CORTE COSTITUZIONALE

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1 Spediz. abb. post. - 45% art. - 1, art. comma 2, comma 1 20/b Legge , , n. 46 n Filiale - di Filiale Roma di Roma 1ª SERIE SPECIALE Anno Numero 20 GAZZETTA UFFICIALE PARTE PRIMA DELLA REPUBBLICA ITALIANA Roma - Mercoledì, 16 maggio 2012 SI PUBBLICA IL MERCOLEDÌ DIREZIONE E REDAZIONE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA - UFFICIO PUBBLICAZIONE LEGGI E DECRETI - VIA ARENULA, ROMA AMMINISTRAZIONE PRESSO L ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO - VIA SALARIA, ROMA - CENTRALINO LIBRERIA DELLO STATO PIAZZA G. VERDI, ROMA AVVISO AL PUBBLICO Si comunica che il punto vendita Gazzetta Ufficiale sito in via Principe Umberto, 4 è stato trasferito nella nuova sede di Piazza G. Verdi, Roma CORTE COSTITUZIONALE

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3 SOMMARIO SENTENZE ED ORDINANZE DELLA CORTE N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Ricorso del Governo - Intervento in giudizio di Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative - Soggetto privo di potestà legislativa - Difetto di legittimazione a partecipare al giudizio di legittimità in via principale - Inammissibilità dell intervento. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, artt. 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, 9, comma 4, alinea 6 e 7. Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. e), l) ed s) ; statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 4 e 5. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Asserito contrasto con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Ricorso del Governo - Eccezione di omessa indicazione dei principi e delle leggi violati - Reiezione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10. Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. e). Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Asserito contrasto con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Mancata previsione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), in contrasto con il codice dell ambiente - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata - Contenuto normativo sostanzialmente immodificato - Trasferimento della questione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma lett. e) ed s) ; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Parte II, punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II, lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, punti nn. 1, lett. d), 7, lett. d), m) ed o), e 8, lett. t), dell Allegato IV. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Violazione del principio comunitario di temporaneità delle concessioni - Contrasto con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Mancata previsione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), in contrasto con il codice dell ambiente - Violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell ambiente - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10, modificato dall art. art. 24, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma lett. e) ed s) ; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Parte II, punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II, lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, punti nn. 1, lett. d), 7, lett. d), m) ed o), e 8, lett. t), dell Allegato IV. III

4 Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Pluralità di concessioni di derivazioni d acqua a scopo idroelettrico in capo ad un unico titolare - Possibilità di chiedere l accorpamento - Conseguente determinazione dell unica scadenza relativa alla concessione più lunga - Effetto di proroga automatica per le concessioni più brevi - Contrasto con la normativa nazionale che, in conformità ai principi comunitari di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, stabilisce che l attribuzione della concessione deve avvenire tramite una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 3, commi 1 e 3. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. e) ; d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 12, comma 1. Acque - Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto - Contrasto con il principio generale di inalienabilità dei beni demaniali - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in mancanza di titolo competenziale specifico della Provincia autonoma - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 5, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; codice civile, artt. 822, 823, 824; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 143; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, comma 2. Energia - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Energia da fonti rinnovabili - Rinvio alla Giunta provinciale della definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore e della determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici - Ricorso del Governo - Asserita violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata pienamente satisfattiva delle ragioni dedotte dal ricorrente - Mancata applicazione della norma impugnata - Cessazione della materia del contendere. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, artt. 7, comma 5, e 11, e Allegato 3. Edilizia e urbanistica - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Isolamento termico degli edifici e utilizzo dell energia solare - Possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previste nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata - Contenuto normativo sostanzialmente immodificato e non satisfattivo della pretesa della parte ricorrente - Trasferimento della questione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 9, comma 4, alinea 6 e 7. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 17. Edilizia e urbanistica - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Isolamento termico degli edifici e utilizzo dell energia solare - Possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previste nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile - Mancata previsione del rispetto delle norme sulle distanze fra edifici, integrative del codice civile, costituenti principio inderogabile - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, modificato dall art. 26, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9; legge 6 agosto 1967, n. 765, art Pag. 1 IV

5 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Sanità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Ricorso del Governo - Parametri statutari inconferenti ed apoditticamente evocati - Inammissibilità della questione. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, artt. 4, 5 e 10. Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia, artt. 4, 5, 6 e 7. Sanità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Predisposizione di campagne di informazione rivolte ai cittadini su base regionale, istituzione di strutture addette al coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore, disciplina dei programmi di sviluppo in ambito regionale - Ricorso del Governo - Asserito contrasto con la normativa statale di riferimento, espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica - Insussistenza - Non fondatezza della questione. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, artt. 4, 5 e 10. Costituzione, art. 117, terzo comma; legge 15 marzo 2010, n. 38, art. 5, comma 5. Sanità pubblica - Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Disposizioni finanziarie - Omessa quantificazione e copertura degli oneri finanziari, secondo le regole contabili - Violazione del principio finanziario secondo cui la riduzione di precedenti autorizzazioni deve essere sempre espressa e analiticamente quantificata, in quanto idonea a compensare esattamente gli oneri indotti dalla nuova previsione legislativa - Violazione dell obbligo, ancor più indefettibile in presenza di oneri pluriennali, di analitiche quantificazioni delle diverse spese su partite di bilancio promiscue - Illegittimità costituzionale - Obbligo di contenimento degli oneri introdotti dalle norme impugnate, fino a nuova legittima copertura dell eventuale eccedenza, entro i limiti di stanziamento delle pertinenti poste del bilancio dell esercizio Assorbimento delle ulteriori censure. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, art. 15. Costituzione, art. 81, quarto comma (art. 117, terzo comma) Pag. 13 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Caccia - Norme della Regione Marche - Autorizzazione all esercizio cumulativo di diverse forme di caccia - Contrasto con la normativa statale che, nel fissare uno standard minimo di tutela da applicare sull intero territorio nazionale, stabilisce che l esercizio della caccia può essere praticato in una sola delle forme ivi previste (c.d. principio della caccia di specializzazione) - Introduzione di una deroga che implica una soglia inferiore di tutela - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Illegittimità costituzionale. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 22, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 12, comma 5. Caccia - Norme della Regione Marche - Approvazione del calendario venatorio regionale - Proposta della Giunta regionale, sentiti l OFR e l ISPRA, al Consiglio regionale, entro il 31 maggio - Ricorso del Governo - Asserita previsione dell approvazione del calendario venatorio regionale con legge - Interpretazione erronea - Non fondatezza della questione. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 26, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s). Caccia - Norme della Regione Marche - Approvazione del calendario venatorio regionale - Validità minima annuale e massima triennale - Contrasto con la normativa statale che impone la cadenza annuale del calendario venatorio - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Necessità di adeguamento alla previsione statale - Illegittimità costituzionale in parte qua. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 26, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18, comma Pag. 21 V

6 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi e contabili - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Rilevanza della questione limitata ai processi celebrati davanti al giudice amministrativo. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Censura della norma nella interpretazione enunciata dalle sezioni unite della Corte di cassazione, costituente diritto vivente, alla quale il rimettente non ritiene di aderire - Ammissibilità della questione. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Asserita violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge - Asserita violazione del principio di ragionevolezza e del principio di eguaglianza - Asserita violazione del principio della ragionevole durata del processo - Asserita violazione del diritto di azione - Insussistenza - Non fondatezza della questione. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma Pag. 27 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio su conflitto di attribuzione tra Enti. Bilancio e contabilità pubblica - Nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, avente ad oggetto : Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna - Richiesta alla Regione di riformulazione della proposta regionale in termini di maggiore conformità al quadro legislativo vigente in tema di patto di stabilità interno, in relazione al profilo specifico della necessità di garantire l equilibrio tra fabbisogno ed indebitamento netto - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Sardegna - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione, di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, di potestà concorrente regionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e di copertura delle spese - Difetto del presupposto essenziale della configurabilità astratta del conflitto - Inammissibilità del conflitto. Nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, del 7 giugno 2011, n Costituzione, artt. 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, e 119; statuto speciale della Regione Sardegna, artt. 3, 7, 8 e Pag. 33 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Previdenza pubblica - Soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda sanitaria - Indennità premio di servizio - Modalità di calcolo - Interventi di G.D.P. e della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO) - Soggetti estranei al giudizio principale e carenti della qualità di terzi portatori di un interesse qualificato immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio - Inammissibilità degli interventi. D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 3, commi 2 e 3; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 - bis, comma 11; legge 30 novembre 1998, n. 419, art. 2, comma 1, lett. t). Costituzione, art. 3. VI

7 Previdenza pubblica - Soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda sanitaria - Indennità premio di servizio - Modalità di calcolo - Asserita irragionevole differenza di trattamento previdenziale a favore di una categoria di soggetti, rispetto alla generalità degli altri dipendenti pubblici - Insussistenza - Non fondatezza della questione. D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, artt. 3, commi 2 e 3; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 - bis, comma 11; legge 30 novembre 1998, n. 419, art. 2, comma 1, lett. t). Costituzione, art Pag. 42 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Periodi di assenza per malattia - Trattamento economico nei primi dieci giorni di assenza - Corresponsione del solo trattamento fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio - Asserita lesione del diritto alla salute, disparità di trattamento in danno dei lavoratori pubblici, lesione del diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, lesione del diritto alla assistenza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. D.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133), art. 71. Costituzione, artt. 3, 32, 36 e Pag. 53 N Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Regioni (in genere) - Esecuzione delle decisioni della Corte costituzionale - Obbligo per le Regioni di comunicare alla Presidenza del Consiglio, entro tre mesi dalla pubblicazione delle decisioni, tutte le attività intraprese, gli atti giuridici posti in essere e le spese affrontate o preventivate ai fini dell esecuzione - Ricorso della Regione Toscana - Asserita lesione della autonomia finanziaria regionale - Insussistenza - Non fondatezza della questione. D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111) art. 20, comma 14. Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 119. Regioni (in genere) - Esecuzione delle decisioni della Corte costituzionale - Mancata o non esatta conformazione da parte delle Regioni - Previsione del potere sostitutivo del Governo - Ricorso della Regione Toscana - Asserita violazione dell autonomia regionale, lesione del principio di leale collaborazione - Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione. D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111) art. 20, comma 15. Costituzione, artt. 118 e 120, secondo comma Pag. 60 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Appalti pubblici - Norme della Regione Calabria - Disposizioni volte a contrastare le infiltrazioni mafiose nel settore dell imprenditoria - Contratti pubblici - Inserimento della clausola risolutiva espressa per inadempimento del contraente privato, laddove sia accertata la mancata denuncia all autorità giudiziaria di reati di ndrangheta, di criminalità, di estorsione, di usura, ovvero contro la Pubblica Amministrazione o contro la libertà degli incanti, dei quali il contraente sia venuto a conoscenza con riferimento alla conclusione od all esecuzione del contratto con l ente pubblico - Previsione che il mancato inserimento della clausola o la sua mancata attivazione determinano la nullità del contratto e costituiscono causa di responsabilità amministrativa e disciplinare - Ricorso del Governo - Sopravvenuta abrogazione della disposizione impugnata - Rinuncia al ricorso, in assenza di costituzione della parte resistente - Estinzione del processo. Legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 3, art. 2, comma 2. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, art Pag. 64 VII

8 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Edilizia e urbanistica - Espropriazione per pubblica utilità - Norme della Regione Umbria - Vincoli derivanti da piani urbanistici - Previsione che il vincolo preordinato all esproprio abbia la durata di cinque anni anziché sette come previsto dalla normativa statale di riferimento - Asserita violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile - Ricorso del Governo - Motivazione delle censure meramente assertiva e omessa considerazione del complessivo quadro normativo di riferimento - Manifesta inammissibilità della questione. Legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7, art. 6, comma 2. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 165, comma 7 -bis, aggiunto dall art. 4, comma 2, lett. r), n. 4, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n Pag. 66 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Straniero - Reati e pene - Reato di indebito reingresso nel territorio dello Stato dello straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione - Arresto obbligatorio - Asserita irragionevolezza - Asserita violazione della libertà personale - Direttiva europea sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, direttamente efficace nell ordinamento nazionale per scadenza del termine per la trasposizione in legge - Sopravvenute sentenze della Corte di giustizia dell Unione europea che interpretano la direttiva - Sopravvenuto mutamento del quadro normativo nazionale di riferimento - Necessità di nuova valutazione da parte del giudice rimettente circa la perdurante rilevanza delle questioni - Restituzione degli atti. D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13 -ter. Costituzione, artt. 3 e Pag. 68 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Automatica esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Eccepita inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, in ragione della mancata specifica valutazione di precedenti e di argomenti già svolti dalla Corte - Reiezione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art. 3. Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Automatica esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Eccepita inammissibilità per omesso tentativo di pervenire ad un interpretazione conforme a Costituzione - Reiezione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art. 3. VIII

9 Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Asserita violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità per l automatica parificazione di soggetti autori di azioni di rilevanza penale diverse per gravità e intensità del dolo - Difetto di motivazione sulla rilevanza in relazione alla fattispecie in concreto dedotta - Oscurità e indeterminatezza del petitum - Manifesta inammissibilità della questione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art Pag. 73 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Aborto e interruzione volontaria della gravidanza - Gestante minorenne - Richiesta di interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni - Assenso di chi esercita sulla donna la potestà o la tutela ovvero, in presenza di seri motivi che ne impediscano o sconsiglino la consultazione, autorizzazione da parte del giudice tutelare - Asserita violazione dei diritti del genitore - Carente motivazione circa la rilevanza della questione - Questione contraddittoria e volta ad ottenere un avallo interpretativo - Manifesta inammissibilità della questione. Legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12. Costituzione, artt. 24, 29 e Pag. 78 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Processo penale - Impugnazione dell imputato - Morte dell imputato successiva alla sentenza di condanna di primo grado e precedente alla impugnazione - Facoltà degli eredi di proporre impugnazione limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale - Mancata previsione - Asserita violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - Difetto di motivazione in ordine alla applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo - Insufficiente descrizione della fattispecie e mancanza di motivazione sulla rilevanza - Manifesta inammissibilità della questione. Codice di procedura penale, art Costituzione, artt. 3 e Pag. 82 N Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Commercio - Norme della Regione Piemonte - Commercio su aree pubbliche - Disciplina sul rilascio e rinnovo delle concessioni di posteggio - Asserito contrasto con la normativa statale e comunitaria - Asserita indebita interpretazione autentica della legge statale - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica delle norme impugnate - Rinuncia al ricorso seguita dall accettazione della controparte costituita - Estinzione del giudizio. Legge della Regione Piemonte 27 luglio 2011, n. 13, artt. 4 e 5. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma, lett. e) ed l) ; d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, art. 16; direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, art. 12 e punto 62 del Considerando; norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, art Pag. 85 IX

10 ATTI DI PROMOVIMENTO DEL GIUDIZIO DELLA CORTE N. 66. Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in Cancelleria il 30 marzo 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Bilancio annuale - Fondo per il pagamento dei residui perenti - Previsione della copertura finanziaria con una quota parte del risultato di amministrazione-avanzo di amministrazione - Ricorso del Governo - Denunciato utilizzo di una quota del bilancio di amministrazione dell esercizio precedente senza che sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità, con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 1, comma 5. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lettera e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 44, comma 3. Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Bilancio annuale - Pagamento dei debiti fuori bilancio - Previsione della copertura finanziaria con una quota parte del risultato di amministrazione-avanzo di amministrazione - Ricorso del Governo - Denunciato utilizzo di una quota del bilancio di amministrazione dell esercizio precedente senza che sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 1, comma 6. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lett. e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 44, comma 3. Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Ricorso al mercato finanziario - Ricorso del Governo - Denunciato ricorso al mercato finanziario per l anno 2012 senza che sia stato ancora approvato il rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 5. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lett. e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 9, comma Pag. 87 N. 67. Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in Cancelleria il 4 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Rimborso delle spese per trasferte ed autorizzazioni alle missioni - Previsione della possibilità, in occasione delle trasferte di servizio, in caso di impossibilità di utilizzo di idoneo mezzo dell Amministrazione o d altro mezzo pubblico di trasporto, di utilizzo del mezzo proprio e relativo rimborso spese per il personale con qualifica dirigenziale titolare di incarichi apicali; i responsabili di programmi collegati all utilizzo di fondi comunitari e nazionali; i funzionari e dirigenti incaricati dell esercizio di funzioni ispettive o di controllo e di patrocinio legale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione dell art. 6 del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, concernente la riduzione dei costi degli apparati amministrativi, e dell art. 8 della legge n. 417/1978 e dell art. 12, settimo comma, e 19, terzo comma, della legge n. 836/ Denunciata violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 18, commi 1 e 2. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e), e terzo. X

11 Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Attestazione, in ottemperanza alle leggi regionali nn. 37/1999 e 38/2006 e a seguito della consultazione referendaria del giugno 2011, che la proprietà pubblica delle reti e delle infrastrutture è inalienabile e che la gestione del servizio integrato è affidata all Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico la cui natura giuridica non può essere modificata - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 79. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Previsione che il sistema Regione Molise, istituito ai sensi dell art. 7 della legge regionale n. 16/2010, è costituito dalla Regione Molise e dagli enti indicati nelle Tabelle A1 e A2 allegate, che la Giunta regionale provvede ad aggiornare gli elenchi e che gli stessi vengono pubblicati nel BUR - Previsione che la Giunta regionale differenzi, in relazione alla tipologia degli enti, la forma della loro partecipazione e del loro coordinamento al Sistema, il potere di monitoraggio della Regione, nonché i poteri e le modalità di controllo, anche ispettive e di vigilanza - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 3, commi 1 e 2. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Riordino del Servizio sanitario regionale - Previsione che i distretti circondariali, ai sensi dell art. 3- quater del d.lgs. n. 502/1992, costituiscono il livello in cui si realizza la gestione integrata tra servizi sanitari e socio-assistenziali - Previsione che entro 60 giorni dall entrata in vigore della legge impugnata, la Giunta regionale presenta una proposta di riordino e di determinazione dei distretti stessi - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 67, commi 1 e 2. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Disciplina sull assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell Azienda sanitaria regionale del Molise - Eliminazione del controllo della Giunta regionale solo su alcuni atti del Direttore generale della ASREM - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 68. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Strutture sanitarie e socio-sanitarie - Previsione, per le strutture che chiedano l accreditamento, che la verifica della congruità con il fabbisogno d assistenza secondo le funzioni sanitarie e socio-sanitarie individuate dalla programmazione sanitaria regionale è effettuata dal C.R.A.S.S. o dall organo competente istituto da apposito provvedimento di Giunta regionale, entro novanta giorni dalla presentazione della domanda - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 69. Costituzione, art. 120, comma secondo Pag. 89 XI

12 N. 68. Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 10 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Edilizia ed urbanistica - Norme della Regione Toscana - Accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità - Possibilità di ottenere il permesso in sanatoria per le opere che risultino conformi alla normativa tecnica vigente al momento della loro realizzazione o al momento dell inizio dei lavori - Possibilità di accedere all accertamento di conformità anche per le opere realizzate in difformità dalla normativa vigente al momento della loro realizzazione - Ricorso del Governo - Denunciato mancato rispetto della norma statale di principio sull accertamento di conformità, secondo cui il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato alla conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda e al momento della realizzazione dell intervento stesso - Violazione della competenza del legislatore statale nella materia concorrente del governo del territorio. Legge della Regione Toscana 31 gennaio 2012, n. 4, artt. 5, 6 e 7. Costituzione, art. 117, comma terzo Pag. 98 N. 69. Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 16 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei Ministri) Sanità pubblica - Norme della Regione Calabria - Disciplina del Centro regionale sangue (CRS) - Sospensione dell efficacia della legge regionale istitutiva, in attesa dell attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario - Ricorso del Governo - Denunciata stabilizzazione, per i periodi in cui non opera la sospensione, degli effetti di disposizioni regionali già impugnate dinanzi alla Corte costituzionale - Violazione dei parametri evocati rispetto ad esse - Contrasto con principi della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica - Interferenza con le attribuzioni del Commissario ad acta volte all attuazione del piano di rientro - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione del principio di ragionevolezza - Incoerenza della normativa sospesa rispetto al contesto prodotto dall attuazione del piano ed ai provvedimenti commissariali adottati nella medesima materia. Legge della Regione Calabria 3 febbraio 2012, n. 6, art. 1, comma 1, modificativo dell art. 14 della legge regionale 18 luglio 2011, n. 24. Costituzione, artt. 81, 97, 117, comma terzo, e 120; legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, commi 80 e Pag. 99 N. 70. Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 18 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio - Ricorso del Governo - Denunciata violazione da parte dell intera disciplina della legge regionale della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, intero testo. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della conservazione, gestione e valorizzazione del demanio e del patrimonio generale e dei contratti di acquisizione dei beni - Previsione che la Giunta regionale, con apposito regolamento, stabilisce la disciplina esecutiva ed attuativa della legge censurata - Previsione che i beni di proprietà della Regione, disciplinati dalla legge censurata, costituiscono il demanio ed il patrimonio della Regione ai sensi degli artt. 822 e ss. e delle altre leggi vigenti in materia - Previsione che il regime giuridico dei beni del demanio e del patrimonio regionale si applica anche ai diritti demaniali su beni altrui ed ai diritti reali della Regione su beni appartenenti ad altri soggetti ai sensi dell art. 825 c.c. - Disciplina della classificazione dei beni e delle variazioni della stessa - Prevista destinazione dei beni demaniali e patrimoniali - Disciplina dell amministrazione e gestione dei beni demaniali e patrimoniali - Disciplina delle funzioni dominicali sul demanio marittimo - Disciplina delle funzioni in materia di demanio idrico - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, artt. 1, 4, 5, 6, 8, 16 e 17. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). XII

13 Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Previsione che i beni appartenenti al demanio marittimo possano essere assegnati in consegna ai sensi dell art. 34 del codice della navigazione e 36 del regolamento per la navigazione marittima a comuni, province ed enti del settore regionale allargato per usi di pubblico interesse - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di modalità di esercizio ed uso diretto del demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 7, comma 3. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Elencazione dei beni appartenenti al demanio regionale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 11, lett. c). Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della tutela in via amministrativa dei beni del demanio regionale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 14. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Previsione anche per i beni del demanio marittimo che la cessazione della demanialità (sclassificazione) può avvenire oltreché per effetto di provvedimento, anche per conseguenza di fenomeni naturali, di sviluppi tecnici o vicende storiche che facciano perdere ai beni i requisiti della demanialità - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 15, comma 3. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Demanio idrico - Previsione che la sdemanializzazione di beni appartenenti al demanio idrico avvenga mediante provvedimento adottato dalla Giunta regionale, previo parere della competente provincia - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell ambiente. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 15, comma 2. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. s), e terzo. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della custodia e della gestione temporanea delle acque minerali - Previsione che il dirigente in materia di demanio e patrimonio può affidare in via temporanea e precaria la custodia e la gestione dei beni e delle relative pertinenze al richiedente, qualora sia presentata un unica istanza di concessione ovvero, in caso di più istanze, ad uno dei richiedenti che offra adeguate garanzie tecniche ed economiche, sulla base di criteri di individuazione in apposito regolamento attuativo della legge - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con la normativa statale (d.p.r. n. 296/2005) che disciplina la durata della concessione e locazione - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell ambiente e della concorrenza. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 26. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e) e s), e terzo. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina dei casi in cui si procede a trattativa prevista per l alienazione di beni immobili regionali - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con la normativa statale (legge n. 783/1908) che prevede i casi in cui la vendita può avvenire mediante trattativa privata - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela della concorrenza. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 38, comma 5. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). XIII

14 Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina dell uso dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili - Previsione che le norme in materia di sub-concessione saranno determinate da apposito regolamento attuativo della legge - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con il d.p.r. n. 296/2005 recante il regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato, che vieta la sub-concessione totale o parziale e stabilisce la decadenza immediata dalla concessione in caso di violazione del divieto stesso - Denunciata violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 47. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l), e terzo Pag. 103 N. 5. Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 4 maggio 2012 (della Regione Campania) Ambiente - Smaltimento dei rifiuti - Termovalorizzatore di Acerra - Trasferimento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della proprietà dell impianto alla Regione Campania, al prezzo complessivo di euro , 84, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/ Conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla Regione Campania - Denunciata violazione delle competenze in materia di gestione dello smaltimento dei rifiuti - Lesione dell autonomia negoziale e contrattuale della Regione (coartata all acquisto e ad esercitare un attività di tipo economico imprenditoriale) - Violazione dell autonomia finanziaria regionale (per il mutamento unilaterale da parte del Governo della destinazione di risorse già impegnate ad altri scopi dalla Regione) - Violazione del principio di leale collaborazione (per la mancata paritaria codeterminazione del contenuto dell atto oggetto del conflitto) - Erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione delle disposizioni legislative presupposte - Richiesta di dichiarare la non spettanza allo Stato del potere esercitato e di annullare l atto impugnato - Istanza di sospensione cautelare immediata dei relativi effetti. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio Costituzione, artt. 3, 5, 41 (primo comma), 97, 114, 117, 118, 119 e 120; [legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 40]. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti - Termovalorizzatore di Acerra - Trasferimento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della proprietà dell impianto alla Regione Campania - Conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla medesima Regione - Eccepita incostituzionalità delle disposizioni legislative sottostanti al decreto impugnato, ove interpretate nel senso che obbligano la Regione Campania, anche in assenza di sua intesa, ad acquistare la proprietà del termovalorizzatore di Acerra entro il termine del 31 gennaio Dedotto contrasto con i principi di ragionevolezza, buon andamento dell amministrazione e leale collaborazione - Richiesta alla Corte costituzionale di autorimessione di questione incidentale. Decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 2010, n. 26, art. 7, comma 1; decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 61, comma 3; decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14, art. 5, comma 1. Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, 118, 119 e Pag. 108 N. 82. Ordinanza del Tribunale di Alessandria del 17 gennaio 2012 Reati e pene - Reati contro il patrimonio mediante frode - Casi di non punibilità per fatti commessi in danno di congiunti - Esclusione della operatività della causa di non punibilità per il delitto di usura di cui all art. 644 cod. pen. - Mancata previsione - Violazione del principio di ragionevolezza, a fronte della disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe. Codice penale, art. 649, comma terzo. Costituzione, art Pag. 121 XIV

15 N. 83. Ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana del 19 dicembre 2011 Energia - Norme della Regione Siciliana - Fondo regionale di garanzia per l installazione di impianti fotovoltaici - Previsione dell obbligo di allegare alla richiesta di autorizzazione la dichiarazione da parte di primaria Compagnia di assicurazione della disponibilità di copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura elettrica all ente gestore di rete - Previsione dell obbligo di comunicazione, ai fini della celerità dei procedimenti, della sede legale istituita dal richiedente in Sicilia e dell impegno al mantenimento nel territorio della Regione per il tempo di efficacia dell autorizzazione - Previsione dell obbligo per il soggetto autorizzato di rilasciare, anteriormente all inizio dei lavori e pena l inefficacia dell autorizzazione, idonee garanzie a favore della Regione - Previsione dell obbligo di realizzare gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 MW a distanza non inferiore a 10 Km l uno dall altro, o, comunque, a distanza congrua sulla base di adeguata motivazione - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata - Violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia civile - Violazione della sfera di competenza concorrente statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia per il contrasto con i principi sanciti in subiecta materia dal decreto legislativo n. 387 del Violazione del principio di libera circolazione delle persone e dei beni tra le Regioni. Legge della Regione Siciliana 12 maggio 2010, n. 11, art Costituzione, artt. 3, 41, 117, commi secondo e terzo, e 120; Statuto della Regione Siciliana, art Pag. 124 N. 84. Ordinanza del Tribunale di Velletri del 17 ottobre 2011 Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate in conto corrente - Diritti nascenti dall annotazione in conto - Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell annotazione - Previsione in via di interpretazione autentica dell art del codice civile - Contestuale esclusione della restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del Violazione dei principi di certezza del diritto e di ragionevolezza - Violazione dei limiti all adozione di leggi interpretative o retroattive - Ingiustificato trattamento di favore per le banche - Ingiustificata restrizione della ripetibilità dell indebito, con disparità di trattamento fra i titolari dei relativi crediti - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti ed invasione ingiustificata delle prerogative della Magistratura ordinaria - Violazione della tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese - Incidenza sul potenziale diritto delle banche alla restituzione delle somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente - Contrasto con il divieto di ingerenza del legislatore nell amministrazione della giustizia (salvo che per motivi imperativi di interesse generale), sancito a garanzia dell equo processo dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte di Strasburgo - Conseguente inosservanza di vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61, aggiunto dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. Costituzione, artt. 3, 24, 41, 47, 102 e 117, primo comma, in relazione all art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n Pag. 130 XV

16 N. 85. Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio del 13 dicembre 2011 Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e Pag. 140 N. 86. Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio del 13 dicembre Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e Pag. 149 N. 87. Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio del 13 dicembre 2011 Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e Pag. 160 N. 88. Ordinanza della Corte d Appello di Torino del 23 settembre 2011 Processo penale - Dibattimento - Nuove contestazioni - Contestazione di un reato concorrente emerso nel corso dell istruttoria dibattimentale - Facoltà per l imputato di chiedere il giudizio abbreviato - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di ragionevolezza, per la diversa disciplina, risultante dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 265 del 1994 e 530 del 1995, prevista in analoga situazione per taluni riti speciali (patteggiamento e oblazione) - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 333 del Codice di procedura penale, art Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo Pag. 168 XVI

17 SENTENZE ED ORDINANZE DELLA CORTE N. 114 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Sentenza 7-10 maggio 2012 Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Ricorso del Governo - Intervento in giudizio di Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative - Soggetto privo di potestà legislativa - Difetto di legittimazione a partecipare al giudizio di legittimità in via principale - Inammissibilità dell intervento. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, artt. 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, 9, comma 4, alinea 6 e 7. Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. e), l) ed s) ; statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 4 e 5. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Asserito contrasto con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Ricorso del Governo - Eccezione di omessa indicazione dei principi e delle leggi violati - Reiezione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10. Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. e). Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Asserito contrasto con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Mancata previsione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), in contrasto con il codice dell ambiente - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata - Contenuto normativo sostanzialmente immodificato - Trasferimento della questione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma lett. e) ed s) ; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Parte II, punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II, lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, punti nn. 1, lett. d), 7, lett. d), m) ed o), e 8, lett. t), dell Allegato IV. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Concessioni di derivazioni di acqua - Scadenza - Rinnovo automatico trentennale, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico - Violazione del principio comunitario di temporaneità delle concessioni - Contrasto con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza - Mancata previsione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), in contrasto con il codice dell ambiente - Violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell ambiente - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 2, comma 10, modificato dall art. art. 24, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma lett. e) ed s) ; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Parte II, punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II, lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, punti nn. 1, lett. d), 7, lett. d), m) ed o), e 8, lett. t), dell Allegato IV. Acque - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Pluralità di concessioni di derivazioni d acqua a scopo idroelettrico in capo ad un unico titolare - Possibilità di chiedere l accorpamento - Conseguente determinazione dell unica scadenza relativa alla concessione più lunga - Effetto di proroga automatica per le concessioni più brevi - Contrasto con la normativa nazionale che, in conformità ai principi comunitari di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, stabilisce che l attribuzione della concessione deve avvenire tramite una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 3, commi 1 e 3. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. e) ; d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 12, comma 1. 1

18 Acque - Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto - Contrasto con il principio generale di inalienabilità dei beni demaniali - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in mancanza di titolo competenziale specifico della Provincia autonoma - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 5, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; codice civile, artt. 822, 823, 824; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 143; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, comma 2. Energia - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Energia da fonti rinnovabili - Rinvio alla Giunta provinciale della definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore e della determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici - Ricorso del Governo - Asserita violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata pienamente satisfattiva delle ragioni dedotte dal ricorrente - Mancata applicazione della norma impugnata - Cessazione della materia del contendere. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, artt. 7, comma 5, e 11, e Allegato 3. Edilizia e urbanistica - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Isolamento termico degli edifici e utilizzo dell energia solare - Possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previste nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica della disposizione impugnata - Contenuto normativo sostanzialmente immodificato e non satisfattivo della pretesa della parte ricorrente - Trasferimento della questione. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 9, comma 4, alinea 6 e 7. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 17. Edilizia e urbanistica - Norme della Provincia autonoma di Bolzano - Isolamento termico degli edifici e utilizzo dell energia solare - Possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previste nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile - Mancata previsione del rispetto delle norme sulle distanze fra edifici, integrative del codice civile, costituenti principio inderogabile - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile - Illegittimità costituzionale. Legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4, art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, modificato dall art. 26, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9; legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 17. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, e 9, commi 4, alinea 1, 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento dell inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 5-7 settembre 2011, depositato in cancelleria il 13 settembre 2011 ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi

19 Visto l atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano, nonchè l atto di intervento, fuori termine, di Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque curative; udito nell udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro; uditi l avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano. Ritenuto in fatto 1. Con ricorso, spedito per la notifica in data 5 settembre 2011, ricevuto il successivo 7 settembre, depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 13 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, e 9, commi 4, alinea 1, 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento dell inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), in riferimento agli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», nonché in relazione all articolo 117, primo comma, e secondo comma, lettere e), l) ed s), della Costituzione Il ricorrente premette che la Provincia, ai sensi dell art. 8, comma 1, punti nn. 5, 10 e 14 del d.p.r. n. 670 del 1972, ha competenza primaria in materia di urbanistica, edilizia, miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere e, in base ai punti nn. 9 e 10 dell art. 9 dello stesso statuto speciale, competenza legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico, nonché di igiene e sanità. Dette competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti di cui agli artt. 4 e 5 dello stesso statuto e cioè, per le competenze sia primarie che concorrenti, in armonia con la Costituzione ed i principi dell ordinamento giuridico della Repubblica, nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, mentre per le sole competenze concorrenti, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Tenuto conto di tale quadro costituzionale, il ricorrente sostiene che alcune norme della legge provinciale n. 4 del 2011 eccedano dalle competenze statutarie, invadendo competenze legislative che l art. 117, secondo comma, lettere e), l) ed s), Cost., riserva allo Stato in via esclusiva nelle materie della tutela della concorrenza, dell ordinamento civile e della tutela dell ambiente. In particolare, il ricorrente ricorda che, quanto all ambiente, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale spetta al legislatore statale, titolare della competenza esclusiva stabilita dalla lettera s) del secondo comma dell art. 117 Cost., disciplinare l ambiente inteso come entità organica, dettando norme che «hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto», posto che una simile disciplina inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1978) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Il Presidente del Consiglio dei ministri precisa altresì che tale disciplina unitaria del bene complessivo ambiente deve prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome in materie di competenza propria. Tanto premesso, il ricorrente prospetta svariate censure di illegittimità costituzionale nei confronti delle citate disposizioni della predetta legge provinciale n. 4 del È censurato, in primo luogo, il comma 10 dell art. 2 della legge provinciale n. 4 del 2011, che sostituisce il comma 1 dell art. 16 della legge provinciale 30 settembre 2005, n. 7, nella parte in cui prevede il rinnovo automatico trentennale di tutte le concessioni alla loro scadenza, ad eccezione di quelle a scopo idroelettrico, il cui regime è disciplinato dal successivo art. 3. Tale norma, nel disporre ex lege il rinnovo trentennale delle concessioni, violerebbe l art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto si porrebbe in contrasto «con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva competenza statale». 3

20 La medesima norma, inoltre, violerebbe anche l art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con la normativa statale vigente in materia di ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale». In particolare, essa, non subordinando il rinnovo delle concessioni di derivazioni di acqua alla procedura di valutazione di impatto ambientale (di seguito VIA), come previsto dagli Allegati alla Parte II del d.lgs.n. 152 del 2006, si porrebbe in contrasto, in specie, con i punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II e con le lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, nonché con i punti nn. 1, lettera d), 7, lettera d), m) ed o), e 8, lettera t) dell Allegato IV. Il ricorrente precisa che, in tema di autorizzazioni postume, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell Unione europea è ispirata a criteri particolarmente rigorosi (sentenza 3 luglio 2008, procedimento C-215/06, Commissione delle Comunità europee contro Irlanda), ribadendo che «a livello di processo decisionale è necessario che l autorità competente tenga conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni sull ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, dato che l obiettivo consiste nell evitare fin dall inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che nel combatterne successivamente gli effetti». Una simile esigenza sarebbe difficilmente compatibile con un sistema precedente che non prevedeva (o poteva non prevedere) l obbligo della VIA, né all atto dell adozione del provvedimento autorizzatorio, né alla sua scadenza, posto che «in luogo di una nuova autorizzazione (o di un rinnovo della precedente), si sostituisce ex lege la perdurante validità del vecchio titolo, senza possibilità di verificare se, a causa dell esercizio della relativa ( e legittima) attività, possa essersi cagionato o meno un danno per l ambiente». In sostanza, il ricorrente osserva che se, da un lato, nessun elemento normativo garantisce (anzi, tutto sembra deporre per il contrario) che le autorizzazioni in corso di esercizio (originario o prorogato) fossero state assoggettate a VIA, dall altro, il mantenimento del precedente regime cristallizzerebbe l elusione dell obbligo e, con esso, il mancato rispetto della normativa statale Oggetto di censure è, poi, l art. 3 della citata legge provinciale, nella parte in cui, al comma 1, stabilisce che «ai fini di migliorare lo stato di qualità ambientale dei corsi d acqua interessati, i titolari di due o più concessioni di derivazioni d acqua a scopo idroelettrico esistenti, relative ad impianti consecutivi, possono richiedere l accorpamento delle stesse», e, al comma 3, prescrive che, in tal caso, il termine di scadenza delle concessioni accorpate corrisponde alla scadenza della concessione accorpata con la durata residua più lunga. Tale norma, in quanto suscettibile di determinare in modo automatico la proroga di una o più delle concessioni di derivazione a scopo idroelettrico accorpate, si porrebbe in contrasto con l art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e con l art. 12, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo del 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell energia elettrica). Quest ultimo, in conformità ai principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di derivazione comunitaria, (su cui si è soffermata anche la Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 205 del 2011), stabilisce che l attribuzione della concessione deve avvenire tramite «una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione». A tal proposito il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che la legislazione provinciale è in ogni caso assoggettata agli obblighi internazionali e, quindi, ai vincoli derivanti dall appartenenza dell Italia all UE e che, comunque, nella materia dell affidamento delle concessioni di derivazione di acque a scopo idroelettrico la disciplina rientra nella competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza Viene altresì impugnato l art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto. Tale norma violerebbe il principio generale di inalienabilità dei beni demaniali ex artt. 822, 823 e 824 del codice civile, espressamente richiamato dall art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 ed evocato anche all art. 113, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull ordinamento degli enti locali), invadendo così la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile Sarebbero, inoltre, costituzionalmente illegittime anche le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1, nella parte in cui rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici. Tali disposizioni, non richiamando la Giunta all osservanza di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell uso dell energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (art. 11, comma 1, ed Allegato 3), violerebbero la competenza statale in materia di tutela dell ambiente. 4

21 1.6. Vengono, infine, impugnate le disposizioni di cui all art. 9, commi 6 e 7, nella parte in cui prevedono, ai fini dell isolamento termico degli edifici e dell utilizzo dell energia solare, la possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze previste dal codice civile, in contrasto con le disposizioni precettive di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968 n (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765). Dopo aver premesso che, in specie, l art. 9 del citato d.m. n. 1444, in tema di distanze fra edifici, costituisce, per giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato, sentenze n. 7731/2010 e n. 4374/2011), principio inderogabile della materia anche per Regioni e Province autonome che siano titolari di competenza esclusiva nella materia dell urbanistica, ed integra - come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 232 del 2005, sentenza n. 120 del 1996) - la disciplina privatistica delle distanze, il ricorrente sostiene che le disposizioni provinciali impugnate, non prevedendo il rispetto delle altezze e delle distanze di cui al suddetto decreto ministeriale contrastino con l art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. Le norme del predetto d.m. ed in specie l art. 9, secondo quanto riconosciuto dalla medesima Corte costituzionale (sentenza n. 232 del 2005) prevarrebbero, pertanto, sia sulla potestà legislativa regionale, sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni (Cass. civ., sentenza n del 2006), sia sull autonomia negoziale dei privati, in quanto a tutela di interessi pubblici che per loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (Consiglio Stato, sezione IV, n del 2007). L introduzione di deroghe da parte delle normative regionali o comunali (con l individuazione di distanze inferiori rispetto alla misura minima prescritta dal citato art. 9) sarebbe infatti consentita solo nell ambito della pianificazione urbanistica, come nell ipotesi di cui all art. 9, comma 3, del medesimo d.m., che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione (sentenza n. 232 del 2005). 2. Nel giudizio si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo che il ricorso in esame venga dichiarato (manifestamente) inammissibile oltre che, in ogni caso, manifestamente infondato Quanto alle censure di violazione dei principi dell ordinamento comunitario e di contrasto con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva competenza statale, aventi ad oggetto l art. 2, comma 10, della legge provinciale n. 4 del 2011, la Provincia ne deduce in primo luogo l inammissibilità, posto che, nel ricorso, i principi comunitari di cui si assume la violazione non sarebbero affatto indicati, mentre sarebbero solo genericamente richiamate le disposizioni in materia concorrenziale di matrice statale, senza che siano individuati «i termini di esplicazione della lamentata compressione delle prerogative dello Stato», né «le disposizioni normative cui occorra fare riferimento ai fini della valutazione della ricorrenza, o meno, di tale lesione». Posto che la norma impugnata costituisce risultato dell esercizio legittimo della competenza legislativa concorrente della Provincia in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e che la competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza costituisce limite all esercizio delle competenze legislative esclusive o residuali delle Regioni e Province autonome, non potendolo però precludere tout court, per il solo fatto che la disposizione provinciale o regionale abbia ricadute di natura concorrenziale (sentenze n. 246 del 2006, n. 183 del 2006, n. 336 del 2005, n. 232 del 2005, n. 259 del 2004, n. 407 del 2008), sarebbe stato necessario ai fini dell inquadramento della questione di costituzionalità - a parere della resistente - che il ricorrente individuasse i principi di matrice statale, dettati nella materia trasversale della tutela della concorrenza, ritenuti violati nella fattispecie. Tali censure sarebbero, comunque, anche infondate nel merito. La norma impugnata non conterrebbe la previsione di un meccanismo di rinnovo delle concessioni automatico o condizionato alla mera richiesta del concessionario uscente, ma di un ipotesi di rinnovo subordinata a valutazioni dell Amministrazione concedente fondate, in primis, sull indispensabile rispondenza del rinnovo stesso al superiore interesse pubblico. Pertanto, l eventuale violazione dei principi concorrenziali e di apertura al mercato non deriverebbe dalla norma in sé considerata, ma dall applicazione che della stessa dovesse farsi in ipotesi concrete, «pretermettendo la fase di selezione concorrenziale del contraente anche quando la scelta disposta in via diretta attraverso il rinnovo non si dimostri maggiormente confacente all interesse pubblico» Egualmente priva di fondamento sarebbe, secondo la Provincia, la censura di violazione dell art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. proposta nei confronti del medesimo art. 2, comma 10. Posto che la competenza a legiferare in via concorrente in materia di utilizzo delle acque pubbliche (art. 9, numero 9, statuto speciale), nonché in via primaria in materia di tutela del paesaggio (art. 8, numero 6, statuto speciale), è pacificamente di spettanza della Provincia, che la esercita con l unico obbligo del rispetto degli standard uniformi di protezione dell ambiente, validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo dalle Regioni (sentenze di questa Corte n. 246 del 2006, n. 183 del 2006, n. 336 del 2005, n. 232 del 2005, n. 259 del 2004, n. 407 del 2008), la resistente ritiene che, nella specie, tale unico limite sia stato rispettato. 5

22 Premesso che il Codice dell ambiente non disciplina espressamente l ipotesi di rinnovo delle autorizzazioni o concessioni riguardanti l attività avviata in un momento in cui non era prescritta la VIA, la Provincia sostiene che la norma censurata non incide sul regime di valutazione di impatto ambientale di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, cui devono essere assoggettati i progetti di opere finalizzate all utilizzo delle acque pubbliche, come sarebbe dimostrato dal fatto che l art. 3 della legge provinciale 30 settembre 2005, n. 7 (Norme in materia di utilizzazione di acque pubbliche e di impianti elettrici), che disciplina l istruttoria delle concessioni rinnovabili di cui si discute, al comma 6 -ter espressamente fa salva la procedura di VIA ove prevista. L impugnato art. 2, comma 10, non introdurrebbe nella legge provinciale n. 7 del 2005 un ipotesi di rinnovo automatico, ma subordinerebbe tale rinnovo alla verifica di precisi presupposti quali l assenza di un contrario interesse pubblico, la persistenza dei fini della derivazione e dell esercizio dell utenza, la non contrarietà al buon regime delle acque e la conformità allo stato della tecnica. Ai sensi dell art. 4 della citata legge provinciale n. 7 del 2005 si riconoscerebbe espressamente la facoltà dell amministrazione concedente di aggiungere o modificare prescrizioni tecniche senza obbligo di indennizzo, qualora esigenze di difesa del suolo, di tutela dell ambiente, della natura e del paesaggio o comunque di interesse pubblico lo richiedano. La Provincia, pertanto, conclude sul punto osservando che la norma censurata consentirebbe di «verificare se l attività a suo tempo assentita risulti ancora aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della proroga o del rinnovo del provvedimento di autorizzazione» (sentenza di questa Corte n. 67 del 2010), escludendo così ogni altro profilo di doglianza per pretesa inidoneità della stessa a garantire il rispetto del bene ambiente Anche le censure promosse nei confronti dell art. 3, commi 1 e 3, sarebbero ad avviso della Provincia prive di fondamento. L accorpamento delle concessioni previsto dalla norma provinciale, (che costituisce il risultato dell esercizio della competenza legislativa provinciale in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, oltre che in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, assunzione e gestione di servizi pubblici, urbanistica, tutela del paesaggio ed opere idrauliche), non determinerebbe alcuna violazione del principio di concorrenzialità, posto che non sono previsti meccanismi di proroga o rinnovo, ma viene semplicemente disposto, su richiesta dei concessionari, l accorpamento di concessioni consecutive, estendendosi alla nuova concessione il termine di durata residua della concessione più longeva. Alla scadenza della concessione accorpata, la Provincia rileva che potrà procedersi al collocamento sul mercato della concessione stessa, senza che ciò possa ritenersi precluso dal comma 1 dell art. 3 in esame. Le impugnate disposizioni, pertanto, non inciderebbero né sul regime di rinnovo delle concessioni, né su connesse esigenze a contenuto concorrenziale, e non potrebbero comunque ritenersi lesive di quanto previsto dal richiamato d.lgs. n. 79 del 1999, che ha ad oggetto le sole grandi derivazioni d acqua a scopo idroelettrico, presentando, quindi, un ambito di applicazione non sovrapponibile a quello del censurato art Nessuna lesione delle competenze statali in materia di ordinamento civile si determinerebbe, poi, per effetto dell impugnato art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto. La Provincia ricorda che l art. 68 dello statuto speciale stabilisce che «le Province, in corrispondenza delle nuove materie attribuite alla loro competenza, succedono, nell ambito del proprio territorio, nei beni e nei diritti demaniali e patrimoniali della Regione, esclusi in ogni caso quelli relativi al demanio militare, a servizi di carattere nazionale e a materie di competenza regionale». In attuazione di tale previsione l art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione), ha disposto il trasferimento del demanio idrico-statale alla Provincia. Considerato inoltre che le Province autonome sono dotate di competenza legislativa primaria in materia di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale e di opere idrauliche, oltre che delle connesse potestà amministrative, la resistente conclude nel senso della riconducibilità al demanio provinciale delle opere destinate al servizio di acquedotto e la sussistenza della competenza legislativa primaria nella relativa materia di afferenza. Alla luce di ciò, deve quindi escludersi, ad avviso della Provincia, la rilevanza e l applicabilità anche in ambito provinciale di quanto disposto dal legislatore statale con gli articoli del codice civile sul regime dei beni del demanio pubblico: l applicazione di tali norme, attraverso l imposizione di uno specifico e puntuale regime giuridico di beni rientranti nel patrimonio provinciale ed assoggettati alla potestà legislativa provinciale, determinerebbe l illegittima compressione della competenza provinciale. 6

