completa 96

109 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Creazione della mesh La geometria utilizzata fino ad ora, è composta esclusivamente dai punti che definiscono le superfici, rispettivamente del piano di scivolamento, del terreno e dell acqua. Il codice fuid code genera una mesh composta da tetraedri, ma richiede che nel file di input, i volumi di acqua e terreno siano riempiti con un insieme di punti, che costituiranno i nodi della mesh, ossia i vertici dei tetraedri. Per realizzare questi punti, è stato scritto un codice denominato genera_punti_volume, riportato in allegato. Si precisa fin da subito, che le analisi sono state eseguite semplificando la geometria, per problemi puramente computazionali. Maggiore è il numero di nodi utilizzati per discretizzare il problema e maggiore è il tempo computazionale che richiede il codice per la risoluzione. Per garantire un tempo computazionale ragionevole, si è scelto di costruire la mesh con una griglia avente spaziatura pari a 20 m, il doppio di quella dei dati iniziali. Figura Punti della mesh Il codice fluid code fa uso di un programma di triangolazione per la creazione della mesh. In particolare viene realizzata una Triangolazione di Delauney, descritta nel Paragrafo , la quale, essenzialmente, definisce in modo univoco il guscio convesso che contiene l intero insieme di punti. Il dominio grezzo così generato viene poi definito e smussato mediante l utilizzo dell algoritmo alpha shape, descritto nel Paragrafo , fino a coincidere con l effettivo dominio del problema. 97

110 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT A seguito di un analisi preliminare, si rende necessario fare un osservazione importante, che deriva dalla complessa geometria del caso in esame. Infatti, generando i nodi della mesh secondo le modalità descritte in precedenza, essendo la griglia regolare in pianta, le facce triangolari dei tetraedri che si generano a seguito della Triangolazione di Delauney, sarebbero caratterizzate da area costante, solamente nel caso in cui le superfici del dominio fossero tutte piane. Nel caso in esame ovviamente ciò non accade, poiché il dominio di analisi è un modello tridimensionale piuttosto complesso, e si generano pertanto elementi tetraedrici aventi facce con aree che possono risultare molto diverse fra loro. Ciò si verifica in modo particolarmente consistente in corrispondenza delle superfici con pendenza particolarmente elevata. Si è riscontrato che tali elementi, particolarmente distorti e molto differenti dall elemento tipo, avente dimensioni confrontabili con quelle di un tetraedro regolare, possono essere fonte di errori computazionali, in quanto, nel caso in cui fossero eliminati dall algoritmo alpha shape, creerebbero dei buchi nel dominio, impendendo il rispetto delle condizioni al contorno fornite dalla presenza dei nodi bound. Per superare questo inconveniente, è stato scritto un ulteriore script, Raffinamento, sempre riportato in allegato, con lo scopo di infittire la mesh, aggiungendo nodi bound al centro delle facce di elementi tetraedrici particolarmente distorti, come rappresentato in Figura Figura 6.24, Raffinamento 98

111 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Scelta dei parametri geomeccanici Prima di poter procedere con la simulazione dell evento, utilizzando il codice ad Elementi Finiti Lagrangiano con approccio PFEM, è stato necessario operare un approfondita fase di ricerca, per poter assegnare valori realistici, sia ai parametri geomeccanici che caratterizzarono l ammasso franoso, sia a quelli computazionali richiesti dal codice in uso. In particolare, per individuare le caratteristiche geomeccaniche da valutare, si rivela utile per prima cosa analizzare il tipo di legame costitutivo utilizzato. Come descritto in precedenza nel paragrafo 4.2 Fluidi Newtoniani e non Newtoniani, per l analisi della frana si è scelto un legame alla Bingham regolarizzato, di tipo attritivo, Per comodità se ne riporta l espressione analitica: τ = 2 μ ε(u) (6.15) p tan (φ) μ = μ + ε(u) (1 e N ε(u) ) per ε(u) 0 (6.16) Pertanto, per la corretta definizione del legame costitutivo è necessario definire i seguenti parametri: Angolo di attrito φ Densità ρ Viscosità μ Per poter valutare in modo il più corretto possibile i valori di angolo d attrito, è utile sottolineare che gli studi portati a termine dopo la catastrofe, come riportato nel paragrafo Studi successivi all evento, misero in luce la necessità di operare una distinzione tra l angolo d attrito generale della massa, precipitata nel bacino, e quello del materiale posto in corrispondenza della superficie di scorrimento della frana. Pertanto, se da una parte il materiale argilloso costituente l ammasso si ritiene avesse un angolo d attrito che può variare tra 22 e 30, dall altra, quello posto lungo la superficie di scorrimento, subì un consistente decremento dovuto al moto della paleofrana, arrivando, come si ritenne in un primo momento, fino a 8. Studi successivi portati a termine da Tika e Hutchinson, nel 1999, effettuati con un nuovo metodo di misura, mostrarono come, con velocità di scivolamento superiori a 100 centimetri/giorno, l angolo potesse raggiungere un minimo di 5 [40].La riduzione del valore di angolo d attrito all interfaccia, può essere giustificata altresì, tenendo in conto il fatto che l elevata velocità raggiunta dalla massa durante la discesa e la conseguente frizione nella zona di scorrimento, provocarono un surriscaldamento, tale da portare alla formazione di vapore nella parte inferiore dell ammasso. 99

