Equazioni differenziali del primo ordine: casi particolari e teorema di esistenza per il problema di Cauchy

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Equazioni differenziali del primo ordine: casi particolari e teorema di esistenza per il problema di Cauchy 10 maggio 2010 Supponiamo che f(x, y) sia una funzione continua definita in un rettangolo del piano xy. Questo significa che x varia in un intervallo I dell asse delle x ed y varia in un intervallo J dell asse delle y. L espressione y = f(x, y), (1) indica il problema di trovare le funzioni y(x) definite nell intervallo I e a valori nell intervallo J che sono derivabili e la cui derivata in ogni punto x I soddisfa alla condizione y (x) = f(x, y(x)). Questo problema e/o l espressione indicata sopra si chiama equazione differenziale del primo ordine. Abbiamo naturalmente già visto equazioni di questo tipo e cioè le equazioni lineari y + a(x)y = b(x) in cui f(x, y) = b(x) a(x)y, l intervallo I coincide con l intervallo di definizione di a(x) e b(x), e l intervallo J è tutta la retta reale. Nel caso della equazione differenziale lineare siamo riuscito a fornire una formula risolutiva che esprimeva tutte le possibili soluzioni. Nel caso della equazione generale (1) questo non è in generale possibile. In questi appunti considereremo, in primo luogo, casi particolari della (1) nei quali sarà possibile trovare alcune delle soluzioni. Prima di andare avanti osserviamo che con riferimento alla (1) si cercano in genere soluzioni che soddisfano ad una condizione iniziale. Si cerca cioè di risolvere il cosiddetto problema di Cauchy, che è il problema di trovare (se esiste) la soluzione y che in un punto I, assume un particolare valore y 0 J. Il problema di Cauchy, o problema del valore inziale, si esprime in formule come segue: y = f(x, y), y( ) = y 0. (2) 1

La domanda che ci si chiede e se esiste una funzione che soddisfa a questo problema e se questa soluzione è unica. Abbiamo visto che la risposta è positiva per le equazioni lineari. Diciamo subito che anche in condizioni generali è possibile dimostrare l esistenza di una soluzione, ma possiamo essere costretti a restringere la soluzione ad un intervallo più piccolo di I. Per l unicità dobbiamo invece aggiungere una ipotesi di Lipschitizianità rispetto ad y per la funzione f(x, y). Prima di affrontare il caso generale, prenderemo in considerazione alcuni casi molto particolari. Equazioni a variabili separate Il primo caso che considereremo è quello in cui nella (1) la funzione f(x, y) si può scrivere come f(x, y) = g(x) h(y), dove h e g sono funzioni di una sola variabile. Scriviamo all ora l equazione come h(y) dy = g(x), (3) dx Se u è una soluzione della (3) in un intervallo I e I, allora h(u(x))u (x) = g(x), per tutti gli x I. Possiamo integrare da a x quest ultima equazione per ottenere: h(u(t))u (t)dt = u(x) u( ) h(u)du = g(t)dt. (4) In pratica se si trovano primitive H(y) di h e G(x) di g, allora si devono cercare le soluzioni tra le funzioni definite implicitamente dalla relazione H(y) = G(x) + c, dove c è una costante reale. L esempio più semplice di equazioni e soluzioni di questo tipo è fornito dal cao in cui h(y) 1. Allora l equazione è y = g(x), che si risolve trovando una primitiva G di g e scrivendo y(x) = G(x) + c Un altro esempio semplice è fornito dal caso in cui g(x) 1 ed abbiamo y = 1 h(y), 2

ovvero h(y)dy = dx. Così se H è una primitiva di h, le souzioni y saranno definite implicitamente dalla H(y) = x + c. Consideriamo ad esempio l equazione, Possiamo scrivere questa equazione come y = y 2. (5) dy y 2 = dx, che da luogo alla relazione 1 y = x + c, ovvero y = 1 x + c. Osserviamo subito a questo punto che non tutte le soluzioni della (5) sono rappresentate in questa formula. Manca, ad esempio, la soluzione identicamente nulla. In effetti quando abbiamo diviso per y 2 abbiamo tacitamente supposto che le soluzioni cercate non si annullassero. Osserviamo anche che, ad esempio, il problema y = y 2, y(1) = 1, ammette la soluzione y(x) = 1 che però non è definita su tutto R, nonostante la regolarità della funzione y 2. x Passiamo ora ad un altro esempio significativo. Consideriamo l equazione y = 3y 2/3 = 3 3 y 2. (6) Procediamo anche in questo caso a dividere per y 2/3 per ottenere dy = 3dx. y2/3 Otteniamo così (nell ipotesi che y 0) y 1/3 = (x + c), 3

