LA SINTESI WELFARE E TERZO SETTORE

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1 WELFARE E TERZO SETTORE LA SINTESI 2 ITALIANI SOLI, VULNERABILI E A RISCHIO Le cifre della difficoltà Sono sempre più soli, gli italiani: di fronte alla crisi, senza rete, e con un welfare che si ritrae. E corrono rischi contro cui non hanno protezione: l 11,8% (poco meno di tre milioni) possiede azioni o quote di fondi comuni ad alto rischio sul mercato finanziario, l 8,2% (circa 2 milioni) ha un mutuo per la casa cui far fronte, con (stimate) famiglie che saltano i pagamenti e che fanno fatica a pagare le rate, il 12,8% (poco più di 3 milioni) che ricorre al credito al consumo. Famiglie che, per reggere la crisi, tirano la cinghia per accantonare qualcosa (il 33,9%), tagliano i consumi (il 34%), persone che sono del tutto incerte sul che fare (il 9,6%), oppure si vedono costrette a lavorare di più (il 7,4%); il 3,8% dovrà metter mano ai risparmi per vivere. Lo 0,5%, inoltre, dichiara che di certo dovrà indebitarsi. Tanto che nella graduatoria delle paure e delle minacce percepite, oltre alla perdita del benessere conquistato e il timore per le cure sanitarie, c è la perdita dei risparmi (60,5%), il non poter pagare il mutuo della casa (44,5%), o le rate di altri acquisti (43%), perdere il lavoro (38%), il doversi indebitare (32%). Come non bastasse, hanno poca rete sociale su cui contare: 4,8 persone in media. Il 50% delle famiglie italiane ha un reddito inferiore a euro, al mese, un anziano solo vive con meno di euro (955 mensili), a fronte di chi è solo ma in età attiva ( euro), le famiglie con almeno un anziano dispongono di euro, quelle con due di Quando ci sono dei figli, il reddito mediano è di euro, ma scende a euro (2.169 al mese), se ci sono tre figli minori, e quando il/la genitore è solo, il reddito scende a euro, a se il figlio è minorenne. Se poi si è donna capofamiglia, sono euro. Una spesa imprevista di 700 euro manda in crisi il 32,9% delle famiglie, dato che sale al 36% per gli anziani e al 41,4% per le famiglie con tre figli, e al 46,4% al Sud. Fa fatica ad arrivare a fine mese mediamente il 15,4%, ed era il 14,6% nel Secondo la Banca d Italia, nei primi nove mesi del 2008 le famiglie italiane hanno ridotto i loro consumi dello 0,4%, mentre l anno precedente si era vista una crescita dell 1,4%, ed è cresciuta anche la pressione degli oneri dovuti a prestiti bancari, che incidono nel 2008 in media per l 8,3% del reddito familiare. Stipendi e salari, secondo la CGIL, nel rischiano una perdita secca media di euro, calcolata su una inflazione 2008 del 3,8%, e tenendo conto che la manovra finanziaria del governo ha basato i suoi calcoli su una inflazione programmata dell 1,7% per il 2008 e dell 1,5% per il LA SINTESI WELFARE E TERZO SETTORE 449 Migranti integrati ma a rischio Le persone immigrate residenti in Italia sono il 6,7% della popolazione, percentuale appena sopra quella UE-25, che è del 6% (dati 2006), e nel sono state presentate domande di assunzione di lavoratori stranieri, da aziende e famiglie. Gli immigrati regolari sono sempre più integrati e stabili: un matrimonio ogni dieci vede un partner italiano e uno straniero ( in totale nel 2006) mentre i matrimoni con entrambi i coniugi stranieri sono ; aumentano i ricongiungimenti familiari: i permessi per

2 DIRITTI SOCIALI 450 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 motivi di famiglia sul totale dei permessi è in continua crescita; gli immigrati rappresentano il 10% di tutti gli occupati, di cui ben sono iscritti a un sindacato, il 5% sul totale degli iscritti e il 12% su quelli attivi, cioè pensionati esclusi. Gli immigrati creano lavoro: il 10% del lavoro artigiano, titolari d impresa, soci e altre figure societarie, con il maggior sviluppo nelle comunità marocchina, romena e cinese. Nonostante questa integrazione a ritmi serrati, continuano a essere esposti in modo elevato a rischi sociali. Ottengono con difficoltà la cittadinanza (nella