La gestione del paziente con problematiche sistemiche in odontoiatria: il paziente in terapia anticoagulante o antiaggregante



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La gestione del paziente con problematiche sistemiche in odontoiatria: il paziente in terapia anticoagulante o antiaggregante Autore: Dott. Giovanni B. Ferrieri, Consulente Medico Reparto DH e Diagnosi Orale, Responsabile dell ambulatorio di Prevenzione e Terapia dell Osteonecrosi da bifosfonati in pazienti oncologici, DMCO Az. Osp. S.Paolo, Università degli Studi di Milano, Milano Negli ultimi decenni, anche a seguito dello sviluppo delle risorse mediche, si è potuto osservare un sensibile incremento dell età media dei pazienti. Ulteriore rilievo è quello correlabile alla tipologia di patologie che si rilevano nella popolazione anziana; è infatti cambiato il quadro delle cause di mortalità per patologie della popolazione. Le malattie di natura infettiva hanno lasciato il posto a quelle cronico-degenerative (i tumori e le malattie cardiovascolari costituiscono oggi oltre il 70% della mortalità complessiva). Dai dati epidemiologici risulta che le malattie cardiovascolari continuano a rappresentare la prima causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 39% di tutti i decessi. Particolare interesse, per il frequente riscontro della patologia e per la particolare attenzione che richiedono, rivestono i pazienti affetti da disturbi cardiovascolari, nei confronti dei quali i trattamenti odontoiatrici vanno, necessariamente, pianificati in maniera adeguata. Nel trattare tali pazienti bisogna considerare con particolare attenzione anche la terapia farmacologica cui questi sono sottoposti. Ciò risulta essere vero anche per quanto riguarda le procedure di chirurgia orale ambulatoriale. In particolare, la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 14% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari costituiscono il 12%. (Fig.1) Confrontando i tassi degli eventi coronarici e cerebrovascolari, emerge che negli uomini prevalgono gli eventi coronarici, nelle donne quelli cerebrovascolari. Le malattie cardiovascolari includono malattie coronariche, malattie cerebrovascolari, ipertensione, cardiopatie reumatiche, insufficienza cardiaca, malattie dei vasi periferici e cardiopatie congenite. terapia anticoagulante o antiaggregante 1

Cardiopatia ischemica Il termine cardiopatia ischemica definisce uno spettro di malattie a diversa eziologia, in cui il fattore fisiopatologico unificante è rappresentato da uno squilibrio tra la richiesta metabolica e l apporto di ossigeno al miocardio. La cardiopatia può manifestarsi clinicamente con: arresto cardiaco primario angina pectoris infarto del miocardio scompenso cardiaco Vasculopatie cerebrali Le lesioni cerebrali a patogenesi vascolare acuta realizzano un quadro clinico caratterizzato dall insorgenza improvvisa e dalla gravità della sintomatologia, noto con il nome di ictus (colpo apoplettico, stroke ). Il terapia anticoagulante o antiaggregante 2

quadro clinico è contrassegnato da una prima fase in cui prevalgono i segni di compromissione globale delle funzioni nervose (con aspetti simili sia che si tratti di un episodio tromboembolico sia di una emorragia intraparenchimale) e da una fase successiva in cui si evidenziano i segni focali indicatori dell area cerebrale lesa. L evento che più frequentemente determina ischemia cerebrale è l occlusione o la stenosi serrata del lume arterioso. Le obliterazioni arteriose sono prevalentemente su base arteriosclerotica e si realizzano essenzialmente con le modalità delle trombosi e dell embolia. Il processo arteriosclerotico, oltre ai vasi intracranici, colpisce con particolare frequenza i vasi extracranici, in particolare la carotide interna alla sua origine, dove la lesione può frequentemente assumere l aspetto della placca ulcerata che diviene sede di trombi murali e fonte di emboli di fibrina, piastrine e colesterolo. L occlusione di un ramo arteriolare ha come conseguenza immediata la caduta della pressione di perfusione nell area nervosa corrispondente con grave ipossia parenchimale che porta alla necrosi del tessuto (detto anche rammollimento). Attacco ischemico transitorio - TIA Gli attacchi ischemici transitori (Transient Ischemic Attack, TIA) sono definiti come episodi di deficit neurologico focale a insorgenza acuta con regressione completa della sintomatologia entro 24 ore dall insorgenza. Ictus cerebrale - rammollimento L'ictus cerebrale è caratterizzato da un rapido sviluppo di sintomi e segni di alterazioni focali o globali delle funzioni cerebrali, che possono durare più di 24 ore e portare a morte o determinare gravi esiti motori. L ictus ischemico è definito come un evento acuto causato da insufficienza vascolare (come la tromboembolia cerebrovascolare) piuttosto che da emorragia. Circa l 80% di tutti gli ictus cerebrali acuti sono causati da infarto cerebrale, solitamente dovuto a occlusione trombotica o embolica di un arteria cerebrale. I restanti casi sono originati da emorragia intracerebrale o sub aracnoidea. Aritmie Col termine aritmia si intende ogni condizione in cui viene a mancare la normale frequenza o regolarità del battito cardiaco ovvero un alterazione della normale sequenza di attivazione atrioventricolare. Qualsiasi fattore in grado di modificare l automatismo, l eccitabilità e la conduttività delle cellule miocardiche può essere la causa scatenante di un aritmia. terapia anticoagulante o antiaggregante 3

