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INTRODUZIONE Il cancro rappresenta oggi la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Il termine tumore ( ma anche neoplasia) è utilizzato per indicare una neoformazione di tessuto costituito da cellule atipiche modificate rispetto alle normali. La malattia tumorale presenta almeno tre caratteristiche che la definiscono: clonalità, poiché nella maggior parte dei casi, il tumore prende origine da una singola cellula mutata, che prolifera fino a formare un clone di cellule neoplastiche; anaplasia, cioè mancanza della normale differenziazione cellulare; autonomia, in quanto la crescita è completamente svincolata dai meccanismi di regolazione che operano nell organismo normale. I tumori vengono distinti in benigni o maligni, a seconda delle caratteristiche biologiche e morfologiche che ne determinano la maggiore o minore aggressività. È benigno ogni tumore che non mette in pericolo la vita; che si accresce lentamente per espansione; che è delimitato da una capsula fibrosa; che non dà metastasi (cioè le sue cellule non diffondono a distanza) e resta nella sede di origine; che può essere asportato chirurgicamente, con guarigione completa del paziente. Viceversa le caratteristiche fondamentali del tumore maligno (chiamato genericamente cancro) sono la rapida proliferazione di cellule; la

mancanza di una capsula fibrosa; l accrescimento invasivo con infiltrazione progressiva dei tessuti e degli organi circostanti; la capacità di dare origine a localizzazioni secondarie (metastasi), lontane dalla sede primitiva d insorgenza del tumore. La proliferazione cellulare è controllata da una serie di eventi che definiscono il "ciclo cellulare". Una delle fasi cruciali del ciclo è la replicazione del DNA, l'operazione di "copiatura" del corredo genetico che precede la divisione cellulare vera e propria. La replicazione garantisce che il patrimonio genetico delle cellule figlie sarà identico a quello della cellula madre. Durante la replicazione del DNA vengono generati continuamente errori, solitamente riparati dallo stesso meccanismo di replicazione. Il sistema, in genere molto efficiente e veloce, a volte si inceppa; a questo punto intervengono i meccanismi molecolari di controllo, i cosiddetti checkpoints. I checkpoints, assicurano che la cellula sia competente, in grado cioè di passare allo stadio successivo del ciclo cellulare, rallentando la progressione del ciclo fino a quando le anomalie non sono state riparate o rimosse. Se però i checkpoints funzionano male, i difetti non vengono riparati la stabilità del genoma non è più garantita e si induce una predisposizione all'insorgenza di tumori. La strategia terapeutica contro le malattie tumorali si articola su un ampio ventaglio di interventi che devono essere mirati per ogni specifica forma di tumore e lo stadio di sviluppo a cui si trova.

I progressi in campo medico, chirurgico e radioterapico hanno permesso a molte neoplasia di diventare curabili. La resezione chirurgica totale è il trattamento di scelta nella maggior parte delle neoplasie solide localizzate. Però, poiché molte di esse hanno già dato micrometastasi al momento della diagnosi, si è soliti integrare il trattamento chirurgico con altre metodiche, per ottenere il controllo locale e a distanza della neoplasia. L effetto biologico delle radiazioni si esplica attraverso un processo detto ionizzazione, consistente nell emissione di elettroni dalle molecole bersaglio. Lo scopo della radioterapia è quello di distruggere le cellule neoplastiche, risparmiando quelle sane. L intervento sistemico contro la proliferazione delle cellule tumorali nell organismo si avvale principalmente dei farmaci chemioterapici. In particolare, nel presente lavoro, verrà fatto riferimento all Etoposide, un antitumorale somministrato in chemioterapia attivo nel tumore polmonare a piccole cellule, nei linfomi e nei tumori testicolari. È una sostanza che appartiene alla classe degli Inibitori delle Topoisomerasi di tipo II, enzimi fondamentali che srotolano e rilassano i filamenti del DNA durante la replicazione. La causa più frequente del fallimento della chemioterapia è la resistenza ai farmaci e la probabilità di svilupparla è proporzionale alle dimensioni del tumore e al grado di mutazione del gene della farmacoresistenza, il cui prodotto è una proteina che impedisce l accumulo intracellulare del farmaco. Sono nati così i protocolli polichemioterapici che trovano il loro razionale

nel fatto che agendo con meccanismi diversi, è più difficile che la neoplasia sviluppi resistenza a tutti.

Capitolo 1 Basi molecolari del cancro 1.1 Il ciclo cellulare e gli oncogeni Negli eucarioti le cellule somatiche vanno normalmente incontro ad eventi duplicazionali; da una singola cellula madre si ottengono due cellule figlie con lo stesso corredo cromosomico della cellula progenitrice. L evento fisico di divisione nucleare viene chiamato mitosi. (1) La divisione cellulare per mitosi ha luogo mediante una successione continua di stadi che vengono chiamati ciclo cellulare. L intera fase della mitosi (M) richiede, nella maggior parte delle cellule, soltanto una piccola frazione del tempo totale richiesto dall intero ciclo. Il periodo molto più lungo che intercorre fra una fase M e la successiva è noto come interfase; questa inizia quando una cellula, proveniente da una precedente divisione cellulare, entra in un periodo di accrescimento in cui