UE-25, se ne concedono al giorno in media, in Italia non più di 100); nel lavoro, il loro tasso di attività è mediamente del 73,2%, 12 punti in più rispetto agli italiani, ma il loro tasso di disoccupazione è due punti più alto, 8,3% in media e 12,7% per le donne, ma con picchi negativi per gli immigrati marocchini. Accedono meno al welfare: nonostante essi assicurino un gettito fiscale che nel 2007 è stato di 3 miliardi e 749 milioni di euro (3,1 miliardi per i soli versamenti IRPEF, il resto per addizionale IRPEF regionale, ICI, imposte catastali e ipotecarie), 137,5 milioni per l imposta di registro e 254,5 milioni di euro per imposta sul reddito d impresa, il welfare locale ha speso per loro 136,7 milioni di euro (il 2,4% della spesa sociale dei Comuni), cioè 53,9 euro pro capite. Il miraggio della casa La casa lo sfratto, il mutuo, l affitto e le bollette in arretrato sono causa di vulnerabilità, e spesso anche passaggio a veri stati di povertà. Sta diminuendo l acquisto (-13% nel 2008) e contemporaneamente aumentano i costi dell affitto: +130% dal 1998, 740 euro mensili in media nelle grandi città (1.100, se non si considerasse quel 15% di affitti concordati), a fronte di un aumento della domanda di abitazioni in locazione. Chi è in affitto: il 20% dei nuclei con meno di euro all anno, il 30% per quelli tra i e i , il 27% di quelli tra e Intanto, i contributi pubblici all affitto subiscono un crollo verticale: del 50% in sette anni a Roma, del 30% a Milano, tra il 2000 e il 2007, le domande di sostegno all affitto passano, nello stesso periodo, nella capitale da a (+75%), e a Milano da a (+200%). Ogni anno sono le famiglie che perdono la casa perché non riescono a pagare l affitto. Nel 2008, la città più esposta è Roma, con sfratti con questa causa, seguita da Torino (1.311), Milano (1.302) e Firenze (1.146). La percentuale degli sfratti per morosità sul totale è elevatissima: l 89% in Emilia-Romagna, l 88% in Piemonte e in Sardegna, l 84% in Abruzzo e in Friuli, l 80% in Lombardia. Tra il 2004 e il 2008 sono stati emessi sfratti per morosità ( nel 2008, +20% rispetto al 2007), di cui eseguiti circa ; famiglie hanno i contratti scaduti, sono le domande inevase per una casa di edilizia pubblica, circa immigrati regolari vivono in coabitazione, circa giovani tra i 20 e i 34 anni vivono ancora nella casa della famiglia di origine, essendo per il 50% percettori di reddito. Ammalarsi è un lusso I costi della sanità cadono in maniera crescente sui singoli e sulle famiglie. E così accade anche di impoverirsi a causa delle cure. Secondo l Università romana di Tor Vergata, sono le famiglie italiane che nel 2006 si sono impoverite a causa di spese sanitarie impreviste delle quali si sono dovute far carico con risorse autonome. Si tratta dell 1,5% delle famiglie italiane, alle quali vanno sommate famiglie (il 3,7%) che sono state soggette a spese catastrofiche, proprio a causa di costi sanitari non coperti dal Servizio Sanitario Nazionale. Ogni mese un malato cronico spende più di euro fra assistenza familiare, farmaci e altri ausilii, e tra gli over 75, l 87% soffre di almeno una malattia cronica e il 68% di due o più. Secondo il CENSIS, per far fronte alle spese sanitarie il 42% degli over 65 mette mano ai risparmi, il 30,3% tira la cinghia per spendere in salute, il 18% deve chie-

3 dere aiuto a parenti e amici, qualcuno fa lavoretti vari per avere qualche euro in più (il 5,3%) e il 3,6% si indebita con le finanziarie. Una povertà immobile. Anzi, peggiore L Italia mantiene un suo zoccolo duro di povertà relativa conclamata mai scalfita negli anni da politiche e misure sociali: nel 2007 sono povere cioè sono sotto i 986,35 euro per due persone famiglie, l 11,1%, che corrispondono a individui poveri, il 12,8% della popolazione. Al Sud, rispettivamente, 22,5% e 25,2%, mentre al Nord si scende al 5,2% e al 5,5%. Le famiglie numerose sono più povere: si va dal 14% di quelle con due figli al 22,8% di quelle con almeno