Fattori fisiologici che causano un aumento della stimolazione simpatica favorita da sforzi fisici, processi digestivi, assunzione o abuso di sostanze eccitanti quali caffè, tè e tabacco possono causare un iperattività delle cellule del miocardio e portare conseguentemente ad aritmie. Queste possono coinvolgere sia il cuore sano (aritmie funzionali), ma più frequentemente il cuore malato, affetto da patologie cardiache primarie (cardiopatia ischemica, cardiopatie valvolari, miocarditi) o secondarie a malattie che coinvolgono altri organi (tireotossicosi, feocromocitoma) o a seguito di squilibri elettrolitici di cui il più comune è l ipopotassiemia. Le aritmie possono essere distinte in due grandi gruppi: aritmie ipercinetiche: in cui a livello degli atri o dei ventricoli si ha un numero di impulsi aumentato rispetto alla norma; aritmie ipocinetiche: in cui si ha un minor numero di impulsi a livello atriale e/o ventricolare. Trombosi Sono condizioni morbose caratterizzate dalla formazione all interno dei vasi sanguigni, sia venosi sia arteriosi, di coaguli ematici. Tali coaguli, detti trombi, facilmente rilasciano degli emboli che, percorrendo il circolo ematico, possono portare all occlusione di vasi sanguigni di diametro minore rispetto a quello di origine, causando una drastica riduzione dell apporto ematico al distretto di competenza dei vasi coinvolti. Valvulopatie I vizi valvolari sono anomalie di funzione delle valvole cardiache conseguenti ad alterazioni anatomiche dell apparato valvolare nel suo complesso. I vizi valvolari possono essere classificati in base alla: - natura Stenosi: l ostio valvolare è ristretto e ostacola il passaggio del sangue in senso anterogrado. Insufficienza: la valvola non è continente e consente al sangue il rigurgito in senso retrogrado. Steno-insufficienza: si verifica sia un ostacolo al flusso anterogrado che un rigurgito in senso retrogrado. - sede Stenosi, insufficienza e steno-insufficienza possono verificarsi in ciascuna valvola o essere presenti in più valvole contemporaneamente. Nell adulto sono più frequenti i vizi che colpiscono la valvola mitralica e aortica; in caso di eziologia reumatica, invece, è comune l associazione di vizi mitroaortici. Il coinvolgimento delle valvole della parte destra del cuore è spesso secondario a un vizio valvolare sinistro. terapia anticoagulante o antiaggregante 4

- eziologia del vizio Nonostante sia in costante declino, l endocardite reumatica rimane la causa più comune di valvulopatia. Altre cause possono essere: anomalie congenite, endocarditi infettive e la cardiopatia ischemica. Farmaci con azione antitrombotica I farmaci con azione antitrombotica si suddividono in due diverse categorie a seconda del meccanismo d azione. Antiaggreganti Acido acetilsalicilico Ticlopidina cloridrato Clopidogrel Anticoagulanti Warfarina Acenocumarolo Eparine ed eparinoidi Dipiridamolo Inibitori del recettore piastrinico per il fibrinogeno Farmaci antiaggreganti Gli antiaggreganti piastrinici sono impiegati nella prevenzione primaria e secondaria delle trombosi arteriose, le quali riconoscono come momento patogenetico principale l evoluzione di placche aterosclerotiche verso l ulcerazione o la rottura con conseguente aggregazione piastrinica sulla struttura endoteliale danneggiata. Gli antiaggreganti piastrinici possono essere oggi distinti in tre gruppi principali. - Inibitori della sintesi del trombassano A2 (TXA 2 ) Il principale rappresentante del gruppo è l acido acetilsalicilico (ASA), un estere salicilato dell acido acetico. Questo composto sintetizzato da Hoffman è stato introdotto in medicina nel 1899. Il suo utilizzo è indicato per la profilassi e il trattamento di patologie cardio e cerebrovascolari, febbre, dolore da lieve a moderato, dolore e flogosi nelle malattie reumatologiche e muscolo scheletriche. L effetto antiaggregante è già presente al dosaggio ridotto di 0,5-1 mg/kg mentre quello analgesico ed antipiretico necessitano di dosi più elevate. L ASA possiede un radicale acetico labile che si lega covalentemente alle ciclossigenasi inattivandole per acetilazione in maniera irreversibile. Per il ripristino dell attività, l enzima deve quindi essere nuovamente sintetizzato dalla cellula, il che non può avvenire essendo le piastrine cellule sprovviste di nucleo. terapia anticoagulante o antiaggregante 5

