LETTURA DI TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE (Vita nuova, XXVI 5-7)

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DONATO PIROVANO LETTURA DI TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE (Vita nuova, XXVI 5-7) Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand ella altrui saluta, ch ogne lingua deven tremando muta, e gli occhi no l ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, 5 benignamente d umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta dal cielo in terra a miracol mostrare. 1 Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, 10 che ntender no la pò chi no la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d amore, che va dicendo all anima: Sospira 1. Nel limpido sonetto 2, Beatrice si rivela come incarnazione di un miracolo d amore, che dona una beatitudine così intensamente dolce da risultare ineffabile: La mia donna si manifesta nella sua evidenza così spiritualmente nobile e così garbata quando saluta qualcuno, che ogni lingua si ammutolisce per il tremore e gli occhi non ardiscono guardarla. Ella, mentre sente le lodi che le sono rivolte, avanza con animo benigno 1. Per tutte le citazioni dalla Vita nuova (d ora in poi indicata con la sigla V.n.), cfr. D. ALIGHIERI, Vita nuova, a cura di D. Pirovano, in ID., Vita nuova - Rime, a cura di D. Pirovano, M. Grimaldi, introduzione di E. Malato, I-II, Roma, Salerno Editrice, 2015 (NECOD: Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante), I, pp. 1-289. 2. Dante nell autocommento scrive infatti: «sì piano ad intendere» (V.n., XXVI 8).

rivestita di umiltà e rivela di essere una creatura venuta dal cielo sulla Terra a palesare la sua essenza miracolosa. Si mostra così bella a chi la contempla, che attraverso gli occhi infonde nel cuore una dolcezza, che non può intendere chi non ne fa diretta esperienza: ed è evidente che dalla sua fisionomia si muove uno spirito dolce pieno d amore che invita l anima a sospirare. La sostanza epifanica del sonetto è rivelata dalle parole chiave «pare» e «mostrare», le quali sono presenti in ciascuna delle 4 strofe e sono disseminate in posizioni rilevanti: il primo «pare», in clausola del v. 1, raccoglie la dittologia dell attacco «Tanto gentile e tanto onesta» e, in virtù dell enjambement, la riversa sul soggetto «la donna mia»; l anadiplosi «mostrare. / Mostrasi» (vv. 8-9) stringe intimamente fronte e sirma secondo il procedimento dell «unificatore centrale» 3 ; l analogo, si direbbe quasi anaforico, incipit «e par che» (vv. 7 e 12) crea un parallelismo tra la fine delle quartine e la fine delle terzine. Entrambi i verbi esprimono la manifestazione di Beatrice, chiara in mostrare, ma semanticamente attiva anche in parere, che in questo contesto «non significa sembra, ma apparisce, si mostra» 4. Il sonetto pertanto non delinea un ritratto femminile, ma esprime l epifania dinamica di una donna che si rivela come un dono d amore, con evidente riformulazione di Negli occhi porta la mia donna Amore, componimento presente in V.n., XXI 2-4. La prima strofa di Tanto gentile è incentrata sul tema del saluto salvifico, cioè su un motivo che a partire dal «padre» Guinizzelli attraversa tutto lo Stilnovo 5. Il saluto di Beatrice non è però un ammiccante gesto d amore elargito da una donna a un innamorato, ma è 2 3. Cfr. M. SANTAGATA, Dal sonetto al canzoniere. Ricerche sulla preistoria e la costituzione di un genere, Padova, Liviana, 1989 2, p. 122 [1 a ed. 1979]. 4. L annotazione è di Alessandro D Ancona: cfr. La Vita Nuova di Dante Alighieri, illustrata da note e preceduta da un Discorso su Beatrice per Alessandro D Ancona [ ], 2 a ed. notevolmente accresciuta [ ], Pisa, Libreria Galileo già FF. Nistri, 1884, p. 195 [1 a ed. Pisa, Nistri, 1872]. Questa spiegazione ha aperto la via all interpretazione ormai divenuta canonica di G. CONTINI, Esercizio d interpretazione sopra un sonetto di Dante (1947), in ID., Un idea di Dante. Saggi danteschi, Torino, Einaudi, 1976, pp. 21-31, in particolare p. 24, il quale parafrasa «appare evidentemente, è o si manifesta nella sua evidenza». 5. Si vedano per esempio GUINIZZELLI, VI 1 e X 10, CAVALCANTI, XXVI 12, LAPO GIANNI, V 10, GIANNI ALFANI, I 7, CINO DA PISTOIA, II 1-2 (per tutte le citazioni cfr. Poeti del Dolce Stil Novo, a cura di D. Pirovano, Roma, Salerno Editrice, 2012).

