UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO SCIENZE DELL EDUCAZIONE, DEI BENI CULTURALI E DEL TURISMO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN HUMAN SCIENCES CURRICULUM TECHNOLOGY OF EDUCATION CICLO XXV IL LABORATORIO DIDATTICO STORIA TEORIA ED APPLICAZIONE TUTOR Chiar.mo Prof. Pier Giuseppe Rossi DOTTORANDA Rosa Iaquinta COORDINATORE Chiar.mo Prof. Pier Giuseppe Rossi ANNO 2013

2 INDICE PREFAZIONE p. 1 INTRODUZIONE p. 4 CAPITOLO PRIMO Linee teoriche p Le radici p Le scuole nuove in Europa p Le scuole nuove negli Stati Uniti p Le scuole nuove in Europa dopo il conflitto bellico p Evoluzione delle scuole nuove e proposte di laboratorio dal dopo Dewey ad oggi p. 23 CAPITOLO SECONDO La scuola laboratorio di Dewey: alle origine del problema p La teoria educativa di John Dewey p La scuola di Chicago p Metodi e discipline nella Laboratory School p. 50 CAPITOLO TERZO Il laboratorio nella cultura contemporanea p Francesco De Bartolomeis p Franco Frabboni p Massimo Baldacci p Luciana Bellatalla p. 97 CAPITOLO QUARTO Realtà di laboratorio p I laboratori nei progetti POF e PON p Caratteristiche del progetto p I laboratori fuori dalla scuola p. 120 CONCLUSIONI p. 125 BIBLIOGRAFIA p. 131

3 PREFAZIONE Questo lavoro analizza il percorso della didattica laboratoriale nel XX secolo focalizzando l attenzione sulla letteratura nazionale ed internazionale e sulle sue applicazioni nel contesto educativo. Nel ricostruire il procedere della metodologia laboratoriale durante il secolo trascorso inevitabilmente, volendo circoscriverne cronologicamente e spazialmente il come ed il dove, se ne sono dovute richiamare le origini. Stilisticamente il lavoro è discorsivo, concettualmente è selettivo, essendo rivolto all individuazione degli aspetti essenziali del tema. Nel contenuto tratta il concetto di metodologia laboratoriale e la teoria dell educazione di riferimento che è vista nelle sue origini e nelle sue funzioni, o per dirla con linguaggio più accreditato, nel contesto di costituzione e nel contesto di applicazione. I materiali scelti sono costituiti dalla teoria pedagogica che l ha generata, dal pensiero del suo maggiore rappresentante, John Dewey, e dal suo sviluppo in alcuni dei più significativi pedagogisti italiani del nostro tempo. La scelta dell argomento è stata dettata da motivi didattici innescata dalla costatazione della difficoltà che i docenti ogni giorno incontrano nel catturare e mantenere l attenzione degli studenti durante la loro quotidiana attività professionale e della necessità di rinnovare i processi di insegnamento e di apprendimento adeguandoli al nuovo contesto ed alle nuove esigenze della scuola attuale. In questa ottica la didattica laboratoriale appare geneticamente predisposta a stimolare la modalità di insegnamento/apprendimento adeguandole alle

4 caratteristiche di ciascuno e coinvolgendo la sua utenza in un processo di un apprendimento qualitativamente elevato. Presupposto attentivo verso tale metodologia è costituito dal suo offrirsi, anche, quale esempio di ricerca educativa pensata come processo di costruzione da parte degli studenti, per mezzo della ricerca, di operazioni, intellettuali e pratiche, di organizzazione delle conoscenze. Ciò è ottenuto tramite un apprendimento interessante ed utile, in quanto destinato a rendere abili nella comprensione del mondo nel quale si vive, ma anche significativo per chi deve comprendere e apprendere suscitando motivazione, competenze ed operatività. La metodologia laboratoriale ha origine dal connubio tra il sapere teorico, universitario, ed il lavoro sul campo che si realizza nelle scuole. La fruibilità del metodo, rivolgendosi a destinatari diversi per stili di apprendimento, la rende idonea in contesti di formazione adulta oltre che nei diversi ordini di scuola. In un epoca caratterizzata da ritmi di vita sempre più veloci potrebbe apparire anacronistico l interesse verso un tema di ricerca che richiama le radici lontane della Scuola Attiva e dell apprendimento per ricerca, ma la didattica laboratoriale mantiene intatta la sua validità per un apprendimento significativo, indipendentemente dagli assetti istituzionali riferiti a vecchie o nuove riforme. Nella sua struttura il lavoro si compone di quattro capitoli che ripercorrono le linee teoriche della didattica laboratoriale. Il primo capitolo analizza, a grandi linee, la teoria educativa ed il terreno sul quale le convinzioni pedagogiche che la hanno suscitata. Il secondo capitolo si occupa della teoria deweyana e della scuola-laboratorio di Chicago. Il terzo espone il pensiero di alcuni tra gli studiosi italiani che si sono occupati dell argomento. Il quarto ed ultimo tratta della didattica laboratoriale nel contesto educativo, volendo cogliere le

5 implicazioni, i riferimenti e le parziali elaborazioni teoriche nell agire educativo.

6 INTRODUZIONE Affrontare il discorso della didattica laboratoriale significa prendere in considerazione il duplice aspetto che lo connota: quello pedagogico e quello metodologico-didattico. La riflessione pedagogica, consolidata da una tradizione che sull argomento annovera contributi di valori assoluto, costituisce la cornice teorica da cui la prassi scolastica attinge validità scientifica e coerenza educativa. Lo sviluppo e la diffusione della didattica laboratoriale, d altra parte, se non saldamente ancorata ad un approfondimento del senso e della direzione dell esperienza, genera equivoci ed ambiguità, col rischio di nascondere realtà molto diverse ed alle volte opposte. La presenza di fenomeni contrapposti sollecita, inevitabilmente, una riflessione che precisi non solo il significato originario del termine laboratorio ma, altresì, il significato che questo assume in una teoria didattica che consideri attentamente la metodologia su cui si incardina e da cui attinge senso e prospettiva pedagogica. D altra parte i nodi da chiarire, per evitare distorsioni ed equivoci, includono l essenza stessa del concetto di laboratorio o, per meglio dire, la concezione pedagogico didattico metodologica che ne sta alla base e che in esso si realizza. Come ricorda, infatti, la psicologa Rita Gay 1 è ancora molto diffusa, in buona parte degli insegnanti, l opinione, di natura strettamente evolutiva, circa il valore del fare nella scuola. Lo sviluppo cognitivo di ciascun soggetto, per come indicano le teorie organismiche e costruttive dello sviluppo, muovendo dal concreto all astratto, dall azione al simbolo, richiede che gli insegnanti, nel 1 Cfr. R. GAY, Parole forti dell educazione, Ancora, Milano, 2005.

