AGRICOLTURA BIOLOGICA IN PIEMONTE



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NOTIZIARIO DOCUMENTI Alessandro Corsi Università degli Studi di Torino Dipartimento di Economia S. Cognetti de Martiis AGRICOLTURA BIOLOGICA IN PIEMONTE ab agricoltura biologica L Agricoltura biologica piemontese Un analisi delle strutture e delle forme di commercializzazione Nell ambito del convegno LogicamenteBIO, dove va l agricoltura biologica? organizzato dalla Regione Piemonte e svoltosi il 23 novembre scorso presso il Centro Incontri della Regione Piemonte, a Torino, è stato presentato il volume L agricoltura biologica piemontese un analisi delle strutture e delle forme di commercializzazione. La pubblicazione illustra i risultati di una ricerca promossa dalla Regione Piemonte e condotta dall Università di Torino in collaborazione con le associazioni dei produttori, di cui di seguito pubblichiamo una sintesi. Lo studio, esperienza finora unica in Italia, indaga la realtà dell agricoltura biologica in Piemonte con un approccio sistematico e approfondito. Ne emerge un quadro che offre numerosi spunti di valutazione e riflessione, estendibili al di là dei confini regionali per una costruttiva occasione di confronto. L indagine, che ha coinvolto1600 aziende intervistate sul campo, evidenzia i dati sul valore economico della produzione, propone un analisi delle strutture e delle forme di commercializzazione, rileva gli orientamenti degli agricoltori e le attese per il futuro. Pubblichiamo qui una sintesi dell interessante lavoro. La pubblicazione è edita dalla Regione Piemonte per la collana dei Quaderni della Regione Piemonte Agricoltura. e può essere richiesta alla redazione, corso Stati Uniti 21, 10128 Torino. Questo lavoro ha l obiettivo di fornire un quadro delle caratteristiche strutturali e del peso dell agricoltura biologica all interno dell agricoltura piemontese, ed in particolare di ottenere una valutazione dei canali di commercializzazione dei prodotti biologici da parte delle aziende. A questo scopo è stata condotta una rilevazione totale delle aziende biologiche iscritte nei registri regionali. Per quanto riguarda le caratteristiche generali dell agricoltura biologica, la SAU delle aziende biologiche è di 36927,11 ha, pari al 3,44% della SAU regionale rilevata dal Censimento dell Agricoltura del 2000. Non tutta la superficie delle aziende biologiche, tuttavia, è investita a coltivazioni biologiche. La SAU delle colture biologiche e in conversione è pari all 81,2% della SAU delle aziende biologiche, e ammonta a 29.836,55 ha, corrispondente al 2,79% della SAU piemontese. Il riparto della SAU biologica vede la percentuale maggiore coperta dai prati e pascoli, per un valore del 48,5% del totale; seguono i cereali 20 (22,1%), fra i quali il più importante è il riso; le coltivazioni legnose agrarie (15,8%), con al primo posto il castagno, seguito dai vigneti di qualità; le foraggere (7,2%); e le piante industriali (4,6%), fra le quali la coltura più importante è il girasole. Per quanto riguarda gli allevamenti, i bovini assommano a circa 20.000 capi (2,5% del numero rilevato nell ultimo censimento), gli ovini a 7.400 capi (8,4%), i caprini a 4.300 capi (8,7%), i suini a 16.500 (1,8%), gli avicoli a 282.00 capi (2%). Le aziende biologiche rilevate e operanti sono 1655, pari all 1,4% del numero totale delle aziende regionali rilevate dal Censimento dell Agricoltura del 2000. Le aziende che effettuano coltivazioni sono 1610, quelle con allevamenti (compresi gli apicoli) 611, e quelle che effettuano trasformazioni 389; ovviamente, la stessa azienda può ricadere in più di una di queste categorie. Le caratteristiche strutturali delle aziende biologiche non sono molto diverse da quelle dell insieme regionale. La loro distribuzione per classi di ampiezza vede una concentrazione nelle classi di superficie più ridotte: le aziende