un segno di grazia che ha le caratteristiche dell amore cristiano (la caritas o agápe): è gratuito, non richiesto, ecumenico («altrui»), incondizionato dai meriti di chi lo riceve. Nell atto di salutare Beatrice rivela, infatti, la sua nobiltà spirituale («gentile») e la dignitosa leggiadria che traspare visivamente della sua bellezza interiore e della sua grazia («onesta»), aggettivo che corrisponde alla formula «sì piena di tutti li piaceri» della prosa introduttiva (V.n., XXVI 3), tanto che, per la trepidazione che suscita, le lingue dei presenti diventano silenti e i loro occhi sono abbassati in segno di reverente e religioso omaggio che sa di estatica venerazione. Per questa reazione, si può soprattutto rimandare al noto sonetto di Cavalcanti Chi è questa che vèn (CAVALCANTI, IV 1-4), ma anche ad altri due testi di Guido, in cui è presente pure l espressione dell attacco dantesco «tanto gentile» 6 : ch i trovo Amor che dice: Ella si vede tanto gentil, che non pò maginare ch om d esto mondo l ardisca mirare che non convegna lui tremare in pria (CAVALCANTI, XXXI 20-23), Tant è gentil che, quand eo penso bene, l anima sento per lo cor tremare (CAVALCANTI, IX 19-20). 3 E tra l altro il tremore tornerà nella Divina Commedia, quando Dante ritroverà Beatrice nel paradiso terrestre: «E lo spirito mio, che già cotanto / tempo era stato ch a la sua presenza / non era di stupor, tremando, affranto» (Purg., XXX 34-36) 7, dove il trepido gerundio tremando è nella stessa giacitura ritmica del v. 3 di Tanto gentile, e ciò contribuisce suggestivamente «ad evocare tutto un passato, i tormenti e la beatitudine dell antico amore» 8. 6. Come ha notato L. LEONARDI, Cavalcanti, Dante e il nuovo stile, in Dante. Da Firenze all aldilà. Atti del terzo Seminario dantesco internazionale (Firenze, 9-11 giugno 2000), a cura di M. Picone, Firenze, Cesati, 2001, pp. 331-354, a p. 335, l attacco del sonetto dantesco potrebbe risentire di una matrice cavalcantiana: «tanto adorna parete, / ch eo non saccio contare» (CAVALCANTI, I 29-30). 7. Per le citazioni della Divina Commedia, cfr. D. ALIGHIERI La Commedia secondo l antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I-IV, Milano, Mondadori, 1966-1968. 8. R. LEPORATTI, «Io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d alcuna» (V.N., XLII, 2): La Vita Nuova come retractatio della poesia giovanile di Dante in funzione della Commedia,

Nel sonetto metro e sintassi sono perfettamente bilanciati in due distici: nei primi due endecasillabi a minore si trovano la proposizione principale e la subordinata temporale, nei successivi due endecasillabi a maiore la subordinata consecutiva e la sua coordinata. Alla dolcezza formale del testo oltre al caratterizzante equilibrio binario e alle «rime desinenziali, cioè facili» 9 per lo più verbali, a cui va aggiunta la rima «core: amore», la quale, parafrasando Umberto Saba, Amai, si può dire che incanti perché anch essa antica e difficile come fiore: amore contribuisce la predilezione per quei vocabula pexa, cioè quei vocaboli trisillabi o vicini alla misura trisillabica, senza aspirazione, senza le lettere doppie z e x, senza raddoppiamento delle liquide e senza nessi consonantici di muta con liquida, che lasciano in chi li pronuncia una certa soavità, come Dante sosterrà successivamente in D.v.e., II 7 5 10. Lo svelto attacco (un bisillabo e due monosillabi) della seconda quartina, «Ella si va», esprime l aggraziato muoversi di Beatrice. Così spiega un fine lettore come Alessandro D Ancona: bellissimo cominciamento di nuovo periodo poetico, di andatura insieme svelta e maestosa. E par quasi veder Beatrice che passa, appena sfiorando la terra, lieve lieve come quell angelo che varcava Stige con le piante asciutte, quasi uno spirito celeste sperduto nella folla degli uomini mortali 11. 4 Beatrice è un miracolo («miracol mostrare» si noti l allitterazione della m iniziale, ma anche del suono r la cui catena fonica inizia con il precedente «terra»), perché è carità creata 12, rivelazione tra gli uomini dell amore discendente di Dio («dal cielo in terra»); e tra l altro si può in La gloriosa donna de la mente. A commentary on the Vita Nuova, edited by V. Moleta, Firenze, Olschki Perth, The University of Western Australia, 1994, pp. 249-291, in particolare p. 290. 9. CONTINI, Esercizio di interpretazione, cit. n. 4, p. 30. 10. Cfr. D. ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di E. Fenzi, Roma, Salerno Editrice, 2012. 11. Cfr. La Vita Nuova di Dante Alighieri, cit. n. 4, p. 195. Invece, secondo Contini, nella lettura del sonetto compresa nell antologia Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansoni, 1970, p. 327, «si va» avrebbe una funzione media rispetto a va e quindi andrebbe parafrasato s impegna nel suo andare. 12. Per «cosa», creatura, si veda per esempio GUINIZZELLI, I 16: «sì come troppo agravata cosa».