7 processo di apprendimento-insegnamento, tengano in debito conto tale percorso lineare ed, in ragione di questo, elaborino metodologie che ne utilizzino le caratteristiche. L iter scolastico di ciascun soggetto (dall infanzia sino al compimento degli studi) si organizza, così, intorno ad occasioni di fattualità che risultano numerose nei primi anni di scuola (materna ed elementare) per decrescere gradualmente, a favore dei processi di astrazione e della conquista di un intellettualità opposta e dimentica della manualità da cui essa stessa ha tratto origine. Il simbolo astratto viene opposto, pertanto, all esperienza concreta. Il fare si caratterizza subalternamente al conoscere. E questo, sostanzialmente, il dualismo che da sempre alberga in buona parte degli insegnanti e che indirizza il processo di istruzione degli allievi. Dualismo che ha generato un incitamento all operatività del discende che può essere definito a tempo, quasi ad orologeria. Tale sprone operativo, infatti, scompare man mano che il discende entra in possesso di quella maturità che gli consente di formulare processi di astrazione e di simbolizzazione che lo qualificano come intellettualmente maturo. Le pratiche manuali ed operative cessano così, da quell istante in poi, di esistere e di avere validità. Non è agevole stabilire se, ed in quale misura, il movimento dell educazione nuova e della scuola attiva sia stato esente da tale fraintendimento. Di certo Gramsci 2 ed ancor più Dewey 3 si sono soffermati più volte ad indagare il rapporto intercorrente tra fare e conoscere, funzionalmente all esperienza dell allievo. Anche, in tempi 2 Cfr. A. GRAMSCI, L alternativa pedagogica, (a cura di) M. A. MANACORDA, Editori Riuniti University Press, Roma, 2012, (Gramsci, 2012) (Cuffaro, 2006) (Bruner, La cultura dell'educazione, 1997) 3 Cfr. H. K. CUFFARO, La scuola del fare, Armando Editore, Roma, 2006.

8 più recenti, le ricerche di Bruner 4, Gardner 5 ed Olson 6, indagando lo stretto legame esistente fra strumenti simbolici e strumenti tecnologici, questi ultimi intesi da Bruner come strumenti tipici di una cultura, carichi di una consistente forza modellatrice sul pensiero e le capacità cognitive dell uomo 7, hanno avvalorato e riconfermato l importanza della manualità. Ecco quindi che la manualità inizia a liberarsi della condizione di vassallaggio nei confronti dell intellettualità, come De Bartolomeis sostiene in alcuni scritti sui laboratori e sulle attività manuali 8. Ai fini del nostro discorso e per dipanare il groviglio di opinioni e di teorie sull argomento risulta utile, anche in ragione della intervenuta stagione dell Autonomia e della Riforma universitaria che concorrono a riattualizzare e rivitalizzare il concetto stesso di laboratorio, affrontare l argomento delineandone una breve storia. Non soltanto per impadronirci del significato originario del termine ma per delineare i cambiamenti e gli ampliamenti di senso che nel tempo sono sopravvenuti e che continuano ancora oggi a sopravvenire. 4 Cfr. J. BRUNER, La cultura dell educazione, Feltrinelli, Milano, Cfr. H. GARDNER, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson, Trento, Cfr.D. R. OLSON, Linguaggi, media e processi educativi, Torino, Loescher, Cfr. J. BRUNER, La cultura dell educazione, cit. 8 Cfr. F. DE BARTOLOMEIS, La pratica del lavoro di gruppo, Loescher, Torino, 1978.

9 CAPITOLO PRIMO LINEE TEORICHE 1.1 Le radici Sin dall antichità nella mente di maestri e pedagoghi ha albergato la convinzione che colui che deve imparare, ovvero il discende, sia una sorta di vaso da riempire, più o meno forzatamente a seconda dei casi, di nozioni preconfezionate, sicure ed indiscutibili. La civiltà latina 9 a tal proposito ci ha tramandato la figura del plagosus orbilius 10 che, con metodi certamente poco ortodossi, quelli che Manacorda definisce sadismo pedagogico 11 (a suon di nerbate) e pertanto didatticamente discutibili, convinceva i propri allievi a ripetere, mnemonicamente e senza incertezze od errori, le opere dei maestri del tempo. Fin dall antichità però ai sostenitori dell apprendimento a fini riempitivi si sono opposti filosofi e pedagogisti quali Socrate, Rabelais, Montaigne, Comenio, Locke, Rousseau, Pestalozzi, Froëbel, sostenitori, per converso, della teoria educativa che vede il discende attore della propria educazione, sperimentatore di tutte le capacità possedute, non limitatamente a quelle dell intelligenza formale e della memoria. Risulta evidente come codesti pensatori, con le loro innovative teorie pedagogiche rivoluzionanti il modo stesso di concepire ed attuare il processo educativo, abbiano in un certo senso precorso l attivismo, ovvero il movimento delle scuole nuove (e quindi la metodologia 9 PLUTARCO, Questioni romane, 59; CICERONE, Repubblica, 2, 19,37; LIVIO, Annali 3,44,6; 5, 27, 1; 9, Cfr. L. CANALI, Ritratti dei padri antichi, Edizioni Studi Tesi, Pordenone, Cfr. M. A. MANACORDA, Storia illustrata dell educazione, Giunti, Firenze, 1992.

10 laboratoriale), sviluppatosi successivamente in Europa e negli Stati Uniti tra la fine dell 800 e la prima metà del 900 e destinato a lasciare una traccia profonda in campo educativo e nella pedagogia operando un radicale rovesciamento dell educazione col suo porre al centro del processo educativo il bambino con i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue capacità. In ambito scolastico la rivoluzione attivistica ha operato la rottura con il passato e con la tradizione, rappresentata da un istituzione scolastica formalistica, disciplinare e verbalistica, teorizzando un modello di scuola in cui lo studio potesse essere esperienza, movimento problematico della mente, presa di posizione personale, ricerca. Il movimento attivistico, altresì, ha collegato strettamente la pedagogia alle scienze umane, psicologia e sociologia soprattutto, indicandone le implicazioni politiche e antropologiche. Che l attivismo abbia rappresentato nel panorama pedagogico una rivoluzione è ormai, a più di cento anni della sua comparsa, fuori discussione. E tuttavia importante precisare che la portata rivoluzionaria del movimento non è da rintracciare e da limitare solo alla sua nascita ma la sua spinta innovatrice ha assunto maggiore forza e consistenza proprio nel tempo, conseguentemente al progredire della sperimentazione didattica ed allo sviluppo della psicologia dell età evolutiva, all evoluzione democratica della società che ha richiesto e richiede, sia alla pedagogia che alla didattica, continue revisioni e adeguamenti. Le prime esperienze delle scuole nuove, diffusesi prevaletemente in Europa occidentale e negli Stati Uniti, sorgono negli ultimi decenni del secolo XX in un clima di ripresa di soggettivismo umanistico evidenziato dal prorompere delle correnti anti-intellettualistiche e

