La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere. Dott.ssa Noemi Graceffo noemi.graceffo@ssalex.com La Corte Costituzionale, nell ormai lontano 1965, fu chiamata a pronunciarsi sull art. 4 della nostra Carta Fondamentale. Quella sentenza scrisse, in un certo qual modo, la storia del diritto del lavoro, ponendo le basi per la disciplina del licenziamento, o meglio dei licenziamenti: parlando, infatti, proprio del diritto al lavoro quale fondamentale diritto di libertà della persona umana, che si estrinseca nella scelta e nei modi di esercizio dell'attività lavorativa, la Corte Costituzionale ebbe, tuttavia, a precisare che l'art. 4 Cost., come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un'occupazione, così non assicura il diritto alla
P. 2 La conservazione del lavoro che, nel primo, dovrebbe trovare il suo logico e necessario presupposto (Corte Costituzionale 26 maggio 1965, n. 45). La Riforma Fornero, intervenuta con la legge n. 92/2012, si è ben inserita in tale assetto e, a poco più di un anno dalla sua introduzione, le modifiche riguardanti l art. 18 della L. 300/1970, c.d. Statuto dei Lavoratori, ovvero la norma centrale in tema di licenziamento, è, ancora, sul banco degli imputati. Il vivace e critico dibattito intorno alla novella legislativa deriva dal notevole mutamento di tendenza che essa ha determinato: con la Riforma citata è stato, almeno formalmente, intaccato il dogma della tutela reale per il lavoratore illegittimamente licenziato. Bisogna premettere che tale Riforma si è occupata dei licenziamenti individuali o individuali plurimi, ovvero di quei licenziamenti riguardanti un numero di lavoratori non superiore a quattro. Come è noto, l art. 18 ante riforma prevedeva, in caso di licenziamento illegittimo, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Il nuovo art. 18, diversamente, ponendo l accento sulla tutela risarcitoria, prevede sempre la reintegrazione del lavoratore per i soli licenziamenti nulli, ovvero per quei licenziamenti aventi il più alto disvalore sociale: si tratta dei licenziamenti discriminatori, intimati per causa di matrimonio o in violazione dei divieti di licenziamento per maternità, nonché dei licenziamenti riconducibili ad altri casi di nullità previsti dalla legge o aventi alla base un motivo illecito determinante. Diversamente, non sono nulli ma inefficaci i licenziamenti comminati oralmente; a tal proposito, bisogna precisare che il licenziamento orale è, comunque, consentito nel caso di recesso ad nutum o libero (ex art. 2118 cod. civ.) e cioè per i lavoratori in prova (art. 10, L. n. 604/1966); per i lavoratori domestici (art. 4, c. 1, L. n. 108/1990); per i lavoratori con diritto a pensione (art. 4, c. 2, L. n. 108/1990); per i lavoratori apprendisti alla scadenza del periodo di apprendistato (D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167, come mod. dalla L. n. 92/2012) e per gli sportivi professionisti (art. 4, c. 8, L. n. 91/1981). La questione si complica nel caso di licenziamenti per motivi disciplinari. Il licenziamento disciplinare è, pacificamente, considerato non un terzo genere di
P. 3 La recesso, bensì una specie del genere giusta causa o giustificato motivo soggettivo ed, in questo caso, il recesso del datore di lavoro è determinato dalla condotta colpevole del lavoratore. La tutela reale per il lavoratore illegittimamente licenziato è prevista solo in due ipotesi: quando il fatto contestato non sussiste ovvero, pur sussistendo il fatto, esso, nei contratti collettivi, è punito con sanzioni che non prevedono l espulsione del lavoratore. La Corte di Cassazione ha, a tal proposito, affermato che il licenziamento disciplinare richiede, ai fini di una preventiva valutazione circa la legittimità dello stesso, la pubblicazione del codice disciplinare (cfr. Cass., sez. lav., n. 307/1996 e Cass., sez. lav., n. 4778/2004) e, altresì, l immediatezza della contestazione rispetto al fatto addebitato (Cass., sez. lav., 31 gennaio 2012, n. 1403). Quest ultimo requisito, precisano gli Ermellini, è da intendersi in modo relativo poiché l accertamento e la valutazione dei fatti può richiedere un lasso temporale più o meno lungo. In ogni caso, tale preventiva contestazione deve rivestire il carattere della specificità, che e' integrato quando siano fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di diligenza e fedeltà (Cass. n. 5115 del 03/03/2010; Cass. n. 7546 del 30/03/2006). Ciò premesso, il Giudice del lavoro, dovendo pronunciarsi sulla legittimità, o meno, di un licenziamento, sarà chiamato a compiere una difficile, e non priva di conseguenze, valutazione: il Giudice deve valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, in modo tale da stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass., sez. lav., 25 marzo 2013, n. 7398). L insidia si annida nella previsione delle condotte punibili che, troppo spesso, nei CCNL, sono descritte in maniera generale ed elastica, sicché l attività di interpretazione giuridica, cui il Giudice è chiamato, tende a dare concretezza a quella