tre, dati che salgono rispettivamente a 15,5% e 27,1% se i figli sono minorenni. Sono più povere anche le famiglie con anziani o quelle monogenitoriali con una donna come capofamiglia. Essere non occupati o in cerca di occupazione espone al rischio povertà, rispettivamente nel 13,9% dei casi e nel 27,5%. Tuttavia, è molto vasta e in crescita anche l area dei working poors, i lavoratori poveri: gli occupati sono l 8,6% dei poveri (ma il 18,5% al Sud, il 4% al Nord e il 4,6% al Centro), e se si è operai e dipendenti la percentuale è emblematicamente la stessa dei non occupati, il 13,9%. Emergenza bambini poveri C è una emergenza bambini : sono poveri nel 18% (ma il 25% al Sud) dei casi, più 7% degli adulti, le famiglie con minori nel loro insieme hanno un incidenza di povertà del 14,7%, con circa un +3,5% rispetto alla popolazione generale, percentuale che sale al 16,4% se i genitori sono giovani o se la famiglia è monoparentale (15,2%). Adottando criteri di misurazione comunitari, è anche peggio: si passa così dal 18% al 25% di minori poveri, +7% sulla media UE-25, l Italia è prima solo di Lituania e Polonia, al pari di Estonia e Ungheria, peggio di tutti gli altri. La beffa della social card. Dai diritti alle elemosine Il 2008 è anno di forti polemiche su quanto il nostro welfare sia del tutto inadeguato e spiazzato dalla crisi. Mancano ammortizzatori sociali, sostegni per i lavoratori precari, un piano coerente di lotta alla povertà. Però, arriva la social card la carta acquisti varata con il decreto n. 112/2008. Questa misura appare l emblema della retorica liberista: denaro al singolo ( consumatore più che cittadino) da spendere sul libero mercato (dei servizi, dei beni di prima necessità) in assenza di ogni ridisegno di misure organiche di sostegno e al reddito e alla persona in termini di servizi e di sicurezza sociale. Un disimpegno che, dentro la retorica della titolarità e libertà individuale, assume la forma di una sorta di nuova elemosina quando poi si concretizza in denaro: un importo risibile di 400 euro all anno per fasce di reddito che sono sull orlo della sopravvivenza, e oltretutto molto selettivo: ne fruiscono solo over 65 incapienti o con pensioni non oltre i euro, che non siano nemmeno ricoverati in istituti di cura di lunga degenza; minori under tre anni, di famiglie con un indice ISEE inferiore a euro. A fronte della cifra prospettata del governo di nuclei familiari beneficiari, a gennaio 2009 ne avevano goduto non più di un terzo, e il ritmo delle richieste, dopo gennaio, è decisamente sceso, tanto da non far pensare a un recupero. Non solo, ma per ben richieste (il 27% del totale), c è stato un rifiuto, per questioni di reddito o per mancanze formali. Se si considera che le famiglie in condizioni di povertà relativa sono, secondo l ISTAT, 2 milioni 653 mila, le carte coprono meno del 16% delle famiglie povere mentre ne resta escluso oltre l 84%. Non solo: la social card che costa 450 milioni di euro annui, che nella prima annualità arrivano a 606, a causa della prima tranche di 120 euro erogata a 2 WELFARE E TERZO SETTORE 451 LA SINTESI

4 dicembre 2008 a volte è vuota, priva di copertura, a causa dei ritardi dell INPS, che ne è responsabile dal punto di vista della gestione. Cosa che ha esposto persone già fragili e che si muovono con difficoltà con questi nuovi strumenti, a penose situazioni di imbarazzo. DIRITTI SOCIALI 452 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 Il taglio della spesa sociale Nel complesso, la spesa globale per la protezione sociale in Italia incide sul PIL per il 25,8% (dati 2006), che per il 17,2% è imputabile alla componente previdenziale e, in maggior dettaglio, per il 14,2% pensionistica. Il dato medio UE-25 è il 27,4%. La spesa sanitaria copre il 6,4%, mentre quella assistenziale il 2,1%, che comprende anche uno 0,8% di pensioni di invalidità civile. Analizzando per comparti la composizione della spesa di protezione sociale (dati 2007), la sanità ne assorbe