Di conseguenza si ha un incapacità da parte delle piastrine di sintetizzare TXA 2 e quindi di aggregarsi per il resto della loro vita (7-10 giorni). La normalizzazione della coagulazione dopo somministrazione di ASA richiede quindi mediamente una settimana, tempo necessario per avere una quantità di piastrine aggregabili. - Antagonisti del recettore piastrinico per l ADP A questa classe di farmaci appartengono la ticlopidina e il clopidogrel il cui effetto antiaggregante viene ottenuto attraverso l inibizione dell attivazione ADP-dipendente dei recettori piastrinici GPIIb/IIIa per il fibrinogeno. La ticlopidina è indicata per la profilassi degli eventi ischemici maggiori in pazienti con storia di ictus ischemico, deficit neurologici ischemici reversibili o attacco ischemico transitorio e in pazienti con claudicatio intermittens. La ticlopidina può dar luogo a diversi effetti collaterali quali nausea, dispepsia, diarrea, emorragia, porpora trombocitopenica e in circa 1% dei pazienti leucopenia-agrunolictosi. Per questo il trattamento richiede controllo periodico dell assetto ematologico dei pazienti. Il clopidogrel, pur condividendo lo stesso meccanismo d azione dalla ticlopidina, è meglio tollerato; non causa, infatti, leucopenia e ha una minor incidenza di porpora trombocitopenica. È considerato un potente farmaco antiaggregante e antitrombotico, recentemente lanciato sul mercato in seguito ai buoni risultati clinici ottenuti (Feliste et al., 1987) e alla dimostrazione della maggior efficacia rispetto all ASA, nella prevenzione degli eventi aterotrombotici in pazienti ad alto rischio (CAPRIE Steering Committee, 1996). Il clopidogrel è inattivo in vitro; per esprimere la sua piena attività antiaggregante, necessita di una biotrasformazione a livello epatico ad opera di enzimi del citocromo p450. Metabolita attivo del clopidogrel Il metabolita attivo ha un emivita di 8 ore e agisce formando un ponte disolfuro con il recettore ADP delle piastrine, che vengono inibite irreversibilmente. terapia anticoagulante o antiaggregante 6

L inibizione dell aggregazione piastrinica è dose dipendente e si può osservare 2 ore dopo l assunzione di una singola dose da 75 mg di clopidogrel. Il tempo di sanguinamento e l aggregazione piastrinica ritornano gradualmente a valori normali in 5 giorni dalla sospensione della terapia. Il clopidogrel viene impiegato entro 35 giorni da un infarto miocardico o entro 6 mesi da un ictus ischemico. Viene prescritto per la prevenzione delle complicanze aterotrombotiche nelle arteriopatie o in seguito all inserimento di stant coronarici. È inoltre utilizzato in associazione con ASA per la prevenzione di eventi aterotrombotici nella sindrome coronarica acuta senza sovraslivellamento del tratto ST (terapia di mantenimento per massimo 12 mesi) e nell infarto miocardico acuto con sovraslivellamento del tratto ST (per minimo 2 settimane dopo l episodio). L utilizzo combinato di acido acetilsalicilico e clopidogrel ha però mostrato avere un maggior rischio emorragico. - Dipiridamolo Il dipiridamolo interferisce con la funzione piastrinica facendo aumentare la concentrazione cellulare dell adenosina 3 I,5 I -monofosfato ciclico (AMP ciclico). Ha una effetto vasodilatatore che, in associazione con warfarina, inibisce la trasformazione in emboli dei coaguli formati dalle valvole cardiache artificiali e in associazione con l acido acetilsalicidico riduce la trombosi nei pazienti con malattie trombotiche. - Inibitori del recettore piastrinico per il fibrinogeno (Farmaci anti-integrine piastriniche) Questi farmaci rappresentano l approccio più recente nel campo degli antiaggreganti. Attualmente sono disponibili tre molecole: abciximab, eptifibatide e tirofiban. Sono dei bloccanti specifici dei recettori GPIIb/IIIa per il fibrinogeno. Farmaci anticoagulanti Sono farmaci che ostacolano il processo della coagulazione del sangue; possono essere divisi in due gruppi: dicumarolici: somministrati per via orale eparine (iniettabili). terapia anticoagulante o antiaggregante 7

