Terapia antitrombotica nelle sindromi coronariche acute

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Transcript:

Terapia antitrombotica nelle sindromi coronariche acute Terapia antitrombotica associata alla strategia precocemente invasiva Direttore Dipartimento Cardiovascolare A.O. Ospedale Civile di Legnano Progetto scientifico a cura di

I pazienti che si presentano con una sindrome coronarica acuta (SCA), pur condividendo un meccanismo fisiopatologico focalizzato sulla rottura improvvisa e imprevedibile della placca ateromasica e conseguenti fenomeni trombotici, hanno manifestazioni cliniche, segni elettrocardiografici, dati bioumorali e prognosi molto differenti. In particolare, dati consistenti derivati dal registro GRACE indicano che le SCA senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE) durante la fase acuta ospedaliera mostrano un tasso d eventi ischemici inferiore alle SCA ma con ST sopraslivellato (STEMI), mentre nei 6 mesi successivi alla dimissione la curva dell incidenza d eventi delle prime tende ad aumentare a fronte di una sostanziale stabilità di quella dei pazienti con STEMI (1). Tuttavia, dallo stesso registro emerge un netto trend in miglioramento della prognosi ospedaliera e a 6 mesi delle SCA-NSTE nel periodo tra il 1999 e il 2005. (slide 1) Slide 1 È interessante rilevare che tale comportamento si osserva parallelamente a due altri fenomeni di rilievo: un maggiore utilizzo delle procedure invasive diagnostiche e di rivascolarizzazione e il progressivo incremento nell uso della terapia farmacologica antitrombotica e anti ischemica (2). Strategia invasiva di routine: intervento precoce versus intervento ritardato A seguito dei risultati di numerosi studi clinici randomizzati, prevalentemente condotti negli anni 90, l approccio invasivo per il trattamento dei pazienti con SCA-NSTE è ora definitivamente considerato superiore a quello medico conservativo in particolare per i pazienti giudicati ad alto rischio sia per i risultati ottenuti nella fase acuta che per il decorso a lungo termine (3-5). (slide 2) Superato il dilemma to cath or not to cath, si è presentato l altro ineludibile quesito riguardante la scelta del tempo ottimale in cui sottoporre il paziente instabile alla coronarografia e all eventuale rivascolarizzazione percutanea o chirurgica. Le perplessità nascono da considerazioni fisiopatologiche secondo le quali, a differenza del paziente con STEMI, in caso di SCA-NSTE il fenomeno trombotico è spesso intermittente lasciando l arteria alternativamente pervia o occlusa in modo transitorio per cui il paziente non presenta ischemia stabile e prolungata e spesso ha anche una buona risposta alla terapia medica. (slide 3) Slide 2 Slide 3 2