il 23,9% ( milioni di euro), la previdenza il 67,7% ( milioni) e l assistenza l 8,5% ( milioni). Di questo 8,5%, tuttavia, va notato che solo milioni di euro vanno in prestazioni diverse e sussidi monetari diversi dalle pensioni; il restante, cioè la gran parte, andando a coprire altre pensioni di diversa natura (sociali, di guerra, di invalidità). L Italia destina alla vecchiaia il 50,8% della spesa sociale, il dato più alto in Europa, la cui media è del 41,4%, alla malattia il 26,7% (media UE-27 28,6%). Nell Europa dei 15, l Italia, dopo la Grecia, è il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà: abbattono la quantità di popolazione povera solo di quattro punti percentuali. Per esempio, Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda riescono a ridurre del 50% il rischio di povertà. In questa situazione, il governo nel dicembre del 2008, taglia le risorse destinate al Fondo Nazionale delle Politiche Sociali (FNPS): per il 2009 sono euro, nel 2007 erano stati trasferiti euro integrati con altri precedentemente accantonati. Dunque da circa si scende di circa di euro. La politica governativa costerà agli enti locali e alle Regioni, in tre anni oltre 12 miliardi di euro di risorse in meno. Per i Comuni si è già verificata una diminuzione nelle entrate correnti del 7%, il 13% di quelle tributarie, per un ammontare complessivo di 3,3 miliardi di euro e con la manovra estiva del 2008 il governo pone in ulteriore difficoltà i Comuni limitandone il ricorso alla leva fiscale, con il blocco delle aliquote per il triennio Le relazioni tra i Comuni e il governo sono burrascose anche sui tagli ai trasferimenti e la mancata integrale copertura degli interventi sull ICI; la deroga al Patto di Stabilità interno, l utilizzo del patrimonio immobiliare per sostenere la spesa in conto capitale e abbattere il debito. Un problema grave se si considera che i Comuni rappresentano il 42% di quanto complessivamente speso dal settore pubblico per l assistenza socioassistenziale. La Sanità compie 30 anni, ma non li porta bene La manovra finanziaria triennale cala la sua scure sulla sanità pubblica. Nel 2009 in apparenza non vi sono tagli: il Fondo 2008 per la copertura dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) era di 101,457 miliardi, quello per l anno corrente è di 101,481, che sale a 102,683 miliardi di euro comprensivi dell incremento per rinnovi dei contratti collettivi (biennio 2006/2007) e a complessivi se si conteggiano alcuni fondi vincolati. Per gli anni 2010 e 2011, invece, ci sono tagli rispettivamente di 2 e 3 miliardi di euro. In questo scenario, cresce la quota di spesa a carico del cittadino: +312,9% dalla riforma (1978) al 2007! Rivelatrice l area della cronicità: 140 associazioni aderenti al Coordinamento malati cronici indicano in una cifra fino a euro mensili quello che se ne va in farmaci, ausili e aiuti diversi non rimborsati dalla SSN; nel 40% dei casi, il paziente deve accollarsi le spese per farmaci indispensabili, con un costo medio mensile di 420 euro, cui aggiungere, in un caso su due (45%), il mancato accesso gratuito a protesi, con un aggravio di

5 altri 916 euro in media, cui in più si somma, nel 55% dei casi, il necessario ricorso ad aiuti esterni a proprie spese, come l assistenza familiare, per un costo medio mensile aggiuntivo di circa 986 euro. Migranti discriminati nelle cure sanitarie Limiti anche nella cura dei migranti, che arrivano in Italia sani e qui si ammalano. Mentre il governo minaccia, con il Pacchetto sicurezza, la salute dei non regolari, attraverso la denuncia a opera dei sanitari, anche per i regolari la salute è un diritto meno esigibile che per gli italiani. Soprattutto per la prevenzione: agli screening per la prevenzione dei tumori femminili partecipa non più del 50% delle donne straniere nelle fasce d età previste, il 51,6% per il pap test e il 42,9% per la mammografia, percentuale che scende ancora più tra le donne di origine marocchina e albanese (non