Un dibattito in via di decollo (e di prima attuazione): non autosufficienza e secondo welfare in Italia. Alcune considerazioni preliminari

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1 Un dibattito in via di decollo (e di prima attuazione): non autosufficienza e secondo welfare in Italia. Alcune considerazioni preliminari Marco Arlotti Paper for the Espanet Conference Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa Milano, 29 Settembre 1 Ottobre 2011 (versione preliminare, si prega di non citare senza il consenso dell autore) DESP Dipartimento di Economia, Società, Politica Università degli studi di Urbino Carlo Bo marco.arlotti@uniurb.it 1

2 Abstract A partire da un specifico inquadramento della questione degli anziani cronici non autosufficienti Italia, il paper intende affrontare preliminarmente i termini del dibattito sul secondo welfare nell ambito della non autosufficienza, e le sue prime forme di attuazione (cfr fondi sanitari integrativi). Tre le parti: 1. ricognizione dell attuale dibattito in materia; 2. inquadramento della questione degli anziani cronici non autosufficienti (nei termini della ri-definizione dei rapporti fra sanità ed assistenza ), con excursus storico-normativo. 3. considerazioni preliminari, a partire dal punto 2., su dibattito e prima forme di attuazione del secondo welfare in Italia. Introduzione ed inquadramento 1 L obiettivo di questo paper è quello di affrontare il recente dibattito sul secondo welfare, e le prime forme di attuazione del suddetto, più specificamente nel campo della tutela degli anziani cronici non autosufficienti. Come si vedrà nel par. 2, autorevoli studiosi vedono nella promozione del secondo welfare, ovvero nella promozione di inedite sinergie pubblico-privato che vanno dall apporto delle fondazioni bancarie, a quello delle imprese, delle assicurazioni, ecc, l antidoto per far fronte a nuovi e crescenti bisogni della popolazione, in un contesto in cui il welfare pubblico è impossibilitato ad espandersi ulteriormente, dati i noti vincoli di bilancio. In particolare, il secondo welfare svolgerebbe, fra le altre cose, una funzione cruciale nella copertura di un bisogno sempre più rilevante: quello degli anziani non autosufficienti. La questione dell invecchiamento della popolazione e della non autosufficienza preoccupano non solo per il proprio risvolto sociale in senso lato (con un crescente numero di anziani bisognosi di cure e di assistenza); quanto anche, in una prospettiva di medio lungo periodo, per l impatto sulla sostenibilità stessa della spesa sanitaria e dei conti pubblici. L assunto è che con il progredire dell età sia il consumo sanitario che condizioni di non autosufficienza non possono che inevitabilmente crescere in maniera esponenziale (cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2010). Pertanto, la crescita della spesa sanitaria (e sociosanitaria) rischia di finire fuori controllo. Contrariamente al dibattito mainstream, si ritiene tuttavia doveroso evidenziare come tale assunto sia tutt altro che oggettivo e per nulla scontato. Esso, infatti, non tiene conto di vari elementi che stanno modificando in termini diacronici la questione dell invecchiamento. Il primo riguarda la 1 Il paper riprende (seppur con ulteriori aggiornamenti ed integrazioni) parti di una tesi di dottorato ( Fra sanità ed assistenza. La tutela degli anziani cronici non autosufficienti in Italia ) discussa nel febbraio 2011 nell ambito del Dottorato in Sociologia Economica, Dipartimento di Studi Sociali, Università degli Studi di Brescia (XXIII ciclo). In questo ho potuto beneficiare di una borsa di studio ( ) da parte del Ministero dell Istruzione, dell Università e della Ricerca. 2

3 relazione fra invecchiamento e consumo sanitario. Infatti, come ben evidenziato da alcuni studiosi (Vineis e Dirindin, 2004: 26-7): [ ] contrariamente a quanto sostenuto da molti, come tale l invecchiamento della popolazione contribuisce solo modestamente alla crescita della spesa sanitaria. E vero che attualmente in Italia dopo i 65 anni di età l assorbimento di risorse sanitarie aumenta esponenzialmente con il crescere dell età, ma è anche vero che il limite oltre il quale questo fenomeno si verifica si sposta progressivamente più avanti. [ ] l invecchiamento è infatti in larga parte un invecchiamento in buona salute, cioè uno spostamento in avanti del consumo di risorse sanitarie. In secondo luogo, per quanto riguarda la condizione di non autosufficienza, è trascurato che i dati mostrano chiaramente come in parallelo al progressivo innalzamento dell aspettativa di vita si registra anche un innalzamento della stessa libera da disabilità 2. Ciò significa che si tende a vivere più a lungo e che diventano sempre di più anche gli anni in cui l anziano tende a preservare la propria autonomia funzionale, e pertanto ad essere autosufficiente 3. Oltre a questi elementi, va inoltre notato come il dibattito mainstream si regge nella gran parte dei casi sull utilizzo di una modellistica previsionale fortemente limitata. Essa si basa, infatti, su previsioni a saldi invariati, dove non solo viene supposta l invarianza di tutta una serie di fattori (che rendono, dunque, privi di senso i modelli stessi) (cfr. Taroni, 2007), ma nemmeno vengono considerati i risultati che possono essere raggiunti attraverso politiche di prevenzione della cronicità e della non autosufficienza in età anziana (cfr. Maero e Fabris, 2002). Sicchè in molti casi il catastrofismo con cui politici e studiosi descrivono l impatto dell invecchiamento sugli andamenti della spesa sanitaria sembra più rispondere ad un indirizzo politico di smantellamento della sanità pubblica come evidenziato da Taroni (2007: 142), secondo cui: [ ] alcuni prefigurano scenari catastrofici che metterebbero a repentaglio la sopravvivenza dei sistemi a finanziamento pubblico, condannati dall aumentata longevità e dalla ridotta fertilità [ ] a insopportabili livelli di spesa pubblica, principalmente per pensioni e sanità [ ]. A questi scenari si accompagnano in genere ruvide indicazioni di politica economica, che includono tradizionalmente il razionamento dei benefici e/o dei possibili beneficiari, accompagnate dall incitamento a ricercare nuove fonti di finanziamento, generalmente private e su base assicurativa, individuale e volontaria. 2 Nel 1994, per una donna di 65 anni si prospettavano 14 anni di vita (cfr. 14.2) senza limitazione della propria autonomia funzionale; nel 2005, questi passano a più di 16 (cfr ). Per un uomo, invece, sempre di 65 anni a fronte di un aspettativa di vita libera da disabilità nel 1994 di circa dodici anni (12.7), dieci anni dopo questa è aumentata a circa 15 anni (14.85) (Fonte: per questo tipo di dati si è utilizzata la banca dati ISTAT Health for All ( (ultimo aggiornamento giugno 2010). 3 Non è un caso che il tasso di disabilità della popolazione over 65, è passato dal del 1994 al del 2005 (cfr ibidem). 3