23 2.4. Inammissibili oltre che infondate sarebbero, inoltre, le censure proposte nei confronti degli artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1, nella parte in cui rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici. La Provincia premette che ad essa spetta la competenza legislativa primaria in tema di miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere, nel cui alveo rientrano le risorse geotermiche, oggetto della disciplina provinciale impugnata (sentenza di questa Corte n. 65 del 2001) e che le norme di attuazione dello statuto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati) le hanno trasferito anche le attribuzioni statali in tema di miniere e, con il decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), tutte le funzioni inerenti alle attività di ricerca, stoccaggio, conservazione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia, ai sensi e nei limiti di cui agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale. A ciò si aggiunge la considerazione - prosegue ancora la Provincia - che anche la disciplina delle fonti rinnovabili e della loro integrazione negli edifici di nuova costruzione rientrerebbe nelle competenze statutariamente assegnate alla medesima Provincia in materia di tutela del paesaggio e di governo del proprio territorio. Le norme censurate costituirebbero, pertanto, ancora una volta, frutto dell esercizio legittimo delle proprie competenze legislative, il cui unico limite (esterno) sarebbe costituito dal rispetto degli standard di tutela dell ambiente stabiliti dal legislatore statale Infine, anche le questioni promosse nei confronti dell art. 9, commi 6 e 7, sarebbero secondo la Provincia prive di fondamento. Tali disposizioni, che prevedono, ai fini dell isolamento termico degli edifici e dell utilizzo dell energia solare, la possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previste dal d.m. n del 1968, si collocano in un articolato nel quale si precisa che la deroga opera in riferimento agli strumenti di pianificazione comunali ed ai relativi piani attuativi, con contestuale conferma della inderogabilità delle distanze imposte dal codice civile. In altri termini, osserva la resistente, le norme impugnate prevedono una sola ipotesi derogatoria e la riconducono unicamente alle distanze previste dagli strumenti urbanistici, in armonia con quanto riconosciuto dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 173 del 2011, dopo aver affermato che la disciplina della materia urbanistica rientra pacificamente nelle competenze legislative provinciali primarie, ha ritenuto legittima la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, «fatto salvo il rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati», rispetto che sarebbe garantito dalle norme censurate dal richiamo esplicito alle disposizioni del codice civile, che si integrano con le previsioni di cui al d.m. n del 1968, assoggettati al medesimo regime di inderogabilità. 3. Con memoria, depositata il 14 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le richieste di declaratoria di illegittimità costituzionale delle richiamate disposizioni della legge provinciale n. 4 del Nell imminenza dell udienza pubblica, la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato memoria, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari la manifesta inammissibilità, oltre che, in ogni caso, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità sollevate nei confronti degli artt. 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, 9, commi 4, alinea 1, e 6 e 7 della legge provinciale n. 4 del La Provincia, in particolare, con riferimento alle censure mosse nei confronti dell art. 2, comma 10, della legge provinciale n. 4 del 2011, segnala che l art. 16, comma 1, oggetto delle modifiche apportate dalla citata norma impugnata, è stato ulteriormente modificato proprio al fine di rendere maggiormente chiara la norma in esame, con l art. 24, comma 2, della legge provinciale 21 dicembre 2011 n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l anno finanziario 2012 e per il triennio Legge finanziaria 2012). A seguito di tale modifica la norma censurata ora dispone che «nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica e previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale o previa verifica di assoggettabilità a VIA, tutte le concessioni, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico, alla loro scadenza sono rinnovate per un periodo di 30 anni, fatta salva la fissazione di un termine più breve ai fini dell esame di misure necessarie al buon regime delle acque e per minimizzare l impatto ambientale, a condizione che sussistano i seguenti presupposti: non osti un superiore interesse pubblico, persistano i fini della derivazione e l utenza sia in esercizio e non sia contraria al buon regime delle acque, gli impianti siano conformi allo stato della tecnica e, in caso di acquedotti potabili, il comune acconsenta alla continuazione dell esercizio ai sensi dell articolo 13 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 e successive modifiche». Posto che la norma in esame, in pendenza di giudizio, non avrebbe trovato applicazione nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano, secondo la resistente sussisterebbero tutti i presupposti per una dichiarazione di cessazione della materia del contendere. 7

24 In ordine poi alle censure sollevate in riferimento all art. 5, comma 4, ed all art. 9, comma 4, alinea 1, della impugnata legge provinciale, la Provincia - ribadita l inidoneità lesiva delle disposizioni censurate che si limiterebbero ad individuare il soggetto competente a definire procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda e ad individuare i criteri di valutazione delle prestazioni energetiche degli edifici di nuova costruzione, senza fornire indirizzi o indicazioni di sorta che consentano di prefigurare la paventata violazione dei principi imposti con il d.lgs. n. 28 del richiama all attenzione la circostanza che detta norma è stata oggetto di ulteriori modifiche ad opera dell art. 25 della legge provinciale n. 15 del 2011, tali che l attuale formulazione del comma 1 -bis dell art. 19 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), come risultante dalla norma oggi impugnata, risulta la seguente: «Le sonde geotermiche in falda per la produzione di calore senza prelievo di acqua sono realizzate secondo le procedure e le direttive tecniche stabilite dalla Giunta provinciale nel rispetto delle norme in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche». Anche l art. 9, commi 6 e 7, della medesima legge provinciale n. 4 del 2011, -segnala ancora la resistente - è stato oggetto di precisazioni mediante l art. 26, comma 3, della legge provinciale n. 15 del 2011, il quale avrebbe confermato l inderogabilità delle distanze tra gli edifici imposte dal codice civile e relative norme connesse (d.m. n del 1968). 5. Infine, in data 9 marzo 2012, risulta depositato atto di intervento ad opponendum da parte di Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative. Considerato in diritto 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3 commi 1 e 3, 5 commi 1 e 4, 9, comma 4, alinea 1, e commi 6 e 7 ( recte : art. 9, comma 4, alinea 6 e 7), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento dell inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), in riferimento agli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in relazione all articolo 117, primo comma, e secondo comma, lettere e), l) ed s) della Costituzione. 2. In via preliminare, l intervento nel giudizio da parte di Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative, va dichiarato inammissibile. Indipendentemente dalla considerazione che l intervento è stato effettuato con atto del 9 marzo 2012, oltre il termine di cui all articolo 4 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale approvate il 16 marzo 1956, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn. 405 del 2008 e 469 del 2005). 3. Ciò posto, devono essere scrutinate le censure secondo l ordine ad esse attribuito dal ricorrente. 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri assume, in primo luogo, che l art. 2, comma 10, della legge provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui, modificando il comma 1 dell articolo 16 della legge provinciale 30 settembre 2005, n. 7 (Norme in materia di utilizzazione di acque pubbliche e di impianti elettrici), prevede il rinnovo automatico trentennale di tutte le concessioni alla loro scadenza, ad eccezione di quelle a scopo idroelettrico, violerebbe l art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con i principi dell ordinamento comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva competenza statale. La medesima norma, inoltre, violerebbe anche l art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto sarebbe difforme dalla disciplina stabilita in materia di ambiente, dato che non subordina il rinnovo delle concessioni di derivazioni di acqua alla procedura di valutazione di impatto ambientale (di seguito VIA), come previsto dagli Allegati alla Parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», in contrasto, in specie, con i punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II e con le lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, nonché con i punti nn. 1, lettera d), 7, lettera d), m) ed o), e 8, lettera t), dell Allegato IV La questione è fondata. 8

25 4.2. Preliminarmente, va disattesa l eccezione di inammissibilità sollevata dalla Provincia autonoma, secondo la quale, con riferimento alla violazione dell art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), Cost., il ricorrente non avrebbe indicato specificamente i principi comunitari e le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, che sarebbero violati dalla norma. La palese incidenza della disciplina censurata sulla materia della concorrenza e la evidente interferenza del disposto normativo rispetto ai principi generali, stabiliti dalla legislazione statale e comunitaria, della temporaneità delle concessioni e dell apertura alla concorrenza, rende, infatti, superflua ogni ulteriore specificazione delle singole norme di riferimento, trattandosi peraltro di norma che si muove pressoché integralmente nella materia della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva dello Stato Ancora in limine, va rilevato che, nonostante la disposizione impugnata sia stata modificata dall art. 24, comma 2, della legge provinciale 21 dicembre 2011, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l anno finanziario 2012 e per il triennio Legge finanziaria 2012), il contenuto normativo risultante appare sostanzialmente immodificato. Quest ultima norma ha, infatti, innovato l incipit del citato art. 2, comma 10, che ha modificato il comma 1 dell articolo 16 della citata legge provinciale n. 7 del 2005, attraverso l introduzione del seguente disposto: «nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica e previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale o previa verifica di assoggettabilità a VIA». Orbene, l evocato rispetto delle procedure di evidenza pubblica, nonché di VIA, appare inconciliabile con il disposto rinnovo automatico delle concessioni, che esclude in radice la partecipazione di altri soggetti economici e pertanto anche l incidenza di procedure di valutazione. La sostanziale identità precettiva della disposizione, nel testo da ultimo modificato dal citato art. 24, comma 2, fa sì che la questione di legittimità costituzionale - in forza del principio di effettività della tutela costituzionale - deve essere trasferita sulla norma nel testo risultante dalla modifica realizzata dall art. 24, comma 2, della legge provinciale n. 15 del 2011 (tra le molte, sentenza n. 40 del 2010) Nel merito, tale norma, nel disporre ex lege il rinnovo trentennale delle concessioni, si pone in contrasto con l art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), della Costituzione. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è infatti, inibito al legislatore regionale di disciplinare il rinnovo delle concessioni in violazione dei principi di temporaneità e di apertura alla concorrenza, impedendo «l accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori» (sentenze n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010). La disposizione in esame contrasta, inoltre, con la normativa statale vigente in materia di ambiente, pure evocata dal ricorrente, con riferimento, in particolare, ai punti nn. 13, 16 e 18 dell Allegato II e con le lettere b), t), af) e ag) dell Allegato III, nonché con i punti nn. 1, lettera d), 7, lettere d), m) ed o), e 8, lettere t), dell Allegato IV del d.lgs n. 152 del La proroga stabilita dalla disposizione finisce con l impedire, infatti, l espletamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale, inserendo nella relativa disciplina una regola difforme dalle previsioni vigenti, poste nell esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell ambiente. 5. Relativamente all articolo 3, commi 1 e 3, della legge provinciale n. 4 del 2011, il ricorrente assume che, consentendo l accorpamento di più concessioni di derivazione a scopo idroelettrico e determinando come unica scadenza quella relativa alla concessione più lunga, la norma violerebbe l art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, perché in contrasto con l art. 12, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell energia elettrica), il quale, in conformità ai principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di derivazione comunitaria, stabilisce che l attribuzione della concessione deve avvenire tramite «una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione» La questione è fondata Le disposizioni impugnate stabiliscono che, «ai fini di migliorare lo stato di qualità ambientale dei corsi d acqua interessati, i titolari di due o più concessioni di derivazioni d acqua a scopo idroelettrico esistenti, relative ad impianti consecutivi, possono richiedere l accorpamento delle stesse», e, in tal caso, il termine di scadenza delle concessioni corrisponde alla scadenza della concessione accorpata con la durata residua più lunga. 9

26 La disciplina censurata, indipendentemente dalla finalità espressa, è con evidenza suscettibile di determinare in modo automatico la proroga di una o più delle concessioni di derivazione a scopo idroelettrico accorpate, con il risultato di porsi in aperta violazione, per le concessioni più brevi, con l art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999, il quale, in conformità ai principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione, prevede espressamente la necessità di una gara ad evidenza pubblica. 6. Il ricorrente deduce, altresì, che l art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto, violerebbe l art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, nel cui ambito insisterebbe il principio generale di inalienabilità dei beni demaniali desunto dagli artt. 822, 823 ed 824 del codice civile, ed espressamente richiamato dall art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 nonché evocato anche all art. 113, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull ordinamento degli enti locali) La questione è fondata La disposizione impugnata sostituisce il comma 4 dell articolo 5 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), stabilendo che «gli enti locali, anche in forma associata, possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all esercizio dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione esclusivamente a consorzi, a società a prevalente o totale partecipazione pubblica, alle comunità comprensoriali costituite ai sensi della legge provinciale 20 marzo 1991, n. 7, e successive modifiche, o al comune sede di impianto. Nel caso di scioglimento di consorzi, la proprietà delle opere e degli impianti di interesse sovracomunale di cui al comma 1, lettera a), va trasferita a titolo gratuito ad una delle forme di collaborazione definite dalla Giunta provinciale ai sensi del comma 2 o al comune sede di impianto». La norma, attraverso la prevista possibilità di cessione delle infrastrutture idriche, chiaramente incide sul regime della proprietà di tali beni, che, a prescindere dalla titolarità, rientrano nella disciplina demaniale. È pur vero, infatti, come sostiene la Provincia, che il decreto del Presidente della Republica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione) ha disposto il trasferimento ad essa del demanio idrico statale, così che tutte le acque, superficiali e sotterranee, rientrano nel demanio provinciale e sono, conseguentemente, assoggettate all esercizio da parte della Provincia di tutte le attribuzioni proprie inerenti a tale demanio. Tuttavia, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, si deve ritenere che il settore resti disciplinato dall art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede il regime demaniale delle infrastrutture idriche e, quindi, la loro «inalienabilità se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge» e dalle norme del codice civile richiamate dal ricorrente. Siffatta disciplina statale impedisce, quindi, di modificare «il regime della proprietà di beni del demanio accidentale degli enti pubblici territoriali, trattandosi di materia ascrivibile all ordinamento civile, riservata dall art. 117, secondo comma, lettera l)» (in particolare, sentenza n. 320 del 2011), alla quale non può sottrarsi neppure la Provincia autonoma di Bolzano, non essendo rinvenibile alcun titolo competenziale specifico al riguardo. 7. Vengono poi sottoposti a giudizio di legittimità costituzionale gli artt. 5, comma 4, che aggiunge il comma 1 - bis all articolo 19 della legge provinciale n. 8 del 2002, e l art. 9, comma 4, alinea 1, che modifica il primo comma dell articolo 127 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 (Legge urbanistica provinciale), nella parte in cui rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici. Secondo il ricorrente, dette disposizioni, non richiamando la Giunta all osservanza di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell uso dell energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (art. 11 ed Allegato 3), violerebbero la competenza statale in materia di tutela dell ambiente e, quindi, l art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione Anche in questo caso, la norma risulta modificata dalla legge provinciale n. 15 del 2011, la quale, all art. 25, riformulando il comma 1 -bis dell art. 19 della legge provinciale n. 8 del 2002, ha precisato che le procedure e le direttive tecniche siano stabilite dalla Giunta provinciale nel rispetto delle norme in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche. La medesima legge ha, poi, disposto che le prestazioni energetiche determinate dalla Giunta provinciale, siano emanate anche nel rispetto dei principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici. 10

27 In virtù di tale intervento, la Giunta provinciale viene richiamata all osservanza di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell uso dell energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), proprio in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (art. 11, comma 1 ed Allegato 3). La disposizione in esame, a seguito della suindicata, sopravvenuta modifica, appare dunque pienamente satisfattiva delle ragioni dedotte dal ricorrente. Conseguentemente, in considerazione dell espressa dichiarazione di mancata applicazione della norma formulata dalla difesa della Provincia, nonché del breve lasso di tempo fra i due interventi normativi e della mancata definizione delle direttive tecniche in questione, va dichiarata la cessazione della materia del contendere. 8. Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l art. 9, commi 6 e 7 ( recte : art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, trattandosi dei commi 6 e 7 dell articolo 127 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, modificato dalla legge impugnata), nella parte in cui prevedono, ai fini dell isolamento termico degli edifici e dell utilizzo dell energia solare, la possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile. A suo avviso, dette disposizioni, non prevedendo il rispetto delle altezze e delle distanze di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), contrasterebbe con l art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione La questione è fondata In linea preliminare, va osservato che i commi 6 e 7 dell articolo 127 della legge provinciale n. 13 del 1997, nel testo modificato dalle disposizioni impugnate, così dispongono: «6. Ai fini dell isolamento termico degli edifici già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data, è possibile derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile. 7. La Giunta provinciale definisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione vale come misura per l utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tale fine si può derogare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché all indice di area coperta previsti nel piano urbanistico o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza verso il confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell altezza della facciata della veranda». Successivamente alla proposizione del ricorso, l art. 26, comma 3, della legge provinciale n. 15 del 2011, ha nuovamente modificato tali disposizioni, così sostituendole: «6. Ai fini dell isolamento termico per garantire le prestazioni energetiche, definite ai sensi del comma 2, degli edifici già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data, è permesso derogare nella misura massima di 20 centimetri alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile, salvo quanto disposto dalla normativa di attuazione della direttiva 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa all efficienza degli usi finali dell energia e i servizi. La deroga può essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti. 7. La Giunta provinciale definisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione vale come misura per l utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tal fine si può derogare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché all indice di area coperta previsti nel piano urbanistico, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza dal confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell altezza della facciata della veranda». Dal raffronto fra le disposizioni risulta evidente che l ultima modifica, dato il suo carattere sostanzialmente marginale, non incide in modo significativo sul contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, e certamente non ha contenuto satisfattivo, per cui la questione va trasferita sulla nuova norma, in applicazione del succitato principio di effettività della tutela costituzionale La censura verte sul mancato richiamo al rispetto delle norme sulle distanze fra edifici, integrative del codice civile e, in particolare, dell art. 9 del citato d.m. n del In tale ambito, questa Corte ha in più occasioni precisato che le norme in materia di distanze fra edifici costituiscono principio inderogabile che integra la disciplina privatistica delle distanze. 11

28 In particolare, data la connessione e le interferenze tra interessi privati e interessi pubblici in tema di distanze tra costruzioni, l assetto costituzionale delle competenze in materia di governo del territorio interferisce con la competenza esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime, sicché le Regioni devono esercitare le loro funzioni nel rispetto dei principi della legislazione statale, potendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori. Le deroghe alle distanze minime, poi, devono essere inserite in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, poiché la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati (sentenza n. 232 del 2005). Nel caso di specie, la norma in questione, attraverso il mero richiamo delle norme del codice civile, è suscettibile di consentire l introduzione di deroghe particolari in grado di discostarsi dalle distanze di cui all art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell art. 41 -quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante «Legge urbanistica» (introdotto dall art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente, per giurisprudenza consolidata, un efficacia precettiva e inderogabile. In quanto tali deroghe non attengono all assetto urbanistico complessivo delle zone di cui si verte, il mancato richiamo alle norme statali vincolanti per la Provincia, determina l illegittimità costituzionale delle relative norme per violazione dell art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., avendo invaso la competenza statale in materia di ordinamento civile. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibile l intervento spiegato in giudizio dalla Federterme, Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative; 2) dichiara l illegittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, comma 1, 9, comma 4, alinea 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento dell inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica); 3) dichiara l illegittimità costituzionale degli articoli 24, comma 2, e 26, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l anno finanziario 2012 e per il triennio Legge finanziaria 2012); 4) dichiara cessata la materia del contendere, con riferimento all articolo 5, comma 4, ed all articolo 9, comma 4, alinea 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento dell inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

29 N. 115 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Sentenza 7-10 maggio 2012 Sanità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Ricorso del Governo - Parametri statutari inconferenti ed apoditticamente evocati - Inammissibilità della questione. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, artt. 4, 5 e 10. Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia, artt. 4, 5, 6 e 7. Sanità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Predisposizione di campagne di informazione rivolte ai cittadini su base regionale, istituzione di strutture addette al coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore, disciplina dei programmi di sviluppo in ambito regionale - Ricorso del Governo - Asserito contrasto con la normativa statale di riferimento, espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica - Insussistenza - Non fondatezza della questione. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, artt. 4, 5 e 10. Costituzione, art. 117, terzo comma; legge 15 marzo 2010, n. 38, art. 5, comma 5. Sanità pubblica - Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Friuli Venezia Giulia - Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore - Disposizioni finanziarie - Omessa quantificazione e copertura degli oneri finanziari, secondo le regole contabili - Violazione del principio finanziario secondo cui la riduzione di precedenti autorizzazioni deve essere sempre espressa e analiticamente quantificata, in quanto idonea a compensare esattamente gli oneri indotti dalla nuova previsione legislativa - Violazione dell obbligo, ancor più indefettibile in presenza di oneri pluriennali, di analitiche quantificazioni delle diverse spese su partite di bilancio promiscue - Illegittimità costituzionale - Obbligo di contenimento degli oneri introdotti dalle norme impugnate, fino a nuova legittima copertura dell eventuale eccedenza, entro i limiti di stanziamento delle pertinenti poste del bilancio dell esercizio Assorbimento delle ulteriori censure. Legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10, art. 15. Costituzione, art. 81, quarto comma (art. 117, terzo comma). LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 10 e 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10 (Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17 settembre 2011, depositato in cancelleria il 26 settembre 2011 ed iscritto al n. 107 del registro ricorsi Visto l atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; udito nell udienza pubblica del 3 aprile 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi; uditi l avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri e l avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 13

30 Ritenuto in fatto 1. Con ricorso notificato in data 17 settembre 2011 il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 10 e 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10 (Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), pubblicata nel B.U.R. n. 29 del 20 luglio Tale legge disciplina gli interventi di competenza regionale in attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 (Disposizioni per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore). In particolare, l art. 4 della legge impugnata, nel comma 1, regola le campagne di informazione nei seguenti termini: «La Direzione centrale competente in materia di tutela della salute promuove la realizzazione di campagne istituzionali di comunicazione destinate a informare i cittadini sulle modalità e sui criteri di accesso alle prestazioni e ai programmi di assistenza in materia di cure palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative, anche attraverso il coinvolgimento e la collaborazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, delle farmacie pubbliche e private, nonché delle associazioni senza scopo di lucro impegnate nella tutela dei diritti in ambito sanitario, operanti nella lotta contro il dolore e nell assistenza nel settore delle cure palliative». L art. 5 istituisce, presso la direzione centrale competente in materia di tutela della salute, il coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore, definendone i compiti. L art. 10, nel comma 1, stabilisce che: «La Regione promuove programmi specifici di sviluppo delle cure palliative presso le aziende per i servizi sanitari, riservando la priorità ai progetti di riduzione dei ricoveri ospedalieri inappropriati verso le altre forme di assistenza». L art. 15 detta le disposizioni finanziarie, prescrivendo che: «Gli eventuali oneri derivanti dal disposto di cui agli articoli 4 e 10 fanno carico all unità di bilancio e al capitolo 4362 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni e del bilancio per l anno 2011» (comma 1), e che «gli eventuali oneri derivanti dal disposto di cui all articolo 5 fanno carico all unità di bilancio e al capitolo 4721 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni e del bilancio per l anno 2011» (comma 2). 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l illegittimità costituzionale di dette norme per violazione dell art. 117, terzo comma, della Costituzione, nonché degli artt. 4, 5, 6 e 7 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). Osserva in proposito il Presidente del Consiglio dei ministri che la legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011 prevede che le campagne istituzionali di informazione (art. 4), il coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore (art. 5) ed i programmi di sviluppo delle cure palliative (art. 10) possano determinare «eventuali oneri» a carico del bilancio regionale (art. 15). Tuttavia, tali oneri non sono contemplati - ed anzi risulterebbero espressamente esclusi - dalla legge n. 38 del Infatti, l art. 5, comma 5, di detta legge, nel fissare i principi in materia di accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore, stabilisce che all attuazione della legge si provvede, ai sensi dell art. 12, comma 2 (copertura finanziaria), «nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Pertanto, la normativa regionale censurata contrasterebbe con la legge statale, laddove essa costituisce espressione del principio di coordinamento della finanza pubblica, materia di competenza concorrente ai sensi dell art. 117, terzo comma, Cost. Ne discende che il mancato rispetto della normativa statale di principio, parametro interposto tra il testo costituzionale e la legge regionale, si porrebbe in contrasto con le competenze legislative statutarie e con l art. 117, terzo comma, Cost Con ulteriore riguardo all art. 15 della legge regionale impugnata, il ricorrente deduce la violazione dell art. 81, quarto comma, Cost., in quanto tale disposizione non quantificherebbe, neppure in via indicativa, gli oneri derivanti dall attuazione degli artt. 4, 5 e 10, né avrebbe previsto espressamente i mezzi di copertura finanziaria, secondo le modalità di cui all art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica). Osserva in proposito la Presidenza del Consiglio dei ministri che la normativa introdotta dal legislatore regionale comporta indubbiamente nuove spese. Infatti, non solo la stessa legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011 menziona gli «eventuali oneri» a carico del bilancio pluriennale (art. 15), ma appare difficilmente contestabile che «le campagne di informazione» (art. 4), l istituzione del «coordinamento regionale» (art. 5), nonché l attivazione dei «programmi di sviluppo delle cure palliative» (art. 10) necessitino, per la loro realizzazione, del relativo mezzo di copertura finanziaria. Nondimeno, nell ambito della legge impugnata le misure introdotte dal legislatore regionale agli artt. 4, 5 e 10 sono assolutamente prive della dovuta specifica copertura finanziaria: manca ogni riferimento alla consistenza dei progetti da attuare ed alle risorse con cui finanziarli. 14

31 Poiché la copertura di tali spese non può essere disposta con successivi provvedimenti attuativi - in quanto è la stessa legge regionale, come ha avuto modo di stabilire la Corte costituzionale, a costituire la loro fonte primaria - ne deriverebbe anche il contrasto con l art. 81, quarto comma, Cost., nella misura in cui la potestà legislativa regionale viene esercitata in violazione dell obbligo di copertura finanziaria di una legge di spesa, gravante anche sul legislatore regionale secondo il consolidato orientamento espresso dalla Corte costituzionale. 3. Si è costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che il ricorso venga respinto. Essa, anzitutto, eccepisce l inammissibilità dell impugnazione degli articoli 4, 5 e 10. Osserva che la legge n. 38 del 2010 è rivolta a tutelare «il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore» (art. 1, comma 1) e che tale diritto è tutelato «nell ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell 8 febbraio 2002, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l equità nell accesso all assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni» (art. 1, comma 2). La legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011, introducendo nell ordinamento regionale le norme sostanziali e organizzative necessarie per dare tutela a tale diritto, anche in ossequio al principio di uguaglianza tra i cittadini, conterrebbe disposizioni costituzionalmente necessarie, in forza del parametro interposto della legge statale. Quindi, secondo la difesa regionale, quand anche fosse illegittima la norma finanziaria dell art. 15, la Regione dovrebbe ugualmente dettare le norme impugnate ed attuarle nel quadro del finanziamento esistente. Osserva inoltre la Regione che il ricorrente non motiva in ordine al contrasto tra le norme impugnate ed i parametri rappresentati dagli artt. 4, 5, 6 e 7 dello statuto speciale, nemmeno quanto alla materia di riferimento tra tutte quelle ivi menzionate La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ritiene che la prima censura statale sia frutto di un errata comprensione sia della normativa statale che di quella regionale. Rileva in proposito che, quanto alla normativa statale, essa provvede alle spese derivanti dalla legge n. 38 del 2010 attraverso l apposita quota del Fondo sanitario nazionale di importo non inferiore ad euro , stabilita dal CIPE d intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell art. 12, comma 2. Se dunque è vero che non vi debbono essere «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», ciò è perché vi sono risorse anche finanziarie «disponibili a legislazione vigente», come prevede l art. 5, comma 5, della legge statale. Nondimeno la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia non partecipa del Fondo sanitario nazionale, ma provvede al finanziamento del servizio sanitario regionale con le risorse del proprio bilancio, ai sensi dell art. 1, comma 144, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Per quanto sopra la resistente, con la legge impugnata, avrebbe provveduto ad istituire un meccanismo corrispondente a quello previsto dalla legge dello Stato, disponendo all art. 15 che gli eventuali oneri derivanti dal disposto di cui agli artt. 4 e 10 fanno carico a ben individuate unità e capitoli del proprio bilancio, già esistente, e quindi poggiano su risorse già quantificate, che non vengono affatto aumentate dalla legge n. 10 del Ulteriori argomenti sono stati svolti dalla difesa regionale nella memoria depositata in vista dell udienza pubblica. Innanzi tutto, precisa la Regione che il ricorso dello Stato riferisce inesattamente il contenuto dell art. 5, comma 5, della legge n. 38 del 2010: difatti esso non pone limiti finanziari all attuazione della legge, ma solamente «all attuazione del presente articolo». L art. 5, comma 5, della legge n. 38 del 2010 non costituirebbe affatto un principio fondamentale della materia, volto a limitare le spese nel settore delle cure palliative e della terapia del dolore, ma rappresenterebbe solo una regola riguardante le specifiche attività ivi contemplate, che sono diverse rispetto a quelle oggetto degli artt. 4, 5 e 10 della legge impugnata. Ne discenderebbe che il primo motivo di ricorso dovrebbe ritenersi infondato anche per la non pertinenza del parametro interposto invocato, e, nei termini in cui è invocato, per l inesistenza del parametro stesso. Inoltre, prosegue la resistente, non sarebbe ammissibile che la legge statale ponga limiti ad una voce specifica della spesa sanitaria che è interamente a carico del bilancio regionale: sia perché lo Stato non ha «titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta» dall ente ad autonomia speciale sia perché il generale divieto di nuovi oneri (erroneamente imputato all art. 5, comma 5) sarebbe una norma di dettaglio e non di principio, traducendosi in un vincolo puntuale e non temporaneo ad una specifica voce di spesa. 15

32 3.2. La Regione eccepisce l infondatezza della seconda censura, là dove, relativamente al parametro dell art. 81, quarto comma, Cost., lo Stato evidenzia che l art. 15 della legge regionale impugnata non quantificherebbe, neppure in via indicativa, gli oneri derivanti dall attuazione degli artt. 4, 5 e 10 e non prevedrebbe espressamente, attraverso le modalità di cui all art. 17 della legge n. 196 del 2009, i mezzi di copertura finanziaria. Al riguardo la Regione pone in evidenza che tutte le sentenze della Corte citate nel ricorso avevano ad oggetto fattispecie diverse da quella in esame, cioè casi di leggi regionali che non indicavano alcuna copertura finanziaria o la indicavano in modo generico. L art. 15 della legge impugnata, invece, indica espressamente che gli eventuali oneri derivanti dal disposto di cui agli artt. 4 e 10 fanno carico a determinate unità di bilancio ed a precisi capitoli dello stato di previsione della spesa, sia con riguardo al bilancio per l anno 2011 che al bilancio pluriennale per gli anni , trattandosi comunque di capitoli aventi disponibilità. In tal modo, secondo la Regione, si deve ritenere che la previsione di copertura dettata nell art. 15 soddisfi pienamente il principio che emerge dalla giurisprudenza costituzionale, cioè quello secondo il quale la copertura di nuove spese deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri. Il riferimento ai capitoli di bilancio, precisamente individuati, in questa prospettiva, varrebbe anche ad indicarne i limiti, coincidenti con le risorse disponibili nel capitolo La Regione ritiene parimenti infondata l ulteriore censura rivolta all art. 15, in quanto tale disposizione non indicherebbe la copertura finanziaria «attraverso le modalità previste dall art. 17» della legge n. 196 del 2009, il quale stabilisce che «la copertura finanziaria delle leggi che comportino nuovi o maggiori oneri, ovvero minori entrate, è determinata esclusivamente attraverso le seguenti modalità: a) mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali previsti dall articolo 18, restando precluso sia l utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e debitorie e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali; b) mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa; c) mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate». La Regione ritiene anzitutto la censura infondata per inconferenza del parametro, poiché l art. 17 riguarderebbe chiaramente le sole leggi statali. Ciò risulterebbe dal comma 1, lettera a) - che rinvia all art. 18, relativo ai fondi speciali statali - e da tutti gli altri commi (eccetto il comma 6), che sono rivolti solo ad organi statali (o comunque ad enti non territoriali). Alle Regioni, prosegue la resistente, si applicherebbe invece l art. 19, comma 2, il quale dispone: «Ai sensi dell articolo 81, quarto comma, della Costituzione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono tenute a indicare la copertura finanziaria alle leggi che prevedano nuovi o maggiori oneri a carico della loro finanza e della finanza di altre amministrazioni pubbliche anche attraverso il conferimento di nuove funzioni o la disciplina delle funzioni ad esse attribuite. A tal fine utilizzano le metodologie di copertura previste dall articolo 17». Alle Regioni ad autonomia speciale si riferirebbe altresì l art. 1, comma 5, secondo cui «le disposizioni della presente legge si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto di quanto previsto dai relativi statuti». Quindi, la copertura finanziaria delle leggi regionali e delle leggi delle Regioni a statuto speciale avrebbe nella legge n. 196 del 2009 una propria disciplina, non invocata come parametro nel ricorso. Difatti, l art. 19, comma 2, non rinvia alle specifiche modalità di cui all art. 17, ma alle metodologie di copertura da esso previste. In sostanza, per assicurare la compatibilità con l art. 117, terzo comma, Cost., gli artt. 17, comma 1, e 19, comma 2, andrebbero, dunque, intesi nel senso che da essi le Regioni devono ricavare principi al fine di dare attuazione all art. 81, quarto comma, Cost. Tanto dedotto, secondo la Regione autonoma, l art. 15 della legge impugnata rispetterebbe pienamente la metodologia di cui all art. 17. Esso stabilisce infatti che «gli eventuali oneri» derivanti dagli artt. 4, 5 e 10 «fanno carico» a determinati capitoli del bilancio regionale. In tal modo, utilizzando risorse già destinate all attuazione di certe norme legislative, in determinati settori (come risulta anche dall estratto del bilancio regionale, prodotto in atti, dal quale emergono tutte le norme legislative di spesa che afferiscono ai capitoli in questione), l art. 15 della legge regionale n. 10 del 2011 inevitabilmente riduce le risorse disponibili per quegli scopi e, quindi, indica la copertura finanziaria con una metodologia che si ispira all art. 17, comma 1, lettera b), della legge n. 196 del Del resto, si obietta ulteriormente, lo stesso art. 12, comma 2, della legge n. 38 del 2010 utilizza una modalità analoga a fini di copertura finanziaria Infine, con riguardo al punto 2 del ricorso, laddove si censura la mancata quantificazione delle spese che deriveranno dagli artt. 4, 5 e 10 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011, la Regione ne evidenzia l infondatezza perché l art. 81, quarto comma, Cost. stabilisce solo che «ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». Dunque, la Costituzione non richiederebbe la precisa quantifi- 16

33 cazione della spesa, ma solamente che la legge indichi una copertura credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri. Facendo riferimento a precisi capitoli di spesa, che trovano copertura nelle voci di entrata del bilancio regionale, l art. 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia avrebbe dato una seria copertura degli eventuali oneri ed avrebbe anche fissato il loro limite, rappresentato dall entità del capitolo e dalla coesistenza di altre spese ad esso imputate. Inoltre, secondo la difesa regionale, l art. 15 sarebbe coerente con la legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 8 agosto 2007, n. 21 (Norme in materia di programmazione finanziaria e di contabilità regionale), che detta anche norme attuative dell art. 81, quarto comma, Cost. (in particolare si richiamano gli artt. 10 e 11 di tale legge). In proposito, si evidenzia che gli artt. 4, 5 e 10 della legge oggetto della censura statale rientrerebbero nella fattispecie di cui all art. 11, comma 1, lettera a), della predetta legge n. 21 del 2007, secondo cui «le leggi regionali che comportano spese a carattere pluriennale si distinguono, in funzione delle cause da cui deriva la pluriennalità della spesa, in: a) leggi che autorizzano spese per attività o interventi a carattere continuativo o ricorrente; b) leggi che autorizzano spese per opere, programmi o interventi la cui esecuzione si protrae per più esercizi; c) leggi che autorizzano limiti d impegno per l assunzione di obbligazioni pluriennali». Ed il comma 2 del medesimo art. 11 dispone che «le leggi che autorizzano attività o interventi a carattere continuativo o ricorrente determinano, di norma, soltanto gli obiettivi da raggiungere e le procedure da seguire rinviando alla legge finanziaria la determinazione dell entità della relativa spesa». Tale norma, osserva la difesa regionale, è pacificamente vigente e non è stata contestata dal Presidente del Consiglio dei ministri, né comunque vi sarebbe alcuna ragione per farlo, dato che essa corrisponderebbe all art. 3, comma 1, del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), secondo cui «le leggi regionali che prevedono attività o interventi a carattere continuativo o ricorrente determinano le procedure da seguire, rinviando alla legge di bilancio la quantificazione della relativa spesa». Correttamente, dunque, sostiene la Regione, l art. 15 non avrebbe quantificato l esatto ammontare delle spese in questione, indicate come eventuali e - data la loro tipologia - non quantificabili con precisione da parte della legge medesima. D altro canto, conclude sul punto la difesa regionale, anche l art. 12, comma 2, della legge n. 38 del 2010 non determina con precisione la spesa necessaria «per la realizzazione delle finalità di cui alla presente legge». Per tutti questi motivi la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia conclude chiedendo che il ricorso sia respinto siccome inammissibile ed infondato. Considerato in diritto 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 4, 5, 10 e 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10 (Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), in relazione all art. 117, terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4, 5, 6 e 7 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). L art. 15 di detta legge è stato poi impugnato con riferimento all art. 81, quarto comma, Cost. Per quanto riguarda il preteso contrasto con l art. 117, terzo comma, Cost., il ricorrente invoca il parametro interposto costituito dall art. 5, comma 5, della legge 15 marzo 2010, n. 38 (Disposizioni per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), perché le norme impugnate, nel disciplinare i servizi finalizzati a garantire l accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore, ed in particolare le campagne istituzionali di informazione (art. 4), il coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore (art. 5) ed i programmi di sviluppo delle cure palliative (art. 10), determinerebbero nuovi oneri per la finanza pubblica (art. 15). Gli oneri derivanti dal combinato disposto degli artt. 4, 5, 10 e 15 della legge regionale impugnata non sarebbero compatibili con il dettato dell art. 5, comma 5, della citata legge n. 38 del 2010 il quale, nel fissare i principi in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, stabilirebbe che la relativa attuazione debba avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in tal modo esprimendo un indefettibile principio di coordinamento della stessa. 17

34 Il mancato rispetto della normativa statale di principio si porrebbe altresì in contrasto con le competenze legislative statutarie. La Regione autonoma eccepisce che la legge statale n. 38 del 2010 sarebbe rivolta a tutelare il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore e che tale diritto sarebbe garantito nell ambito dei livelli essenziali di assistenza, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre Il richiamo all invarianza della spesa, di cui all art. 5, comma 5, della legge statale, sarebbe rivolto solo all istituendo servizio delle reti nazionali e comunque riguarderebbe le relazioni finanziarie tra Stato e Regioni a statuto ordinario, senza alcuna connessione con quelle inerenti alle Regioni a statuto speciale come il Friuli-Venezia Giulia. L art. 15 della legge regionale impugnata viene censurato anche in riferimento all art. 81, quarto comma, Cost. Secondo il ricorrente la disposizione non stimerebbe gli oneri derivanti dall attuazione di quanto previsto agli artt. 4, 5 e 10 e non indicherebbe i mezzi di copertura finanziaria. I principi dell art. 81, quarto comma, Cost. vengono invocati sia direttamente che attraverso la norma interposta individuata nell art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica). Secondo la Regione autonoma l art. 15 della legge impugnata, indicando i capitoli di imputazione delle eventuali spese, rispetterebbe pienamente il principio di copertura poiché dette poste di bilancio presenterebbero la necessaria disponibilità. Inoltre, l individuazione della norma interposta sarebbe errata, perché l art. 17 della legge n. 196 del 2009 disciplina i sistemi di copertura delle leggi statali e non di quelle regionali. 2. La questione relativa agli artt. 4, 5 e 10 della legge regionale, sollevata in riferimento agli artt. 4, 5, 6 e 7 della legge costituzionale n. 1 del 1963, è inammissibile. Con riguardo a detti parametri, è assente nel ricorso un idoneo percorso argomentativo in grado di collegare il loro richiamo alla pretesa illegittimità delle norme impugnate. Gli articoli dello statuto così apoditticamente invocati riguardano inoltre competenze legislative della Regione autonoma in materie distinte da quella cui inerisce il ricorso. Quest ultima attiene alla garanzia dei livelli essenziali di alcune prestazioni sanitarie, che devono essere assicurate dalle Regioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, rispettando gli standard minimi determinati dalla legislazione statale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). 3. È invece infondata la censura nei confronti delle medesime norme in riferimento all art. 117, terzo comma, Cost. Secondo il ricorrente, l art. 5, comma 5, della legge statale n. 38 del 2010, la quale detta disposizioni per garantire l accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore, sarebbe espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell art. 117, terzo comma, Cost. e, in quanto tale, vincolante nel prescrivere l invarianza della spesa pubblica per assicurare su tutto il territorio nazionale le prestazioni sanitarie minime di cui alla stessa legge statale. L assunto non può essere condiviso: la legge statale n. 38 del 2010 è finalizzata a tutelare il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore (art. 1, comma 1) nell ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre A differenza di quanto ritenuto dal ricorrente, l art. 5, comma 5, di detta legge non pone limiti finanziari alla sua attuazione da parte delle Regioni, ma solo alla disciplina delle reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore. Esso regola un attività di rilevazione, svolta dal Ministero della salute e già negoziata in sede di Conferenza Stato- Regioni, per individuare le figure professionali con specifiche competenze ed esperienze nel campo delle predette cure e le tipologie di strutture nelle quali le due reti si articolano a livello regionale, nonché le modalità per assicurare il coordinamento delle due reti a livello nazionale e regionale. Dunque l art. 5, comma 5, non pone un principio generale volto a contenere le spese nel settore delle cure in questione, ma fissa solo un limite in relazione al costo delle specifiche attività contemplate nella stessa norma, a loro volta diverse e distinte da quelle regolate dagli artt. 4, 5 e 10 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del

35 Queste ultime, infatti, consistono in adempimenti attuativi, di carattere organizzativo, dei principi espressi dalla legge n. 38 del 2010 consistenti nella predisposizione di campagne di informazione rivolte ai cittadini su base regionale (art. 4), nella istituzione di strutture addette al coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore (art. 5) e nella disciplina dei programmi di sviluppo delle cure palliative, anch essi in ambito regionale (art. 10). In ogni caso, la norma invocata dal ricorrente quale parametro interposto regola la copertura delle spese afferenti alle reti nazionali con una quota del Fondo sanitario nazionale e non si riferisce certamente al bilancio della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che non fruisce del finanziamento del fondo stesso. Peraltro, è già stato osservato da questa Corte che quando lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, non «ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta» da questi soggetti (sentenza n. 341 del 2009). 4. La censura rivolta all art. 15 in riferimento all art. 81, quarto comma, Cost. è fondata. L eccepita inconferenza del parametro interposto, erroneamente individuato dallo Stato nell art. 17 della legge n. 196 del 2009, anziché nel pertinente successivo art. 19, non preclude l applicazione al caso di specie dell art. 81, quarto comma, Cost. che è stato invocato anche in via diretta dall Avvocatura. La sua formulazione non lascia dubbi sul fatto che la legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011, in quanto nuova e latrice di oneri, debba individuare, sia pure in via presuntiva, i mezzi finanziari necessari per la sua attuazione. Il rispetto di questo precetto costituzionale comporta infatti l onere di provare la copertura delle spese conseguenti all adozione di una legge, ogniqualvolta in essa siano previsti - ancorché sotto forma di riorganizzazione delle strutture esistenti - nuovi servizi e nuove dotazioni di risorse umane e tecniche (sentenza n. 141 del 2010). Come è stato già affermato da questa Corte, non «si può assumere che mancando nella legge ogni indicazione della così detta copertura, cioè dei mezzi per far fronte alla nuova o maggiore spesa, si debba per questo solo fatto presumere che la legge non implichi nessun onere o nessun maggiore onere. La mancanza o l esistenza di un onere si desume dall oggetto della legge e dal contenuto di essa» (sentenza n. 30 del 1959). Nella fattispecie in esame lo stesso legislatore regionale ammette, peraltro, la possibilità di un ulteriore fabbisogno finanziario rispetto agli stanziamenti delle partite, cui vengono imputati gli oneri afferenti allo svolgimento dei nuovi servizi. Ove la nuova spesa si ritenga sostenibile senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse, per effetto di una più efficiente e sinergica utilizzazione delle somme allocate nella stessa partita di bilancio per promiscue finalità, la pretesa autosufficienza non può comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostrazione economica e contabile. Essa consiste, come già affermato da questa Corte, nella chiara quantificazione - con riguardo alle partite di bilancio, ove si assume un eccedenza di risorse utilizzabili per la nuova o maggiore spesa - degli oneri presumibilmente ad essa conseguenti e della relativa copertura (sentenza n. 30 del 1959). Non può essere condivisa la tesi della Regione autonoma resistente, secondo cui costituirebbe sufficiente ottemperanza al principio di copertura dell art. 81, quarto comma, Cost., la formale indicazione di poste di bilancio dell esercizio in corso ove convivono, in modo promiscuo ed indistinto sotto il profilo della pertinente quantificazione, i finanziamenti di precedenti leggi regionali. Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare (sentenza n. 70 del 2012) che l equilibrio tendenziale dei bilanci pubblici non si realizza soltanto attraverso il rispetto del meccanismo autorizzatorio della spesa, il quale viene salvaguardato dal limite dello stanziamento di bilancio, ma anche mediante la preventiva quantificazione e copertura degli oneri derivanti da nuove disposizioni. La stima e la copertura in sede preventiva, effettuate in modo credibile e ragionevolmente argomentato secondo le regole dell esperienza e della pratica contabile, salvaguardano la gestione finanziaria dalle inevitabili sopravvenienze passive che conseguono all avvio di nuove attività e servizi. Non convince in proposito l argomentazione regionale per cui la nuova imputazione sulle poste del bilancio 2011 e del bilancio triennale comporterebbe un implicita ed automatica riduzione degli oneri delle leggi antecedenti ad esse correlate. 19

36 La riduzione di precedenti autorizzazioni deve essere sempre espressa e analiticamente quantificata, in quanto idonea a compensare esattamente gli oneri indotti dalla nuova previsione legislativa. Si tratta di un principio finanziario immanente all ordinamento, enunciato esplicitamente all art. 81, quarto comma, Cost., di diretta applicazione secondo la costante interpretazione di questa Corte. Gli allegati al bilancio annuale e pluriennale dell esercizio 2011 della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia evidenziano, invece, con riguardo alle due partite di spesa richiamate dalla legge regionale n. 10 del 2011, l elencazione di una serie di disposizioni normative precedenti che su di esse gravano in modo indistinto. Detto richiamo è formulato, già in sede di redazione del bilancio preventivo, in modo descrittivo senza analitica ponderazione dell incidenza economica di ciascuna legge sul complesso dello stanziamento. Questa lacuna, già presente in sede di redazione del bilancio 2011, tanto meno può giustificare l implicita sommatoria degli effetti finanziari della nuova legge ivi imputata. Nel caso in esame l esigenza del rispetto di analitiche quantificazioni delle diverse spese su partite di bilancio promiscue appare ancor più indefettibile in presenza di attività che impegneranno il bilancio della Regione in modo continuativo negli esercizi futuri (sull obbligo rafforzato di copertura per gli oneri pluriennali, ex plurimis, sentenze n. 272 del 2011, n. 100 del 2010 e n. 213 del 2008). Dunque l art. 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011 deve essere dichiarato illegittimo per contrasto con l art. 81, quarto comma, Cost. e gli oneri conseguenti ai servizi introdotti dagli artt. 4, 5 e 10 della stessa legge devono essere contenuti - fino a nuova legittima copertura dell eventuale eccedenza - entro i limiti di stanziamento delle pertinenti poste del bilancio dell esercizio Restano assorbite le altre censure proposte nei confronti dell art. 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l illegittimità costituzionale dell articolo 15 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 2011, n. 10 (Interventi per garantire l accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore); 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 10 della stessa legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011, sollevata in riferimento agli artt. 4, 5, 6 e 7 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 10 della medesima legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2011, sollevata in riferimento all art. 117, terzo comma, Cost. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Aldo CAROSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