ovvero y = (x + c) 3. Anche in questo caso la soluzione identicamente nulla non è rappresentata nella formula generale. Ma c è di più. Possono esistere ed infatti esistono più soluzioni che soddisfano alla stessa condizione iniziale. Ad esempio le soluzioni y(x) = x 3 e y(x) 0, soddisfano ambedue alla condizione iniziale y(0) = 0. Infatti ci sono infinite soluzioni che soddisfano a questa condizione iniziale. Se k > 0 e definiamo u k (x) = 0 per < x k u k (x) = (x k) 3 per k < x < +, allora u k è una soluzione dell equazione differenziale che soddisfa alla condizione inziale u k (0) = 0. Il lettore avrà notato che la funzione f(x, y) = y 2/3 è certamente continua, ma si guarda bene dall essere Lipschitziana rispetto ad y. Non si contraddice cioè il teorema di esistenza e unicità che, come vedremo, vale per l equazione y = f(x, y) quando f come funzione della sola y risulta Lipschitziana. Equazioni omogenee Ci sono equazioni che pur non essendo a variabili separate possono essere facilmente ricondotte a questo tipo di equazione. Supponiamo di avere una equazione del tipo: y = f(x, y), (7) con f continua in un rettangolo del piano. Supponiamo inoltre che per ogni numero reale t R risulti Allora posto y = ux, la (7) diviene f(tx, ty) = f(x, y). xu + u = f(x, ux) = f(1, u), e cioè u f(1, u) u =, x che è un equazione a variabili separate. Naturalmente dalla soluzione u di quest ultima equazione si ricava facilmente la soluzione y dell equazione di partenza, ricordando che y = ux. 4

Esercizio 1 Trovare tutte le soluzioni delle equazioni seguenti. y = x 2 y, yy = x, y = x + x2 y y 2, y = ex y 1 + e x, y = x 2 y 2 4x 2. Esercizio 2 Trovare le soluzioni delle seguenti equazioni y = x + y x y, y = y 2 xy + x 2, y = x2 + xy + y 2 x 2, y = y + xe 2y/x. x Il teorema di esistenza e unicità Torniamo ora al problema generale rappresentato dall equazione (1) o meglio dal problema (2). Supponiamo che la funzione f(x, y) sia definita e continua nel rettangolo R determinato dalle limitazioni x a, y y 0 b, a, b > 0. Vogliamo dimostrare che in un intervallo I che contiene, ma che, in generale, potrebbe essere più piccolo dell intervallo ( a, a 0 + a), è definita una funzione ϕ(x) derivabile, tale che ϕ( ) = y 0 e, per ogni x I, ϕ (x) = f(x, ϕ(x)). Anche se questo risultato è vero senza che la funzione f debba soddisfare ad ulteriori ipotesi (Teorema di Peano), la dimostrazione fornita in questi appunti è valida solo se si suppone che la funzione f sia lipschitziana nella variabile y, cioè che esista un numero reale positivo K tale che f(x, y 1 ) f(x, y 2 ) K y 1 y 2. In altre parole dimostreremo il seguente teorema di esistenza. 5

Teorema 1. Sia f(x, y) una funzione continua, a valori reali, definita sul rettangolo R, contenente il punto (, y 0 ), definito dalle limitazioni x a, y y 0 b, a, b > 0. Supponiamo che M sia il massimo valore assunto da f in questo rettangolo. Supponiamo inoltre che per qualche K > 0 valga la disuguglianza f(x, y 1 ) f(x, y 2 ) K y 1 y 2. Allora per x α, dove α = min{a, b/m} esiste una funzione ϕ(x) derivabile che soddisfa alle condizioni ϕ( ) = y 0 e ϕ (x) = f(x, ϕ(x)). dimostrazione Come primo passo mostreremo che le soluzioni dell equazione (2) sono tutte e solo le soluzioni della corrispondente equazione integrale, che si scrive y = y 0 + f(t, y)dt. (8) Più precisamente dimostreremo il seguente lemma Lemma 1 Una funzione è una soluzione del problema di Cauchy (o del valore inziale) (2) se e solo se è una soluzione dell equazione integrale (8). dimostrazione. Supponiamo che la funzione ϕ sia una soluzione del problema di Cauchy (2) in un intervallo I. Allora ed inoltre la funzione f(t, ϕ(t)) = ϕ (t) F (t) = f(t, ϕ(t)), risulta continua in I ed è quindi integrabile. Pertanto ϕ(x) = ϕ( ) + f(t, ϕ(t))dt. Poiché ϕ( ) = y 0, ne segue che ϕ soddisfa alla (8). Viceversa se ϕ soddisfa alla (8), allora ϕ( ) = y 0 e, derivando rispetto ad x, si ottiene, per il teorema fondamentale del calcolo che ϕ (x) = f(x, ϕ(x)). Definiremo ora una successione di funzioni ϕ n (x) che converge uniformemente ad una soluzione dell equazione integrale. Dobbiamo restringere però l intervallo sul quale sono definite le funzioni ϕ n (x), e quindi dove sarà definita la funzione limite, all intervallo I = [ α, +α], indicato nell enunciato 6