11 antipositivistiche 12. E bene precisare che le scuole nuove nacquero e si svilupparono all origine come esperimenti isolati, legati oltre che a condizioni particolari a personalità eccezionali di educatori. Tuttavia, proprio per l interesse che suscitarono nel mondo educativo, esse avviarono una serie di richieste nel campo dell istruzione volte a modificare la scuola nel profondo, non limitatamente all aspetto organizzativo ed istituzionale di essa, che certamente subiva una trasformazione ma, in modo precipuo, all aspetto inerente agli ideali formativi e agli obiettivi culturali. Caratteristica fondamentale delle scuole nuove è il richiamo all attività del fanciullo 13 che, essendo naturalmente attivo, deve poter manifestare liberamente le proprie inclinazioni primarie, svincolato dalle limitazioni imposte dall educazione familiare e scolastica. La vita della scuola, in ragione di ciò, deve essere organizzata in modo confacente ai bisogni dell immaturo, con una scuola ubicata fuori città e posta in un luogo che favorisca il contatto del fanciullo con l ambiente circostante a cui egli è spontaneamente interessato. Egli va educato attraverso attività intellettuale e attività pratica. L avallo dato al primato dell azione o esplicitamente al primato del lavoro manuale nell educazione 14 fu l essenziale messaggio di novità che caratterizzò tali scuole. 12 Cfr. F. RAVAGLIOLI, Profilo delle teorie moderne dell educazione, Armando, Roma, Cfr. C. DESINAN, Discutere la scuola. Ipotesi, contenuti e prospettive a confronto, Angeli, Milano, Cfr. F. BLEZZA, Educazione XXI secolo, Pellegrini Editore, Cosenza, 2007.

12 1.2 Le scuole nuove in Europa Le prime esperienze di scuole nuove furono realizzate nel 1889 in Inghilterra da Cecil Reddie 15 ( ) che ad Abbotsholme aprì una scuola, di cui fu direttore fino al 1927, per ragazzi dagli 11 ai 18 anni. Muovendo un aspra critica allo spirito di tradizione e di routine 16 che caratterizzava la didattica sino ad allora in auge, centrata su programmi astratti e traboccanti di classicismo, destinati a formare uomini per il passato e non per il presente 17, Reddie si proponeva di conseguire uno svolgimento armonico di tutte le facoltà umane 18 poiché l uomo non è pura intelligenza congiunta con un corpo e si devono formare altresì l energia, la volontà, la forza fisica, l abilità manuale, l agilità 19. La sua scuola era ubicata in campagna e gli alunni venivano formati attraverso l esperienza personale che compivano, attraverso l osservazione diretta ed il lavoro che svolgevano a vantaggio della comunità, ponendo grande attenzione ai rapporti sociali e all esercizio della libertà nel rispetto delle leggi. L esperienza di Reddie diede frutti anche al di fuori di Abbotsholme, precisamente a Badales nel Sussex dove Haden Badley, proselito del Reddie, organizzò una scuola fondata sull autogoverno e sul principio della co-educazione. Anche la Francia si richiamò all esperimento di Reddie con la fondazione, in Normandia, dell Ecole des Roches (1899), la scuola 15 Cfr. F. BLEZZA, Educazione XXI secolo, Pellegrini Editore, Cosenza, Cfr. R. NICOL, P. HIGGINS, Cecil Reddie Pioneering Headmaster, in T. E. SMITH, C. E. KNAPP, Sourcebook of Experimential Education, Routledge, N. Y., Ivi, p Ibidem. 19 Ivi, p. 120.

13 voluta da Edmond Demolins 20 ( ) e proseguita da Georges Bertier 21 ( ) che valorizzava al suo interno un sistema di autogoverno, il mutuo insegnamento e forme di collaborazione. Essa, situata in campagna e quindi distante dall ambiente costrittivo e artificiale della città, garantiva ai fanciulli che la frequentavano ampia libertà di movimento oltre che la possibilità di abitare in case riproducenti l ambiente casalingo, al fine di mantenere la sensazione di vita reale quale si viveva in famiglia. L obiettivo della loro scuola era rappresentato dalla formazione globale del fanciullo, una formazione, cioè, comprendente la sfera intellettuale, fisica, sociale, morale. Le istanze fondamentali delle scuole nuove europee furono recepite anche dalla Spagna dove Andrès Manjon 22 ( ) elaborò un modello di educazione popolare cristiana nutrito delle scoperte psicopedagogiche delle scienze educative e da un apertura verso la pedagogia laica che caratterizzò l indirizzo denominato dell attivismo cristiano 23. Con le scuole dell Ave Maria 24 (1888) A. Manjon 25 si proponeva di liberare dall ignoranza i fanciulli del popolo stimolando, 20 Cfr. M. RUMI, La ricerca del metodo, in L.VOLPICELLI, (a cura di) Pedagogia, vol. 10, Vallardi, Milano, Ibidem. 22 Cfr. J. M. PRELLEZO, Andrés Manión, in FUNDACIÓN SANTA MARIA, Historia de la educación en España y América, Ediciones Morata, Madrid, Cfr. V. BURZA, Pedagogia, formazione e scuola. Un rapporto possibile, Armando, Roma, Le scuole dell Ave Maria nascono sotto il segno del fare, dell espressività e di un autentico riconoscimento dell infanzia; l insegnamento, decisamente accattivante, predilige la narrazione, la drammatizzazione, l interpretazione, l attività ludica, la personificazione di grandi figure storiche e religiose, il canto accompagna i diversi momenti della vita scolastica rendendo divertente l apprendimento. Le scuole si diffusero in tutta la spagna e poi nell America latina. A Roma nascono alcune scuole ispirate a quelle dell Ave Maria nel Tra le significative iniziative realizzate da Manjòn vi è l istituzione di un collegio per la formazione dei maestri, un vero laboratorio di metodi innovativi destinato ad arricchire la professionalità degli insegnanti, quindi a migliorare il loro operato, assicurando, diremmo oggi, il successo formativo dell alunno. 25 Cfr. A. MANJON, I metodi delle scuole dell Ave Maria, Avio, Roma, 1957.