4 Questo catastrofismo investe anche la discussione stessa attorno al quantum della spesa sanitaria nel nostro paese, quando invece dal raffronto internazionale nonché dalla stesse previsioni di medio-lungo periodo non si evidenzia alcun intrinseco fattore di allarme (cfr. Vineis e Dirindin, 2005) e dove semmai (ibidem: 84): [ ] L unico vero motivo di preoccupazione è costituito dalla struttura della spesa, notevolmente sbilanciata a favore della componente per acuti (ovvero per pazienti con patologie acute) a danno dell assistenza di lungo periodo (ai malati cronici e non autosufficienti), verso la quale si rivolgerà in futuro la domanda della popolazione. Ad ogni modo, in questo quadro in cui risultano indubbiamente egemoniche, riprendendo Taroni (2007), le narrazioni apocalittiche, prove di secondo welfare sono state già messe in moto. Accordi di categoria che prevedono la copertura del rischio di non autosufficienza nonché l impulso più recente da parte dei governi nazionali all avvio del nuovo pilastro della sanità integrativa, con una finalizzazione (fra le altre cose) proprio alla copertura della non autosufficienza. La tesi che si intende avanzare in questo paper è che tali azioni rischiano di tramutarsi in un arretramento del welfare pubblico (non svolgendo, pertanto, alcuna funzione integrativa) giacchè la questione degli anziani cronici, (nei tratti problematici che saranno subito ripresi e sintetizzati nel par. 1), affonda principalmente le radici non tanto nell assenza di norme o dispositivi di tutela del bisogno. Bensì nella sistematica negazione dei diritti che devono essere garantiti a queste persone dal Servizio sanitario nazionale (come per tutte le persone malate). Da questo punto di vista, che siano peraltro scontate le primarie responsabilità del Servizio sanitario nazionale nei confronti della cura e della tutela degli anziani cronici non autosufficienti risulta del tutto evidente andando a vedere chi sono nel concreto gli anziani non autosufficienti. In base alle rilevazioni ISTAT emerge come tra le persone anziane (ovvero le persone over 65 anni) disabili (ovvero che possono essere ritenute non autosufficienti) più del 64.7% di queste presenta almeno una malattia cronica grave (ISTAT, 2010: 51). Il 70% addirittura tre o più (ibidem). E per malattie croniche l ISTAT considera tutta una serie di patologie che vanno dal diabete all infarto del miocardio; all angina pectoris ad altre malattie del cuore; l ictus e l emorragia cerebrale; la bronchite cronica e l enfisema; la cirrosi epatica, il tumore maligno (inclusi linfoma/leucemia); il parkinsonismo; l alzheimer e le demenze senili (ibidem: 50). Peraltro, come evidenziato dalla Commissione incaricata dal Ministero della salute con riferimento all aggiornamento dei livelli essenziali nell ambito delle prestazioni residenziali e semiresidenziali (Ministero della Salute, 2007), per una persona anziana la stessa condizione di cronicità o di stabilizzazione è relativa poiché l anziano affetto da una patologia cronica invalidante non potrà essere definito stabile in senso assoluto (ibidem: 4). 4

5 Nelle parti successive l analisi svolgerà nel modo seguente. Dopo aver delineato i tratti fondanti della questione degli anziani cronici non autosufficienti nel nostro paese (cfr. par. 1), nel par. 2 verrà ricostruito il recente dibattito sul secondo welfare e menzionate le prime forme di attuazione dello stesso. Il par. 3 è invece finalizzato a ricostruire, attraverso un excursus storico-normativo, la prospettiva con cui viene affrontata la questione degli anziani cronici. Il par. 4 sviluppa a partire dalla suddetta prospettiva considerazioni preliminari sulle azioni del secondo welfare tramite la leva dei fondi sanitari integrativi ed avanza la tesi del paper. Nelle conclusioni verranno tirate le file del discorso e sviluppate alcune considerazioni attorno alle prospettive politiche che sembrano sottese al lancio della sanità integrativa. 1. I tratti fondanti della questione della tutela degli anziani cronici non autosufficienti in Italia: una breve sintesi La tutela degli anziani cronici non autosufficienti è una questione di assoluta centralità per il nostro paese. I tratti che caratterizzano tale questione sono noti. Il primo da cui partire rimanda al fatto che la tutela della non autosufficienza viene in larga parte gestita direttamente dalle famiglie, o comunque nell ambito della rete informale. Il contraltare è chiaramente il debole sviluppo di un offerta pubblica di servizi a sostegno dei bisogni dei non autosufficienti, come risulta in maniera evidente nel solo considerare in prospettiva comparata (EU) quelli che sono i tassi di copertura (particolarmente limitati) per servizi quali l assistenza domiciliare, oppure quella residenziale (cfr. Pavolini e Ranci, 2008). A questi due aspetti si aggiunge inoltre che nel corso degli ultimi decenni, in parallelo peraltro proprio ad una minore capacità di presa in carico da parte della famiglie (dettata da vari cambiamenti fra cui il mutamento delle strutture familiari, la diminuzione delle coabitazioni e l incremento degli anziani che vivono soli ; l accresciuta partecipazione femminile al mercato del lavoro) è cresciuto in maniera consistente il ricorso ai servizi privati di cura (cfr. Da Roit e Sabatinelli, 2005). In particolare, si è affermato un fenomeno nuovo: quello delle badanti. Si stima che siano più di i migranti coinvolti nei servizi di cura e di assistenza alle famiglie di cui solo la metà di questi regolari (cfr. Naldini e Saraceno, 2008: 742). La spesa delle famiglie per retribuire le badanti ammonterebbe a oltre 9 miliardi di euro (cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2010: 45). Pertanto, nel settore della cura degli anziani cronici non autosufficienti una delle caratteristiche oramai assolutamente centrali rimanda proprio alla presenza di questo vasto settore della cura privata. Esso, pur tuttavia, assume nella gran parte dei casi i tratti dell informalità e di forte 5

6 dequalificazione sia sotto il profilo dell assistenza fornita agli anziani, poiché in molti casi le stesse badanti non posseggono le competenze che sarebbero invece richieste; sia per le condizioni di lavoro e salariali cui sono sottoposte le stesse (cfr. solo una badante su tre si ritiene che abbia un regolare contratto di lavoro) (ibidem). Oltre a questi aspetti, che sono normalmente ripresi a livello di dibattito, per avere un quadro esaustivo rispetto quelli che sono i tratti fondanti della questione della non autosufficienza, è opportuno aggiungere due ulteriori tasselli. Il primo rimanda al fatto che nonostante in molti casi il ricorso alle badanti ha rappresentato per le famiglie e per gli anziani stessi una possibilità per affrontare in maniera sostenibile i costi della cura (seppur con tutti gli elementi di criticità cui si è fatto cenno poc anzi) questo tipo di costi - cui chiaramente si assommano quelli sostenuti nel caso dei ricoveri in strutture residenziali sono diventati causa d impoverimento. E ciò che viene rilevato ormai stabilmente, da diversi anni, nei vari rapporti del CEIS-Sanità dell Università di Tor Vergata, dai quali emerge come circa l 1.5% sul totale delle famiglie sono risultate impoverite fra le altre cose a causa delle spese sanitarie sostenute (Doglia, 2009: 376); il 3.7% hanno registrato invece spese catastrofiche (ibidem) 4. L impoverimento colpisce con maggior forza le famiglie composte da persone sole con 65 anni e più (2.2%) e le coppie senza figli con persona di riferimento anziana (2.6%) (ibidem: 377). Fra i fattori che più contribuiscono all impoverimento e alla catastroficità risulta proprio la spesa per l assistenza agli anziani non autosufficienti e ai disabili (Doglia e Spandonaro, 2008: ; ibidem: 375). In termini di impatto sociale, fra le spese sanitarie sostenute dalle famiglie impoverite quella per disabilità incide in misura maggior fra le famiglie appartenenti al secondo ed in particolare terzo quintile (cfr. Di Rocco e Doglia, 2010: 269). Ciò significa che tale spesa (cui si aggiungono anche quelle specialistiche ed, in particolare, odontoiatriche) ha un pesante impatto sull impoverimento non tanto delle famiglie meno abbienti (che hanno una spesa concentrata per il grosso sulla farmaceutica) quanto di famiglie appartenenti a pieno diritto al ceto medio. Un secondo aspetto che è opportuno riprendere è che in parallelo ad uno scarso intervento pubblico sul versante dell offerta di servizi, lo sviluppo di un area di forte dequalificazione della cura agli anziani cronici non autosufficienti ha riguardato non solo il fenomeno delle cosiddette badanti, ma anche quello della residenzialità assistenziale. In altre parole si è in presenza di un vasto fenomeno di degrado (talvolta anche di vere e proprie violenze ed abusi), riguardante il ricovero 4 A questo nucleo di iniquità manifesta, ne va poi aggiunto un secondo di iniquità latente (cfr. Di Rocco e Doglia, 2010), ovvero di famiglie che non registrano impoverimento o spese catastrofiche, ma unicamente perché pur avendo bisogno di prestazioni sanitarie, non riescono ad accedervi a fronte del costo eccessivo rispetto alla capienza del proprio bilancio familiare (ibidem). 6