Questo processo fisiopatologico condiziona due possibili strategie terapeutiche: da un lato un intervento invasivo precoce nel tentativo di prevenire gli eventi ischemici intermittenti che si potrebbero presentare mentre il paziente sta aspettando la rivascolarizzazione, ma al prezzo di un aumento delle complicanze periprocedurali (3), dall altro un iniziale trattamento medico ottimale (antitrombotico, antischemico) con l obiettivo di stabilizzare la placca ateromasica ulcerata per evitare molte delle complicanze procedurali che si verificano trattando tali placche in fase acuta (6). I risultati raggiunti nei numerosi trial clinici pubblicati nell ultima decade sull argomento non sono stati conclusivi sia per l ampia variabilità degli intervalli di tempo tra la randomizzazione e la procedura (1/2-24 ore nel braccio d intervento precoce; 20-86 ore in quello ritardato) che per il follow-up troppo corto (massimo 6 mesi) che limita una scelta razionale tra i 2 tempi proposti in relazione alle eventuali differenze di decorso clinico a lungo termine (7-11). Infine, bisogna tenere conto che l armamentario farmacologico disponibile nel periodo in cui tali studi furono disegnati può apparire oggi quasi rudimentale poiché rappresentato principalmente da acido acetilsalicilico, clopidogrel, inibitori del recettore IIb/IIIa e dalle eparine storiche (la non frazionata, a basso peso molecolare e sintetica), mentre la bivalirudina per esempio è stata usata in meno dell 1% dei pazienti in entrambe le strategie (12). I nuovi farmaci antitrombotici ed antiaggreganti attualmente ammessi all uso clinico hanno migliorato significativamente i risultati in acuto e a lungo termine del trattamento invasivo dei pazienti con SCA, sia con che senza sopraslivellamento del tratto ST, per cui potrebbe modificarsi il concetto stesso di procedura precoce o tardiva e addirittura estendere il livello di rischio dei pazienti cui tali procedure potrebbero essere applicate. Due recenti meta-analisi degli studi citati, pur aumentando la numerosità del campione non hanno dimostrato differenze significative tra le 2 strategie in termini di mortalità, incidenza di reinfarto non fatale ed eventi emorragici maggiori, mentre la strategia invasiva precoce ha consentito ricoveri significativamente più brevi (3,7 vs 5 giorni, p = 0.001) e ha prodotto una significativa minore incidenza d ischemia ricorrente (3,7% vs 6,9%, p = 0.001) rispetto a quella ritardata (12,13). Sulla scorta di questi risultati, le ultime linee guida europee e statunitensi raccomandano in Classe I, livello di evidenza A, il trattamento aggressivo entro 72 ore come prima scelta per i pazienti con SCA-NSTE valutati ad alto rischio. Viceversa, lo stesso trattamento è controindicato nei pazienti a basso rischio, in quelli senza evidenza d ischemia (Classe III-A) e nelle lesioni coronariche valutate non significative (Classe III-C) (14,15). Per quanto riguarda i tempi d intervento, le Linee Guida Europee raccomandano una strategia invasiva precoce (< 24 ore) nei pazienti con un punteggio di rischio GRACE >140 (Classe I-A), mentre l angiografia coronarica urgente 3

(< 2 ore) è raccomandata nei pazienti a rischio molto alto con angina refrattaria o con associata instabilità emodinamica o elettrica (Classe I-C) (15). Terapia antitrombotica La terapia anticoagulante e antiaggregante piastrinica è stata oggetto negli ultimi anni di un intensa ricerca sperimentale sfociata nella scoperta di sostanze di potenza crescente, alimentata dall osservazione che, nonostante una corretta terapia con farmaci specifici basata sull evidenza fisiopatologica delle SCA, il rischio residuo di ricorrenza di eventi ischemici nel decorso clinico a lungo termine rimaneva ancora elevato in modo inaccettabile. (slide 8 ) Purtroppo, parallelamente alla crescente efficacia antitrombotica, questi farmaci pagano uno scotto importante sul versante della sicurezza con un rilevante aumento del rischio emorragico, soprattutto se usati in combinazione e per lungo tempo come raccomandato, specie nei pazienti con SCA trattati con angioplastica coronarica percutanea (PCI). I tassi di sanguinamento riportati nei trial randomizzati sono in realtà sottostimati poiché i pazienti arruolati non solo sono a basso rischio emorragico, ma, per tutta la durata dello studio, seguono il protocollo terapeutico sotto rigoroso controllo medico. Il tipo di farmaco e la molteplicità dei criteri utilizzati per definire i sanguinamenti sono altri fattori che condizionano l ampia variabilità dei dati sull incidenza delle emorragie. Nonostante queste limitazioni, il significato prognostico pesantemente sfavorevole anche a lungo termine delle complicanze emorragiche è definitivamente chiarito per cui nelle ultime Linee Guida è stato raccomandato di porre particolare attenzione al controllo di tali eventi utilizzando i più collaudati sistemi a punteggio di stratificazione del rischio ischemico ed emorragico (16-20). (slide 9) Slide 8 Slide 9 Tuttavia, anche con l ausilio dei sistemi citati il processo di stratificazione talvolta può essere complesso per la sovrapposizione di alcune variabili di rischio sia ischemico che emorragico per cui, ad esempio, un paziente di età >75 anni ha un elevato rischio di ricorrenza di eventi ischemici per il quale necessita di una terapia antitrombotica intensiva, ma allo stesso tempo ha anche un elevato rischio emorragico per cui la stessa terapia non può essere applicata senza qualche correzione. 4