14 attraverso il gioco e il canto, la loro spontaneità, a diretto contatto con una natura che diveniva scuola vera e propria. Le scuole nuove fanno la loro comparsa in Belgio per opera di Ovide Decroly ( ), uno dei teorici dell attivismo 26, di professione medico ma interessato ai problemi dell educazione di cui si era occupato, nell ambito della pedagogia differenziale, sin dal Gli studi sulla psiche infantile, condotti sugli anormali 27 ed in ragione di un loro recupero, possibile per O. Decroly con un insegnamento <accurato e prolungato>, avevano dato al medico belga la possibilità di conoscere meglio il fanciullo in generale, al di là di situazioni particolari o delle patologie da cui poteva essere afflitto. La sua Ecole de l Ermitage (1907) divenne uno dei centri più noti di sperimentazione educativa, dove il bambino trovava la possibilità di prepararsi ai problemi sociali e materiali della vita, imparando a pensare e ad agire. Il raggiungimento di tale obiettivo era possibile attraverso la collaborazione con il maestro per elaborare conoscenze, costruire materiali, sperimentare e scoprire oggetti, strumenti e idee, esprimersi e comunicare liberamente, assumersi responsabilità. La diffusione delle scuole nuove e dell educazione attiva nell Europa occidentale trova completamento con l Arbeitschule (1912) o scuola del lavoro fondata in Germania da W. Kerschensteiner 28, la cui formazione deweyana è evidente nel richiamo alla manualità in educazione, ritenuta una forza viva e umanizzante 29. Il lavoro, attività fondamentale dell uomo, doveva essere, a parere del pedagogista, il fulcro dell attività infantile. Un lavoro serio e preciso, svolto in 26 Cfr. A. GOUSSOT, La scuola nella vita: il pensiero pedagogico di Ovide Decroly, Erickson, Trento, Cfr. O. DECROLY, La classification des enfants anormaux, French Edition, Cfr. P. SMITH, The History of American Art Education: Learning about art in American Schools, Greenwood Press, Westport, Cfr. M. GECCHELE, P. DAL TOSO (a cura di) Educazione democratica per una pace giusta, Armando, Roma, 2010.

15 collaborazione con gli altri, dotato di valore produttivo anche se non economico. All attività manuale veniva riconosciuta non soltanto funzione di orientamento e di formazione professionale ma, bensì, un ruolo centrale nell educazione etica e civile. Gli allievi della Arbeitschule dovevano compiere operazioni quali misurare, pesare, controllare, lavorando i prodotti con una precisione tale da ottenere, al termine dell attività, un prodotto uguale al modello e rivestente un intrinseco valore spirituale più che commerciale. Il lavoro, però, non era fine a se stesso ma assolveva un compito altamente educativo poiché pienamente consapevole delle proprie finalità complessive. Per conseguire tale fine le scuole dovevano dotarsi di laboratori e officine, così come lo stesso Kerschensteiner attuò a Monaco allorquando fu incaricato di approntare un organica riforma delle scuole professionali post-elementari Le scuole nuove negli Stati Uniti Il movimento delle scuole nuove sin dalla nascita, e lungo tutto il corso del suo svolgimento, è stato accompagnato da un intenso lavoro di teorizzazione mirante ad evidenziare da una parte i fondamenti filosofici e scientifici del movimento rinnovatore e dall altra gli obiettivi educativi fondanti che esso, oppostamente a ciò che la scuola e la pedagogia tradizionale sostenevano, veniva invece affermando. Il lavoro dei teorici, così come quello svolto operativamente dalle scuole nuove, diede così origine al progetto di educazione attiva che attirò a sé l attenzione di insegnanti ed educatori di tutto il mondo. Le prime 30 Cfr. G. KERSCHENSTEINER, Begriff der Arbeitsschule, Leipzig, Eubner 4 a edizione,

16 esperienze di scuole nuove rappresentano, pertanto, il germe e il modello di ciò che il ginevrino Pierre Bovet ( ) definirà scuola attiva 31. Agli slanci di entusiasmo pedagogico e di intuizioni metodologiche degli educatori europei gli Stati Uniti risposero con l attenta opera di sistemazione teorica di John Dewey che, certamente, fu il teorico più illustre dell educazione nuova, data la ricchezza ed il rigore filosofico del suo pensiero che allargava il pragmatismo di W. James 32 ( ) al campo della logica e dell educazione ed alle approfondite conoscenze in campo psicologico sviluppate partendo dagli insegnamenti di G. Stanley Hall ( ). Tali basi, sempre intrecciate ed interdipendenti, costituirono l humus delle esperienze e delle ricerche di Dewey sia come educatore che come studioso. Dall assunto che la conoscenza non è pura riproduzione ma modificazione della stessa mediante il pensiero discende che è possibile imparare solo attraverso esperienze originali che nessuno può fare al posto di altri 33. Da questi fondamenti derivano, in pratica, i successivi sviluppi del movimento delle scuole attive. L attivismo pedagogico teorizzato da Dewey, che nel secondo capitolo del presente lavoro riceve maggiore attenzione, si sviluppa nei testi come nell esperienza educativa attuata dal pedagogista nel 1896, con la direzione della scuola elementare annessa all Università di Chicago, attraverso un radicale rinnovamento della didattica e dell organizzazione della scuola. La sua scuola venne chiamata scuola laboratorio 34 e la stretta connessione tra il conoscere e il fare ne caratterizzò l organizzazione e la didattica. Al centro delle attività 31 Cfr. P. BONNET, La libertà nell educazione, R. FORNACA (a cura di), Paravia, Torino, Cfr. G. FORNERO, S. TASSINARI, Le filosofie del Novecento, Mondadori, Milano, Cfr. G. S. HALL, Educational problems, Appleton and Company, N.Y., Cfr. J. DEWEY, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze, (7 ristampa).

