A rischio inammissibilità l intervento volontario del terzo nel processo civile.



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sumere, come peraltro confermato dalla giurisprudenza, che:

TITOLO: Mediazione tributaria - Chiarimenti e istruzioni operative - Circolare dell Agenzia delle Entrate n. 9/E del 16 marzo 2012.

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A rischio inammissibilità l intervento volontario del terzo nel processo civile. Gli interventi principale e litisconsortile, con cui il terzo propone sempre una domanda nuova, devono ritenersi soggetti al regime delle preclusioni di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c. In altre parole, quindi, chi interviene nel processo pendente, all infuori dell interventore adesivo dipendente, deve farlo entro i venti giorni dall udienza di prima comparizione (o nei dieci giorni, in caso di abbreviazione dei termini a norma dell art. 163bis, II comma c.p.c.), come il convenuto che voglia introdurre una domanda riconvenzionale, pena l inammissibilità dell intervento. L orientamento giurisprudenziale in commento non è nuovo ed il presente articolo non si pone la pretesa di risolvere in un senso o nell altro la questione, che resta tuttora molto aperta e discussa. Tuttavia, tanto il suo progressivo consolidarsi nella giurisprudenza (per ora) di merito, quanto le implicazioni che esso comporta rendono utile un approfondimento dei termini del problema così da ridurre - nella misura possibile - il rischio di incappare in una sgradita pronuncia d inammissibilità del proprio intervento in giudizio. Le tipologie di intervento volontario Come noto, l art. 105 c.p.c. consente a chiunque di intervenire in un processo per far valere in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Il terzo può anche intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse. Si è soliti distinguere dunque tre tipi di intervento volontario. Un intervento principale, con il quale l interventore fa valere in giudizio un proprio diritto, incompatibile con tutte le parti già coinvolte nel processo e pertanto nei confronti di ognuna di esse.

Si tratta di una situazione soggettiva attiva che in ogni caso gli consentirebbe di introdurre autonomamente un giudizio di accertamento/condanna oppure di proporre opposizione di terzo ai sensi dell art. 404 c.p.c., qualora venisse danneggiato dalla sentenza emessa nel procedimento che non lo abbia visto parte. Una seconda tipologia di intervento è rappresentata dall intervento litisconsortile (o adesivo autonomo). Con questo tipo di intervento chi interviene fa valere un diritto compatibile con quello affermato da una delle parti originarie ed in contrasto con un altra, sulla base di un proprio diverso titolo pur nell identità del fatto costitutivo. Quello nell azione revocatoria disciplinata dall art. 2901 c.c., ad esempio, è il tipico caso di intervento che, per la natura della domanda, deve assumere carattere litisconsortile. Con il terzo ed ultimo tipo di intervento, detto adesivo dipendente o ad adiuvandum, l interventore non aziona un proprio autonomo diritto, ma sposa la posizione di una o dell altra parte in giudizio. Si limita, in sostanza, a sostenere le ragioni della parte la cui vittoria ha ad interesse. In considerazione di ciò, tra le conseguenze più rilevanti di questa forma d intervento c è l impossibilità da parte dell intervenuto adesivo dipendente di impugnare la sentenza sfavorevole nel caso in cui la parte adiuvata vi abbia rinunciato. Veniamo però al problema. Mentre l intervento adesivo dipendente, per la sua accessorietà, non crea particolari questioni processuali (l interventore adesivo dipendente non aggiunge nulla nel contenitore del processo se non il contributo unificato ed il proprio nome all elenco delle parti), i primi due tipi di intervento, quello principale e litisconsortile, ampliano invece il thema decidendum ed il thema probandum della controversia. Ora, l art. 105 va indubbiamente letto assieme all art. 268 c.p.c., secondo il quale l intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni - (I comma) - ma il terzo non può compiere atti che al momento dell intervento non siano più consentiti ad alcuna altra parte (II comma). Ci si è domandati, pertanto, all indomani dell entrata in vigore della riforma del Codice di rito del 1990, come l allargamento del thema decidendum e probandum tipico degli interventi principale e litisconsortile, dove chi interviene propone sempre 2