Trattamento antiaggregante piastrinico Acido acetilsalicilico. (ASA) Ottenuta la raccomandazione più alta nelle Linee-Guida internazionali per il trattamento acuto e a lungo termine delle SCA-NSTE (14,15), le perplessità riguardanti il dosaggio ottimale dell acido acetilsalicilico sono state definitivamente fugate dai risultati di due sottoanalisi dello studio CURE e del più recente CURRENT-OASIS 7 (21-23). Nei primi 2 studi, dove i pazienti erano stratificati in 3 gruppi (ASA 75-100 mg; 101-200 mg; >200 mg in associazione al clopidogrel), è stato osservato che non vi era alcuna differenza tra i vari dosaggi né nell incidenza di eventi ischemici ad 1 anno né di eventi trombotici peri e post-procedurali, mentre il rischio emorragico aumentava rispettivamente di 1,7 e 2,05 volte con i dosaggi più alti (21,22). Invece, il recente OASIS 7, studio prospettico in aperto che in seconda randomizzazione confrontava due dosaggi di ASA (300-325 vs 75-100 mg) in pazienti con SCA da sottoporre a PCI, ha dimostrato che non vi era alcuna differenza tra queste due dosi sia nell incidenza dell endpoint primario composito a 30 giorni (morte cardiovascolare, infarto miocardico e stroke) che dei sanguinamenti maggiori, secondo la classificazione TIMI o OASIS, mentre l incidenza delle emorragie gastrointestinali è risultata significativamente maggiore ai dosaggi più alti di ASA (0,4% vs 0,2%; p = 0.04) (23). Clopidogrel. Nei pazienti con SCA-NSTE arruolati nello studio CURE il clopidogrel in aggiunta all ASA ha ridotto del 2.1% ed ha aumentato dell 1% in valore assoluto rispettivamente il rischio di eventi ischemici (morte, infarto miocardico e stroke) e di emorragie ad 1 anno di follow-up (24). L effetto è stato significativo soprattutto nei pazienti sottoposti ad angioplastica (CURE-PCI) (25). (slide 4) Per quanto riguarda il dosaggio ottimale, un analisi post hoc del già citato CURRENT-OASIS 7 ha dimostrato che la doppia dose di clopidogrel (carico 600 mg; mantenimento 150 mg x7 giorni poi 75 mg/die) associata alle alte dosi di ASA rispetto a quelle standard mostrava una significativa riduzione dell end point primario a 30 giorni solo nel sottogruppo di pazienti sottoposti a PCI (3.9% vs 4.5%; p = 0.039) a scapito tuttavia di un incremento globale dei sanguinamenti maggiori secondo la definizione dello studio (2,5% vs 2%; p = 0.009) (23). Se da un lato il clopidogrel in aggiunta all ASA ha migliorato l outcome dei pazienti SCA-NSTE, dall altro soffre d importanti limiti legati alla variabile biodisponibilità a causa del doppio passaggio epatico per ottenere il metabolita attivo attraverso l isoenzima CYP2C19, la cui funzione può essere ridotta sia dalla presenza di polimorfismi non attivi Slide 4 5