7 degli anziani cronici in strutture assistenziali che non sono all altezza dei bisogni di cura che gli stessi richiedono. E la cronaca che ci fa venire a diretta conoscenza di questo fenomeno (e di come esso sia ampiamente diffuso da nord a sud) (Prospettive Assistenziali, 2010: 1-2), nonché le stesse risultanze delle ispezioni condotte sulle residenze per anziani dai Nas (ovvero, i nuclei antisofisticazione e sanità dell arma dei Carabinieri). Nei primi mesi del 2010, su 863 case di riposo poste a controllo in tutto il territorio nazionale, 238 sono risultate non in regola, 371 le infrazioni, 293 le persone denunciate, 16 le strutture chiuse (Spi -Cgil, 2010). Nel 2009, su controlli, erano state addirittura 100 quelle chiuse (ibidem). Le infrazioni vanno dal sovraffollamento degli ambienti, alla mancanza delle autorizzazioni, inidoneità delle condizioni di sicurezza, infermieri privi di titolo e in numero carente, addirittura somministrazione di alimenti e farmaci scaduti (ibidem). Detto ciò, l impressione che si ricava da un excursus della letteratura in materia (cfr. Ranci e Pavolini, 2008; Da Roit, 2009; NNA, 2010) è che questo insieme di caratteristiche venga ricondotto, in termini esplicativi, essenzialmente a tre questioni. a) La nota configurazione familistica del sistema di welfare italiano; b) la presenza e persistenza di uno schema nazionale di sostegno alla non autosufficienza (cfr. l indennità di accompagnamento) basato unicamente sul trasferimento monetario, peraltro senza alcuna forma di controllo sull utilizzo e di coordinamento con gli interventi messi in campo dagli altri livelli territoriali di governo (cfr. Regioni ed Enti Locali); c) l assenza di riforme, provvedimenti o ancor più di previsioni specifiche nel nostro ordinamento a tutela della non autosufficienza (eccetto l indennità di accompagnamento). Rispetto quest ultimo punto è pur vero che a livello nazionale è stato introdotto a partire dalla finanziaria 2007 un fondo nazionale per le non autosufficienze (cfr. l. 296/2006); e che a livello sub-nazionale si sono registrate nel corso degli ultimi anni varie iniziative da parte delle regioni volte ad istituire nuovi schemi di finanziamento (generalmente definiti come Fondi regionali per le non autosufficienze ), nel quale generalmente confluiscono le risorse già impegnate dalle regioni in questo ambito (principalmente nell ambito dei fondi sanitari regionali), più eventuali risorse aggiuntive derivanti dall incremento della propria autonoma pressione fiscale (cfr. Gori, 2008; Casanova, 2008). Tuttavia, l esperienza del fondo nazionale si è conclusa rapidamente (visto che a partire da quest anno non è stato più rifinanziato) e gli stessi fondi regionali sulle non autosufficienze possono avere ben altri risvolti, che non sono per forza quelli della espansione, quanto anche quelli dello spostamento in fondi assistenziali (dunque, vincolati all ammontare di risorse annualmente 7

8 disponibili) di oneri e prestazioni fino ad ora compresi nella cornice dei fondi sanitari regionali (cfr. Prospettive Assistenziali, 2008). 2. Un dibattito in via di decollo (e di prima attuazione): il secondo welfare e i fondi sanitari integrativi Nonostante la letteratura rilevi in una sorta di inerzialità istituzionale una delle principali caratteristiche del caso italiano (cfr. supra punto c), nel periodo più recente si è aperto un certo dibattito (che, da certi punti di vista, assume connotati nuovi ) sulla questione della non autosufficienza. Il tema è quello che riguarda le modalità di reperimento delle risorse e le premesse sono le medesime delineate in apertura di questo contributo (cfr. introduzione). Sintetizzandole, a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione, occorre pensare nuove forme di tutela a sostengo di un bisogno (quello della non autosufficienza) sempre più centrale. In un contesto di crescenti vincoli di bilancio, ancor più aggravati dalla recente stretta sui conti pubblici e dalla ventata d austerity che ha fatto seguito alla crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, questa necessità si scontra tuttavia con le limitazioni ad agire direttamente attraverso un forte impegno dello stato e delle sue articolazioni territoriali. L invecchiamento della popolazione pone in aggiunta anche un problema di sostenibilità della spesa sanitaria: essendo gli anziani particolari consumatori di sanità, il rischio è quello di una crescita esponenziale della stessa (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2010). Alla ricerca, dunque, di nuove soluzioni e nel tentativo di questa difficile quadratura del cerchio, una proposta che recentemente trova una certa attenzione nel dibattito è quella che riguarda il coinvolgimento del privato (inteso in un ampia accezione) nell ottica di promozione di un cosiddetto secondo welfare. Il tutto nel quadro della definizione di un sistema multi-pilastro, come peraltro già avvenuto nella previdenza. Su questo tipo di proposta, si è concentrato anche un autorevole studioso del welfare: Maurizio Ferrera. In una serie di articoli pubblicati lo scorso anno sulle colonne del Corriere della Sera 5, Ferrera ha sviluppato un ragionamento che merita di essere ricostruito (seppur per sommi capi) e di essere attentamente analizzato, non solo per il contributo (comunque importante) che lo stesso 5 Sistematizzati anche in un più recente contributo (cfr. Ferrera e Maino, 2011). 8