una domanda nuova, si conciliasse con il regime delle preclusioni processuali introdotto dalla riforma stessa. La risposta ha richiesto ovviamente del tempo. La giurisprudenza di merito che accoglie la tesi dell inammissibilità Si è inizialmente detto: chi interviene nel giudizio pendente può farlo sino alla precisazione delle conclusioni ma accetta il processo nello stato in cui si trova e non può quindi chiamare in causa terzi o introdurre richieste istruttorie ove le parti originarie siano già decadute da tale possibilità. E questa la sanzione per l intervento tardivo. Da alcuni anni si è invece fatto strada nella giurisprudenza di merito un altro indirizzo, decisamente più restrittivo: l art. 268, II comma c.p.c. andrebbe interpretato nel senso di impedire al terzo il compimento di atti che al momento dell intervento sono già preclusi ad almeno una delle parti, con la conseguenza - scrive da ultimo Trib. di Torino, ord. 2 novembre 2012 - che l attività dell interveniente subisce le medesime limitazioni cui è soggetta la parte che per prima incorre nelle preclusioni. Traducendo nella pratica questo principio, ne discende che gli interventi principale e litisconsortile, con cui il terzo propone sempre una domanda nuova, devono ritenersi ammissibili solo nel termine stabilito per la costituzione del convenuto ai sensi dell art. 166 c.p.c., ossia: 1) 20 giorni prima dell udienza di comparizione ex art. 183 c.p.c. fissata in citazione; 2) ovvero 20 giorni prima dell udienza differita ai sensi dell art. 168bis, V comma c.p.c.; 3) ovvero 10 giorni prima dell udienza di comparizione in caso di abbreviazione dei termini; 4) sino all udienza 183 c.p.c., ma solo se l interesse all intervento volontario sorge in conseguenza della domanda riconvenzionale del convenuto. La ratio di una simile interpretazione è quella di evitare che il processo assuma un carattere cumulativo e che venga rimesso in discussione in diversi momenti il 3

thema decidendum della causa, con evidente ostacolo e rallentamento alla sua pronta definizione. Stando a questa lettura, se ne ricava inoltre che l intervento adesivo dipendente sarebbe l unico realmente attuabile sino alla precisazione delle conclusioni e dunque l unico compatibile con il dettato dell art. 268, I comma c.p.c.. La prima pronuncia di questo filone giurisprudenziale sembrerebbe essere stata quella del Tribunale di Torino, 07 giugno 2000 (in Giur. merito 2001, n. 1, I, pag. 27), poi seguita da: Tribunale Monza, 9 febbraio 2001 (in Giur. merito 2003, 29); Tribunale Napoli, 23 luglio 2001 (in Giur. napoletana 2002, 65); Tribunale Milano, 27 marzo 2003 (in Giur. it. 2004, 575); Tribunale Ivrea, 7 luglio 2003; Tribunale Bergamo, 13 maggio 2004 (in Giur. merito 2005, f. 1, 66); Tribunale Savona, 30 agosto 2004; Tribunale Milano, 31 marzo 2005 (in Giustizia a Milano 2005, 30); Tribunale Torino, sez. IV, 16 settembre 2005; Tribunale Salerno, sez. I, 15 giugno 2006 (in Il civilista 2008, 9, 37), che specifica: «Qualora la domanda dell interveniente sia conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, essa sarà ancora ammissibile nella prima udienza di trattazione, in quanto parimenti consentita all attore dall art. 183 comma 4 c.p.c., altrimenti, l autonoma domanda dell interveniente andrà formulata entro il termine per la tempestiva costituzione del convenuto, di cui agli art. 166 e 167 c.p.c., sicché dopo l udienza di trattazione, in ogni caso, rimarrebbe ammissibile soltanto l intervento adesivo dipendente»; Tribunale Lucca, 27 giugno 2006, n. 1086 (in Giur. merito 2007, 3, 690); Tribunale Palermo, 30 marzo 2007 (in Giur. merito 2008, 2, 401); tutte menzionate da Tribunale Torino, Sez. III, ord. 2 novembre 2012, da cui il presente articolo trae peraltro spunto. La posizione della Suprema Corte Deve evidenziarsi, a questo punto, che l orientamento di merito appena richiamato, oltre ad essere disconosciuto da altra giurisprudenza di merito (si veda contra Trib. Milano, 24 giugno 2008, in Corr. mer. 08, 902) non ha trovato sinora alcuna conferma 4