geneticamente determinati sia da interferenze farmacologiche da parte di alcuni inibitori della pompa protonica (PPI), segnatamente l omeprazolo ed il lansoprazolo, che spesso accompagnano la doppia terapia antiaggregante per ridurre il rischio di sanguinamenti gastrointestinali. Una recente metanalisi su 23 studi prevalentemente osservazionali o retrospettivi, di cui 10 sull impatto della variante genetica inattiva CYP2C19*2 per un totale di 11959 pazienti e 13 sull effetto della terapia con PPI per un totale di 48674 pazienti, ha documentato che i portatori dell allele inattivo trattati con clopidogrel manifestavano un significativo aumento del tasso dell end point primario composito (morte, infarto miocardico non fatale, stroke e rivascolarizzazione urgente) e di trombosi dello stent rispetto ai non portatori (9.7% vs 7.8%, OR 1.29 95%CI 1.12-1.49, p < 0.001, e rispettivamente 2.9% vs 0.9%, OR 3.45 95%CI 2.14-5.47, p <0.001) (26). (slide 5) Anche i pazienti che assumevano un PPI, in particolare omeprazolo, manifestavano una maggiore incidenza di eventi al follow-up rispetto a coloro che non lo assumevano (19% vs 16.6%; OR 1.37 95%CI 1.27-1-47, p <0.001). Prasugrel. Il prasugrel, una tienopiridina come il clopidogrel, ma con il vantaggio di avere un singolo passaggio epatico molto meno influenzato da polimorfismi genetici ha livelli del metabolita attivo più precoci e più stabili del clopidogrel con una maggiore inibizione piastrinica e minore variabilità interindividuale. Circa ¾ dei pazienti arruolati nel TRITON-TIMI 38 e sottoposti a PCI avevano una SCA-NSTE (27). Il trattamento con prasugrel (60 mg di carico e 10 mg di mantenimento) rispetto alla dose standard di clopidogrel (300 mg e 75 mg rispettivamente carico e mantenimento) determinava una riduzione assoluta del 2.2% dell end point primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico e stroke non fatali) e una riduzione del 58% del rischio relativo di trombosi certa dello stent (secondo la definizione ARC) (28) a un follow-up medio di 14,5 mesi cui si accompagna un tasso di sanguinamenti maggiori, secondo la classificazione TIMI, non correlati a chirurgia cardiaca, significativamente più alto (2.4% vs 1.8%, p = 0.03), trascinata soprattutto da un incremento delle emorragie spontanee (1.6% vs 1.1%; HR 1.51, 95%CI 1.09-2.08, p = 0.01). Anche i sanguinamenti fatali, che si verificavano nel tempo soprattutto per patologie gastro-intestinali concomitanti, sono risultati significativamente più alti nel gruppo trattamento rispetto al controllo. Tuttavia, il beneficio clinico netto, calcolato aggiungendo all end point primario gli eventi emorragici, risultava ancora migliore nei pazienti trattati con prasugrel rispetto agli altri (12.2% vs 13.9%; HR 0.87, 95%CI 0.79-0.95, p = 0.004). (slide 6) Dall analisi dei sottogruppi è emerso che i pazienti diabetici, che rappresentano il 23% della popolazione arruolata, e in particolare quelli insulino-dipendenti, sono quelli che hanno derivato i maggiori vantaggi dal trattamento con prasugrel rispetto ai controlli (14% vs 22%, p <0.001) per cui, essendo il tasso dei sanguinamenti maggiori sovrap- Slide 5 Slide 6 6

ponibile nei due gruppi di trattamento, il beneficio clinico netto risultava molto superiore per i diabetici trattati con prasugrel. Viceversa, pazienti con età 75 anni, quelli con peso 60 Kg, ma soprattutto quelli con precedente stroke hanno mostrato un significativo aumento assoluto delle emorragie maggiori e di quelle fatali per cui, in questi ultimi, il prasugrel appare formalmente controindicato nell uso clinico, mentre per gli altri due sottogruppi si prospetta la possibilità che la dose ridotta a 5 mg abbia minori tassi di emorragie a parità di beneficio clinico. Parimenti, i pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca in prasugrel hanno evidenziato un rischio emorragico 4 volte superiore a quelli operati in clopidogrel (27). Ticagrelor. Il ticagrelor, inibitore diretto non tienopiridinico del recettore piastrinico P2Y12, ha una breve emivita e un effetto reversibile per cui il recupero della funzionalità piastrinica è molto più rapido rispetto alle tienopiridine. I punti di forza del farmaco nel confronto con il clopidogrel nei pazienti con SCA arruolati nello studio PLATO (62% NSTEMI) sono risultati: la riduzione significativa della mortalità per tutte le cause (4.5% vs 5.9%, p < 0.001), di quella cardiovascolare (4% vs 5.1%, p = 0.001), dell incidenza di infarto miocardico non fatale (5.8% vs 6.9%, p = 0.005) e di trombosi certa intrastent (1.3% vs 1.9%, p = 0.009) (29). (slide 7) Slide 7 Tali risultati erano presenti in tutti i sottogruppi predefiniti quali i pazienti con e senza sopraslivellamento del tratto ST, con insufficienza renale, diabete, trattati o non trattati con PCI o BPAC. Dal punto di vista della sicurezza, il ticagrelor rappresenta una prima parziale inversione di tendenza nell incidenza di sanguinamenti. Il tasso complessivo di emorragie maggiori non è stato diverso nel gruppo ticagrelor e in quello clopidogrel sia con la classificazione predefinita nello studio (11.6% vs 11.2%) che con quella TIMI (7.9% vs 7.7%). Considerando vari sottogruppi, solo le emorragie maggiori non correlate a BPAC secondo la classificazione TIMI, soprattutto quelle intracraniche, sono risultate più frequenti nei pazienti trattati con ticagrelor (2.8% vs 2.2%, p = 0.03), ma i sanguinamenti fatali e minacciosi globali risultavano simili. Inibitori del recettore glicoproteico (GPI) IIb/IIIa Indipendentemente dall agonista, tale recettore rappresenta la via finale comune del processo di aggregazione 7