9 autore ha fornito al dibattito pubblico; ma anche per i risvolti che tali considerazioni sicuramente avranno sul versante del dibattito stesso a livello teorico. Ferrera, infatti, in un articolo dello scorso giugno muovendo tra le altre cose proprio da un tema assolutamente centrale nel recente dibattito teorico sul welfare state (cfr. quello della cosiddetta ricalibratura ) - nonché, nello specifico, facendo seguito ad un inchiesta pubblicata sullo stesso Corriere della Sera in cui veniva fornita una panoramica rispetto nuove forme innovative di intervento privato sul welfare 6 (cfr. Di Vico, 2010) evidenziava come (Ferrera, 2010a): [ ] la strategia di modernizzazione sin qui seguita si basava su una premessa forse irrealistica sul piano politico. Prendendo atto dei vincoli finanziari, si era dato per scontato che le riforme potessero avvenire tramite ricalibrature interne al welfare pubblico: meno pensioni, più servizi sociali; più ai figli, meno ai padri, meno risarcimenti, più opportunità. [ ] Ma la via della ricalibratura si è scontrata con l enorme resistenza degli entitlement programs, gli schemi assicurativi basati su spettanze e diritti acquisiti [ ]. Esistono strategie che consentano di accelerare i tempi di transizione? L indagine di Dario di Vico [ ] indica una possibile strada. E quella del secondo welfare : un mix di protezioni e investimenti sociali a finanziamento non pubblico, rivolte in particolare a coprire nuovi rischi, fornite da una gamma di attori [ ]. Secondo l Ocse, in Italia la spesa sociale privata è pari al 2.1% del Pil. Siamo al di sotto della Svezia (2.8%), di Francia e Germania (3%) del Belgio (4.5%), per non parlare di Regno Unito (7.1%) e Olanda (8.3%). Vi sono dunque margini per far affluire verso la sfera del welfare alcuni punti percentuali del Pil. Chiariamo subito che non si tratta di sostituire spesa pubblica con spesa privata, ma di mobilitare risorse aggiuntive in un contesto di finanza pubblica fortemente vincolato e di resistenze politiche (oltre che controindicazioni economiche) a un aumento della pressione fiscale, almeno sui redditi da lavoro. Il welfare statale non viene messo in discussione nella sua insostituibile funzione redistributiva, ma solo integrato dall esterno laddove vi sono bisogni e domande non soddisfatte [ ]. Nell articolo si evidenzia come, nel complesso, la proposta strategica della ricalibratura 7 non ha raggiunto in pieno gli obiettivi di modernizzazione che erano nelle premesse, nonostante gli indubbi meriti - in termini di cambiamento - che la stessa ha avuto (come Ferrera comunque riconosce in 6 Nell articolo Di Vico (2010) ricostruisce diverse iniziative emergenti di questa nuova forma di welfare privato in risposta alle difficoltà del welfare pubblico: si va dalle nuove forme di welfare aziendale agli accordi integrativi sulla sanità (cui faremo cenno anche di seguito) raggiunti da specifiche categorie nel quadro della contrattazione, per arrivare (fra le altre cose) agli interventi promossi nel territorio da parte delle fondazioni bancarie. 7 Come evidenzia, infatti, lo stesso Ferrera (2007: 361): La nozione di ricalibratura è stata utilizzata [ ] a scopi sia descrittivi sia prescrittivi. 9

10 altri passaggi dell articolo). Sicché è necessario formulare nuove proposte che potenzialmente potrebbero essere proprio quelle del cosiddetto secondo welfare. Esso si traduce, in pratica, nello stimolo e nel supporto a tutte quelle forme di mobilitazione privata provenienti direttamente dalla società e dalle sue forme di auto-organizzazione. Peraltro lo stesso Ferrera ci tiene più a volte a ribadire che questo tipo di proposta non costituisce in alcun modo una minaccia all esistenza dello stato sociale, proprio perché essa va vista in termini integrativi, e non sostitutivi dell intervento pubblico preposto (ibidem): [ ] l evoluzione del welfare europeo ha seguito cicli lunghi di espansione dell intervento pubblico e di attivismo privato e associativo.[ ] [ ] Fare oggi spazio al secondo welfare non significa giocare per un arretramento dello Stato, svalutandone o erodendone le realizzazioni in campo sociale. Vuol dire (cfr. riprendendo Dahrendorf) sperimentare nuove forme di protezione in una fase storica in cui (a dispetto della crisi, che prima o poi terminerà) la condizione economica di molte famiglie consente di cercare un nuovo equilibrio fra prestazioni offerte e finanziate dalla collettività e contributo degli individui e delle loro associazioni [ ]. Sulla questione del secondo welfare Ferrera è poi ritornato anche in una serie di articoli successivi, ponendo peraltro attenzione proprio al tema specifico della non autosufficienza. Sempre in un articolo dello scorso anno, egli evidenzia come (Ferrera, 2010b): Nel 2025 in Italia avremo due milioni di anziani in più di oggi [ ]. Il tasso di non autosufficienza nella popolazione aumenterà del 53%, sollevando enormi problemi finanziari, organizzativi e sociali. Come affrontare la sfida?e chi deve pagare il conto? [ ] [ ] Insieme alla Germania, l Italia è il paese europeo che registrerà nei prossimi decenni l invecchiamento più rapido e marcato. [ ] [ ]Serve però uno sforzo collettivo, anche sotto il profilo finanziario, non solo da parte dello Stato, ma anche dei vari attori del cosiddetto secondo welfare : aziende, fondi integrativi, assicurazioni private, fondazioni, regioni ed enti locali. Senza tale sforzo il nostro paese rischia di farsi davvero sopraffare dalle dinamiche dell invecchiamento [ ]. Ferrera ha inoltre approfondito il suo ragionamento sul secondo welfare evidenziando come, la forte propensione delle famiglie italiane al risparmio privato possa costituire, se adeguatamente valorizzata (per esempio all interno di un ragionamento di tipo assicurativo), un opportunità fondamentale per fornire risposte all altezza della questione della non autosufficienza (Ferrera, 2010c): [ ] [ ] Lo Stato sociale ha oggi gravi difficoltà a finanziare i programmi in essere (che pure sono stati ridimensionati, pensiamo alle pensioni) e non ce la fa a rispondere ai nuovi bisogni. Nemmeno le famiglie, però, ce la fanno, soprattutto da sole. I loro patrimoni sono spesso imprigionati in immobili, a cominciare dalla casa d abitazione: venderla non conviene e comunque 10