17 svolte nella scuola laboratorio era posto il fanciullo con le sue iniziative, legate ai suoi bisogni fisici, intellettuali e sociali ed ai suoi interessi, costituenti la motivazione profonda di ogni apprendimento. Il fanciullo, inoltre, individuo sociale al pari dell adulto 35 e, pertanto, con interessi fondamentali legati alla vita sociale e all ambiente umano e produttivo che lo circonda, doveva poter vivere in una scuola attenta e rispettosa delle peculiarità di questa fase della sua vita. Doveva essere una scuola aperta alla comunità, ad attività, a valori, etc., in grado anche di semplificare la vita sociale esistente 36 riconducendola a forma embrionale 37. Gli alunni nella scuola di Chicago collaboravano tra loro e con l insegnante, prendevano contatto con l ambiente, lavoravano attorno a centri di interesse, governavano la scuola, si dedicavano, a scopo di ricerca e di apprendimento, non di produzione utilitaria, a lavori di ogni tipo traendo dalle esperienze più comuni, dirette e personali, i problemi, i moventi e gli interessi 38 che li spingevano ad agire e a studiare. La scuola progettata da Dewey appare come profondamente democratica 39 sia in ambito didattico che nell organizzazione amministrativa. Gli insegnanti, infatti, partecipano, in modo diretto o per tramite di rappresentanti scelti democraticamente, alla formazione dei fini direttivi, dei metodi e dei materiali della scuola 40 in cui sono inseriti e di cui sono parte fondamentale. La democrazia, in tal modo, viene appresa dai fanciulli in modo naturale attraverso il comportamento di ciascuno, a tutti i livelli, in sostanza attraverso l organizzazione genuinamente democratica che si realizza all interno della scuola. 35 Ivi, p Ivi, p Ibidem. 38 Ivi, p Ivi, p J. DEWEY, Scuola e società, op. cit., p. 9.

18 Le questioni psicologiche, etiche, politiche oltre che filosofiche e pedagogiche analizzate da Dewey, per la varietà e la profondità degli stimoli che offrivano, influirono profondamente sulla seconda generazione di scuole attive che si svilupparono nel nuovo e nel vecchio continente subito dopo il primo conflitto mondiale. Talune esperienze statunitensi ebbero il nome di piani, termine che meglio evidenziava la coerenza esistente tra l organizzazione scolastica e la visione della vita. Così come la risoluzione dei problemi della vita di ciascuno va affidata ad un lavoro di progettazione costante e rigoroso è il pensiero, per i pragmatisti, l organo per la soluzione dei problemi. Nello stesso modo, in ambito scolastico, l insegnamento e l apprendimento assicurano risultati di gran lunga migliori se risultanti da un attività intenzionale volta al perseguimento di un fine. Il Dalton Laboratory Plan 41 (1920) elaborato da Helen Parkhurst ( ), che si era ispirata alle posizioni della Montessori ( ), è indubbiamente tra i piani più significativi e conosciuti 42. La Parkhurst, che tentò di attuare il suo piano a New York in una University School, fondava la sua esperienza su due idee fondamentali: l individualizzazione dell insegnamento e la libera scelta del lavoro scolastico, coniugando, in tal modo, l esperienza personale, avvalorata ed esaltata dalle scuole nuove, con la cultura della scuola tradizionale di cui non modificava ne programmi né contenuti. Ciascun allievo della scuola doveva organizzare nel proprio registro i piani e i tempi del lavoro che si impegnava a svolgere secondo ritmi personali, non più nelle classi ma nei laboratori di ciascuna disciplina, diretti da docenti specializzati, che le sostituivano. 41 Cfr. E. DEWEY, The Dalton Laboratory Plan, BiblioLife, LLC, Cfr. M MONTESSORI, Il metodo della Pedagogia Scientifica applicato all educazione infantile nelle Case dei Bambini, Loescher, Roma, 1935, III edizione.

19 Il Piano Dalton, certamente apprezzabile per la viva sensibilità che lo caratterizza nei riguardi dei problemi dell apprendimento individuale e per il progetto di razionalizzazione del lavoro scolastico, risultava, però, regolato da un organizzazione che accentuava la specializzazione degli spazi ma manteneva la frammentazione dei contenuti e la conseguente gerarchizzazione delle discipline e, se pur attenta ai problemi dello sviluppo individuale ed all apertura della scuola al suo interno, rischiava di costruirla come istituzione chiusa verso l esterno 43. Accanto all esperienza della Parkhurst, ma soprattutto all attivismo pragmatico di Dewey, si situa l iniziativa di William H. Kilpatrick ( ) che, pur essendo un teorico dell educazione, si è occupato anche di didattica elaborando un metodo, noto come Projects Method 44, che ha incontrato ampia adesione sia in America che in Europa. Nel suo Metodo dei progetti (1918) W. H. Kilpatrick interpretò autenticamente i principi teorici di Dewey, traducendoli adeguatamente in pratica attraverso l insegnamento nella scuola primaria e secondaria. Dobbiamo praticare ciò che vogliamo imparare. Noi impariamo le risposte che creiamo. E necessario esercitarsi 45. Da qui l intimo rapporto tra esperienza e apprendimento dei mezzi corretti per risolvere un problema. Il progetto è un programma di lavoro da realizzare mediante una serie di attività pratiche che hanno la loro ragion d essere proprio nel fine concreto cui tendono. Esso si sviluppa in varie forme: da quella del produttore (che riveste il ruolo nell attività pratica) a quella del consumatore (o estetica), da quella del problema (connessa all esecuzione intelligente di un compito) a quella di 43 Cfr. H. PARKHURST, L educazione secondo il piano Dalton, (a cura di) F. FRABBONI, La Nuova Italia, Firenze, Cfr. H. KILPATRICK, The Project Method: the use of the purposeful ACT in the Educative Process, Kessinger Publishing Co, Whitefish, Montana, USA, Ibidem, p. 59.

20 addestramento (come progetto di apprendimento specifico). Nulla impedisce che tali forme, o solamente alcune di esse, si integrino in un piano complessivo. La classe, inoltre, partecipa interamente al lavoro comune e ciò determina che anche l educazione socio-affettiva si attua, in modo naturale ed efficace, attraverso le interazioni connaturate alle attività svolte. Il sapere e la scienza, oltre che l educazione, sono intesi, in tale visione, come processo non come possesso e quindi si conquistano come invenzione (invention) e non come trasmissione, come perseguimento (pursuit) e non come distribuzione, come scoperta (discovery) e non come ricezione (reception). Nella proposta di Kilpatrick attivismo e cognitivismo si intrecciano e si sviluppano secondo il modello di una più matura lezione deweyana articolandosi in modo equilibrato. Ideatore di un piano fu anche Carleton W. Washburne ( ) che organizzò, nei dintorni di Chicago, le celebri scuole di Winnetka nelle quali, tramite un sistema di libero raggruppamento degli alunni, sostituendo quindi classi e gruppi prestabiliti, e tramite un programma parimenti libero, sviluppò un insegnamento individualizzato. Il piano di Winnetk) 46 (1920) fu elaborato da C. Washburne applicando procedimenti scientifici rigorosi al controllo sperimentale dei risultati del suo metodo educativo, ispirato alle idee di Kilpatrick e di Dewey sull educazione individuale e sociale. Le scuole di Winnetka si ispirarono a questi principi: 1) Ciascun fanciullo ha il diritto di procurarsi le conoscenze e le tecniche che gli saranno indubbiamente necessarie nella vita 47 ; 2) Ogni ragazzo ha il diritto di vivere naturalmente, giocondamente e pienamente la sua vita 46 Cfr. C. WASSHBURNE, Le scuole di Winnetka, La Nuova Italia, Firenze, Ivi, p. 21.