112 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Si ritiene che ciò abbia avuto un ruolo determinante nel crollo improvviso e devastante della frana, contribuendo ad aumentarne ulteriormente la velocità e l energia distruttiva. Per questi motivi sono stati assunti, in quanto reputati ragionevoli a fronte delle precedenti argomentazioni, i seguenti valori: Angolo d attrito dell ammasso franoso: 26 ; Angolo d attrito del materiale a contatto con il piano di scivolamento: 5. Per quanto concerne il valore di densità da attribuire alla massa, ci si affida alle valutazioni fatte dal geologo Edoardo Semenza, figlio di Carlo, progettista della diga. Egli fu chiamato in causa a più riprese, per effettuare analisi geologiche in sito, sia prima che dopo l evento catastrofico. Nel suo libro La storia del Vajont ([2]), riporta come valore di riferimento per la densità del materiale in questione 2400 kg m 3. La densità dell acqua è invece pari a 1000 kg m 3. Ci si occupa infine del valore di viscosità da attribuire alla massa di terreno franoso. Osservando il legame costitutivo precedentemente riportato nelle equazioni , si nota che il valore che si sta discutendo corrisponde alla componente costante μ della viscosità apparente μ. Tale componente viene incrementata, in virtù dell angolo di attrito del materiale e della distribuzione di pressioni all interno dell ammasso. L intento è quello di simulare un evento franoso in roccia, la quale, sebbene fosse fratturata, era caratterizzata da materiale molto più compatto rispetto ad una comune colata detritica. Per questo motivo si è stabilito di utilizzare un valore di viscosità dinamica costante piuttosto elevato, pari cioè a quello utilizzato nell esperimento di laboratorio descritto nel precedente paragrafo Analisi della massa compatta, ovvero 1000 Poise. In ogni cas il termine dominante nel legame costitutivo rimane quello attritivo, che conferisce viscosità sensibilmente maggiore in quelle zone caratterizzate da pressione più elevata. Come viscosità dell acqua infine si assume quella standard, pari a 0,01 Poise. I parametri computazionali richiesti dal codice invece, sono i seguenti due: Altezza di slip Parametro alpha shape Nei capitoli precedenti, in particolare nei paragrafi Condizioni al contorno e parametro di slip e Considerazioni preliminari sulle condizioni di slip, si è già sottolineato lo scopo e il funzionamento dell altezza di slip, sia nel caso del terreno sia in quello relativo all acqua. Essa deve essere scelta in base alla geometria del problema, ovvero basandosi sullo spessore dello strato di materiale in questione, e in virtù del tipo movimento che si vuole simulare. 100

113 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Poiché non si dispone di indicazioni specifiche riguardo a questo parametro, per applicazioni simili, vista la scala e la complessità dell evento, si è deciso di eseguire un analisi a ritroso con l obbiettivo di sceglierne il valore più opportuno. Nel caso del materiale appartenente alla frana, se ne vuole riprodurre il movimento, che fu prevalentemente traslatorio. Pertanto per assegnare un opportuno valore allo slip dei nodi bound a contatto con il terreno, si è scelto di analizzare il profilo di velocità che si ottiene all interno del corpo di frana, al variare dello slip. Sebbene questa operazione abbia richiesto numerosi tentativi, di seguito si riportano le immagini relative ai casi più significativi. In particolare la Figura 6.25 riporta la distribuzione di velocità assegnando un valore di slip pari a 5 m. Si nota che, in questo modo, il profilo di velocità varia sensibilmente con la profondità e assume un valore minimo in corrispondenza della superficie di scorrimento. Figura 6.25, Profilo di velocità nel terreno in sezione altezza di slip 5 m La Figura 6.26, invece, mostra il profilo di velocità nel terreno, utilizzando una lunghezza di slip pari a 500 m. Così facendo, l andamento risulta più uniforme e può considerarsi assimilabile ad una traslazione semi rigida dell ammasso. Figura 6.26, Profilo di velocità nel terreno in sezione altezza di slip 500 m 101

114 Coordinata x [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Scelto quindi il valore di h slip per il terreno, si procede ora con la valutazione del medesimo parametro per i nodi bound in corrispondenza del dominio acqua. Come target di confronto si è scelto il profilo di risalita dell onda sul fianco della vallata opposto alla frana. Si dispone infatti dell andamento sperimentale, al di sotto del quale è stata sradicata e distrutta la vegetazione preesistente. Tale profilo coincide con un valore di minimo della quota di risalita, in quanto l onda potrebbe aver anche superato tale livello senza provocare danni ingenti alla vegetazione. Come fatto in precedenza si riportano di seguito due delle analisi realizzate, in modo da evidenziare l influenza del parametro di slip dell acqua sulla veridicità della simulazione. In tutte le prove si sono mantenuti costanti i valori di input del problema, compreso il valore di slip del terreno, scelto pari a 500 m. Nel primo caso si propone il profilo ottenuto senza imporre condizioni di slip all acqua, i cui risultati sono visibili in Figura 6.27, Profilo di risalita dell onda no slip acqua. 200 Limite onda versante destro Coordinata y [m] Profilo reale Simulazione PFEM - no slip Figura 6.27, Profilo di risalita dell onda no slip acqua Dall immagine si nota in modo immediato che la simulazione del modello non ha fornito risultati attendibili, in quanto l onda ottenuta si mantiene lontana da quella sperimentale lungo tutto il suo sviluppo. Ciò non fa altro che avvalorare le considerazioni esposte nel paragrafo Considerazioni preliminari sulle condizioni di slip, relative all assegnazione di condizioni di slip anche al dominio acqua. Caso diametralmente opposto è quello con altezza di slip pari a 50 m. Anche in questo caso è evidente, osservando la Figura 6.28, come la velocità della massa sia irreale, al punto che alcuni elementi arrivano a raggiungere l estremità del dominio. 102