37 N. 116 Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Caccia - Norme della Regione Marche - Autorizzazione all esercizio cumulativo di diverse forme di caccia - Contrasto con la normativa statale che, nel fissare uno standard minimo di tutela da applicare sull intero territorio nazionale, stabilisce che l esercizio della caccia può essere praticato in una sola delle forme ivi previste (c.d. principio della caccia di specializzazione) - Introduzione di una deroga che implica una soglia inferiore di tutela - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Illegittimità costituzionale. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 22, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 12, comma 5. Caccia - Norme della Regione Marche - Approvazione del calendario venatorio regionale - Proposta della Giunta regionale, sentiti l OFR e l ISPRA, al Consiglio regionale, entro il 31 maggio - Ricorso del Governo - Asserita previsione dell approvazione del calendario venatorio regionale con legge - Interpretazione erronea - Non fondatezza della questione. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 26, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s). Caccia - Norme della Regione Marche - Approvazione del calendario venatorio regionale - Validità minima annuale e massima triennale - Contrasto con la normativa statale che impone la cadenza annuale del calendario venatorio - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell ambiente - Necessità di adeguamento alla previsione statale - Illegittimità costituzionale in parte qua. Legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, art. 26, comma 1. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) ; legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18, comma 4. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell equilibrio ambientale e disciplina dell attività venatoria)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il settembre 2011, depositato in cancelleria il 29 settembre 2011 ed iscritto al n. 110 del registro ricorsi Visto l atto di costituzione della Regione Marche; udito nell udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo; uditi l avvocato dello Stato Lorenzo D Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l avvocato Stefano Grassi per la Regione Toscana. 21

38 Ritenuto in fatto 1. Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 26 settembre 2011 e depositato il successivo 29 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell equilibrio ambientale e disciplina dell attività venatoria)». Il ricorrente rileva che l art. 22, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011, aggiungendo all art. 27 della citata legge regionale n. 7 del 1995 i commi 5 -bis e 5-ter, prevede che i titolari di licenza di caccia ultrasessantacinquenni possano esercitare nella stessa stagione venatoria, oltre alla caccia nelle «altre forme consentite dalla legge» di cui al comma 3, lettera c), del menzionato art. 27, anche quella da appostamento fisso (comma 5 -bis ), e che i cacciatori che hanno scelto la forma di caccia da appostamento fisso possano praticare anche quella da appostamento temporaneo (comma 5 -ter ). L art. 26, comma 1, della medesima legge regionale n. 15 del sostituendo l art. 30 della legge reg. Marche n. 7 del 1995, concernente il calendario venatorio - stabilisce, a sua volta, che la Giunta regionale, sentiti l Osservatorio faunistico regionale (OFR) e l Istituto superiore per la ricerca ambientale (ISPRA), «propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l approvazione del calendario venatorio regionale che ha validità minima annuale e massima triennale». Ad avviso del ricorrente, le menzionate disposizioni violerebbero l art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «ponendosi in contrasto con la normativa statale afferente alla materia della tutela dell ambiente e dell ecosistema, nella parte in cui individua standard minimi e uniformi di tutela da applicare sull intero territorio nazionale». In proposito, la difesa dello Stato osserva come la giurisprudenza costituzionale sia costante nel ritenere - con riguardo al rapporto tra normativa statale e normativa regionale in materia di caccia - che la tutela dell ambiente e dell ecosistema, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, comporti l esigenza insopprimibile di garantire su tutto il territorio nazionale soglie minime di protezione della fauna. Tali soglie costituiscono un vincolo rigido che preclude ogni diminuzione dell intensità della tutela: con la conseguenza che la deroga da parte delle Regioni alle norme statali che le prevedono è ammissibile solo nella direzione di un rafforzamento della protezione, ma non anche nel senso inverso, come invece avverrebbe in base alle disposizioni censurate. In particolare, l art. 22, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011 detterebbe una disciplina difforme, in termini di minore tutela per la fauna selvatica, rispetto a quella recata dall art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo la quale l esercizio venatorio può essere praticato esclusivamente in una delle forme ivi indicate («vagante in zona alpi, da appostamento fisso e nell insieme delle altre forme di attività venatoria consentita dalla presente legge e praticata nel rimanente territorio destinato all attività venatoria programmata»). La richiamata norma statale non consentirebbe, dunque, il «cumulo» delle diverse forme di esercizio venatorio, viceversa autorizzato dalla legge regionale in esame, sia pure in relazione ai soli titolari di licenza di caccia che abbiano compiuto i sessantacinque anni e a coloro che abbiano scelto la forma da appostamento fisso. Quanto, poi, all art. 26, comma 1, della legge regionale censurata, tale disposizione si porrebbe in contrasto con le previsioni dell art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del In base alle norme statali ora indicate, infatti, le Regioni possono modificare la disciplina generale, stabilita dal comma 1 del citato art. 18, solo per particolari specie e in considerazione della peculiare situazione ambientale, all esito di un procedimento amministrativo che richiede l acquisizione del parere dell Istituto nazionale per la fauna selvatica (attualmente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, in forza del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133); procedimento a conclusione del quale le Regioni adottano annualmente, entro il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all intera annata venatoria. Diversamente, l art. 26 oggetto di giudizio prevederebbe che il calendario venatorio sia approvato con legge regionale e possa avere efficacia triennale. La previsione di un calendario venatorio su base triennale comporterebbe una violazione del principio, sancito dalla norma statale, per cui la procedura di deroga correlata alle particolari condizioni territoriali deve espletarsi con cadenza annuale, al fine di consentire all ISPRA una corretta e sempre attuale valutazione della situazione ambientale e della consistenza delle specie di fauna sottoposte a prelievo venatorio. 22

39 L art. 18 della legge n. 157 del 1992 attribuirebbe, d altra parte, alle Regioni, in materia di calendario venatorio, una competenza non legislativa, ma meramente «autorizzatoria», da esercitare a mezzo di provvedimenti amministrativi. L adozione del calendario venatorio con legge regionale pregiudicherebbe la verifica affidata all ISPRA sullo stato delle specie interessate, trasformandola in una sorta di controllo preventivo di legittimità, svolto da un organo tecnico dello Stato su una asserita competenza legislativa della Regione: configurazione, questa, avulsa dal vigente assetto delle competenze legislative tra Stato e Regione delineato dalla Costituzione. 2. Si è costituita la Regione Marche, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Ad avviso della Regione, è ben vero che l art. 22, comma 1, della legge reg. n. 15 del 2011 introduce delle deroghe al cosiddetto principio di esclusività delle forme di esercizio venatorio, stabilito dall art. 12, comma 5, della legge statale n. 157 del 1992 e ribadito dall art. 27, comma 3, della legge reg. n. 7 del L ambito di operatività di tali deroghe risulterebbe, tuttavia, talmente circoscritto da rimanere privo di qualsiasi incidenza sulla tutela dell ambiente e, in particolare, sugli standard di protezione della fauna selvatica stabiliti dal legislatore nazionale. Il neointrodotto comma 5 -bis dell art. 27 della legge reg. n. 7 del 1995 si limita, infatti, a consentire l esercizio venatorio da appostamento fisso - «per evidenti ragioni legate proprio all età avanzata» - a coloro che siano già abilitati a tutte le forme di caccia ricomprese nella fattispecie residuale di cui alla lettera c) del comma 3 del medesimo art. 27 e al comma 5 dell art. 12 della legge statale n. 157 del La disposizione del successivo comma 5 -ter avrebbe una portata ancora più ridotta, limitandosi ad assimilare alla forma di caccia da appostamento fisso quella da «appostamento temporaneo costituito da riparo artificiale mobile, inteso come telaio e copertura in tessuto». La Regione si sarebbe, dunque, limitata a disciplinare aspetti concreti dell attività venatoria, spettanti alla propria potestà legislativa residuale in materia di caccia, senza incidere sulla competenza statale in materia di ambiente ed ecosistema. Parimenti non fondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale concernente l art. 26, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011, la quale si baserebbe su una erronea interpretazione della normativa di riferimento. Quanto alla censurata possibilità di adottare un calendario venatorio con efficacia triennale, essa costituirebbe anzitutto una mera facoltà per la Regione, che potrebbe comunque adottarne uno annuale, come inequivocamente si desume dal tenore letterale della stessa norma denunciata (secondo la quale il calendario venatorio «ha validità minima annuale e massima triennale»). L opzione per il calendario triennale non contrasterebbe, in ogni caso, con il disposto dell art. 18 della legge statale n. 157 del 1992, che si limita a prescrivere che il calendario riguardi «l intera annata venatoria», senza affatto stabilire che esso debba avere fin dall origine una efficacia soltanto annuale; inoltre, anche nel più esteso arco temporale, detto calendario potrebbe essere sempre modificato o aggiornato in considerazione dei mutamenti ambientali e faunistici intervenuti medio tempore. Se a ciò si aggiunge l esplicito riferimento operato dalla norma censurata ai poteri consultivi dell OFR e soprattutto dell ISPRA, diverrebbe difficile comprendere in qual modo la previsione di un calendario venatorio su base triennale possa impedire - così come sostenuto dal ricorrente - il richiesto monitoraggio delle condizioni ambientali da parte del suddetto Istituto. Con riguardo, infine, alla censura attinente all approvazione del calendario venatorio con legge, la Regione evidenzia come la norma impugnata non preveda affatto tale forma di approvazione, ma si limiti a stabilire che il calendario è approvato dal Consiglio regionale, su proposta della Giunta. La semplice previsione della competenza consiliare non potrebbe essere intesa come equivalente all imposizione della forma legislativa: ciò, tanto più alla luce della modifica che il testo della disposizione censurata ha subito nel passaggio tra la proposta di legge della Giunta (art. 24 della proposta di legge n. 21 presentata il 13 luglio 2010) - ove si prevedeva, in effetti, esplicitamente che l approvazione dovesse avvenire con legge regionale - e la riformulazione operata dalla terza Commissione permanente nella seduta del 18 maggio 2011, corrispondente alla disposizione poi approvata dall Assemblea legislativa. D altronde, anche qualora la disposizione impugnata dovesse intendersi nel senso prospettato dal ricorrente, essa non contrasterebbe con la disciplina statale di riferimento. L art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nell attribuire alle Regioni il potere di adottare «il calendario regionale e il regolamento relativi all intera annata venatoria», riconoscerebbe, infatti, una potestà normativa e non già - come assume il ricorrente - «meramente autorizzatoria»: conclusione avvalorata anche dallo specifico contenuto che i predetti atti devono avere. La forma amministrativa o legislativa, che le Regioni prescelgano per l esercizio di detti poteri normativi, sarebbe comunque ininfluente ai fini della salvaguardia del ruolo e dei compiti tecnici attribuiti all ISPRA. Le funzioni di tale Istituto atterrebbero, infatti, all istruttoria che precede l adozione dell atto regionale e in nessun caso potrebbero essere qualificate - contrariamente a quanto sostiene il ricorrente - come forme di «controllo preventivo di legittimità»: controllo parimenti inammissibile tanto nei confronti di una legge, quanto di un atto amministrativo della Regione. 23

40 3. Nella memoria illustrativa successivamente depositata, la Regione, nel ribadire le argomentazioni svolte in sede di costituzione in giudizio, ha precisato di essere a conoscenza della recente decisione di questa Corte n. 20 del 2012, con la quale si è chiarito che l art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 impone alle Regioni di adottare il calendario venatorio nella forma dell atto amministrativo. La Regione ribadisce, tuttavia, che l art. 26, comma 1, della legge regionale in esame - anche alla luce dei lavori preparatori - non prescrive l approvazione del calendario venatorio con legge, limitandosi a prevedere la competenza del Consiglio regionale in luogo di quella della Giunta. Considerato in diritto 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell equilibrio ambientale e disciplina dell attività venatoria)», per violazione dell articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 2. L art. 22, comma 1, impugnato - aggiungendo all art. 27 della legge reg. n. 7 del 1995 i commi 5 -bis e 5-ter - prevede che i titolari di licenza di caccia ultrassantacinquenni, i quali abbiano scelto di esercitare la caccia nelle «altre forme consentite dalla legge», di cui al comma 3, lettera c), dello stesso art. 27, possano praticarla anche in quella prevista dalla lettera b), ossia da appostamento fisso (comma 5 -bis ), e che i cacciatori che hanno scelto la forma di caccia da appostamento fisso possano praticare anche «la caccia da appostamento temporaneo costituito da riparo artificiale mobile, inteso come telaio e copertura in tessuto» (comma 5 -ter ). Ad avviso del ricorrente, la disposizione sarebbe lesiva del parametro costituzionale evocato perché in contrasto con l art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), il quale? fissando uno standard minimo di tutela da applicare sull intero territorio nazionale - stabilisce che l esercizio della caccia può essere praticato in una sola delle forme ivi previste La questione è fondata. L art. 12, comma 5, della legge n. 157 del invocato dal ricorrente come norma interposta - ha introdotto il principio cosiddetto della caccia di specializzazione, in base al quale, fatta eccezione per l esercizio venatorio con l arco o con il falco, ciascun cacciatore può praticare la caccia in una sola delle tre forme ivi indicate («vagante in zona Alpi»; «da appostamento fisso»; «nelle altre forme» consentite dalla citata legge «e praticate sul restante territorio destinato all attività venatoria programmata»). Il cacciatore è tenuto, dunque, a scegliere, nell ambito di tale ventaglio di alternative, la modalità di esercizio dell attività venatoria che gli è più consona, fermo restando che l una forma esclude l altra. Tale criterio di esclusività? che vale a favorire il radicamento del cacciatore in un territorio e, al tempo stesso, a sollecitarne l attenzione per l equilibrio faunistico? trova la sua ratio giustificativa nella constatazione che un esercizio indiscriminato dell attività venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su tutto il territorio agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite rischierebbe di mettere in crisi la consistenza delle popolazioni della fauna selvatica. In quanto rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, la norma statale si inquadra, dunque, nell ambito materiale della tutela dell ambiente e dell ecosistema: tutela riservata alla potestà legislativa esclusiva statale dall art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Detta disposizione - concorrendo alla definizione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica - stabilisce, in particolare, una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale (con riguardo a previsioni di analoga ispirazione, sentenze n. 441 del 2006, n. 536 del 2002, n. 168 del 1999 e n. 323 del 1998): ponendo, con ciò, una regola che - per consolidata giurisprudenza di questa Corte - può essere modificata dalle Regioni, nell esercizio della loro potestà legislativa residuale in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell innalzamento del livello di tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61 del 2009). La disposizione regionale impugnata, nel consentire l esercizio cumulativo di diverse forme di caccia - sebbene solo ai sessantacinquenni ed a coloro che abbiano scelto la forma di caccia da appostamento fisso - deroga, per converso, alla disciplina statale nella direzione opposta, introducendo una regolamentazione della materia che implica una soglia inferiore di tutela. 24

41 Né può essere condivisa la tesi della Regione Marche, in base alla quale la deroga in questione avrebbe una portata talmente limitata da non poter incidere in alcun modo sulla tutela dell ambiente e, in particolare, sugli standard di protezione della fauna selvatica: circostanza che la sottrarrebbe, in assunto, alla censura di violazione del parametro costituzionale evocato. Proprio il fatto che si discuta di una soglia minima e uniforme di protezione esclude in radice la praticabilità di scelte di minor rigore da parte della Regione, indipendentemente da ogni considerazione - peraltro, opinabile - attinente al quantum dell incidenza della deroga: essendo, per il resto, incontestabile che la possibilità di esercizio congiunto di più forme di caccia, introdotta dalla legge regionale censurata, valga ad incrementare le potenzialità di procedere ad abbattimenti da parte della platea dei soggetti considerati. L art. 22, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, deve essere dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo. 3. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, inoltre, l art. 26, comma 1, della medesima legge regionale. La menzionata disposizione, sostituendo l art. 30 della legge reg. n. 7 del 1995, stabilisce che «la Giunta regionale, sentiti l OFR e l ISPRA, propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l approvazione del calendario venatorio regionale che ha validità minima annuale e massima triennale» (comma 1 del novellato art. 30). Ad avviso del ricorrente, la norma denunciata violerebbe anch essa l art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia perché prevederebbe l approvazione con legge, anziché con provvedimento amministrativo, del calendario venatorio; sia perché consentirebbe di attribuire a detto calendario una validità superiore all anno, in difformità rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale (e, in particolare, dall art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992) La prima delle due censure, inerente all asserita previsione dell approvazione con legge del calendario venatorio, non è fondata. La norma denunciata si limita, in effetti, a stabilire che l approvazione del calendario venatorio regionale abbia luogo ad opera del Consiglio, su iniziativa della Giunta, senza alcuna specificazione in ordine alla natura dell atto di approvazione e, in particolare, senza affatto prevedere che questa debba essere effettuata con legge. La norma censurata può essere, pertanto, bene interpretata nel senso che l approvazione abbia luogo nell esercizio della potestà regolamentare: potestà che lo Statuto delle Regione Marche demanda al Consiglio, fuori dei casi in cui le leggi regionali prevedano la competenza della Giunta (artt. 21, comma 2, lettera a, e 35, comma 2, della legge statutaria 8 marzo 2005, n. 1), e rispetto alla quale è, altresì, prevista l iniziativa della Giunta medesima (art. 35, comma 3, dello statuto). Come rilevato dalla difesa della Regione, tale interpretazione è puntualmente avvalorata dai lavori preparatori della legge reg. n. 15 del La proposta di legge da cui essa trae origine (proposta di legge n. 21, a iniziativa della Giunta regionale, presentata il 13 luglio 2010) prevedeva infatti espressamente, all art. 24, che il calendario venatorio regionale dovesse essere adottato «con legge regionale»: previsione che è stata, peraltro, soppressa in sede di riformulazione del testo ad opera della terza Commissione permanente, con scelta poi confermata in sede di approvazione da parte dell Assemblea legislativa. Per questo profilo, dunque, la norma censurata deve essere considerata non contrastante con la disciplina statale richiamata dal ricorrente (art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992), la quale, secondo quanto recentemente chiarito da questa Corte, prescrive la forma del provvedimento amministrativo per l adozione del calendario venatorio regionale, finalizzato a modulare sulle specifiche condizioni dell habitat locale le previsioni generali recate dalla normativa statale riguardo ai periodi di esercizio dell attività venatoria e alle specie cacciabili (sentenze n. 105 e n. 20 del 2012) È, invece, fondata la seconda censura, concernente la previsione della validità minima annuale e massima triennale del calendario venatorio. L art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 stabilisce che «Le regioni, sentito l Istituto nazionale per la fauna selvatica» (ora l ISPRA), «pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all intera annata venatoria (...)». Come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, con tale formula la disposizione statale esige che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni anno, vale a dire con cadenza annuale (sentenza n. 20 del 2012). 25

42 Detta interpretazione appare, d altronde, coerente, oltre che con la tendenziale corrispondenza del calendario venatorio alle stagioni di caccia, con l esigenza che la rilevazione delle situazioni ambientali locali, che si pone alla base delle deroghe alla generale disciplina statale in tema di specie cacciabili e di periodi di esercizio venatorio, abbia luogo - anche tramite il prescritto parere dell ISPRA - a cadenze non eccessivamente diluite nel tempo, così da garantire un costante adeguamento del calendario al mutare di tali situazioni. In simile prospettiva - come pure recentemente affermato da questa Corte - la previsione dell efficacia triennale del calendario venatorio regionale viene, quindi, ad indebolire «il regime di flessibilità (...) che assicura l adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto» (sentenza n. 105 del 2012). Né rileva, al fine di escludere l evidenziato contrasto della norma regionale impugnata con la disciplina statale, la circostanza che detta norma non imponga, ma soltanto consenta l adozione di un calendario venatorio con validità superiore all anno («ha validità minima annuale e massima triennale»). L art. 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, deve essere, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che il calendario venatorio regionale ha validità minima annuale e massima triennale, anziché prevederne unicamente la validità annuale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l illegittimità costituzionale dell articolo 22, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell equilibrio ambientale e disciplina dell attività venatoria)», che inserisce nell articolo 27 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 i commi 5 -bis e 5-ter ; 2) dichiara l illegittimità costituzionale dell articolo 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, nella parte in cui - sostituendo l articolo 30 della legge della Regione Marche n. 7 del dispone che il calendario venatorio regionale ha validità minima annuale e massima triennale, anziché prevederne unicamente la validità annuale; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell articolo 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, nella parte in cui - sostituendo l articolo 30 della legge della Regione Marche n. 7 del prevede che la Giunta regionale, sentiti l Osservatorio faunistico regionale (OFR) e l Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l approvazione del calendario venatorio regionale, promossa, in riferimento all articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giuseppe FRIGO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

43 N. 117 Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi e contabili - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Rilevanza della questione limitata ai processi celebrati davanti al giudice amministrativo. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Censura della norma nella interpretazione enunciata dalle sezioni unite della Corte di cassazione, costituente diritto vivente, alla quale il rimettente non ritiene di aderire - Ammissibilità della questione. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma. Procedimento civile - Giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole durata dei processi amministrativi - Competenza territoriale funzionale della Corte d appello determinata ai sensi dell art. 11 del codice di procedura penale - Asserita violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge - Asserita violazione del principio di ragionevolezza e del principio di eguaglianza - Asserita violazione del principio della ragionevole durata del processo - Asserita violazione del diritto di azione - Insussistenza - Non fondatezza della questione. Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell articolo 375 del codice di procedura civile), promosso dalla Corte di appello di Caltanissetta, nel procedimento vertente tra Morreale Stefania ed altri e il Ministero dell economia e delle finanze, con ordinanza del 20 aprile 2011, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro. 27

44 Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Caltanissetta, con ordinanza del 20 aprile 2011, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell articolo 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui, secondo l interpretazione assunta come diritto vivente, «dispone che la competenza territoriale funzionale della Corte di appello determinata ai sensi dell art. 11 c.p.p. si estende anche ai procedimenti iniziati avanti alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all art. 103 Cost.». 2. L ordinanza di rimessione premette che il processo principale ha ad oggetto una domanda diretta ad ottenere l equa riparazione per l irragionevole durata di un processo in corso davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, proposta inizialmente davanti alla Corte di appello di Palermo; i ricorrenti, avendo quest ultima dichiarato la propria incompetenza per territorio, hanno riassunto il giudizio davanti alla Corte rimettente. Secondo il giudice a quo, la giurisprudenza prevalente, di legittimità e di merito, aveva ritenuto che la regola dettata dal citato art. 3, comma 1, concernesse esclusivamente le domande di equa riparazione relative ai processi celebrati davanti alla magistratura ordinaria; per le domande aventi ad oggetto l irragionevole ritardo dei giudizi amministrativi e contabili la competenza per territorio doveva, invece, essere stabilita ai sensi dell art. 25 del codice di procedura civile. Siffatto orientamento è stato rimeditato dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con ordinanza del 16 marzo 2010, n. 6306, hanno ritenuto riferibile detta disposizione anche ai giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole ritardo dei processi amministrativi e contabili, enunciando un principio divenuto diritto vivente. Ad avviso del rimettente, siffatta norma violerebbe anzitutto l art. 25, primo comma, Cost. La disciplina della competenza per territorio, secondo la giurisprudenza di questa Corte, attiene, infatti, alla nozione di giudice naturale precostituito per legge (sentenza n. 41 del 2006) e le disposizioni che introducono eccezioni alle regole generali di tale criterio di competenza dovrebbero essere ragionevoli, soprattutto qualora rendano più gravoso l esercizio dell azione. Il principio di precostituzione del giudice esige, poi, che l organo giudicante non sia istituito sulla base di criteri fissati in vista di singole controversie e «la nozione di giudice naturale non si cristallizza soltanto nella determinazione di una competenza generale, ma si forma anche a seguito di tutte le disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutino i disparati interessi coinvolti nel processo» (sentenza n. 452 del 1997). La norma censurata violerebbe il suindicato parametro costituzionale, in quanto prevede anche per i giudizi ex lege n. 89 del 2001 concernenti i processi amministrativi e contabili una deroga della generale disciplina della competenza per territorio che sarebbe priva di ragionevole giustificazione, non apparendo tale al giudice a quo «la ricostruzione teorica ontologicamente unitaria della competenza operata dalle sezioni unite». Siffatta deroga non sarebbe, infatti, giustificata dall esigenza di garantire «l imparzialità e terzietà del giudice», poiché, in relazione a detti giudizi, non può «verificarsi alcuna interferenza tra giudici ordinari e le altre giurisdizioni» e l art. 11 del codice di procedura penale riguarda «solo i magistrati operanti nell ambito della giurisdizione ordinaria» (Cass., sez. un. penali, del 15 dicembre 2004, depositata il 13 gennaio 2005, n. 292). Inoltre, questa Corte, con la sentenza n. 287 del 2007, avrebbe fatto proprio l orientamento contrario all applicabilità dell art. 11 c.p.p. ai giudizi di equa riparazione concernenti processi non celebrati davanti ai giudici ordinari. Ad avviso del giudice a quo, detta sentenza avrebbe negato l ammissibilità dell estensione dell art. 11 c.p.p. ed escluso che essa sia costituzionalmente obbligata; comunque, avrebbe affermato che detta disposizione non può comportare «una deroga generalizzata a plurime specifiche regole di competenza, ciascuna adeguata a garantire il pieno esercizio del diritto delle parti di agire e di difendersi in un singolo tipo di controversia». Peraltro, la precedente esegesi del citato art. 3, comma 1, sarebbe stata giustificata dalla considerazione che «il pericolo per l imparzialità del giudice é talmente ipotetico che è giustificato rimetterne comunque la valutazione alla discrezionalità del legislatore». L esigenza di evitare che i giudici ordinari chiamati a decidere le domande di equa riparazione siano prossimi a quelli speciali che hanno definito i processi presupposti neppure sarebbe, poi, garantita dalla norma censurata. L organizzazione territoriale degli uffici dei giudici non ordinari comporta, infatti, che - come accade, ad esempio, nella Regione siciliana - la sezione regionale della Corte dei conti «copre territorialmente tutti i distretti di Corte di appello ordinari, qualunque Corte d appello decida sul ritardo»; quindi, i giudici che fanno parte di quest ultima, «in ipotesi di apertura di procedimenti di responsabilità, saranno soggetti al giudice contabile», con la conseguenza che «nessuno spostamento di competenza, entro il territorio regionale, evita astrattamente l interferenza stessa», ma incrementa la durata del giudizio. Quest ultimo risultato si verificherebbe nel caso in esame, poiché la deroga della competenza per territorio della Corte di appello di Palermo in favore della Corte di appello di Caltanissetta comporterebbe, in primo 28

45 luogo, che la facoltà delle parti di chiedere l acquisizione degli atti del giudizio presupposto cagionerebbe un ritardo nello svolgimento di tale adempimento, a causa della distanza geografica tra dette sedi giudiziarie; in secondo luogo, determinerebbe la concentrazione dei giudizi di equa riparazione «presso una piccola Corte di appello come quella di Caltanissetta», dato che la gran parte dei giudizi presupposti sono celebrati davanti ad uffici giudiziari (amministrativi e contabili) ubicati nel distretto della Corte di appello di Palermo. L interpretazione divenuta regola di diritto vivente provocherebbe, quindi, una «disfunzione dello stesso giudizio che deve riparare all irragionevole durata del processo presupposto», in violazione sia dei principi di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo, sia dell art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, poiché l elevato numero dei giudizi di equa riparazione non permetterebbe alla Corte rimettente di definirli entro il termine stabilito da quest ultima disposizione. Ad avviso del giudice a quo, la norma in esame neppure «favorirebbe l intera diffusione del contenzioso presso tutte le Corti d appello, alleggerendo il distretto di Roma ove si trovano gli organi di vertice». La circostanza che il TAR per la Sicilia «ha giurisdizione per l intero territorio Regionale» comporta, infatti, la concentrazione di tutte le domande di equa riparazione concernenti processi celebrati da tale ufficio giudiziario davanti alla Corte d appello di Caltanissetta. Inoltre, detta interpretazione neanche garantirebbe una riduzione del carico di lavoro della Corte di appello di Roma, in riferimento ai giudizi per i quali «un segmento del ritardo sia relativo al giudizio di cassazione» ed a quello definito dagli altri organi giurisdizionali di vertice La norma censurata violerebbe anche l art. 3, primo comma, Cost., poiché la deroga della competenza per territorio stabilita dall art. 11 c.p.p. non è applicabile neppure ai processi penali concernenti i magistrati amministrativi e contabili e neanche sono stabilite eccezioni alle ordinarie regole di competenza concernenti i giudizi civili dei quali questi siano parte, sicché non sarebbe ragionevole la previsione di una deroga per il solo giudizio di equa riparazione. Inoltre, essa recherebbe vulnus all art. 111, secondo comma, Cost. ed al principio di ragionevole durata del processo, dato che la Corte rimettente non sarebbe in condizione di decidere le domande di equa riparazione entro il termine stabilito dall art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001 e ciò rischierebbe di dare vita ad un ulteriore contenzioso, influendo negativamente l elevato numero di detti processi sulla ragionevole durata di tutti gli altri giudizi attribuiti alla medesima. La norma censurata violerebbe, poi, l art. 24 Cost., poiché la pregressa esegesi del citato art. 3, comma 1, non ledeva il principio di imparzialità e terzietà del giudice, garantito dall «appartenenza dei giudici controllori e controllati ad ordini giurisdizionali diversi» (sentenza n. 287 del 2007) e dagli istituti dell astensione e della ricusazione. Inoltre, essa determinerebbe «uno sbilanciamento, non necessario, in favore dell interesse garantito dall art. 108, comma secondo, Cost.» ed una «non giustificata compressione del diritto di difesa sancito dall art. 24 Cost.», dato che, nei giudizi ex lege n. 89 del 2001, la parte attrice sarebbe costretta ad adire la Corte di appello geograficamente più distante, individuata ai sensi dell art. 11 c.p.p. La questione, conclude il rimettente, sarebbe, infine, rilevante, poiché il suo eventuale accoglimento comporterebbe l incompetenza per territorio della Corte di appello di Caltanissetta a decidere la domanda proposta nel giudizio principale. 3. Nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. La norma censurata non violerebbe, infatti, l art. 25, primo comma, Cost., poiché la scelta con essa realizzata sarebbe ragionevole, tenuto conto delle argomentazioni svolte dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione nell ordinanza n del 2010, in larga misura riprodotte nell atto di intervento. La considerazione unitaria del giudizio presupposto sotto il profilo della competenza garantirebbe, inoltre, un uniforme applicazione del citato art. 3, comma 1, a tutti i giudizi di equa riparazione e l esigenza di un giudice terzo ed imparziale. L interpretazione in esame non sarebbe, inoltre, irragionevole e non si porrebbe in contrasto con l art. 3 Cost. anche perché le situazioni poste a confronto dal rimettente non sarebbero omologhe. L art. 111, secondo comma, Cost. non sarebbe leso, in quanto tale parametro «concepisce un giusto processo come canone oggettivo», in virtù del quale ciò che è «imprescindibile è la possibilità di esercizio della giurisdizione a tutela di situazioni meritevoli, ma non l imposizione di un modello unico e valido in assoluto». La garanzia di imparzialità del giudice, tutelata dalla disciplina della competenza per territorio stabilita dalla norma censurata, sarebbe rispettosa di detto canone e favorirebbe la diffusione del contenzioso, evitandone la concentrazione presso la Corte di appello di Roma ed assicurando in tal modo la durata ragionevole dei giudizi. Secondo l Avvocatura generale, sarebbe, infine, infondata la censura riferita all art. 24 Cost., poiché è «irrazionale ritenere che la violazione del diritto di difesa sussista o meno a seconda che il giudizio presupposto sia [celebrato] dinanzi al giudice ordinario oppure dinanzi a quello amministrativo». L applicazione di uno stesso criterio di competenza a tutti i giudizi di equa riparazione permetterebbe, invece, «di razionalizzare ed uniformare il riparto, senza in alcun modo comprimere la tutela giurisdizionale del cittadino». 29

46 Considerato in diritto 1. La Corte di appello di Caltanissetta dubita, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell articolo 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui, secondo l interpretazione assunta come diritto vivente, «dispone che la competenza territoriale funzionale della Corte di appello determinata ai sensi dell art. 11 c.p.p. si estende anche ai procedimenti iniziati avanti alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all art. 103 Cost.». 2. Ad avviso del rimettente, detta norma violerebbe l art. 25, primo comma, Cost., in quanto la disciplina della competenza per territorio sarebbe preordinata a garantire il principio del giudice naturale precostituito per legge, il quale esige che l organo giudicante non sia istituito sulla base di criteri fissati in vista di singole controversie. Siffatto parametro costituzionale sarebbe leso, poiché la norma censurata, per i giudizi di equa riparazione concernenti l irragionevole ritardo dei processi amministrativi e contabili, prevede una deroga dell ordinaria disciplina della competenza per territorio non sorretta da una ragionevole giustificazione, dato che per essi l esigenza di garantire «l imparzialità e terzietà del giudice» non renderebbe necessaria l applicabilità della regola stabilita dal citato art. 3, comma 1, come, peraltro, sarebbe stato affermato da questa Corte con la sentenza n. 287 del Inoltre, essa provocherebbe un incremento della durata di detti giudizi, in contrasto con la finalità degli stessi, sia a causa della maggiore difficoltà di acquisire gli atti del processo presupposto, sia perché determinerebbe la concentrazione di un elevato numero di processi presso una Corte di appello di ridotte dimensioni qual è quella di Caltanissetta. La norma in esame recherebbe vulnus anche all art. 3, primo comma, Cost., poiché la deroga della competenza per territorio stabilita dall art. 11 c.p.p. non è applicabile neppure ai processi penali che concernono i magistrati amministrativi e contabili e neanche sono previste eccezioni all ordinaria disciplina di tale criterio di competenza per i processi civili dei quali questi sono parte e, quindi, non sarebbe ragionevole la previsione di una deroga per il giudizio di equa riparazione. Inoltre, essa si porrebbe in contrasto con l art. 111, secondo comma, Cost. e con il principio di ragionevole durata del processo, dato che determinerebbe l impossibilità per la Corte rimettente di decidere le domande di equa riparazione entro il termine stabilito dall art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, e ciò rischierebbe di dare luogo ad un ulteriore contenzioso, mentre l elevato numero di tali processi influirebbe negativamente anche sulla ragionevole durata di tutti gli altri giudizi ad essa attribuiti. La norma censurata violerebbe, infine, l art. 24 Cost., in quanto il principio di imparzialità e terzietà del giudice sarebbe garantito dall «appartenenza dei giudici controllori e controllati ad ordini giurisdizionali diversi» e dagli istituti dell astensione e della ricusazione. Inoltre, essa determinerebbe «uno sbilanciamento, non necessario, in favore dell interesse garantito dall art. 108 comma secondo, Cost.» ed una «non giustificata compressione del diritto di difesa sancito dall art. 24 Cost.», dato che, nei giudizi in esame, la parte attrice sarebbe costretta ad adire la Corte di appello geograficamente più distante, individuata ai sensi dell art. 11 c.p.p. 3. In linea preliminare, va precisato che il giudizio principale ha ad oggetto una domanda diretta ad ottenere l equa riparazione per l irragionevole durata di un processo in corso davanti al TAR per la Sicilia; la questione di legittimità costituzionale è, dunque, rilevante esclusivamente nella parte concernente l applicabilità della norma censurata ai giudizi ex lege n. 89 del 2001 relativi a processi celebrati davanti al giudice amministrativo. Inoltre, occorre osservare che le sezioni unite civili della Corte di cassazione, investite della questione dell interpretazione del citato art. 3, comma 1, hanno ritenuto che il criterio di collegamento stabilito da questa disposizione concerne anche detti giudizi (ordinanza 16 marzo 2010, n. 6307; le ordinanze n richiamata dal giudice a quo - e n. 6308, rese nella stessa data, hanno, invece, deciso la questione della riferibilità di detto criterio alle domande relative all irragionevole ritardo dei giudizi ordinari definiti in sede di legittimità, benché abbiano anche confermato il principio enunciato dalla prima ordinanza). Siffatta interpretazione costituisce regola di diritto vivente, in quanto enunciata dalle sezioni unite nell esercizio della propria funzione nomofilattica (sentenza n. 338 del 2011) e, in seguito, costantemente ribadita dalla stessa Corte ( ex plurimis, ordinanze 30 dicembre 2011, n ; 31 agosto 2011, n ; 29 novembre 2010, n ). La premessa interpretativa dalla quale muove il rimettente è, dunque, corretta e, costituendo la valutazione se uniformarsi o meno a tale orientamento una facoltà del medesimo (sentenza n. 91 del 2004), la questione di legittimità costituzionale è ammissibile. Essa non mira, infatti, ad ottenere un avallo dell interpretazione ritenuta preferibile dal giudice a quo, ma consiste nella denuncia del contrasto della stessa con i parametri costituzionali sopra richiamati (tra le più recenti, sentenze n. 293, n. 236 e n. 3 del 2010). 30

47 4. Nel merito, la questione non è fondata In relazione alle censure riferite all art. 25, primo comma, Cost., occorre premettere che il principio del giudice naturale deve ritenersi osservato quando «l organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie» (da ultimo, sentenza n. 30 del 2011) e la competenza venga determinata attraverso atti di soggetti ai quali sia attribuito il relativo potere, nel rispetto della riserva di legge esistente in tale materia (ordinanze n. 417 e n. 112 del 2002), come accade nella specie. La regola di determinazione della competenza per territorio relativa ai giudizi in esame è, infatti, stabilita in via generale e preventiva dall art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001, disposizione questa che, evidentemente, può e deve costituire oggetto di interpretazione da parte dei giudici; l eventuale sussistenza di un contrasto in ordine al significato da attribuire alla medesima non può, per ciò solo, farla ritenere lesiva del suindicato principio, come, invece, adombra il rimettente. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore dispone, inoltre, di ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali (tra le più recenti, sentenza n. 304 del 2011) e, quindi, anche nella fissazione dei criteri attributivi della competenza, con il solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute ( ex plurimis, sentenze n. 52 del 2010; n. 237 del 2007; n. 341 del 2006), che non è violato dalla norma censurata. La tesi contraria è stata argomentata dal rimettente essenzialmente richiamando la sentenza di questa Corte n. 287 del 2007, della quale ha, tuttavia, offerto una lettura non corretta. Questa pronuncia ha, infatti, deciso la questione di legittimità costituzionale del citato art. 3, comma 1, proposta in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui, secondo l interpretazione sostenuta dal precedente (allora prevalente) orientamento della giurisprudenza, il criterio di determinazione della competenza per territorio dallo stesso stabilito non era applicabile ai giudizi di equa riparazione concernenti i processi celebrati davanti ai giudici non ordinari. La sentenza, nel dichiarare infondata la questione, ha escluso che detta esegesi recasse vulnus alla «garanzia della terzietà e imparzialità del giudice», ma non ha affatto affermato che essa fosse la sola compatibile con le norme della Costituzione (tanto meno con quelle richiamate dal giudice a quo ). L interpretazione ora divenuta regola di diritto vivente - censurata dalla Corte di appello di Caltanissetta - è stata, quindi, motivata, sottolineando, tra l altro, che essa non è impedita, «sul piano lessicale», dall utilizzo nel citato art. 3, comma 1, «di un termine (distretto) che è proprio della distribuzione sul territorio delle corti di appello», non dei giudici amministrativi. Detto termine può, infatti, «funzionare in modo identico» in relazione a questi ultimi, venendo «in rilievo la sede e non l ambito territoriale di competenza». Il legislatore ha, quindi, inteso «regolare gli effetti del fenomeno della durata non ragionevole del processo, quale che sia il giudice davanti al quale si svolge», esprimendo la volontà di stabilire una specifica disciplina della competenza per territorio, mediante l impiego della parola «distretto». La ratio della norma censurata è stata, conseguentemente, identificata in quella di stabilire un unica regola di disciplina della competenza per territorio, valida in relazione a tutti i processi dei quali si denuncia l irragionevole durata e, a questo scopo, è stato recepito il criterio di collegamento stabilito dall art. 11 c.p.p. È stata in tal modo realizzata la concentrazione davanti ad uno stesso giudice dei giudizi ex lege n. 89 del 2001 concernenti tutti i processi celebrati in una stessa sede, favorendo una tendenziale omogeneità di valutazioni in ordine alle ragioni del ritardo ed alla liquidazione dei danni (specie, tra l altro, nel caso di giudizi seriali, ovvero con pluralità di parti, non infrequenti in materia amministrativa), al fine di soddisfare un esigenza non garantita dalla pregressa esegesi, divenuta particolarmente pressante anche a causa dell elevato numero dei giudizi di equa riparazione, «che fa ricadere sul bilancio dello Stato un onere sempre più gravoso». A conforto della regola di diritto vivente in esame sono stati, quindi, addotti argomenti ulteriori rispetto a quello di garantire l imparzialità e la terzietà del giudice dell equa riparazione, idonei a fare escludere la manifesta irragionevolezza della scelta con essa realizzata, anche perché la fissazione di una determinata regola di competenza territoriale bene può essere giustificata dall esigenza di assicurare l uniformità della giurisprudenza in relazione a determinate controversie (sentenza n. 189 del 1992). Le deduzioni del rimettente, secondo le quali la norma provocherebbe «un abnorme allungamento dei tempi di definizione del processo», sia in quanto renderebbe meno agevole l acquisizione degli atti del processo presupposto da parte di un ufficio giudiziario ubicato in una località diversa da quella dell ufficio davanti al quale esso è stato celebrato, sia perché determinerebbe un aumento del numero di affari giudiziari attribuiti ad «una piccola Corte di appello come quella di Caltanissetta», sono manifestamente incongrue ed inconferenti rispetto alla censura diretta a denunciare la violazione dell art. 25, primo comma, Cost. In ogni caso, si risolvono nella denuncia di asseriti (ed eventuali) inconvenienti di mero fatto, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non rilevano ai fini del controllo di costituzionalità (per tutte, sentenze n. 303 del 2011 e n. 230 del 2010; ordinanze n. 290 e n. 102 del 2011). 31

48 4.2. Quest ultima considerazione conduce a ritenere non fondata anche la questione proposta in relazione all art. 111, secondo comma, Cost., sostenendo che la norma in esame porrebbe la Corte rimettente nell impossibilità di definire i giudizi di equa riparazione entro il termine fissato dall art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, con il rischio di alimentare un ulteriore contenzioso e di incidere sulla durata degli ulteriori affari alla stessa assegnati. Siffatta argomentazione consiste, infatti, nella prospettazione di asserite difficoltà che non discendono in via diretta ed immediata dalla norma in esame, ma deriverebbero da una situazione e da inconvenienti di fatto, irrilevanti in quanto tali ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, ai quali va eventualmente posto rimedio (qualora effettivamente sussistano), approntando le idonee ed opportune misure organizzative Le censure riferite all art. 3 Cost. non sono fondate, anzitutto perché le considerazioni dianzi svolte hanno permesso di negare la manifesta irragionevolezza della scelta realizzata dalla norma. Inoltre, il giudice che ha celebrato il processo presupposto non è parte del giudizio (civile) di equa riparazione e, quindi, è chiara la diversità (e non comparabilità) di detta situazione con quella costituita sia dal giudizio penale, sia dal giudizio civile avente diverso oggetto, del quale sia, invece, parte il giudice amministrativo. La disciplina dell art. 11 c.p.p. è, poi, richiamata dalla norma in esame per stabilire una regola di individuazione della competenza per territorio unica per tutti i giudizi ex lege n. 89 del 2001, valida indipendentemente dalla giurisdizione davanti alla quale è stato celebrato il processo presupposto, allo scopo di assicurare, all esito di un non irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, il soddisfacimento anche delle rilevanti esigenze sopra richiamate, ulteriori rispetto a quella di garantire l imparzialità e la terzietà del giudice Infine, anche la censura proposta in relazione all art. 24 Cost. non è fondata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, siffatto parametro costituzionale è vulnerato quando le norme processuali pongano «condizioni di sostanziale impedimento all esercizio del diritto di azione» (tra le più recenti, sentenza n. 30 del 2011), ovvero prevedano deroghe non ragionevoli della regolamentazione della competenza per territorio (sentenza n. 231 del 1994). Nella specie, la disciplina in esame, all evidenza, non integra un impedimento di tale natura, e ciò anche alla luce sia della non irragionevolezza delle motivazioni costituenti la ratio della regola divenuta diritto vivente e delle esigenze che essa mira a garantire, dianzi esaminate, sia dei caratteri di semplicità e rapidità che improntano il giudizio di equa riparazione (tenuto conto, altresì, delle agevolazioni previste per il ricorrente in ordine all acquisizione degli atti del processo presupposto, art. 3, comma 5, della legge n. 89 del 2001). P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell articolo 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell articolo 375 del codice di procedura civile), sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di Caltanissetta, con l ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

49 N. 118 Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio su conflitto di attribuzione tra Enti. Bilancio e contabilità pubblica - Nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, avente ad oggetto : Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna - Richiesta alla Regione di riformulazione della proposta regionale in termini di maggiore conformità al quadro legislativo vigente in tema di patto di stabilità interno, in relazione al profilo specifico della necessità di garantire l equilibrio tra fabbisogno ed indebitamento netto - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Sardegna - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione, di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, di potestà concorrente regionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e di copertura delle spese - Difetto del presupposto essenziale della configurabilità astratta del conflitto - Inammissibilità del conflitto. Nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, del 7 giugno 2011, n Costituzione, artt. 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, e 119; statuto speciale della Regione Sardegna, artt. 3, 7, 8 e 54. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n , avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna», promosso dalla Regione autonoma Sardegna, con ricorso notificato il 5 agosto 2011, depositato in cancelleria il 19 agosto 2011, ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra enti Visto l atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell udienza pubblica del 14 febbraio 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi; uditi l avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio dei ministri. 33

50 Ritenuto in fatto 1. Con ricorso notificato in data 5 agosto 2011, la Regione autonoma Sardegna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro dell economia e delle finanze in relazione alla Nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n , avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna», a firma del Ragioniere generale dello Stato, con la quale, al fine di addivenire al perfezionamento dell accordo per il patto di stabilità interno del 2011, si invitava la Regione autonoma Sardegna «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa» La ricorrente espone che con la suddetta nota la Ragioneria generale dello Stato aveva respinto la proposta della Regione autonoma Sardegna, datata 30 marzo 2011, prot. n. 2489, a firma del Presidente della Regione, indirizzata al Ministro dell economia e delle finanze ed al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ai fini del raggiungimento dell accordo di cui all art. l, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge di stabilità 2011) che così dispone: «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131. A tale fine, entro il 30 novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell economia e delle finanze. Con riferimento all esercizio 2011, il presidente dell ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo In caso di mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario». Il comma 131 dello stesso articolo recita a sua volta: «La ripartizione del concorso alla manovra finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all articolo 14, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è determinata, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, secondo le modalità indicate nella tabella 1 allegata alla presente legge». La Regione autonoma Sardegna, nella propria proposta, dopo aver premesso che, al fine di correggere le modalità di calcolo delle quote di compartecipazione che l avevano penalizzata in passato, era stato concordato tra Stato e Regione la revisione del regime finanziario regionale (disposta dall art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2007»), osservava che la piena attuazione di tale nuovo regime avrebbe richiesto che il relativo innalzamento del livello delle entrate fosse accompagnato da un equo adeguamento del livello di spesa. La Regione rammentava che già in passato aveva proposto un aumento graduale del livello degli impegni e dei pagamenti rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità, sebbene poi, nello spirito di leale collaborazione ed in considerazione della grave crisi economica che stava attraversando il Paese, avesse responsabilmente deciso di concordare, anche per il 2010, un livello di spesa non corrispondente all accresciuto livello delle proprie risorse. Richiamato il peculiare meccanismo dell intesa disciplinato del predetto art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, proponeva in definitiva che nel 2011 il livello complessivo degli impegni e dei pagamenti del Titolo I e del Titolo II del bilancio regionale fosse pari all obiettivo programmatico 2010 ricalcolato e ridotto dello 0,9 per cento ed ulteriormente diminuito del contributo di cui all art. l, comma 131, della legge di stabilità del 2011 a carico della Regione autonoma Sardegna pari ad euro , al netto di alcune voci di spesa, e, correlativamente, che il livello degli impegni del 2011 venisse fissato in euro , nonché che il livello dei pagamenti del 2011 fosse incrementato, a parziale adeguamento dello strutturale innalzamento del livello delle entrate, di euro e che pertanto lo stesso fosse conclusivamente determinato in euro La Ragioneria generale dello Stato dava riscontro a tale proposta di accordo in data 7 giugno 2011, con la nota oggetto dell odierno conflitto. In essa si rispondeva, con particolare riguardo alla richiesta regionale di aumentare di euro il limite dell obiettivo programmatico per i pagamenti per l anno 2011, che si prendeva atto che la Regione autonoma, in considerazione dell aumento del livello delle entrate, conseguente alla modifica statutaria, aveva ritenuto indispensabile un parallelo innalzamento dei tetti di spesa stabiliti dal patto di stabilità interno, «[...] che fanno ancora riferimento ai livelli di spesa del 2005». Nondimeno, proseguiva la Ragioneria generale dello Stato, «[...] pur non sottovalutando le aspettative che la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario può aver indotto sulle 34