- Eparina Nel 1906 Mclean, mentre studiava estratti di tromboplastina provenienti da tessuti diversi, scoprì accidentalmente che alcuni dei cosiddetti apatofosfatidi avevano attività anticoagulante. Due anni più tardi, lo stesso laboratorio descriveva le caratteristiche di questo nuovo anticoagulante chiamandolo eparina perché si riteneva che fosse particolarmente abbondante nel fegato. L eparina non è una sostanza singola ma una famiglia di glicosaminoglicani solfati (mucopolisaccaridi). La cosiddetta eparina macromolecolare è una catena semplice costituita da unità disaccaridiche ripetute. Nei tessuti è localizzata nei mastociti è presente anche nel plasma e nelle cellule endoteliali dei vasi sanguigni. Nel corso degli anni, tramite frazionamento della macromolecola di eparina, sono state ottenute eparine a basso peso molecolare con attività anticoagulanti leggermente diverse dalla molecola progenitrice. Queste eparine non solo si sono confermate valide e sicure alternative all eparina standard, ma addirittura più efficaci e presentano inoltre l indubbio vantaggio di poter essere somministrate per via sottocutanea. Il meccanismo d azione delle eparine è estremamente complesso e in parte ancora sconosciuto. L effetto principale si esplica sulla formazione della fibrina ma essa è in grado di modificare l aggregazione piastrinica. L azione anticoagulante viene prodotta attraverso il legame con la proteina plasmatica antitrombina III, che è l inibitore naturale delle proteasi nella cascata della coagulazione ed è efficace in modo particolare sulla trombina e sul fattore Xa ma anche sull IXa, XIa e XIIa. L antitrombina III inibisce l azione della trombina legandosi ai siti attivi dell enzima. L eparina modifica questa interazione legandosi all antitrombina III, cambiando la sua conformazione e accelerando la sua velocità di reazione. Le eparine a basso peso molecolare aumentano l azione dell antitrombina III sul fattore Xa ma non su quello della trombina, poiché quest ultima richiede necessariamente il suo legame all enzima e all inibitore, e le piccole dimensioni della molecola dell eparina non consentono la formazione del legame. L eparina non viene assorbita dal tratto gastrointestinale a causa della carica presente sulla molecola e delle sue grosse dimensioni; la sua somministrazione deve essere fatta per via endovenosa o sottocutanea mentre le iniezioni intramuscolari sono da evitare perché possono rivelarsi causa della formazione di ematomi. L eparina viene usata spesso per episodi tromboembolici acuti, per protocolli ospedalieri che includono procedure chirurgiche importanti e per via sottocutanea per prevenire l embolia polmonare e la trombosi venosa profonda. L effetto anticoagulante dell eparina è rapidamente reversibile con la somministrazione di solfato di protamina. Questa è un antagonista dell eparina. La dose necessaria per la neutralizzazione dell eparina è di circa 1 mg/100 unità, equivalente approssimativamente a 1.6 mg di protamina per milligrammo di eparina. Viene somministrata attraverso una iniezione intravenosa lenta. - Dicumarolici La bis-idrossicumarina è una sostanza chimica dotata di attività anticoagulante isolata nel 1939 da Carl Paul Link. Negli anni successivi sono stati sviluppati per uso clinico composti affini alla bis-idrossicumarina tra questi il più importante è la warfarina. Esistono solo due anticoagulanti orali disponibili in Italia: l acenocumarolo e la warfarina sodica. terapia anticoagulante o antiaggregante 8

I dicumarolici bloccano la γ-carbossilazione dei residui di glutammato della protrombina e dei pro-fattori VII, IX, X e delle proteine C e S; in questo modo il tempo di protrombina (PT) e il tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) vengono prolungati. La reazione di carbossilazione è accoppiata all ossidazione della vitamina K che passa dalla forma idrochinonica a quella epossidica. Un enzima, l epossido-reduttasi, è responsabile della riduzione della vitamina K che la rende di nuovo utilizzabile come cofattore della reazione di carbossilazione. I cumarinici si comportano come antagonisti competitivi dell epossido-reduttasi, rendendo impossibile la riduzione della vitamina K e quindi la sua attività fisiologica. In base a questo meccanismo questi farmaci hanno un tempo di latenza superiore alle 12 ore e sono necessari 3-5 giorni di terapia per raggiungere il picco dell attività anticoagulante (vedi Tabella 2). Gli anticoagulanti cumarinici presentano un alto legame con le proteine plasmatiche (>99%), sono metabolizzati dal sistema enzimatico P450 e sono soggetti ad interazioni con diversi farmaci a causa di interazioni farmacocinetiche (dovute a spiazzamento dell anticoagulante dal legame alle proteine plasmatiche o a fenomeni di induzione e inibizione farmaco metabolica) o interazioni farmacodinamiche (dovute a fenomeni di sinergismo con sostanze agenti su altre tappe dell emostasi). Ad esempio, gli antinfiammatori non steroidei (FANS) spiazzano i cumarinici dal legame con le proteine plasmatiche e ne inibiscono il metabolismo epatico e possono interferire con la funzione piastrinica, essendo dotati di azione antiaggregante, e causare emorragie. Gli antimicrobici, invece, riducono la sintesi della vitamina K e inibiscono l attività piastrinica. Tabella 2 - Range terapeutico raccomandato per la terapia con anticoagulanti orali Indicazioni Range terapeutico dell INR Profilassi/trattamento delle trombosi venose 2.0-3.0 Trattamento di embolie polmonari 2.0-3.0 Prevenzione di embolie sistemiche 2.0-3.0 Embolie sistemiche ricorrenti 2.0-3.0 Infarto miocardico acuto 2.0-3.0 Malattia valvolare cardiaca 2.0-3.0 Sostituzione valvolare con tessuto? 2.0-3.0 Fibrillazione atriale 2.0-3.0 Protesi valvolare cardiaca(alto rischio) 2.5-3.5 terapia anticoagulante o antiaggregante 9