21 infantile 48 ; 3) Il progresso umano è in funzione dello svolgimento integrale delle capacità di ogni individuo 49 ; 4) Il bene della collettività umana esige lo svolgimento in ogni individuo di una coscienza sociale viva 50. E da tali principi ispiratori che derivano sia l elaborazione del programma che la sua articolazione e il relativo adeguamento didattico. Una volta stabilite le linee generali, valide per tutti e costituenti il livello minimo di base, i particolari ed il loro sviluppo vendono adeguati alle peculiarità di ciascun allievo. Pur seguendo le modalità di apprendimento individuali di ciascun educando, il controllo dell acquisizione sicura e permanente delle abilità strumentali risultava molto rigoroso. Le scuole di Winnetka, inoltre, si attestarono non già come un esperimento compiuto e definito, ma, bensì, come un laboratorio di ricerca didattica attento alle diverse e nuove soluzioni che si delineavano in relazione ai crescenti problemi dell insegnamento. 1.4 Le scuole nuove in Europa dopo il conflitto bellico All indomani del primo conflitto bellico l Europa appare disseminata di scuole che, pur definendosi nuove, in verità poco o nulla avevano in comune con il modello originario, ovvero quello della prima generazione di scuole nuove, e che, pertanto, non lasciarono vestigia rilevanti della loro presenza. Elemento determinante nel contenere la proliferazione incontrollata e nel migliorare la qualità delle scuole nuove fu, certamente, il quadro di riferimento, pedagogicamente valido e sicuro, elaborato dalla Ligue 48 Ibidem. 49 Ivi, p Ivi, p. 24.

22 Internationale pour l Education Nouvelle (LIEN) ed esplicitato nei Trenta principi fissati a Calais nel La Ligue aderì al Bureau des Ecoles Nouvelles (BIEN) fondato a Ginevra da Adolphe Ferrière che fu l eclettico e attivo sostenitore e diffusore del movimento de L école active 52 (1922). La Russia post-rivoluzionaria, carica delle tensioni, delle speranze di costruzione di un <ordine nuovo>, degli entusiasmi verso una trasformazione dell uomo in direzione di un forte impegno sociale, fu penetrata dagli influssi di diverse esperienze educative, fra tutte quella tedesca di Kerschensteiner e quella della scuola americana teorizzata e attuata da Dewey, che risultano evidenti nell attività pedagogica di Anton Semeovic Makarenko ( ) e nelle sue concrete esperienze educative attuate all interno di colonie, a contatto con ragazzi abbandonati da rieducare e da risocializzare. Attraverso la direzione della colonia Gorkij, il pedagogista ucraino, elaborò gli aspetti essenziali della sua pedagogia individuati nel principio del collettivo del lavoro e in quello del lavoro produttivo 53. Il collettivo del lavoro è un vivente organismo sociale 54 posto al contempo come mezzo e come fine dell educazione. E un complesso finalizzato di individui 55 legati fra loro mediante la comune responsabilità sul lavoro e la comune partecipazione al lavoro collettivo 56. Ciascun individuo, all interno del collettivo, assolve compiti e assume responsabilità, regola il suo comportamento secondo norme disciplinari di cui è garante egli stesso e collega il proprio lavoro a linee di prospettiva che congiungono il collettivo alla più vasta 51Cfr. M. RUMI Metodologia e didattica, in L. VOLPICELLI, La pedagogia, vol. 10, Vallardi, Milano, Cfr A. FERRIÈRE, L ecole active,,delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1969 (1920). Cfr. A. S. MAKARENKO, La pedagogia scolastica sovietica, Armando, Roma, Ivi, p Ibidem. 56 Ibidem.

23 realtà sociale e politica. Il collettivo, con al vertice un direttore, era articolato in collettivo dei ragazzi, divisi a loro volta in collettivi di base per consentire un adeguato sviluppo delle attitudini e delle caratteristiche individuali oltre che una partecipazione concreta agli obiettivi di crescita di tutta la comunità, e collettivo degli insegnanti. Dalla consapevolezza del collettivo di essere inserito nella società e di partecipare pienamente al suo sviluppo, nasce il lavoro produttivo. Tale lavoro occupava metà della giornata scolastica. L allievo, che doveva diventare cittadino, capace di lavorare, utile, qualificato, formato e politicamente istruito ed educato, lottatore, attivo, creativo 57, era considerato soggetto e non oggetto dell educazione e tutte le materie di studio erano insegnate con metodi attivi. Tra le esperienze emergenti dal filone europeo delle scuole attive quella di Roger Cousinet ( ) si contraddistinse per gli aspetti di scientificità fondanti la sua proposta. Il lavoro libero per gruppi 58, metodo didattico teorizzato dal pedagogista, stimola fruttuosi ed utili rapporti di collaborazione dei soggetti e può essere finalizzato sia alla conoscenza (lavoro scientifico, storico, geografico, matematico, linguistico) sia nell attività creativa che implica manualità (giardinaggio, allevamento, lavorazione di materiali, ecc.), riflettentesi sul piano dell apprendimento. In tale concezione educativa i luoghi e le caratteristiche delle attività scolastiche assumono l aspetto di veri e propri laboratori. Tale esperienza fu attuata da R. Cousinet, nell immediato dopoguerra, a Vence, dove il lavoro manuale degli allievi rivestiva un compito di rilevante importanza come esercizio di collaborazione con gli altri, come motivazione all impegno, come superamento della subordinazione e della dicotomia tra lavoro 57 A. S. MAKANENKO, La pedagogia scolastica sovietica, cit., p Cfr. R. COUSINET, Il lavoro libero per gruppi, La Nuova Italia, Firenze, 1967.