oltre il 30%), mentre le donne italiane ricorrono ai test rispettivamente per il 71,8% e il 73,1%. Anche nella specialistica: 13 visite per 100 stranieri, 23 per 100 italiani. In teoria, l Italia risulta tra i Paesi con più diritti per la salute per gli immigrati senza permesso di soggiorno, dove le prestazioni previste per i cosiddetti Stranieri Temporaneamente Presenti (STP) sono ampie, e tuttavia quando si passa a considerare l informazione su questi diritti, il 65% non li conosce, e l 84% tra gli irregolari da più tempo in Italia non si rivolge ai servizi pubblici. Droghe: la politica zoppa dell Italia, che la porta fuori dall Europa Con l insediamento del governo di centrodestra, si ripristina anche il modello iperproibizionista nella lotta alla droga: le dipendenze escono dal Welfare e tornano al Dipartimento antidroga del Consiglio dei ministri. Sulla legge, nulla di nuovo, non servono alla destra riforme, stante che il governo Prodi non era riuscito a modificare la legge Fini-Giovanardi (n. 49/2006), più per contrasti interni che per bravura dell allora opposizione. La novità sta nel fatto che, intanto, la legge ha davvero cominciato a fare il suo lavoro, dopo due anni di rodaggio. Aumentano le sanzioni amministrative per i consumatori, dal 2004 addirittura del 62,6%; aumenta anche il carcere, prima dell indulto i tossicodipendenti in carcere erano il 26,4% dei detenuti, con l indulto la percentuale è scesa al 21,4%, alla fine del 2007 risale al 27,6%, una crescita con una velocità inedita; alla metà del 2008 il 38,2% dei detenuti è in carcere per l articolo 73 del DPR 309/90, che punisce vendita e produzione ma anche la sola detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, percentuale che sale al 49,5% per i detenuti stranieri. Rispetto a prima dell indulto la percentuale di persone che entra in carcere dalla libertà per la legge sulle droghe è +3,6%, e l ingresso dei tossicodipendenti ammonta a +8,4%. Ma ciò che più preoccupa gli operatori è la prospettiva: nel breve e medio periodo, infatti, arriveranno gli esiti, in termini di carcerazioni, dei processi ancora pendenti contro consumatori e spacciatori: che sono cresciuti del 31,5% rispetto al 2006, mentre è aumentato del 44,5% il numero degli imputati per lo stesso articolo 73. Queste cifre non vengono dal governo, ma da studi compiuti dalle associazioni, sulla base dei dati governativi. Il governo infatti, pur avendone l occasione (e, in qualche modo, anche il dovere) nel marzo 2009, quando a Trieste si tiene la V Conferenza nazionale triennale su droghe e dipendenze un appuntamento previsto per legge con lo scopo preciso di valutare politiche e servizi non mette all ordine del giorno la valutazione della legge. Così come espelle dai lavori il tema della riduzione del danno, quella parte dell intervento sulle droghe che si occupa della salute dei consumatori attivi e che a livello UE è istituzionalmente il quarto pilastro della politica comunitaria, insieme a prevenzione, cura e lotta al traffico. E che in Italia conta oltre 240 servizi a regime da oltre 15 anni. La mancata discus- 2 WELFARE E TERZO SETTORE 453 LA SINTESI

6 DIRITTI SOCIALI 454 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 sione aperta su riduzione del danno e legge, la prassi poco partecipativa usata per organizzare i lavori e l approccio politico iperproibizionista del governo, creano un movimento di operatori e associazioni che a Trieste contesta i lavori ufficiali. Intanto, i servizi languono: mancano fondi sia nel pubblico sia nel privato, e non piace alla gran parte del Terzo settore e ai SerT l uscita di Carlo Giovanardi su una possibile compartecipazione delle famiglie alla spesa per le comunità. Insomma, una privatizzazione da far ricadere sulle spalle dei cittadini. Una proposta indecente, secondo gli operatori. Il governo di centrodestra riesce anche a portare l Italia fuori dalla UE: in occasione infatti dell appuntamento a Vienna nel marzo 2009 per ratificare