115 Coordinata x [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT In particolare è utile notare che l influenza del parametro di slip sui risultati finali risulta molto consistente laddove il versante che l acqua deve risalire è meno scosceso. Tale comportamento si evidenzia nel tratto individuato da valori della coordinata y compresi fra 1400 m e 2200 m, in corrispondenza de quale si nota una differenza consistente del profilo di risalita, rispetto al caso precedente. Invece, nelle zone caratterizzate da un pendio più impervio, l influenza dell altezza di slip è minore. Il tratto a cui si fa riferimento è quello caratterizzato da valori della coordinata y contenuti nell intervallo m. Facendo riferimento anche alla Figura 6.31, proposta nel paragrafo successivo e facente riferimento a h slip = 1 m, si nota che la differenza rispetto alla Figura 6.28, in cui h slip = 50 m, è minima, nella zona a cui si fa riferimento. Pertanto si deduce che un aumento dello slip dell acqua non genera un cambiamento uniforme del movimento del fluido, ma tale cambiamento dipende anche dalla geometria del piano di scivolamento sul quale esso si muove. Si presenta per la prima volta, quindi, l idea che lo slip possa venir assegnato ai nodi del piano di scivolamento, non solamente in base al materiale che si muove sopra di esso, ma anche considerandone la morfologia. In particolare si potrebbero assegnare valori di slip minori ai nodi appartenenti a pendii più dolci, e valori maggiori ai nodi che definiscono versanti irti e scoscesi, in modo da non falsare il comportamento del fluido in moto. 0 Limite onda versante destro Coordinata y [m] Profilo reale Simulazione PFEM - slip 50 m Figura 6.28, Profilo di risalita dell onda altezza di slip dell acqua 50 m Nonostante ciò però, nel caso in esame, si ottengono risultati soddisfacenti anche utilizzando un parametro di slip costante per tutti i nodi del piano di scivolamento che si trovano al di sotto del dominio acqua. In conclusione, poiché la dimensione caratteristica di ogni elemento acqua si aggira attorno ai 20 m, si è 103

116 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT considerato appropriato scegliere un valori pari a 1 m, per la lunghezza di slip dell acqua. Come previsto dalle considerazioni fatte in precedenza al paragrafo Considerazioni preliminari sulle condizioni di slip, tale valore risulta molto inferiore a quello scelto per il terreno. La scelta è stata validata da numerose altre analisi, che si evita di riportare. I risultati finali, invece, saranno esposti in dettaglio nel paragrafo seguente. Infine rimane da valutare il parametro alpha shape. Esso consiste in un fattore moltiplicativo della dimensione media degli elementi della mesh, che consente di eliminare quelli di dimensioni maggiori o particolarmente distorti, mediante l algoritmo descritto nel Paragrafo Metodo Alpha Shape. Nel caso in esame, si prevede che molti nodi, superando il coronamento della diga, si riverseranno, cadendo, nella vallata sottostante, e si vuole evitare che la maggior parte di essi, essendo molto distorti, vengano eliminati dal suddetto algoritmo. Pertanto si stabilisce di usare un valore del parametro alpha shape abbastanza elevato, ovvero pari a 2. Ciò significa che tutti gli elementi per i quali non è verificata la seguente disequazione verranno eliminati dalla mesh: α e < 2 R e 2h (6.17) Dove R e è il raggio del cerchio circoscritto all elemento e h rappresenta un valore medio degli elementi presenti nella mesh Analisi della frana Nel presente paragrafo, dopo aver valutato e stabilito valori ragionevoli per i parametri di calcolo utilizzati dal codice, si esporranno i risultati ottenuti a seguito della simulazione realizzata. La discretizzazione temporale si compone di 7000 step di calcolo, caratterizzati da t = 0,01 s, per un totale di 70 s. Come prima rappresentazione visiva, si riporta di seguito una sequenza di 10 immagini attraverso le quali si può apprezzare l andamento generale del fenomeno. Tra ognuna di esse intercorre un intervallo temporale pari a 7,5 s. Come già accennato nel paragrafo precedente, è disponibile in letteratura [46], il profilo presunto di risalita dell onda di piena sul versante destro della vallata del Vajont, ovvero quello opposto alla frana, ricavato osservando la zona in cui la vegetazione fu sradicata dalla forza distruttiva dell acqua. Tale profilo viene riportato nella seguente sequenza di immagini, in modo da offrire un riscontro immediato sulla veridicità della simulazione realizzata. 104

117 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.29, Analisi della frana del Vajont materiali 105

118 Coordinata x [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Si riporta di seguito un immagine tridimensionale della zona interessata, nella quale è visibile in nero il profilo assunto come target, ovvero quello al di sotto del quale la montagna fu erosa dall ondata di piena. Sono colorati di rosso invece tutti i nodi del dominio raggiunti dal materiale in movimento, ovvero in questo caso dall acqua. Figura 6.30, Profilo di risalita dell ondata di piena 3d Per poter realizzare un confronto più approfondito, inoltre, si riporta un grafico bidimensionale contenente i profili di risalita reale e sperimentale. 200 Limite onda versante destro Coordinata y [m] Profilo reale Simulazione PFEM - slip 1 m Figura 6.31, Profilo di risalita dell onda di piena 2d Si nota facilmente che il profilo sperimentale descrive piuttosto accuratamente il percorso di risalita dell ondata, desunto dall analisi della vegetazione dopo la tragedia, sebbene in molte zone sia ad esso superiore. Ciò è giustificabile con fatto che il profilo target rappresenta implicitamente un approssimazione al ribasso della reale quota di risalita, in quanto si suppone che l ondata potè 106