51 maggiori potenzialità di spesa regionale si fa presente che il quadro macroeconomico di finanza pubblica non ha scontato alcun effetto in termini di maggior spesa per cui l accoglimento della richiesta regionale necessita di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto. Pertanto, in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore della Regione Sardegna, si rappresenta che, in sede tecnica, non sussistono margini per un ampliamento del livello dei pagamenti». Conclusivamente, la Ragioneria generale dello Stato invitava la Regione autonoma Sardegna, «al fine di addivenire al perfezionamento dell accordo per il patto di stabilità interno 2011», a «voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte». 2. La Regione autonoma Sardegna, promuovendo l odierno conflitto, si duole quindi che con tale nota lo Stato abbia leso le proprie attribuzioni costituzionali per la violazione del principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni, di cui agli artt. 5, 117 e seguenti della Costituzione, anche in combinato disposto con gli artt. 3, 7, 8 e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e in riferimento altresì all art. l, comma 132, della legge n. 220 del Lamenta inoltre la violazione della propria autonomia finanziaria in riferimento ai medesimi parametri. Espone in proposito la Regione ricorrente che l art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, dando applicazione al principio costituzionale della leale collaborazione (desumibile, fra l altro, dagli artt. 5, 117, e seguenti Cost.) ed a quello dell autonomia finanziaria delle Regioni ad autonomia speciale (sancito, per la Regione autonoma Sardegna, dall art. 7 dello statuto e dall art. 119 Cost.), fissa il fondamentale criterio dell accordo nella determinazione della misura del concorso rispettivo dello Stato e delle Regioni ad autonomia speciale alla manovra economico-finanziaria, con particolare riferimento alla misura delle spese e dei pagamenti. Se dunque non è in contestazione «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all autonomia di spesa degli enti» (sentenza di questa Corte n. 82 del 2007), e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza di questa Corte n. 36 del 2004), ed altresì che tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all azione di risanamento della finanza pubblica (si fa riferimento alle sentenze n. 416 del 1995 e, successivamente, n. 417 del 2005 e n. 353, n. 345 e n. 36 del 2004), nondimeno, tale potere deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. Il metodo dell accordo tra le Regioni a statuto speciale ed il Ministero dell economia e delle finanze per la determinazione delle spese correnti ed in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, introdotto per la prima volta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), ed in seguito dall art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate, fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2007), deve considerarsi espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto patto di stabilità (in base alla sentenza n. 353 del 2004), consentendo esso di rispettare l autonomia finanziaria degli enti dotati di autonomia speciale. Sulla scorta di tali considerazioni, ritiene la ricorrente che l atto statale impugnato, rigettando la proposta della Regione autonoma Sardegna ed invitando quest ultima a ritirarla ed a formularne un altra, in realtà non fosse altro che una vera e propria imposizione e quindi che costituisca una violazione dei coordinati principi della leale collaborazione e dell autonomia finanziaria delle Regioni speciali. Con la suddetta nota si prosegue lo Stato avrebbe negato in radice la possibilità di accogliere la proposta regionale e si sarebbe sottratto al confronto, assumendo la propria posizione come la sola plausibile. Né, secondo la Regione, avrebbe fondamento l obiezione della Ragioneria generale dello Stato che evidenziava l inesistenza di previe leggi soddisfattive degli interessi della Regione, in quanto si obietta il processo negoziato di determinazione dei contenuti del patto di stabilità interno comporta l adozione sia di atti amministrativi che di atti legislativi, come dimostra anche il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che, pur non 35

52 avendo a sua volta tenuto conto di quanto previsto dall art. 8 dello Statuto della Regione autonoma Sardegna, all art. 20 ha definito le procedure di determinazione del nuovo patto di stabilità interno e il concorso delle Regioni al patto in termini di fabbisogno e di indebitamento netto. Quindi, prosegue la ricorrente, la natura, amministrativa o legislativa, degli atti determinativi del contenuto del patto non potrebbe avere in realtà alcun rilievo, poiché il principio dell accordo deve essere comunque rispettato. In ogni caso, al di là di quanto osservato in generale sul procedimento di definizione dei contenuti del patto di stabilità, nel caso specifico della definizione dei livelli delle spese e dei pagamenti delle Regioni ad autonomia speciale, ai sensi dell art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, l intermediazione legislativa al fine della determinazione del tetto di spesa delle Regioni ad autonomia speciale non sarebbe necessaria, poiché, come risulta dalla stessa lettera della norma di legge, ciò che è necessario e sufficiente è il semplice accordo tra la Regione ed il Ministro dell economia e delle finanze. Evidenzia inoltre la ricorrente che l art. 8 dello statuto della Regione autonoma Sardegna, come novellato (ai sensi dell art. 54 dello statuto) dall art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, nell individuare quali siano le entrate regionali declina un regime finanziario ben più favorevole di quello precedente (introdotto dall art. l della legge 13 aprile 1983, n. 122, recante «Norme per il coordinamento della finanza della regione Sardegna con la riforma tributaria e finanziamento del decreto del Presidente della Repubblica 7 giugno 1979, n. 259, e del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348; e disposizioni in materia finanziaria per la regione Friuli-Venezia Giulia»), determinando un aumento delle entrate regionali. Nondimeno, si prosegue, tali entrate non sono state ancora formalmente quantificate né conferite alla Regione. Ciò non toglie, però, che esse siano statutariamente previste e che, nel procedimento di leale costruzione dell accordo previsto dall art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, di tali entrate lo Stato doveva tenerne conto. Non avendolo fatto, lo Stato avrebbe così determinato una violazione specificamente qualificata degli invocati principi di leale collaborazione e di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, con incidenza anche sull assolvimento dei compiti spettanti in particolare alla Regione autonoma Sardegna (ivi compresi quelli di sua esclusiva competenza, ai sensi dell art. 3 dello stesso statuto), assolvimento cui l incremento delle entrate disposto dalla novella statutaria era funzionale. Risulterebbe violato altresì, in tal modo, anche l art. 54 dello statuto. Esso, infatti, non consente deroghe all art. 8 dello statuto medesimo (e comunque alle norme di cui al Titolo III) neppure al legislatore statale, che può soltanto modificarlo, ma sempre e solamente dopo aver sentito la Regione La ricorrente lamenta l ulteriore violazione dei principi di leale collaborazione e di autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna con riguardo all art. 8 dello statuto, come da ultimo modificato, ai sensi del successivo art. 54, dall art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, anche in riferimento agli artt. 3 e 7 del medesimo statuto, al principio di ragionevolezza di cui all art. 3 Cost. ed agli artt. 81, quarto comma, 114, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost. Secondo la Regione la nota in questione, avendo respinto la proposta di patto di stabilità da essa formulata, invitandola a mantenere le spese regionali rilevanti ai fini del patto di stabilità al livello precedente alla modifica dell art. 8 dello statuto, avrebbe imposto alla Regione di proporre un ipotesi di accordo che mantenesse fermo il livello delle entrate relativo all esercizio di bilancio 2005, livello al quale è ancora attualmente parametrato il tetto di spesa stabilito dal patto di stabilità. In tal modo, lo Stato avrebbe leso la sfera dell autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione autonoma Sardegna. La ricorrente rammenta che, proprio in seguito al riconoscimento da parte dello Stato della palese insufficienza del quadro finanziario delle entrate regionali, si era addivenuti alla seconda modifica all art. 8 dello statuto, disposta appunto con la legge n. 296 del Parimenti, anche la stessa nota impugnata, sia pur con evidente contraddizione, aveva ammesso l incoerenza del quadro attuale delle entrate e delle spese regionali con la previsione statutaria. Essa quindi risulta censurabile anche in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all art. 3 Cost., per l intima contraddittorietà che l affligge. Sottraendosi al leale confronto con la Regione, lo Stato avrebbe anche violato direttamente l art. 8 dello statuto. Tale norma ha determinato un aumento delle entrate regionali del quale lo Stato doveva tenere conto nel corso del procedimento di cui all art. l, comma 132, della legge n. 220 del La proposta della Regione, infatti, intendeva ottenere unicamente l applicazione della ricordata previsione statutaria, oltretutto a diversi anni di distanza dalla sua entrata in vigore e in un momento in cui l ulteriore differimento dell applicazione dello statuto non era più sopportabile, tenuto conto del fatto che il meccanismo stesso del patto di stabilità determina, anno dopo anno, un aggravamento del sacrificio in capo alle autonomie. La proposta regionale, quindi, prosegue la ricorrente, dava 36

53 esplicitamente conto del fatto che detta applicazione sarebbe stata solo parziale, perché la stessa Regione autonoma Sardegna si era fatta carico delle esigenze di contenimento della spesa pubblica (in piena osservanza dunque dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2007), mentre emergeva la necessità di adeguare il quadro statutario alla mutata realtà economico-finanziaria di riferimento. Tale aspetto, si evidenzia, confermerebbe ulteriormente l illegittimo aprioristico rifiuto di un confronto sul punto da parte dell amministrazione statale, che, così facendo, avrebbe invaso e compromesso la sfera dell autonomia regionale. Se dunque l incremento delle entrate allora disposto con la legge n. 296 del 2006 aveva la funzione di rimediare ad una conclamata insufficienza del quadro finanziario previgente, inadeguato al soddisfacimento delle esigenze regionali sul versante della spesa, con la proposta di adeguamento dei livelli di spesa respinta dallo Stato la Regione non avrebbe fatto altro che reclamare la semplice applicazione del nuovo quadro statutario, senza mettere in discussione il principio generale della corrispondenza fra le spese e le entrate, fissato in primo luogo dall art. 81, quarto comma, Cost., laddove si dispone che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri deve indicare i mezzi per farvi fronte. Tale principio, prosegue la ricorrente, vive in una serie di corollari, e tra di essi v è la regola per cui, nell esercizio delle proprie funzioni in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, lo Stato non può determinare livelli di spesa regionale che siano incoerenti con l ammontare delle entrate. Rigettando la proposta formulata, la Ragioneria generale in sostanza avrebbe impedito alla Regione autonoma Sardegna, oltre alle esigenze sottese al patto di stabilità, di utilizzare le risorse pur tuttavia garantite dallo statuto regionale, determinando una violazione dell autonomia finanziaria e legislativa garantita alla Regione, oltre che dall art. 7 dello statuto, dagli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., nella parte in cui attribuiscono alle Regioni competenza legislativa concorrente nella materia dell armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario Per quanto concerne la lamentata lesione dell art. 117, terzo comma, Cost., secondo la ricorrente esso risulterebbe violato sotto due distinti profili. In primo luogo, il fatto che la Regione autonoma Sardegna non possa addivenire all accordo di cui all art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, determinerà la sottoposizione dell Ente alla più rigida disciplina dettata per le Regioni a Statuto ordinario, trasformandosi in un ingiustificata compressione della competenza legislativa nelle materie sopra citate. In secondo luogo, poiché la mancata considerazione delle entrate previste dall art. 8 dello statuto impedirebbe alla Regione di legiferare potendone tenere, invece, conto Relativamente alla denunciata lesione degli artt. 3 e 7 dello statuto, e degli artt. 118 e 119 Cost., la Regione assume che, poiché il nuovo regime finanziario era ed è funzionale all assolvimento delle funzioni regionali, non nuove ma già in essere, la nota in questione avrebbe violato le suddette disposizioni statutarie e costituzionali laddove esse, affidando alla Regione specifiche competenze, anche in via esclusiva (art. 3 dello statuto), garantiscono l esercizio di tali funzioni (artt. 114, comma 2, e 118, primo e secondo comma, Cost.), assicurando (secondo quanto già affermato dalla sentenza di questa Corte n. 370 del 2003) l adeguatezza della copertura delle spese necessarie (art. 119, quarto comma, Cost.), nel rispetto dell autonomia finanziaria regionale (artt. 7 dello statuto e 119, primo comma, Cost.) La ricorrente si duole infine della violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto, anche in combinato disposto con il principio di ragionevolezza di cui all art. 3 Cost. Dall art. 8, come da ultimo modificato (ai sensi dell art. 54 dello statuto medesimo) dall art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, deriverebbe il principio della necessaria corrispondenza tra le entrate e le spese della Regione. Tale principio, afferma la ricorrente, implica non solo, letto dal versante delle entrate, la necessità di copertura finanziaria delle funzioni conferite, ma anche, considerato dal versante della spesa, la piena autonomia nella disposizione, da parte della Regione, delle risorse statutariamente attribuite. La necessità di tale conclusione sarebbe confermata, peraltro, dalla lettura combinata dell art. 8 con il disposto del precedente art. 7 (giusta il quale «la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»). In questa prospettiva, si osserva che in ossequio al generale principio di ragionevolezza, di cui all art. 3 Cost., la garanzia per la Regione di una finanza propria, da coordinare con quella dello Stato (e non derivata dalle rispettive determinazioni), non avrebbe senso, se non fosse al contempo garantita alla stessa una capacità di spesa corrispondente all ammontare delle risorse in entrata. Il principio del finanziamento integrale delle funzioni comporta infatti, da un lato, che le risorse garantite alle Regioni debbano essere tali da «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (come stabilito all art. 119, terzo comma, Cost.); dall altro, e necessariamente, che l esercizio delle funzioni loro attribuite non possa essere condizionato da vincoli etero-determinati alla capacità di spesa. Se non è garantita la piena ed effettiva autonomia di spesa, resterebbe priva di significato l astratta attribuzione delle corrispondenti risorse. 37

54 Rammenta in proposito la Regione che la necessità di una tale conclusione, alla luce del principio di ragionevolezza, è già stata riconosciuta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 245 del 1984, nella quale è stata dichiarata l illegittimità di alcune disposizioni della legge finanziaria per il 1984 che imponevano alle Regioni oneri di vario genere senza corrispondente attribuzione di risorse. In quella decisione la Corte costituzionale aveva ritenuto necessario rileggere la motivazione svolta dalla sentenza n. 307 del 1983, ricordando che «già in quell occasione, la Corte ha ritenuto che l imporre alle Regioni obblighi del genere contrasti anzitutto con ciò che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell art. 119, ossia che le Regioni dispongano di tributi propri (oltre che di quote di tributi erariali ), per fronteggiare autonomamente le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali e che le Regioni posseggono autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite». In tal modo, la Regione non pretenderebbe di affermare che le risorse e le spese di cui all art. 8 dello statuto si possano sottrarre alla considerazione delle esigenze connesse al patto di stabilità, ma che l accordo connesso al patto debba necessariamente tenere conto anche di quelle risorse e di quelle spese, la cui eventuale limitazione deve essere determinata nel contesto del procedimento dialogico e collaborativo di cui all art. l, comma 132, della legge n. 220 del Conclusivamente, la Regione autonoma Sardegna chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso alla Ragioneria generale dello Stato, adottare, in violazione del principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni, dell autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna, degli artt. 3, 7, 8 e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli artt. 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., anche in riferimento all art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, la nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, ufficio VIII, 7 giugno 2011, protocollo n , avente ad oggetto «Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna», a firma del Ragioniere generale dello Stato, con la quale, «al fine di addivenire al perfezionamento dell accordo per il patto di stabilità interno 2011», la Regione autonoma Sardegna è stata invitata «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte». Conseguentemente, chiede altresì che essa venga annullata. 3. Si è ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, che in via preliminare ha eccepito l inammissibilità del conflitto. Deduce il Presidente del Consiglio dei ministri che la nota della Ragioneria generale non esprimeva la volontà dello Stato di affermare una propria competenza in ambito teoricamente riservato alla Regione. Difetterebbe pertanto il presupposto essenziale per la stessa configurabilità astratta di un conflitto. Secondo la difesa erariale, sia le obiezioni in diritto che l invito a rivedere le proprie posizioni, lungi dal porsi in contrasto con la logica dell accordo e della leale collaborazione, ne esprimono anzi lo spirito in modo particolarmente fedele. Ne risulterebbe in sostanza un non perfezionamento dell accordo che il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene del tutto fisiologico, perché transitorio e rimesso all ulteriore confronto tra le parti. Diversamente opinando si dovrebbe ritenere che una delle parti sia tenuta ad accettare immediatamente la proposta iniziale dell altra. Nella nota, insomma, non sarebbe dato rinvenire alcuna sorta di imposizione o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento su base consensuale. Lo Stato quindi non avrebbe esorbitato dalle proprie prerogative istituzionali, specificamente esercitando la propria competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica. Né potrebbe sostenersi che l attuazione del coordinamento escluda, in quanto tale, l operatività di vincoli all autonomia dell Ente locale, essendo al riguardo stato chiarito, sostiene ancora l Avvocatura, che «Nell esercizio del potere di coordinamento della finanza pubblica nel suo complesso e in vista di obiettivi nazionali di stabilizzazione finanziaria, non può escludersi che lo Stato, in pendenza di trattative finalizzate al raggiungimento dell accordo, possa imporre qualche limite, anche alle Regioni speciali, senza con ciò ledere l autonomia finanziaria e di spesa delle Regioni stesse (sentenza n. 353 del 2004)». In presenza di una comunicazione meramente interlocutoria come quella oggetto del presente conflitto, non troverebbero, dunque, applicazione i principi espressi nella sentenza n. 82 del 2007 di questa Corte, richiamata dalla ricorrente. Con riguardo alla censura consistente nell aver lo Stato trascurato di considerare le maggiori entrate previste dall art. 8 dello statuto della Regione autonoma Sardegna, così come modificato dall art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, circostanza che avrebbe legittimato un corrispondente aumento dei livelli di spesa, osserva la difesa 38

55 erariale che «i commi 838 ed 839 dell art. l della legge 27 dicembre 2006, n. 296, mentre hanno indicato la copertura finanziaria per i maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato conseguenti alla revisione dell ordinamento finanziario regionale, non hanno individuato la copertura in termini di indebitamento netto, sul presupposto che le spese della Regione sarebbero state contenute nell ambito dei vincoli del patto di stabilità interno. Ne consegue che la pretesa di aumentare l entità delle spese in correlazione con l avvenuto aumento delle entrate non è, allo stato della legislazione vigente, assistita dalla necessaria copertura finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto». Muovendo da tale assunto, andrebbe quindi inteso il richiamo, nella nota della Ragioneria, alla necessità di un intervento legislativo che fornisca gli strumenti adeguati a garantire il necessario equilibrio dei saldi di finanza pubblica. Posto che l assoggettamento al quadro normativo condiziona in pari misura sia la Regione che lo Stato, in ossequio al principio per cui «in materia di controlli di spese delle Regioni ad autonomia speciale il metodo dell accordo deve risultare compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità della cui salvaguardia anche le Regioni speciali devono farsi carico» (sentenza n. 82 del 2007 citata, punto 7 del Considerato in diritto), la difesa erariale conclude ritenendo di non ravvisare elementi atti a integrare la denunciata violazione di prerogative costituzionali, evocata nel ricorso. 4 Con memoria depositata in vista dell udienza pubblica la ricorrente evidenzia che, al di là del tono apparentemente innocuo utilizzato, la nota rappresenta una vera e propria imposizione, assolutamente non superabile dalla Regione autonoma Sardegna. In proposito si richiama l attenzione sull asserzione con cui la Ragioneria dello Stato conclude le proprie deduzioni circa la proposta di aumento del livello dei pagamenti: «non sussistono margini per un ampliamento del livello dei pagamenti» (pagina 3, penultimo capoverso, della nota impugnata). In tal modo, si osserva, la Regione autonoma Sardegna poteva solo accettare l imposizione statale, addivenendo ad un accordo raggiunto con una sostanziale coercizione, oppure non accettarla e sottostare, in questo modo, all ipotesi dettata in via residuale dall art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, ossia l applicazione delle «disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario». Risulterebbe ancor più evidente che lo Stato aveva posto sul tavolo delle trattative una condizione pregiudiziale, di per se stessa non trattabile, in specifica violazione del principio di leale collaborazione. Né, secondo la ricorrente, avrebbe pregio l invocata legittimazione all attuazione del coordinamento della finanza pubblica, che non esclude «l operatività di vincoli all autonomia dell ente locale», come affermato a suo tempo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 353 del 2004, poiché quella decisione prendeva in considerazione il caso in cui lo Stato potesse legittimamente governare con maggior incisività la finanza pubblica delle autonomie territoriali pur «in pendenza di trattative finalizzate al raggiungimento dell accordo» (e fu anche precisato con il solo potere di «determinare transitoriamente i flussi di cassa»), mentre nel caso presente si fa questione dell indebita sottrazione dello Stato al confronto con la Regione autonoma Sardegna in ordine alla ricerca stessa dell accordo, in mancanza del quale le attribuzioni dell Ente a statuto speciale verrebbero sacrificate a causa dell applicazione delle disposizioni stabilite per le Regioni a statuto ordinario. Con riguardo poi alle affermazioni della difesa erariale secondo le quali la pretesa di aumentare l entità delle spese in correlazione con l avvenuto aumento delle entrate non sarebbe, allo stato della legislazione vigente, assistita dalla necessaria copertura finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, e che muovendo da tale assunto andrebbe inteso il richiamo, nella nota della Ragioneria, alla necessità di un intervento legislativo che fornisca gli strumenti adeguati a garantire il necessario equilibrio dei saldi di finanza pubblica, la ricorrente ribadisce che la determinazione dei contenuti del patto di stabilità è un procedimento complesso, che può comportare l adozione sia di atti amministrativi che di atti legislativi, sebbene, ai sensi dell art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, l intermediazione legislativa al fine della determinazione del tetto di spesa delle Regioni ad autonomia speciale non sarebbe necessaria, poiché, come risulta dalla stessa lettera della norma legislativa, ciò che è necessario e sufficiente è il semplice accordo tra la Regione e il Ministro dell economia e delle finanze. Evidenzia, inoltre, la ricorrente che, se fosse condivisibile l argomentazione della difesa erariale, lo Stato sarebbe legittimato a non adempiere ai suoi doveri di leale collaborazione dalla sola sua inerzia, il che sarebbe a dir poco paradossale. Al contrario, il fatto che, sebbene con l art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, si sia riformato il regime delle entrate della Regione autonoma Sardegna, ma le nuove entrate non siano state ancora formalmente né quantificate né conferite alla Regione, non potrebbe costituire circostanza idonea ad assolvere lo Stato dall adempimento degli obblighi di corretta esecuzione della nuova disciplina statutaria e, men che meno, dei doveri di leale collaborazione nella determinazione dei contenuti del patto di stabilità. In proposito, la ricorrente pone in ulteriore rilievo 39

56 che la medesima nota impugnata dà espressamente conto della novità recata dalla riforma dell art. 8 dello statuto della Regione («pur non sottovalutando le aspettative che la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario può aver indotto sulle maggiori potenzialità di spesa regionale [...]»), manifestando in questo modo la piena consapevolezza della grande novità dell intervenuta modifica dello statuto sardo, ma allo stesso tempo anche la pervicace volontà di non tenerne conto. 5. All udienza pubblica le parti hanno illustrato ed ulteriormente ribadito le argomentazioni già rassegnate in atti. Considerato in diritto 1. Con ricorso notificato il 5 agosto 2011 la Regione autonoma Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. La ricorrente chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS), adottare la nota 7 giugno 2011, n , avente ad oggetto «Patto di stabilità interno per l anno 2011 Proposta di accordo per la Regione Sardegna», con la quale, «al fine di addivenire al perfezionamento dell accordo per il patto di stabilità interno 2011», la Regione stessa è stata invitata «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte». Secondo la Regione autonoma Sardegna, l atto impugnato violerebbe gli articoli 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, 119 della Costituzione, nonché gli artt. 3, 7, 8, 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), sotto il profilo dei principi di leale collaborazione, di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, di potestà concorrente regionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e di copertura delle spese. L Avvocatura dello Stato ha eccepito, in via preliminare, l inammissibilità del conflitto per difetto del presupposto essenziale inerente alla configurabilità astratta dello stesso: la nota della Ragioneria generale non esprimerebbe la volontà dello Stato di affermare una propria competenza in ambito teoricamente riservato alla Regione. Il mancato perfezionamento dell accordo sarebbe del tutto fisiologico, perché transitorio e rimesso all ulteriore confronto tra le parti. La nota consisterebbe in una richiesta di riformulazione della proposta regionale in termini di maggiore conformità al quadro legislativo vigente in tema di patto di stabilità interno, in relazione al profilo specifico della necessità di garantire l equilibrio tra fabbisogno ed indebitamento netto. 2. L eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri è fondata. Il tenore della nota della RGS non si pone in contrasto con la ratio dell accordo, istituto attraverso il quale il legislatore (con l art. 1, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge di stabilità 2011»), ha voluto dare attuazione, in questa particolare materia, al principio della leale collaborazione. Per questo motivo, il mancato perfezionamento dell accordo, a seguito del primo scambio di proposte tra le parti, appare del tutto compatibile con il criterio del previo confronto e della progressiva negoziazione e specificazione delle singole clausole dell accordo stesso tra Regione e Stato. Una lettura corretta della nota della RGS dimostra che lo Stato non ha inteso sottrarsi all accordo attraverso una controproposta chiusa al successivo confronto con la Regione, che possa intendersi come imposizione o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento di un atto consensuale. Lo Stato si è mantenuto nell ambito delle proprie prerogative costituzionali, non eccedendo dai propri poteri in materia di coordinamento della finanza pubblica. È bene ricordare che l accordo è lo strumento, ormai consolidato (in quanto già presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica» e poi confermato da tutte le disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata ( ex plurimis sentenza n. 353 del 2004). Nel solco di questo indirizzo normativo l art. 1, comma 132, della 1egge n. 220 del 2010, ha stabilito che per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le Regioni a statuto speciale, escluse la 40

57 Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, concordano con il Ministro dell economia e delle finanze le concrete modalità attuative del patto di stabilità e del concorso alla manovra di finanza pubblica. Il contenuto dell accordo deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità, della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l art. 8 dello statuto modificato per effetto del meccanismo normativo introdotto dall art. 54 dello statuto stesso dall art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2007). Quest ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna. Ne consegue che «l equilibrio del bilancio» di cui agli artt. 5 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), e 5 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 170 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, a norma dell articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131) non potrà che realizzarsi all interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1 gennaio 2010 per effetto dell art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilità 2011 (tabella 1 allegata all art. 1, comma 131, della legge n. 220 del 2010). È infatti di palmare evidenza che proprio il principio inderogabile dell equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell entrata. Le norme richiamate costituiscono, nel loro complesso, il quadro normativo di riferimento della finanza regionale della Sardegna. Il combinato delle suddette disposizioni in materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma. Alla luce delle espresse considerazioni, il conflitto sollevato dalla Regione autonoma Sardegna deve essere, allo stato, dichiarato inammissibile. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l inammissibilità del conflitto di attribuzione promosso dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti dello Stato, in riferimento alla nota del Ministero dell economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n , avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l anno Proposta di accordo per la Regione Sardegna», con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Aldo CAROSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

58 N. 119 Sentenza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Previdenza pubblica - Soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda sanitaria - Indennità premio di servizio - Modalità di calcolo - Interventi di G.D.P. e della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO) - Soggetti estranei al giudizio principale e carenti della qualità di terzi portatori di un interesse qualificato immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio - Inammissibilità degli interventi. D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 3, commi 2 e 3; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 -bis, comma 11; legge 30 novembre 1998, n. 419, art. 2, comma 1, lett. t). Costituzione, art. 3. Previdenza pubblica - Soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda sanitaria - Indennità premio di servizio - Modalità di calcolo - Asserita irragionevole differenza di trattamento previdenziale a favore di una categoria di soggetti, rispetto alla generalità degli altri dipendenti pubblici - Insussistenza - Non fondatezza della questione. D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, artt. 3, commi 2 e 3; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 -bis, comma 11; legge 30 novembre 1998, n. 419, art. 2, comma 1, lett. t). Costituzione, art. 3. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), dell art. 3 -bis, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell art. 2, comma 1, lettera t), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), promosso dal Tribunale di Monza nel procedimento vertente tra F.R. e INPDAP, con ordinanza del 26 gennaio 2011, iscritta al n. 237 del registro ordinanze 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell anno Visti gli atti di costituzione di F.R. e dell INPS, successore ex lege dell INPDAP, nonché gli atti di intervento di G.D.P. e della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO); udito nell udienza pubblica del 3 aprile 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri; uditi gli avvocati Rosaria Russo Valentini per F.R. e Dario Marinuzzi per l INPS. 42

59 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 26 gennaio 2011, il Tribunale di Monza, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell art. 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), dell art. 3 -bis, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell art. 2, comma 1, lettera t), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). La normativa censurata ha disciplinato il trattamento assistenziale e previdenziale dei dipendenti pubblici e privati nominati direttore generale di unità sanitarie locali e aziende ospedaliere, prevedendo che i contributi previdenziali e assistenziali da versarsi da parte dall amministrazione di appartenenza del dipendente collocato in aspettativa senza assegni sono computati sul trattamento economico corrisposto per l incarico conferito, con conseguente aumento della base di calcolo dei trattamenti di fine servizio dovuti in caso di collocamento a riposo del dipendente Il rimettente riferisce che il giudizio principale è stato introdotto dal ricorso proposto nei confronti dell IN- PDAP da un lavoratore, già dipendente del servizio sanitario nazionale dal 1971, collocato in aspettativa nel 2004 per svolgere l incarico di direttore generale dell Azienda USL di Bologna. Tale situazione si è protratta fino al 2008, data del pensionamento del ricorrente, il quale ha ricevuto l indennità premio di servizio, prevista dalla legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), non sulla base del trattamento economico percepito negli ultimi dodici mesi di lavoro, bensì sulla cosiddetta retribuzione virtuale, cioè sul trattamento in atto nel 2004, prima del collocamento in aspettativa concesso per l espletamento dell incarico di direttore generale. Il ricorrente chiede dunque l accertamento del diritto alla diversa liquidazione dell indennità premio di servizio e la condanna dell INPDAP al pagamento della differenza. Riferisce ancora il giudice a quo che l INPDAP si è costituto ed ha chiesto il rigetto del ricorso, proponendo eccezione di illegittimità costituzionale della normativa in oggetto per contrasto con l art. 3 Cost Su queste premesse in fatto, il rimettente osserva come oggetto della controversia sia l inclusione, nella base di calcolo dell indennità premio di fine servizio, della retribuzione percepita dal ricorrente mentre ricopriva l incarico di direttore generale di USL. È richiamata la disciplina dell indennità premio di servizio, prevista negli artt. 4 e 11, quinto comma, della legge n. 152 del 1968, i quali prevedono, rispettivamente, che la misura dell indennità in questione è «pari a un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi, considerata in ragione dell 80 per cento ai sensi del successivo art. 11, per ogni anno di iscrizione all Istituto. Le frazioni superiori a sei mesi si computano per anno intero; quelle pari o inferiori sono trascurate», e che «la retribuzione contributiva è costituita dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso». Secondo il giudice a quo, nel contesto in esame non sarebbe rilevante tanto «la natura retributiva o meno dell indennità in questione [...] quanto il fatto che essa faccia parte integrante della retribuzione contributiva sulla quale va effettuato il calcolo ai fini della determinazione della indennità premio di fine servizio». Ancora a proposito della nozione di retribuzione annua contributiva, il rimettente evidenzia come in base agli artt. 4 della legge n. 152 del 1968 e 30, comma 3, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55 (Provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l anno 1983), convertito, con modificazioni, dall art. 1 della legge 26 aprile 1983, n. 131 essa comprenda la somma degli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione dell attività lavorativa e, tra questi, l indennità per mansioni superiori, «stante la sua fissità, predeterminazione e continuatività, in quanto collegata ad incarico che, ancorché temporaneo, si protrae nel tempo e, peraltro, come nella fattispecie fino alla cessazione del servizio del dipendente interessato». Il giudice a quo sottolinea come il dibattito giurisprudenziale intorno alla nozione di «stipendio annuo complessivo», rilevante in ambito contributivo, sia stato definito dalla sentenza n del 1997 delle Sezioni unite della Corte di cassazione in senso restrittivo, analogamente a quanto avvenuto nella giurisprudenza amministrativa (sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato n del 1998 e n. 121 del 1985). La giurisprudenza di legittimità ha quindi costantemente escluso dalla base di computo del trattamento di fine servizio indennità di varia natura, che pure costituivano parte fissa del trattamento retributivo (sono richiamate le sentenze n del 2007, n del 2006, n del 2004, n del 2004 e n del 2003). 43

60 Peraltro, prosegue il rimettente, la Corte di cassazione si è diversamente espressa proprio con riguardo alla disciplina oggetto dell odierna questione (è richiamata la sentenza n del 2008), riconoscendo che la disposizione contenuta nell art. 3 -bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992, ha previsto che i contribuiti previdenziali ed assistenziali siano calcolati sul trattamento economico percepito per l incarico di direttore generale di USL, così modificando il precedente regime, contenuto nell abrogato art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, che assumeva a base di calcolo lo stipendio del dipendente pubblico Il giudice a quo dà atto che l art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 229 del 1999, modificativo della disciplina nel senso sopra indicato, è già stato sottoposto a scrutinio di costituzionalità, in riferimento all art. 76 Cost., e che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 351 del 2010, ha dichiarato la relativa questione non fondata. Residuerebbe tuttavia, secondo il rimettente, il dubbio di conformità della normativa indicata all art. 3 Cost., sotto il profilo della manifesta irragionevolezza di una disciplina che, «nell ambito dei dipendenti pubblici non soggetti a t.f.r., introduce per una ristretta categoria di essi, vale a dire i dipendenti che hanno assunto temporaneamente l incarico di direttori generali di USL con contratto di lavoro autonomo e, per questo, sono stati posti in aspettativa [...], un computo del trattamento previdenziale (nella specie l indennità premio di servizio di cui alla legge n. 152 del 1968) più vantaggioso nella base di calcolo (o retribuzione contributiva) rispetto a quello della generalità». La manifesta irragionevolezza segnerebbe anche la diversità del trattamento di fine rapporto determinata all interno della ristretta categoria dei dipendenti pubblici che abbiano rivestito l incarico di direttore generale di USL: il computo dell indennità premio di servizio su una base di calcolo più cospicua avviene soltanto per coloro che contestualmente cessino dall incarico dirigenziale e dal rapporto di pubblico impiego, non anche per coloro i quali riprendano servizio presso l amministrazione di provenienza, una volta cessato l incarico Quanto alla prima disparità di trattamento prospettata, il rimettente osserva come, per la generalità dei dipendenti pubblici non soggetti a trattamento di fine rapporto, la retribuzione contributiva sia rigorosamente circoscritta agli emolumenti percepiti nell ultimo anno di servizio, in stretta correlazione con l inquadramento del dipendente, senza che abbiano alcun rilievo gli emolumenti correlati alle mansioni o agli incarichi di volta in volta assegnati, anche se svolti per un lungo periodo, «con o senza aspettativa dal rapporto di pubblico impiego». L unica eccezione sarebbe costituita proprio dalla categoria dei dipendenti pubblici nominati direttore generale di USL, per i quali il censurato art. 3 -bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede che la retribuzione contributiva non sia quella virtuale, corrispondente agli emolumenti che gli interessati avrebbero percepito nell ultimo anno di servizio, qualora non fossero stati posti in aspettativa, bensì il compenso significativamente più cospicuo percepito «nell ultimo anno in qualità non di pubblici dipendenti ma di lavoratori autonomi incaricati di direzione generale delle USL». A proposito della seconda disparità di trattamento, il giudice a quo ribadisce quanto già evidenziato a proposito del vantaggio che si determina soltanto per il dipendente pubblico che cessi contestualmente sia dall incarico di direzione di USL sia dal rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che gli emolumenti percepiti nell ultimo anno di attività, prima del collocamento a riposo, costituiscono retribuzione contributiva e quindi base di calcolo dell indennità premio di servizio Con riferimento al precedente scrutinio di costituzionalità della normativa oggetto di censura, il rimettente evidenzia come «l affermata conformità della disciplina al principio di ragionevolezza esaminata dalla Corte costituzionale al punto 4 della pronuncia n. 351 del 2010, presenta punti di rilevanza sotto altro profilo, vale a dire per la fiscalità generale, sulla quale sostanzialmente si regge il bilancio dell Istituto, e pone quindi l altra questione ossia quella di tenuta rispetto al principio di cui all art. 3 Cost., alla luce dei continui interventi da parte del legislatore volti sia al contenimento della spesa pubblica, anche nel settore previdenziale, che ad una razionalizzazione delle risorse a fini retributivi» (è richiamato il d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 195, - Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo). Il giudice a quo sottolinea, infine, come la Corte costituzionale abbia più volte riconosciuto che, in un contesto di progressivo deterioramento della finanza pubblica, si pone la necessità di una più adeguata ponderazione dell interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica, e che detto interesse non si pone in contrasto con l art. 38 Cost., il quale «di per sé non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante» (sono richiamate le sentenze n. 361 del 1996, n. 240 del 1994, n. 119 del 1991, n. 822 e n. 220 del 1988). 44

61 Il rimettente invoca dunque un intervento che, come accaduto in altre occasioni (è richiamata la sentenza n. 316 del 2010 della Corte costituzionale), individui «il punto di bilanciamento tra principi di uguale rango costituzionale, ossia quello di cui all art. 38 Cost. e quello della solidarietà sociale ex art. 3 Cost., sotteso alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria del sistema previdenziale». 2. Con atto depositato il 1 dicembre 2011 si è costituito nel giudizio incidentale F.R., ricorrente nel procedimento principale, ed ha chiesto il rigetto della questione, riservandosi di argomentare con separata memoria Nella memoria depositata il 1 marzo 2012 la parte ricorrente richiama la vicenda sottostante il giudizio a quo, precisando di avere prestato servizio come dipendente del Servizio sanitario nazionale a far tempo dal 1971, di essere divenuto dirigente amministrativo di ruolo presso l Azienda ospedaliera di Lecco nel 1996, di avere quindi ricoperto l incarico di direttore generale dell USL prima di Reggio Emilia e poi di Bologna fino al pensionamento, avvenuto nel 2008, versando all INPDAP i contributi sulla retribuzione percepita come direttore generale. Dopo il collocamento a riposo, prosegue il ricorrente, l INPDAP ha riconosciuto il trattamento pensionistico assumendo nella base di calcolo anche la retribuzione percepita e contribuita come direttore generale, mentre per il calcolo dell indennità premio di fine servizio, ex art. 4 della legge n. 152 del 1968, l Istituto ha considerato la retribuzione cosiddetta virtuale, cioè quella che sarebbe stata percepita se il ricorrente non avesse mai lasciato il suo posto di dirigente amministrativo a tempo indeterminato. La difesa della parte privata segnala l erroneità della valutazione, in considerazione del fatto che la posizione del dirigente amministrativo è data dalle funzioni svolte in concreto, non in ragione del posto di ruolo ma per effetto di incarichi a termine, per i quali sono corrisposte specifiche indennità che dipendono da tale concreto esercizio, come previsto dall art. 19, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e dall allegato n. 3 al CCNL del 3 novembre 2005, per la dirigenza medica e per quella sanitaria, tecnica e amministrativa delle aree III e IV di contrattazione. Evidentemente, prosegue la stessa difesa, a partire dal 1996 il ricorrente non ha potuto ricevere alcun incarico perché svolgeva l incarico di direttore generale di USL. Il criterio adottato dall INPDAP per la quantificazione dell indennità premio di fine servizio sarebbe in realtà artificioso, come del resto acclarato anche dalla giurisprudenza di legittimità (sono richiamate le ordinanze della Corte di cassazione n. n e del 2011) Con riguardo al merito delle questioni sollevate dal Tribunale di Monza, la parte ricorrente richiama la sentenza n. 351 del 2010 della Corte costituzionale, che ha già deciso sul quesito se, ai fini del calcolo ex art. 4 della legge n. 152 del 1968 dell indennità premio di servizio del direttore generale di USL, che sia pubblico dipendente in aspettativa, debba essere considerata la retribuzione effettivamente percepita oppure la retribuzione ipotetica, che il soggetto avrebbe percepito qualora fosse rimasto in servizio nella qualità di impiegato amministrativo. La Corte avrebbe ritenuto che la base di calcolo debba essere costituita dalla retribuzione effettivamente percepita, e ciò implica che quella retribuzione dovrebbe essere considerata «retribuzione contributiva». La normativa in materia, che in passato poteva suscitare dubbi interpretativi, è stata modificata nel senso indicato in attuazione della delega contenuta nell art. 2, comma 1, lettera t), della legge n. 419 del Nel giudizio di legittimità costituzionale, definito con la sentenza n. 351 del 2010, l art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 229 del 1999 era censurato in riferimento all art. 76 Cost., per un presunto eccesso di delega, sul presupposto che la legge n. 419 del 1998 si limitasse a chiedere l equiparazione del trattamento assistenziale e previdenziale spettante ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, i quali fossero nominati direttori generali di USL. La Corte costituzionale ha invece ritenuto che l obiettivo della equiparazione del trattamento previdenziale richiedesse, preliminarmente, l individuazione di una base di calcolo valida a fronte di qualsiasi provenienza del lavoratore incaricato, con la precisazione che «sarebbe stato, peraltro, in contraddizione con la ratio della delega, se la omologazione dei trattamenti previdenziali si fosse limitata ad estendere, puramente e semplicemente, il trattamento preesistente, fonte di disparità dovuta alle diverse carriere e status dei soggetti anche ai dipendenti privati». Ancora è richiamata l affermazione della sentenza n. 351 del 2010, secondo cui «l individuazione della base di calcolo nella contribuzione goduta per l incarico di direttore generale, amministrativo e sanitario di azienda sanitaria, e non invece sul compenso virtuale legato all ultima prestazione lavorativa effettuata presso l ente di provenienza, è stata operata dal legislatore delegato scegliendo uno dei mezzi possibili per realizzare quell unificazione delle tutele imposta dalla legge di delega». 45

62 A parere della difesa del ricorrente, la motivazione citata renderebbe evidente che la Corte si è già pronunciata sull applicazione del principio di uguaglianza alla materia in esame, ritenendo che l equiparazione dei lavoratori provenienti dal settore pubblico e dal settore privato fosse individuabile proprio nel dato di realtà della retribuzione effettivamente percepita in qualità di direttore generale di USL da quanti sono chiamati a ricoprire l incarico, e sulla quale tutti versano i contributi che l INPDAP, a sua volta, percepisce La difesa della parte privata esamina le censure prospettate dal giudice a quo, secondo cui i dipendenti pubblici che hanno assunto l incarico temporaneo di direttore generale di USL sarebbero favoriti rispetto alla generalità degli altri dipendenti pubblici, e tra di essi sarebbero favoriti soltanto coloro i quali, dopo la conclusione dell incarico, vanno in quiescenza, senza tornare al posto di ruolo. In contrario si osserva che i pubblici dipendenti nominati direttore generale di USL sono pochi, raggiungono vertici di particolare responsabilità e prestigio, ed hanno una diversa retribuzione, cui corrisponde anche una diversa contribuzione. Essi, dunque, non si trovano nelle stesse condizioni dei colleghi che rimangono negli ordinari ruoli dei dipendenti pubblici, e ciò giustificherebbe la diversità del trattamento. Inoltre, la norma che consente di assumere a base di calcolo dell indennità premio di servizio «un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi [...]», e cioè l art. 4 della legge n. 152 del 1968, trova applicazione nei confronti di tutti i dipendenti pubblici degli enti locali, e perciò anche di coloro i quali siano stati nominati direttore generale di asl. Sarebbe dunque questa norma a produrre l effetto lamentato dal rimettente, e non il censurato art. 3 -bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992, con il quale il legislatore si sarebbe limitato, in ossequio al principio di uguaglianza, a garantire l applicazione della norma stessa anche in favore dei dipendenti chiamati a svolgere l incarico di direttori generale, amministrativo e sanitario di USL. In tutto il settore del lavoro pubblico, infatti, la retribuzione contributiva presa a base di calcolo ai fini della liquidazione dell indennità premio di servizio è quella degli ultimi dodici mesi, e del resto, come previsto dall art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, gli incarichi dirigenziali e la conseguente retribuzione superiore sono per definizione «a termine». In questa diversa prospettiva, i profili di incostituzionalità prospettati dal rimettente potrebbero al più riguardare la disciplina contenuta nella legge n. 152 del Con atto depositato il 31 ottobre 2011, si è costituito nel giudizio incidentale l INPDAP, già resistente nel giudizio a quo, ed ha concluso per l accoglimento della questione, riservandosi di argomentare con successiva memoria In data 5 marzo 2012 ha depositato memoria l INPS, nel frattempo succeduto ex lege all INPDAP ai sensi dell art. 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n L Istituto, dopo aver ripercorso i termini essenziali della controversia e dell ordinanza di rimessione, procede all esame della questione osservando, innanzitutto, che la stessa sarebbe sicuramente ammissibile. Le norme censurate sono state oggetto di scrutinio di costituzionalità, nella sentenza n. 351 del 2010, con riferimento all art. 76 Cost., e dunque sotto il diverso profilo «di natura formale, di tecnica legislativa». Le questioni odierne, che ripetono l eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal medesimo Istituto nel giudizio principale, sarebbero del tutto diverse, richiedendo di verificare «se le nuove disposizioni, nella parte in cui introducono una disciplina di favore per una sola e ristrettissima categoria di lavoratori rispetto alla intera platea dei dipendenti pubblici, siano o non manifestamente irragionevoli, ovvero possano ritenersi conformi o non all art. 3 Cost.» Nel merito, dopo aver esaminato la disciplina dell indennità premio di servizio, contenuta nella legge n. 152 del 1968, la difesa dell INPS richiama l orientamento costante della giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza delle Sezioni unite n del , secondo il quale l ordinamento non conosce una nozione di retribuzione utile onnicomprensiva, ai fini del calcolo dell indennità premio di servizio, potendosi considerare a tal fine soltanto gli emolumenti indicati espressamente dall art. 11 della legge n. 152 del Nella medesima direzione, prosegue l Istituto, la Corte di cassazione ha precisato che il particolare regime di favore che connota l indennità premio di fine servizio, pari all ultima e quindi più alta retribuzione annua, da moltiplicarsi per tutti gli anni di lavoro, viene contemperato dalla ristretta valorizzazione dei soli emolumenti previsti dalla legge come utili (sono richiamate le sentenze n del 2004 e n del 2003). 46