del teorema. Pertatno le funzioni approssimanti ϕ n saranno definite nell intervallo I = ( α, + α), dove α = min{a, b/m}. Cominciamo a definire ϕ 0 = y 0. Cioè la funzione ϕ(x) assume il valore costante y 0. Per n 0 possiamo allora definire ϕ n+1 = y 0 + f(t, ϕ n (t))dt. (9) Perché la (9) abbia senso è necessario che i punti (t, ϕ n (t)) appartengano al rettangolo R, dove è definita la funzione f. Questa è la ragione della limitazione x < α. Dimostreremo infatti che per ogni n, se t < α, allora ϕ n (t) y 0 < b. (10) Non c è nulla da dimostrare per n = 0. Osserviamo poi che per n = 1 vale la disuguglianza ϕ(x) y 0 f(t, y 0 ) dt < Mα b. Procedendo per induzione, e supponendo che valga la (10) per n, risulta ϕ n+1 (x) y 0 f(t, ϕ n (t)) dt < Mα b. Questo completa la dimostrazione della (10). Abbiamo quindi una successione ben definita di funzioni ϕ n (x) definite nell intervallo I = ( α, +α). Si tratta ora di dimostrare che convergono ad una soluzione dell equazione integrale (8). Per questo abbiamo bisogno dell ipotesi che f sia lipschitziana nella variabile y. In altre parole supporremo che f(x, y 1 ) f(x, y 2 ) K y 1 y 2. (11) se i punti (x, y 1 ) e (x, y 2 ) appartengono al rettangolo dove è definita f. Questa ipotesi ci assicura che la successione ϕ n converge uniformemente. Consideriamo infatti la serie di funzioni ϕ 0 + [ϕ p (x) ϕ p 1 (x)]. p=1 Osserviamo che la somma parziale di ordine n di questa serie è proprio ϕ n (x). Dimostreremo ora per induzione che ϕ p (x) ϕ p 1 (x) MKp 1 x p, (12) p! 7

per tutti i p 1. Per p = 1, la (12) si riduce a ϕ(x) y 0 M x, che è certamente vera poiché f(t, y 0 ) M. Supponiamo ora che la (12) sia vera per p = m, allora, per la condizione di Lipschitz, e nell ipotesi che x >, ϕ m+1 (x) ϕ m (x) = [f(t, φ m 1 (t)) f(t, φ m (t))]dt K ϕ m 1 (t) ϕ m (t) dt. L ipotesi di induzione ci dice che l integrando dell ultimo integrale è maggiorato da MK m 1 t m Pertanto ϕ m+1 (x) ϕ m (x) M Km m! m! t m dt = MKm x m+1 (m + 1)! Per ottenere lo stesso risultato quando x < basta ripetere la dimostrazione scambiando al momento opportuno gli estremi di integrazione. La serie ϕ 0 + [ϕ p (x) ϕ p 1 (x)], p=1 converge quindi totalmente perché i suoi termini sono maggiorati dalle costanti M Kp 1 α p, p! che sono i termini (positivi) di una serie numerica convergente. Ne segue che le funzioni ϕ n (x) in quanto somme parziali di una serie totalmente convergente, convergono uniformemente ad una funzione ϕ(x). Resta da dimostrare che ϕ è una soluzione di (8). Dobbiamo cioè dimostrare che ϕ(x) = y 0 + f(t, ϕ(t))dt.. 8