11 dispiace. Anche se si dispone di liquidità, le soluzioni individuali costano care i risparmi finiscono presto. C è un modo per superare l impasse? La sfida è quella di offrire alle famiglie nuovi strumenti di investimento sociale (volontario, se possibile con qualche incentivo fiscale), verso cui dirigere parte del proprio risparmio, in modo da avere accesso a forme di protezione più efficaci e meno costose rispetto al fai da te. Pensiamo alla non autosufficienza. Le famiglie si trovano oggi quasi sole di fronte ai bisogni dei loro anziani fragili. Alcune si assicurano privatamente, ma costa molto caro. Altre ricevono sussidi pubblici, ma sono poche. La maggioranza si arrabatta e spende fior di quattrini di tasca propria. [ ] Se un rischio che diventato quasi universale venisse condiviso all interno di ampie categorie, su base territoriale oppure occupazionale, la copertura costerebbe molto meno e sarebbe più efficace. [ ] Certo l operazione andrebbe costruita formando nuove alleanze fra soggetti non pubblici, promuovendo sinergie fra assicurazioni private, sindacati, datori di lavoro, eventualmente con la collaborazione degli enti locali [ ]. Alternative, come ribadisce lo stesso Ferrera, ce ne sono ben poche anche perché l introduzione di nuovi schemi pubblici risulta praticamente impossibile nell attuale fase storica. Pertanto (ibidem): [ ] Il primo welfare ha ormai le armi spuntate, dobbiamo rimboccarci le maniche e costruire il secondo. Non tutti i paesi possono permetterselo. Per una volta, grazie alle sue famiglieformiche, l Italia ha un opportunità in più: quella di creare un nuovo robusto circolo virtuoso fra risparmio e welfare, con sicuri guadagni di efficienza. E importante evidenziare come la proposta sul secondo welfare non sia rimasta solo a livello di dibattito, poiché nel frattempo sono già avanzate alcune forme di attuazione. Ci riferiamo in particolare all avvio di una nuova stagione di rinnovi contrattuali in cui crescentemente sono stati considerati - ed inclusi come elementi di contrattazione anche le coperture sanitarie integrative, fra cui anche quelle specifiche per il rischio di non autosufficienza. In un recente contributo, Ascoli (2010: 42-3) riferisce, per esempio, dei rinnovi contrattuali avvenuti nel settore assicurativo e in quello bancario. Nel primo, infatti, nel 2004: [ ] è stato sottoscritto un accordo [ ] ad integrazione di quanto previsto nel CCNL del 2003, che prevede la costituzione di un Fondo unico nazionale destinato a garantire la copertura assicurativa per Ltc 8 [ ]; la copertura sarebbe stata garantita da una contribuzione a carico delle imprese; il consiglio di amministrazione del fondo (composto da dieci membri, cinque designanti dalle imprese e cinque dai sindacati) determina la prestazione attraverso polizze assicurative, che sarà erogata per l intera durata della vita dell assicurato colpito dall evento [ ]. 8 Il fondo è finanziato con un contributo annuo a totale carico delle imprese pari allo 0.50% delle retribuzione (in media, circa 160 euro). La prestazione consiste in una rendita vitalizia annua anticipata di euro. 11

12 Per i bancari, la copertura viene inclusa nel contratto tre anni più tardi (ibidem): [ ] si tratta della prima categoria per dimensioni [ ] che all interno di due contratti nazionali riesce a raggiungere un accordo completamente innovativo su una materia ancora poco sviluppata nel nostro paese, ma drammaticamente attuale (così si sono espresse nel luglio 2009 le segreterie nazionali sindacali di settore). La copertura assicurativa è garantita tramite contributi a carico delle aziende (50 euro l anno per le aree professionali e quadri direttivi; 200 annui per i dirigenti) versati alla Cassa nazionale di assistenza sanitaria per il personale dipendente del settore del credito (Casdic). Per i casi accertati di non autosufficienza, oltre ad una serie di servizi di supporto sul territorio, è prevista l erogazione sotto forma di un rimborso per le spese socio-sanitarie sostenute, di un importo che può arrivare fino ad un massimo di euro annui. [ ]. Agli accordi integrativi aziendali si aggiunge, inoltre, l approvazione di una serie di provvedimenti che hanno come scopo quello d incentivare lo sviluppo del secondo pilastro della sanità integrativa, con una specifica finalizzazione alla copertura del rischio di non autosufficienza. Ci si riferisce in particolare a due decreti emanati dal Ministero della salute (il primo, a firma di Turco del 31/3/ ; il secondo, modificativo del primo, a firma Sacconi del 27/11/ ) che hanno regolato gli ambiti d intervento dei fondi sanitari integrativi e istituito un anagrafe centrale. Ai fondi che s inscriveranno all anagrafe (e per godere dei benefici fiscali previsti 11 ), viene chiesto di vincolare almeno il 20% sul totale delle risorse impegnate a prestazioni che riguardano (oltre all assistenza odontoiatrica) proprio quelle per la non autosufficienza sia sociali (a rilevanza sanitaria) che sanitarie (a rilevanza sociale). Complessivamente questo insieme d iniziative possono essere ritenute coerenti al disegno di costruzione del cosiddetto secondo welfare che viene auspicato, in una funzione integrativa al pubblico e al fine di rispondere ai bisogni crescenti della popolazione anziana e delle famiglie, in un contesto di forti vincoli di bilancio. Le implicazioni possono essere, tuttavia, anche altre. A tal proposito è interessante riprendere quella che è l interpretazione che viene direttamente fornita sul 9 Decreto 31 marzo 2008: Ambiti di intervento delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate dai Fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale e da enti e casse aventi esclusivamente fini assistenziali. 10 Decreto 27 ottobre 2009: Modifica al decreto 31 marzo 2008 riguardante Fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale. 11 I contributi versati per le coperture sanitarie integrative, tramite enti, casse, società di mutuo soccorso e fondi integrativi (dunque di natura collettiva ) che operano secondo le regole previste nel decreto ministeriale, non concorrono infatti alla formazione del reddito imponibile IRPEF per un importo annuo non superiore ai 3.615,20 euro. I contributi versati dai datori di lavoro oltre ad essere considerati costo per lavoro dipendente integralmente deducibile dal reddito d impresa calcolato ai fini IRPEF e IRES, sono deducibili dalla base imponibile dell IRAP in quanto siano previsti in base a disposizioni di legge, di contratto o accordo collettivo o di regolamento aziendale (cfr. Rebba, 2010). 12

13 punto dallo stesso Ascoli. Secondo l autore, infatti, tutto questo sembra delineare uno scenario in cui (Ascoli, 2010: 44): [ ] le questioni riguardanti la non autosufficienza tendano a rimanere esterne al diritto universale alla salute, fondamenta del Servizio sanitario nazionale, e vengano delegate alle capacità del singolo contribuente o alla categoria di auto-proteggersi e di autotutelarsi. Sulla stessa linea, altri studiosi hanno messo in evidenzia di recente le potenziali criticità connesse all avvio dei fondi integrativi (cfr. anche Pasquinelli, 2011). Secondo Granaglia (2010), per esempio, i fondi sanitari integrativi, oltre presentare un certo profilo di insostenibilità (se non fortemente sovvenzionato fiscalmente) per quanto riguarda il meccanismo stesso dell assicurazione applicato alla copertura di rischi quale quello della non autosufficienza (cfr. in termini di onerosità cui si aggiungono anche problematiche connesse alla scrematura ecc..), possono avere un risvolto anche di forte iniquità e di pesanti disuguaglianze nelle forme di tutela (oltre che di inefficienza). E ciò per due ordini di motivi. In primo luogo perché si determina una situazione in cui: [ ] Da un lato vi sono i fortunati, fra i lavoratori, che riescono a godere delle tutele di un nuovo welfare occupazionale, come nella prospettiva titmussiana dell industrial achievement model, dove l accesso al mercato del lavoro diventa titolo di merito per accedere anche a tutele integrative. [ ]. Da un altro lato, vi sono coloro che hanno le risorse per accedere a fondi aperti, che rischiano, [ ] di essere assai costosi. Da ultimo, vi è il grosso dei cittadini che resta senza tutele. Fra i cittadini che rimarrebbero senza tutela ci sarebbero, inoltre, anche vaste componenti di ceto medio (ed, includiamo noi, di ceto medio-basso): [ ] alla luce dell endemica polverizzazione italiana dell occupazione in piccole imprese e lavoro autonomo e crescente, alla luce del più complessivo andamento della distribuzione primaria e del mercato del lavoro. Basti pensare alla diffusione dei contratti di lavoro atipico [ ]. In altre parole: [ ] a beneficiare delle agevolazioni [ ] (cfr. nostro: sarà) un sottogruppo relativamente avvantaggiato della popolazione: individui che non solo lavorano, ma hanno anche un datore di lavoro che aderisce al fondo e individui che, a prescindere dalle condizioni lavorative, hanno redditi sufficienti sia a pagare il premio sia a beneficiare dell agevolazione (ossia, a essere capienti) [ ]. A queste iniquità si aggiungerebbe, inoltre, secondo Granaglia il fatto che: [ ] Un eventuale sviluppo dei fondi rischia, peraltro, di compromettere la possibilità di adozione, nel futuro, di soluzioni universalistiche. Attribuire ai fondi la responsabilità del contrasto alla non autosufficienza (a prescindere dalle difficoltà sopra citate di realizzazione) sembra, ad esempio, comportare l abbandono inevitabile del progetto di fondo pubblico nazionale per la non autosufficienza [ ]. 13

