giudicedonna.it Numeri 2-3 /2018

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Migrazioni via mare: obbligo di soccorso e principio di non-refoulement Monica Gazzola 1. L obbligo di soccorso in mare è un principio consuetudinario di lunga tradizione marittima, positivizzato da strumenti pattizi internazionali e codificato nel nostro ordinamento. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, 1982) sancisce l obbligo del comandante di una nave di assistere chiunque si sia perduto in mare e di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo. Tale obbligo forma oggetto specifico di due convenzioni elaborate dall IMO (International Maritime Organization): *la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS, 1974) ; * la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (Convenzione SAR, 1979), che obbliga gli Stati parte a garantire che sia prestata assistenza a ogni persona in pericolo in mare senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata (capitolo 2.1.10). Corollario all obbligo per i comandanti delle navi di prestare soccorso immediato è l obbligo per gli Stati costieri di promuovere l istituzione, l attivazione e il mantenimento adeguato di un servizio effettivo di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare ossia c.d. zone SAR search and rescue (Convenzione UNCLOS art.98 co.2). L obbligo di soccorso è sancito anche dall ordinamento interno italiano e la sua violazione costituisce reato. Infatti, l art.489 cod. navigazione dispone: L assistenza di nave o aeromobile in mare o in acque interne, che siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, quando siano in pericolo persone, e l art.1158 dello stesso codice punisce come reato l omissione di assistenza a navi o persone in pericolo. L obbligo di soccorso non è derogato dalla normativa nazionale in

tema di favoreggiamento dell immigrazione clandestina. L art. 12 del d.lgs. 286/1998 (Testo Unico Immigrazione), che disciplina il reato di favoreggiamento, al secondo comma dispone che fermo restando quanto previsto dall art. 54 c.p., non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato. In ogni caso, come previsto dallo stesso art. 12 co. 2 del citato Testo Unico, resta ferma l applicabilità dell esimente generale dello stato di necessità di cui all art. 54 c.p., a prescindere dalla circostanza che la persona soccorsa sia o meno in acque territoriali, ogniqualvolta tale persona si trovi in una situazione di pericolo attuale per la propria vita o integrità fisica. 2. L obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nel sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare e annegare, ma è adempiuto solamente con lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety), che viene definito dalle citate convenzioni internazionali come una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e la sicurezza della vita dei sopravvissuti non è più minacciata e i bisogni umani primari (cibo, alloggio, servizi medici) possono essere soddisfatti. Inoltre è un luogo da dove possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti verso la loro destinazione successiva o finale. Lo Stato nella cui regione SAR siano stati recuperati i sopravvissuti ha la responsabilità di garantire loro lo sbarco in luogo sicuro. Nel caso in cui le persone soccorse siano migranti, le linee guida IMO del 2004 sul trattamento delle persone soccorse in mare, con specifico riguardo ai rifugiati e richiedenti asilo precisano la necessità di evitare lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati soccorsi in mare in quei territori ove la loro vita e la loro libertà sarebbero in pericolo. Il luogo sicuro deve anche garantire la possibilità di avvio delle procedure amministrative per i richiedenti asilo. E veniamo quindi al principio di non-refoulement. Il principio di non-refoulement vieta il respingimento, il rimpatrio o il trasferimento di persone vittime di persecuzioni, torture o altri danni gravi. Il principio non si applica esclusivamente ai rifugiati formalmente riconosciuti dalle autorità del paese ospitante, ma anche ai richiedenti asilo 2