Poiché ϕ è il limite uniforme della successione y 0 + sarà sufficiente dimostrare che f(t, ϕ k (t))dt, lim k f(t, ϕ k (t))dt = f(t, ϕ(t))dt. In altre parole si deve dimostrare che è lecito passare al limite sotto il segno di integrale. Osserviamo a questo punto che la convergenza uniforme delle funzioni ϕ k e la continuità di f (continuità uniforme perché f è definita su un compatto!) implicano la convergenza uniforme delle funzioni F k (t) = f(t, ϕ k (t)). Pertanto è lecito passare al limite sotto il segno di integrale e la dimostrazione è completa. Esercizio 3 Suppomiamo che f sia una funzione continua definita in un rettangolo chiuso R = I J. Supponiamo che ϕ n sia una successione di funzioni continue definite su I ed a valori in J. Supponiamo inoltre che la successione ϕ n converga uniformenente ad una funzione ϕ. Dimostrare che la successione f(t, ϕ n (t)) definita su I converge uniformemente alla funzione f(t, ϕ(t)). Abbiamo trovato una soluzione dell equazione integrale (8) e pertanto del problema di Cauchy y = f(x, y), y( ) = y 0. Non abbiamo però dimostrato che la soluzione è unica. In realtà sarebbe possibile dimostrare qualcosa di più e cioè la cosiddetta dipendenza continua dai parametri, che è espressa dal seguente lemma. Lemma 2 Siano f e g due funzioni continue definite sul rettangolo chiuso R definito dalle limitazioni x a e y y 0 b. Supponiamo che la funzione f soddisfi sullo stesso rettangolo alla condizione di Lipschtiz per la variabile y relativamente alla costante di Lipschitz K. Supponiamo che i punti (, y 1 ) e (, y 2 ) appartengano a R e che ϕ e ψ siano rispettivamente soluzioni di y = f(x, y), y( ) = y 1, (13) 9

e Supponiamo infine che y = g(x, y), y( ) = y 2. (14) f(x, y) g(x, y) ɛ, per tutti gli x R, (15) e Allora, y 1 y 2 δ. (16) ϕ(x) ψ(x) δke K x + ɛ K (ek x 1). (17) Questo lemma ci dice che nelle ipotesi indicate, se si cambia di poco la funzione f ed il dato iniziale y 0 la soluzione non può cambiare molto, almeno nelle vicinanze di Non dimostreremo questo lemma. Una dimostrazione si può trovare nel libro An introduction to Ordinary Differential Equations di E. A. Coddington (capitolo 5, pag. 224). Dimostreremo invece il teorema di unicità che corrisponde al Lemma 2, nel caso in cui δ = ɛ = 0. Teorema 2 Supponiamo che f sia una funzione continua definita nell intervallo R determinato dalle disuguaglianze x a e y y 0 b. Supponiamo inoltre che f soddisfi ad una condizione di Lipschitz con costante K nella variabile y. Supponiamo cioè che per (x, y 1 ), (x, y 2 ) R, valga, la condizione f(x, y 1 ) f(x, y 2 ) K y 1 y 2. Supponiamo che ϕ(x) e ψ(x) siano soluzioni in un intervallo contenente del problema di Cauchy: y = f(x, y), y( ) = y 0. Allora ϕ(x) = ψ(x) per ogni x nell intervallo. dimostrazione del teorema. Dalle ipotesi deduciamo e Pertanto ϕ(x) = y 0 + ψ(x) = y 0 + ϕ(x) ψ(x) = f(t, ϕ(x))dt, f(t, ψ(t))dt. [f(t, ϕ(t)) f(t, ψ(t))]dt. 10

Usiamo ora la condizione di Lipschitz per f e per dedurre che, se x,. Se poniamo ϕ(x) ψ(x) K E(x) = la disuguglianza (18) si può scrivere ϕ(t) ψ(t) dt. (18) ϕ(t) ψ(t) dt, E (x) KE(x) 0. (19) Questa è una disuguaglianza differenziale del primo ordine che possiamo trattare moltiplicando ambo i lati della disequazione per la quantità positiva e K(x ). La disequazione diventa allora (con t al posto di x) [e K(t ) E] (t) 0. Questo significa che la funzione e K(t x0) E(t) è decrescente per x > 0, e siccome E( ) = 0 deve essere E(x) 0 per x > 0. Ma per definitione E(x) 0 pertanto E(x) = 0 per x >, che implica ϕ(x) ψ(x) = 0. Un ragionamento analogo prova che è zero per x < l integrale 0 x ϕ(t) ψ(t) dt, e che quindi è identicamente nullo l integrando ϕ(t) ψ(t) per t <. 11