Cenni di fisiologia dell emostasi L emostasi dipende dall interazione di proteine plasmatiche specifiche, cellule endoteliali, piastrine, e componenti dei tessuti vascolari. In condizioni normali, l emostasi è controllata dall equilibrio tra i processi emocoagulativi e quelli anticoagulanti. Processi emocoagulativi Sono avviati a seguito di una lesione della parete vasale. Il primo evento è la vasocostrizione transitoria e indotta da mediatori locali a cui seguono una serie di eventi. Prima fase: l insulto della parete vascolare danneggia le cellule endoteliali ed espone il collagene sottostante, determinando il legame dei fattori di Von Willembrand (vwf) alla matrice di collagene esposta. Ciò consente l adesione delle piastrine, per interazione dei fattori vwf con specifici recettori piastrinici, tra cui GPIb-IX e integrinie glicoproteiche di membrana. Le piastrine attivate cambiano forma, sviluppando lunghi psuedopodi e rilasciano numerosi mediatori ad azione aggregante e/o vasocostrittrice come trombassano (TAX2), ADP, fattore attivante le piastrine (PAF). Seconda fase: le sostanze rilasciate attivano altre piastrine, reclutandole nell aggregato nascente. Inoltre i mediatori rilasciati attivano specifiche integrine piastriniche GPIIb-IIIa, che legano il fibrinogeno innescando cosi l aggregazione piastrinica e la formazione del tappo piastrinico. Terza fase: in questa fase avviene la trasformazione del fibrinogeno legato alle piastrine in fibrina che stabilizza e consolida il tappo piastrinico. terapia anticoagulante o antiaggregante 10

Il processo è noto come cascata della coagulazione che implica cofattori e ioni calcio. La cascata della coagulazione è distinta in due vie: la via estrinseca o extravascolare e la via intrinseca o intravascolare. La via estrinseca è la più importante per l innesco della coagulazione ed ha inizio nella sede della lesione vascolare, dove il fattore VII circolante si lega al fattore tissutale (FT) espresso dall endotelio. Questo complesso attiva il fattore X che a sua volta attiva la protrombina (fattore II) in trombina (fattore IIa) che scinde poi il fibrinogeno per produrre fibrina. La trombina attiva anche un fattore stabilizzante (fattore XIII) che polimerizza la fibrina solubile in insolubile. La via intrinseca agisce invece da amplificatore della cascata e ha inizio quando il fattore XII viene a contatto con la superficie vasale lesa diventando un enzima attivo XIIa. Il fattore XIIa attiva il fattore XI che a sua volta attiva il IX. Quest ultimo viene in parte attivato anche dalla via estrinseca attraverso il complesso fattore tissutale-fattore VIIa. Il fattore IXa in presenza della superficie fosfolipidica, fattore VIIIa e calcio, attiva il fattore X realizzandosi così la convergenza nella via comune con conseguente amplificazione del processo coagulativo già avviato dalla via estrinseca. Processi anticoagulativi L endotelio normale previene l innesco dei processi emostatici costituendo una barriera fisica e rilasciando composti come la prostaciclina e l ossido nitrico che inibiscono l aggregazione piastrinica. Inoltre l endotelio mantiene attivamente la fluidità del sangue rilasciando inibitori specifici dei fattori attivanti ed esprimendo sulla membrana plasmatica recettori come trombomodulina che lega la trombina inattivandola. Attraverso questi meccanismi viene impedito che il processo di coagulazione necessario a riparare un area danneggiata possa diffondersi in aree circostanti. Esistono poi inibitori specifici della coagulazione, in prevalenza prodotti da fegato e dalle cellule endoteliali come: - TFPI (tissue factor pathway inhibitor, inibitore della via del fattore tissutale): inibisce l attività del complesso fattore tissutale fattore VIIa; - Antitrombina III (ATIII): una globulina prodotta dal fegato che neutralizza la trombina e inibisce tutte le proteasi della cascata della coagulazione (il cui effetto è potenziato dall eparina). - Proteina C: prodotta dal fegato che inibisce direttamente i fattori V e VIII e stimola la fibrinolisi. La fibrinolisi La fibrinolisi comprende una serie di reazioni che hanno come evento terminale la dissoluzione in vivo del coagulo fibrinico; il processo avviene a opera del sistema fibrinolitico costituito da numerosi fattori che promuovono o inibiscono la conversione di un enzima precursore, il plasminogeno, in un enzima attivo, la terapia anticoagulante o antiaggregante 11