119 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT realisticamente superare il livello in questione, pur senza provocare danni alla vegetazione. Ci si accorge inoltre che nella zona evidenziata in Figura 6.32, si registra una brusca discordanza tra i profili di risalita dell ondata, che altrove risultano invece del tutto plausibili. Figura 6.32, Discordanza fra i profili di risalita dell ondata Tale discordanza può essere spiegata osservando che la morfologia del pendio nella zona in questione è caratterizzata da un irregolarità locale, ovvero una sorta di piccolo rilievo avente pendenze sensibilmente più marcate di quelle della zona circostante. La mancata risalita dell ondata è pertanto imputabile essenzialmente alla dimensione degli elementi della mesh: gli elementi che si generano nel dominio acqua infatti, hanno una dimensione caratteristica pari all incirca a 20 m. Essi, seppur siano in grado di descrivere in modo corretto il fenomeno nella maggior parte del dominio, non permettono all acqua, a causa delle loro eccessive dimensioni, di oltrepassare l asperità presente nella zona precedentemente descritta. Per tentare di risolvere questo problema l unica via sarebbe quella di ridurre le dimensioni degli elementi in questione, infittendo la mesh. Tuttavia, poiché il codice richiede, per problemi di convergenza, che le dimensioni caratteristiche degli elementi appartenenti al dominio siano simili e confrontabili, non basterebbe infittire la mesh solo localmente, ma bisognerebbe eseguire la medesima operazione su tutto il dominio di discretizzazione. Ciò comporterebbe un aumento eccessivo del tempo computazionale, richiesto per la risoluzione del sistema di equazioni, ad ogni iterazione, rendendo l algoritmo inutilizzabile. Può essere interessante inoltre, fare delle considerazioni riguardanti le velocità raggiunte dall ammasso franoso e dall acqua, durante il fenomeno analizzato, essendo disponibili in letteratura i valori stimati a posteriori da utilizzare come termine di confronto. Per questo motivo si riporta di seguito la medesima sequenza di immagini proposta in precedenza, che evidenzia però in questo caso l andamento delle velocità. 107

120 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.33, Analisi della frana del Vajont modulo delle velocità nodali 108

121 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Diversi studi effettuati dopo la tragedia confermano quanto riportato nel libro di E. Semenza, La storia del Vajont [2], per quanto riguarda la velocità media massima raggiunta dall ammasso franoso. In particolare si afferma che la massima velocità fu raggiunta dopo circa 20 s dall inizio della frana, e fu pari a circa m. Come termine di confronto, si riporta di seguito il fotogramma s corrispondente all istante in cui si raggiunge il massimo valore di velocità media durante la simulazione, ovvero dopo che sono trascorsi 19 s. Dalla legenda contenuta nella Figura 6.34, si può notare come la velocità media dell ammasso si assesti proprio intorno ai 20 m s. Vi è una porzione di materiale avente velocità più elevate dovute alla maggior pendenza del piano di scivolamento, mentre si nota come la parte a contatto con l acqua si mantenga su valori di velocità inferiori. Figura 6.34, Massimo valore di velocità media dell ammasso franoso Un ulteriore valutazione riguardante la velocità, può essere svolta, confrontando la velocità massima della distribuzione di valori, sia per quanto concerne il materiale franoso, sia all interno del dominio di acqua. 109

122 Velocità [m/s] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 40 Velocità massime frana e acqua Tempo [s] Velocità massima frana Velocità massima acqua Figura 6.35, Velocità massime raggiunte dall acqua e dal materiale franoso Dalla Figura 6.35 si può notare che nella prima fase del movimento, le velocità di acqua e frana corrono parallelamente. Ciò risulta plausibile se si pensa che i due materiali si trovano a contatto fin dall istante iniziale. Inoltre, la differenza tra i due valori è semplicemente dovuta al fatto che le velocità massime vengono raggiunte in zone differenti, e quindi in nodi non a contatto fra loro. Si nota altresì che la massima velocità assoluta della massa franosa viene raggiunta dopo 25 s, sebbene il resto del materiale abbia già subito un rallentamento globale, evidenziato dalle considerazioni fatte in precedenza. Un argomento che è stato a più riprese fonte di discussioni e di analisi, è sicuramente rappresentato dall altezza raggiunta dall onda di piena al di sopra della diga, la quale, infrangendosi contro la base della valle del Piave, sollevò un impressionante quantità di detriti e fu responsabile della distruzione del comune di Longarone e della morte di quasi 2000 persone. Riguardo alla quota verticale raggiunta dall acqua sopra al coronamento della struttura, in letteratura, ed in particolare nella pubblicazione di Crosta et al. [42] si parla di circa 100 m. Si suppone invece che l ondata raggiunse una quota decisamente superiore sul pendio montuoso a fianco della diga. Facendo riferimento allo scritto di Genevois e Ghirotti [5], si registra che l onda raggiunse quota 150 m. Di seguito si mostra l evoluzione dell onda di piena al di sopra della diga in una vista in sezione, in corrispondenza della mezzeria della stessa. 110

123 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.36, Altezza dell ondata al di sopra della diga vista in sezione 111