piastrinica e formazione del così detto trombo bianco attraverso il legame con il fibrinogeno. Le attuali Linee Guida raccomandano l aggiunta di un GPI nel momento della rivascolarizzazione percutanea (downstream) solo nei pazienti con SCA-NSTE già pretrattati con ASA e clopidogrel e giudicati ad alto rischio di eventi ischemici (troponina +, angina e/o ischemia recidivante) e a basso rischio emorragico (Classe I-B per abciximab; Classe IIa-C per le piccole molecole) (14,15). (slide 10) Slide 10 La somministrazione a monte della PCI (upsteam), a causa del significativo aumento di sanguinamenti riscontrato in alcuni studi, ha una raccomandazione in Classe III-B. Mentre per l abciximab non è richiesto alcun aggiustamento di dose in caso d insufficienza renale, la dose di tirofiban deve essere dimezzata e l eptifibatide è addirittura controindicato se la clearance della creatinina (CrCl) è <30 ml/m. Se da un lato è definitivamente provata la relazione inversa tra livelli di CrCl e rischio di eventi ischemici ed emorragici, dall altro dati contradditori sono riportati in letteratura sulla correlazione tra l incidenza di tali eventi e il trattamento con GPI in caso d insufficienza renale (30). Trattamento anticoagulante Eparine L enoxaparina, l eparina a basso peso molecolare più utilizzata per il suo migliore rapporto anti-xa/anti-iia, ha ridotto drasticamente l incidenza del rischio di sviluppare trombocitopenia e trombosi (HITT), che con l eparina non frazionata è stimato intorno al 10%, per cui viene attualmente raccomandata in classe I-B per il trattamento invasivo o conservativo delle SCA con e senza sopraslivellamento di ST, ma con la segnalazione di dimezzare il dosaggio nei pazienti con CrCl <30 ml/m /1,73 m2 e di ridurlo di un terzo in quelli con età 75 anni (14,15). Nel caso in cui la procedura invasiva sia effettuata meno di 8 ore dall ultima somministrazione dell enoxaparina non è necessaria una dose aggiuntiva del farmaco, mentre se la procedura avviene tra 8-12 ore o dopo è necessario aggiungere rispettivamente 0.30 mg/kg o 0.75 mg/kg e.v. Fondaparinux Il fondaparinux, pentasaccaride di sintesi in grado di bloccare selettivamente il fattore Xa dopo il legame con l antitrombina III, si è guadagnato la raccomandazione I-B nel trattamento medico conservativo dei pazienti con 8