plasmina. Questa proteasi serinica con ampia specificità simil-tripsinica è capace di digerire un gran numero di proteine, incluse la fibrina, il fibrinogeno, i fattori V e VIII, la caseina e vari peptidi, portando quindi a dissoluzione del coagulo. L attivazione del plasminogeno è il principale processo di regolazione del sistema fibrinolitico; si distinguono tre differenti vie di attivazione, di cui la più importante è quella catalizzata dall attivatore del plasminogeno di tipo tissutale (t-pa) secreto in circolo dalle cellule endoteliali. Tale attivazione necessita della presenza di fibrina per cui ha luogo solo nella sede del coagulo. Controllo dell emostasi Il sanguinamento del campo operatorio è sempre presente durante un intervento chirurgico e quando l emorragia diventa significativa questo può comportare: Diminuzione della visibilità del campo operatorio Emorragia post-operatoria prolungata Formazione di ematomi che possono rappresentare un ottimo substrato per lo sviluppo di infezioni batteriche. Esistono differenti tecniche intraoperatorie e postoperatorie per il controllo del sanguinamento. Compressione Rappresenta il sistema più semplice. Va eseguita con garza sterile imbevuta di soluzione fisiologica. Bisogna evitare l utilizzo di una garza asciutta che assorbirebbe il sangue e rimuoverebbe il coagulo. Sutura La sutura chirurgica consente di avvicinare stabilmente i bordi di una ferita favorendone la guarigione per prima intenzione nel caso in cui i lembi si trovino giustapposti senza tensione o la stabilizzazione della ferita nel caso di guarigione per seconda intenzione. Le principali tecniche di sutura utilizzate in chirurgia orale sono: Sutura a punti staccati Sutura a U Sutura a materassaio Sutura continua terapia anticoagulante o antiaggregante 12

Materiali emostatici Il tamponamento mediante spugna di fibrina o la cellulosa ossidata può essere utile in caso il semplice tamponamento si rilevi inefficace. Questi materiali si rivelano particolarmente utili per l emostasi di vasi intraossei (ad esempio un sanguinamento dai rami dell arteria alveolare inferiore) dove la diatermocoagulazione o la legatura sono sconsigliabili o non eseguibili. Cellulosa ossidata: agisce meccanicamente formando un coagulo artificiale. Colla di fibrina: è costituita da componenti che innescano la fase finale della coagulazione, quali fattore XIII e trombina liofilizzata. Solfato ferrico: determina coagulazione delle proteine come avviene con il calore. Spugne a base di gelatina o di collagene: stimolano il processo dell emostasi, sono insolubili in acqua e riassorbibili. Diatermocagulazione Sono disponibili due sistemi: Coagulazione monopolare: si avvale di un elettrodo che trasmette una corrente elettrica in grado di creare un forte aumento di temperatura locale con azione coagulante. L elettrodo non dove essere usato direttamente ma appoggiato su una pinza emostatica che blocca l emorragia meccanicamente ed agisce contemporaneamente da conduttore. Coagulazione bipolare: si avvale di pinze le cui estremità agiscono da poli elettrici. Si viene a creare un arco voltaico tra le due punte; i tessuti compressi in questo spazio vengono attraversati dalla corrente e coagulati. Legatura del vaso La legatura di un vaso è indicata in caso di emorragie a partenza da vasi di ampio calibro e in particolare arteriosi (ad esempio l arteria facciale e i suoi rami o l arteria palatina maggiore). Il vaso sanguinante deve essere innanzitutto individuato, clampato a 2-3 mm di distanza dall interruzione e suturato subito dietro la pinza emostatica, coinvolgendo la minor quantità possibile di tessuto circostante. terapia anticoagulante o antiaggregante 13