124 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Dalla Figura 6.36, si nota che il picco di altezza viene raggiunto dopo circa 50 s, e risulta pari a 105 m. Tali valori si rispecchiano con quelli presenti in letteratura, e pertanto possono essere considerati attendibili. Nell immagine seguente invece, Figura 6.37, si concentra l attenzione sulla zona a fianco della diga dove l ondata raggiuge la quota maggiore. Figura 6.37, Altezza dell ondata sul pendio dell abitato di Casso Controllando la quota dei punti evidenziati nel fotogramma, si scopre che essa risulta pari a circa 150 m. Anche in questo caso vi è rispondenza tra il risultato ottenuto e il valore previsto, fornito dalle indagini effettuate nei mesi successivi alla tragedia. Infine, l ultimo spunto di analisi viene suggerito dal fatto che la diga, nonostante l immane sollecitazione subita durante la catastrofe, non collassò: infatti venne distrutta solamente una piccola parte del coronamento superiore. Pertanto si è pensato di sfruttare la simulazione realizzata, per valutare l evoluzione dell andamento della pressione sulla parete della diga, confrontandola con i valori di pressione idrostatica utilizzati, a fronte di cautelativi coefficienti di sicurezza, per il progetto e la realizzazione della struttura. Di conseguenza, si è scelta come riferimento la sezione in mezzeria della diga, e si è calcolato l andamento in profondità della pressione idrostatica, attraverso la nota legge: p = ρ g (z d z) (6.18) Dove ρ = 1000 kg m 3 è la densità dell acqua, g è l accelerazione di gravità e z d = 725 m è la quota del coronamento della diga. In questo modo la profondità viene calcolata a partire dal pelo libero dell acqua. 112

125 Quota z [m] Quota z [m] Quota z [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT L andamento ottenuto è il seguente: 750 Pressione idrostatica Pressione idrostatica Pressione [Pa] Figura 6.38, Andamento della pressione idrostatica sulla parete della diga Analizzando la variazione della pressione in corrispondenza di punti prestabiliti disposti sulla parete interna della diga, per i vari istanti temporali, è stato possibile ricostruire i seguenti grafici: 750 Pressioni sulla diga Pressione [Pa] Idrostatica t=0 t=7.5 t= Pressioni sulla diga 700 Idrostatica t=15 t=20 t= Pressione [Pa] 113

126 Quota z [m] Quota z [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 750 Pressioni sulla diga Idrostatica t=40 t= Pressione [Pa] Figura 6.39, Andamento della pressione sulla parete interna della diga Si nota immediatamente che i valori di pressione calcolati dal codice nei primi istanti temporali non coincidono perfettamente con quelli previsti di Figura 6.38, ma tendono ad uniformarsi all andamento idrostatico dopo alcuni passi temporali. Di seguito di riporta un grafico riassuntivo, contenente tutti gli andamenti precedentemente esposti: t=60 t= Pressioni sulla diga Pressione [Pa] Figura 6.40, Riassunto andamento delle pressioni Idrostatica t=0 t=7.5 t=10 t=15 t=20 t=30 t=40 t=50 t=60 t=70 Dall analisi così effettuata, salta all occhio come i valori di pressione dinamica indotte dalla frana e dai conseguenti movimenti del fluido, risultino essere fino a 6 volte superiori a quelli corrispondenti alla distribuzione idrostatica. Nonostante ciò, la struttura non raggiunse il collasso e si evitò così che la frana causasse danni, a cose e persone, ben superiori a quelli devastanti provocati in realtà. 114

127 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 6.3 Confronto con altre simulazioni Nel seguente paragrafo verranno prese in considerazione alcune analisi numeriche della frana del Vajont, disponibili in letteratura, e verranno fatti dei confronti con l analisi descritta nel presente elaborato. Sono disponibili molteplici simulazioni 2D, che focalizzano l attenzione su alcune sezioni, considerate significative, della vallata. Sono invece poco numerose le analisi tridimensionali dell evento, sebbene negli ultimi anni ne siano realizzate di nuove. Nel caso in esame si prendono in considerazione solo le simulazioni tridimensionali disponibili, per un ovvia semplicità di confronto Simulazione SPH Nel 2013, R. Vacondio e altri, hanno utilizzato il metodo SPH, per simulare la frana del Vajont e l onda da essa generata. [41] L analisi viene effettuata ipotizzando che il corpo di frana abbia subito solamente una rotazione rigida attorno ad un asse, con raggio imposto a priori. Tale valore viene ricavato sulla base dei dati sperimentali disponibili, riguardanti la posizione del corpo di frana, rilevata dopo il fenomeno. Definita dunque la forma e le dimensioni dell ammasso franoso, le coordinate x, y, z del baricentro (b pre ), nella configurazione antecedente all evento, vengono calcolate discretizzando l intero volume mediante N parallelepipedi, aventi base regolare quadrata di dimensione x = y = 5 m ed altezza variabile d. Supponendo che l ammasso abbia densità constante, si può scrivere: N b pre = x2 d V i x i tot i=1 (6.19) Dove V tot è il volume totale dell ammasso franoso e x i è il vettore di coordinate del centro di massa dell i esimo parallelepipedo. Le coordinate del baricentro della massa (b post ), nella configurazione seguente all evento, vengono valutate in modo del tutto analogo. Per definire il movimento avvenuto dalla posizione iniziale a quella finale, sono state assunte le seguenti ipotesi: L intera massa è concentrata nel baricentro; Il baricentro si muove da b pre a b post, lungo un arco circolare di raggio R (che necessita di essere definito); L asse di rotazione è normale al piano verticale che contiene i due baricentri. 115