14 La tesi che viene avanzata in questo paper ci porta, tuttavia, ad esplorare altri tipi d interpretazione, e di potenziali esiti connessi alla promozione di azioni quale quelle recenti sui fondi sanitari. Un punto su cui torneremo nel par. 4, a seguito dell excursus storico-normativo che sarà condotto di seguito. 3. La questione della tutela degli anziani cronici non autosufficienti: un excursus storiconormativo In questo paragrafo, attraverso un excursus storico-normativo, cercheremo di rendere chiaro come la questione della tutela degli anziani cronici non autosufficienti, ed i suoi tratti costitutivi (cfr. par. 1), affondino in prima istanza le loro radici in quello che è stato (e lo è tutt ora) un processo sostantivo di ri-definizione dei rapporti fra il settore della sanità e quello dell assistenza, in base al quale le responsabilità di tutela e cura nei confronti degli stessi anziani cronici sono state progressivamente scaricate dal primo al secondo di questi due comparti della sicurezza sociale. Tale processo sostantivo di scarico è avvenuto tuttavia aspetto assolutamente centrale violando i diritti vigenti, poiché nonostante i cambiamenti normativi (col quale, per esempio, la gratuità delle cure sanitarie è venuta progressivamente meno) la responsabilità del Servizio sanitario nazionale nella cura senza limiti degli anziani cronici non autosufficienti è rimasta, chiaramente, immutata. Come s è visto in apertura, infatti, gli anziani non autosufficienti sono persone innanzitutto colpite da patologie croniche ad esito invalidante. Pertanto, trattandosi di una questione che attiene direttamente la tutela del diritto alla salute, nulla è cambiato né sotto il profilo delle garanzie costituzionali (cfr. art. 32 della Costituzione) né di quelle normative previste dalla stessa legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (cfr. l. 833/78). Anche se non si avrà modo di trattare la questione in questo contributo, va inoltre evidenziato come la tendenza delle istituzioni a scaricare le responsabilità che esse hanno nei confronti degli anziani cronici non autosufficienti avviene non solo a livello macro, nel rapporto fra la sanità e l assistenza, ma anche all interno dello stesso sistema assistenziale. Con la scusa di presunte obbligazioni familiari, infatti, molto spesso i comuni tendono a scaricare ulteriormente sulle famiglie gli oneri derivanti dalla cura (in particolare, nel ricovero in strutture residenziali) degli anziani cronici, chiedendo contribuzioni giustappunto in base alla presenza di presunti obblighi alimentari - anche ai familiari stessi 12. Tutto questo si configura come una pretesa illegittima che, 12 Sul famoso 433 del CC si era espresso nel corso degli anni 90 in una nota anche lo stesso Ministero dell Interno, Direzione Generale dei Servizi Civili, che interpellato sulla questione cassava il 14

15 peraltro, sta contribuendo a trasformare come s è visto in precedenza (cfr. par. 1) la non autosufficienza in causa d impoverimento per le famiglie La tutela degli anziani cronici non autosufficienti dal secondo dopoguerra agli anni Un avvio pionieristico. Dalle prime leggi degli anni 50 alla riforma sanitaria del 78 Diversamente da quanto si sostiene circa i presunti ritardi dello stato sociale italiano nella copertura del rischio di non autosufficienza, il nostro paese si dotò già nel corso degli anni 50 di una serie di provvedimenti all altezza della questione. Di fatto, seppur nel quadro di un processo di estensione fortemente incrementale e categoriale della copertura del rischio di malattia che avviene a partire dal secondo dopoguerra (cfr. Ascoli, 1984; Vicarelli, 1997), il Parlamento approva prima nel 1953 (l. 841/1953) ( Estensione dell assistenza sanitaria ai pensionati statali e sistemazione economica della gestione assistenziale dell E.N.P.A.S. ) e poi nel 1955 (l. 692/1955) ( Estensione dell assistenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia ) due leggi nazionali nelle quali viene riconosciuto il diritto alle cure sanitarie gratuite sia ai pensionati del settore statale sia a quelli del settore privato. L aspetto assolutamente significativo, per ciò che ci concerne, è che attraverso queste leggi viene riconosciuto per la prima volta nell ordinamento italiano il diritto alle cure sanitarie senza limiti (incluse quelle ospedaliere) per malattie legate all invecchiamento. All art. 3 della l. 692/1955, infatti, viene specificato come: L assistenza di malattia a favore degli assistiti [ ] si attua attraverso le seguenti prestazioni: 1) generica specialistica, ivi compresa l assistenza ostetrica; 2) ospedaliera; 3) farmaceutica. L assistenza [ ] è esercitata da ciascun istituto nei limiti e con l osservanza delle modalità per esso in vigore [ ]. Tale assistenza tuttavia spetta senza limiti di durata nei casi di malattie specifiche della vecchiaia, indicate nell apposito elenco da compilarsi a cura del ministro per il lavoro e la previdenza sociale [ ] comportamento dei comuni evidenziando come (Prospettive Assistenziali, 1999): [ ] le pubbliche amministrazioni non potrebbero imporre ai familiari degli utenti dei servizi socio-assistenziali, tenuti per legge agli alimenti, la partecipazione alle relative spese di gestione, in assenza di specifiche norme di legge in tal senso [ ] Alla questione del 433 si aggiunge, inoltre, quella che riguarda la compartecipazione al costo delle prestazioni e l accesso alle prestazioni sociali agevolate dei comuni, per esempio nel caso di ricovero in strutture residenziali. In merito ciò, le ultime sentenze del Consiglio di Stato (cfr. 511/2011 e 1607/2011) hanno chiarito definitivamente dopo numerose sentenze dei tribunali amministrativi regionali, che i comuni devono considerare la situazione economica del solo assistito (cfr. Trebeschi, 2011). Pertanto qualsiasi contribuzione imposta dai comuni alle famiglie che non tiene conto della situazione economica del solo anziano non autosufficiente (ciò vale anche per i disabili gravi) è illegittima. 15