osservare che in tutta la Commedia il termine miracolo è riferito a Beatrice una sola volta in Par., XVIII 63: «veggendo quel miracol più addorno». Sentendo le lodi che le vengono rivolte, ella procede con animo benigno 13, rivestita di umiltà cristiana, che è la sua più speciale virtù, come anticipato nella prosa introduttiva: «Ella coronata e vestita d umiltade s andava, nulla gloria mostrando di ciò ch ella vedea e udia» (V.n., XXVI 2). La metafora del vestire 14 è di ascendenza biblica, e si può ricordare in particolare un versetto paolino (Col., 3 12): «Induite vos ergo, sicut electi Dei, sancti, et dilecti, viscera misericordiae, benignitatem, humilitatem, modestiam, patientiam» ( Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza ), dove si noti anche la presenza dell abbinamento «benignitatem, humilitatem», e dove occorre considerare che poco oltre, al versetto 14, l apostolo procede esortando i Colossesi alla carità: «Super omnia autem haec, caritatem habete, quod est vinculum perfectionis» ( Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione ). La metafora del vestire come manifestazione sensibile dell interiorità ha comunque avuto diffusione prima nella poesia cortese e non a caso si ritrova codificata anche nel trattato De amore del CAPPELLANO, II 3: «humilitatis ornatu vestiri» ( essere vestito dei panni di umiltà ) e poi nella lirica stilnovistica (vd. per es. V.n., XI 1, XXVI 11 v. 8; e LAPO GIANNI, VIII 13: «vestuta d un asprezza»), ma anche in un poeta che si dichiara estraneo alla nuova poesia come Onesto da Bologna, il quale nel sonetto Non so s è per mercé che mi vien meno mette in clausola al v. 12 la medesima formula «d umiltà vestita» 15. Si può poi notare che nella prima apparizione narrata nella Vita nuova, Beatrice quasi novenne è vestita «di nobilissimo colore, umile ed onesto» (V.n., II 3). I due segmenti che costituiscono il periodo sintattico della seconda quartina risultano perfettamente bilanciati nei due distici che strutturano il periodo metrico, il primo caratterizzato da una perfetta linearità metrico sintattica, cosicché ogni verso è semanticamente concluso (vv. 5-5 13. «Caritas benigna est» ( la carità è benigna ) ha scritto san Paolo nell inno all agápe (1 Cor., 13 4). 14. Il «vestuta» in rima al v. 6 è un sicilianismo. 15. Per le citazioni del De amore cfr. A. CAPPELLANO, Trattato d amore, a cura di S. Battaglia, Roma, Perrella, 1947. Per Onesto cfr. Le Rime di Onesto da Bologna, edizione critica a cura di S. Orlando, Firenze, Sansoni, 1974.