128 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Sulla base di queste ipotesi si può constatare che l equazione nello spazio tridimensionale dell asse di rotazione (e quindi dell intero movimento dell ammasso, assunto come corpo rigido), dipende solo dal valore del raggio R. La configurazione della massa dopo l evento è stata quindi ricostruita partendo dalla configurazione iniziale della valle e ruotando il corpo fino alla posizione finale. Tale posizione può essere confrontata con la topografia reale, ottenuta dai sondaggi effettuati dopo l evento. La norma L 2 delle differenze di elevazione delle due superfici, può essere espressa come: N L 2 (R) = (z i rot z i post ) 2 i=1 N (6.20) Dove z i rot è la quota dell i esimo degli N punti della superficie virtuale, ottenuta ruotando il corpo di frana, e z i post rappresenta la quota del medesimo punto nella topografia reale. Il raggio R è stato definito minimizzando la norma sopra riportata, ottenendo un valore pari a 800 m. Ovviamente questo ha comportato un errore di approssimazione, soprattutto in determinate sezioni. Considerando l approccio utilizzato, il parametro più significativo e difficile da determinare, risulta il coefficiente di attrito f, che governa la durata dello scivolamento, ovvero l intervallo temporale durante il quale il baricentro si sposta dal punto della configurazione zero, a quello della configurazione deformata. Partendo da un valore iniziale del coefficiente di attrito, ricavato sulla base della legge che governa il moto di scivolamento, è stato possibile osservare che il profilo di massima risalita dell onda sul versante destro della vallata, sottostimava sensibilmente quello riportato da Semenza et al [46]. Ciò viene giustificato, considerando che l evoluzione della velocità dello scivolamento è stata ottenuta sulla base di significative semplificazioni del fenomeno fisico. Per questo motivo sono state realizzate diverse simulazioni, modificando il valore del coefficiente di attrito f, e, procedendo a ritroso, è stata scelto un coefficiente di attrito che corrisponde ad una durata dello scivolamento pari a 17 s e ad una velocità massima pari a 30 m, per la massa. s Il dominio tridimensionale, ossia il volume d acqua, è stato discretizzato con delle celle cubiche di lato x = 5 m ed una smoothing length h = 1.5 x (il metodo viene descritto al paragrafo 5.1 Approcci numerici). In Figura 6.41 è riportata la planimetria della valle, con indicazione del livello di risalita dell onda sul versante destro. Il profilo reale viene riportato in rosso, mentre quello estrapolato dalla simulazione numerica, in verde. Come riportato in [41], si nota che il modello numerico realizza una riproduzione soddisfacente delle porzioni centrale ed orientale del profilo. Nei pressi della diga invece si apprezzano significative differenze tra i dati storici e le evidenze sperimentali. Si ritiene che ciò sia dovuto, con ogni probabilità, all imposizione che lo scivolamento 116

129 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT sia quello di un unico corpo rigido. Tale ipotesi infatti non è del tutto ragionevole in corrispondenza delle estremità orientale e occidentale del dominio. Figura 6.41, Risalita dell onda, sperimentale (rosso) e numerica (verde) Tale valutazione si presta bene ad un confronto con il metodo presentato nel presente lavoro. Pertanto nel grafico riportato di seguito, sono stati sovrapposti tre profili: Profilo sperimentale, in colore rosso; Profilo determinato con l approccio SPH da Vacondio et al., in verde; Profilo determinato con l approccio PFEM proposto in questo elaborato, in colore blu. Come si può facilmente notare, il profilo realizzato con approccio SPH, si mantiene a quote inferiori lungo tutta lo sviluppo della vallata. Quello realizzato con approccio PFEM, invece, raggiunge quasi ovunque quote superiori. Come è già stato esposto in precedenza, si ritiene plausibile che l onda si sia spinta anche oltre il profilo sperimentale, poiché esso è stato ricavato analizzando la zona in cui la vegetazione fu sradicata dall impeto dell acqua. Pertanto è realistico pensare che l ondata abbia potuto bagnare zone di versante, senza però arrecare danni alla vegetazione. Inoltre risulta utile sottolineare che, lo studio svolto da Vacondio et al., propone risultati ottenuti basandosi su una discretizzazione molto più fine del dominio. Non dovendo infatti analizzare il corpo frana, è stato possibile, a parità di onere computazionale, utilizzare elementi di dimensioni molto più ridotti per la sola acqua, ottenendo un livello di dettaglio più accurato. Alla luce delle considerazioni sopra riportate e nonostante l utilizzo di elementi più grossolani, l analisi proposta nel presente elaborato fornisce risultati realistici e attendibili. 117