inferiori a 5 ha costituiscono da sole il 39% del numero totale (ma contribuiscono solo al 3% della SAU complessiva), mentre le aziende superiori ai 50 ha, pari al 9% del totale, assommano il 65% della SAU totale; tuttavia la concentrazione nelle dimensioni minori è meno forte che per il complesso regionale, e la dimensione media risulta pari a 22,3 ha di SAU per le aziende biologiche, contro una media regionale di 8,3. Le aziende con animali sono 533; quelle con allevamenti bovini sono 399, 40 quelle con suini, 107 con ovini, 112 con caprini, 41 con avicoli; ovviamente alcune aziende allevano più di una specie. Il confronto col dato piemontese indica un maggior peso fra le aziende biologiche degli allevamenti bovini di medie dimensioni (20-100 capi), sia come numero di aziende sia come numero di capi; viceversa sono meno presenti i piccoli allevamenti, e sono assenti quelli superiori ai 500 capi. il numero medio di capi bovini per allevamento nelle aziende biologiche (50,6) risulta superiore a quello regionale (44,2). Per

Agricoltura 58 quanto riguarda i suini, mentre nell insieme della Regione gli allevamenti sono fortemente concentrati come numero di capi nelle classi più alte, ma con una forte dispersione, fra le aziende biologiche si ha un numero non trascurabile di aziende di dimensioni medio-piccole (10-100 capi) e medie (100-500); il peso degli allevamenti di dimensioni superiori è maggiore di quello del complesso della Regione come numero di aziende (17,5% contro 14,6%), ma leggermente inferiore (86%) come numero di capi. Anche per i suini il numero medio di capi per allevamento risulta superiore nelle aziende biologiche (412,0) rispetto alla Regione nel suo complesso (260,6). La maggiore concentrazione di aziende con ovini si ha nella classe fra 20 e 50 capi, mentre in Regione è nella dimensione 3-9 capi; anche se mancano fra le aziende biologiche allevamenti di grandissime dimensioni, il numero medio di capi per allevamento è maggiore fra le aziende biologiche (69,2) che nel complesso della Regione (39,8). Per quanto riguarda gli avicoli, la concentrazione del numero di aziende nella classe di ampiezza minore è meno accentuata che a livello regionale, e le aziende sono maggiormente distribuite su ampiezze diverse. L alto valore della consistenza media degli allevamenti biologici, pari a 6.883 capi, contro una media regionale di 827 polli da carne e di 120 galline ovaiole, è da attribuire principalmente alla presenza di un azienda biologica di dimensioni notevoli. Per quanto riguarda la distribuzione delle aziende per dimensione economica, più della metà delle aziende è concentrata nelle dimensioni economiche più modeste, con vendite fino a 10.000 euro; quelle che arrivano a 50.000 euro sono l 85% circa. Ovviamente, vale il contrario per quanto riguarda la PLV: il 77% di essa è realizzato in aziende sopra i 50.000 euro di vendite. Anche se un confronto preciso coi dati regionali non è possibile, sembrerebbe comunque che le aziende biologiche siano in qualche modo più spostate verso classi di ampiezza economica media rispetto al complesso delle aziende piemontesi. Rispetto al tipo di produzione, il gruppo di coltivazioni maggiormente diffuso fra le aziende biologiche è quello delle Coltivazioni legnose agrarie, presente nel 64% di esse, seguito dai Prati e pascoli (52%), dai Cereali (29%), dalle Patate e ortaggi (24%) e dalle Foraggere (19%). Naturalmente, le superfici investite non seguono gli stessi andamenti (la maggior estensione di superficie investita è a prati e pascoli, seguita da cereali e coltivazioni legnose agrarie): le dimensioni medie delle superfici investite per azienda si differenziano quindi notevolmente e vedono al primo posto i Cereali, con 24,45 ha, superiore a quella dei Prati e pascoli (18,24 ha), e a quella dell Arboricoltura da legno (10,19 ha) e delle Piante industriali (9,59 