innanzi al giudice di legittimità. Al contrario, invece, la Corte di Cassazione, attraverso pronunce altrettanto recenti ed originate da giudizi di primo grado instaurati successivamente alla riforma del Codice di rito del 1990, si è espressa ripetutamente nel senso della piena ammissibilità di domande nuove da parte dell interventore principale o litisconsortile/adesivo autonomo, tanto che può parlarsi di un consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità in questo opposto senso. Si prenda ad esame su tutte Cass. 16 ottobre 2008, n. 25264 (confermata successivamente da Cass. 14 novembre 2011, n. 23759) secondo la quale: «chi interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand anche sia ormai spirato il termine di cui all art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum; né tale interpretazione dell art. 268 viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti, l interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre ove sia già intervenuta la relativa preclusione nuove prove e, di conseguenza non vi è il rischio di riapertura dell istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto contrastare». Ed ancora: «la preclusione sancita dall art. 268 c.p.c., in virtù del quale il terzo intervenuto nel processo non può svolgere l attività istruttoria preliminare e probatoria che la fase eventualmente avanzata del procedimento non consenta alle altre parti, non si applica all attività assertiva dell interveniente volontario, nei cui confronti non è quindi operante il divieto di proporre domande autonome, rimanendo altrimenti vanificata l utilità stessa della tipologia di interventi contemplati nel primo comma dell art. 105 c.p.c.». La formulazione della domanda costituisce in poche parole l essenza stessa dell intervento principale e litisconsortile (così anche Cass. 28 luglio 2005, n. 15787). Il percorso logico-giuridico compiuto dalla Suprema Corte sembra giungere ad una conclusione con Cass. 14 novembre 2011, n. 23759, dove si legge: «Questa Corte ha avuto ripetutamente modo di affermare che la preclusione sancita dall art. 268 c.p.c., nel testo introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non si estende all attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento fino all udienza di precisazione delle conclusioni, perché la proposizione della domanda nuova rappresenta la ragione stessa dell intervento; e che, tuttavia, per 5

l interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, sussiste l obbligo di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti. Si tratta di una scelta del legislatore della Novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, coerente con un indirizzo, che ha trovato espressione anche nella progressiva riduzione dei casi di sospensione del processo, che tende a privilegiare la semplicità e la celerità del giudizio rispetto ad altre esigenze astrattamente meritevoli di tutela, quali l economia e la prevenzione di possibili giudizi contrastanti». Secondo la Cassazione, dunque, non solo sarebbe possibile spiegare intervento principale o litisconsortile/adesivo autonomo oltre il termine per la costituzione tempestiva del convenuto ed oltre l udienza 183 c.p.c., ma anche sino all udienza per la precisazione delle conclusioni, come del resto previsto dall art. 268 c.p.c.. Possibili letture alternative A giudizio di chi scrive, dovendo scegliere nettamente tra le due soluzioni, quella comoda dell inammissibilità dell intervento tardivo propria della giurisprudenza di merito in commento e quella permissiva del giudice di legittimità, è da preferire la seconda. E non soltanto per motivi gerarchici. La ragione di questo maggiore, condivisibile favore che la Suprema Corte attribuisce all interventore, risiede infatti nella sostanziale differenza tra la posizione processuale di colui che viene convenuto in giudizio ed il terzo che interviene. Il primo è anzitutto a conoscenza, poiché gli è stato notificato un atto di citazione, dell esistenza di un processo; in secondo luogo, è debitamente informato nella vocatio in ius circa le conseguenze cui incorrerà in caso di mancata costituzione ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c. Al contrario, il terzo che si trova nella condizione prevista dall art. 105, I comma ed è pertanto portatore di un diritto nei confronti di entrambe le parti o di una di esse, potrebbe legittimamente ignorare tanto il fatto che penda tra le stesse parti un procedimento quanto in che fase esso si trovi. Limitare la possibilità di intervento volontario principale e litisconsortile entro le 4 ipotesi sopra elencate significa quindi mortificare la funzione di un istituto processuale, quello dell intervento volontario, che di diversi decenni precede la riforma del Codice di procedura civile del 1990. 6