130 Coordinata x [m] CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 200 Limite onda versante destro Coordinata y [m] Profilo reale Simulazione SPH Simulazione PFEM - slip 1 m Figura 6.42, Confronto tra i profili dell onda Di seguito sono invece riportate le sequenze temporali ottenute dalle due analisi, in vista dall alto. Si nota che dopo 35 s, in entrambe le analisi, il movimento di scivolamento della massa si è sostanzialmente arrestato, mentre il fronte dell onda continua a muoversi verso nord. Il flusso inizia a dividersi in quattro porzioni: La prima, superando la diga, si muove nella gola del Vajont verso la valle del Piave, in direzione ovest; La parte centrale risale il versante opposto della vallata, verso nord; Una piccola porzione si muove in direzione sud, ripercorrendo il corso del torrente Massalezza; Una parte consistente si propaga verso Erto, in direzione est. Da una parte, si rileva che la configurazione finale del corpo frana, ottenuta con l approccio PFEM, non si adatta perfettamente a quella reale. Ciò è giustificato dal fatto che il materiale franoso, in virtù dell assimilazione ad un fluido viscoso, non arresta il suo moto dopo circa 35 s, ma continua a deformarsi lentamente. Ovviamente ciò impedisce la risalita dell acqua lungo il corso del torrente. Nell analisi proposta da Vacondio invece, l ammasso franoso non è incluso nel dominio di analisi, e pertanto è semplice riprodurre la risalita di una porzione di acqua al di sopra della massa, considerata del tutto rigida. Salta all occhio invece la realistica simulazione dell onda che tracimò la diga, nel caso dell analisi effettuata tramite PFEM. A questo proposito inoltre si nota che entrambi i metodi forniscono valori confrontabili per quando riguarda l istante in cui l onda inizia a superare la diga. 118

131 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.43, Confronto delle due analisi a diversi istanti temporali 119

132 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT In [41] è riportato anche il grafico di Figura 6.44, nel quale è rappresentata la portata di acqua che ha oltrepassato la diga in funzione del tempo. Nell analisi eseguita in questo lavoro, non è stata realizzata questa valutazione, poiché sarebbe risultata eccessivamente approssimata, a causa delle dimensioni degli elementi utilizzati per la discretizzazione. Tuttavia si può affermare che i due picchi di portata corrispondenti a circa 15 secondi e a secondi, sono stati validati anche dalla simulazione con l approccio PFEM. Il primo picco corrisponde all inizio di stramazzo dell acqua sopra il coronamento, mentre il secondo si ha quando allo stramazzo si unisce la porzione di onda sul versante destro della valle. Figura 6.44, Portata che sfora la diga, in dipendenza dal tempo (Vacondio et al.) Simulazione FEM ALE Nel 2014, G. Crosta e altri, hanno utilizzato l approccio FEM ALE per la simulazione della frana del Vajont. In [42] vengono dapprima fatte delle analisi bidimensionali e confrontate con i risultati sperimentali, per validare il modello; successivamente viene analizzato il problema del Vajont. Il modello numerico utilizza elementi finiti isoparametrici, triangoli a tre nodi e esaedri a otto nodi, rispettivamente per le simulazioni bidimensionali e tridimensionali. Le velocità, ad ogni intervallo temporale, sono determinate in modo che la forza inerziale e gli sforzi mantengano in equilibrio i nodi degli elementi finiti. Il campo di sforzi iniziale equilibrato viene raggiunto attraverso una serie di step quasi statici, nei quali la gravità viene incrementata gradualmente, in modo che non si abbiano contributi inerziali. 120

133 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Come per gli altri approcci disponibili in letteratura, anche in questo caso, l acqua del bacino è modellata attraverso le equazioni di Navier Stokes, considerando l acqua incomprimibile o quasi incomprimibile. In tali equazioni, il contributo viscoso risulta rilevante per bassi valori del numero di Reynolds, mentre per alti valori dello stesso, la pressione e il contributo inerziale sono predominanti rispetto alla viscosità. Gli autori, per il tipo di problema trattato, essendo la velocità della roccia che impatta l acqua, molto alta, ritengono accettabile trascurarne la viscosità. Tra il materiale di frana e l acqua, si assumono condizioni che impediscono lo scorrimento, che conducono a velocità uguali fra l acqua e il terreno a contatto. Pertanto nella zona di contatto non è presenta alcun tipo di attrito. Per la descrizione del modello relativo al terreno si fa riferimento a [42]. In particolare esso è stato trattato come un continuo deformabile elastoplastico. È utile notare che gli sforzi efficaci, derivanti dalla rigidezza del materiale, sono calcolati in un sistema di riferimento fisso, tenendo conto di due contributi: il primo è dovuto ad una rotazione rigida della massa, mentre il secondo è da attribuire alla deformazione del materiale. Il calcolo degli sforzi a partire dalle deformazioni, è completato adottando un legame costitutivo di tipo elastoplastico. La parte elastica dipende dal modulo elastico e dal coefficienti di Poisson, mentre per la parte plastica viene considerato un modello di rottura alla Mohr Coulumb con le seguenti caratteristiche: ρ=24 kn/m 3 ν=0.23 E=10 10 Pa Ф=23 C=100 kpa Per il caso di frane che scivolano lungo un piano non erodibile, dato che il modello porterebbe ad avere velocità pari a zero, la coesione e l angolo di attrito vengono ridotti per diminuire l attrito tra il materiale e la superficie di scivolamento. Nel caso in esame l angolo di attrito è stato ridotto a 6. Il dominio di calcolo è stato discretizzato mediante esaedri con una grandezza di base pari a 22 m x 22 m e un altezza di 18 m. La simulazione ha una durata di circa 50 secondi e nelle figure riportate nelle pagine seguenti viene riportato il confronto dell analisi FEM ALE con quella realizzata in questo elaborato, per diversi istanti temporali. Si può facilmente notare, che c è una sostanziale concordanza, per quanto riguarda la deformazione del corpo di frana e la sua forma, al termine del fenomeno descritto. In entrambe le analisi è stata utilizzato un criterio di rottura alla Mohr Coulomb caratterizzato da parametri geomeccanici molto simili. Si nota invece una leggera discordanza nella modellazione dell onda. Per quanto riguarda il profilo di run up, invece, si registra che anche quello ottenuto 121