6), il secondo aperto dall enjambement («venuta / dal cielo») a una dimensione che si dilata a esprimere nel più ampio giro ritmico la natura miracolosa di Beatrice. Fronte e sirma del sonetto sono intimamente congiunte non solo dalla già individuata anadiplosi, ma anche dall evidente annominazione in chiasmo: «miracol mostrare. / Mostrasi [ ] mira». La simmetria che caratterizza il componimento si riconosce pure nella presenza in questa prima terzina di una subordinata consecutiva, e dunque la struttura sintattica riproduce quella della prima quartina. La bellezza di Beatrice secondo la fenomenologia del sentimento d amore già descritta in una precedente lirica 16 attraverso gli occhi di chi la contempla suscita nel cuore «una dolcezza», un emozione talmente appagante che è inesprimibile a parole ed è comprensibile solo per diretta esperienza. Rispetto al ricordato sonetto Amore e l cor gentil sono una cosa, «Beatrice, anziché un disio, ingenera in altrui una dolcezza, cioè un sentimento quieto e soave, non mescolato né acuito da sensibili impressioni, e come un pregustamento di beatitudine» 17. L amore cristiano, come dimostrano i trattati medievali sulla caritas 18, non è però freddo e senza passione, anzi è spesso descritto con tratti tipici di eros e quindi questa «dolcezza» non è un godimento esclusivamente spirituale, ma è un vero appagamento psicofisico, tanto più che viene ripreso un diffuso termine del lessico amoroso di Cavalcanti, poeta come è noto del tutto alieno da cerebralismi erotici: 6 quando vide uscire degli occhi vostri un lume di merzede, che porse dentr al cor nova dolcezza (CAVALCANTI, XXII 9-11); Ma quando sento che sì dolce sguardo d entro degli occhi mi passò lo core e posevi uno spirito di gioia (CAVALCANTI, XXIV 9-11); Posso degli occhi miei novella dire, 16. V.n., XX 5 vv. 9-11: «Bieltate appare in saggia donna poi, / che piace agli occhi sì che dentro al core / nasce un disio de la cosa piacente». 17. Cfr. La Vita Nuova di Dante Alighieri, cit. n. 4, p. 196. 18. Cfr. Trattati d amore cristiani del XII secolo, I-II, a cura di F. Zambon, Milano, Fondazione L. Valla-Mondadori, 2007-2008.

la qual è tale che piace sì al core che di dolcezza ne sospir Amore (CAVALCANTI, XXV 1-3); Io veggio che negli occhi suoi risplende una vertù d amor tanto gentile, ch ogni dolce piacer vi si comprende (CAVALCANTI, XXV 11-13). Questa «dolcezza» si può conoscere solo per diretta esperienza, «che ntender no la pò chi no la prova» (in cui si noti il pronome relativo doppiato dal pleonastico la), una felice formula di ispirazione biblica (Apoc., 2 17), che dall agostiniano «nemo novit nisi qui expertus est» ( nessuno conosce se non chi fa esperienza ) 19 passa ai più importanti testi mistici del medioevo e anche alla poesia, come si può riscontrare in particolare in CAVALCANTI, XXVIIb 53: «imaginar nol pote om che nol prova», e XXVI 7-9: «veder mi par de la sua labbia uscire / una sì bella donna, che la mente / comprender no la può»; si tratta di due occorrenze significative, perché Donna me prega potrebbe essere la risposta di Guido alla Vita nuova 20, e la ballata Veggio negli occhi de la donna mia è strettamente legata a Tanto gentile, come dimostrano inequivocabilmente il v. 12 di Dante e il v. 7 di Cavalcanti. Oltre a questo spiccato riscontro, infatti, nell ultima terzina ci sono altri rimandi alla stessa poesia cavalcantiana, come il v. 2: «un lume pien di spiriti d amore», i vv. 11-12: «da la qual par ch una stella si mova / e dica: La salute tua è apparita», i vv. 18-19: «e movonsi nell anima sospiri / che dicon». Se annoveriamo anche il v. 13 di Guido: «Là dove questa bella donna appare», che riproduce lessico e ritmo dell incipit dantesco, e il v. 15: «e par che d umiltà il su nome canti», 7 19. Cfr. S. AGOSTINO, De sermone Domini in monte, I 17 51. Per il testo, tratto dal volume 34 della Patrologia Latina del Migne, cfr. ora il pregevole sito internet: www.augustinus.it. 20. Sulla complessa problematica interpretativa e storica di Donna me prega, approdata alla recente ipotesi che essa sia la sottilmente polemica risposta di Guido a Dante, il quale gli aveva dedicato la Vita nuova, affermandovi un concetto positivo, edificante, dell amore, agli antipodi dalla concezione cavalcantiana, cfr. almeno E. MALATO, Amor cortese e amor cristiano da Andrea Cappellano a Dante, in ID., Lo fedele consiglio de la ragione. Studi e ricerche di letteratura italiana, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 126-227 (poi in ID., Studi su Dante. «Lecturae Dantis», chiose e altre note dantesche, Cittadella, Bertoncello Artigrafiche, 2005, pp. 571-657); ID., Dante e Guido Cavalcanti. Il dissidio per la Vita nuova e il «disdegno» di Guido, II edizione con una postfazione Nuove prospettive degli studi danteschi, Roma, Salerno Editrice, 2004.