P. 4 La parte mobile (elastica) delle norme che prevedono gli addebiti, in modo da consentire alle norme stesse di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass. n. 10058 del 13/05/2005; Cass. n. 8017 del 06/04/2006). La genericità delle formule previste nei contratti collettivi ha finito, pertanto, con l indurre la Giurisprudenza a riconoscere, nella grande maggioranza dei casi, al lavoratore illegittimamente licenziato per motivi disciplinari una tutela di tipo reale, ritenendo, quindi, l'operato del dipendente non di gravità tale da giustificare l'adozione della sanzione espulsiva (Cass., sez. lav., 26 novembre 2013, n. 26397). Un ultima considerazione riguarda i licenziamenti c.d. economici o per motivo oggettivo. Si tratta di quei licenziamenti che consentono all impresa di espellere un lavoratore per ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro. Anche in questo caso, l espressione utilizzata dal Legislatore è molto generica, sicché, almeno in teoria, essa renderebbe legittima un'ampia casistica di licenziamenti individuali per ragioni economiche. Quanto ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, quindi, la tutela reale per il lavoratore illegittimamente licenziato è prevista nel solo caso in cui il Giudice ravvisi la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento. Ancora una volta, il Legislatore ha previsto che fosse l Organo Giudicante a decidere le sorti del lavoratore, fornendogli un parametro che, come si è evidenziato, è quanto mai generico. Tale indeterminatezza ha, letteralmente, spaccato in due fronti la dottrina: una parte ritiene, infatti, che l introduzione della nozione di manifesta infondatezza ha finito con l escludere l applicabilità della tutela reale al lavoratore che sia stato licenziato per motivi oggettivi; secondo altri commentatori, invece, la tutela reintegratoria sarà sempre applicabile al lavoratore, non essendo ravvisabile differenza alcuna tra la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, di cui all art. 18, comma quattro, L. 300/1970 post riforma, e la insussistenza tout court, di cui all art. 18, comma quattro, L. 300/1970 ante riforma.
P. 5 La Peraltro, nel caso dei licenziamenti economici, il Giudice, una volta ravvisata l illegittimità del licenziamento, può (e non deve) disporre la reintegrazione del lavoratore. Quanto fino ad ora esposto, relativamente ai licenziamenti economici, farebbe pensare che effettivamente la tutela risarcitoria ha prevalso su quella reale. Ma, la pratica ci insegna che le cose, fortunatamente, stanno diversamente. La Giurisprudenza ha, infatti, richiesto, al fini di ritenere valido il licenziamento per motivi economici, non solo la manifesta sussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, ma, altresì, l impossibilità di impiegare il lavoratore in un altra posizione, spingendosi fino a legittimare il demansionamento. Tale ultima incombenza, nota come obbligo di repachage, conferma l assunto in virtù del quale il licenziamento, quale rimedio a disposizione del datore di lavoro, rappresenta l extrema ratio. In assenza dei predetti requisiti, al Giudice, evidentemente, non resterà che disporre la reintegra del lavoratore. Bisogna, a questo punto, ammettere che la complessità della normativa in tema di licenziamenti non è venuta meno neppure con la Riforma Fornero, sicché la novella ha sortito, quale effetto, quello di attribuire un ampio potere ai Giudici nella scelta tra tutela risarcitoria e/o reale. Inoltre, a causa della genericità delle norme in tema di licenziamento, i contenziosi in materia di lavoro hanno subìto un aumento esponenziale. Lo Studio Legale Salvi Saponara & Associati rimane a disposizione per ogni e qualsivoglia chiarimento in merito a quanto argomentato. Per ulteriori informazioni contattare: Dott.ssa Noemi Graceffo Tel (+39) 06 97996050 noemi.graceffo@ssalex.com