Farmaci antiemorragici Vitamina K: è indispensabile per la sintesi epatica della protrombina (fattore II), della proconvertina (fattore VII), del fattore di Christmas (IX), del fattore di Stuart (fattore X) e infine delle proteine C e S. La vitamina K interviene come cofattore nella conversione dell acido glutammico in γ-carbossiglutammato senza il quale i fattori pro-coagulativi sono incapaci di legarsi al calcio e ai fosfolipidi piastrinici con conseguenti alterazioni della cascata della coaugulazione. Concentrati del fattore VIII e IX Desmopressina: aumenta transitoriamente i valori del fattore VIII e di von Willembrand Antifibrinolitici: l acido ε-aminocaproico e l acido tranexamico hanno un elevata attività antifibrinolitica nell uomo. Entrambi i farmaci si legano reversibilmente al plasminogeno e quindi bloccano il legame del plasminogeno stesso alla fibrina e la sua attivazione a plasmina. Gestione del paziente Protocollo preoperatorio - Valutazione medica e piano di trattamento Durante la prima visita, per i pazienti in terapia anticoagulante o antiaggregante è di fondamentale importanza la raccolta di una accurata anamnesi medica generale ed odontoiatrica specifica. In seguito all esame obiettivo del cavo orale e alla valutazione degli esami radiografici è utile stabilire un piano di trattamento in relazione all invasività degli interventi e alle condizioni di salute del paziente. Gli interventi stabiliti è bene che siano preceduti da una seduta d igiene orale (ABT e scaling e root planing) qualche giorno prima, per ridurre al minimo il rischio di dover gestire tessuti con un processo infiammatorio in corso. È consigliabile eseguire interventi anche lievemente invasivi su pazienti che presentino una pressione sistolica < 180 mmhg e diastolica < 100 mmhg e con glicemia compresa tra 60 mg/dl e 160mg/dl. Il giorno dell intervento i pazienti in terapia con anticoagulanti orali saranno trattati chirurgicamente solo se in possesso di un valore di INR inferiore a 3.5 e non antecedente alle 24 ore. Nei pazienti con indicazione alla profilassi antibiotica saranno somministrati 2 g di amoxicillina cpr o 500 mg di claritromicina cpr nei pazienti allergici alle penicilline, un ora prima dell intervento. Protocollo operatorio Pochi minuti prima dell intervento, ogni paziente dovrebbe eseguire uno sciacquo di 60 secondi con circa 10 ml di prodotto puro a base di clorexidina 0,2%. Ciò al fine di ridurre la carica batterica del sito trattato, condizione favorente la guarigione della ferita chirurgica. terapia anticoagulante o antiaggregante 14

L anestesia loco-regionale è ottenibile con l inoculazione di mepivacaina 2% con vasocostrittore o articaina 1:100.000. L impiego del vasocostrittore non è una controindicazione. Riteniamo che l utilizzo dell anestesia tronculare sia da utilizzare solo se tecniche alternative non dimostrino una efficacia adeguata, questo al fine di evitare di ledere vasi presenti nei tessuti attraversati dall ago È opportuno adottare una tecnica chirurgica specifica non traumatica, preservando il più possibile il tessuto osseo e quello muco-gengivale con eventuale scollamento di lembi mucoperiostei. È consigliabile eseguire lavaggi con soluzione fisiologica e curettage alveolari dei siti post chirurgici al fine di eliminare tutto il tessuto di granulazione ed evitare così l alterazione da parte dello stesso della formazione di un coagulo competente nell immediato post chirurgico. È opportuna una adeguata sutura ove vi fosse la necessità di ottenere una guarigione per prima intenzione o per necessità di accollare le papille gengivali al di sopra degli alveoli post estrattivi. In base all invasività dell intervento e a discrezione dell operatore, è importante che al di sopra del sito chirurgico vengano applicate delle garze imbevute di acido tranexamico o soluzione fisiologica. Protocollo post-operatorio Nelle 2 ore successive l intervento i pazienti saranno controllati periodicamente ogni 20-30 minuti, ove necessario si eseguirà una rimedicazione, ponendo particolare attenzione a descrivere come effettuare una efficace compressione sul sito post-estrattivo e sottolineando l importanza che questa azione riveste nel raggiungere una buona emostasi. Ogni paziente deve inoltre essere informato della necessità di seguire una dieta fredda e morbida, di non eseguire sciacqui energici o lavaggi con acqua ed astenersi da manovre di igiene orale meccanica nell area interessata dall atto chirurgico nelle 24-36 ore successive l intervento. I pazienti portatori di protesi mobili che potrebbero potenzialmente traumatizzare il sito post-chirurgico vanno invitati a non utilizzare la protesi per i successivi 7 giorni. È consigliabile la prescrizione di un collutorio a base di clorexidina 0.2% 10ml bis/die per 14 giorni a partire dal secondo giorno dopo l intervento; ove indicata è associata una terapia antibiotica a base di amoxicillina 2 g/die per 6 giorni o claritromicina 500mg/die per 6 giorni; la terapia analgesica è con paracetamolo 500 mg x 2/die per 3 giorni. I pazienti sono dimissibili al raggiungimento di un coagulo stabile e apparentemente competente. Discussione Come abbiamo già evidenziato, nel ventesimo secolo abbiamo assistito a un processo di invecchiamento della popolazione, alla riduzione della mortalità causata da malattie cardiovascolari, oncologiche e respiratorie ma allo stesso tempo abbiamo avuto un aumento del numero di persone affette cronicamente da tali patologie. terapia anticoagulante o antiaggregante 15