SCA-NSTE a rischio intermedio-basso dopo i risultati dello studio OASIS-5 in quanto, a parità d efficacia rispetto al trattamento raccomandato con enoxaparina, ha ridotto i sanguinamenti maggiori di quasi il 50% (2.2% vs 4.1%, p<0.001) (14,15). Causa il maggiore rischio di trombosi catetere-dipendente osservato nello stesso studio, i pazienti già trattati con fondaparinux e con indicazione successiva alla rivascolarizzazione percutanea devono essere trattati anche con UFH al momento della procedura. Il fondaparinux è controindicato nell angioplastica primaria e in caso di disfunzione renale grave (14,15). Bivalirudina La bivalirudina è un inibitore diretto della trombina (fattore II) con caratteristiche peculiari rispetto all UFH la cui efficacia è stata ampiamente testata in trial clinici controllati comprendenti l intero spettro di pazienti stabili e instabili sottoposti a PCI o quelli con SCA dimessi in terapia medica (31-36). Il denominatore comune emerso costantemente in tutti gli studi che conferisce peculiarità al farmaco è che, a parità di tassi di end point primario di efficacia raggiunti, rispetto alla tradizionale UFH da sola o in combinazione con un GPI, la bivalirudina determina una significativa riduzione dell incidenza di emorragie totali che in parecchi database ha mostrato anche una significativa correlazione diretta con la mortalità totale e cardiovascolare (31-36). Dall analisi di sottogruppi predefiniti risulta che la bivalirudina determina la più alta riduzione del rischio relativo di mortalità nei pazienti codificati ad alto rischio in base all età >75 anni, al sesso femminile, al diabete, la CrCl <30 ml/m e ai valori di troponina (31,36). Infine, è stata segnalata una correlazione di rilevanza clinica tra bivalirudina e attività piastrinica su pazienti con SCA-NSTE randomizzati a bivalirudina non pretrattati o non trattati affatto con clopidogrel (37) e su quelli che dopo la dose alta di carico manifestavano ancora un alta reattività piastrinica (38). Questi pazienti avevano un più alto tasso di eventi ischemici al follow-up sia rispetto a quelli allocati al braccio UFH+GPI che a quelli con normale reattività piastrinica residua senza evidenza di aumentato sanguinamento. Questi dati evidenziano l importanza di un effettivo blocco recettoriale piastrinico, per cui i nuovi più potenti farmaci, prasugrel e ticagrelor, sembrano quelli ideali da associare alla bivalirudina. 9

Conclusioni La rivascolarizzazione percutanea è raccomandata come trattamento di scelta da eseguire preferibilmente nelle prime 72 ore dall ingresso dei pazienti con SCA-NSTE e in particolare in quelli giudicati ad alto rischio. Anche se non sono stati dimostrati vantaggi in termini di mortalità e di reinfarto, la strategia di rivascolarizzare precocemente tali pazienti riduce in modo significativo l incidenza d ischemia ricorrente e la durata media del ricovero rispetto alla stessa strategia applicata più tardivamente. Considerato che l iniziale terapia antitrombotica e antiaggregante piastrinica associata alle procedure di rivascolarizzazione percutanea lasciava un rischio ischemico residuo abbastanza elevato, la ricerca farmacologica ha sviluppato sostanze con crescente efficacia antitrombotica, ma parallelamente dotate anche di un elevato rischio emorragico. L utilizzo di queste armi a doppio taglio risulta più sicuro dopo una attenta valutazione del rischio ischemico ed emorragico del paziente. Tuttavia, anche con l ausilio dei sistemi più collaudati di stratificazione del rischio, talvolta il processo decisionale può risultare complesso per la sovrapposizione nello stesso soggetto di alcune variabili di rischio sia ischemico che emorragico per cui, ad esempio, un paziente di età >75 anni ha un elevato rischio di ricorrenza di eventi ischemici per il quale necessita di una terapia antitrombotica intensiva, ma allo stesso tempo ha anche un elevato rischio emorragico per cui la stessa terapia non può essere applicata senza qualche correzione. La bivalirudina è per ora il farmaco che più degli altri ha dimostrato di ridurre gli eventi emorragici a parità di efficacia antitrombotica. Bibliografia 1. Fox Ka, Dabbous OH, Goldberg RJ, Pieper KS, et al for the GRACE Investigators. Prediction of risk of death and myocardial infarction in the six months after presentation with acute coronary syndrome: prospective multinational observational study (GRACE). BMJ 2006, October 10 doi:10.1136/bmj.38985.646481.55. 2. Fox KA, Steg PG, Eagle KA, et al for GRACE investigators. Decline in Rates of Death and Heart Failure in Acute Coronary Syndromes, 1999-2006. JAMA 2007;297:1892-900. 10

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