ESSERE MALATI TERMINALI A QUATTORDICI ANNI: l esperienza di un adolescente.

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Transcript:

Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (S.I.P.S.I.) riconosciuta con Decreto Ministeriale 12 Febbraio 2002 Tesi di Specializzazione in Psicoterapia ESSERE MALATI TERMINALI A QUATTORDICI ANNI: l esperienza di un adolescente. Specializzanda: Dott ssa Sonia Lorenzi Relatrice: Dott.ssa Mariarosaria Squillacioti Correlatori: Prof. Domenico A. Nesci Prof. Tommaso A. Poliseno Anno Accademico 2005 INDICE

Prefazione.. pag. 4 Capitolo 1 La fase avanzata di malattia. 1.1 Le reazioni alla fase avanzata.. pag. 6 1.2 L angoscia di morte.... pag. 9 1.3 L intervento psicosociale....... pag.12 Capitolo 2 L ependimoma 2.1. Tipologia e manifestazione del tumore pag.15 Capitolo 3 Materiali e metodi.. pag.17 Capitolo 4 Il caso di Anna 4.1 L iter clinico: particolari di una piccola vita...... pag.18 Capitolo 5 Il progetto di supporto 5.1 Il ruolo del servizio sanitario sociale dell U.L.S.S.... pag.21 Capitolo 6 Il ricovero 6.1 La solitudine.. pag.23 Capitolo 7 La presa in carico 7.1 Primo colloquio. è bello sorridere!... pag.26 7.2 Secondo colloquio: prima era bello. anche prima di nascere!.. pag.29 7.3 Terzo colloquio: il viaggio a Lourdes... pag.31

7.4 Quinto colloquio: il rifiuto pag.32 7.5 Sesto colloquio : la metamorfosi.. pag.33 7.6 Settimo colloquio: l attesa pag.35 Capitolo 8 La malattia inverte il suo decorso 8.1 La malattia paralizza i medici.. pag.36 8.2 Disorientamento e colpa.. pag.36 8.3 Il non detto di Anna. pag.38 Capitolo 9 L angoscia e l incontenibilità emotiva 9.1 La simbiosi pag.40 9.2 L ultimo incontro.. pag.41 Capitolo 10 Il vissuto degli operatori 10.1 Le reazioni del personale pag.43 Conclusioni pag.46 Disegni... pag.49 Bibliografia.. pag. 51

PREFAZIONE Molte volte ho pensato che il lavoro di psico-oncologa prima o poi mi avrebbe portata ad accompagnare un bambino alla sua morte. Talvolta qualcuno mi ha chiesto come faccio ad occuparmi di bambini affetti da tumore e che cosa succede se un bambino non ce la fa. E una domanda che mi fa molto pensare, perché non so mai cosa rispondere. Mi sono però chiesta come sarebbe stato affrontare una situazione del genere e come avrebbe influenzato il mio stato d animo, il mio lavoro e la mia vita personale, e cosa sarebbe successo nel reparto tra gli operatori. Non si pensa mai alla morte, e soprattutto a quella di un bambino. Ogni società trasmette una cultura della vita che si riflette inevitabilmente sul modo di rappresentare la morte. Una società industrializzata che si basa sui valori dell efficientismo e della competitività non può che fare della morte un tabù escludendola dalla vita quotidiana, innalzando una cortina di silenzio per cui sempre di meno si pensa ad essa come ad una conclusione naturale della vicenda umana. La morte viene riproposta dai mass-media sempre come un evento accidentale. L idea di morte anche attraverso le immagini che si danno ai bambini viene deprivata di emozionalità e viene così disumanizzata. Non sappiamo trovare parole o gesti adatti in un incontro con un morente per cui c è l imbarazzo del silenzio, della verità, l imbarazzo di vedere nell altro quello che può capitare a se stesso e ciò rende difficile il rapporto se non impossibile. Ad esempio quando l ammalato cerca di parlare della sua morte, viene azzittito con banalizzazioni, con rassicurazioni che producono solamente un suo ulteriore stato d isolamento. Questo è quanto succede più facilmente ad un adulto. Ora figuriamoci se a morire è un bambino. Il bambino di per sé rappresenta per l adulto una garanzia d immortalità, un modo concreto per tramandare qualcosa di sé oltre la propria morte. E proprio per questo motivo è ancora più difficile accettare la morte di un piccolo. Mi ritrovo ora a parlare di morte, perché ho iniziato a supportare psicologicamente una ragazzina con diagnosi di ependimoma della fossa cranica posteriore. I medici, dall ultima risonanza magnetica, hanno appurato che i trattamenti non hanno avuto l esito sperato e per questa ragione hanno deciso di sospendere i trattamenti e di lasciar fare il proprio corso alla malattia. Sicuramente il fatto di aver deciso di scrivere questa difficile e intensa esperienza è un modo per aiutare me stessa in questo cammino che non so se sarà breve o lungo e, nel contempo, spero di offrire un valido aiuto per quanti, come me, si trovano nella mia posizione.

In letteratura non ci sono ancora molti scritti relativi alla psico-oncologia pediatrica. C è ancora molto da scoprire e da capire ed è per questo che attraverso queste mie riflessioni spero di aggiungere un tassello che possa approfondire questo impegnativo ambito.