16 Successivamente all approvazione della legge, il 21 dicembre 1956 viene emanato il decreto con cui si elenca l insieme delle malattie specifiche della vecchiaia rientranti nella copertura prevista dalla l. 692/1955, ovvero (cfr Ministero del lavoro e della previdenza sociale cit. in: Santanera, 1986): 1) Malattie dell apparato cardio circolatorio: sequele morbose dell arteriosclerosi (come emorragia e trombosi cerebrale [ ]; 2) Malattie del sistema nervoso: parkinsonismo senile [ ] ; 3) Malattie degli organi e dei sensi: cataratta [ ]; 4) Malattie dell apparato digerente : diabete senile [ ]; 5) Malattie dell apparato respiratorio: enfisema essenziale senile e sue complicazioni bronchiali [ ]; 6) Malattie dello scheletro: artrosi senile e sue complicazioni [ ]; 7) Malattie dell apparato emopoietico: emopatia da aplasia midollare senile [ ]; 8) Malattie delle ghiandole endocrine: disendocrinopatie senili; 9) Malattie degli apparati urinario e genitale: nefrosclerosi senile [ ]; 10) Neoplasmi. Per questo tipo di malattie il decreto ribadisce il diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata sia a livello ambulatoriale e domiciliare che a livello ospedaliero, seppur tuttavia in quest ultimo caso qualora gli accertamenti diagnostici e le cure mediche (o chirurgiche) non siano normalmente praticabili a domicilio (ibidem). In seguito all approvazione di queste norme, la competenza del settore sanitario nella cura senza limiti degli anziani cronici non autosufficienti viene ribadita innanzitutto nel quadro della riforma ospedaliera del 1968 (l. 132/1968) ( Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera ) (Prospettive Assistenziali, 1978). In essa, infatti, all art. 29 viene previsto che ciascuna regione provvede a programmare i propri interventi nel settore ospedaliero: [ ] in relazione al fabbisogno dei posti letto distinti per acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti [ ]. L assistenza ospedaliera per i cronici trova conferma anche nel decreto ministeriale ( Obiettivi e criteri per la formulazione del Piano nazionale ospedaliero transitorio ), dove (ibidem): [ ] sono più volte nominate divisioni e sezioni per lungodegenti nella previsione di un quadro di una rete ospedaliera che assicuri ogni forma di assistenza in relazione alle esigenze della popolazione. Il diritto degli anziani cronici alle cure sanitarie senza limiti, in linea peraltro con le stesse previsioni costituzionali che all art. 32 riconoscono il diritto alla salute, confluisce poi chiaramente all interno della riforma istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (l. 833/78) ( Istituzione del servizio sanitario nazionale ). In essa, infatti, nel quadro degli obiettivi generali da un lato assicura (cfr. art. 2, c. 1, punto 3): [ ] la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali siano le cause, la fenomenologia e la durata. 16

17 Dall altro lato, più specificamente, persegue (cfr. art. 2, c. 2, lett. f): la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione L avvio dell espulsione degli anziani cronici dalla sanità all assistenza Tuttavia, proprio a seguito del pieno riconoscimento del diritto degli anziani cronici alle cure sanitarie senza limiti, si assiste all avvio di un processo sistematico di espulsione degli stessi dall ambito della tutela sanitaria (in particolare ospedaliera), che troverà nel corso degli anni 80 la sua massima espressione. Le prime iniziative da questo punto di vista vengono prese direttamente a livello regionale. In alcune esperienze, come per esempio in Emilia-Romagna, si assiste al lancio delle cosiddette case protette, ovvero strutture assistenziali che - nel quadro dei processi di ri-qualificazione vengono destinate al ricovero degli anziani cronici espulsi dai reparti ospedalieri. Nella maggior parte dei casi, infatti, si trattava di strutture assistenziali tradizionalmente destinate al ricovero degli anziani autosufficienti e che - parallelamente anche al processo di deistituzionalizzazione e di promozione di servizi (domiciliari) alternativi (cfr. David, 1984) trovano nel ricovero degli anziani cronici una nuova forma d impiego. Negli intenti del legislatore, alle case protette spettava di rispondere ai bisogni dei (ALSS, 1979: 497): [ ] cosiddetti cronici : persone che non necessitano tanto di interventi sanitari quanto di cure assistenziali e che oggi, non esistendo servizi alternativi, sono spesso relegati nelle corsie ospedaliere dove non trovano né un aiuto corrispondente alle loro reali necessità né un ambiente adatto alle proprie esigenze di vita [ ]. Tali azioni sembravano, dunque, porsi l obiettivo di una maggiore appropriatezza attraverso il ricovero degli anziani cronici in strutture territoriali, evitando i ricoveri ospedalieri impropri. Tuttavia, al contempo inizia ad essere affrontata in Emilia-Romagna una questione che - come vedremo fra poco - sarà assolutamente centrale nel corso degli anni successivi. Ci si riferisce alla copertura dei costi di ricovero degli anziani nelle case protette. Inizia a farsi largo, infatti, un certo tipo di posizione che vede necessario coprire solo in parte, attraverso il fondo sanitario, i costi del ricovero (Federazione regionale CGIL-CISL-UIL et al. 1982). Più specificamente si riteneva opportuno caricare sul fondo sanitario la copertura di spesa solo per interventi strettamente a carattere sanitario, come quelli medici, infermieristici oppure farmaceutici. Andavano, invece, ritenuti costi socio-assistenziali e dunque non imputabili al fondo sanitario - quelli alberghieri ed, in particolare, quelli relativi ad interventi di cosiddetta assistenza tutelare, 17

18 peraltro centrali in relazione ai bisogni di cura dei malati cronici non autosufficienti. Tutto questo portò a scaricare progressivamente sugli anziani (e sulle rispettive famiglie) una serie costi che in precedenza, chiaramente, gli stessi non erano tenuti a coprire data la gratuità delle cure ospedaliere. Iniziative analoghe a quelle dell Emilia-Romagna vengono attuate in Veneto, Piemonte e poi a venire in altre regioni italiane. Tutte accomunate dalla medesima spinta a trasferire la cura degli anziani cronici non autosufficienti, attraverso il ricovero in strutture assistenziali, dalla sanità all assistenza, peraltro con una forte tendenza alla de-qualificazione della stessa assistenza fornita e all attribuzione di crescenti oneri economici agli anziani e alle rispettive famiglie (cfr. Prospettive Assistenziali, 1979). A livello nazionale, questo processo si afferma in particolare sulla scorta dell approvazione del cosiddetto decreto Craxi (dpcm dell ) ( Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome in materia di attività a rilievo sanitario connesse con quelle socioassistenziali, ai sensi dell art. 5 della l. 833/1978 ). L approvazione del decreto avveniva in attuazione delle previsioni contenute nella legge finanziaria per il 1984 (l. 730/1983) che, all art. 30 aveva stabilito: per l esercizio delle proprie competenze nelle attività di tipo socio assistenziale, gli enti locali e le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, delle unità sanitarie locali, facendosi completamente carico del relativo finanziamento. Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali. In base questo tipo di previsioni, le finalità del decreto Craxi sarebbero state solo quelle di chiarire, in maniera univoca, le prestazioni il cui costo poteva essere messo a carico del fondo sanitario, nella forma degli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali; e quelle, invece, a carico dei comuni (Bissolo, 2005: 38). In questo modo, peraltro, si cercava di risolvere il contenzioso emerso nel frattempo fra le USL e i comuni proprio in merito alla copertura dei costi (David, 1989: 97). La riforma sanitaria, infatti, aveva previsto anche al fine di favorire una reale gestione integrata dei servizi sociali con quelli sanitari - la possibilità per i comuni di delegare direttamente alle USL la gestione dei propri servizi socio-assistenziali. Tuttavia ciò creò una serie di problemi rispetto alla titolarità delle funzioni che, giustappunto, potevano trovare soluzione attraverso le precisazioni fornite del decreto (ibidem). Una lettura più attenta della questione mostra, però, come le finalità fossero anche altre e non solo di mera chiarificazione contabile. Innanzitutto va evidenziato come l approvazione del decreto Craxi viene preceduta dall elaborazione di un documento, da parte del Consiglio sanitario nazionale, nel giugno dell 84, col quale venivano fornite delle indicazioni rispetto alla ripartizione 18