ha). Come si è detto, le aziende che allevano bovini sono 399, quelle con suini 40, con ovini 107, con caprini 112, ed infine con avicoli 41. Le aziende che effettuano la trasformazione dei prodotti sono 520; la categoria di prodotti trasformati che interessa il maggior numero di aziende è quella dei vini, in particolare i rossi di qualità; seguono i prodotti da latte, quelli da frutta secca, e le confetture, succhi e dolci. Il 17% delle aziende biologiche svolge poi altre attività (agriturismo, artigianato, attività dimostrative, ecc.). Per quanto riguarda la commercializzazione, un dato importante è la divisione dei prodotti biologici fra il mercato biologico e quello convenzionale. La percentuale di commercializzazione come biologico (includendo in questo termine anche i reimpieghi e l autoconsumo) è molto variabile secondo i prodotti, dal 7,4 al 100% della produzione biologica, ma in generale è alta: è inferiore alla metà solo per 5 prodotti (nocciolo, barbabietola da zucchero, altri piccoli frutti, triticale e ribes), mentre è superiore all 80% in 27 casi. Semplificando molto, si può dire che è alta per i principali frutti (mele, pere, pesche) e per le piante industriali (girasole, soia, aromatiche) con l eccezione della barbabietola; a livelli leggermente inferiori per i principali cereali, per molti ortaggi e le patate, e per l uva. Il livello molto alto della percentuale fra le foraggere è legato in grossa misura alla sua destinazione al reimpiego. Se si esamina la percentuale di produzione biologica venduta come tale, i valori sono alti soprattutto per la frutta, per alcuni cereali (specie il riso), per il pomodoro ed alcune piante industriali (soia e aromatiche). Questi sono prodotti che trovano sul mercato un adeguato riconoscimento delle 21

DOCUMENTI loro caratteristiche. In altri casi, questo non avviene, o perché sono prodotti prevalentemente reimpiegati (e per i quali, quindi il riconoscimento eventuale della caratteristica biologica è affidata ai prodotti trasformati), o perché trovano difficoltà a collocare come biologica la propria produzione. Considerando più in dettaglio i diversi canali di commercializzazione, per i cereali, le leguminose da granella, le piante industriali e le colture arboree il canale prevalente dei prodotti biologici venduti è quello dell ingrosso, con una presenza in alcuni casi di quello cooperativo; anche le foraggere sono vendute prevalentemente all ingrosso, ma una parte consistente è anche venduta in azienda o in altri canali; viceversa patate e ortaggi presentano la maggiore differenziazione dei canali di commercializzazione, perché (con l eccezione del pomodoro da industria, che ricalca il comportamento dei cereali) la vendita diretta in azienda assume un rilievo primario, spesso superiore a quello della vendita all ingrosso, e si ha una presenza spesso non trascurabile della vendita diretta sui mercati, in negozi specializzati ed alla ristorazione. In generale, coerentemente con le dimensioni generalmente ridotta delle aziende, la quantità media dei prodotti vegetali venduti è abbastanza modesta. Fra i prodotti zootecnici, solo il 52% del latte biologico è commercializzato come tale, mentre per le uova la percentuale è invece del 97%, e per il miele del 18%. I canali commerciali per il latte sono solo l ingrosso e le cooperative; per le uova, accanto all ingrosso vi è una certa presenza dei negozi specializzati, come pure per il miele, che è anche venduto a cooperative o in azienda. Per i prodotti trasformati, infine, la situazione è molto differenziata: la percentuale di produzione biologica commercializzata come tale è generalmente alta per i prodotti da cereali, le conserve, i succhi e dolci, i prodotti da erbe e gli oli; fra i vini, è alta per i vini di qualità, specie i bianchi, minore per spumanti e vini da tavola. Esaminando i canali di vendita dei prodotti trasformati