in generale, in quanto il riconoscimento dello status di rifugiato non ha natura costitutiva bensì declaratoria, poiché un individuo diviene rifugiato per il solo fatto di essere in possesso dei requisiti posti dalla Convenzione di Ginevra del 1951, e non in virtù di una formale determinazione (così Comitato Esecutivo, UNHCR, Conclusione No. 6 - XXVIII- Nonrefoulement - 1977). E riconosciuto quale norma di diritto internazionale consuetudinario ed è codificato a livello internazionale ed europeo. Oltre alle già citate linee-guida IMO del 2004, è previsto da: - Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato art.33 - art.78 del Trattato sul funzionamento dell UE - art.18 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione Europea, sul diritto d asilo, che ribadisce altresì il divieto di tortura e trattamenti inumani (art.4) e vieta il rimpatrio nei paesi in cui vengono praticati tali trattamenti (art.19); - la Convenzione Europea dei Diritti dell Uomo (CEDU) non riconosce espressamente tale principio, ma è desumibile per giurisprudenza costante della Corte Europea dall art.3 (divieto di tortura, delle pene o trattamenti inumani o degradanti), dall art.2 (diritto alla vita) e dall art.4 prot. 4 (divieto di espulsioni collettive). 3. L Italia è stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti dell Uomo per violazione del divieto di respingimento. Ricordiamo la sentenza Sharifi c. Italia e Grecia del 21ottobre 2014, che afferma che non vi può essere un applicazione automatica di accordi bilaterali, senza verifica delle condizioni, neppure tra Paesi UE, e ribadisce l obbligo di immediato esame delle richieste d asilo e la necessità di assistenza legale; la sentenza Khalifia c. Italia del 1 settembre 2015, che ha condannato l Italia per violazione degli artt. 3 e 5 CEDU e art.4 del Protocollo n.4 CEDU per il trattenimento e poi l espulsione di migranti nel settembre 2011 nell allora Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza di Lampedusa, senza avere svolto una verifica individuale. Ma è particolarmente importante la sentenza Hirsi c. Italia della Gran Camera del 23 febbraio 2012) che ha sancito che gli Stati membri devono rispettare il principio di non respingimento non solo durante i controlli di frontiera, ma anche in operazioni di soccorso in alto mare, puntualizzando i seguenti principi fondamentali: a) applicabilità, quale obbligo assoluto e inderogabile, del principio di non-refoulement anche nelle operazioni di salvataggio in alto mare; b) il principio di non-refoulement. vieta non solo il rimpatrio 3

dell individuo nel paese di origine, ma anche il trasferimento in altri paesi in cui vi sia il rischio di rimpatrio nel paese d origine (c.d. respingimento indiretto); c) il principio di non-refoulement deve essere garantito dallo Stato che ha il controllo effettivo, diretto o indiretto, delle persone: nozione estesa di giurisdizione di cui all art.1 CEDU ( Le Parti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel titolo primo della convenzione ).La nozione di giurisdizione ha una portata più ampia rispetto al concetto di territorio nazionale dello Stato: si applica a tutti gli individui che risultano essere sotto l autorità o l effettivo controllo delle autorità dello Stato o di altre persone che agiscono per suo conto. Inoltre, il concetto di giurisdizione si applica a tutte le aree extraterritoriali, appartengano esse ad uno Stato terzo o meno, dove il Paese in questione esercita un controllo effettivo; d) un respingimento in alto mare senza previa identificazione configura violazione del divieto di espulsioni collettive (art.4 prot.4 CEDU). Infine, il Comitato Onu contro la tortura, nel recente General Comment n. 4 del 9 febbraio 2018 sull attuazione dell articolo 3 della Convenzione contro la tortura del 1984 - che sostituisce il General Comment n.1 del 1997 - traccia delle linee guida tenendo conto dell obbligo di non- refoulement e della sua applicazione in contesti come quelli attuali, in cui aumentano i flussi migratori con un connesso incremento delle richieste di asilo e un aumento dei rischi per i richiedenti. Il Comitato stabilisce l obbligo per lo Stato di procedere alla valutazione della sussistenza di motivi di rischio di tortura nello Stato verso cui si vorrebbe respingere la persona, sottolineando che il divieto di respingimento ha carattere assoluto al pari del divieto di tortura. Pertanto, gli Stati hanno l obbligo di procedere a esami individuali e di assicurare ai richiedenti le garanzie proprie di un procedimento equo, prevedendo il diritto di appello avverso le decisioni negative. Questo, il quadro europeo ed internazionale. 4. Il nostro legislatore nel TU Immigrazione del 1998 (d.lgs. n.286/1998) aveva previsto espressamente all art. 19 il divieto di espulsione e respingimento di persone verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni sociali o personali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. 4

La legge 110/2017, che recependo la Convenzione ONU sulla tortura del 1987 ha finalmente introdotto il reato di tortura nel nostro ordinamento all art.613- bis c.p., con l art.3 ha modificato l art.19 TU, inserendo il comma 1.1: Non sono ammessi il respingimento o l espulsione o l estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Quindi, anche nella legislazione interna italiana è oggi espressamente sancito il divieto di respingimento verso uno Stato ove vi sia il rischio che la persona possa essere sottoposta a tortura. 5