19 dei costi così come previste nella finanziaria per il 1984 (Consiglio Sanitario Nazionale in: Prospettive Assistenziali, 1984). In tale documento, con riferimento specifico agli anziani non autosufficienti, come prima cosa il Consiglio sanitario nazionale ribadiva le difficoltà ad individuare correttamente dei confini fra attività sanitarie ed assistenziali, poiché gli interventi per questo tipo di popolazione risultano estremamente connessi e inscindibili (ibidem). Segue poi un passaggio che è centrale, in cui il Consiglio evidenzia come al fine di ridurre la spesa sanitaria, e tenendo conto che fino al quel momento gli anziani cronici erano stati ricoverati in ambito ospedaliero, il fondo sanitario nazionale avrebbe dovuto farsi carico fino ad un massimo del 50% del costo del ricovero degli anziani nelle case protette (assistenziali) (ibidem): [ ] considerando lo stretto intreccio della presenza sanitaria e socio-assistenziale anche nelle strutture protette appare necessario che, nel transitorio, sia per l inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi carico in maniera completa del problema, sia perché storicamente il non autosufficiente è stato ricoverato e assistito in ambito ospedaliero e paraospedaliero, la spesa relativa al ricovero in casa protetta o strutture similare di persone non autosufficienti carichi parzialmente (fino ad un massimo del 50%) sul fondo sanitario nazionale, ai fini di determinare la correlativa riduzione della spesa ospedaliera [ ]. Da questo punto di vista la questione degli oneri a rilievo sanitario sembra assumere un significato ben preciso. Essi, infatti, vanno inquadrati all interno di un processo il cui fine è quello di determinare una correlativa riduzione della spesa sanitaria, attraverso lo scarico degli anziani cronici - ricoverati (in larga parte) fino allora in ambito ospedaliero - sulle strutture assistenziali. All elaborazione del documento da parte del Consiglio Sanitario Nazionale fa seguito poi l approvazione vera e propria del decreto Craxi del 1985, col quale viene fornito indirizzo alle regioni rispetto alla questione degli oneri a rilievo sanitario. Innanzitutto il decreto definisce le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali (cfr. art. 1): [ ] le attività che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano dirette immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell attività sanitaria di prevenzione, cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali l attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti. Per quanto riguarda la cura degli anziani (limitatamente agli stati morbosi non curabili a domicilio), il decreto riconosce in base anche alle indicazioni contenute nel documento del Consiglio sanitario nazionale come attività socio-assistenziale di rilievo sanitario, dunque a carico del fondo sanitario, solo i ricoveri in strutture protette, comunque denominate (art. 6). 19

20 Più in generale, le conseguenze connesse alla messa in atto di questo processo di scarico sull assistenza degli anziani cronici - che può essere inquadrato fra i vari tentativi di smantellamento della riforma sanitaria del 78, mediante quella [ ] induzione forzata del privato sulla scia del degrado del pubblico (Vicarelli, 1990: 274) 13 - emergono chiaramente da alcune indagini degli anni 80 rispetto alla casistica degli anziani ricoverati nelle strutture residenziali assistenziali. Per esempio, nel caso del comune di Torino, la quasi totalità dei ricoverati nell Istituto di riposo per la vecchiaia risultava affetta da pluri-patologie (ovvero 4 malattie in media per individui) (Prospettive Assistenziali, 1986). In una ricerca condotta sugli anziani in case di riposo nel Circondario di Rimini, il dato che veniva messo in evidenza era quello di una percentuale considerevole di ricoverati affetti da tutta una serie di patologie, di cui le preminenti erano: broncopatie ostruttive croniche riacutizzate, cistopieliti, cardiopatie ischemiche acute (ibidem) La tutela degli anziani cronici non autosufficienti nel corso del periodo più recente La tutela degli anziani cronici nel quadro delle riforme degli anni 90 Nel corso degli anni 90 i passaggi centrali che riguardano la tutela degli anziani cronici s inseriscono innanzitutto nel quadro dell approvazione della terza riforma sanitaria nonché in quella che è poi divenuta la legge nazionale di riforma sui servizi sociali (l. 328/00) ( Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ). 13 Sempre sul decreto Craxi va, inoltre, notato come secondo alcuni la scelta di garantire la copertura del fondo sanitario nazionale (attraverso l attribuzione dei cosiddetti oneri a rilievo sanitario alle sole case protette ) costituiva una scelta politica ben precisa, attraverso cui veniva a privilegiarsi l istituzionalizzazione degli anziani. Tutto ciò a discapito invece dello sviluppo di forme alternative al ricovero, primi fra tutti gli interventi domiciliari, che nel frattempo andavano diffondendosi sotto la spinta riformatrice degli enti territoriali. Questo tipo d interpretazione è avanzata dalla David (1989: 98-99), per la quale il decreto Craxi: [ ] opera un aperto attacco al processo di de-istituzionalizzazione con fatica avviato nella politica socio-assistenziale del paese; l ente locale viene, infatti messo di fronte alla scelta se attuare un servizio innovativo come l assistenza domiciliare, ma i cui costi graveranno totalmente nel suo bilancio, oppure rifarsi al circuito pubblico e privato degli istituti di ricovero comunque dominanti sapendo di contare su congrui finanziamenti da parte dello stato. Un interpretazione analoga viene avanzata anche da Paci (1987). Il fatto che col decreto Craxi non siano rientrate (fra le attività di rilievo sanitario) attività socio-assistenziali come l assistenza economica o in natura, l assistenza domestica, le comunità alloggio, le strutture diurne socio-formative ecc, di converso alla copertura dei ricoveri in strutture protette, significa in sostanza: [ ] che si tende a ripristinare la linea dell ospedalizzazione e dell internamento e si bloccano gli interventi sul territorio, o almeno, si rendono più difficili quei servizi alternativi di cui molti comuni si erano fatti portatori [ ]. Entrambi gli autori non tengono, invece, in considerazione dell inquadramento del decreto nei termini del processo di espulsione degli anziani cronici dal settore sanitario, nell ottica di riduzione la spesa sanitaria. 20

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