63 Diversamente, le norme che disciplinano il trattamento di fine rapporto, ora spettante alla generalità dei dipendenti pubblici, assumono a riferimento «le retribuzioni via via percepite, e dunque anche quelle più basse, nel corso della intera vita lavorativa». Sarebbe dunque evidente, secondo la difesa dell INPS, l ingiustificata disparità di trattamento che, per effetto delle norme censurate, si realizzerebbe nell ambito della categoria di dipendenti delle pubbliche amministrazioni ancora beneficiari dell indennità premio di fine servizio. In proposito andrebbe considerato che i dipendenti del comparto enti locali i quali, in costanza di rapporto di pubblico impiego, quindi senza essere collocati in aspettativa, svolgono «mere funzioni dirigenziali» non hanno diritto, in sede di calcolo dell indennità premio di servizio, al riconoscimento delle somme percepite per le funzioni dirigenziali, in quanto non previste dalla legge n. 152 del 1968 (sono richiamate sul punto la sentenza n del 2001 e nuovamente le sentenze n del 2003 e n del 1997 della Corte di cassazione), né ai compensi percepiti per la direzione o reggenza di fatto, anch essi non utili ai fini del calcolo dell indennità premio di servizio (è richiamata la sentenza n del 2008 della Corte di cassazione). In definitiva, osserva la difesa dell INPS, secondo la giurisprudenza di legittimità non è ammesso, in generale, il computo di ogni emolumento o aumento retributivo conseguito in prossimità della cessazione del rapporto di lavoro, ai fini della liquidazione dell indennità premio di servizio. Da ciò la manifesta irragionevolezza della norma contenuta nell art. 3 -bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992, che, invece, consente di ottenere la liquidazione di detta indennità «con il computo di tutti i notevoli emolumenti percepiti per lo svolgimento dell incarico di direzione generale, solo ed esclusivamente a favore di colui che è chiamato a dirigere una azienda sanitaria». L irragionevolezza emergerebbe in modo ancor più marcato ove si ponga mente al fatto che l incarico di direttore generale di USL è svolto in regime di aspettativa e con contratto di lavoro autonomo, ancorché coordinato con i fini dell ente di appartenenza (è richiama la sentenza n del 1998 delle Sezioni unite della Corte di cassazione) La normativa censurata risulterebbe illegittima anche sotto l ulteriore e diverso profilo, pure prospettato dal rimettente, della ingiustificata disparità di trattamento all interno della stessa categoria di dipendenti pubblici chiamati a svolgere l incarico di direttore generale di asl. Tra costoro, infatti, sarebbero privilegiati, ai fini della liquidazione dell indennità premio di servizio, soltanto quei lavoratori che decidono di andare in pensione senza riprendere la precedente attività: in tal caso la retribuzione dell ultimo anno di attività, sulla quale è parametrata l indennità premio di servizio, coincide con gli emolumenti percepiti per l incarico di direttore generale. Nel diverso caso in cui il lavoratore riprenda l attività presso l ente locale di appartenenza, al momento del collocamento a riposo percepirà una indennità premio di servizio nettamente inferiore, perché parametrata alla retribuzione che avrà percepito in qualità di dipendente pubblico nell ultimo anno di attività. A parere della difesa dell INPS «tale differenziazione non appare sostenibile, non solo perché è legata ad un evento futuro e incerto, ovvero la scelta [...] di rientrare o non in servizio alle dipendenze dell ente locale, ma anche e soprattutto perché, in modo assolutamente irragionevole, non consente di commisurare la entità totale della prestazione previdenziale alla qualità ed alla durata della intera attività svolta». Per questi motivi, l Istituto ritiene non condivisibile quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 351 del 2010 (punto 5 del Considerato in diritto), e cioè che «il pensionamento, e quindi il diritto alla indennità di cui sopra del lavoratore pubblico dipendente in costanza dell incarico esterno è una evenienza di fatto, che determina coerenti conseguenze giuridiche ed economiche, mentre diversa è la situazione di chi rientri nell amministrazione di provenienza una volta cessato dall incarico cui ugualmente si applica l art. 4 della legge n. 152 del 1968». Il pensionamento, secondo la difesa dell INPS, non può essere ridotto ad una mera evenienza di fatto. Nella specie, poi, per i dipendenti pubblici che al termine dell incarico dirigenziale in esame non hanno raggiunto i limiti massimi anagrafici e contributivi, il pensionamento è il risultato di una scelta di mera convenienza, che troverebbe causa proprio nella disciplina introdotta dal censurato art. 3 -bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del L effetto premiale che consegue alla cessazione anticipata dal servizio, peraltro, costituirebbe un deterrente, per i soggetti dotati di esperienza e professionalità tali da aver assunto incarichi di dirigenza delle aziende sanitarie, a prestare ulteriormente la propria esperienza lavorativa al servizio delle amministrazioni di provenienza. 47

64 3.4. La difesa dell INPS osserva ulteriormente come l ingiustificata disparità di trattamento, introdotta dalla normativa censurata, risulti «inaccettabile anche alla luce della recentissima normativa previdenziale, tutta orientata nella direzione del contenimento della spesa». Sono richiamati, tra gli altri, gli interventi legislativi finalizzati al differimento dei termini per il pagamento dei trattamenti di fine servizio (art. 1, commi 22 e 23, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148), che vanno ad aggiungersi ai precedenti, aventi ad oggetto le modalità di liquidazione rateale dell indennità premio di servizio (art. 12, commi da 7 a 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122) Conclusivamente, la difesa dell Istituto segnala la disparità di trattamento che, per effetto delle norme censurate, si realizzerebbe a favore della ristretta categoria dei dipendenti pubblici indicati e richiama numerose disposizioni che disciplinerebbero fattispecie in tutto analoghe a quella in esame, di aspettativa dei dipendenti pubblici e privati, in termini diametralmente opposti a quelli previsti nelle norme censurate. In particolare, l INPS segnala che, con l art. 1, comma 32, del d.l. n. 138 del 2011, il legislatore ha aggiunto il periodo finale all art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevedendo che, per la liquidazione del trattamento di fine servizio dei funzionari ai quali è stato attribuito un incarico dirigenziale, l ultimo stipendio va individuato nell ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell incarico dirigenziale avente durata inferiore a tre anni. Ancora, in tema di calcolo della retribuzione annua pensionabile, l Istituto cita l art. 40 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l impiego, di incentivi all occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), il quale stabilisce, ai fini della contribuzione figurativa per aspettative e permessi, che il valore retributivo da attribuire per ciascuna settimana ai periodi riconosciuti figurativamente, ai fini del calcolo della retribuzione annua pensionabile, è pari all importo della normale retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore, in caso di prestazione lavorativa, nel mese in cui si colloca l evento. È poi richiamato l art. 8, ottavo comma, della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica), secondo il quale, ai lavoratori collocati in aspettativa ai sensi dell art. 31 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), le retribuzioni da riconoscere ai fini del calcolo della pensione sono commisurate alla retribuzione della categoria e qualifica professionale posseduta dall interessato al momento del collocamento in aspettativa, adeguate in relazione alla dinamica salariale e di carriera della stessa categoria e qualifica. Le predette disposizioni renderebbero evidente che le norme oggetto dell odierno scrutinio contengono una disciplina, del tutto eccentrica ed irragionevole, del trattamento previdenziale dei dipendenti pubblici del comparto enti locali, nominati direttori generali di USL. 4. Con atto depositato in data 29 novembre 2011, è intervenuto nel giudizio incidentale G.D.P. per sostenere le ragioni del rigetto delle questioni. L interesse all intervento risiederebbe nella qualità di parte, che l interveniente riveste, in un giudizio nel quale l INPDAP ha chiesto che siano sollevate questioni di legittimità costituzionale in tutto analoghe alle odierne. L interveniente G.D.P. ha depositato, in data 9 febbraio 2012, memoria illustrativa nella quale ribadisce le argomentazioni sviluppate nell atto di intervento. 5. Con atto depositato il 1 dicembre 2011, è intervenuta nel giudizio incidentale la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO) per sostenere le ragioni del rigetto delle questioni. L interveniente F.I.A.S.O. ha depositato, in data 1 marzo 2012 memoria illustrativa nella quale sono svolti argomenti per dimostrare la non fondatezza delle predette questioni. 48

65 Considerato in diritto 1. Con ordinanza del 26 gennaio 2011, il Tribunale di Monza, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell art. 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), dell art. 3 -bis, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell art. 2, comma 1, lettera t), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). 2. Preliminarmente, deve essere dichiarata l inammissibilità degli interventi spiegati da G.D.P., parte di un procedimento nel quale l INPDAP ha proposto eccezione di legittimità costituzionale finalizzata al promovimento di questioni analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, e dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO). Si tratta, in entrambi i casi, di soggetti estranei al giudizio principale e che non possono risultare direttamente pregiudicati dalla presente decisione. Deve quindi essere ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel giudizio incidentale sono ammessi a partecipare oltre che il Presidente del Consiglio dei ministri o, nel caso si discuta di legge regionale, il Presidente della Giunta regionale soltanto le parti del procedimento principale ed i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio, e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura ( ex plurimis, sentenze n. 304 del 2011 e n. 96 del 2008). 3. La questione non è fondata. 3.1 È utile ricostruire l evoluzione del quadro normativo, anche in rapporto alla sentenza n. 351 del 2010 di questa Corte. L art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede, sin dal suo testo originario, che, per i pubblici dipendenti nominati direttori generali, amministrativi o sanitari di unità sanitarie locali e aziende ospedaliere, il periodo di aspettativa sia «utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza e dell anzianità di servizio». L art. 2, comma 1, lettera t), della legge n. 419 del 1998 ha delegato il Governo a «rendere omogenea la disciplina del trattamento assistenziale e previdenziale dei soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda, nell ambito dei trattamenti assistenziali e previdenziali previsti dalla legislazione vigente, prevedendo altresì per i dipendenti privati l applicazione dell art. 3, comma 8, secondo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni». In attuazione di detta delega legislativa, l art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 229 del 1999, ha inserito, nel citato d.lgs. n. 502 del 1992, l art. 3 -bis, il quale, al comma 11, nel ribadire che il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, stabilisce: «le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente, calcolati sul trattamento economico corrisposto per l incarico conferito nei limiti dei massimali di cui all art. 3, comma 7, del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181, e a richiedere il rimborso di tutto l onere da esse complessivamente sostenuto all unità sanitaria locale o all azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell interessato». La disposizione sopra riportata è stata oggetto di una questione di legittimità costituzionale, per presunta violazione dell art. 76 Cost., definita da questa Corte, nel senso della non fondatezza, con sentenza n. 351 del Il giudice rimettente evoca nel presente giudizio nei confronti della stessa disposizione già scrutinata nel procedimento conclusosi con la citata sentenza n. 351 del 2010 l art. 3 Cost., assumendo che la norma censurata prevederebbe un trattamento irragionevolmente privilegiato per una ristretta categoria di «dipendenti pubblici non soggetti a t.f.r.» coloro che hanno assunto temporaneamente l incarico di direttori generali delle USL per i quali il computo del trattamento previdenziale (nella specie, l indennità premio di servizio) sarebbe più vantaggioso nella base di calcolo (o retribuzione contributiva) rispetto a quello della generalità dei dipendenti pubblici. La norma censurata avrebbe inoltre favorito, all interno di tale categoria, coloro che contestualmente cessano dall incarico di direttore generale e dal rapporto di pubblico impiego, discriminando irragionevolmente coloro i quali, dopo la cessazione dell incarico e dell aspettativa, hanno invece ripreso servizio presso le amministrazioni di provenienza. 49

66 Il giudice a quo rileva che, alla stregua della legislazione vigente e della giurisprudenza di legittimità, per la generalità dei dipendenti pubblici non soggetti a t.f.r., la retribuzione contributiva sarebbe rigorosamente limitata agli emolumenti percepiti nell ultimo anno di servizio in stretta correlazione all inquadramento, senza che abbiano alcun rilievo gli emolumenti correlati alle mansioni o incarichi di volta in volta assegnati, anche se eventualmente svolti per un notevole periodo di tempo, con o senza aspettativa dal rapporto di pubblico impiego. Lo stesso giudice ritiene di poter superare quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 351 del 2010, relativa al profilo dell eccesso di delega, chiedendo che, nella definizione del presente giudizio, questa Corte stabilisca «il punto di bilanciamento tra principi di uguale rango costituzionale, ossia quello di cui all art. 38 Cost. e quello della solidarietà sociale ex art. 3 Cost. sotteso alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria del sistema previdenziale». 5. Le argomentazioni del rimettente sono prive di fondamento, poiché la norma censurata non istituisce una irragionevole differenza di trattamento previdenziale con riferimento all indennità premio di servizio a favore di una categoria di soggetti, bensì prevede una base di calcolo unitaria per tutti coloro che si trovino ad esercitare determinate funzioni alla fine della loro carriera. Il punto di riferimento non sono quindi le qualità soggettive dei dipendenti presi in considerazione, ma le funzioni di direttore generale, amministrativo o sanitario di USL Come è stato chiarito nella sentenza n. 351 del 2010 di questa Corte, l individuazione della retribuzione contributiva in quella percepita nell ultimo anno di esercizio dell incarico prende le mosse dalla delega legislativa contenuta nella legge n. 419 del 1998, che perseguiva proprio l obiettivo di eliminare le diversità di trattamento tra soggetti che avevano esercitato, nell ultimo anno di attività, le medesime funzioni, ma provenivano da carriere e settori diversi della pubblica amministrazione. L unificazione di trattamento così ottenuta doveva essere resa applicabile anche ai dipendenti privati. Con l attuazione della delega, il legislatore delegato ha scelto uno dei possibili mezzi per realizzare l obiettivo indicato nella legge di delegazione, partendo da un dato, la retribuzione percepita per l incarico, sicuramente comune a tutti i dipendenti, pubblici e privati. Non si tratta dell unica scelta possibile, ma la stessa non può essere considerata manifestamente irragionevole dal momento che realizza una completa parificazione di tutti i soggetti, dipendenti pubblici e privati, che si trovino ad esercitare una certa funzione, quale che sia l amministrazione di provenienza o il lavoro svolto nel settore privato Con riferimento alla presunta violazione del principio di uguaglianza, determinata dall asserito trattamento privilegiato dei soggetti in questione, rispetto alla generalità degli altri dipendenti pubblici, si deve osservare che la situazione dei soggetti chiamati a svolgere l incarico di direttore generale, amministrativo o sanitario di USL non è identica né assimilabile a quella di coloro che tali funzioni non svolgono, mentre rimane intatto il principio generale secondo cui l indennità dovuta al dipendente alla fine della sua vita lavorativa è sempre commisurata all ultima retribuzione annua percepita, calcolata in ragione dell ottanta per cento, divisa per quindici, se si tratta di dipendenti di enti locali (art. 4 della legge 8 marzo 1968, n. 152, recante «Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali») o per dodici, se si tratta di dipendenti civili e militari dello Stato (art. 3 d.p.r. 29 dicembre 1973, n. 1032, recante «Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato»). Non trova pertanto riscontro nel diritto positivo l affermazione della difesa dell INPS, che fa riferimento «alle norme che disciplinano il trattamento di fine rapporto ora spettante alla generalità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, pari alle retribuzioni via via percepite, e dunque anche [a] quelle più basse, nel corso dell intera vita lavorativa». A tale principio si deve aggiungere l altro chiaramente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, in conformità all indirizzo di questa Corte «di tendenziale corrispondenza proporzionale fra entità della retribuzione ed entità della contribuzione, atteso che l opposta opzione interpretativa determinerebbe un ulteriore squilibrio fra trattamento di quiescenza e indennità premio di servizio, sebbene la stessa abbia natura previdenziale» ( ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza n del 2011). È appena il caso di ricordare che tale squilibrio è concreto ed attuale, giacché l ente previdenziale, interveniente nel presente giudizio, sin dal 1999 tiene conto, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, degli emolumenti percepiti per gli incarichi di direttore generale, amministrativo o sanitario di USL, ma ritiene di non dover osservare uguale criterio per la determinazione dell indennità premio di servizio, pur avendo introitato, dal 1999 ad oggi, la maggior contribuzione corrispondente agli emolumenti medesimi Non è condivisibile l argomentazione della difesa INPS, secondo cui la norma censurata introdurrebbe una deroga irragionevole al principio generale, formulato da una consolidata giurisprudenza di legittimità, in base al quale la retribuzione contributiva non è onnicomprensiva, ma è costituita, per i dipendenti degli enti locali, solo dagli emolumenti tassativamente indicati dall art. 11, quinto comma, della legge n. 152 del 1968 ( ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n del 2004). 50

67 A prescindere dalla considerazione che la stessa giurisprudenza di legittimità ha ritenuto proprio in relazione alla disposizione censurata nel presente giudizio compatibile con l art. 4 della legge n. 152 del 1968 il computo di aumenti retributivi conseguiti in prossimità della cessazione del rapporto di lavoro (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n del 2008), si deve rilevare che la ratio della non onnicomprensività della retribuzione contributiva deve essere rinvenuta nella considerazione, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, che «intanto un compenso può entrare a far parte della retribuzione-parametro sulla cui base viene liquidata l indennità premio di servizio in quanto sia preventivamente incluso nel coacervo su cui devono essere versati i contributi» (Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n del 1997). Con riferimento al presente giudizio, si deve porre in rilievo che la norma censurata include gli emolumenti relativi agli incarichi di direttore generale, amministrativo o sanitario di USL tra quelli assoggettati a contribuzione previdenziale, in coerenza con il principio generale prima richiamato, in base al quale non può entrare nella base di calcolo per l indennità dovuta al dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro alcun emolumento che non sia stato preventivamente assoggettato alla detta contribuzione. Anche sotto tale profilo, la disposizione censurata dal rimettente non può essere ritenuta manifestamente irragionevole, salvo naturalmente ogni possibile intervento del legislatore, volto ad individuare criteri diversi di computo, secondo scelte di politica economica e sociale non spettanti a questa Corte Quanto alla presunta posizione di svantaggio dei dipendenti che rientrino nelle amministrazioni di provenienza o nell impiego privato prima della cessazione del loro rapporto di lavoro, si deve in questa sede ribadire quanto già osservato nella sentenza n. 351 del 2010, che si tratta cioè di «una evenienza di fatto, che determina coerenti conseguenze giuridiche ed economiche». L attuale sistema generale di liquidazione dell indennità di fine rapporto per tutti i dipendenti pubblici (dello Stato o degli enti locali) fa esclusivo riferimento all ultima retribuzione annua percepita. Che poi questa evenienza di fatto possa essere frutto di un «calcolo di convenienza» del dipendente, come osserva la difesa dell INPS, non smentisce, anzi conferma, il precedente assunto, giacché le scelte individuali, operate avvalendosi di una normativa generale, non sono effetto necessario delle norme, ma di private volizioni, che non rilevano ai fini della valutazione della legittimità costituzionale delle norme stesse. Contrastare simili eventualità richiede, in ogni caso, l introduzione di specifiche discipline, che solo il legislatore può formulare Proprio allo scopo di evitare che calcoli opportunistici dei singoli soggetti possano determinare effetti iniqui e ingiustificatamente gravosi per la finanza pubblica, l art. 19, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dal comma 32 dell art. 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, ha stabilito che «ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, [...], l ultimo stipendio va individuato nell ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell incarico avente durata inferiore a tre anni». Poiché gli incarichi dirigenziali, secondo la medesima disposizione, non possono durare meno di tre anni, salvo che coincidano con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell interessato, si deduce che il legislatore ha voluto evitare che il conferimento di un incarico direttivo possa determinare un trattamento di fine rapporto correlato quantitativamente alla maggiore retribuzione percepita dal soggetto incaricato, ma solo nell ipotesi che l incarico stesso, eccezionalmente, sia di durata inferiore a tre anni. Viene così neutralizzata l efficacia sull indennità premio di fine rapporto di un incarico di troppo breve durata, che potrebbe essere stato conferito e assunto solo o prevalentemente in vista della fruizione di un maggior beneficio in sede di determinazione della suddetta indennità. Dalla citata disposizione si deduce pure, a contrario, che nell ipotesi di incarico avente normalmente una durata da tre a cinque anni, il calcolo dell indennità viene effettuato secondo il criterio generale previsto dalle norme vigenti, che lo agganciano all ultima retribuzione annua percepita. Con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, si deve rilevare che l art. 3 -bis, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, prescrive che il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario di USL è regolato da contratto di durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, rinnovabile. La cautela sottesa alla norma limitativa di cui al precedente capoverso è pertanto pienamente assicurata dalla legislazione in materia sanitaria. Anche sotto questo profilo non si riscontra quindi una particolare situazione di irragionevole privilegio per i soggetti in questione, rispetto alla generalità dei dipendenti pubblici. 6. Il giudice rimettente ritiene inoltre che «soltanto la Corte Costituzionale, come in altre occasioni ha fatto (sentenza n. 316 del 2010) può stabilire il punto di bilanciamento tra princìpi di uguale rango costituzionale, ossia quello di cui all art. 38 Cost. e quello di solidarietà sociale ex art. 3 Cost. sotteso alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria del sistema previdenziale». 51

68 Il giudice a quo chiede a questa Corte ciò che solo il legislatore può fare, nella ponderata considerazione delle risorse disponibili e delle spese destinabili al soddisfacimento dei diritti assistenziali e previdenziali tutelati dall art. 38 Cost. Quanto al principio di solidarietà sociale riferito dal rimettente all art. 3 e non invece all art. 2 Cost., nel quale è menzionato espressamente, e comunque sotteso allo stesso art. 38 Cost. (sentenza n. 240 del 1994, punto 6 del Considerato in diritto) la finalizzazione sociale delle somme risultanti dall eventuale accoglimento della odierna questione sarebbe del tutto generica e rientrerebbe, in ogni caso, nell ampio spettro di possibilità che si aprono dinanzi alle scelte politiche del Parlamento e del Governo, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza. Il rimettente cita alcune pronunce di questa Corte, che si riferiscono ad interventi legislativi volti a contemperare i diritti di cui all art. 38 Cost. e le esigenze di contenimento della spesa pubblica. La giurisprudenza costituzionale costante è nel senso che l art. 38 Cost. non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca un trattamento previdenziale prima spettante in base alla legge (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010, n. 361 del 1996, n. 240 del 1994, n. 119 del 1991, n. 822 del 1988), fermo il controllo di ragionevolezza sulle singole norme riduttive. Si deve escludere, viceversa, che possa essere la stessa Corte costituzionale a statuire siffatte riduzioni di spesa per l attuazione di diritti ex art. 38 Cost., in nome di un generico principio di solidarietà sociale, superando e addirittura ponendosi in contrasto con le determinazioni del legislatore. Solo a quest ultimo spettano le valutazioni di politica economica attinenti alle risorse disponibili nei diversi momenti storici, mentre è compito di questa Corte vigilare sul rispetto del nucleo essenziale dei diritti fondamentali, in ipotesi incisi da interventi riduttivi dello stesso legislatore. Il rovesciamento di ruoli ipotizzato dal giudice rimettente si pone in contrasto con il sistema costituzionale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili gli interventi di G.D.P. e della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO); dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), dell art. 3 -bis, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell art. 2, comma 1, lettera t), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), sollevata, in riferimento all art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Monza, con l ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

69 N. 120 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Sentenza 7-10 maggio 2012 Impiego pubblico - Periodi di assenza per malattia - Trattamento economico nei primi dieci giorni di assenza - Corresponsione del solo trattamento fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio - Asserita lesione del diritto alla salute, disparità di trattamento in danno dei lavoratori pubblici, lesione del diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, lesione del diritto alla assistenza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. D.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133), art. 71. Costituzione, artt. 3, 32, 36 e 38. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, promosso dal Tribunale di Livorno nel procedimento vertente tra R.C. ed altri e il Ministero dell istruzione, dell università e della ricerca ed altro, con ordinanza del 5 agosto 2011, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 5 agosto 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dell articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n Tale disposizione prevede, per quanto rileva rispetto ai vizi denunciati, che «1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per 53

70 malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. [...] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi» Riferisce il giudice rimettente che R.C., A.B., M.R. ed altri, tutti dipendenti del Ministero dell istruzione, dell università e della ricerca, avevano proposto ricorso innanzi ad esso al fine di ottenere l accertamento del loro diritto a ricevere, in caso di malattia, l intero trattamento retributivo in busta paga, e non solo il trattamento minimo o fondamentale siccome disposto dal succitato art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, con conseguente condanna del Ministero convenuto a corrispondere, appunto, l intero trattamento retributivo, spettante anche in caso di malattia del lavoratore, previa disapplicazione della norma censurata. Ne desume la centralità della verifica della legittimità costituzionale della norma in oggetto ai fini dell accertamento richiesto, con conseguente rilevanza manifesta della questione, perché la precedente normativa, la quale prevedeva che il trattamento retributivo del periodo di malattia non fosse diverso da quello di effettivo lavoro, senza alcuna decurtazione retributiva, sarebbe stata modificata in senso deteriore e peggiorativo per i lavoratori del comparto scuola Circa la non manifesta infondatezza, il giudice a quo formula le seguenti osservazioni L art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 risulterebbe, innanzitutto, in palese contrasto con l art. 3 Cost., il quale tutela la persona e la sua dignità e stabilisce il principio generale di eguaglianza dei cittadini di fronte all ordinamento. Ad avviso del rimettente, infatti, la disposizione censurata determina un illegittima disparità di trattamento nel rapporto di lavoro dei dipendenti del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato. Nel settore privato, infatti, si giunge al massimo, in alcuni contratti collettivi, alla previsione dell omesso pagamento dei primi tre giorni di malattia, subentrando dal quarto giorno l Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e nessun contratto priva il lavoratore della retribuzione o di una parte sostanziale di essa oltre il terzo giorno. Conseguentemente, poiché la parità di condizioni, sancita dall art. 3 Cost. come vincolo inderogabile posto al legislatore ordinario, può essere derogata solo sulla base di criteri o elementi che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato, il legislatore avrebbe nella specie finito col trattare in maniera differente le due categorie di lavoratori, discriminando quelli del settore pubblico. E, ciò, in violazione dell art. 3 Cost. in relazione al principio di uguaglianza tra i lavoratori, la cui appartenenza al settore pubblico o privato non giustificherebbe la disparità di trattamento sotto il profilo in esame, «in quanto entrambi [i] rapporti di lavoro sono caratterizzati dagli stessi elementi di subordinazione ed in quanto la malattia è un evento rispetto al quale non ha alcuna rilevanza la natura pubblica o privata del datore di lavoro» Inoltre, la citata normativa si ripercuoterebbe negativamente sulla retribuzione del lavoratore in malattia, cui sarebbero sottratti, durante il periodo d infermità, indennità o trattamenti aggiuntivi comunque di sua spettanza per diritto in tal senso già acquisito e sancito in busta paga e costitutivi della sua retribuzione globale di fatto, pur differenziata in varie voci. II lavoratore legittimamente ammalato, dunque, verrebbe a subire una riduzione dello stipendio in busta paga. Riduzione che, dati i livelli degli stipendi ad oggi percepiti dai lavoratori del comparto pubblico, sarebbe tale da non garantire agli stessi una vita dignitosa, in contrasto con l art. 36 Cost. Il concreto danno economico (in senso retributivo e contributivo) subìto dal lavoratore del settore pubblico in virtù dell applicazione della nuova legge sarebbe ingiusto e illegittimo anche alla luce del fatto che il lavoratore, e la parte sindacale stipulante nel suo interesse, quando sottoscrive un contratto di lavoro, non si vede garantito solamente il minimo retributivo tabellare, ma anche le indennità e le voci di compenso destinate, invece, ad essere perdute in caso di malattia La Costituzione tutela, altresì, la salute come fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività. Sicché, la norma in questione, incidendo pesantemente sulla retribuzione del lavoratore ammalato, determinerebbe un abbassamento del livello di protezione della salute del lavoratore. Questi, infatti, spinto dalle necessità economiche, sarebbe in concreto indotto a lavorare, sì da aggravare il proprio stato di malattia con danno per se stesso e la collettività, in palese violazione dell art. 32 Cost Vi sarebbe, infine, una lesione dell art. 38 Cost., integrata dalla privazione, in corso di malattia, di una parte della retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore, in misura tale da far mancare al cittadino, in quel momento inabile al lavoro, i mezzi di mantenimento e di assistenza. 2. Con atto depositato il 3 gennaio 2012 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, instando per la dichiarazione d inammissibilità o, comunque, d infondatezza delle questioni proposte dal Tribunale di Livorno con l ordinanza succitata In primo luogo, la difesa dello Stato ha eccepito l inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Livorno. 54

71 Le questioni dovrebbero essere considerate inammissibili, in primo luogo perché difetterebbero di descrizione puntuale e non consentirebbero di verificarne l effettiva rilevanza nel giudizio a quo. Rileva la difesa dello Stato al riguardo che il rimettente, dopo avere affermato che la questione «è punto centrale dell accertamento chiesto a questo giudice del lavoro e quindi [...] è rilevante», non avrebbe specificato la sussistenza di concreti elementi idonei a fondare l accoglimento dell istanza, né, sotto altro profilo, avrebbe enucleato aspetti di concretezza del danno asseritamente sofferto dalle parti ricorrenti L inammissibilità delle questioni sarebbe dovuta anche all irricevibilità della domanda formulata dai ricorrenti, poiché richiedenti la condanna dell Amministrazione alla corresponsione dell intero trattamento retributivo anche al lavoratore in malattia, previa la disapplicazione della norma sospettata d incostituzionalità. Donde l irricevibilità della domanda, non essendo ammesso nel nostro ordinamento alcun sindacato diffuso in ordine alla legittimità costituzionale Ad avviso della difesa dello Stato, inoltre, il giudice rimettente muove dall erroneo presupposto che il rapporto di pubblico impiego e il rapporto subordinato nel settore privato siano realtà giuridiche sovrapponibili. Diversamente, secondo un indirizzo consolidato della dottrina e della giurisprudenza, anche costituzionale, «il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni deve configurarsi, nel suo complesso, come speciale rispetto a quello alle dipendenze dell imprenditore privato» (la difesa statale richiama Corte di cassazione, sezione lavoro, 13 agosto 2008, n ; Corte costituzionale n. 313 del 1996, n. 309 del 1997, n. 89 [ rectius 82] del 2003, n. 199 del 2003). In particolare, secondo l Avvocatura dello Stato, nel «settore pubblico si deve rispondere al principio dell interesse collettivo all imparzialità e buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), [...]. La specialità dell impiego pubblico, che va valutata anche sul piano dei costi finanziari sopportati dalla collettività, determina una grande dicotomia tra pubblico e privato che impedisce qualsiasi assimilazione. [...]». Donde l ulteriore inammissibilità delle questioni proposte sotto tale profilo Oltre ad essere palesemente inammissibili, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Livorno sarebbero, altresì, destituite di fondamento nel merito In relazione all asserita illegittimità dell art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 con riferimento all art. 3 Cost., premette la difesa dello Stato che il principio di eguaglianza si specifica nel principio di ragionevolezza, il quale impone di trattare in modo uguale situazioni uguali ed in modo differenziato situazioni diverse. Una disparità di trattamento, quindi, potrebbe essere lamentata solo a fronte di situazioni di fatto identiche o analoghe. Nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 287 del 2006) e conformemente a quella amministrativa espressasi in ordine al dubbio di legittimità costituzionale della disposizione contenuta nell art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 (Tribunale amministrativo regionale del Lazio 24 aprile 2009, n. 4078), sarebbero state accomunate due situazioni non omogenee dal punto di vista della determinazione dei rispettivi trattamenti retributivi, «perché i lavoratori privati, a differenza di quelli pubblici, fruiscono, in caso di malattia, dell indennità corrisposta dall INPS che sostituisce la retribuzione». Peraltro, l incomparabilità delle discipline del lavoro pubblico e privato sarebbe confermata dal fatto che, pur essendo vero che la disciplina relativa ai lavoratori del settore privato prevede un massimo di tre giorni di decurtazioni, è altrettanto vero che per alcune categorie di dipendenti privati la contrattazione collettiva dispone una vera e propria interruzione integrale della retribuzione per il primo giorno di assenza (in questo senso, l accordo Fiat Mirafiori del 23 dicembre 2010). Secondo la difesa dello Stato, dunque, la piena legittimità della disposizione oggetto di censura deriva dall assoluta diversità del regime delle due tipologie di rapporti, connessa anche alla specialità di quello di tipo pubblicistico diffusamente riconosciuta dalla giurisprudenza e tale da escludere senz altro la lesione del principio di eguaglianza In relazione all asserita illegittimità della disciplina posta dall art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 rispetto all art 36 Cost., la difesa dello Stato rileva in via preliminare che analoghe riduzioni o decurtazioni del trattamento economico erano previste già dalla regolamentazione pubblicistica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, laddove, con le opportune esclusioni, era stata introdotta, onde evitare abusi nella fruizione del congedo straordinario per malattia, la riduzione di un terzo di tutti gli assegni spettanti per la prima giornata di assenza. Ne conseguirebbe la non fondatezza, altresì, della censura in esame, tenuto conto del principio, reiteratamente ribadito dalla Coste costituzionale (sentenze n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994), secondo cui, al fine di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti in relazione al disposto dell art. 36 Cost., occorre far riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso. Dovendosi avere riguardo - in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza - al principio di omnicomprensività della retribuzione medesima, non ci si potrebbe arrestare alla mera trattenuta degli emolumenti accessori connessi con lo svolgimento effettivo della prestazione lavorativa. 55

72 Né il legislatore avrebbe dovuto indicare specificamente le voci retributive ridotte, piuttosto che riferirsi genericamente alle indennità e agli emolumenti di carattere accessorio. Da un lato, infatti, con la predetta terminologia il legislatore si sarebbe limitato a recepire le tradizionali locuzioni già contenute nei contratti collettivi e comunemente accettate senza sospetti d illegittimità. Dall altro, la precisazione che la decurtazione tocca unicamente le voci retributive accessorie (con salvezza del trattamento economico fondamentale) varrebbe ad escludere ogni possibile lesione dei principi costituzionali di sufficienza, proporzionalità e intangibilità della retribuzione, nel quadro del già rilevato carattere di onnicomprensività della stessa e nel solco della disciplina dettata dai contratti collettivi, siccome ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa ( cfr. TAR del Lazio 24 aprile 2009, n. 4078, cit.). Con l effetto, in conclusione, che la decurtazione prevista dalla disposizione oggetto di censura, limitata agli emolumenti accessori e ai primi dieci giorni di assenza, non sarebbe concretamente idonea ad arrecare al lavoratore un serio pregiudizio in relazione al diritto a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro Neppure il preteso contrasto della norma censurata con l art. 32 Cost. avrebbe ragion d essere. A tale riguardo, la difesa dello Stato osserva, in primo luogo, che nell assetto dello stato sociale attualmente vigente nell ordinamento italiano, la tutela della salute quale fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività è assicurata, sotto il profilo pubblicistico, garantendo cure gratuite agli indigenti e rendendo disponibili ai cittadini strumenti di diagnosi e cura, anche in relazione all entità del reddito. E sotto tale aspetto la norma censurata non avrebbe alcuna incidenza, perché concernente solamente la misura del trattamento economico da riconoscere in caso di assenza per malattia. Del tutto evanescente sarebbe, inoltre, l argomento, meramente suggestivo, secondo cui la prevista riduzione del trattamento economico in costanza di malattia potrebbe indurre il lavoratore a continuare a lavorare e, in tal modo, a trascurare le cure, poiché «la descrizione di un eventuale fenomeno psicologico non è di per sé sufficiente a dimostrare la violazione dell invocato parametro di costituzionalità. [...] l ammontare della decurtazione è abbastanza esiguo e non è tale da causare un incisione pesante sul trattamento economico ordinariamente spettante al dipendente. [...] la norma si aggiunge alle analoghe previsioni già presenti da numerosi anni nei contratti collettivi dei comparti e delle aree del settore pubblico e, pertanto, un eventuale effetto di induzione alla prestazione lavorativa non può di certo essere imputato alla sopravvenuta disciplina di rango legislativo». Inoltre, anche la scelta di non curarsi costituirebbe entro dati limiti una forma di esercizio del diritto alla salute, quale espressione dell autodeterminazione dell individuo, rappresentando una libertà costituzionalmente tutelata dal medesimo art. 32 Cost. In ogni caso, in presenza della prognosi contenuta in un attestazione di malattia, sarebbe inesorabilmente precluso al dipendente il rientro anticipato in servizio, senza che l Amministrazione possa assentire anzitempo lo svolgimento dell attività lavorativa Quanto, infine, al sospettato scostamento della norma denunciata dall art. 38 Cost., anche tale censura, a parere della difesa dello Stato, si rivela infondata. Secondo l impostazione da essa accreditata, infatti, la tutela costituzionale in oggetto non si estende fino al punto di pretendere la corresponsione durante il periodo di malattia dell intero trattamento economico, ma richiede, invece, la garanzia di «mezzi adeguati alle esigenze di vita», alla stregua di un criterio di sufficienza e proporzione rispetto ai bisogni dell assicurato e con la possibilità di comprimere persino questo zoccolo duro qualora sia imperativa la tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti, come i crediti alimentari. Sicché, solo l irrisorietà della provvidenza, nella specie esclusa dalla salvaguardia dell intero trattamento fondamentale, potrebbe far dubitare della legittimità costituzionale della disciplina sul trattamento economico in malattia. D altro canto, osserva la difesa dello Stato che pure la disciplina contenuta nel codice civile delinea il trattamento in favore del lavoratore ammalato nei termini di «un indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali [...], dagli usi o secondo equità» (art cod. civ.), riconoscendo, quindi, che l indennità de qua - in misura da determinarsi in base alle fonti ivi richiamate - possa essere di ammontare diverso da quello del normale trattamento economico, purché risulti comunque adeguata alle esigenze di vita del lavoratore (in tal senso, Corte di cassazione, sezioni unite, 24 novembre 1992, n , preceduta da Corte di cassazione, sezione lavoro, 27 giugno 1986, n e 15 giugno 1988, n. 4060). In sostanza, la norma codicistica, che rappresenta la cornice legale di riferimento, non impone alcuna soglia minima di protezione economica del lavoratore in caso di malattia, mancando nella stessa qualunque indicazione in ordine all entità del trattamento economico correlativo. Con la conseguenza di escludere che tale misura debba necessariamente coincidere con l intera retribuzione normalmente percepita dal lavoratore e di assegnare alla contrattazione collettiva, anche con riferimento al settore del lavoro privato, un ruolo regolativo fondamentale al riguardo. 56

73 Peraltro, l Avvocatura generale dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale in base alla quale non sussiste violazione dell art. 38 Cost. allorché, con apposita normativa, siano regolati l insorgenza e l esercizio del diritto all erogazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita per l evento malattia («siano poste con essa condizioni requisiti ed anche oneri», sentenza n. 78 del 1988; sentenza n. 180 del 1982). Perché rientra nella discrezionalità del legislatore la ricerca di un contemperamento tra le esigenze di vita dei lavoratori e la soddisfazione di altri princìpi, pure costituzionalmente garantiti, come il buon andamento dell amministrazione, gravemente pregiudicato dal fenomeno del cosiddetto assenteismo, il cui contenimento costituirebbe l obiettivo della norma censurata insieme con l evidente necessità di riduzione della spesa pubblica. Inoltre, l ammontare dei trattamenti potrebbe essere condizionato dalla situazione economica e dalle esigenze finanziarie da fronteggiare. Tali da indurre la Corte costituzionale a valorizzare con intensità crescente, nel bilanciamento complessivo degli interessi costituzionalmente protetti (tra cui la tutela previdenziale), anche l aspetto delle risorse finanziarie disponibili e dei mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (sentenze n. 531 del 2001, n. 417 del 1996, n. 361 del 1996, n. 421 del 1995, n. 240 del 1994, n. 243 del 1993, n. 226 del 1993 e n. 119 del 1991), con la riaffermata discrezionalità legislativa nella fissazione dell ammontare delle prestazioni sociali anche alla luce delle disponibilità finanziarie. Da questo punto di vista, sarebbe illuminante la collocazione della disposizione censurata in un contesto di misure finanziarie di contenimento della spesa pubblica, con lo scopo specifico di contrastare il fenomeno dell assenza ingiustificata dal lavoro (o meglio falsamente giustificata). Considerato in diritto 1. Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 5 agosto 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dell articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n Il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che «1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. [...] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi». La norma in esame è sospettata di illegittimità, perché, durante il periodo d infermità, priverebbe ingiustificatamente i lavoratori pubblici, diversamente da quelli privati, di una parte della retribuzione di fatto di loro spettanza, inducendoli a lavorare e a mettere, così, a repentaglio la salute, pur di non subire la relativa decurtazione. In tal modo sarebbero lesi gli artt. 3, 32, 36 e 38 Cost Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Livorno, in primis, per difetto di rilevanza. L eccezione non è fondata. Il giudice rimettente, premessa la richiesta dei ricorrenti (tutti dipendenti del Ministero dell istruzione, dell università e della ricerca) di ottenere il trattamento di malattia in misura corrispondente all intero trattamento retributivo in busta paga, ha chiaramente enunciato di dover fare applicazione, ai fini della definizione della lite, dell art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, modificativo in peius della precedente normativa di settore e, dunque, ostativo all accoglimento della domanda. Ciò è sufficiente a dimostrare la rilevanza delle questioni proposte, perché è di tutta evidenza che il giudice a quo abbia inteso riferirsi ad ipotesi rispetto alle quali l art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 avrebbe, a suo avviso, davvero introdotto un trattamento meno favorevole. 57

74 2.2. Anche l eccezione d inammissibilità proposta dalla difesa dello Stato per avere i ricorrenti sollecitato la disapplicazione della norma è destituita di fondamento. Difatti, il giudice rimettente ha interpretato correttamente l istanza dei lavoratori nel senso di voler rimettere a questa Corte, secondo il sistema di controllo accentrato previsto dall ordinamento giuridico italiano, il giudizio di legittimità costituzionale della norma in esame Dev essere, infine, disattesa l eccezione d inammissibilità per erronea e/o incompleta ricostruzione del quadro normativo, perché basata su elementi, come quello dell asserita incomparabilità tra lavoro pubblico e privato, che ridondano sul merito delle questioni sollevate. 3. Nel merito, le questioni non sono fondate La disposizione censurata prevede inderogabilmente la detrazione delle competenze accessorie dal trattamento dovuto al lavoratore in malattia per i primi dieci giorni, in un quadro di misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di «riportare il tasso di assenteismo del settore pubblico nei limiti di quello privato» (relazione al disegno di legge n presentato alla Camera dei deputati il 25 giugno 2008) e con l effetto dichiarato di utilizzare i risparmi in tal modo realizzati per il miglioramento dei saldi di bilancio delle pubbliche amministrazioni, senza alcuna confluenza nei fondi per la contrattazione integrativa. La differenza più rilevante rispetto alla disciplina previgente, di fonte eminentemente contrattuale (art. 17 del contratto collettivo relativo al personale del comparto scuola sottoscritto il 29 novembre 2007) risiede nella generalizzata operatività della riduzione in esame, indipendentemente dalla durata della malattia. Così ricostruita la ratio legis, la disposizione in oggetto si sottrae alle censure del rimettente Dev essere, anzitutto, esclusa la denunciata violazione dell art. 3 Cost. In primo luogo, l art del codice civile dispone che, in caso di malattia, spettano al lavoratore la retribuzione o un indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità. Ciò significa che già la norma generale di disciplina dell istituto è programmaticamente aperta ad una pluralità di soluzioni regolative di dettaglio. In secondo luogo, sotto il profilo in esame, l impianto normativo del lavoro pubblico non è confrontabile con quello del lavoro privato, per il fatto che nell àmbito di quest ultimo convivono regimi notevolmente diversificati. Invero, per esso, talora si fa ricorso ad un sistema assicurativo obbligatorio (destinato peraltro solo ad una parte dei lavoratori: operai, agricoli ed altre specifiche categorie), rispetto al quale, di conseguenza, la contrattazione collettiva svolge una funzione integrativa nei vari settori merceologici (intervenendo con una quota della retribuzione in aggiunta alla prestazione previdenziale). Talora, invece, la copertura previdenziale non è prevista (come nel caso degli impiegati). La legge speciale (art. 6 del regio decreto-legge 13 novembre 1924, n. 1825, recante «Disposizioni relative al contratto d impiego privato») e i contratti collettivi dispongono, quindi, autonomamente un trattamento retributivo a favore del lavoratore malato. Diversamente, nel lavoro pubblico privatizzato - al quale appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio a quo - la materia è sostanzialmente demandata alla contrattazione collettiva, in ossequio ai princìpi regolatori della normativa del settore, di cui agli artt. 2, 45 e 51 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con una varietà di discipline che risentono delle peculiarità di ciascun comparto di riferimento. Sicché, i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, proprio in relazione al regime della malattia. A tutto ciò va aggiunto che, malgrado la tendenziale omogeneizzazione derivante dalla privatizzazione della disciplina del pubblico impiego, la Corte non ha mancato di escludere l equiparabilità tra gli àmbiti del lavoro pubblico e del lavoro privato, affermando a più riprese la non perfetta coincidenza dei relativi regimi (sentenze n. 146 del 2008, n. 367 del 2006, nn. 199 e 82 del 2003, n. 309 del 1997, nonché nn. 313 e 388 del 1996). Peraltro, la scelta di depurare del trattamento accessorio la retribuzione fissa mensile del dipendente assente per malattia, sia pure con diverse sfumature, rappresenta una costante nei contratti collettivi del pubblico impiego, e non soltanto nel comparto scuola. Con l effetto che la norma censurata s iscrive nel sistema risultante dal complesso della contrattazione collettiva rivolta al personale pubblico dei singoli settori Neppure la questione di legittimità dell art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta in relazione all art. 36 Cost., è fondata. La conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade. 58

75 Del resto, questa Corte ha reiteratamente chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti, né - può aggiungersi - giorno per giorno, ma occorre valutare l insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994). Con la conseguenza che la decurtazione del trattamento accessorio per i soli primi dieci giorni di malattia non arreca alla retribuzione del lavoratore una perdita che possa pregiudicarne, in spregio al dettato costituzionale, la proporzionalità o la sufficienza Per ragioni analoghe non è ravvisabile alcun contrasto della norma in oggetto con l art. 38 Cost. Infatti, nessuna disposizione, né generale, né settoriale, impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione. Sicché, il ragguaglio di essa al mero trattamento fondamentale per i soli primi dieci giorni di assenza non è così drastico da privare il lavoratore infermo di mezzi idonei di sussistenza. D altro canto, si realizza in tal modo il ponderato bilanciamento, sia con altri princìpi costituzionalmente garantiti, come quello di buon andamento dell amministrazione (art. 97 Cost.), indirettamente perseguito scoraggiando con la forza deterrente della penalizzazione economica fenomeni di assenteismo, sia con ulteriori esigenze di rango primario, come quella (particolarmente avvertita in materia previdenziale) di controllo della spesa pubblica Infine, non sussiste la denunciata lesione dell art. 32 Cost. È, infatti, non sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute. La decurtazione retributiva de qua, non comportando aggravi particolari, è del tutto inidonea ad esercitare qualunque coazione al riguardo. D altro canto, a tutto voler concedere, questa Corte ha già riconosciuto che anche il diritto alla salute dev essere contemperato con altre esigenze costituzionalmente tutelate (sentenze n. 212 del 1998 e n. 212 del 1983; ordinanza n. 140 del 1995). E nella specie viene, altresì, in rilievo, come si è visto, il buon andamento della pubblica amministrazione, che la norma censurata si propone a ragion veduta di perseguire disincentivando l assenteismo. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Livorno, con l ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Luigi MAZZELLA, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

76 N. 121 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Sentenza 7-10 maggio 2012 Regioni (in genere) - Esecuzione delle decisioni della Corte costituzionale - Obbligo per le Regioni di comunicare alla Presidenza del Consiglio, entro tre mesi dalla pubblicazione delle decisioni, tutte le attività intraprese, gli atti giuridici posti in essere e le spese affrontate o preventivate ai fini dell esecuzione - Ricorso della Regione Toscana - Asserita lesione della autonomia finanziaria regionale - Insussistenza - Non fondatezza della questione. D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111) art. 20, comma 14. Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 119. Regioni (in genere) - Esecuzione delle decisioni della Corte costituzionale - Mancata o non esatta conformazione da parte delle Regioni - Previsione del potere sostitutivo del Governo - Ricorso della Regione Toscana - Asserita violazione dell autonomia regionale, lesione del principio di leale collaborazione - Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione. D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111) art. 20, comma 15. Costituzione, artt. 118 e 120, secondo comma. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente S ENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 20, commi 14 e 15, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Regione Toscana, con ricorso notificato il settembre 2011, depositato in cancelleria il 14 settembre 2011, ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi Visto l atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri; uditi l avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e l avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. Con ricorso spedito per la notifica il 12 settembre 2011 e depositato il successivo 14 settembre, la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e, tra queste, dell art. 20, commi 14 e 15, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120, secondo comma, della Costituzione, e del principio di leale collaborazione Il comma 14 dell art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 dispone che «Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni tenute a conformarsi a decisioni della Corte costituzionale, anche con riferimento all attività di enti strumentali o dipendenti, comunicano, entro tre mesi dalla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per gli affari regionali, tutte le attività intraprese, gli atti giuridici posti in essere e le spese affrontate o preventivate ai fini dell esecuzione». 60