o viceversa innovare la politica ONU sulle droghe varata nel 1998, l Italia si schiera con il fronte iperproibizionista a favore della continuazione per altri dieci anni della war on drug globale, nonostante il decennio passato ne abbia evidenziato fallimenti e danni: aumento dei consumi, aumento del narcotraffico, lievitazione dei costi della guerra alla droga mondiale, danni più che benefici per i Paesi produttori. Quando un compatto numero di Paesi 27 di cui la gran parte europei critica il testo finale ONU, chiedendo l introduzione della riduzione del danno nelle politiche globali, l Italia, con il sottosegretario Carlo Giovanardi, rompe il fronte UE e si allea con i vertici ONU. Così mettendosi contro anche alle ragionevoli critiche di agenzie mondiali come l agenzia ONU dell AIDS (UNAIDS), il Fondo mondiale per l AIDS, e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La biopolitica all italiana Il lungo calvario di Eluana Englaro ha segnato un anno drammatico per i diritti fondamentali della persona. Più ancora che nel caso di Piergiorgio Welby, nel 2008 il dibattito sul diritto di ognuno a rifiutare trattamenti invasivi e inutili ha attraversato e diviso il Paese e la politica, segnando peraltro un divario tra l uno e l altra. L approdo politico, nel febbraio 2009, dopo la morte di Eluana, e dopo un estenuante altalena tra decreti minacciati, controlli e denunce ai danni delle strutture che ospitavano Eluana, minacce e insulti al padre e ai medici che lo sostenevano, presidi in piazza degli opposti schieramenti, scontro istituzionale tra presidenza del Consiglio e presidenza della Repubblica, è stato approvato in Senato il disegno di legge Calabrò, attorno a cui si è coalizzata la maggioranza di governo, con il supporto, in Commissione Sanità, dei cosiddetti teodem del PD Dorina Bianchi, Daniele Bosone e Claudio Gustavino. Un testo che solleva una protesta e un opposizione decisa: secondo l oncologo Umberto Veronesi, primo in Italia ad aver proposto il testamento biologico, «sarà una non legge che annullerà il concetto stesso di testamento biologico». E, in effetti, il testo approvato in Senato il 26 marzo 2009, vieta la sospensione di idratazione e alimentazione artificiali non considerati, contro il parere del mondo scientifico, trattamenti sanitari con l aggravante su proposta CDU che le dichiarazioni di volontà sono poco più di un parere non vincolante per il medico. Ignazio Marino, proponente PD di un testo alternativo, promette il referendum, e la piazza si mobilita, includendo anche personalità e gruppi cristiani. Legge sulla procreazione, il fallimento rimosso I tanti divieti imposti dalla legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) continuano a dare i loro frutti avvelenati. La maggior parte delle coppie che vi accede valuta negativamente la legge, che vede come la peggiore nel quadro europeo (80,5%) e crede che questo danneggi soprattutto le coppie meno abbienti (77,4%). La maggioranza pensa che la legge 40 abbia, nei fatti, ridotto le possibilità di diventare genitori (77,4%) e il 55,5% è disposto ad andare all estero. E sono ben il 32,5% le coppie che vorrebbero sottoporsi a fecondazione eterologa, e non possono farlo in Italia. Le percentuali di successo sono basse rispetto alle medie UE, ed è stabile, c è cioè un man-

7 2 cato incremento del rapporto tra interventi tentati ed esiti positivi, mentre invece questa crescita è sensibile in tutti gli altri Paesi europei. Con l inseminazione semplice, solo il 17,4% delle donne ha una gravidanza, e tra queste solo poco più della metà ha un esito positivo con la nascita di un bambino. Per la PMA che prevede l impianto dell embrione a fresco o congelato, le gravidanze sono rispettivamente il 18,9% e il 16%. Elevati rispetto ad altri Paesi i casi di parti gemellari e trigemini, soprattutto tra le donne più giovani: aumenti rispettivi di +18% e +3,3% rispetto a prima del varo della legge 40/2004. Aumenta invece quello che è stato