Oltretutto, è l art. 167 c.p.c., letto insieme all art. 166, che espressamente richiede al convenuto che intenda proporre una domanda riconvenzionale di farlo - a pena di decadenza - nel termine di venti giorni prima dell udienza; mentre una previsione di questo tenore non si rinviene da nessuna parte in capo all interventore principale o adesivo autonomo. Equiparare pertanto la domanda riconvenzionale alla domanda nuova di colui che interviene ai sensi dell art. 105, I comma (in via principale o adesiva autonoma) è fuorviante sia da un punto di vista sostanziale, perché - come detto - diverse sono le posizioni di partenza del convenuto e del terzo, sia dal punto di vista formaleesegetico, dato che il legislatore dalla riforma del 1990 ad oggi (e ve ne sono state almeno altre tre rilevanti) non ha mai inteso introdurre alcuna ulteriore limitazione temporale in materia di intervento principale e litisconsortile. È stata peraltro la stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 21060 del 3 novembre 2004, a ribadire piuttosto chiaramente che: «posto che la formulazione della domanda costituisce l essenza stessa dell intervento principale e litisconsortile ai sensi dell art. 105, primo comma, cod. proc. civ., deve escludersi che l autonoma domanda proposta dall interventore volontario possa essere equiparata alla domanda riconvenzionale del convenuto e che, ad essa, possano di conseguenza applicarsi le preclusioni poste per quest utima dal codice di rito (artt. 167 e 183 cod. proc. civ.)». È dunque la possibile asimmetria informativa tra convenuto e terzo interventore volontario a giustificare un diversificato trattamento processuale in materia di preclusioni. Ciò detto e considerato, è pur vero che la posizione assunta dal Supremo Collegio rischia di rivelarsi eccessivamente indulgente e contraria all esigenza di speditezza del processo in almeno due occasioni. La prima, quando il terzo sia perfettamente a conoscenza della pendenza del giudizio e per propri calcoli di convenienza decida di intromettervisi soltanto all udienza di precisazione delle conclusioni, per non consentire difese adeguate alle parti costituite. Ma se ne ipotizza un altra. Poiché l interventore principale o litisconsortile introduce effettivamente una domanda nuova in grado di modificare, ampliandolo, il thema decidendum ed il thema probandum, è possibile non matematico che l accertamento 7