77 Il comma 15 dello stesso art. 20 stabilisce che «In caso di mancata o non esatta conformazione alle decisioni di cui al comma 14, il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentito il Presidente della regione interessata, esercita, in presenza dei presupposti, il potere sostitutivo di cui all articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo le procedure di cui all articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131» La Regione Toscana ritiene che la prima delle due norme impugnate, nel prevedere «precisi e puntuali adempimenti informativi in relazione alle azioni intraprese per l esecuzione di sentenze della Corte costituzionale», si ponga in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. Il comma 14, infatti, diversamente da quanto affermato nel suo incipit, non conterrebbe una normativa di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica; di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. Il comma 15, a sua volta, violerebbe l art. 120, secondo comma, Cost., in quanto prevedrebbe - secondo la ricorrente - un caso di esercizio del potere sostitutivo del Governo in assenza dei presupposti indicati dalla norma costituzionale evocata come parametro. È citata, al riguardo, la sentenza n. 43 del 2004 della Corte costituzionale, nella quale è stato riconosciuto il carattere eccezionale del potere sostitutivo ex art. 120, secondo comma, Cost. La difesa regionale, dopo aver richiamato gli ambiti nei quali è consentito il potere sostitutivo ai sensi dell art. 120 Cost., sottolinea come, nel caso di mancata o difforme esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, non possano ravvisarsi quelle emergenze istituzionali di particolare gravità richiamate nel citato parametro costituzionale. In particolare, il censurato comma 15 dell art. 20 renderebbe possibile l esercizio di un potere sostitutivo generalizzato, in contrasto con il principio di specialità e tassatività indicato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce. La ricorrente precisa altresì come la giurisprudenza costituzionale ammetta l esercizio del potere sostitutivo solo se si tratta di atti e/o attività prive di discrezionalità nell an ; condizione, questa, che non sussisterebbe nel caso di «non esatta conformazione alle decisioni» della Corte costituzionale. Inoltre, osserva la Regione Toscana, la legge che prevede il potere sostitutivo deve apprestare congrue garanzie procedimentali per l esercizio dello stesso, in conformità al principio di leale collaborazione; sarebbe dunque necessaria la previsione di un procedimento nel quale l ente sostituito sia comunque messo in grado di interloquire e di evitare la sostituzione attraverso l autonomo adempimento. Pertanto, la difesa regionale ritiene che il comma 15 dell art. 20 violi l art. 118 Cost. per contrasto con il principio di leale collaborazione, in quanto la norma impugnata, pur richiamando le procedure di cui all art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l adeguamento dell ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), si limita a prevedere l espressione di un mero parere da parte del Presidente della Regione interessata. 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate infondate. La difesa statale ritiene che le norme impugnate siano «finalizzate ad assicurare l indispensabile coordinamento della finanza pubblica, in quanto volte a disciplinare una preventiva necessaria attività informativa da parte delle Regioni tenute ad adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale nei confronti dello Stato, garante del rispetto delle norme costituzionali». In particolare, il comma 15 dell art. 20 non violerebbe l art. 120 Cost., poiché il richiamo alle procedure di cui all art. 8 della legge n. 131 del 2003 non sarebbe solo formale ma garantirebbe il rispetto del principio di leale collaborazione nei confronti delle autonomie territoriali. Al riguardo, il resistente precisa che la norma impugnata consente l esercizio del potere sostitutivo in presenza dei presupposti indicati dall art. 120 Cost., e quindi solo se il mancato rispetto delle sentenze della Corte costituzionale comporti «pericolo grave per l incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell unità giuridica o dell unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». 3. In prossimità dell udienza, la Regione Toscana ha depositato una memoria nella quale contesta quanto affermato dalla difesa statale ed insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso. In particolare, la difesa regionale sottolinea come gli obblighi informativi, che il comma 14 dell art. 20 pone a carico della Regione in ordine all attività svolta per l esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, non possano considerarsi espressione di un coordinamento meramente informativo in tema di finanza pubblica. Non si tratterebbe, infatti, di una comunicazione di dati relativi al sistema finanziario regionale, ma di «un controllo di tipo gestionale da parte dello Stato sulle azioni poste in essere dalle Regioni per l esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale», con la conseguenza che, in esito alle suddette informazioni, lo Stato valuta la corretta conformazione alle sentenze della Corte da parte delle Regioni ed attiva il potere sostitutivo. 61

78 Quanto al comma 15 dell art. 20, la ricorrente insiste sull assunto che la norma in esame contempli un potere sostitutivo generalizzato, in evidente contrasto con il principio di specialità e tassatività enunciato dalla Corte costituzionale in questa materia. Considerato in diritto 1. La Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del decretolegge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e, tra queste, dell art. 20, commi 14 e 15, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120, secondo comma, della Costituzione, e del principio di leale collaborazione. Riservata a separate pronunce la decisione sull impugnazione delle altre disposizioni contenute nel suddetto d.l. n. 98 del 2011, vengono in esame in questa sede le questioni di legittimità costituzionale relative all art. 20, commi 14 e La questione di legittimità costituzionale dell art. 20, comma 14, del d.l. n. 98 del 2011 non è fondata. La norma impugnata si pone come principio fondamentale nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», attribuita alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni dall art. 117, terzo comma, Cost. La comunicazione, entro un termine stabilito, dei dati relativi alle attività intraprese ed agli atti giuridici posti in essere dalle Regioni per l esecuzione delle sentenze di questa Corte è una delle condizioni indispensabili perché lo Stato possa avere un quadro completo ed aggiornato della situazione finanziaria complessiva. L obbligo delle Regioni di fornire i dati in questione è imposto - come è precisato dalla norma censurata - ai soli fini del coordinamento della finanza pubblica, che non potrebbe essere concretamente ed efficacemente effettuato senza la preventiva ricognizione dei modi in cui le singole Regioni danno seguito alle sentenze di questa Corte aventi incidenza sull ambito materiale in esame. La giurisprudenza costituzionale in materia di coordinamento della finanza pubblica ha chiarito come la competenza statale in questo campo non si esaurisca con l esercizio del potere legislativo, ma implichi anche l esercizio di poteri amministrativi, di regolazione tecnica e - aspetto che riguarda il caso oggetto del presente giudizio - «di rilevazione di dati e di controllo» (sentenza n. 376 del 2003; in conformità, sentenze n. 229 e n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008). La previsione di un obbligo generale di comunicare i dati in questione non si pone pertanto come norma di dettaglio, ma, al contrario, come principio fondamentale basato sulla indefettibilità del presupposto cognitivo delle singole realtà ai fini della valutazione della coerenza unitaria dell insieme. Nessun obbligo di adottare specifici provvedimenti attuativi è imposto da questa norma alle Regioni; si prevede soltanto una collaborazione con lo Stato, a fini conoscitivi generali. 3. La questione di legittimità costituzionale dell art. 20, comma 15, del d.l. n. 98 del 2011 non è fondata. La Regione Toscana lamenta che la previsione, contenuta nella norma impugnata, dell esercizio da parte del Governo del potere sostitutivo, «in caso di mancata o non esatta conformazione alle decisioni di cui al comma 14», sia viziata da illegittimità costituzionale per motivi sia sostanziali sia procedurali Dal punto di vista sostanziale, secondo la ricorrente, la legge statale attribuirebbe al Governo nazionale una sorta di potere di interpretazione autentica delle sentenze di questa Corte, poiché prevede l esercizio del potere sostitutivo non solo nell ipotesi di mancata conformazione di una Regione ad una sentenza, ma anche in quella di conformazione «non esatta». La censura non è condivisibile. L art. 120 Cost. - esplicitamente richiamato dalla disposizione impugnata - pone tra i presupposti per l esercizio del potere sostitutivo «la tutela dell unità giuridica o dell unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Il Governo potrebbe ritenere che l inerzia di una Regione nell applicare una sentenza di questa Corte o la sua applicazione distorta siano idonee a ledere l unità giuridica della Repubblica o la sua unità economica, determinando disarmonie e scompensi tra i vari territori proprio in relazione a decisioni del giudice delle leggi, che, per definizione, hanno una finalità unitaria, sia quando definiscono, sotto specifici profili, i criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, sia quando incidono sul contenuto sostanziale delle norme statali o regionali in rapporto a singole fattispecie. Gli eventuali squilibri e distorsioni in sede applicativa acquisterebbero ancor maggiore rilevanza se le decisioni costituzionali da applicare riguardassero i diritti civili e sociali delle persone, per i quali la Costituzione prevede una tutela rafforzata quanto alla unitarietà, risultante dal combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lettera m), e 120, secondo comma, Cost. Ove la singola Regione destinataria dell esercizio del potere sostitutivo del Governo ritenesse errata l interpretazione data da quest ultimo di una o più decisioni di questa Corte poste a base dell iniziativa statale, potrebbe, a tutela 62

79 della propria autonomia, attivare i rimedi giurisdizionali ritenuti adeguati, ivi compreso il conflitto di attribuzione. L ordinamento prevede, cioè, strumenti idonei ad evitare che l interpretazione governativa delle decisioni di questa Corte possa essere unilateralmente imposta alle Regioni Quanto al profilo procedurale della lamentata lesione dell autonomia regionale, si deve notare che il legislatore statale non si è limitato a prevedere il generico esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo, ma ha precisato che tale potere debba essere esercitato «in presenza dei presupposti», riferendosi alle condizioni indicate dall art. 120, secondo comma, Cost., e «secondo le procedure di cui all art. 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131». Il citato art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l adeguamento dell ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) stabilisce che - decorso inutilmente il «congruo termine» assegnato dal Presidente del Consiglio dei ministri all ente ritenuto inadempiente, per adottare i provvedimenti dovuti o necessari - il Consiglio dei ministri, «sentito l organo interessato», su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, «adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario». Alla seduta del Consiglio dei ministri «partecipa» il Presidente della Giunta della Regione interessata. Alla luce del quadro normativo fin qui delineato, si deve ritenere che la norma impugnata, con l inciso «sentito il Presidente della regione interessata», aggiunge un quid pluris alle forme di coinvolgimento della Regione, destinataria dell esercizio del potere sostitutivo, previste dall art. 8 della legge n. 131 del La richiesta del parere del Presidente della Regione si pone come preventiva rispetto all attivazione del procedimento previsto dall art. 120, secondo comma, Cost., e dal citato articolo della legge ordinaria di attuazione. Essa, pertanto, non sostituisce la prevista partecipazione del Presidente della Giunta regionale alla riunione del Consiglio dei ministri, in cui si decide sulla proposta di esercizio del potere sostitutivo. Intesa nel significato sopra esposto, la disposizione impugnata non determina alcuna lesione dell autonomia costituzionalmente garantita delle Regioni. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione sull impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossa dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe, 1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 20, comma 14, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011, promossa dalla Regione Toscana per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione; 2) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell art. 20, comma 15, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011, promossa dalla Regione Toscana per violazione degli artt. 118 e 120, secondo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

80 N. 122 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Ordinanza 7-10 maggio 2012 Appalti pubblici - Norme della Regione Calabria - Disposizioni volte a contrastare le infiltrazioni mafiose nel settore dell imprenditoria - Contratti pubblici - Inserimento della clausola risolutiva espressa per inadempimento del contraente privato, laddove sia accertata la mancata denuncia all autorità giudiziaria di reati di ndrangheta, di criminalità, di estorsione, di usura, ovvero contro la Pubblica Amministrazione o contro la libertà degli incanti, dei quali il contraente sia venuto a conoscenza con riferimento alla conclusione od all esecuzione del contratto con l ente pubblico - Previsione che il mancato inserimento della clausola o la sua mancata attivazione determinano la nullità del contratto e costituiscono causa di responsabilità amministrativa e disciplinare - Ricorso del Governo - Sopravvenuta abrogazione della disposizione impugnata - Rinuncia al ricorso, in assenza di costituzione della parte resistente - Estinzione del processo. Legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 3, art. 2, comma 2. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, art. 25. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 2, comma 2, della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 3 (Interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di ndrangheta e disposizioni in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell imprenditoria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notifica il 13 maggio 2011, depositato in cancelleria il 17 maggio 2011 ed iscritto al n. 46 del registro ricorsi Udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto che con ricorso ex articolo 127 della Costituzione, depositato il 17 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, censura - in relazione all articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione - l art. 2, comma 2, della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 3 (Interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di ndrangheta e disposizioni in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell imprenditoria); che detta norma dispone, al comma 1, che «Nei contratti conclusi dalla Regione Calabria e dagli enti, aziende e società regionali, è sempre inserita una clausola espressa per inadempimento del contraente privato, ai sensi dell art cod. civ., operante laddove sia accertata, con la richiesta di rinvio a giudizio secondo quanto previsto dall art. 38, lettera m -ter ), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la mancata denuncia all autorità giudiziaria di reati di ndrangheta, di criminalità, di estorsione, di usura, ovvero contro la pubblica amministrazione o contro la libertà degli incanti, dei quali il contraente, od altri soggetti facenti parte della sua organizzazione imprenditoriale, siano venuti a conoscenza con riferimento alla conclusione od all esecuzione del contratto con l ente pubblico. Tale clausola è inserita anche nei contratti di subappalto ed opera nei confronti di ogni impresa con la quale i soggetti aggiudicatari possono avere rapporti derivati»; 64

81 che il successivo comma 2 stabilisce che «il mancato inserimento della clausola o la sua mancata attivazione determinano la nullità del contratto e costituiscono causa di responsabilità amministrativa e/o disciplinare»; che, secondo il ricorrente, quest ultima previsione viola l art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile»; che la norma censurata, infatti, disponendo che al mancato inserimento nei contratti pubblici della clausola risolutiva espressa prevista al comma 1 della medesima disposizione, o alla mancata attivazione della medesima clausola, conseguano la nullità del contratto e costituiscano causa di responsabilità amministrativa e/o disciplinare, riguarderebbe la fase di esecuzione del rapporto contrattuale, nell ambito del quale l amministrazione non agisce come autorità, ma nell esercizio della sua autonomia negoziale; che, peraltro, la disposizione regionale all esame si discosterebbe dalla disciplina dettata dallo Stato con il codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il cui art. 38, lettera m -ter ), stabilirebbe (solo) che non possano concludere i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture «i soggetti che pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli artt. 317 e 629 del codice penale non risultino avere denunciati i fatti all autorità giudiziaria»; che la Regione Calabria non si è costituita nel presente giudizio; che con successivo atto, regolarmente notificato alla Regione Calabria il 12 dicembre 2011 e depositato in cancelleria il 16 dicembre 2011, il Presidente del Consiglio, dato atto dell avvenuta abrogazione della disposizione regionale impugnata, per effetto dell art. 1 della legge della Regione Calabria 18 luglio 2011, n. 22 (Modifica alla legge regionale 7 marzo 2011, n. 3 «Interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di ndrangheta e disposizioni in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell imprenditoria»), ha rinunciato formalmente al ricorso, dichiarando peraltro come sia venuto meno ogni suo interesse alla declaratoria di incostituzionalità della disposizione. Considerato che, in mancanza di costituzione in giudizio della parte resistente, la rinuncia al ricorso comporta di per sé - ai sensi dell art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale - l estinzione del processo (ex plurimis, ordinanze n. 199 del 2009, n. 48 del 2009, n. 313 del 2007 e n. 418 del 2006). P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara estinto il processo. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Luigi MAZZELLA, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

82 N. 123 Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Edilizia e urbanistica - Espropriazione per pubblica utilità - Norme della Regione Umbria - Vincoli derivanti da piani urbanistici - Previsione che il vincolo preordinato all esproprio abbia la durata di cinque anni anziché sette come previsto dalla normativa statale di riferimento - Asserita violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile - Ricorso del Governo - Motivazione delle censure meramente assertiva e omessa considerazione del complessivo quadro normativo di riferimento - Manifesta inammissibilità della questione. Legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7, art. 6, comma 2. Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. l) ; d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 165, comma 7 -bis, aggiunto dall art. 4, comma 2, lett. r), n. 4, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 6, comma 2, della legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il settembre 2011, depositato in cancelleria il 4 ottobre 2011, ed iscritto al n. 115 del registro ricorsi Udito nell udienza pubblica del 3 aprile 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli; udito l avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che, con ricorso notificato il settembre 2011, depositato in cancelleria il 4 ottobre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell articolo 6, comma 2, della legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità) per contrasto con l articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all articolo 165, comma 7 -bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), aggiunto dall articolo 4, comma 2, lettera r), numero 4, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, nella parte in cui prevede incondizionatamente e senza alcuna eccezione che i vincoli preordinati all esproprio abbiano durata di cinque anni; che il ricorrente rileva che il citato art. 165, comma 7 -bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 ha stabilito in sette anni la durata del vincolo preordinato all esproprio nel caso di infrastrutture; che a suo avviso tale norma non sarebbe derogabile da parte del legislatore regionale in quanto ricompresa nella materia dell ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato ai sensi della invocata disposizione costituzionale; 66

83 che, pertanto, il legislatore regionale avrebbe «ecceduto dall ambito delle sue competenze perché, in conformità con la normativa statale, avrebbe dovuto prevedere una deroga per i vincoli finalizzati all espropriazione per la realizzazione di opere strategiche, per le quali avrebbe dovuto prevedere una durata di sette anni»; che nel giudizio innanzi alla Corte la Regione Umbria non si è costituita. Considerato che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il ricorso in via principale non solo «deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi», indicando «le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l oggetto della questione di costituzionalità» (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altresì, «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge» (si vedano, oltre alle pronunce già citate, anche le sentenze n. 261 del 1995 e n. 85 del 1990), ponendosi la esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli incidentali» (sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005, cit.); che il ricorso introduttivo del presente giudizio, pur identificando i parametri costituzionali e la disposizione regionale in questione, risulta generico nella motivazione delle ragioni della proposizione della questione, limitandosi a denunciare in modo assertivo la lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in assenza di alcuna specificazione delle censure e, segnatamente, tralasciando ogni considerazione sul complessivo quadro normativo di riferimento in cui si inscrive la disposizione censurata; che, alla luce delle evidenziate carenze strutturali del ricorso, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell articolo 6, comma 2, della legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità) sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all articolo 165, comma 7 -bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), aggiunto dall articolo 4, comma 2, lettera r), numero 4, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Mario Rosario MORELLI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

84 N. 124 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Ordinanza 7-10 maggio 2012 Straniero - Reati e pene - Reato di indebito reingresso nel territorio dello Stato dello straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione - Arresto obbligatorio - Asserita irragionevolezza - Asserita violazione della libertà personale - Direttiva europea sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, direttamente efficace nell ordinamento nazionale per scadenza del termine per la trasposizione in legge - Sopravvenute sentenze della Corte di giustizia dell Unione europea che interpretano la direttiva - Sopravvenuto mutamento del quadro normativo nazionale di riferimento - Necessità di nuova valutazione da parte del giudice rimettente circa la perdurante rilevanza delle questioni - Restituzione degli atti. D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13 -ter. Costituzione, artt. 3 e 13. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell articolo 13, comma 13 -ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi dal Tribunale di Agrigento con una ordinanza del 19 marzo, due ordinanze del 22 marzo e una ordinanza del 19 marzo 2011, rispettivamente iscritte ai numeri 182, 242, 243 e 244 del registro ordinanze 2011, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 49, prima serie speciale, dell anno Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con ordinanza del 19 marzo 2011 (r.o. n. 182 del 2011), ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell art. 13, comma 13 -ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ove è prescritto l arresto obbligatorio per i delitti di cui ai precedenti commi 13 e 13 -bis (indebito reingresso nel territorio dello Stato dello straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione); che il rimettente è chiamato a deliberare sulla richiesta di convalida dell arresto formulata, in data 19 marzo 2011, nei confronti di persona cui si contesta il delitto di cui al comma 13 dell art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto, dopo aver dato volontariamente esecuzione al decreto di espulsione ed all ordine di allontanamento notificati il 19 agosto 2010, avrebbe fatto rientro nel territorio nazionale senza la necessaria autorizzazione del Ministro dell interno; che, secondo il Tribunale, i fatti sarebbero documentati nella misura necessaria e sufficiente, e sussisterebbero le ulteriori condizioni per la convalida dell arresto, ma dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale della norma in base alla quale il provvedimento restrittivo è stato adottato; 68

85 che l art. 13 Cost. consente il conferimento all autorità di polizia del potere di restrizione provvisoria della libertà personale solo per casi eccezionali di necessità e di urgenza; che il carattere di necessità dovrebbe connettersi, anche secondo la prospettiva adottata dalla legge delega per il vigente codice di rito (art. 2, numero 32, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, recante «Delega legislativa al Governo della Repubblica per l emanazione del nuovo codice di procedura penale»), alla gravità del reato ed alla ricorrenza di speciali esigenze di tutela della collettività; che il rimettente osserva come, pur essendo rimessa al legislatore un ampia discrezionalità nella disciplina delle ipotesi di arresto, le norme che consentono od impongono la misura di polizia debbano risultare sempre congruenti rispetto al fine di tutela perseguito, posto che, nel caso contrario, mancherebbero di ragionevolezza e, comunque, contrasterebbero con l art. 13 della Costituzione, consentendo l arresto senza una effettiva «necessità»; che la verifica di corrispondenza tra ratio ed oggetto della prescrizione concernente l arresto dovrebbe muovere, nel caso di specie, dalla pertinenza della sanzione penale ad un sistema di tutela già efficacemente incentrato sul meccanismo dell espulsione amministrativa dello straniero in posizione di soggiorno irregolare; che il Tribunale richiama, in particolare, gli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevedono l immediata espulsione dello straniero e, in alternativa, il suo «trattenimento» presso i centri di identificazione ed espulsione, che può durare fino a 180 giorni; che, in termini di garanzia degli interessi lesi dall immigrazione irregolare, tale tutela sarebbe ben più efficace di quella offerta dal «sistema (pre)cautelare penale», il quale, anzi, ostacola di fatto l avvio ed il perfezionamento delle procedure di espulsione; che la necessaria prevalenza del procedimento amministrativo sarebbe riconosciuta dallo stesso legislatore, con le norme che tendenzialmente antepongono l esecuzione del provvedimento espulsivo alle esigenze del processo penale (art. 13, commi 3 e 3 -bis ), e che dispongono la chiusura di quest ultimo una volta che detta esecuzione sia stata attuata (art. 13, comma 3 -quater ); che sarebbe evidente, dunque, l incoerenza sistematica di una norma che, nonostante la prevalenza da darsi all espulsione od al correlato trattenimento «amministrativo», impone l arresto dello straniero interessato, così da violare al tempo stesso il principio di «necessità» della misura precautelare ed il principio di ragionevolezza; che non varrebbe in contrario osservare - secondo il Tribunale - come possa accadere che l espulsione non sia immediatamente eseguibile, e non sia neppure attuabile il ricovero dell interessato presso un centro di identificazione ed espulsione; che infatti, pur volendo ammettere la legittimità di una misura coercitiva penale indirizzata al perseguimento di fini propri della procedura amministrativa, il carattere solo eventuale delle circostanze indicate imporrebbe almeno una verifica nel caso concreto delle condizioni di necessità ed urgenza della misura, che la norma censurata preclude disponendo l esecuzione obbligatoria dell arresto ad opera delle forze di polizia; che la predetta norma sarebbe dunque irragionevole e sproporzionata nella parte in cui «prevede obbligatoriamente una misura precautelare che ex ante - e salve eventuali esigenze riscontrabili a seguito di una valutazione del caso concreto - si rivela non necessaria»; che del resto - conclude il rimettente - il legislatore si limita a conferire una mera facoltà di arresto anche per reati ove la pericolosità dell autore è insita nella qualità stessa della sua condotta, come nel caso dell evasione, pur commessa con violenza o minaccia, cioè del fatto di chi si sottrae volontariamente ad una restrizione della libertà già in atto; che, in punto di rilevanza, il Tribunale osserva come la risoluzione del dubbio di legittimità circa la norma censurata sia pregiudiziale rispetto alla decisione da assumere sulla richiesta di convalida dell arresto; che lo stesso Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con tre ulteriori ordinanze - una deliberata il 19 marzo 2011 (r.o. n. 244 del 2011) e due deliberate il 22 marzo successivo (r.o. nn. 242 e 243 del 2011) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell art. 13, comma 13 -ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; che il procedimento principale, nel giudizio r.o. n. 242 del 2011, concerne la richiesta di convalida dell arresto formulata, in data 22 marzo 2011, nei confronti di uno straniero al quale si contesta il delitto di cui al comma 13 dell art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto, dopo essere stato raggiunto da un decreto di espulsione e da un ordine di allontanamento notificatigli il 14 dicembre 2009, avrebbe fatto rientro nel territorio nazionale senza la necessaria autorizzazione del Ministro dell interno; 69

86 che il giudizio r.o. n. 243 del 2011 origina da una richiesta di convalida dell arresto formulata, in data 22 marzo 2011, nei confronti di persona alla quale si contesta il delitto di cui al comma 13 dell art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto, dopo essere stata accompagnata alla frontiera dello Stato in esecuzione del provvedimento di espulsione notificato il 26 aprile 2004, avrebbe fatto indebitamente rientro nel territorio nazionale; che il rimettente, anche riguardo al giudizio r.o. n. 244 del 2011, è chiamato a deliberare su una richiesta di convalida dell arresto formulata, in data 19 marzo 2011, nei confronti di uno straniero cui si contesta il delitto di cui al comma 13 dell art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto, dopo aver dato volontariamente esecuzione al decreto di espulsione ed all ordine di allontanamento notificatigli il 17 giugno 2010, avrebbe fatto indebito rientro nel territorio dello Stato; che nelle tre ordinanze citate il Tribunale, premesso che le questioni sollevate sono pregiudiziali in ordine alla decisione da assumere circa la convalida degli arresti, sviluppa, con riguardo all ipotizzato contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 13 Cost., considerazioni in tutto analoghe a quelle espresse nell ordinanza r.o. n. 182 del 2011, delle quali già sopra si è detto; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tre dei giudizi in corso con atti depositati il 27 settembre 2011 (r.o. n. 182 del 2011) ed il 13 dicembre 2011 (r.o. nn. 242 e 244 del 2011), tutti di analogo tenore; che, secondo la difesa dello Stato, le questioni proposte sarebbero inammissibili, anzitutto perché il rimettente non avrebbe indicato i provvedimenti assunti circa la libertà personale degli imputati, ed in particolare non avrebbe specificato se gli stessi imputati siano stati scarcerati o se gli arresti siano stati convalidati con un separato provvedimento (sono richiamate la sentenza n. 236 del 2008 e l ordinanza n. 54 del 2010 della Corte costituzionale); che il Presidente del Consiglio dei ministri prospetta, in alternativa, la necessità di una restituzione degli atti al rimettente, in ragione delle modifiche del quadro normativo sopravvenute alle ordinanze di rimessione; che viene ricordato, in particolare, come il Testo unico in materia di immigrazione abbia subito profonde modifiche per effetto del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 2 agosto 2011, n. 129; che, sebbene la novella non abbia inciso direttamente sulla norma censurata, sono state recate «modifiche sostanziali alla disciplina del divieto di reingresso contenuta nell art. 13, commi 13 e 14, che rappresenta il presupposto della norma processuale sull arresto obbligatorio», avuto particolare riguardo alla riduzione di durata del divieto, in precedenza decennale, ed ora compresa fra i tre ed i cinque anni; che, nel merito, la difesa dello Stato ricorda come, con la sentenza n. 236 del 2008, la Corte costituzionale abbia stabilito la legittimità della previsione di arresto obbligatorio per i delitti di indebito trattenimento nel territorio dello Stato, spettando al legislatore la valutazione delle esigenze di tutela della collettività assicurabili mediante la misura coercitiva, in un determinato contesto storico e secondo un criterio di non manifesta irragionevolezza; che analoghe considerazioni varrebbero, a maggior ragione, per l odierna fattispecie, che presenta una gravità più spiccata, non discutendosi della mera inosservanza di un ordine di allontanamento, ma di una condotta «attiva» dell interessato, che si organizza al fine di violare il divieto di reingresso nel territorio nazionale; che la differenza strutturale tra le due tipologie di condotta, già posta in luce dalla Corte costituzionale (è citata, a tale proposito, l ordinanza n. 261 del 2005), avrebbe trovato conferma, secondo la difesa dello Stato, nella sentenza deliberata il 28 aprile 2011, nel proc. El Dridi, dalla Corte di giustizia dell Unione europea. Considerato che il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con quattro ordinanze di analogo tenore, ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell art. 13, comma 13 -ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ove è prescritto l arresto obbligatorio per i delitti di cui ai precedenti commi 13 e 13 -bis (indebito reingresso nel territorio dello Stato dello straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione); 70

87 che la norma censurata violerebbe l art. 3 Cost., anzitutto, per la intrinseca irragionevolezza, in un sistema fondato sulla prevalenza delle procedure amministrative per l immediata espulsione o per il trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione dello straniero in posizione di soggiorno irregolare, di una misura (pre)cautelare penale meno efficace, ed anzi dannosa per il sollecito avvio delle procedure indicate; che l art. 3 Cost. sarebbe violato, inoltre, per la ingiustificata previsione dell arresto come misura obbligatoria, anziché come misura fondata sulla valutazione caso per caso di concrete esigenze di tutela della collettività, a differenza di quanto previsto per reati pure intrinsecamente significativi del pregiudizio di tali esigenze, come ad esempio il delitto di evasione; che infine, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con l art. 13 Cost., in quanto non corrisponde al requisito di necessità, cui la legge deve subordinare l assunzione di provvedimenti coercitivi ad opera della polizia giudiziaria, la previsione di un arresto obbligatorio reso inutile (ed anzi dannoso) dalla concomitanza di procedure amministrative finalizzate all immediata espulsione od al trattenimento dell interessato, fino ad un limite di 180 giorni, in attesa che l espulsione stessa possa essere eseguita; che i quattro giudizi promossi dal Tribunale di Agrigento, data l identità delle questioni sollevate, possono essere riuniti per consentirne una definizione unitaria; che devono essere disattese, in via preliminare, le eccezioni di inammissibilità proposte dall Avvocatura generale dello Stato; che infatti, per un verso, il rimettente ha puntualmente sospeso i giudizi di convalida in corso di celebrazione, senza pronunciarsi neppure indirettamente sulla legittimità della misura adottata nei casi di specie, di talché non si è prodotta la condizione di irrilevanza riscontrata da questa Corte, in altri giudizi, con i provvedimenti richiamati dalla difesa statale nel motivare le proprie eccezioni; che non assumono rilievo, per altro verso, i provvedimenti eventualmente adottati dal Tribunale in merito alla libertà personale degli arrestati, dei quali non viene dato conto nelle ordinanze di rimessione, posto che l oggetto dei giudizi a quibus è la legittimità della misura precautelare, e che l esaurimento dell efficacia di questa, quale titolo per la detenzione, non comporta la definizione del procedimento per la relativa convalida (sentenza n. 54 del 1993); che deve essere accolta, di contro, la sollecitazione dell Avvocatura generale dello Stato per una restituzione degli atti al Tribunale rimettente, a fini di nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate; che la disciplina dell espulsione degli stranieri in condizione di soggiorno irregolare è stata profondamente incisa, in primo luogo, dalla direttiva n. 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008 (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), il termine per la cui trasposizione è scaduto il 24 dicembre 2010, con assunzione conseguente, nella ricorrenza delle ulteriori condizioni, di diretta efficacia nell ordinamento nazionale; che la citata direttiva disciplina, soprattutto all art. 11, l imposizione del divieto agli stranieri espulsi di fare rientro nel territorio dello Stato procedente, stabilendo che tale divieto sia disposto obbligatoriamente o facoltativamente, con valutazione da adottarsi caso per caso, per una durata variabile e normalmente non superiore ai cinque anni, mediante un provvedimento motivato in forma scritta, tradotto in una lingua comprensibile all interessato e suscettibile di ricorso; che, successivamente alle ordinanze di rimessione, la Corte di giustizia dell Unione europea, con la sentenza 28 aprile 2011, C-61/11 PPU, ha stabilito che la direttiva in questione (avuto riguardo agli artt. 15 e 16) osta ad una normativa nazionale che preveda l irrogazione di pene detentive nei confronti di stranieri in condizione di soggiorno irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio dello Stato, si trattengano nel territorio stesso senza un giustificato motivo; che in seguito la stessa Corte di giustizia (Grande sezione), con la sentenza 6 dicembre 2011, C-329/11, ha stabilito che la direttiva n. 2008/115/CE osta alla previsione di sanzioni detentive nei confronti dello straniero espulso, non disposto ad allontanarsi volontariamente dal territorio dello Stato procedente, prima che siano state interamente sperimentate le procedure coercitive previste dall art. 8 della direttiva medesima; 71

88 che, sempre nelle more dei giudizi incidentali, è intervenuto il decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 2 agosto 2011, n. 129; che è rimasto invariato, pur dopo l intervento di riforma, il comma 13 -ter dell art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, cioè la norma processuale in materia di arresto che costituisce l oggetto delle odierne censure; che il testo della norma penale sostanziale cui si riferisce la disposizione censurata, cioè il comma 13 del citato art. 13, è stato modificato nella sola parte in cui, identificando il destinatario del divieto penalmente sanzionato di rientrare in territorio italiano, si riferiva allo «straniero espulso», espressione sostituita con la locuzione «straniero destinatario di un provvedimento di espulsione»; che, nondimeno, ha subito profonde modifiche il comma 14 del più volte citato art. 13, in punto di durata del divieto di reingresso, di criteri della relativa determinazione ad opera dell autorità procedente, di condizioni per l eventuale revoca del provvedimento impositivo; che dunque è mutata, tra l altro, la disciplina del provvedimento amministrativo presupposto alla condotta cui si riferiscono le norme penali sostanziali per la cui violazione è previsto l arresto dello straniero interessato; che, in caso di mutamento del quadro normativo nel quale si colloca la disposizione oggetto di censura, spetta al giudice rimettente la valutazione degli effetti della successione di leggi nella disciplina del caso concreto sottoposto al suo giudizio (da ultimo, ex multis, ordinanza n. 66 del 2010); che questa Corte, d altra parte, ha più volte stabilito come, nel caso di (ipotetica) irrilevanza penale sopravvenuta della condotta contestata allo straniero nel giudizio principale, anche la valutazione circa la perdurante rilevanza delle questioni concernenti l arresto debba essere rimessa al giudice del procedimento principale (ordinanze nn. 179 e 216 del 2011). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Agrigento. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

89 N. 125 Ordinanza 7-10 maggio 2012 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Automatica esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Eccepita inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, in ragione della mancata specifica valutazione di precedenti e di argomenti già svolti dalla Corte - Reiezione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art. 3. Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Automatica esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Eccepita inammissibilità per omesso tentativo di pervenire ad un interpretazione conforme a Costituzione - Reiezione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art. 3. Straniero - Lavoratori extracomunitari condannati per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Esclusione dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare - Impossibilità per l amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione - Asserita violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità per l automatica parificazione di soggetti autori di azioni di rilevanza penale diverse per gravità e intensità del dolo - Difetto di motivazione sulla rilevanza in relazione alla fattispecie in concreto dedotta - Oscurità e indeterminatezza del petitum - Manifesta inammissibilità della questione. D.l. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102), art. 1 -ter, comma 13, lett. c). Costituzione, art. 3. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 1 -ter, comma 13, della legge 3 agosto 2009, n. 102 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali) ( recte : articolo 1-ter, comma 13, lettera c, del decretolegge 1 luglio 2009, n. 78), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche nel procedimento vertente tra T.P.M. e il Ministero dell interno ed altro, con ordinanza dell 11 maggio 2011, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro. 73

90 Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con ordinanza dell 11 maggio 2011, ha sollevato, in riferimento all articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell articolo 1 -ter, comma 13, della legge 3 agosto 2009, n. 102 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali) (recte : articolo 1-ter, comma 13, lettera c, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78); che, secondo l ordinanza di rimessione, nel giudizio principale, T.P.M., cittadino del Senegal, ha impugnato il provvedimento del Prefetto di Pesaro e Urbino in data 20 gennaio 2011, che ha annullato lo «accoglimento della dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare» presentata ai sensi del citato art. 1 -ter, in quanto egli è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, «per il reato di cui all art ter, comma 1, lettera c)», della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), in virtù del quale «è punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro a euro chiunque a fini di lucro: (...) c) pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico le duplicazioni o riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e b)»; che, ad avviso del TAR, «tale reato rientra fra quelli che il comma 13 dell art. 1 -ter considera ostativi alla c.d. regolarizzazione, ed in particolare esso, in ragione della pena edittale prevista dalla norma incriminatrice, è ricompreso fra quelli di cui all art. 381» del codice di procedura penale e sarebbero infondate le censure proposte dal ricorrente, il quale ha eccepito che alla data di presentazione della domanda di sanatoria era trascorso il periodo minimo per ottenere la riabilitazione e, comunque, detto reato avrebbe dovuto ritenersi estinto, in quanto, successivamente alla data di adozione del provvedimento impugnato, era decorso il termine previsto dall art. 445, comma 3, cod. proc. pen.; che secondo il rimettente, la riabilitazione deve, infatti, essere concessa con un formale provvedimento (nella specie, insussistente) emesso dal giudice competente, all esito dell accertamento della sussistenza di tutti i presupposti di legge, mentre i requisiti per l ammissione alla procedura di emersione disciplinata dal citato art. 1 -ter avrebbero dovuto sussistere alla data di proposizione della domanda (da presentare entro il 30 settembre 2009), con conseguente irrilevanza della sopravvenuta decorrenza del termine previsto dall art. 445, comma 3, c.p.p.; che, tuttavia, il giudice a quo, dubita della legittimità costituzionale dell art. 1 -ter, comma 13, lettera c), del d.l. n. 78 del 2009, inserito dalla legge di conversione n. 102 del 2009, «nella parte in cui riconnette automaticamente l impossibilità di accedere alla c.d. sanatoria alla condanna, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., senza imporre all amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del beneficiario dell emersione» e fa proprie le argomentazioni con le quali il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 24 febbraio 2011, ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale; che, secondo il TAR, la norma censurata violerebbe l art. 3 Cost. ed i «principi di ragionevolezza e proporzionalità», poiché stabilisce la «medesima, grave conseguenza della non ammissione alla procedura di emersione» per i lavoratori extracomunitari i quali «hanno compiuto reati di rilevante gravità, e che generano allarme sociale», e per quelli di essi «incorsi in una sola azione disdicevole, di scarsissimo rilievo penale, e che abbiano successivamente seguito un percorso di riabilitazione o, avendo compreso il disvalore del proprio operato, abbiano in prosieguo tenuto una condotta di vita esente da mende»; che detta disposizione si porrebbe, inoltre, in contrasto con il principio di parità di trattamento (art. 3 Cost.), a causa dello «automatismo» che la connota, poiché prevede un identica disciplina per quanti «si sono (...) resi colpevoli di azioni di rilevanza penale, ma profondamente diverse per gravità e intensità del dolo», avendo questa Corte affermato che la disciplina della permanenza degli stranieri nel territorio dello Stato è riservata alla discrezionalità del legislatore ordinario, il quale, tuttavia, deve rispettare «il limite della ragionevolezza e proporzionalità (sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994)»; che il giudice a quo si dichiara «ben consapevole» del fatto che questioni analoghe a quella in esame, concernenti l automatismo del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno nel caso di commissione di determinati reati, sono state dichiarate da questa Corte inammissibili o non fondate, ma, a suo avviso, soltanto perché «la giurisprudenza 74

91 (in alcuni casi) aveva fornito un interpretazione più morbida della norma», ovvero perché lo stesso legislatore ordinario avrebbe «mitigato il rigore» della disciplina, escludendo, in talune ipotesi, la possibilità di rigettare l istanza proposta, a causa dell irrogazione di una condanna penale e prevedendo la necessità di «valutare altri ed ulteriori elementi»; che, infine, secondo il TAR, la questione sarebbe rilevante, in quanto «non è da escludere a priori che, laddove la legge consentisse una valutazione caso per caso della concreta pericolosità sociale, la competente prefettura avrebbe potuto pervenire ad una diversa conclusione del procedimento, previo accertamento dell insussistenza di altre cause preclusive alla c.d. emersione»; che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata; che, secondo l interveniente, questa Corte avrebbe già dichiarato inammissibili censure analoghe a quelle in esame (sentenza n. 206 del 2007; ordinanze n. 218 del 2007, n. 44 del 2006, n. 126 del 2005), affermando che la disciplina dell ingresso e del soggiorno degli stranieri richiede il bilanciamento di una molteplicità di interessi, riservato alla discrezionalità del legislatore ordinario, e, quindi, la questione sarebbe inammissibile per difetto di motivazione della rilevanza, poiché il TAR avrebbe indicato «in modo generico e apodittico» gli elementi di differenziazione della fattispecie in esame da quelle già valutate dalla giurisprudenza costituzionale; che la questione sarebbe, inoltre, inammissibile anche perché il rimettente non avrebbe «esplorato la possibilità di pervenire a un interpretazione delle norme impugnate conforme a Costituzione»; che, nel merito, secondo l interveniente, le censure sarebbero infondate, poiché, la disciplina dell ingresso e del soggiorno degli stranieri richiede il bilanciamento di una molteplicità di interessi, riservato alla discrezionalità del legislatore ordinario (sentenza n. 62 del 1994), occorrendo garantire la valutazione della pericolosità sociale «solo per l espulsione come misura di sicurezza» e costituendo il cosiddetto automatismo espulsivo «il riflesso del principio di stretta legalità che permea l intera disciplina dell immigrazione», che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell autorità amministrativa (sono richiamate la sentenza n. 129 del 1995 e l ordinanza n. 146 del 2002), con la conseguenza che la norma censurata non sarebbe manifestamente irragionevole e non violerebbe il principio di parità di trattamento; che, peraltro, questa Corte, con la sentenza n. 78 del 2005, ha dichiarato l illegittimità costituzionale di disposizioni omologhe a quella in esame (art. 33, comma 7, lettera c, della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo» e art. 1, comma 8, lettera c, del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, avente ad oggetto «Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari», convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222), nella parte in cui facevano derivare il rigetto dell istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione di una denuncia per uno dei reati previsti per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza, esclusivamente perché la denuncia «è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce»; che, ad avviso dell Avvocatura, la norma censurata, escludendo la regolarizzazione della posizione lavorativa degli stranieri extracomunitari non in virtù della mera denuncia per determinati reati, bensì soltanto qualora sia stata pronunciata sentenza penale di condanna, che «costituisce adeguata e ragionevole prova riguardo alla colpevolezza e pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce», si sottrarrebbe, invece, alle censure svolte dal TAR. Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con ordinanza dell 11 maggio 2011, ha sollevato, in riferimento all articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell articolo 1 -ter, comma 13, della legge 3 agosto 2009, n. 102 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali) ( recte : articolo 1-ter, comma 13, lettera c, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78); 75

92 che, secondo il rimettente, la norma censurata, prevedendo che «non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista» dal citato art. 1 -ter «i lavoratori extracomunitari», «c) che risultino condannati (...) per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381» del codice di procedura penale e non consentendo «all Amministrazione che istruisce il procedimento [di] valutare la gravità del reato, l allarme sociale che lo stesso ha procurato, la condotta successiva tenuta» dai medesimi e «l attuale pericolosità» violerebbe l art. 3 Cost.; che detta disposizione, a suo avviso, si porrebbe in contrasto con tale parametro costituzionale e con i «principi di ragionevolezza e proporzionalità», poiché prevede la «medesima, grave conseguenza della non ammissione alla procedura di emersione» per i lavoratori extracomunitari i quali «hanno compiuto reati di rilevante gravità, e che generano allarme sociale», e per quelli di essi «incorsi in una sola azione disdicevole, di scarsissimo rilievo penale, e che abbiano successivamente seguito un percorso di riabilitazione o, avendo compreso il disvalore del proprio operato, abbiano in prosieguo tenuto una condotta di vita esente da mende»; che, inoltre, detta disposizione recherebbe vulnus ai principi di parità trattamento, di ragionevolezza e di proporzionalità, in quanto riserverebbe «la medesima sorte a soggetti che si sono resi colpevoli di azioni di rilevanza penale, ma profondamente diverse per gravità e intensità del dolo», stabilendo un automatismo che in più occasioni «è stato ritenuto costituzionalmente non corretto (sia pure con riferimento a fattispecie diverse da quella all esame)»; che, in linea preliminare, va osservato che l eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, proposta dall interveniente, sul rilievo che sarebbero state dichiarate inammissibili questioni analoghe a quella in esame, non è fondata, poiché la mancata, specifica valutazione di precedenti e di argomenti già svolti da questa Corte potrebbe comportare la manifesta infondatezza, non la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale; che del pari non fondata è l ulteriore eccezione di inammissibilità formulata dall Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che il giudice a quo non avrebbe verificato la «possibilità di pervenire a un interpretazione delle norme impugnate conforme a Costituzione», poiché il TAR ha implicitamente, ma chiaramente indicato gli argomenti che impedirebbero di offrire un interpretazione del citato art. 1 -ter, comma 13, lettera c), in grado di renderlo immune dalle censure proposte; che, peraltro, sempre in linea preliminare, occorre osservare che il ricorrente nel giudizio principale, giusta l espressa indicazione contenuta nell ordinanza di rimessione, ha riportato condanna per «il reato di cui all art ter, comma 1, lett. c)» della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), il quale, ad avviso del TAR, «in ragione della pena edittale prevista dalla norma incriminatrice, è ricompreso fra quelli di cui all art. 381 c.p.p.» e, quindi, «rientr[erebbe] fra quelli che il comma 13 dell art. 1 -ter considera ostativi alla c.d. regolarizzazione»; che, tuttavia, il citato art ter, comma 1, lettera c), stabilisce che «è punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro a euro chiunque a fini di lucro: (...) c) pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico le duplicazioni o riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e b)», mentre, in virtù dell art. 381, comma 1, cod. proc. pen. (Arresto facoltativo in flagranza), «gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni», ovvero per i delitti elencati nel comma 2 di tale disposizione; che, pertanto, alla luce della descrizione della fattispecie contenuta nell ordinanza di rimessione, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale non risulta adeguatamente motivata, con conseguente manifesta inammissibilità della stessa, dato che il reato di cui all art ter, comma 1, lettera c), della legge n. 633 del 1941 non è riconducibile né tra quelli contemplati dall art. 381, comma 1, cod. proc. pen., né tra quelli oggetto del comma 2 di detta disposizione (e neppure, a fortiori, tra i delitti di cui all art. 380 cod. proc. pen.), che, ai sensi del censurato art. 1 -ter, comma 13, lettera c), impediscono l ammissione del lavoratore extracomunitario alla procedura di emersione 76

93 disciplinata da tale ultima norma, non avendo il TAR neanche dedotto che la condanna de qua è stata irrogata per l ipotesi del reato più gravemente punita dal comma 2 di cui al citato art ter, ovvero che sono state ritenute sussistenti circostanze aggravanti in tesi rilevanti ai fini dell art. 381 cod. proc. pen., secondo il combinato disposto degli articoli 278 e 379 cod. proc. pen.; che l unica disposizione asseritamente ostativa alla procedura di emersione in esame è stata, invece, indicata nel citato art. 1 -ter, comma 13, lettera c), (è questa, infatti, la sola norma censurata dal rimettente) e, quindi, anche in virtù del principio di autosufficienza dell ordinanza di rimessione (costantemente affermato da questa Corte, ex plurimis, sentenza n. 338 del 2001; ordinanza n. 307 del 2011), neppure è possibile valutare l eventuale sussistenza di ragioni e disposizioni ulteriori che, eventualmente, avrebbero permesso di tenere conto della condanna irrogata per il reato dell art ter, comma 1, lettera c), della legge n. 633 del 1941, per negare l accoglimento della domanda di emersione, in quanto di esse l ordinanza di rimessione non ha dato atto (omettendo, conseguentemente, anche di censurarle); che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, indipendentemente da ogni ulteriore valutazione in ordine all ambiguità del petitum, connotato da profili di scarsa chiarezza ed indeterminatezza in ordine al contenuto dell addizione richiesta (in tal senso, ordinanza n. 307 del 2011, che ha deciso la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per il Friuli-Venezia Giulia con ordinanza di rimessione sostanzialmente riprodotta dal giudice a quo nel provvedimento che ha promosso il presente giudizio). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell articolo 1 -ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, sollevata, in riferimento all articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con l ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