Questo ha inevitabilmente portato l odontoiatra a confrontarsi con un sempre maggior numero di pazienti in terapia con farmaci antitrombotici che, se da un lato portano alla riduzione del rischio di complicanze tromboemboliche, dall altro determinano una tendenza ad aumentato sanguinamento in seguito ad un evento traumatico. Possiamo affermare che a oggi sono più gli autori che ritengono inutile e dannosa la sospensione o la sostituzione della terapia anticoagulante o antiaggregante rispetto a quelli che sostengono questo tipo di gestione. In accordo con Beirne, Ferrieri, Scully e coll., riteniamo che un adeguata preparazione pre-operatoria del paziente, attraverso l eliminazione di tutti i fattori con azione irritativa-infiammatoria, possa svolgere un ruolo importante nella prevenzione di complicanze intra e post-operatorie. Questa fase passa attraverso la rimozione dei fattori irritativi come placca e tartaro, attraverso manovre di scaling e root-planing eseguite una settimana prima dell intervento. L applicazione di un protocollo standardizzato intra-operatorio il meno traumatico possibile, sia per i tessuti molli sia per quelli ossei, garantisce un abbassamento del rischio di sanguinamento post-chirurgico. Si ritiene di fondamentale importanza l eliminazione dai siti post chirurgici del tessuto di granulazione il quale porterebbe all attivazione di mediatori dell infiammazione come il fibrinogeno con conseguente attivazione di un processo di fibrinolisi. Questo condizionerebbe infatti una corretta organizzazione del coagulo aumentando il rischio di sanguinamento in seguito all intervento. Il protocollo di gestione chirurgica del paziente in terapia con farmaci antitrombotici deve inoltre prevedere una particolare attenzione da parte del clinico nel motivare il soggetto a rispettare le indicazione postchirurgiche. Una corretta dieta liquida e fredda, l astensione ad eseguire vortici con liquidi o semplicemente saliva, preserva il coagulo da un processo di fibrinolisi. Educare il paziente a eseguire una eventuale corretta medicazione del sito operato attraverso manovre compressive permette di gestire e risolvere gran parte degli episodi emorragici. Riteniamo opportuno, analizzata la curva farmacocinetica dei derivati cumarinici e l evidente difficoltà da parte dell ematologo a far raggiungere al paziente un appropriato range terapeutico, che sia sufficiente trattare il paziente con un protocollo di gestione standardizzato piuttosto che modificare o sospendere la terapia in corso, rendendo quindi difficoltoso il ritorno a un corretto indice terapeutico. Questo eviterebbe al paziente e al clinico specialista continui controlli ed aggiustamenti della terapia nel post-operatorio. Viene inoltre riportato da diversi Autori un effetto rebound ; tale situazione si verificherebbe contestualmente al ripristino della abituale terapia anticoagulante orale, manifestandosi con una maggiore tendenza da parte del paziente a presentare valori di INR ben superiori ai valori terapeutici utili. Riteniamo infine, di particolare importanza, sottolineare come la semplice terapia antiaggregante non sia di per sé stessa da considerarsi come un fattore di rischio per eventuali complicanze emorragiche in seguito a terapie chirurgiche-orali routinarie. terapia anticoagulante o antiaggregante 16

Bibliografia essenziale Scully, Wolff, Oral surgery in patients on anticoagulant therapy, Oral Surg Oral Med Oral Pathol, vol. 94. n.1 Beirne R., Evidence to continue oral anticoagulant therapy for ambulatory oral surgery, Journal of Oral and Maxillofacial Surgery, 63:540-545, 2005 Wahl M.J., Dental surgery in anticoagulated patients, Arch Internal Med, 158:1610, 1998 Blinder D., Manor Y., Martinowitz U., et al, Dental extractions in patients maintained on oral anticoagulant therapy: Comparison of INR value with occurrence of postoperative bleeding, Journal of Oral and Maxillofacial Surgery, 30:518, 2001 Arthur H., Jeske et al, Lack of a scientific basis for routine discontinuation of oral anticoagulation therapy before dental treatment, J and Dent Assoc, 134 (11): 1492-7, 2003 Ferrieri G., et al, Oral surgery in patients on anticoagulant treatment without teraphy interruption, Journal of Oral and Maxillofacial Surgery, vol. 65, 6:1149-1154, 2007 Morimoto, Niwa, and Minematsu. Tooth Extraction on Antithrombotic Therapy. J Oral Maxillofac Surg 66:51-57,2008. terapia anticoagulante o antiaggregante 17