per il quale si vedano i vv. 6-7 di Tanto gentile, si deve ammettere che i contatti tra i due componimenti sono tanti e tali da far sospettare che anche questa ballata di Guido, così singolare tra le sue Rime, sia una riscrittura di un testo della Vita nuova, come il sonetto XXVIII (Pegli occhi fere un spirito sottile) 21, un altro componimento che potrebbe a buon diritto essere ricordato per la terzina conclusiva di Tanto gentile, a partire dall articolo indeterminativo «un» davanti a s impura «un spirito», per arrivare ai vv. 3 e 9-10: «dal qual si move spirito d amare [ ]. E poi da questo spirito si move / un altro dolce spirito soave». La commossa percezione di un evento miracoloso è replicata anche nell ultima terzina per la già notata ripresa di «e par che», analogo emistichio iniziale del v. 7. Dalla «labbia» (con passaggio dal neutro plurale al femminile singolare del tipo folia > foglia) di Beatrice, volto o fisionomia o, come spiega Marco Grimaldi, labbra 22, si muove un dolce spirito d amore, con soggetto dunque posticipato, che contribuisce a esprimere il tempo sospeso dell esperienza estatica, il quale dice all anima di sospirare; e la perifrasi «va dicendo» ha una sfumatura imperfettiva «che oggi, sfuggita la sfumatura, [ ] si assorbe nel verbo semplice» 23. Per questo v. 14 si può citare un altra palese tessera cavalcantiana: «si parte da lo core uno sospiro / che va dicendo: Spiriti, fuggite» (CAVALCANTI, XXXIII 10-11). I suoni e il ritmo della terzina finale cooperano a creare la sensazione che il sonetto si spenga lievemente. Si notino infatti l allitterazione «mova [ ] soave», e la catena fonica della s («sua [ ] spirito soave [ ] sospira»); e, a proposito di «un spirito soave», Giosue Carducci riporta una considerazione di Raffaello Fornaciari (Del soverchio rigore dei grammatici, Discorso I, par. 21): 8 quella voce spirito, già sì efficace in questo luogo e appropriata per la sua qualità di sdrucciola, perde l asprezza della sua prima sillaba, e quasi illiquidisce e 21. Per l ipotesi che il sonetto XXVIII di Guido possa essere una parodia della concezione d amore espressa da Dante nella Vita nuova, cfr. MALATO, Dante e Guido, cit. n. 20, pp. 61-67. 22. Cfr. rispettivamente CONTINI, Esercizio di interpretazione, cit. n. 4, p. 22, e il commento alle Rime di Dante, a cura di M. Grimaldi, in ALIGHIERI, Vita nuova - Rime, cit. n. 1, p. 482. 23. Cfr. CONTINI, Esercizio di interpretazione, cit. n. 4, p. 26.

caramente langue, e, per poco direi, si fa vero spirito, in grazia di quella dolce liquida precedente che è la n: quando per contrario il modo Uno spirto è spiccato e gagliardo, e per conseguenza non dolce 24. E questa soavità risalta nel verbo conclusivo Sospira: «e con questa parola, staccata dal resto, finisce il verso e tutto il Sonetto, quasi morendo in un tenue suono, smorzandosi in un lene afflato, sospirando in dolcezza d amore» 25. DONATO PIROVANO Università di Torino donato.pirovano@unito.it 9 24. Cfr. La Vita Nuova di Dante Alighieri, cit. n. 4, pp. 196-197: la chiosa è firmata da Giosue Carducci. Come noto per la sua edizione della Vita nuova D Ancona si avvalse della collaborazione di Carducci per la parte esegetica e di Pio Rajna per il testo. 25. Ibid., p. 197.