94 N. 126 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Ordinanza 7-10 maggio 2012 Aborto e interruzione volontaria della gravidanza - Gestante minorenne - Richiesta di interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni - Assenso di chi esercita sulla donna la potestà o la tutela ovvero, in presenza di seri motivi che ne impediscano o sconsiglino la consultazione, autorizzazione da parte del giudice tutelare - Asserita violazione dei diritti del genitore - Carente motivazione circa la rilevanza della questione - Questione contraddittoria e volta ad ottenere un avallo interpretativo - Manifesta inammissibilità della questione. Legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12. Costituzione, artt. 24, 29 e 30. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza), promosso dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, nel procedimento relativo a M.M., con ordinanza del 17 ottobre 2011, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che, con ordinanza emessa il 17 ottobre 2011, il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, ha sollevato - in riferimento agli articoli 24, 29 e 30 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell articolo 12 [secondo comma] della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza), limitatamente all inciso «o sconsiglino»; che il rimettente riferisce che - ricevuta richiesta da parte del locale Consultorio familiare di autorizzare una minorenne a decidere l interruzione della gravidanza (date le difficoltà economiche della famiglia e l immaturità della giovane) - sentita la minore, questa ha ribadito la volontà di interrompere la gravidanza e di non volerne informare il padre in ragione del suo carattere rigido e tradizionalista ; ed osserva, quindi, che, nella specie (anche sulla base delle allegazioni della minore stessa e della madre), seppure «risultano seri motivi che certamente non impediscono, ma semmai sconsigliano di informare il padre della minore», sarebbe applicabile la disposizione censurata, nella parte in cui consente al giudice tutelare di autorizzare la minore a decidere l interruzione della gravidanza senza che ne siano informati i genitori; che tuttavia - sottolineato che il diritto e dovere del genitore (sancito dall art. 30 Cost.) di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, comprende anche quello di correre in ausilio alla minore, che si trovi di fronte alla grave scelta di ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza, e che l intervento della pubblica autorità, ai sensi del secondo comma dell art. 30 Cost., è ammesso solo in via sussidiaria, ove i genitori risultino 78

95 incapaci di assolvere ai compiti loro affidati - per il giudice tutelare la norma impugnata, precludendo al genitore di essere informato e di manifestare il suo avviso, appare in contrasto sia con l art. 29 Cost. (che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e la tutela nei confronti di qualsiasi interferenza esterna, specialmente di quella statale), sia con il successivo art. 30, secondo comma (che permette l attribuzione della potestà a persone diverse dai genitori esclusivamente nei casi di incapacità degli stessi); che, inoltre - poiché la locuzione «seri motivi» appare estremamente generica e suscettibile delle più discordanti valutazioni, per l assoluta mancanza di un obiettivo criterio di riscontro -, il rimettente evidenzia che, stando al tenore letterale della norma impugnata, non è prevista la possibilità per il giudice tutelare di consultare il genitore non informato, per acquisirne l assenso o il dissenso, ove lo ritenga opportuno; laddove, poi, anche ammettendo tale possibilità, non si può ritenere che essa assicuri sufficiente tutela al diritto soggettivo del genitore, che non può essere il risultato di una «benevola concessione» dell autorità giudiziaria, ma che deve godere di una garanzia incondizionata e non solo eventuale, con conseguente violazione dell art. 24 Cost., giacché l audizione del genitore, in assenza di motivi che la impediscano, si pone come strumento necessario per una adeguata istruttoria sulla situazione della minore, sul suo nucleo familiare, nonché sulle motivazioni che l hanno condotta alla decisione, onde escludere eventuali indebiti condizionamenti, e consentire di verificare che la volontà della minore si sia liberamente formata; che il rimettente - nonostante sia a conoscenza delle pronunce n. 109 del 1981, n. 47 del 1982 e n. 14 del 1989, con cui questa Corte ha dichiarato non fondate analoghe questioni, sull assunto che la deroga alla previsione di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema dei procedimenti avanti l organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe pur sempre legittima, perché giustificata dall intento, perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente, l aborto clandestino - rileva tuttavia come il contesto socio culturale sia profondamente cambiato, poiché, da un lato, «l evoluzione del costume ha fatto sì che ormai una gravidanza fuori da quelli che - un tempo - erano i canoni sociali (fuori dal matrimonio, e in età minore) non è più avvertita quale grave fonte di discredito, tale da indurre la minore alle pratiche dell aborto clandestino, pur di non informarne neanche i genitori»; e poiché, dall altro lato, «il fenomeno dell aborto clandestino (lungi dallo scomparire, purtroppo) è comunque un fenomeno ormai circoscritto a tristi realtà di forte illegalità collegate allo sfruttamento della prostituzione e dell immigrazione clandestina, e alla tratta di esseri umani, laddove si evita il ricorso alle procedure di legge non certo per impedirne la conoscenza ai genitori, ma per impedire che emergano tali situazioni di turpe illegalità»; che infine, per il rimettente, la rilevanza della questione sussisterebbe in re ipsa, giacché (venuto meno l inciso censurato) esso giudice «allo stato dovrebbe rigettare la richiesta»; che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l inammissibilità della sollevata questione o, comunque, per la sua non fondatezza, sulla base delle argomentazioni già sviluppate da questa Corte nelle citate precedenti pronunce; che, in ordine alla richiesta di superamento di tale giurisprudenza, la difesa erariale osserva che la sia pur innegabile profonda evoluzione della coscienza sociale nei confronti delle gravidanze fuori dai canoni tradizionali non assume alcuna rilevanza ai fini dello scrutinio di costituzionalità di una norma come quella in esame, attributiva al giudice di un (sia pur ampio) potere di decidere di non consultare i genitori secondo le circostanze del caso concreto; e che l evoluzione dei costumi sociali non esclude che nei singoli casi portati all attenzione dell autorità giudiziaria permanga l opportunità, che è compito dell autorità giudiziaria accertare, di non interpellare i genitori che, se coinvolti nella delicata situazione in cui si trova la minore, potrebbero vanificare l intento fatto proprio dalla legge di assicurare una scelta circa l interruzione della gravidanza quanto più possibile consapevole e non condizionata da influenze esterne. Considerato che il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, censura - limitatamente all inciso «o sconsiglino» - l articolo 12 [secondo comma] della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza), che prevede che, «Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l interruzione della gravidanza è richiesto l assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza»; che il rimettente - rilevato che, non essendo «prevista la possibilità per il giudice tutelare di consultare il genitore non informato, per acquisirne l assenso o il dissenso, ove lo ritenga opportuno», essendogli viceversa consentito di autorizzare la minore a decidere l interruzione della gravidanza senza che ne siano informati i genitori, qualora 79

96 sussistano «seri motivi», non solo che «impediscano», ma che anche, appunto, semplicemente «sconsiglino» la consultazione di questi ultimi o di uno di essi - deduce che la norma censurata violerebbe, da un lato, gli articoli 29 e 30 della Costituzione, in ragione della preclusione al genitore di essere informato e di manifestare il suo avviso, anche in ausilio alla minore, e della sua sostituzione senza ragione con un organo statale; e, dall altro lato, l articolo 24 della Costituzione, in quanto la consultazione del genitore da parte del giudice tutelare, in assenza di motivi che la impediscano, si pone come strumento necessario per una adeguata istruttoria della situazione, vulnerandosi altrimenti il diritto soggettivo del genitore, che deve godere di una garanzia incondizionata e non solo eventuale; che il rimettente propone l incidente di costituzionalità pur sottolineando che analoga questione è stata dichiarata non fondata dalla sentenza n. 109 del 1981, e manifestamente infondata dalle ordinanze n. 47 del 1982 e n. 14 del 1989, con le quali questa Corte ha ritenuto insussistente la violazione: a) sia dell art. 30 Cost. - sul presupposto che, «se la consultazione del genitore non è prescritta, essa non è nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del consultorio, della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, ciò che più importa, al prudente apprezzamento del giudice», in conformità all intento «nettamente perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente, l aborto clandestino» (sentenza n. 109 del 1981) - e di conseguenza, sulla base del medesimo presupposto; b) sia dell art. 24 Cost. (ordinanza n. 14 del 1989); che, tuttavia, il giudice a quo ritiene che tali precedenti siano superabili, poiché (a suo dire) il contesto socio culturale è da allora profondamente cambiato, in quanto l evoluzione del costume ha fatto sì che ormai una gravidanza fuori da quelli che un tempo erano i canoni sociali «non è più avvertita quale grave fonte di discredito, tale da indurre la minore alle pratiche dell aborto clandestino, pur di non informarne neanche i genitori»; e d altra parte «il fenomeno dell aborto clandestino (lungi dallo scomparire, purtroppo) è comunque un fenomeno ormai circoscritto a tristi realtà di forte illegalità collegate allo sfruttamento della prostituzione e dell immigrazione clandestina, e alla tratta di esseri umani, laddove si evita il ricorso alle procedure di legge non certo per impedirne la conoscenza ai genitori, ma per impedire che emergano tali situazioni di turpe illegalità»; che, peraltro, il rimettente omette di considerare che già nella sentenza n. 196 del 1987 questa Corte ha precisato che il provvedimento di autorizzazione a decidere - «ancorché sui generis sia perché fatto salvo da reclamo, così come di regola previsto, invece, per effetto dell art. 739 c.p.c., sia perché non decisorio bensì meramente attributivo della facoltà di decidere» - «rientra pur sempre nell ambito degli schemi autorizzatori adversus volentem : unicamente di integrazione, cioè, della volontà della minorenne, per i vincoli gravanti sulla sua capacità d agire», rimanendo esso «esterno alla procedura di riscontro, nel concreto, dei parametri previsti dal legislatore per potersi procedere all interruzione gravidica»; sicché «una volta che i disposti accertamenti siansi identificati quale antefatto specifico e presupposto di carattere tecnico, al magistrato non sarebbe possibile discostarsene; intervenendo egli, come si è chiarito, nella sola generica sfera della capacità (o incapacità) del soggetto, tal quale viene a verificarsi per altre consimili fattispecie (per gli interdicendi, ad es., a sensi dell art. 414 cod. civ.)»; che le medesime considerazioni si trovano ribadite nelle ordinanze n. 463 del 1988 e n. 293 del 1993, in cui viene ulteriormente chiarito che la funzione del giudice tutelare costituisce strumento di garanzia circa la effettiva consapevolezza della scelta della minore nella valutazione dei beni in gioco, in un sistema che vede coinvolti tutti gli interventi di carattere sociale a tutela della maternità e della vita del concepito, potendo il giudice negare l autorizzazione quando escluda, nel suo prudente apprezzamento, tale consapevolezza; che, inoltre, anche successivamente questa Corte ha riaffermato che, conformemente alla come sopra identificata funzione del procedimento dinanzi al giudice tutelare, «è attribuito a tale giudice - in tutti i casi in cui l assenso dei genitori o degli esercenti la tutela non sia o non possa essere espresso - il compito di autorizzazione a decidere, un compito che (alla stregua della stessa espressione usata per indicarlo dall art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978) non può configurarsi come potestà co-decisionale, la decisione essendo rimessa - alle condizioni previste - soltanto alla responsabilità della donna» (ordinanza n. 76 del 1996); e che «il provvedimento del giudice tutelare risponde ad una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nelle quali la decisione della minore possa essere presa in piena libertà morale» (ordinanza n. 514 del 2002); che, viceversa, il rimettente muove dalla premessa (che sola potrebbe, in ipotesi, giustificare la richiesta di attribuzione al giudice della facoltà di consultare il genitore non informato mediante un autonomo accertamento istruttorio) secondo la quale ad esso sarebbe affidato anche il potere di valutazione intrinseca del contenuto della decisione che la minore intende prendere e per la quale deve essere autorizzata; ma nel contempo egli omette qualsiasi riferimento al diverso e consolidato approdo ermeneutico cui è pervenuta questa Corte in ordine alla esatta delimitazione della funzione (ed, in sostanza, della natura stessa e della estensione in materia dei poteri del giudice tutelare) del provvedimento di autorizzazione della minore a decidere l interruzione della gravidanza; 80

97 che la mancata considerazione di tale evoluzione giurisprudenziale si traduce in una carente motivazione circa la rilevanza della questione, giacché (in assenza di considerazioni in ordine alla possibile compatibilità, sostanziale e procedimentale, della richiesta facoltà di esperire attività istruttoria nell àmbito della procedura de qua ed in rapporto allo specifico potere attribuito al giudice tutelare) il medesimo rimettente non fornisce alcuna indicazione che consenta di valutare la sussistenza della pregiudizialità della soluzione del proposto incidente di costituzionalità rispetto alla definizione della richiesta di autorizzazione; che ulteriore e concorrente profilo di inammissibilità deriva dalla mera assertività dell assunto circa la rilevanza in re ipsa della questione, affermata dal giudice a quo in ragione del fatto che «ove l inciso [ o sconsiglino ] di cui si prospetta l illegittimità costituzionale non sussistesse» esso rimettente «allo stato dovrebbe rigettare la richiesta»; che una tale argomentazione, da un lato, non consente di individuare le ragioni che porterebbero il rimettente al rigetto della domanda per il sol fatto dell accoglimento del petitum: la qual cosa farebbe piuttosto supporre che il rimettente cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto la proposizione dell incidente di costituzionalità (che, interrompendo la necessaria e naturale speditezza della procedura, di fatto vanifica l istanza di tutela del diritto fondamentale alla salute psico-fisica della minore gestante, oggetto primario delle garanzie approntate dalla legge n. 194 del 1978: sentenze n. 35 del 1997 e n. 27 del 1975), non già per pervenire alla soluzione di un problema pregiudiziale rispetto alla definizione della richiesta, quanto piuttosto al fine di tentare di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanze n. 26 del 2012 e n. 139 del 2011); e, dall altro lato, essa appare anche intrinsecamente contraddittoria, poiché l istanza di caducazione della norma in parte qua dovrebbe essere evidentemente finalizzata a consentire appunto la consultazione del genitore da parte del giudice, e solo in seguito, semmai, a rigettare la domanda di autorizzazione a decidere l interruzione della gravidanza; che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, della norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell articolo 12 [secondo comma] della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza), sollevata, in riferimento agli articoli 24, 29 e 30 della Costituzione, dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, con l ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Paolo GROSSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

98 N. 127 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Ordinanza 7-10 maggio 2012 Processo penale - Impugnazione dell imputato - Morte dell imputato successiva alla sentenza di condanna di primo grado e precedente alla impugnazione - Facoltà degli eredi di proporre impugnazione limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale - Mancata previsione - Asserita violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - Difetto di motivazione in ordine alla applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo - Insufficiente descrizione della fattispecie e mancanza di motivazione sulla rilevanza - Manifesta inammissibilità della questione. Codice di procedura penale, art Costituzione, artt. 3 e 24. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell articolo 571 del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Ribaudo Maria Concetta nella qualità di liquidatrice della società Eurozinco di Lucchese Antonino & C. sas, con ordinanza dell 8 agosto 2011, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi. Ritenuto che con ordinanza depositata l 8 agosto 2011 (r.o. n. 264 del 2011) il Tribunale di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell articolo 571 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione»; che l ordinanza di rimessione, richiamato in apertura il ricorso della liquidatrice di una società in accomandita semplice, premette che, con provvedimento del 28 ottobre 2002, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo di un terreno di proprietà di tale società, che, con sentenza dell 11 luglio 2008 dello stesso tribunale, il rappresentante legale della società è stato assolto da un imputazione di associazione per delinquere e condannato, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e di mille euro di multa per il reato di cui agli artt. 640, primo comma e secondo comma, numero 1), e 61, numero 7), del codice penale e che, nei limiti del valore del profitto del reato, è stata disposta la confisca per equivalente del terreno indicato; che il giudice rimettente riferisce inoltre che l imputato è deceduto il 20 luglio 2008, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, ma prima della notifica dell estratto contumaciale; che, nella prospettazione del rimettente, per un verso, la morte avrebbe determinato l estinzione del diritto all impugnazione e il passaggio in giudicato della sentenza, oltre all estinzione della pena da dichiararsi dal giudice dell esecuzione e, per altro verso, il sistema non consentirebbe l impugnazione degli eredi, mentre, per il combinato 82

99 disposto degli artt. 236 e 210 cod. pen., l estinzione della pena dipendente dalla morte del condannato non avrebbe effetti sulla statuizione di confisca, che dovrebbe quindi mantenere la sua efficacia «con definitiva ablazione del diritto in capo al condannato e definitiva frustrazione della aspettativa di successione coltivata dagli eredi»; che la mancata previsione in capo agli eredi del diritto a impugnare la decisione di primo grado, «limitatamente al caso di sentenza contenente statuizioni di carattere patrimoniale», non sarebbe in sintonia con i principi costituzionali in tema di uguaglianza, dipendendo la loro posizione da «un evento assolutamente imprevedibile, quale l epoca della morte del loro dante causa, perché nel caso di morte intervenuta prima della impugnazione l erede rimarrebbe privo di tutela, mentre nel caso di morte successiva all impugnazione l erede potrebbe beneficiare della pronuncia emessa in secondo grado»; che, inoltre, si verificherebbe un ingiustificata compressione del diritto di difesa, «con impossibilità di fruire di un secondo grado di merito e del controllo di legittimità, in relazione ad un evento del tutto imprevedibile ed estraneo alla sfera di intervento dei soggetti pregiudicati dalla decisione»; che, secondo il rimettente, la giurisprudenza ha invece ritenuto che la morte dell imputato successiva alla pronuncia di primo grado e anteriore all impugnazione non comporti il passaggio in giudicato delle statuizioni civili contenute nella stessa pronuncia, perché verrebbe meno il rapporto processuale principale, sul quale si innesta quello processuale civile, con la conseguente impossibilità per il giudice penale di decidere sulla pretesa civile azionata in sede penale, e vi sarebbe, quindi, «caducazione del rapporto processuale e salvezza del diritto degli eredi a coltivare l azione civile nella competente sede civile»; che, osserva ancora il rimettente, ai sensi dell art. 578 cod. proc. pen., il giudice di appello decide sull impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, anche nel caso di estinzione per amnistia o prescrizione «e non anche - significativamente - nel caso di morte dell imputato»; che, inoltre, la progressiva estensione delle ipotesi di confisca richiederebbe in modo più pregnante il rispetto sostanziale delle garanzie difensive, anche rispetto ai terzi pregiudicati dal provvedimento, considerata l entità degli interessi patrimoniali in gioco; che, riferisce inoltre il rimettente, nei confronti dei coimputati appellanti è stata dichiarata l estinzione dei reati ad essi rispettivamente ascritti per intervenuta prescrizione, sicché potrebbe presumersi il medesimo esito anche nei confronti dell imputato deceduto, ove avesse impugnato la sentenza di primo grado; che, nel caso in esame, il tribunale ha disposto la confisca in applicazione dell art quater cod. pen., che espressamente richiama l art ter cod. pen., che a sua volta prevede la confisca obbligatoria anche per equivalente in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, così, ad avviso del rimettente, escludendo la confisca in caso di estinzione del reato; che la questione sarebbe altresì rilevante «in quanto, ove dovesse ritenersi la impugnabilità della sentenza da parte degli eredi, la pronuncia di secondo grado richiesta con la impugnazione da parte di costoro - in ipotesi dichiarativa della estinzione dei reati per prescrizione - avrebbe comportato la caducazione della statuizione di confisca adottata in primo grado»; che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata; che secondo l Avvocatura dello Stato la questione sarebbe irrilevante alla luce della possibile applicabilità del combinato disposto dell art. 150 cod. pen. e dell art. 587 cod. proc. pen., che in relazione alla confisca consentirebbe di salvaguardare le aspettative patrimoniali degli eredi dell imputato deceduto; che sarebbe inoltre insussistente uno dei presupposti della questione, ossia l irrevocabilità della sentenza, considerata l intervenuta impugnazione da parte degli altri coimputati, che ha portato alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, sicché troverebbe applicazione l art. 587 cod. proc. pen., con la conseguente «caducazione del potere ablativo (confisca) esercitato dal giudice con la sentenza di condanna di primo grado, richiamata in sede di censura»; che secondo l Avvocatura dello Stato l art. 236, secondo comma, cod. pen. deve essere integrato dall art. 240 cod. pen., che consente di prescindere dalla condanna nell unico caso di cui al numero 2) del secondo comma, in cui la confisca deve essere disposta «anche se non è stata pronunciata condanna», in ragione «non tanto della connessione delle cose in questione con la commissione del singolo reato dal quale l imputato sia stato in ipotesi assolto, quanto delle caratteristiche intrinseche delle cose, che non possono essere lasciate nella disponibilità né dell imputato né di chicchessia»; che, pertanto, la questione sarebbe irrilevante nel processo a quo, in quanto sarebbe possibile fornire della norma impugnata un interpretazione costituzionalmente compatibile. Considerato che il Tribunale di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell articolo 571 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione»; 83

100 che la norma censurata sarebbe in contrasto con l articolo 3 della Costituzione, facendo dipendere la posizione degli eredi da «un evento assolutamente imprevedibile, quale l epoca della morte del loro dante causa, perché nel caso di morte intervenuta prima della impugnazione l erede rimarrebbe privo di tutela, mentre nel caso di morte successiva all impugnazione l erede potrebbe beneficiare della pronuncia emessa in secondo grado», e con l art. 24 Cost., in quanto determinerebbe un ingiustificata compressione del diritto di difesa, «con impossibilità di fruire di un secondo grado di merito e del controllo di legittimità, in relazione ad un evento del tutto imprevedibile ed estraneo alla sfera di intervento dei soggetti pregiudicati dalla decisione»; che la questione sarebbe rilevante «in quanto, ove dovesse ritenersi la impugnabilità della sentenza da parte degli eredi, la pronuncia di secondo grado richiesta con la impugnazione da parte di costoro - in ipotesi dichiarativa della estinzione dei reati per prescrizione - avrebbe comportato la caducazione della statuizione di confisca adottata in primo grado»; che in via preliminare deve rilevarsi che l ordinanza di rimessione non ha indicato l oggetto del ricorso proposto dalla liquidatrice della società che ha subito il sequestro, né, comunque, le ragioni per le quali della relativa cognizione è stato investito il tribunale; che, non essendo il giudice che ha sollevato la questione quello che dovrebbe conoscere di un eventuale appello, la lacuna della motivazione relativa a tali elementi si traduce nell assoluta mancanza di indicazioni sulle ragioni per le quali il tribunale dovrebbe fare applicazione dell art. 571 cod. proc. pen., ossia della norma che disciplina l impugnazione dell imputato, così dando luogo ad una causa di manifesta inammissibilità della questione ( ex plurimis, ordinanza n. 318 del 2011); che, inoltre, l ordinanza di rimessione, mentre censura l art. 517 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione», non offre alcuna indicazione sull esistenza di eredi, sulla loro volontà di proporre appello e sulla loro partecipazione, ed eventualmente in quale veste, al procedimento a quo, limitandosi a riferire che il ricorso sul quale il rimettente è chiamato a pronunciarsi è stato proposto dalla liquidatrice della società proprietaria del terreno confiscato, società di cui l imputato deceduto era stato rappresentante legale; che anche sotto questo profilo l insufficiente descrizione della fattispecie e correlativamente la mancanza di motivazione sulla rilevanza comportano la manifesta inammissibilità della questione. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell articolo 571 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con l ordinanza di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giorgio LATTANZI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

101 N. 128 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Ordinanza 7-10 maggio 2012 Commercio - Norme della Regione Piemonte - Commercio su aree pubbliche - Disciplina sul rilascio e rinnovo delle concessioni di posteggio - Asserito contrasto con la normativa statale e comunitaria - Asserita indebita interpretazione autentica della legge statale - Ricorso del Governo - Sopravvenuta modifica delle norme impugnate - Rinuncia al ricorso seguita dall accettazione della controparte costituita - Estinzione del giudizio. Legge della Regione Piemonte 27 luglio 2011, n. 13, artt. 4 e 5. Costituzione, art. 117, primo e secondo comma, lett. e) ed l) ; d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, art. 16; direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, art. 12 e punto 62 del Considerando; norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, art. 23. composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; LA CORTE COSTITUZIONALE Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI; ha pronunciato la seguente O RDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 4 e 5 della legge della Regione Piemonte 27 luglio 2011, n. 13 (Disposizioni urgenti in materia di commercio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 ottobre 2011, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2011 ed iscritto al n. 117 del registro ricorsi Visto l atto di costituzione della Regione Piemonte; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 3 ottobre 2011 e depositato il successivo 6 ottobre, ha proposto - in riferimento all articolo 117, primo e secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione - questione di legittimità costituzionale degli articoli 4 e 5 della legge della Regione Piemonte 27 luglio 2011, n. 13, recante «Disposizioni urgenti in materia di commercio»; che il ricorrente - premesso che il censurato art. 4 modifica l art. 10 della legge regionale 12 novembre 1999, n. 28 (Disciplina, sviluppo e incentivazione del commercio in Piemonte, in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114) - osserva in particolare che il comma 1 di detto art. 4 dispone che «il rilascio ed il rinnovo delle concessioni di posteggio per l esercizio del commercio su area pubblica non rientrano nell àmbito di applicazione dell art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), in quanto attività non limitate dalla scarsità delle risorse naturali o dalle capacità tecniche disponibili e per i motivi imperativi di interesse generale ascrivibili, ai sensi dell articolo 8, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 59/2010, all ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, all incolumità pubblica, al mantenimento dell equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale e alla tutela dei consumatori»; e precisa che «la durata della validità delle concessioni è disciplinata dalla normativa vigente»; che il ricorrente - sottolineato che il citato art. 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010 riproduce l art. 12 della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), esplicitando altresì il principio contenuto nel punto 62 del considerando premesso alla direttiva stessa, che richiede l applicazione di una procedura selettiva per le autorizzazioni il cui numero sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili - osserva che la norma regionale impugnata, contrariamente a quella statale, afferma viceversa in maniera apodittica che il rilascio ed il rinnovo delle concessioni di posteggio per l esercizio del commercio su area pubblica non rientrano nell àmbito di applicazione della norma statale medesima; 85

102 che, in tal modo, la norma medesima fornisce una interpretazione autentica della legge statale - escludendone l applicazione nel territorio della Regione - così violando la potestà legislativa dello Stato in relazione all art. 117, comma 2, lettera l), Cost., in quanto, indipendentemente dalla correttezza, l emanazione di una norma interpretativa non è consentita al legislatore regionale, in quanto ciò presupporrebbe la sussistenza della potestà legislativa in capo all organo legiferante; che inoltre - considerato che il commercio ambulante può svolgersi unicamente sul suolo pubblico disponibile a tal fine e che, visto il carattere circoscritto di tale risorsa, le norme comunitarie e nazionali impongono, per consentire un accesso al mercato su base paritaria, che le autorizzazioni alla vendita nei mercati ambulanti abbiano durata limitata - il ricorrente deduce altresì il contrasto della norma regionale con i princìpi comunitari contenuti nelle citate norme della citata direttiva 2006/123/CE nonché del decreto legislativo n. 59 del 2010, in violazione quindi dell art. 117, primo comma, Cost., per mancato rispetto dei vincoli comunitari, nonché della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui al successivo secondo comma, lettera e) ; che infine, secondo il ricorrente, le medesime considerazioni valgono anche in relazione al successivo art. 5, che - sostituendo l art. 11 della citata legge regionale n. 28 del 1999 ed introducendo apposite disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche, senza recepire i princìpi di cui al ricordato art. 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010, in particolare per quel che riguarda il divieto del rinnovo automatico delle concessioni - viene quindi anch esso impugnato per violazione dell art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost.; che si è costituita la Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, concludendo per la non fondatezza della questione, osservando che, dai dati forniti dall Osservatorio regionale del commercio, emerge che nei mercati piemontesi vi è un numero elevato di posteggi liberi; sicché, in assenza di scarsità di risorse naturali o di capacità tecniche disponibili, l ingresso di nuove imprese nel mercato è sempre assicurato, permettendo altresì di porre freno a fenomeni di evasione e abusivismo nel comparto; che - previa delibera del Consiglio dei ministri del 3 febbraio 2012, adottata sulla base della conforme relazione del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport - con atto depositato il 28 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso, in ragione della intervenuta modifica delle norme impugnate ad opera della sopravvenuta legge regionale 6 dicembre 2011, n. 22, recante «Modifiche della legge regionale 12 novembre 1999, n. 28 (Disciplina, sviluppo ed incentivazione del commercio in Piemonte, in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114) e della legge regionale 27 luglio 2011, n. 13 (Disposizioni urgenti in materia di commercio)»; che, a sua volta, la Regione Piemonte, con delibera della Giunta del 19 marzo 2012, ha ritualmente accettato la rinuncia. Considerato che, ai sensi dell art. 23 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall accettazione della controparte costituita, comporta l estinzione del processo (da ultimo, ordinanze n. 9 del 2012, n. 342, n. 292 e n. 256 del 2011). dichiara estinto il processo. P ER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio Depositata in Cancelleria il 10 maggio F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Paolo GROSSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI T_

103 ATTI DI PROMOVIMENTO DEL GIUDIZIO DELLA CORTE N. 66 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 30 marzo 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Bilancio annuale - Fondo per il pagamento dei residui perenti - Previsione della copertura finanziaria con una quota parte del risultato di amministrazione-avanzo di amministrazione - Ricorso del Governo - Denunciato utilizzo di una quota del bilancio di amministrazione dell esercizio precedente senza che sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità, con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 1, comma 5. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lettera e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 44, comma 3. Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Bilancio annuale - Pagamento dei debiti fuori bilancio - Previsione della copertura finanziaria con una quota parte del risultato di amministrazione-avanzo di amministrazione - Ricorso del Governo - Denunciato utilizzo di una quota del bilancio di amministrazione dell esercizio precedente senza che sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 1, comma 6. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lett. e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 44, comma 3. Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Campania - Bilancio di previsione per l anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio Ricorso al mercato finanziario - Ricorso del Governo - Denunciato ricorso al mercato finanziario per l anno 2012 senza che sia stato ancora approvato il rendiconto per l esercizio finanziario Contrasto con la legge di contabilità regionale - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile. Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2, art. 5. Costituzione, artt. 81, comma quarto, e 117, comma secondo, lett. e) ; legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7, art. 9, comma 4. Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; Nei confronti della Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della l.r. 27 gennaio 2012, n. 2, «Bilancio di previsione della Regione Campania per l anno 2012 e Bilancio pluriennale per il triennio » pubblicata nel B.U.R. Campania 28 gennaio 2012, n. 6, quanto agli artt. 1, commi 5 e 6, e 5, per contrasto con gli artt. 81, comma 4, e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. La predetta legge della Regione Campania viene impugnata con riferimento alle predette disposizioni, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 16 marzo 2012, depositata in estratto unitamente al presente ricorso, per i seguenti motivi. 87

104 M O T I V I 1. L art. 1, comma 5, della l.r. n. 2/2012 è illegittimo per contrasto con l art. 81, comma 4, e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. L art. 1, comma 5, dispone che la copertura finanziaria del fondo per il pagamento dei residui perenti è pari ad euro (UPB ). Inoltre, la copertura finanziaria è garantita da una quota parte del bilancio di amministrazione dell esercizio precedente malgrado non sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario La disposizione regionale in esame si pone, pertanto, in contrasto con l art. 44, comma 3, della legge di contabilità regionale n. 7/2002, il quale prevede che l utilizzo dell avanzo di amministrazione può avvenire soltanto quando ne sia dimostrata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto dell anno precedente. Inoltre, tale stanziamento, oltre ad essere privo di disponibilità di cassa, appare sottostimato rispetto alle effettive esigenze derivanti da eventuali reiscrizioni dei residui perenti il cui ammontare al 31 dicembre 2009, ultimo dato ufficiale disponibile, è pari a circa ,00 di euro. Sussiste, di conseguenza, la violazione dell art. 81, quarto comma, della Costituzione e dell art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione in materia di sistema tributario e contabile. 2. L art. 1, comma 6, della l.r. n. 2/2012 è illegittimo per contrasto con l art. 81, comma 4, e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. L art. 1, comma 6, dispone che la copertura finanziaria necessaria al pagamento dei debiti fuori bilancio è pari ad euro ,00 (UPB ). Tale previsione è effettuata utilizzando l avanzo di amministrazione dell esercizio precedente malgrado non sia stata ancora certificata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto per l esercizio finanziario La disposizione regionale in esame si pone, pertanto, in contrasto con l art. 44, comma 3, della legge di contabilità regionale n. 7/2002, il quale prevede che l utilizzo dell avanzo di amministrazione può avvenire soltanto quando ne sia dimostrata l effettiva disponibilità con l approvazione del rendiconto dell anno precedente. Inoltre, in termini di cassa la previsione risulta insufficiente. Sussiste, di conseguenza, la violazione dell art. 81, quarto comma, della Costituzione e dell art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione in materia di sistema tributario e contabile. 3. L art. 5 della l.r. n. 2/2012 è illegittimo per contrasto con l art. 81, comma 4, e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. L art. 5 dispone il ricorso al mercato finanziario per l esercizio 2012 per un importo pari ad euro ,90. La Regione, però, non ha ancora approvato il rendiconto per l esercizio finanziario Pertanto tale disposizione normativa contrasta con l art. 9, comma 4, della legge di contabilità regionale n. 7/2002, il quale prevede che non può essere autorizzata la contrazione di nuovo indebitamento se non è stato approvato dal Consiglio regionale il rendiconto dell esercizio di due anni precedenti a quello al cui bilancio il nuovo indebitamento si riferisce. Non essendo, inoltre, specificato, nell allegato B alla legge in esame, il dettaglio dei capitoli e delle UPB (Unità previsionali di base) finanziate dalle operazioni di indebitamento, non si può valutare se tale importo è utilizzato per finanziare spese di investimento sulla base di quanto stabilito dall art. 3, commi da 16 a 21 -bis, della legge n. 350/2003, dall art. 62 del d.l. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, nonché dalle disposizioni recate dall art. 10, comma 2, della legge n. 281/1970 come modificato dall art. 8, comma 2 della legge n. 183/

105 Riguardo, poi, al pagamento degli oneri di ammortamento in conto interessi e in conto capitale derivanti dalle operazioni di indebitamento già realizzate dalla Regione, gli stessi non vengono quantificati e non vengono neanche indicate le correlate UPB di copertura finanziaria, sia riguardo al bilancio di previsione annuale 2012 che al bilancio pluriennale Di conseguenza, per i motivi sopra rappresentati, la disposizione regionale in esame viola l art. 81, quarto comma, della Costituzione e l art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione in materia di sistema tributario e contabile. P. Q. M. Si conclude affinché sia dichiarata l illegittimità costituzionale della legge n. 2/2012 della Regione Campania nei limiti anzidetti per gli esposti motivi. Si deposita l estratto in originale della delibera del Consiglio dei ministri del 16 marzo Roma, addì 30 marzo 2012 L Avvocato dello Stato: VENTURINI 12C0143 N. 67 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in Cancelleria il 4 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Rimborso delle spese per trasferte ed autorizzazioni alle missioni - Previsione della possibilità, in occasione delle trasferte di servizio, in caso di impossibilità di utilizzo di idoneo mezzo dell Amministrazione o d altro mezzo pubblico di trasporto, di utilizzo del mezzo proprio e relativo rimborso spese per il personale con qualifica dirigenziale titolare di incarichi apicali; i responsabili di programmi collegati all utilizzo di fondi comunitari e nazionali; i funzionari e dirigenti incaricati dell esercizio di funzioni ispettive o di controllo e di patrocinio legale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione dell art. 6 del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, concernente la riduzione dei costi degli apparati amministrativi, e dell art. 8 della legge n. 417/1978 e dell art. 12, settimo comma, e 19, terzo comma, della legge n. 836/ Denunciata violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 18, commi 1 e 2. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e), e terzo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Attestazione, in ottemperanza alle leggi regionali nn. 37/1999 e 38/2006 e a seguito della consultazione referendaria del giugno 2011, che la proprietà pubblica delle reti e delle infrastrutture è inalienabile e che la gestione del servizio integrato è affidata all Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico la cui natura giuridica non può essere modificata - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 79. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). 89

106 Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Previsione che il sistema Regione Molise, istituito ai sensi dell art. 7 della legge regionale n. 16/2010, è costituito dalla Regione Molise e dagli enti indicati nelle Tabelle A1 e A2 allegate, che la Giunta regionale provvede ad aggiornare gli elenchi e che gli stessi vengono pubblicati nel BUR - Previsione che la Giunta regionale differenzi, in relazione alla tipologia degli enti, la forma della loro partecipazione e del loro coordinamento al Sistema, il potere di monitoraggio della Regione, nonché i poteri e le modalità di controllo, anche ispettive e di vigilanza - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 3, commi 1 e 2. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Riordino del Servizio sanitario regionale - Previsione che i distretti circondariali, ai sensi dell art. 3- quater del d.lgs. n. 502/1992, costituiscono il livello in cui si realizza la gestione integrata tra servizi sanitari e socio-assistenziali - Previsione che entro 60 giorni dall entrata in vigore della legge impugnata, la Giunta regionale presenta una proposta di riordino e di determinazione dei distretti stessi - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 67, commi 1 e 2. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Disciplina sull assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell Azienda sanitaria regionale del Molise - Eliminazione del controllo della Giunta regionale solo su alcuni atti del Direttore generale della ASREM - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 68. Costituzione, art. 120, comma secondo. Bilancio e contabilità pubblica - Legge finanziaria regionale Norme della Regione Molise - Strutture sanitarie e socio-sanitarie - Previsione, per le strutture che chiedano l accreditamento, che la verifica della congruità con il fabbisogno d assistenza secondo le funzioni sanitarie e socio-sanitarie individuate dalla programmazione sanitaria regionale è effettuata dal C.R.A.S.S. o dall organo competente istituto da apposito provvedimento di Giunta regionale, entro novanta giorni dalla presentazione della domanda - Ricorso del Governo - Denunciata interferenza con le funzioni del Commissario ad acta. Legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, art. 69. Costituzione, art. 120, comma secondo. Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per mandato ex lege dall Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi n PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, ricorrente; Contro Regione Molise, in persona del presidente della Giunta regionale attualmente in carica, resistente; Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 3, commi 1 e 2; 18, commi 1 e 2; 67; 68, comma 1, lett. a), 69; 79 della legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, «Legge Finanziaria Regionale 2012», pubblicata nel Bollettino ufficiale Molise 28 gennaio 2012, n. 2, edizione straordinaria. Illegittimità costituzionale dell art. 18 commi 1 e 2 L.R. Molise n. 2. La L.R. Molise n. 2 all art. 18 commi 1 e 2, rubricato «Rimborso delle spese per trasferte e autorizzazione alle missioni» prevede che «1. Al fine di assicurare il corretto e tempestivo assolvimento di funzioni istituzionali strategiche, nell ambito della superiore esigenza di razionalizzazione e di contenimento della spesa, è consentita al personale con qualifica dirigenziale titolare di incarichi apicali, ai responsabili di programmi collegati all utilizzo di fondi comunitari e nazionali, ai funzionari e dirigenti incaricati dell esercizio di funzioni ispettive o di controllo e di patrocinio legale la possibilità di utilizzare il mezzo proprio di trasporto in occasione delle trasferte di servizio, in caso di impossibilità di utilizzo di idoneo mezzo dell Amministrazione o di altro mezzo pubblico di trasporto. 2. Per i soli casi di cui al comma l sono ammissibili i rimborsi per l uso del mezzo proprio secondo le disposizioni vigenti, purché sia formalmente attestata la sussistenza delle condizioni di cui al medesimo comma 1 e sia comprovata la convenienza economica per l Amministrazione rispetto alle complessive modalità alternative di effettuazione della trasferta. 90

107 3. Il comma 1 dell art. 3 della legge regionale 12 aprile 1999, n. 12 (Disciplina del trattamento di missione del personale regionale) è sostituito dal seguente: «1. Le missioni del personale con qualifica non dirigenziale sono preventivamente autorizzate dal dirigente di riferimento. Le missioni del personale dirigenziale sono comunicate preventivamente al dirigente immediatamente sovraordinato. Le missioni del Direttore generale ed equiparato non necessitano di autorizzazione se effettuate nell ambito del territorio nazionale». La norma ai primi due commi consente l utilizzo del mezzo proprio e relativo rimborso spese al personale con qualifica dirigenziale titolare di incarichi apicali, ai responsabili di programmi collegati all utilizzo di fondi comunitari e nazionali, ai funzionari e dirigenti incaricati dell esercizio di funzioni ispettive o di controllo e di patrocinio legale in occasione delle trasferte dì servizio, in caso di impossibilità di utilizzo di idoneo mezzo dell Amministrazione o di altro mezzo pubblico di trasporto. Tale disposizione regionale contrasta con l art. 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, concernente la riduzione dei costi degli apparati amministrativi, ed espressione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica in base al quale «A decorrere dall anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per missioni, anche all estero, con esclusione delle missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze di polizia e dei vigili del fuoco, del personale di magistratura, nonché di quelle strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonché con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell anno Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. Il limite di spesa stabilito dal presente comma può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall organo di vertice dell amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell ente. Il presente comma non si applica alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti ispettivi e a quella effettuata dalle università e dagli enti di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti dell Unione europea ovvero di soggetti privati. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le diarie per le missioni all estero di cui all art. 28 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, non sono più dovute; la predetta disposizione non si applica alle missioni internazionali di pace e a quelle comunque effettuate dalle Forze di polizia, dalle Forze armate e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Con decreto del Ministero degli affari esteri di concerto con il Ministero dell economia e delle finanze sono determinate le misure e i limiti concernenti il rimborso delle spese di vitto e alloggio per il personale inviato all estero. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 e 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi». In base alla richiamata norma statale per il personale contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165/2001, compreso il personale di cui ai primi due commi della disposizione ora impugnata, non possono pertanto essere applicate le norme relative al trattamento economico di missione contenute nell art. 15 della legge n. 836/73 (l autorizzazione all uso del mezzo proprio per il personale che svolge funzioni ispettive) e nell art. 8 della legge n. 417/78 (determinazione dell indennità chilometrica). L art. 15 della legge n. 836/73 prevede che «Al personale che per lo svolgimento di funzioni ispettive abbia frequente necessità di recarsi in località comprese nell ambito della circoscrizione territoriale dell ufficio di appartenenza e comunque non oltre i limiti di quella provinciale può essere consentito, anche se non acquista titolo alla indennità di trasferta, l uso di un proprio mezzo di trasporto con la corresponsione di un indennità di lire 43 a chilometro quale rimborso spese di viaggio, qualora l uso di tale mezzo risulti più conveniente dei normali servizi di linea. L uso del mezzo proprio di trasporto deve essere autorizzato dal dirigente generale o da altro capo ufficio avente qualifica non inferiore a quella di primo dirigente o equiparata che, in sede di liquidazione di detta indennità, dovrà convalidare il numero dei chilometri percorsi indicati dagli interessati. Il consenso all uso di tale mezzo viene rilasciato previa domanda scritta dell interessato dalla quale risulti che l amministrazione è sollevata da qualsiasi responsabilità circa l uso del mezzo stesso. 91

108 Nei casi in cui l orario dei servizi pubblici di linea sia inconciliabile con lo svolgimento della missione o tali servizi manchino del tutto, al personale che debba recarsi per servizio in località comprese nei limiti delle circoscrizioni di cui al primo comma del presente articolo, può essere consentito, con l osservanza delle condizioni stabilite nel comma precedente l uso di un proprio mezzo di trasporto. Per i percorsi compiuti nelle località di missione per recarsi dal luogo dove è stato preso alloggio al luogo sede dell ufficio o viceversa e per spostarsi da uno ad altro luogo di lavoro nell ambito del centro abitato non spetta alcun rimborso per spese di trasporto, né alcuna corresponsione di indennità chilometrica». L art. 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 prevede che «La misura dell indennità chilometrica di cui al primo comma dell articolo 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836), è ragguagliata ad un quinto del prezzo di un litro di benzina super vigente nel tempo. Sulle misure risultanti va operato l arrotondamento per eccesso a lira intera. Il dipendente statale trasferito di autorità, per il trasporto di mobili e masserizie può servirsi, nei limiti di peso consentiti e previa autorizzazione dell amministrazione di appartenenza, di mezzi diversi dalla ferrovia. In tal caso le spese saranno rimborsate con una indennità chilometrica di L. 60 a quintale o frazione di quintale superiore a 50 chilogrammi, fino ad un massimo di 40 quintali per i mobili e le masserizie e di un quintale a persona per il bagaglio. Il rimborso non potrà comunque superare la spesa effettivamente sostenuta e documentata. Al dipendente è rimborsata inoltre l eventuale spesa sostenuta per pedaggio autostradale. L indennità dovuta per i percorsi o frazioni di percorso non serviti da ferrovia o altri servizi di linea e quella per i percorsi effettuati a piedi in zone prive di strade, a norma degli articoli 12, settimo comma, e 19, terzo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 836, sono elevate, rispettivamente, a L. 100 ed a L. 150 a chilometro. L indennità prevista dall art. 19, comma quarto, della stessa legge, è elevata a L. 150 a chilometro. Le indennità di cui ai commi terzo, quinto e sesto del presente articolo sono rideterminate annualmente ai sensi del precedente art. l, nei limiti dell aumento percentuale apportato all indennità di trasferta». La norma regionale è costituzionalmente illegittima: a) per violazione dell art. 117, comma 3 Cost. in quanto deroga ai principi di coordinamento per la stabilizzazione della finanza pubblica; b) per violazione dell art. 117, comma 2, lettera l) Cost. in quanto va a disciplinare il rapporto di lavoro di pubblico impiego dirigenziale, materia di competenza statale esclusiva ricompresa nell ambito dell ordinamento civile. Illegittimità costituzionale dell art. 79 L.R. Molise n. 2. L art r. Molise n. 2 prevede che «La Regione Molise, in ottemperanza alle leggi regionali n. 37/1999 e 38/2006 e dando seguito alla consultazione referendaria del giugno 2011, attesta che la proprietà pubblica delle reti e delle infrastrutture è inalienabile. La gestione del servizio idrico integrato è affidata all Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico, la cui natura giuridica non può essere modificata». La disposizione nella parte in cui prevede che la gestione del servizio idrico integrato sia affidata all Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico, la cui natura giuridica non può essere modificata è costituzionalmente illegittimo. In particolare la norma risulta adottata in violazione dell art. 117, comma secondo, lett. e), della Costituzione che riserva allo Stato la materia della tutela della concorrenza nonché dell art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione che riserva allo Stato la competenza in materia di tutela dell ambiente e dell ecosistema. A ciò va aggiunto che l affidamento ex lege della gestione di un servizio di interesse economico generale va a violare l art. 117, comma primo, della Costituzione che impone anche al legislatore regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall ordinamento comunitario. In proposito occorre premettere che, secondo codesta Corte costituzionale (sent. n. 26/2011) è «coessenziale alla nozione di rilevanza economica del servizio idrico integrato l esercizio dell attività con metodo economico, «nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)» (sentenza n. 325 del 2010, punto 9.1. del Considerato in diritto), la stessa Corte precisa che «coessenziale alla nozione di rilevanza economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n. 325 del 2010), non già la remunerazione del capitale». 92

