IL VOTO NELLE IMPRESE Oliver Hart Festival dell Economia, Trento 1 giugno 2008
Chi dovrebbe avere diritto di voto in un impresa? Diversi possibili candidati: azionisti/investitori, lavoratori, consumatori, creditori. (Questi sono gli stakeholder) I normali principi della democrazia non aiutano molto. Ma i principi dell efficienza economica possono aiutarci a capire.
I voti possono aiutare un gruppo o una constituency ad influenzare eventi e ad auto-tutelarsi da casi di sfruttamento/espropriazione. Tuttavia, i voti sono una risorsa limitata. Dovrebbero essere dati a coloro che ne hanno maggiormente bisogno. La gran parte degli stakeholder dispongono di una qualche forma di tutela. I consumatori possono acquistare altrove se i prezzi sono troppo alti; i lavoratori possono licenziarsi se gli stipendi non sono adeguati; i creditori possono spingere un impresa al fallimento se non vengono pagati. Questi gruppi sono spesso protetti per contratto. Ma gli azionisti sono estremamente vulnerabili. Danno il proprio denaro all impresa in cambio di una modesta promessa: un dividendo se l impresa decide di pagarlo.
I voti danno agli azionisti un qualche potere. Permettono loro di licenziare il consiglio di amministrazione, se non ne sono soddisfatti. In alternativa, gli azionisti possono vendere le loro azioni (e i voti) ad un investitore attivo o ad un offerente che svolgerà il lavoro per loro. Tuttavia la situazione non è sempre così netta. Ci sono anche altri gruppi che possono essere vulnerabili. I lavoratori che stanno in un impresa da tanto tempo possono non essere in grado di trovare una nuova occupazione. Possono avere acquisito competenze che sono specifiche per quella impresa. Possono anche prendersi a cuore il modo in cui viene gestita l azienda.
Pertanto, in alcuni casi può essere ragionevole che i lavoratori siano anche proprietari dell azienda (cioè che abbiano diritto di voto). Talvolta succede. Gli esempi più eclatanti sono le associazioni fra professionisti, come gli studi legali, le società di consulenza o gli studi medici. (I soci sono anche i proprietari). Esistono anche esempi di imprese più grandi, come Mondragon. Talvolta vediamo casi in cui i consumatori sono anche proprietari: le cooperative di consumo. Tra gli esempi più comuni i circoli del golf, di tennis e di nuoto, le società di mutua assicurazione e alcune scuole o centri di assistenza diurna. Si noti che tali imprese non hanno di solito degli azionisti esterni. Non sorprendentemente queste società possono avere problemi di capitale (anche se possono prendere a prestito denaro). Questa probabilmente è la ragione per cui le grandi società che hanno bisogno di enormi capitali sono solitamente di proprietà di azionisti (esterni), piuttosto che dei lavoratori o dei consumatori.
Nella rimanente parte della mia presentazione voglio soffermarmi sulle grandi società di proprietà di azionisti (esterni) o di investitori. Rimangono molti punti interrogativi su come ripartire i diritti di voto. Ogni azionista dovrebbe avere lo stesso numero di voti, oppure alcune azioni dovrebbero pesare di più? Esistono esempi di entrambi i casi. Alcune imprese hanno una struttura di tipo un azione = un voto. Altre hanno diverse classi di azioni con differenti diritti di voto. Entrambe le strutture possono essere efficienti, a seconda delle circostanze.
Il sistema un azione = un voto è valido perché impedisce a dirigenti che riducono il valore azionario di prendere il controllo dell impresa. Supponiamo che, con l attuale management, un impresa valga 100 euro. Ipotizziamo che esistano 100 azioni ciascuna con collegato un voto. Ogni azione vale 1 euro. Se qualcuno vuole fare un offerta ostile di acquisto, dovrà offrire più di un euro per azione. Quindi l offerta andrà in porto se e solo se renderà gli azionisti più ricchi. In questo senso i diritti degli azionisti sono pienamente tutelati.
Al contrario supponiamo che esistano due classi di azioni. La Classe A include 60 azioni, ciascuna con collegato un voto; la Classe B ha 40 azioni, ciascuna con collegati due voti. In assenza di un takeover ogni azione varrà ancora un euro. Ma adesso un soggetto che fa un offerta ostile può prendere il controllo della società offrendo poco più di un euro per le sole azioni di Classe B.