biologici, la vendita in azienda assume un forte peso per molti di essi (vini, prodotti da cereali, da latte, da carne, le conserve vegetali), mentre il canale della vendita all ingrosso non ha un peso preponderante (le percentuali sono consistenti solo per i vini, i risotti, il latte, le confetture, i prodotti da erbe e le castagne secche); nel complesso, la situazione della commercializzazione dei prodotti trasformati è decisamente migliore rispetto ai prodotti vegetali grezzi: la gran parte di queste produzioni sono biologiche, e trovano in larga misura uno sbocco per la vendita come tali; i canali di commercializzazione sono piuttosto differenziati e con un peso non preponderante della vendita all ingrosso, il che indica che i produttori sono in grado di trovare sbocchi confacenti per questi tipi di prodotti, come dimostrato anche dal fatto che, se le quantità medie sono modeste, sono tuttavia molto più omogenee fra i diversi canali commerciali rispetto a quanto si riscontrava per i prodotti vegetali grezzi. La PLV delle aziende biologiche assomma, per quanto riguarda le colture, a circa 37,5 milioni di Euro. Di questi, le produzioni biologiche costituiscono il 68%, per un ammontare complessivo di poco più di 25 milioni di euro; le colture in conversione costituiscono una piccola quota del totale, l 1,7%, per un valore di circa 650.000 euro. Il peso della PLV derivante da colture biologiche è alta nelle colture arboree, nelle colture industriali, e nelle patate e ortaggi; nei cereali, invece, si ha una presenza diffusa di colture convenzionali. Sulla PLV derivante da colture biologiche, il gruppo che ha il maggior peso è quello delle colture arboree (quasi il 39% del totale), seguite dai cereali (33%), mentre patate e ortaggi e piante industriali si collocano entrambe poco sopra il 10%. All interno delle categorie, poi, il peso delle singole colture è ovviamente molto diverso. In assoluto, la coltura che realizza la maggiore PLV biologica è il riso, che pesa per il 23,5% del totale, e da solo realizza quasi 6 milioni di euro di PLV biologica. Sul complesso della PLV vegetale biologica, il 77% deriva da commercializzazione sul circuito biologico. I maggiori problemi di sbocco sui canali biologici sembrano aversi per le colture arboree, soprattutto per l uva da vino, mentre per le principali colture frutticole (con l eccezione del castagno) la percentuale di commercializzazione biologica è molto più alta; non sembrano neppure sussistere problemi né per i cereali, né per le leguminose da granella, né per le piante industriali, con l eccezione della barbabietola; la categoria patate e ortaggi si colloca su livelli un po più bassi, ma comunque largamente soddisfacenti; i foraggi si collocano all estremo inferiore, ma il loro peso sul totale è ridotto. Complessivamente, la 22

Agricoltura 58 PLV dei prodotti vegetali biologici venduti come tali ammonta a 19,5 milioni di euro, che costituiscono il 52% della PLV vegetale complessiva delle aziende rilevate. Esaminando la ripartizione percentuale della PLV della produzione biologica vegetale venduta come tale, il canale principale è l ingrosso (68,8%) che, insieme alle cooperative (8%) e alle vendite altro (che riguarda quasi totalmente le riserie: 12,1%) assomma all 88,9% del totale; i canali che permettono di trattenere una parte maggiore del valore aggiunto, quali la vendita diretta in azienda (6,6%) e nei mercati (1,9%) o nei negozi specializzati (1,7%) rimangono complessivamente nettamente minoritari. Tuttavia ciò non è vero per tutte le colture: ad esempio, per patate e ortaggi, la PLV realizzata tramite canali che consentono di trattenere una quota maggiore del valore aggiunto (vendita diretta in azienda, su mercati locali, a domicilio, nei negozi specializzati e nei ristoranti), arriva al 43,9% del totale; molto meno alto è il corrispondente valore per le colture