24 intellettuale e lavoro manuale. Il lavoro di base era svolto in quattro laboratori: 1) lavoro nei campi e allevamento; 2)filatura, tessitura, cucito e cucina; 3) costruzione, meccanica; 4) commercio. I laboratori di ricerca e documentazione, sperimentazione, creazione, espressione e comunicazione grafica e di creazione, espressione e comunicazione artistica erano predisposti per l attività evoluta, socializzata, intellettualizzata 59 degli allievi. L ambiente educativo creato secondo il metodo di Cousinet mette il soggetto in condizione tale da poter affrontare diversi problemi, cercare soluzioni adeguate attraverso la manipolazione di oggetti, rielaborando la propria esperienza con gli strumenti della cultura formale al fine di ricostruire l unità funzionale di pensiero e lavoro 60. Il panorama innovativo delle scuole nuove e dei metodi didattici in esse realizzati trova completamento nell esperienza ricca di suggestioni e di sviluppi di Cèlestin Freinet ( ), promotore di un metodo didattico basato sulla cooperazione ed incentrato nell uso della stamperia nella scuola 61. La scuola ideata da Freinet si caratterizza in scuola cantiere in cui l esperienza infantile, intesa dal pedagogista come un andare a tentoni (tâtonnement) sollecitato dai bisogni propri del fanciullo e nutrito dalle tecniche e dalle acquisizioni elaborate nel tempo dalla collettività, trova orientamento e arricchimento attraverso un lavoro, concepito come lavoro-gioco, realizzato collaborativamente con gli altri fanciulli. Il lavoro scolastico ruota attorno a due elementi cardine: il testo libero scritto dal bambino, che liberamente sceglie sia il momento che il soggetto cui ispirarsi, e la stamperia, che consente la creazione di un 59 R. COUSINET, L educazione nuova, tr. it., Firenze, La Nuova Italia, 1953, p R. COUSINET, Il lavoro libero per gruppi, cit., p Cfr. D. CLANFIELD, J. SIVELL, Cooperative Learning and Social Change: Selected writings of Céelestin Freinet, La Maîtresse d école Inc. Montréal, Québec, 1990.

25 giornalino di classe e, attraverso esso, la comunicazione con l esterno della scuola. Tutta l attività della scuola viene ad incentrasi così intorno al giornalino di classe stimolando, altresì, l apprendimento di tecniche e discipline ad esso collegate Evoluzione delle scuole nuove e proposte di laboratorio dal dopo Dewey ad oggi. L itinerario compiuto attraverso l esperienza deweyana della scuola laboratorio, i cambiamenti apportati in ambito pedagogico e didattico dalla sua concezione dell educazione, il movimento creatosi attorno all attivismo, l influenza di esperienze stimolanti e ricche di sviluppi come quella di Freinet, i cui principi ispiratori abbiamo constatato essere alla base della scuola di Chicago, rappresentano e contengono, certamente, le prospettive pedagogiche e le ipotesi metodologiche fondanti l attuale proposta dei laboratori. Proposte ed ipotesi che hanno radicalmente rivoluzionato e rinnovato il modo di fare scuola, ripensando e rifondando in modo nuovo il rapporto docente-discente, aprendo la strada a continue revisioni e innovazioni che, seppure lente, sono state e continuano ad essere ancora oggi costanti e inarrestabili. Pur tuttavia, per diverse ragioni, alcune integrazioni sull argomento laboratori si rendono necessarie: per la loro intrinseca importanza (rivestita), per il collegamento che hanno e mantengono con le esperienze precedenti, per la necessità di adeguare la proposta dei laboratori all attuale situazione storico-sociale che, se privata di tali integrazioni, risulterebbe mutila e non rispondente alle attese ed alle esigenze. 62 Ivi, pp

26 Le più indicative tra queste sono senza dubbio da annoverare tra le fila di quel movimento che, sulla fine degli anni Cinquanta, negli Stati Uniti prima e susseguentemente in Europa, sottopose l attivismo ad una radicale e drastica revisione. Tale revisione traeva motivazione dalle accuse mosse al movimento attivistico, e in particolare agli eccessi di puerocentrismo imputati alla scuola di impronta deweyana, di essere responsabile della formazione insoddisfacente delle nuove generazioni per quel che riguarda l educazione scientifica e di aver consentito, attraverso l esaltazione della manualità, elemento cardine dell educazione attiva, ed un eccessiva libertà del discente, l abbandono delle finalità essenzialmente culturali e cognitive della scuola. Sin dall inizio degli anni Sessanta, pertanto, si è avviato un lento ma inarrestabile tramonto dell attivismo di cui, in tale azione di messa in disparte, si trascuravano i punti di forza: valorizzazione della psicologia infantile come elemento fondamentale di ogni processo educativo, elaborazione del rapporto dialettico che lega l educazione alla società e alla politica, ecc., sostituito, sul terreno della pedagogia, da indirizzi di tipo cognitivo e tecnologico, ispirati allo strutturalismo e alla cibernetica 63. Il movimento contestatore dell educazione nuova, al converso, proponeva una riforma del curricolo scolastico che rivalutasse la serietà dei contenuti e della preparazione scientifica mediante un miglioramento della qualità dell istruzione. Fra i numerosi psicopedagogisti, psicologi e scienziati che hanno contribuito in modo determinante, attraverso ricerche e sperimentazioni, al dopo Dewey 64 è da menzionare Jerome Seymour 63 Cfr. M. MALDONATO, Psicologia della comunicazione, Ellissi, Napoli, Cfr. J. S. BRUNER, Dopo Dewey, Armando, Roma, 1978.

27 Bruner (1915-vivente), psicopedagogista statunitense, attento studioso dei processi cognitivi, influenzato da Piaget ( ) e da tutta la psicologia cognitivista di cui è lui stesso esponente rappresentativo, i cui principi tradusse nella pedagogia. Per Bruner l apprendimento non è assimilazione passiva, in senso mnemonico e ripetitivo, ma attività, riscoperta, esplorazione integrata dalla convinzione che di ogni capacità e conoscenza esiste un adeguata versione, che può venire impartita, a qualsiasi età si desideri cominciare l insegnamento, per quanto iniziale e preparatoria tale versione possa essere 65. Ciò a significare che la medesima struttura concettuale può essere risolta in un esperienza di natura attiva, piuttosto che iconica o simbolica. Deriva da qui la ricerca per una razionalizzazione dell insegnamento che ristabilisca nella scuola la priorità dell educazione intellettuale anziché della socializzazione 66. Con riferimenti allo strutturalismo piuttosto che al comportamentismo 67 si indirizza la ricerca e l attività di Benjamin S. Bloom ( ), autore di una pedagogia degli obiettivi scolasticoeducativi individuati nelle due aree: conoscitiva e affettiva 68. La classificazione degli obiettivi cognitivi, elaborata in collaborazione con il suo gruppo, si profila come strumento di valutazione oggettiva e confrontabile, alla fine della scuola secondaria, dei livelli di raggiungimento degli stessi obiettivi da parte degli studenti, preparati in situazioni e con percorsi diversi. In tale direzione ha anche operato la metodologia del mastery Learning 69 (apprendimento per padronanza), un metodo di didattica individualizzata, su misura degli 65 J. BRUNER, Il pensiero: strategie e categorie, Armando, Roma, 1969 (trad. it), p Ivi, p Cfr. D. FONTANA, Il controllo della classe. Come capire e orientare il comportamento degli alunni, Armando, Roma, Cfr. B.S BLOOM, Tassonomia degli obiettivi educativi. La classificazione delle mete dell educazione. Vol. I, Giunti & Lisciani Editori, Firenze Cfr. D. P. AUSUBEL, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004.