del titolo e della pretesa dell interventore, per quanto documentale e pur in assenza di ulteriore attività istruttoria da compiere, qualora alle parti originarie sia preclusa, si manifesti comunque di complessa soluzione per il Giudicante, tale che i tempi del processo ne siano di fatto influenzati. In entrambi i casi si ha la fondata impressione che un simile intervento debba essere sottoposto ad una qualche limitazione. Sarebbe dunque preferibile una via di mezzo. Nella prima ipotesi un correttivo potrebbe essere trovato: a) nel condizionare l intervento principale o adesivo autonomo tardivo al superamento dell onere della prova in capo al terzo in ordine all impossibilità di spiegare l intervento in una fase processuale antecedente, ammettendo prova contraria sul punto delle controparti; b) nel consentire comunque alle parti costituite, con doppio termine per note e repliche, di difendersi nel merito rispetto alle allegazioni dell interventore. Nella seconda ipotesi presa in considerazione, ed in linea generale, c) nel consentire sempre al terzo di intervenire in via principale e litisconsortile sino all udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., momento in cui le parti, con la richiesta dei termini di cui al 6 comma, possono precisare le rispettive domande, formulare eccezioni che siano conseguenza dell intervento e prendere posizione sugli alligata et probata dell interventore volontario; d) nel dichiarare inammissibile l intervento oltre l udienza 183 c.p.c., salvi i correttivi a) e b). Sino all udienza 183 c.p.c. è data infatti possibilità a tutte le parti costituite - attraverso i termini di cui all art. 183, 6 comma c.p.c. - di prendere posizione nel merito sui fatti e sul titolo allegati dall interventore ed il thema decidendum non è ancora definitivamente cristallizzato. Queste sono soltanto alcune delle riflessioni e soluzioni suggerite dal problema. È chiaro, peraltro, che le distorsioni di cui si è detto sono amplificate dalla prassi dei nostri Tribunali, dove i rinvii per la precisazione delle conclusioni seguono in media di due anni l ultima udienza istruttoria: se si parte dal presupposto che nella logica del legislatore del 40, ispirato ai principi dell oralità chiovendiana, la fase di precisazione delle conclusioni ben avrebbe potuto coincidere con la nostra attuale udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c, qualunque considerazione basata sul dato testuale in tema di preclusioni ed intervento risulta inevitabilmente falsata. 8

Conclusioni Alla luce del quadro finora descritto, si possono ad ogni modo trarre delle indicazioni per i difensori alle prese con il dubbio se spiegare intervento principale o adesivo autonomo in un processo. In primo luogo, qualora il terzo sia a conoscenza per scienza privata della pendenza di un giudizio tra le parti, della data della sua prima udienza e non sia ancora scaduto il termine per la costituzione tempestiva del convenuto, il consiglio (banale) è ovviamente quello di non temporeggiare e depositare l atto di intervento come se si trattasse di una comparsa di costituzione e risposta contenente una domanda riconvenzionale. Così facendo si è sicuramente al riparo da ogni rischio. Qualora però ciò non sia più realizzabile, o perché si ignorava la pendenza del giudizio o perché il procedimento si trova già in una sua fase ormai avanzata, occorre effettivamente valutare l opportunità dello spiegare intervento oltre il termine previsto dall art. 166 c.p.c., rispetto all immediata introduzione di un autonomo giudizio di cognizione vertente sullo stesso oggetto ed in confronto delle medesime parti. Seguendo questa seconda strategia, inoltre, sarà possibile domandare la riunione dei due procedimenti già nella comparsa di costituzione e risposta, allorché sia esclusa la costituzione tempestiva del convenuto, ma non ancora celebrata la prima udienza nel giudizio già pendente, oppure se nel procedimento incardinato per primo, celebrata l udienza ex 183 c.p.c., vi sia stato un lungo rinvio per l udienza di ammissione dei mezzi istruttori di cui all art. 184 c.p.c.. Tanto l intervento tardivo quanto l introduzione di un nuovo giudizio (con tentativo di riunione) sono soluzioni praticabili. La prima strada è al momento più incerta per via dell indirizzo giurisprudenziale di merito in commento. Esiste infatti la possibilità che l intervento principale o adesivo autonomo venga dichiarato inammissibile dal Giudice in prima udienza (nonostante la posizione della Suprema Corte, come abbiamo visto, sia piuttosto netta in senso opposto); la seconda soluzione, probabilmente più dispendiosa dal punto di vista degli adempimenti pratici da compiere per il difensore (notifiche, iscrizione a ruolo), mette però totalmente al riparo da una pronuncia d inammissibilità. Se si considera 9

poi che in ipotesi di accoglimento dell istanza di riunione gli svantaggi sostanziali legati al ritardo nell introduzione di un nuovo giudizio verrebbero di fatto annullati, quest ultima via sembra forse allora la più indicata di tutte. Avv. Giulio Pisano 10