134 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT dall analisi FEM ALE risulta confrontabile con i dati sperimentali. Tuttavia esso si mantiene a quote inferiori, per tutta la lunghezza della vallata. Si veda Figura Figura 6.45, Run up onda simulazione FEM ALE 122

135 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 123

136 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 124

137 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.46, Confronto FEM ALE e PFEM 125

138 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT 126

139 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT Figura 6.47, Confronto velocità FEM ALE e PFEM 127

140 CAPITOLO 6. ANALISI DELLA FRANA DEL VAJONT In conclusione, in Figura 6.47 è riportato il confronto tra i due modelli per quanto riguarda le velocità massime raggiunte dalla frana e dall onda. Nelle immagini sono riportati i vettori velocita dei nodi di superfice del corpo frana e dell acqua. Si nota subito, che l analisi tramite FEM ALE conduce a velocità più elevate. Tuttavia questo fatto si riferisce in particolare ad alcuni nodi agli estremi del dominio della massa di roccia in movimento, soprattutto nella parte alta, dove la pendenza è maggiore. Le velocità medie dell intero corpo, invece, risultano confrontabili. Si nota inoltre che gli istanti temporali in corrispondenza dei quali vengono raggiunte le velocità massime, non sono esattamente coincidenti, e ciò può essere causato dal diverso approccio di modellazione utilizzato nei due casi. 128

141 7 ANALISI DELLA FRANA DI LITUYA Nel seguente capitolo, si affronterà la modellazione della frana e dello tsunami avvenuti il 9 luglio 1958 nella baia di Lituya. Verrà generato il dominio di analisi e la relativa mesh computazionale, si discuteranno i parametri geomeccanici, in modo analogo a quanto fatto per la frana del Vajont e si utilizzeranno i risultati per il confronto con altre simulazioni disponibili in letteratura. 7.1 Creazione geometria e mesh Anche in questo caso i dati di partenza che contengono la geometria del problema, sono stati forniti dal Dipartimento di Scienze dell Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra dell Università Bicocca di Milano. Tali dati sono essenzialmente composti da tre matrici (materiali, lituya_sopra e lituya_sotto); esse costituiscono una griglia regolare in pianta, di spaziatura pari a 25 metri in entrambe le direzioni, x e y. I valori riportati nelle matrici lituya_sopra e lituya_sotto corrispondono alla coordinata z di ogni punto identificato dalla griglia, rispettivamente della superficie libera e del piano di scivolamento. La terza matrice invece identifica la caratteristica dei punti: acqua, roccia e diga. In Figura 7.1 è rappresentata la geometria completa derivante da queste tre matrici. Come si nota facilmente dall immagine proposta, in questo caso, la geometria è molto più vasta, rispetto a quella utilizzata per l analisi della frana del Vajont.

142 CAPITOLO 7. ANALISI DELLA FRANA DI LITUYA Per questo motivo, svolgere l analisi sulla geometria completa comporterebbe l utilizzo di un numero di nodi eccessivo e il tempo computazionale richiesto per la risoluzione delle equazioni governanti, non consentirebbe di completare la simulazione in tempi ragionevoli. Pertanto, si è deciso di limitare l analisi alla porzione della baia dove l onda si è generata e ha raggiunto le dimensioni più significative. Figura 7.1, Geometria iniziale completa Si è scelto di analizzare esclusivamente la testa della baia, zona di distacco della frana, e il pendio opposto, dove si è registrato il massimo run up dell onda. Limitando notevolmente le dimensioni del dominio, è possibile realizzare una discretizzazione migliore e ottenere in questo modo risultati più precisi. Figura 7.2. Geometria iniziale semplificata 130

143 CAPITOLO 7. ANALISI DELLA FRANA DI LITUYA Il problema di integrare la geometria del terreno, in questo caso non si pone, poiché il corpo frana non si presenta a contatto con l acqua, prima dell evento franoso. Si è potuto procedere direttamente alla creazione della mesh. Per il riempimento del dominio con i nodi necessari alla realizzazione della triangolazione, si è fatto uso nuovamente dello script genera_punti_volume. Si ricorda che il codice completo e la relativa descrizione sono riportati in Allegato. La mesh è stata generata mantenendo la griglia di base con spaziatura pari a 25 m, mentre si è scelta una discretizzazione in direzione z pari a 30 m sia per il volume di terreno che per l acqua. Il risultato così ottenuto è riportato in Figura 7.3. Figura 7.3, Mesh lituya Si è proceduto poi a raffinare il piano di scivolamento, aggiungendo nodi dove la triangolazione di Delaunay andrebbe a creare elementi con area molto maggiore di quella media. Lo script utilizzato è riportato in Allegato. 7.2 Scelta dei parametri geomeccanici In analogia a quanto fatto per il Vajont, prima di procedere alla simulazione vera e propria, è necessario definire i parametri geomeccanici che caratterizzano l ammasso franoso, come è stato chiarito nel paragrafo Scelta dei parametri geomeccanici. Anche in questo caso, come legame costitutivo, per il materiale frana è stato scelto un legame alla Bingham regolarizzato, di tipo attritivo. A differenza della frana del Vajont, quella di Lituya, non è stata indagata in modo così accurato, per diversi motivi, esposti nel precedente Capitolo 3. È risaputo però che l ammasso roccioso era composto da rocce metamorfiche, di origine vulcanica, molto fratturate. Non si hanno riferimenti precisi riguardo ad 131

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