28 allievi, per portare quanti più possibile di loro al raggiungimento della maggioranza degli obiettivi mediante il miglioramento della qualità dell istruzione. Tale obiettivo è raggiungibile attraverso una pianificazione attenta dei singoli interventi (unità didattiche) e la predisposizione, nel caso di risultati insoddisfacenti, di percorsi diversi per metodi e strumenti. Appare evidente, nonostante la brevità e l incompletezza di queste note, utili comunque per rilevare alcuni degli elementi che formano il quadro pedagogico e metodologico dei laboratori, che il percorso compiuto dalla pedagogia cognitivistica ha, senza dubbio, generato un rinnovamento radicale nell ambito della pedagogia scolastica. Rinnovamento che se da una parte l ha resa più efficace dall altra ha qualificato la pedagogia in senso istruttivo, spostando l asse sui processi d apprendimento e assegnandole un ruolo fondamentale nelle società industriali avanzate, caratterizzate dalla crescita delle informazioni e dalla diffusione delle tecnologie. Certo nessuno degli educatori menzionati in questo excursus ha proposto un modello di laboratorio soddisfacente in tutti gli aspetti, soprattutto se si considera la mutata situazione storico-sociale della scuola attuale. Pur tuttavia in ciascuno di codesti autori e nei metodi da loro elaborati, è possibile cogliere riflessioni pedagogiche e proposte metodologico-didattiche non soltanto ancora valide ma condivisibili e realizzabili, siano esse la scientificità, l umanità, la prospetticità, la socializzazione, l individualizzazione, etc. Si configura così una scuola su misura dell allievo ed adeguata alla sua individualità. Contraddistinta sul piano metodologico dal fare, in forma di attività motoria, verbale, intellettuale, operativa; dall interesse dell allievo verso il proprio lavoro; dall integrazione attuata tra intellettualità e manualità; con una

29 didattica fondata sull intuizione, sull espressività, sull autocorrezione e sul mutuo insegnamento, sulla ricerca e la sperimentazione, etc. A tali caratteristiche, presenti implicitamente o esplicitamente in tutto il discorso sui laboratori, sono da aggiungere le integrazioni di educatori, pedagogisti, psicologi, insegnanti che alimentano, vivacizzano e attualizzano il dibattito sull argomento che, però, può generare fraintendimenti. La parola laboratorio ha rischiato e rischia, infatti, di essere impugnata-ideologizzata-deformata da un variopinto esercito sia di sostenitori che di detrattori di questo modello organizzativo di scuola. Dai fautori del no categorico, interessati ad una scuola che privilegi e perpetui la prassi trasmissivo/ripetitiva di acquisizione delle conoscenze da parte degli allievi agli acritici sostenitori del sì plaudente, auspicanti l organizzazione di una scuola tutta laboratori, trascurando l alfabetizzazione primaria che si attua nell aula tradizionale. Il discorso sull argomento va invece inquadrato in una proposta di scuola più ampia, organica e coerente in tutti i diversi aspetti, non quindi laboratori come elemento episodico e isolato da qualsiasi contesto e, ancor meno, laboratori come propaganda per suscitare entusiasmi ed acquisire facili consensi, ma laboratori come proposta innovativa che consideri attentamente sia le dinamiche interne alla scuola che le dinamiche esterne, interagendo con l extrascuola, con il sociale nel suo complesso, che tanta importanza riveste nel processo educativo. In tale direzione si è mossa, a partire dagli anni Cinquanta, la riflessione e la sperimentazione di Francesco De Bartolomeis. Sperimentazione originata da un attenta riflessione sui principi della scuola attiva 70, dall adesione del pedagogista all attivismo 70Cfr. F. DE BARTOLOMEIS, Che cos è la scuola attiva:il futuro dell educazione, Loescher, Torino, 1958.

30 pedagogico europeo, dal riconoscimento di Dewey come teorico fra i più significativi della <rivoluzione copernicana> che si stava realizzando nel campo dell educazione 71. La prima concretizzazione dell idea dei laboratori in De Bartolomeis avviene, sebbene in modo episodico e modesto, nelle Università di Firenze e di Pisa, ma trova continuità vent anni dopo, nel 1972, all interno dell Istituto di Pedagogia di Torino. L intento della sperimentazione risiedeva nella possibilità di trarre dagli esperimenti che venivano fatti dagli studenti dell Istituto, e dalla conseguente sistemazione teorica degli stessi esperimenti, materiale sufficiente per elaborare una teoria dei laboratori fondata su una concezione produttiva e sociale della cultura 72 capace di avviare innovazioni nella scuola ordinaria. Innovazioni che il pedagogista pone in stretto rapporto con la politica socio-culturale del tempo, assegnando, per tale ragione, adeguata importanza ai temi emergenti nella società: rapporto studio/lavoro, conversione del lavoro in servizio sociale, formazione professionale come qualificazione della formazione sociale coerentemente con il concetto di cultura produttiva 73. La produttività dei laboratori non rimane, pertanto, confinata al loro interno, legata ad obiettivi di natura esclusivamente scolastica, ma coinvolge la realtà extrascolastica attraverso la trattazione di temi politici, economici sociali, che trasformano i laboratori in luoghi di progettazione, di ricerca, di iniziative da realizzarsi anche al di fuori delle istituzioni scolastiche Ivi, p F. DE BARTOLOMEIS, Sistema dei laboratori, per una scuola nuova necessaria e possibile, Feltrinelli, Milano, 1978, p Ivi, p Cfr. F. DE BARTOLOMEIS, Scuola e territorio. Verso un sistema formativo integrato, La Nuova Italia, Firenze, 1983.

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