Questa offerta risulterà molto allettante per gli azionisti di Classe B, che venderanno quindi le proprie azioni. L offerente disporrà di un numero sufficiente di voti per controllare la società. Tuttavia se l offerente crea meno valore dei vecchi dirigenti, gli azionisti di Classe A si ritroveranno con azioni che valgono meno di un euro. Le istanze degli azionisti di Classe A sono state così diluite, cioè i diritti degli azionisti non sono stati completamente tutelati.
Perché mai un offerente che crea meno valore vorrebbe comprare l impresa? Una ragione è che l offerente può ottenere un vantaggio privato superiore rispetto a quello ricevuto dagli azionisti ordinari, può riuscire a stornare valore a suo favore. Un classico esempio è quello della casa automobilistica che acquista una società di pneumatici e una volta che ne ha il pieno controllo, abbassa il prezzo del prodotto a favore della sua impresa.
In questo esempio le due classi di azioni permettono ad un offerente indesiderato di assumere il controllo. Talvolta però le doppie azioni possono essere positive: possono infatti tutelare alcuni tipi di benefici sociali. Consideriamo un impresa che crea un valore pari a 100 per gli azionisti e un ulteriore beneficio per la società. Per esempio, l impresa può produrre un giornale di alta qualità che informa ed educa l opinione pubblica sulla politica. Ipotizziamo ancora una volta che il valore corrente dell impresa sia pari a 100 euro e che ogni azione valga un euro.
Supponiamo che sia possibile mettere a tacere il giornale per renderlo più redditizio. Con il sistema un azione = un voto l impresa è vulnerabile nei confronti di un offerente che farà esattamente questo. L offerente potrebbe ottenere il controllo offrendo poco più di un euro per azione. L offerta può apparire allettante agli azionisti, a cui potrebbe stare a cuore il denaro, ma non tanto il contributo sociale fornito dal giornale. L offerente vincerà, ma questo potrebbe essere negativo per la società.
Al contrario, supponiamo che l impresa abbia una struttura azionaria suddivisa in due classi (come descritto sopra) e che un gruppo ristretto, per esempio una famiglia, sia proprietario delle azioni di Classe B. La famiglia può avere molto a cuore il contributo sociale del giornale, perché, ad esempio l ha fondato. Quel gruppo è quindi in grado di bloccare l offerta di acquisto. Questo è ciò che è quasi successo quando Rupert Murdoch ha cominciato ad interessarsi al Wall Street Journal. La famiglia Bancroft avrebbe potuto respingere l offerta, ma non l ha fatto. Conclusione: non c è una ricetta buona per tutti.
LEZIONI PER LA POLITICA? Si dice talvolta che consentire l acquisto di voti nelle elezioni politiche potrebbe essere una buona idea (alcune forme di voto di scambio sono infatti esistite in passato). Un importante differenza fra le comunità e le imprese: Posso comprare la tua quota (reddito) in un impresa, ma non posso comprare il tuo interesse (beneficio) in una comunità.
LEZIONI PER LA POLITICA? Pertanto, consentire l acquisto dei voti equivale a separare i voti dalle rivendicazioni d interesse, cioè è come avere due classi di azioni, una con rivendicazioni d interesse e l altra con i voti. Come abbiamo visto, il rischio è che una persona che riduce il valore assuma il controllo. (Questa persona dovrebbe ovviamente essere molto ricca e avere notevoli vantaggi privati). Non faccio nomi.! L acquisto di voti in politica sembra essere una cattiva idea..
CONCLUSIONI Aspettiamoci di vedere la gran parte delle imprese (anche se non tutte) passare sotto il controllo di azionisti esterni. Talvolta la proprietà dei lavoratori o dei consumatori è efficiente. Ancora una volta, non c è una ricetta buona per tutti. Anche fra le imprese di proprietà degli investitori aspettiamoci dei cambiamenti nella struttura dei voti. Il sistema un azione = un voto è spesso efficiente, ma non sempre. Ancora una volta, non c è una ricetta buona per tutti. Alla luce di tutto ciò, appare probabilmente sensato consentire alle imprese di scegliere l assetto proprietario più adatto. Recentemente l Unione Europea ha deciso di non rendere obbligatorio il sistema un azione = un voto. Si è trattato probabilmente di una buona decisione.
Riferimenti bibliografici Grossman, Sanford J. and Oliver D. Hart. 1988. One Share-One Vote and the Market for Corporate Control. Journal of Financial Economics, 20, 175-202. Hansman, Henry. 1996. The Ownership of Enterprise. The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, MA. Adams, Renée and Daniel Ferreirá. 2008. One Share-One Vote: Empirical Evidence. Review of Finance, 12, 51-91.