battezzato «esilio procreativo e non turismo, perché è coatto», cresciuto del 200%: prima dell approvazione della legge erano le coppie che andavano all estero, nel 2006 sono state 4.173; dato confermato nel La prima meta è la Spagna (da 60 coppie prima del 2004 a nel 2006), poi la Svizzera (il 32% del totale delle coppie), la Francia, con il 5% e il Belgio, dove dopo il varo della legge 40 le coppie italiane sono passate da 204 a 775. I Paesi dell Europa dell Est stanno diventando attraenti per i costi, nella Repubblica Ceca si è passati da 22 a 500 coppie, mentre il 10% si reca in Slovenia. In Grecia, a Salonicco, le coppie italiane, del tutto assenti prima del 2004, sono oggi il 12% del totale. In aumento anche gli interventi in Austria (+20%) e in Turchia, dove gli italiani sono il 20% del totale, soprattutto per la diagnosi preimpianto. I costi per un intervento vanno dai euro in Europa ai per un intervento con donazione negli USA. Il Terzo settore in bilico tra mercato e diritti Sarebbe finita, secondo il CENSIS, la spinta propulsiva del Terzo settore, trasformatosi in imprese e burocrazia. Una immagine pessimista e da non generalizzare, anche se nell economia sociale si alternano luci e ombre. In ogni caso, il non profit dei Paesi sviluppati è, a livello mondiale, la quinta potenza economica del mondo: miliardi di dollari il giro d affari, in media il 5% del PIL, percentuale ragguardevole se si pensa che il settore dei servizi finanziari copre il 5,6%. Sono 48 milioni le persone che ci lavorano, il 4,6% della popolazione attiva, e sono nel complesso 100 milioni i volontari nella UE-27. In Italia, sono state stimate in le cosiddette organizzazioni della società civile attive, e le imprese sociali di tutte le tipologie sono in totale, incluse le grandi cooperative. Le imprese sociali nel 2008 per il 60% hanno assunto nuovi lavoratori, a fronte del 28% del mercato profit. Si tratta di assunzioni cui fanno di contro riferimento uscite, con un saldo positivo di posti di lavoro, +1,9% contro il +1% delle imprese private. Si tratta del 2,6% dell occupazione nazionale e del 5% del settore dei servizi. Le realtà del Terzo settore crescono al ritmo del 15% annuo, con un fatturato di circa 38 miliardi di euro. Sulla strada di questo sviluppo, tuttavia, non pochi ostacoli si sono contrapposti nel corso del 2008, e non poche criticità. Innanzitutto, la crisi del welfare in relazione ai tagli della spesa pubblica a livello locale, di cui hanno risentito pesantemente contratti e stipendi: ci sono voluti 31 mesi per rinnovare il contratto nazionale dei lavoratori delle cooperative, con il primo sciopero nazionale della loro storia, nell aprile 2008, che ha coinvolto tra l 80% e il 100% dei lavoratori del settore. Da volontario a sponsor? Sono i volontari italiani organizzati in associazioni (6 ogni abitanti). Tra loro, circa (il 57,4%) operano in modo continuativo, con un impegno settimanale di cinque ore in media. Nel complesso, offrono circa 3,2 milioni di ore settimanali di volontariato, che equivale alle prestazioni di operatori a tempo pieno. Ma i numeri non traggano in inganno, perché secondo i leader del settore, il volontariato è in crisi: la sola crescita reale si misura al Sud, tradizionalmente più povero di volontari; il divario WELFARE E TERZO SETTORE 455 LA SINTESI

8 tra Nord e Sud sta diminuendo, con una crescita, nell ultimo quinquennio a Sud del 20,2%, e a Nord-Est l area del Paese più sviluppata sotto questo profilo del 12,6%. Altrove, è stagnazione. E poi cambia anche il modo di contribuire alle cause giuste: più dono in denaro che in tempo, passaggio che ha indebolito la partecipazione più coinvolta e anche propriamente più politica, perché la responsabilità del sostenitore si esaurisce con un contributo economico che lo svincola dal coinvolgimento nelle attività concrete sul campo. 456 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 DIRITTI SOCIALI

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