sintetizza proteine ed altre molecole cellulari, ma durante il quale non duplica il proprio DNA. Questo intervallo è stato chiamato stadio G1 dell interfase. Ad un certo punto, se la cellula è destinata a dividersi, ha inizio la duplicazione del DNA (fase S=sintesi). Al termine della replicazione, finisce la fase S e la cellula entra nello stadio finale dell interfase, fase G2, in cui la cellula rimane solo per un breve periodo di tempo, al termine del quale ha inizio la mitosi. (2) La progressione attraverso il ciclo cellulare è governata da un sistema di controllo, che ciclicamente attiva i processi essenziali della riproduzione cellulare, come la replicazione del DNA e la segregazione dei cromosomi. Al centro di questo sistema si trovano una serie di complessi proteici formati da due componenti: le proteina-chinasi ciclina dipendenti (CDK) che inducono processi a valle fosforilando specifiche proteine selezionate su serine e treonine, e le cicline, proteine attivatrici specializzate che legano molecole di CDK e ne controllano la capacità di fosforilare le proteine bersaglio. Le cicline sono così chiamate perché subiscono un ciclo di sintesi e di degradazione in ciascun ciclo di divisione della cellula. Esistono due classi principali di cicline: le cicline mitotiche, che si legano a molecole CDK in G2 e sono necessarie per l ingresso nella mitosi e le cicline G1 necessarie per l ingresso nella fase S. Le cicline che intervengono nelle diverse fasi del ciclo cellulare sono espresse solo durante lo stadio nel quale devono svolgere la propria funzione, per poi essere rapidamente degradate non appena la cellula entra nella fase successiva del ciclo.

La loro classificazione è infatti caratteristica dello stadio in cui vengono espresse: durante la fase G1 precoce si ha la sintesi delle cicline di tipo D, che si legano alle CDK4 e CDK6; in una fase più avanzata di G1 si ha poi la sintesi della ciclina E, che a sua volta si lega alla CDK2. L ulteriore progressione delle cellule dalla fase S alla fase G2 è facilitata dalla ciclina A, che si lega alla CDK2 e alla CDK1. Nella fase G2 precoce viene sintetizzata la ciclina B che, formando un complesso con CDK1 consente il passaggio dalla fase G2 alla fase M. Dopo la mitosi, le cicline vengono degradate da un sistema proteolitico ubiquitina-dipendente. In questo sistema, le proteine vengono prima coniugate ad un cofattore proteico, l ubiquitina, dopodiché la proteina modificata è riconosciuta e degradata all interno di un complesso multiproteico con attività degradativa detto proteosoma. I complessi ciclina/cdk possono essere regolati da inibitori delle CDK, segnali contrastanti che contribuiscono a determinare se una cellula progredirà nel ciclo cellulare. Esistono due famiglie di inibitori definiti CDKI; una famiglia di CDKI, composta da tre proteine chiamate p21, p27, p57, inibisce tutte le CDK, mentre l altra famiglia, i cosiddetti INK4, composta dalle proteine p15, p16, p18 e p19, agisce specificamente sui complessi ciclina D/CDK4 e ciclina D/CDK6. (3)

Variazioni dei livelli di questi inibitori e mutazioni che alterano l attività delle cicline e delle CDK possono favorire la proliferazione. Le ricerche effettuate sulle cellule tumorali hanno dimostrato che il mancato controllo del ciclo cellulare è quasi sempre collegato con lo sviluppo delle neoplasie che danno poi origine ai tumori. Inoltre, l analisi delle alterazioni genetiche nelle cellule cancerose ha rivelato un grande numero di geni che codificano per proteine coinvolte nel controllo della proliferazione cellulare. Lo studio dei geni che causano il cancro, chiamati oncogeni, ha dimostrato che quasi tutti hanno un omologo cellulare normale, chiamato proto-oncogene che promuove i normali processi di crescita e differenziamento. Questi geni cellulari furono identificati per la prima volta dai premi Nobel Varmus e Bishop, come passeggeri all interno del genoma di retrovirus

trasformanti acuti che causano rapida insorgenza di tumori in animali. L analisi molecolare dei loro genomi ha rivelato la presenza di sequenze specifiche capaci di trasformare le cellule normali (oncogeni virali o v-onc) assenti nel genoma dei retrovirus non trasformanti. L ibridazione molecolare ha rivelato, inoltre, che le sequenze del v-onc erano quasi del tutto identiche a sequenze di DNA presenti nelle cellule normali. Da queste osservazioni si è dedotto che, durante l evoluzione,gli oncogeni retrovirali sono stati trasdotti (catturati dal virus) mediante una ricombinazione casuale del DNA virale con il DNA di una cellula (normale) di un ospite infettato dal virus. I v-onc sono assenti in molti virus oncogeni a RNA. Un gruppo di questi virus è rappresentato dai cosiddetti virus trasformanti lenti, che causano leucemie, dopo un periodo di latenza piuttosto lungo, nei roditori. I virus trasformanti lenti inducono la trasformazione neoplastica sempre attraverso un meccanismo che coinvolge i proto-oncogeni. L analisi molecolare di queste cellule trasformate ha rivelato che il DNA del provirus si trova sempre integrato vicino ad un proto-oncogene. Conseguenza di questa inserzione è l induzione di una modificazione strutturale del gene della cellula infettata che lo converte in un oncogene cellulare (c-onc). L attivazione di un proto-oncogene secondo questa modalità è definita mutagenesi inserzionale. (4) Tuttavia gli studi sui retrovirus non sono riusciti a spiegare l origine dei tumori umani, i quali, a parte rare eccezioni, non sono causati da infezioni retrovirali. Esperimenti di trasfezione di DNA provenienti da cellule tumorali in fibroblasti di topo hanno portato però a concludere che il DNA