arboree (9,7%), una categoria di colture per le quali ci si potrebbe aspettare una certa facilità di accesso a questi sbocchi, mentre per cereali, leguminose da granella, piante industriali non è evidentemente possibile pensare a canali di distribuzione molto differenziati. Gli allevamenti forniscono una PLV biologica di circa 8,9 milioni di euro (non sono disponibili i dati per i prodotti convenzionali), attribuibile per due terzi circa ai prodotti zootecnici biologici, e per il restante terzo agli animali vivi. I prodotti zootecnici biologici realizzano una PLV di circa 6 milioni di euro, pressoché ugualmente ripartiti fra latte (il 34% del totale), miele (33,4%) e uova (32,6%). La percentuale venduta come prodotto biologico è abbastanza alta: 98,6% per le uova, 86,9% per il miele e 51,9% per il latte. Per quanto riguarda i canali di commercializzazione, per il latte il conferimento è effettuato in misura preponderante all ingrosso (86,7% della PLV commercializzata come biologica) e alle cooperative (11,8%), mentre solo una quota minima deriva dalle vendite in negozi specializzati (1,4%); per le uova, all ingrosso (72,2%) si affiancano i negozi specializzati (21,8%) e la grande distribuzione (2,6%); per il miele si ha una maggiore diversificazione, con l ingrosso al 42,1%, la cooperazione al 21,4%, la grande distribuzione al 13,9%, mentre le vendite in azienda (10,5%), quelle dirette sui mercati (6,5%), nei negozi specializzati (4,9%) hanno un peso non trascurabile. Le vendite di animali biologici assommano a 2,9 23

DOCUMENTI milioni di euro, per quasi tre quarti dovuta ai bovini, mentre i suini coprono il 20,5%, gli ovini il 2,8, i caprini l 1,9 e gli avicoli lo 0,3%. Complessivamente, solo il 60,4% della PLV deriva da una commercializzazione degli animali come biologici, a causa del comparto suino, per il quale solo il 15% degli animali è venduto come biologico, contro il 71% dei bovini, il 97% degli ovini, l 85% dei caprini. La PLV derivante da prodotti trasformati in azienda è complessivamente di 14,4 milioni di euro, di cui quella che deriva da prodotti biologici è l 80,2% (11,5 milioni di euro). La componente principale della PLV da prodotti trasformati biologici è costituita dai vini (58,9%), specie i rossi di qualità, seguita dai prodotti da erbe (10,2%), dai prodotti da cereali (8,5%), al cui interno riso confezionato e risotti sono rilevanti; la PLV dei prodotti da latte (5,9%) è costituita quasi interamente da formaggi, mentre quella dei prodotti da frutta secca (6,5%) dalle castagne secche e fra le confetture, succhi e dolci (4,7%) prevalgono confetture e marmellate. Per i prodotti trasformati, con poche eccezioni, la PLV è realizzata in larghissima prevalenza sui canali biologici ed, all interno di questi, si ha una prevalenza della filiera corta o cortissima e di canali che valorizzano la qualità biologica (negozi specializzati, ristorazione), con qualche spunto anche di commercializzazione più innovativa, come le vendite su Internet ed a domicilio. Ad esempio, la vendita in azienda è nettamente prevalente per i prodotti da carne e da latte (83,1 e 69,8% della PLV da commercializzazione biologica), ed alta per i vini da tavola (58,2%), le conserve vegetali (55,1%), le confetture, succhi e dolci (48,4%), i vini bianchi e rossi DOC-DOCG (28,2 e 34,2% rispettivamente); l ingrosso rimane importante per i vini (con l eccezione degli spumanti) e per i prodotti da erbe e da frutta secca; quasi tutte le categorie realizzano una quota apprezzabile della PLV attraverso i negozi specializzati, con percentuali che arrivano al 26,8% per i vini bianchi di qualità ed al 21% per i prodotti da latte, ma che sono rilevanti anche per i vini rossi DOC-DOCG (15,7%), per i prodotti da cereali (14,9%) ed i prodotti da erbe (15,5%); sono poi da segnalare le percentuali elevate della ristorazione per i prodotti da cereali (52,4%) e quella (17,4%) del canale Internet per i prodotti da erbe. Complessivamente, la PLV delle aziende ammonta a 60,8 milioni di euro; di questi, tre quarti (75,3%) derivano da produzioni biologiche, mentre il restante 24,7% è da attribuire alle colture convenzionali o in conversione. La produzione biologica ha un valore complessivo di 45,8 milioni di euro, di cui 34,5 sono realizzati sui circuiti biologici, mentre 11,3 milioni derivano da vendite dei prodotti biologici come convenzionali. Le colture contribuiscono per il 55,3% alla PLV da prodotti biologici, i prodotti zootecnici per il 19,5% ed i prodotti trasformati per il 25,2%. Il confronto coi valori regionali (che deve essere preso solo come ordine di grandezza, date le differenze metodologiche) mostra che la PLV derivante da produzioni biologiche (escludendo quindi quella derivante da produzioni convenzionali presenti in azienda) è pari all 1,5% del totale regionale; se si esclude dal confronto il valore delle produzioni degli allevamenti, per i quali la comparabilità è più problematica, il peso del biologico sale al 2%. Se poi si considerano le sole produzioni biologiche commercializzate come tali, le percentuali calano rispettivamente all 1,1 ed all 1,6%. L importanza delle produzioni biologiche è molto variabile a seconda dei settori. Il peso maggiore rispetto al totale regionale si riscontra nelle piante industriali (5,6%), soprattutto grazie alla soia (13,7%) e alle altre, comprese le spontanee (25,4%), nelle quali abbiamo collocato le piante aromatiche; su livelli superiori alla media si collocano anche le colture arboree a frutto annuo (3,5%), in particolare le pere (9,9%), le pesche (2,6%), l actinidia (3,1%), le susine (5,1%), le albicocche (4,2%) e l uva da tavola (23,6%); i cereali biologici non hanno un peso rilevante sul totale piemontese (1,2%), ma vanno segnalati i cereali minori (4,2%) ed il riso (2,3%); fra le numerose colture comprese nella categoria patate e ortaggi (1,3%) spiccano i pomodori (5%); fra i prodotti degli allevamenti (0,7%), solo le uova (2,9%) e gli ovi-caprini (3,1%) realizzano una percentuale relativamente elevata. Il 60,2% delle aziende si è avvalso negli ultimi tre anni di servizi di assistenza tecnica. Nel complesso, il servizio è apprezzato da coloro che lo utilizzano, dato che il 95% lo ritiene molto o abbastanza adeguato alle esigenze aziendali. Fra quelli che non lo utilizzano, la ragione principale è che lo ritengono non necessario (47,6%), seguita dal costo eccessivo (38,5%). Agli intervistati è stato anche domandata la loro opinione sui principali problemi dell agricoltura biologica e sulle loro future intenzioni. Tre tipi di problemi principali emergono dal giudizio degli agricoltori biologici: 1) quello, sicuramente preponderante, della difficoltà di reperimento degli sbocchi commerciali per la propria produzione, con la conseguenza di prezzi di vendita insoddisfacenti; 2) quello, di entità minore, relativo alle difficoltà tecniche di produzione, che però si associa frequentemente anche a problemi commerciali; 3) infine quello, più strettamente di calcolo economico, del rapporto fra costi di produzione e prezzi di vendita. Questo è confermato dalle ragioni della vendita come convenzionali dei propri prodotti biologici, che è indicata prevalentemente nella mancanza di sbocchi di mercato (84% del totale delle aziende che non certificano totalmente la loro produzione), seguita dallo scarso o nullo differenziale di prezzo fra convenzionale e biologico (4,3%); i costi della certificazione sembrano essere solo una componente secondaria fra le motivazioni, pesando per meno del 4%. Riguardo alle intenzioni, il 64% degli agricoltori biologici intende mantenere il livello attuale di produzione, ed un ulteriore 14% pensa di aumentarlo (soprattutto nel campo delle produzioni vegetali), per un totale di soddisfatti del 78,5%; tuttavia il 3,4% pensa di ridurla, ed il 18% (299 agricoltori) pensa addirittura di cessarla. Le ragioni principali per ridurre la produzione sono la mancanza di convenienza economica e gli scarsi sbocchi di mercato. La motivazione più importante per la cessazione dell attività 24

Agricoltura 58 biologica è invece la fine dei sussidi (30%), ma anche la mancanza di convenienza economica (24%) e di sbocchi di mercato (17%) sono considerate rilevanti. Un breve questionario è stato sottoposto alle aziende che avevano cessato la produzione biologica: le aziende in questione erano 204 (11% del totale delle aziende intervistate), di cui 25 erano aziende che avevano cessato completamente l attività agricola, mentre le aziende che avevano abbandonato la produzione biologica erano 186 (10% del totale). Il motivo più importante indicato per la cessazione della produzione biologica è l uscita dal regime dei contributi (45%), seguito dalla difficoltà di trovare uno sbocco ai prodotti biologici (14%) e dai costi eccessivi di certificazione (11,5%). La scelta di abbandonare il biologico è in larga parte considerata irreversibile. Infatti, alla domanda successiva se prevedessero di tornare alla produzione biologica, se fossero cambiate le condizioni attuali, il 54,4% risponde di no, contro il 43,6% di sì, ed il 2% che non si pronuncia. Incrociando queste risposte con le motivazioni dell abbandono del biologico, risulta evidente che quelli che hanno abbandonato il biologico per la cessazione del regime dei contributi, per i costi di certificazione e per le complicazioni burocratiche sono relativamente disponibili a riprenderne la produzione ove se ne creassero le condizioni, mentre quelli che avevano denunciato come ragioni la mancanza di sbocchi di mercato e le difficoltà tecniche, oltre alle ragioni personali, sono invece in larghissima misura intenzionati a non riprendere l esperienza. In conclusione, l agricoltura biologica rappresenta una realtà limitata rispetto al complesso dell agricoltura piemontese, sia in termini di numero di aziende operanti, sia come peso sulla SAU sul valore della produzione piemontese. Tuttavia, anche al suo interno si ha una prevalenza di piccole aziende, da questo punto di vista non si discosta dal complesso dell agricoltura regionale, anzi per certi versi la situazione strutturale è migliore; inoltre l agricoltura biologica piemontese è caratterizzata da una forte diversità delle produzioni ed è quindi in grado di fornire una gamma fortemente differenziata di prodotti. L analisi della commercializzazione e dei suoi canali mostra però che non sempre le aziende sono in grado di valorizzare adeguatamente i loro prodotti. Una parte dei prodotti biologici viene infatti venduta come convenzionale, in percentuali che variano molto per comparto e per prodotto. Il problema è maggiore per quelli vegetali, con forti differenze al loro interno, ma anche per alcuni prodotti degli allevamenti, molto meno per i prodotti trasformati. Il quadro della commercializzazione quindi, anche se non è affatto negativo, presenta molte possibilità di miglioramento, sia sotto l aspetto della valorizzazione dei prodotti biologici come tali, sia sotto l aspetto dell attivazione di canali di vendita meno tradizionali e che permettano di sfruttare meglio le caratteristiche del prodotto. Viceversa, sembrano meno importanti i problemi tecnici. In definitiva, il settore appare anche in grado di adattarsi, anzi appare in atto un processo di ristrutturazione, che vede l abbandono da parte di aziende che non hanno potuto o saputo sfruttare le potenzialità della produzione biologica, o che l avevano adottata principalmente in funzione della riscossione di sussidi. Tuttavia appare necessaria, per lo sviluppo ulteriore del settore, una particolare attenzione al problema della commercializzazione e della concentrazione dell offerta. 25