109 Ancora, con sentenza n. 187 del , la Corte ha ribadito che «il legislatore statale, in coerenza con la [...] normativa comunitaria e sull incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione» (sentenza n. 325 del 2010). Ciò premesso la richiamata norma regionale risulta censurabile in quanto affida ope legis, il servizio idrico integrato all Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico, che, pertanto, si configura come ente strumentale della Regione finalizzato alla gestione del servizio idrico stesso. Si ricorda che, ai sensi dell art. 150, comma 2, d.lgs. n. 152/2006 «L Autorità d ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». La norma regionale in esame, lungi dal limitarsi ad attribuire ad altro soggetto istituzionale le funzioni già esercitate dalle Autorità d ambito territoriale, ivi inclusa quella, per quanto qui interessa, di affidamento della gestione del servizio idrico integrato, ha, nel caso di specie, affidato in via diretta la gestione del servizio ad un ente strumentale della Regione. Pertanto, sottraendo al soggetto subentrato all AATO il potere di scelta delle modalità di «affidamento della gestione del servizio idrico integrato», viola la competenza legislativa esclusiva statale, alla quale per consolidata giurisprudenza di codesta Corte (da ultimo, v. sent. n. 128 del 2011) va ricondotta la disciplina delle Autorità d ambito territoriale (e dei nuovi soggetti che dette autorità andranno a sostituire) in quanto rientrante nelle materie della tutela della concorrenza e della tutela dell ambiente. La possibilità di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l efficienza del servizio idrico integrato, conferita dal legislatore statale al legislatore regionale, non può intendersi come comprensiva anche del potere di prevedere l affidamento, direttamente con legge regionale, della gestione del servizio né risolversi nell eliminazione dal sistema giuridico della funzione amministrativa di affidamento della gestione del servizio idrico integrato, che non viene più esercitata da alcuno. Con l affidamento in via diretta della gestione di detto servizio all Agenzia speciale regionale Molise, in violazione della normativa statale, la citata Agenzia gestisce il servizio non in forza di un titolo concessorio, cioè un atto amministrativo, bensì ex lege, e quindi, fra l altro, senza limiti di tempo. Secondo la normativa comunitaria, inoltre, il servizio idrico, costituisce «un servizio di interesse economico generale» (Libro verde sui servizi di interesse generale, Bruxelles, , COM (2003), 270) e come tale è soggetto alla disciplina della concorrenza (v. art. 86, ex-art. 90, Tratt. CE). Ne consegue, pertanto; che l affidamento della gestione del servizio idrico con legge regionale risolvendosi nella negazione della regola della concorrenza concreta un caso di esercizio della potestà legislativa regionale in una materia, appunto, quella della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale oltre che essere illegittimo sul piano della violazione del diritto comunitario. Va evidenziato che codesta Corte costituzionale, con la sentenza n. 62/2012, accogliendo un ricorso del Governo, ha dichiarato incostituzionale un analoga norma della Regione Puglia contenuta nella 1.r. n. 11/2011. In detta occasione codesta Corte ha avuto modo di affermare che «occorre sottolineare che la disciplina dell affidamento della gestione del SII attiene, come piú volte affermato da questa Corte, alle materie tutela della concorrenza e tutela dell ambiente, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ( ex plurimis, sentenze n. 187 del 2011; n. 128 del 2011; n. 325 del 2010; n. 142 del 2010; n. 307 del 2009; n. 246 del 2009). Nella specie, anche dopo l abrogazione referendaria dell art. 23 -bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (con effetto dal 21 luglio 2011, ad opera dell art. 1, commi 1 e 2, del d.p.r. 18 luglio 2011, n. 113, recante «Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell art. 23 -bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica»), resta vigente il disposto del terzo periodo del comma 186 -bis dell art. 2 della legge n. 191 del 2009 (inserito dall art. 1, comma 1 -quinquies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42), in forza del quale alla legge regionale spetta soltanto disporre l attribuzione delle funzioni delle soppresse Autorità d àmbito territoriale ottimale (AATO), «nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza», e non spetta, di conseguenza, provvedere direttamente all esercizio di tali funzioni affidando la gestione ad un soggetto determinato. 93

110 Da ciò deriva, in particolare, che, in base alla normativa statale, la legge regionale deve limitarsi ad individuare l ente od il soggetto che eserciti le competenze già spettanti all AATO e, quindi, anche la competenza di deliberare la forma di gestione del servizio idrico integrato e di aggiudicare la gestione di detto servizio. Queste funzioni, infatti, erano attribuite all AATO dai commi 1 e 2 dell art. 150 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), i quali aggiungevano, rispettivamente, che la forma di gestione era deliberata «fra quelle di cui all art. 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267», recante «Testo unico delle leggi sull ordinamento degli enti locali» (comma 1) e che l aggiudicazione avveniva «mediante gara [...] in conformità ai criteri di cui all art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 [...1» (comma 2). Va precisato che la disciplina di cui ai richiamati commi 5 e 7 dell art. 113 è stata delegificata ed abrogata dal combinato disposto dell art. 23 -bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (in quanto «incompatibili» con tale art. 23 -bis ) e dell art. 12, comma 1, lettera a), del d.p.r. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell art. 23 -bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e che, prima ancora, questa Corte, con sentenza n. 272 del 2004, aveva dichiarato l illegittimità costituzionale del secondo e del terzo periodo del comma 7. Tuttavia tale abrogazione e l indicata dichiarazione di illegittimità costituzionale hanno fatto venir meno soltanto il vincolo che i due commi abrogati imponevano alle AATO (e, pertanto, anche ai successori di queste, individuati con legge regionale) di adottare esclusivamente alcune specifiche forme di gestione e di rispettare particolari criteri e, perciò, non hanno soppresso la funzione propria delle AATO medesime di deliberare le forme di gestione del SII e di aggiudicare tale gestione, nel rispetto dei principi e delle disposizioni vigenti nel diritto dell Unione europea. In proposito, è appena il caso di sottolineare che i più volte menzionati commi 5 e 7 dell art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 non hanno ripreso vigore a séguito della dichiarazione dell avvenuta abrogazione dell intero art. 23 -bis del decreto-legge n. 112 del 2008 per effetto dell esito del referendum indetto con d.p.r. 23 marzo Come questa Corte ha più volte affermato, infatti, dall abrogazione referendaria dell art. 23 -bis del decreto-legge n. 112 del 2008, non consegue la reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (sentenze n. 320 e n. 24 del 2011; sull esclusione, di regola, dell effetto retroattivo dell abrogazione referendaria, ordinanza n. 48 del 2012). Nella specie, la norma regionale impugnata si pone in contrasto con la suddetta normativa statale, perché - disponendo che la gestione del SII è affidata ad un azienda pubblica regionale avente determinate caratteristiche - da un lato esclude che l ente regionale successore delle competenze dell AATO (ossia l Autorità idrica pugliese) deliberi con un proprio atto le forme di gestione del SII e provveda all aggiudicazione della gestione del servizio al soggetto affidatario e dall altro, con disposizione che tiene luogo di un provvedimento, stabilisce essa stessa che il SII sia affidato ad un azienda pubblica regionale, da identificarsi necessariamente nell unica (a quanto consta) azienda pubblica regionale istituita al fine di detta gestione, cioè nell azienda denominata «Acquedotto pugliese - AQP», prevista dalla medesima legge reg. Puglia n. 11 del 2011 (articoli da 5 a 14). Poiché, come già rilevato, la normativa statale non consente che la legge regionale individui direttamente il soggetto affidatario della gestione del SII e che stabilisca i requisiti generali dei soggetti affidatari di tale gestione (così determinando, indirettamente, anche le forme di gestione), appare evidente la violazione dell evocato art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., con la conseguente illegittimità costituzionale dell impugnata normativa regionale (sulla legittimità costituzionale delle leggi statali, emesse nell esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato, che vietino l esercizio in via legislativa della funzione amministrativa regionale, ex plurimis, sentenze n. 20 del 2012; n. 44 del 2010; n. 271 e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008)». Illegittimità dell art. 3, commi l e 2, nonché degli articoli 67, 68, comma 1, lett. a), 69 della legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2. Risultano altresì illegittime le indicate disposizioni della legge regionale, tutte dettate in materia sanitaria. Al riguardo si ritiene opportuno premettere, all individuazione delle singole censure, un esame preliminare del contesto fattuale-normativo di riferimento. La Regione Molise, per la quale è stata verificata una situazione di disavanzi nel settore sanitario tale da generare uno squilibrio economico-finanziario tale da compromettere l erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ha stipulato il 30 marzo 2007 un accordo con i Ministri della salute e dell economia e delle finanze, comprensivo del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, che prevede una serie di interventi da attivare nell arco del triennio finalizzati a ristabilire l equilibrio economico e finanziario della Regione nel rispetto dei livelli assistenziali di assistenza, ai sensi dell art. 1, comma 180, della legge 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). 94

111 La Regione Molise, non avendo realizzato gli obiettivi previsti dal Piano di rientro nei tempi e nelle dimensioni di cui all art. 1, comma 180, della legge n. 311/04, nonché dell intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, e dai successivi interventi legislativi in materia, è stata commissariata ai sensi dell art. 4 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, in attuazione dell art. 120 della Costituzione, nei modi e nei termini di cui all art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003. Nella riunione del 24 luglio 2009, infatti, il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina di un commissario ad acta per la realizzazione del vigente piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Molise, individuandolo nella persona del presidente della Regione pro tempore. Nella successiva riunione del 20 gennaio 2012 il Consiglio dei ministri ha confermato la nomina del presidente della Regione pro tempore quale commissario ad acta per l attuazione del Piano di rientro e dei successivi Programmi operativi, conferendo al medesimo l incarico di provvedere a realizzare determinati interventi prioritari. Successivamente, ai sensi dell art. 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, il commissario ad acta, ha adottato il Programma operativo 2010 e, con il decreto n. 80 del 26 settembre 2011, i Programmi operativi con i quali viene data prosecuzione al Piano di Rientro Codesta Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione commissariale degli stessi. In particolare con la sentenza n. 100/2010 nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania 28 novembre 2008 n. 16 recante «Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo», ha affermato che una norma statale (vedasi l allora vigente art. 1, comma 796, lettera b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione «necessari per il perseguimento dell equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l Accordo intercorso tra lo Stato e la Regione Campania». La Corte ha affermato, inoltre, che la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. Codesta Corte costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha avuto modo di evidenziare che l operato del commissario ad acta, incaricato dell attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il carattere vincolante dell accordo concluso dal presidente della Regione - ad un attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007»). È, dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale qual è quello alla salute (art. 32 Cost.) - a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative dei commissario ad acta, ovviamente fino all esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli Organi regionali». Pertanto, secondo la Consulta, anche qualora non sia ravvisabile un diretto contrasto con i poteri del commissario, ma ricorra comunque una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, tale situazione è idonea ad integrare la violazione dell art. 120, secondo comma, Cost. Ciò premesso, la legge regionale in esame presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale: 3) Illegittimità dell art. 3 L.R. Molise n. 2/2012 per violazione dell art. 120 Cost. I primi due commi dell art. 3 della legge in questione prevedono che «1. Il Sistema Regione Molise, istituito ai sensi dell art. 7 della legge regionale 20 agosto 2010, n. 16 (Misure di razionalizzazione della spesa regionale), è costituito dalla Regione e dagli enti di cui alle allegate tabelle Al e A2. La Giunta regionale provvede ad aggiornare gli elenchi. L elenco aggiornato è pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione. 2. La Giunta regionale differenzia, in relazione alla tipologia degli enti, le forme della loro partecipazione e del loro contributo al Sistema, il potere d indirizzo della Regione, nonché i rapporti finanziari, i poteri e le modalità di controllo, anche ispettivo, e di vigilanza. I compiti operativi e le attività gestionali riconducibili alle funzioni amministrative riservate alla Regione sono svolti, di norma, tramite gli enti di cui al comma 1, diversi dalla Regione, individuati, di volta in volta, con deliberazione della Giunta regionale, sulla base delle competenze attribuite. Le modalità di raccordo tra la Regione e gli enti di cui al comma l, la puntuale individuazione dei compiti e delle attività affidate, la disciplina dell effettivo esercizio e la relativa data di decorrenza sono stabilite con apposite convenzioni, predisposte secondo schemi approvati dalla Giunta regionale». 95

112 La disposizione in esame, attribuendo alla Giunta regionale compiti che interferiscono con le funzioni espletate dal commissario ad acta nominato dal Governo, viola l art. 120, secondo comma, Cost. L art. 3, della legge in esame, dopo aver premesso, al comma 1, che la Regione e gli enti di cui alle allegate tabelle Al e A2, tra i quali è ricompresa l Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), costituiscono il Sistema Regione Molise, aggiunge INFATTI al comma 2, che «La Giunta regionale differenzia, in relazione alla tipologia degli enti, le forme della loro partecipazione e del loro contributo al Sistema, il potere d indirizzo della Regione, nonché i rapporti finanziari, i poteri e le modalità di controllo, anche ispettivo, e di vigilanza (...). Tale disposizione regionale, che riconosce alla Giunta regionale la potestà di impartire direttive alla citata l Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l attuazione del Piano di rientro, è compito del commissario impartire le direttive alla citata azienda sanitaria, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 20 gennaio La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 4, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta l incarico di provvedere a realizzare il «completamento dell assetto territoriale dell ASREM, con il superamento di qualsiasi forma di articolazione gestionale basata sul sistema delle disciolte zone territoriali: adozione del nuovo atto aziendale, secondo i rilievi ministeriali, in coerenza con Programma Operativo ed il nuovo Piano Sanitario regionale da adottarsi, fra l altro, con la previsione della definizione di un centro unico di responsabilità delle principali funzioni, quali la gestione contabile, la gestione del personale e gli acquisti». 4) Illegittimità dell art. 67, commi 1 e 2 L.R. Molise n. 2/2012 per violazione dell art. 120 Cost. L art. 67, commi 1 e 2, della legge in esame, prevede che «1. Il primo periodo del comma 5 dell art. 3 della legge regionale 1 aprile 2005, n. 9 (Riordino del Servizio sanitario regionale) è sostituito dal seguente: I distretti, individuati ai sensi dell art. 3 -quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, costituiscono il livello in cui si realizza la gestione integrata tra servizi sanitari e socio-assistenziali.. 2. Entro 60 giorni dall entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale presenta una proposta di riordino e rideterminazione dei distretti di cui al comma 1.». La norma nel modificare il comma 5 dell art. 3 della legge regionale l aprile 2005, n. 9 (Riordino del Servizio sanitario regionale), dopo aver premesso che i distretti dell unità sanitaria locale costituiscono il livello in cui si realizza la gestione integrata tra servizi sanitari e socio-assistenziali, prevede che entro 60 giorni dall entrata in vigore della legge la Giunta regionale presenti una proposta di riordino e rideterminazione di detti distretti. La disposizione, che consente alla Giunta regionale di intervenire in ordine al riordino e alla rideterminazione dei distretti dell unità sanitaria locale, non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l attuazione del Piano di rientro, è compito del commissario la riorganizzazione sanitaria, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 20 gennaio La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 3, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta l incarico di provvedere a realizzare il riassetto della rete ospedaliera e territoriale». Pertanto la disposizione in esame, attribuendo alla Giunta regionale compiti che interferiscono con le funzioni espletate dal commissario ad acta nominato dal Governo, viola l art. 120 Cost. 5) Illegittimità dell art. 68 L.R. Molise n. 2/2012 per violazione dell art. 120 Cost. L art. 68 della L.R. Molise n. 2/2012 prevede che «All art. 31 della legge regionale 22 febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell Azienda sanitaria regionale del Molise - Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12) sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 2 è soppressa la lettera l) ; b) la lettera a) del comma 8 è sostituita dalla seguente a) l apposizione del visto di congruità di cui all art. 32;. La norma apporta modifiche all art. 31 legge regionale n. 8/2010 (Disciplina sull assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell Azienda sanitaria regionale del Molise - Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12). In particolare il comma 1, lettera a), dell art. 68 dispone la soppressione della lettera I) dal comma 2 del suddetto art. 31, eliminando in tal modo dal novero degli atti del Direttore generale dell Azienda sanitaria regionale che sono sottoposti, ai sensi del menzionato comma 2, al controllo preventivo della Giunta regionale «ogni altro atto attribuito alla esclusiva competenza del direttore generale da leggi e regolamenti». Al riguardo si rappresenta che codesta Corte costituzionale, con sentenza n. 78 del 7 marzo 2011, ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell intero comma 2 dell art. 31 della legge regionale n. 8/2010 (che attribuiva alla Giunta regionale il controllo su tutti gli atti del Direttore Generale ASREM), nella parte in cui non escludeva dall ambito della sua operatività le funzioni e le attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria. 96

113 Pertanto, l art. 68, comma 1, lettera a), della legge in esame, modificando parzialmente il suddetto comma 2, dell art. 31 della legge regionale n. 8/2010 presuppone la vigenza di norme che sono già state dichiarate costituzionalmente illegittime. In particolare la disposizione regionale in esame, limitandosi ad eliminare dal controllo della Giunta solo alcuni atti del Direttore generale (di cui alla lett. I), del comma 2 dell art. 31), e lasciando inalterate le altre disposizioni di tale comma, giudicate incostituzionali, riguardanti tutti gli altri atti del direttore generale sottoposti al controllo della Giunta, qualora interpretata nel senso che reitera le disposizioni già dichiarate incostituzionali si pone in contrasto con l art. 120, secondo comma, Cost. Ponendo in capo alla Giunta regionale il controllo sugli atti del Direttore Generale ASREM, determinerebbe infatti una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la violazione dell art. 120, secondo comma, Cost. 6) Illegittimità dell art. 69 L.R. Molise n. 2/2012 per violazione dell art. 120 Cost. L art. 69 della legge regionale in esame prevede che «Il comma 5 dell art. 7 della legge regionale 24 giugno 2008, n. 18 (Norme regionali in materia di autorizzazione alla realizzazione di strutture ed all esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private) è sostituito dal seguente: 5. Per le strutture che richiedono l accreditamento, la verifica della congruità con il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie e socio-sanitarie individuate dalla programmazione sanitaria regionale è effettuata dal C.R.A.S.S. o dall organo competente istituito da apposito provvedimento di Giunta regionale, entro novanta giorni dalla presentazione della domanda». La disposizione, nel modificare il comma 5 dell art. 7 della legge 24 giugno 2008 n. 18, che disciplina la materia dell autorizzazione e dell accreditamento istituzionale, dispone che «Per le strutture che richiedono l accreditamento, la verifica della congruità con il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie e socio-sanitarie individuate dalla programmazione sanitaria regionale è effettuata dal C.R.A.S.S. o dall organo competente istituito da apposito provvedimento di Giunta regionale, entro novanta giorni dalla presentazione della domanda». La disposizione regionale in esame, che disciplina la materia dell accreditamento istituzionale, non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l attuazione del Piano di rientro, tale materia rientra tra i compiti del commissario ad acta, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 20 gennaio La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 5, e 7 e par. C, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta specifici compiti in materia di accreditamento istituzionale. Pertanto la disposizione in esame, determina una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la violazione dell art. 120, secondo comma, Cost. P.Q.M. Si conclude affinché sia dichiarata l illegittimità costituzionale degli articoli 3, commi 1 e 2; 18, commi 1 e 2; 67; 68, comma 1, lett. a) ; 69; 79 della legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, pubblicata nel Bollettino ufficiale Molise 28 gennaio 2012, n. 2. Si deposita determinazione della PCM di proposizione del ricorso. Roma, addì 27 marzo 2012 L avvocato dello Stato: VARONE 12C

114 N. 68 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 10 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Edilizia ed urbanistica - Norme della Regione Toscana - Accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità - Possibilità di ottenere il permesso in sanatoria per le opere che risultino conformi alla normativa tecnica vigente al momento della loro realizzazione o al momento dell inizio dei lavori - Possibilità di accedere all accertamento di conformità anche per le opere realizzate in difformità dalla normativa vigente al momento della loro realizzazione - Ricorso del Governo - Denunciato mancato rispetto della norma statale di principio sull accertamento di conformità, secondo cui il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato alla conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda e al momento della realizzazione dell intervento stesso - Violazione della competenza del legislatore statale nella materia concorrente del governo del territorio. Legge della Regione Toscana 31 gennaio 2012, n. 4, artt. 5, 6 e 7. Costituzione, art. 117, comma terzo. Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri (C.F ), con il patrocinio dell Avvocatura Generale dello Stato (C.F ) - fax: PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Nei confronti della Regione Toscana, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, per la dichiarazione dell illegittimità costituzionale della Legge della Regione Toscana n. 4 del 31 gennaio 2012, recante modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005 n. 1 (Norme per il Governo del Territorio) e della legge regionale 16 ottobre 2009 n. 58 (Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico), pubblicata sul B.U.R. n. 5 del , giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 23 marzo La Legge della Regione Toscana n. 4 del 31 gennaio 2012, recante modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005 n. 1 (Norme per il governo del territorio) e della regionale 16 ottobre 2009 n. 58 (Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico), pubblicata sul B.U.R. n. 5 del 3 febbraio 2012, è illegittima con riguardo agli artt. 5, 6, 7 perché prevede disposizioni in contrasto con l art. 117, comma 3 della Costituzione. È avviso dunque del Governo che, con la legge denunciata in epigrafe, la Regione Toscana abbia ecceduto dalla propria sfera di attribuzioni in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare di seguito con l illustrazione dei seguenti M OTIVI La legge regionale epigrafata presenta rilevanti profili di illegittimità costituzionale. Le disposizioni di cui all art. 5 della legge de qua, ove sostituiscono l art. 118, commi l e 2, della 1.r. n. 1/2005, stabiliscono la possibilità di ottenere il permesso in sanatoria per le opere ivi previste che risultano conformi alla normativa tecnica vigente soltanto al momento della loro realizzazione (comma 1) o al momento dell inizio dei lavori (comma 2) e non anche al momento della presentazione dell istanza. Lo stesso art. 5 (comma 3) novella, altresì, il comma 3 dell art. 118, prevedendo la possibilità di accedere all accertamento di conformità anche per le opere realizzate in difformità dalla normativa tecnica vigente al momento della loro realizzazione. Tali disposizioni si pongono in palese contrasto con quanto previsto dall art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 che subordina il rilascio del permesso in sanatoria alla conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, conformità che deve sussistere sia al momento della presentazione della domanda, che al momento della realizzazione dell intervento stesso. Sul punto si segnala che con sentenza n. 182/2006, pronunciata, peraltro, nel giudizio di legittimità costituzionale di alcune norme contenute nella l.r. Toscana n. 1/2005 in seguito a ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, la Corte costituzionale ha ribadito che «l intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». 98

115 L art. 5 della legge in esame è, pertanto, incostituzionale, per violazione dell art. 117, comma 3 (governo del territorio), della Costituzione, in considerazione del mancato rispetto della norma statale di principio sull accertamento di conformità prevista nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. Le medesime considerazioni si riverberano ovviamente, sugli articoli 6 e 7 della legge regionale che rinviano, esplicitamente, al contenuto dell articolo 5. Roma, 30 marzo 2012 L Avvocato dello Stato: FIGLIOLIA 12C0145 N. 69 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 16 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei Ministri) Sanità pubblica - Norme della Regione Calabria - Disciplina del Centro regionale sangue (CRS) - Sospensione dell efficacia della legge regionale istitutiva, in attesa dell attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario - Ricorso del Governo - Denunciata stabilizzazione, per i periodi in cui non opera la sospensione, degli effetti di disposizioni regionali già impugnate dinanzi alla Corte costituzionale - Violazione dei parametri evocati rispetto ad esse - Contrasto con principi della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica - Interferenza con le attribuzioni del Commissario ad acta volte all attuazione del piano di rientro - Mancanza di copertura finanziaria - Violazione del principio di ragionevolezza - Incoerenza della normativa sospesa rispetto al contesto prodotto dall attuazione del piano ed ai provvedimenti commissariali adottati nella medesima materia. Legge della Regione Calabria 3 febbraio 2012, n. 6, art. 1, comma 1, modificativo dell art. 14 della legge regionale 18 luglio 2011, n. 24. Costituzione, artt. 81, 97, 117, comma terzo, e 120; legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, commi 80 e 95. Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente dei Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall Avvocatura Generale dello Stato (C.F. n ), presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, Contro La Regione Calabria (C.F. n ) in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, via Giuseppe Sensales Catanzaro (CZ). Per la declaratoria della illegittimità costituzionale dell art. 1, comma 1. Legge Regione Calabria n. 6 del 3 febbraio 2012, pubblicata nel B.U.R. n. 2 del 10 febbraio 2012, che apporta «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 18 luglio 2011, n. 24, recante Istituzione del Centro Regionale Sangue», così come da delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministeri in data 3 aprile 2012 F A T T O È opportuno premettere che la regione Calabria, per la quale è stata verificata una situazione di disavanzi nel settore sanitario, tali da generare uno squilibrio economico-finanziario che compromette l erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ha stipulato, il 17 dicembre 2009, un accordo con i Ministri della salute e dell economia e delle finanze, comprensivo del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, che individua gli interventi necessari per il perseguimento dell equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, ai sensi dell art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). 99

116 La Regione Calabria, peraltro, non avendo realizzato gli obiettivi previsti dal Piano di rientro nei tempi e nelle dimensioni di cui all articolo 1, comma 180, della legge n. 311/04, nonché dall intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, e dai successivi interventi legislativi in materia, è stata commissariata ai sensi dell articolo 4 del decreto legge 1 ottobre 2007, n. 159, in attuazione dell articolo 120 della Costituzione, nei modi e nei termini di cui all articolo 8, comma 1, della legge n. 131/2003. Nella seduta del 30 luglio 2010, infatti, il Consiglio dei Ministri ha deliberato la nomina del Commissario ad acta per la realizzazione del vigente piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Calabria, individuando lo stesso nella persona del Presidente della Regione pro tempore. È necessario altresì premettere che in data 8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri ha deliberato l impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale della legge della regione Calabria n. 24/2011, recante «Istituzione del Centro Regionale Sangue», per i seguenti motivi: «1) l art. 1, comma 1, che istituisce il Centro regionale sangue, e l art. 2, che ne definisce le funzioni (consistenti nel coordinamento, nella programmazione e nel controllo di tutte le attività trasfusionali che si svolgono nella regione, nel coordinamento dei rapporti tra le regioni circa la raccolta del sangue, e nella gestione dei finanziamenti), nonché le altre disposizioni ad essi inscindibilmente connesse creano e disciplinano un nuovo ente destinato ad operare nell ambito sanitario. Tali disposizioni prevedono pertanto specifici interventi in materia di organizzazione sanitaria che esulano dal novero degli interventi ricompresi nel menzionato Piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario di cui all accordo del 17 dicembre 2009 stipulato tra il Presidente della regione Calabria e i Ministri della salute e dell economia e delle finanze. Esse pertanto si pongono in contrasto con le previsioni di detto Piano, nonchè con l attuazione dello stesso, realizzata attraverso il menzionato mandato commissariale del 30 luglio Inoltre l art. 1, comma 2, l art. 4, comma 1, e l art. 10, comma 2, demandano alla Giunta regionale compiti che interferiscono sulle funzioni attribuite al Commissario ad acta con il menzionato mandato commissariale del 30 luglio In particolare le disposizioni sopra menzionate, istituendo e regolamentando nuove strutture sanitarie (art. 1, comma 1, e art. 2) e attribuendo alla Giunta regionale il compito di determinare la sede del Centro (art. 1, comma 2), le funzioni del direttore generale e del Comitato di gestione (art. 4, comma 1), nonchè l adozione dei provvedimenti conseguenti al piano di programmazione predisposto dal Centro (art. 10, comma 2), menomano le attribuzioni commissariali di cui alla lett a), nn. 2, 6 e 9 del mandato commissariale, che assegnano al Commissario ad acta la realizzazione degli interventi riguardanti il riassetto della rete ospedaliera, gli interventi sulla spesa farmaceutica ospedaliera, e l attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali. Inoltre le disposizioni in esame si pongono in contrasto con i decreti n. 32 del 15 aprile e n. 85 del 4 agosto 2011, coni quali il Commissario ad acta, in attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, ha recepito per la regione Calabria l Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 recante i «requisiti minimi organizzativi, strutturali, e tecnologici delle attività sanitarie dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta e sul modello per le visite di verifica» (Obiettivo:G01.S01.). Con gli stessi decreti il Commissario ha inoltre dato mandato alla struttura amministrativa della Regione, il Dipartimento Tutela della salute, di porre in essere tutti gli adempimenti connessi al recepimento del menzionato accordo. Pertanto le disposizioni regionali in esame che istituiscono nuove strutture sanitarie e demandano alla Giunta regionale specifici interventi in materia di organizzazione sanitaria in costanza di Piano di rientro dal disavanzo sanitario, e quindi di stretta competenza del Commissario ad acta, sono incostituzionali sotto un duplice aspetto: interferiscono con le funzioni commissariali, in violazione dell art. 120, secondo comma, Cost. Al riguardo la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 78 del 2011, richiamando i principi già espressi nella sentenza n. 2 del 2010, ha precisato che anche qualora non sia ravvisabile un diretto contrasto con i poteri del commissario, ma ricorra comunque una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, tale situazione è idonea ad integrare la violazione dell art. 120, secondo comma, Cost. Secondo tale sentenza in particolare «l operato del commissario ad acta, incaricato dell attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il carattere vincolante (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007») dell accordo concluso dal Presidente della Regione - ad un attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. È, dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute - a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del commissario, ovviamente fino all esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali» 100

117 le stesse disposizioni, inoltre, prevedendo interventi in materia di organizzazione sanitaria non contemplati nel piano di rientro, si pongono in contrasto con i principi fondamentali diretti al contenimento della spesa pubblica sanitaria di cui all art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, secondo i quali gli interventi previsti nell Accordo e nel relativo Piano «sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro». La disposizione regionale in esame pertanto viola l art. 117, terzo comma Cost., in quanto contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La Corte Costituzionale con le sentenze n. 100 e n. 141 del 2010 ha infatti ritenuto che le norme statali (quale l art. 1, comma 796, lett. b, della legge n. 296 del 2006) che hanno reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione «necessari per il perseguimento dell equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311», possono essere qualificate come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. In particolare con la sentenza n. 141 del 2010 la Consulta ha giudicato incostituzionale la l. r. Lazio n. 9 del 2009, che istituiva nell ambito del Servizio Sanitario Nazionale un nuovo tipo di distretti sociosanitari, definiti «montani» (con rispettivi ospedali, servizio di eliambulanza, e possibilità di derogare alla normativa in materia di organizzazione del servizio sanitario regionale e di contenimento della spesa pubblica) in quanto «l autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa». 2) L art. 5, che istituisce la Commissione regionale per le attività trasfusionali, non è in linea con l art. 29 del di n. 223/2006 (convertito in legge n. 248/2006) e con l art. 68 del d.l. n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008), che ne conferma l indirizzo e le finalità, secondo i quali le strutture di supporto devono essere limitate a quelle strettamente indispensabili al funzionamento degli organismi istituzionali. Di conseguenza l articolo in esame si pone in contrasto con l art. 117, terzo comma Cost., con riferimento al richiamato principio di coordinamento della finanza pubblica. Tale interpretazione della menzionata normativa statale, anche nei confronti delle regioni, trova riscontro nella sentenza della Corte Costituzionale n. 267 del ) L art. 13, recante le norme finanziarie, è censurabile sotto un duplice profilo: il comma 1, nel quantificare in euro gli oneri finanziari derivanti della legge in esame per l anno 2011, indica una somma incongrua, considerato che il Centro dovrà sostenere, oltre alle spese per i relativi organi, anche quelle del personale da assegnare al Centro medesimo (al quale peraltro la legge in esame non fa alcun riferimento) e quelle di funzionamento. Inoltre il comma 2, riguardante gli oneri finanziari per gli anni successivi al 2011, non ne quantifica l ammontare, né specifica i relativi mezzi di copertura. Entrambi i commi risultano pertanto privi di copertura finanziaria, in contrasto con l art. 81 Cost. - L articolo 13 inoltre introduce una maggiore spesa del SSN, non prevista nel Piano di rientro di cui all accordo del 17 dicembre 2009 tra il Presidente della regione Calabria e i Ministri della salute e dell economia e delle finanze. Esso pertanto si pone in contrasto con le previsioni di detto Piano, nonchè con l attuazione dello stesso, realizzata attraverso il menzionato mandato commissariale del 30 luglio 2010, ed è pertanto incostituzionale per gli stessi motivi sposti sub 1) nei confronti dell art. 1, dell art. 2, dell art. 4, comma 1, e dell art. 10, comma 2. Codesta Corte ha esaminato la questione di legittimità costituzionale nella udienza dello scorso 3 mele Illegittimità dell art. 1, comma 1 della L.R. n Ciò premesso, la legge regionale n. 6 del 2011, in esame, presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all art. 1, comma 1, che, nel modificare l art. 14, comma 1, della sopra descritta legge regionale n. 24 del 2011 (riguardante in particolare l entrata in vigore della legge stessa), ha disposto che l efficacia di quest ultima «è sospesa in attesa dell attuazione del piano di rientro». Infatti la previsione della mera sospensione delle disposizioni impugnate, disposta dall art. 1, comma 1, postula logicamente la vigenza delle norme sospese le quali non cessano, solo in grazia della sospensione dell efficacia, di essere incostituzionali in quanto tali. Tanto più se si pensa che l art. 1, comma 1, disponendo la sospensione per il solo periodo di attuazione del piano di rientro, limita significativamente la sospensione delle disposizioni impugnate sotto il profilo temporale. Così disponendo tale norma regionale sostanzialmente stabilizza, per i periodi in cui non opera la sospensione, gli effetti delle disposizioni impugnate, confermando in tal modo la loro illegittimità costituzionale e violando i principi costituzionali già invocati nella relazione del Ministro per i rapporti con le regioni allegata alla relativa delibera di impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale del Consiglio dei Ministri dell 8 settembre 2011, i cui motivi, ai quali ci si riporta, sono stati integralmente trascritti al punto II. 101

118 Inoltre la disposizione regionale in esame, nel limitarsi a «sospendere l efficacia» della predetta legge regionale n. 24/2011, contrasta anche sotto altro profilo con il citato art. 2, commi 80 e 95, della legge n.191/2009, che impone alle regioni di «rimuovere» i provvedimenti, anche legislativi, che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e, conseguentemente, viola gli articoli 117, comma 3, e 120 della Costituzione in quanto si pone in contrasto con i citati principi della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, e interferisce con le funzioni del Commissario ad acta volte all attuazione del Piano di rientro. Essa contrasta altresì con l art. 81 Cost. in quanto, nel momento in cui dovesse essere attuato il Piano di rientro, la legge regionale n. 24 del 2011 riacquisterebbe piena efficacia, ivi incluse le disposizioni prive di copertura finanziaria. La disposizione contenuta nell art. 1, comma 1, della legge in esame, peraltro, prevedendo contestualmente la sospensione delle disposizioni impugnate e la cessazione di detta sospensione, lede anche il principio di ragionevolezza, di cui all art. 97 Cost. Essa, infatti, implica che norme con un determinato contenuto, deciso nell ambito di un dato contesto amministrativo e organizzativo, riprendano a produrre i propri effetti in un contesto del tutto diverso, senza verificare la coerenza dei relativi contenuti con il mutato assetto nel frattempo determinatosi. Ciò potrebbe provocare conseguenze negative sia sotto il profilo della tenuta dell equilibrio finanziario eventualmente (e faticosamente) raggiunto grazie all esercizio del potere sostitutivo e all attuazione del piano di rientro, sia sotto quello dell aderenza delle «vecchie» misure - delle quali riprenderebbe la decorrenza degli effetti una volta cessata la sospensione - alla nuova realtà amministrativa e organizzativa nel frattempo prodottasi, senza alcuna verifica di congruità e coerenza. Si configura, pertanto, la non improbabile possibilità di determinare sovrapposizioni di strutture, competenze e procedure in grado anche di inficiare la qualità delle prestazioni erogate, arrecando un danno alla salute dei cittadini. Ciò appare particolarmente evidente nella fattispecie in esame in cui il Commissario ad acta, nell esercizio delle competenze di cui al relativo mandato commissariale, è già intervenuto nell ambito del settore relativo ai servizi trasfusionali, recependo il citato accordo del 16 dicembre 2010 stipulato, in materia, in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il contrasto della disposizione in esame con il principio di ragionevolezza appare pertanto evidente considerando le conseguenze che potrebbero determinarsi nel momento in cui la legge regionale n. 24/2011, impugnata dai Governo e poi «sospesa» dalla Regione, dovesse riprendere a produrre i propri effetti dopo l attuazione del piano di rientro e, quindi, dopo l adozione, da parte del Commissario, dei provvedimenti incidenti sulla medesima materia. Per i motivi esposti si ritiene che l art. 1, comma 1, della legge in esame debba essere impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale. Per i suddetti motivi, si ritiene di proporre questione di legittimità costituzionale ai sensi dell art.127 della Costituzione. P.Q.M. Si chiede che codesta Ecc.ma Corte Costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimo, e conseguentemente annullare, per i motivi sopra specificati l art. 1, comma 1. Legge Regione Calabria n. 6 del 3 febbraio 2012, pubblicata nel B.U.R. n. 2 del 10 febbraio 2012, che apporta, «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 18 luglio 2011, n. 24, recante Istituzione del Centro Regionale Sangue», così come da delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministeri in data 3 aprile Con l originale notificato del ricorso si depositeranno: 1. estratto della delibera del Consiglio dei Ministri 3 aprile 2012; 2. copia della legge regionale impugnata; 3. rapporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento degli Affari Regionali. Con ogni salvezza. Roma, addì 6 aprile 2012 Rago 12C

119 N. 70 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 18 aprile 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio - Ricorso del Governo - Denunciata violazione da parte dell intera disciplina della legge regionale della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, intero testo. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della conservazione, gestione e valorizzazione del demanio e del patrimonio generale e dei contratti di acquisizione dei beni - Previsione che la Giunta regionale, con apposito regolamento, stabilisce la disciplina esecutiva ed attuativa della legge censurata - Previsione che i beni di proprietà della Regione, disciplinati dalla legge censurata, costituiscono il demanio ed il patrimonio della Regione ai sensi degli artt. 822 e ss. e delle altre leggi vigenti in materia - Previsione che il regime giuridico dei beni del demanio e del patrimonio regionale si applica anche ai diritti demaniali su beni altrui ed ai diritti reali della Regione su beni appartenenti ad altri soggetti ai sensi dell art. 825 c.c. - Disciplina della classificazione dei beni e delle variazioni della stessa - Prevista destinazione dei beni demaniali e patrimoniali - Disciplina dell amministrazione e gestione dei beni demaniali e patrimoniali - Disciplina delle funzioni dominicali sul demanio marittimo - Disciplina delle funzioni in materia di demanio idrico - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, artt. 1, 4, 5, 6, 8, 16 e 17. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Previsione che i beni appartenenti al demanio marittimo possano essere assegnati in consegna ai sensi dell art. 34 del codice della navigazione e 36 del regolamento per la navigazione marittima a comuni, province ed enti del settore regionale allargato per usi di pubblico interesse - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di modalità di esercizio ed uso diretto del demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 7, comma 3. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Elencazione dei beni appartenenti al demanio regionale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di demanio marittimo. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 11, lett. c). Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della tutela in via amministrativa dei beni del demanio regionale - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 14. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Previsione anche per i beni del demanio marittimo che la cessazione della demanialità (sclassificazione), può avvenire oltreché per effetto di provvedimento, anche per conseguenza di fenomeni naturali, di sviluppi tecnici o vicende storiche che facciano perdere ai beni i requisiti della demanialità - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 15, comma 3. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Demanio idrico - Previsione che la sdemanializzazione di beni appartenenti al demanio idrico avvenga mediante provvedimento adottato dalla Giunta regionale, previo parere della competente provincia - Ricorso del Governo - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell ambiente. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 15, comma 2. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. s), e terzo. 103

120 Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina della custodia e della gestione temporanea delle acque minerali - Previsione che il dirigente in materia di demanio e patrimonio può affidare, in via temporanea e precaria la custodia e la gestione dei beni e delle relative pertinenze al richiedente, qualora sia presentata un unica istanza di concessione ovvero, in caso di più istanze, ad uno dei richiedenti che offra adeguate garanzie tecniche ed economiche, sulla base di criteri di individuazione in apposito regolamento attuativo della legge - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con la normativa statale (d.p.r. n. 296/2005) che disciplina la durata della concessione e locazione - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell ambiente e della concorrenza. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 26. Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e) e s), e terzo. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina dei casi in cui si procede a trattativa prevista per l alienazione di beni immobili regionali - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con la normativa statale (legge n. 783/1908) che prevede i casi in cui la vendita può avvenire mediante trattativa privata - Denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela della concorrenza. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 38, comma 5. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e). Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Liguria - Disciplina dell uso dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili - Previsione che le norme in materia di sub-concessione saranno determinate da apposito regolamento attuativo della legge - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con il d.p.r. n. 296/2005 recante il regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato, che vieta la sub-concessione totale o parziale e stabilisce la decadenza immediata dalla concessione in caso di violazione del divieto stesso - Denunciata violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, art. 47. Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l), e terzo. Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F ) in carica, rappresentato e difeso dall Avvocatura Generale dello Stato (C.F ) per il ricevimento degli atti, FAX e PEC ags_m2@ mailcertavvocaturastato.it, presso i cui Uffici ha legale domicilio in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; Contro la Regione Liguria, in persona del Presidente della Giunta in carica, con sede in Genova; Per la declaratoria di incostituzionalità e conseguente annullamento della legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012, n. 2, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Liguria - parte prima - n. 1 del giorno 15 febbraio 2012, recante la «Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio» e, in particolare, degli articoli 1, 4, 5, 6, 16 e 17; dell articolo 7, comma 3; dell articolo 8; dell articolo 11, lett. c) ; dell articolo 14; dell articolo 15, comma 3: tutti per violazione dell articolo 117, della Costituzione. Inoltre, dell articolo 15, comma 2), per violazione dell articolo 117, secondo comma, lett. e) ed i), e terzo comma, Cost.; dell articolo 38, comma 5, lett. a) e c), per violazione dell articolo 117, secondo comma, lett. 1), e terzo comma, a seguito della determinazione del Consiglio dei ministri di impugnativa della predetta legge regionale, assunta nella seduta del 6 aprile l. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Liguria - parte prima - del giorno 15 febbraio 2012, risulta pubblicata la legge 7 febbraio 2012, n. 2, recante la «Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio». Tale legge regionale è composta da nove titoli. Il titolo I, riguarda la finalità e l ambito di applicazione della legge; il titolo II, le disposizioni generali; il titolo III, il demanio; il titolo IV, il patrimonio disponibile e indisponibile; il titolo V, le scritture patrimoniali; il titolo VI, l acquisizione dei beni; il titolo VII, le alienazioni, le permute e le valorizzazioni; il titolo VIII, le concessioni e le locazioni; il titolo IX, le disposizioni finali e transitorie. 2. La lettura delle numerose norme impugnate, che sono disseminate in tutti i titoli della stessa, (ad eccezione di quello riguardante le disposizioni transitorie e finali), permette agevolmente di rilevare che la legge n. 2/2012 della Regione Liguria, già considerata nella sua impostazione sistematica viola l articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, perché interviene nella materia del demanio e del patrimonio, ossia in una materia riguardante l ordinamento civile, riservata in via esclusiva allo Stato. 104

121 La dedotta illegittimità costituzionale della legge regionale trova conforto nella circostanza che, come codesta Corte Costituzionale ha più volte avuto modo di precisare, la titolarità di funzioni legislative e amministrative della Regione relativa all utilizzazione di determinati beni non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario; inoltre, la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell ordinamento civile e, pertanto, è materia di competenza esclusiva dello Stato (sentenze n. 370, n. 102 e n. 94 del 2008; n. 286 del 2004; n. 343 del 1995). Con particolare riferimento al demanio marittimo, già codesta Corte ha posto in evidenza che le prerogative dello Stato precedono logicamente la ripartizione delle competenze ed ineriscono alla capacità giuridica dell ente, secondo i principi dell ordinamento civile (sentenza n. 427 del 2004): pertanto, la competenza regionale in materia deve arrestarsi di fronte a quella dello Stato. 3. Fermo restando quanto sopra evidenziato con riferimento all intera legge regionale, occorre altresì rilevare che sussiste la violazione dell articolo 117 della Costituzione da parte delle numerose sue specifiche disposizioni indicate in epigrafe. A tal fine, giova fare innanzitutto presente che l articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, recante norme sull ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione, delegava al governo l emanazione di uno o più decreti diretti a: «a) a completare il trasferimento delle funzioni amministrative, considerate per settori organici, inerenti alle materie indicate nell articolo 117 della Costituzione...; b) a trasferire le funzioni inerenti alle materie indicate nell articolo 117 della Costituzione...; c) a delegare, a norma dell articolo 118, secondo comma, della Costituzione, le funzioni amministrative necessarie per rendere possibile...; d)... (Omissis )...; e) ad attribuire alle province, ai comuni e alle comunità montane ai sensi dell articolo 118, primo comma della Costituzione, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate dall articolo 117 della Costituzione...». Successivamente, l articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante l attuazione della delega di cui all art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, disponeva il trasferimento e conferiva le deleghe delle funzioni amministrative dello Stato alle regioni. L articolo 59 dello stesso D.P.R. in materia di demanio marittimo stabiliva, inoltre, che «sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale...». Dall esame delle citate disposizioni emerge chiaramente la separazione tra le funzioni che sono state delegate alle Regioni, le quali hanno natura amministrativa e le competenze spettanti allo Stato, le quali riguardano la proprietà dei beni, indipendentemente dalla loro utilizzazione. L indicata separazione risulta tuttora vigente anche in presenza dell articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, (recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio), il quale prevede il trasferimento alle Regioni dei beni del demanio marittimo. Il trasferimento di tali beni, infatti, è subordinato all emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri: ma questi non sono stati ancora emanati. Le disposizioni contenute nella legge n. 382/1975 e nel D.P.R. n. 616/1977, permettono quindi di comprendere che le impugnate disposizioni della legge della Regione Liguria, disciplinando in attesa del perfezionamento del descritto iter normativo di attribuzione alle Regioni di un proprio patrimonio demaniale la proprietà di beni non ancora trasferiti alla Regione, si pongono in contrasto con l ordinamento giuridico nazionale. Sussiste,pertanto la violazione dell articolo 117, secondo comma, lett. 1), della Costituzione, da pare dei numerosi articoli della legge regionale in esame. Precisamente, risultano illegittimi, per violazione dell appena indicata disposizione costituzionale, gli articoli 1, 4, 5, 6, 16 e 17, nelle parti in cui la Regione Liguria disciplina aspetti dominicali del demanio, così esorbitando dalle sue competenze, che sono limitate alla gestione amministrativa dei beni, alla stregua di quanto stabilito dalla legge n. 382/1975, dal D.P.R. n. 616/1977 e del decreto legislativo n. 85/2010. Per le medesime già evidenziate ragioni, violano l articolo 117, secondo comma, lett. l), anche: l articolo 7, comma, 3 riguardante l istituto della consegna il quale, ai sensi degli articoli 34 del Codice della navigazione e 36 del relativo regolamento, attiene ad aspetti afferenti alla dominicalità del demanio marittimo, essendo relativo a modalità di esercizio dell uso diretto da parte dello Stato, nella qualità di proprietario. Rientra dunque nell esclusiva competenza dello Stato, ed in particolare dell Amministrazione marittima centrale, la possibilità di emanare tale atto; 105

122 l articolo 11, con riferimento ai beni demaniali marittimi. Infatti l elencazione di tali beni contemplati nell impugnato articolo non tiene conto del fatto che, ai sensi dell articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 85 del 2010, sono esclusi dal trasferimento in proprietà agli enti territoriali le seguenti categorie di beni, che rimangono in proprietà dello Stato: a) immobili demaniali marittimi in uso, per comprovate ed effettive finalità istituzionali, a tutte le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo ed alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300, e successive modificazioni; b) porti di rilevanza economica nazionale ed internazionale; c) demanio marittimo rientrante all interno dei parchi nazionali e riserve naturali statali; d) demanio marittimo ove insistono strade ferrate in uso i proprietà dello Stato; e) demanio marittimo ove insistono reti stradali di interesse statale e demanio marittimo appartenente al patrimonio culturale; demanio marittimo c.d. energetico di interesse nazionale, secondo quanto già chiarito con pregresse istruzioni; g) demanio marittimo costituente la dotazione della Presidenza della Repubblica, nonché il demanio marittimo in uso, a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Corte Costituzionale, nonché agli organi di rilevanza costituzionale; l articolo 14, in relazione al cosiddetto potere di autotutela amministrativa di cui la Regione si dichiara titolare in virtù del principio di dominicalità: questo, infatti, costituirebbe oggetto di contestazione, in quanto costituzionalmente illegittimo per le ragioni indicate in precedenza; l articolo 15, comma 3, che attiene all istituto della sclassifica, prevista dall articolo 35 del codice della navigazione. Al riguardo, si rileva che lo stesso introduce altresì il cosiddetto istituto della sclassifica tacita e implicita. Si consente, infatti, a differenza di quanto stabilito nell ordinamento vigente, alla stregua anche dei principi costituzionali vigenti in materia di proprietà pubblica, che il transito dei beni demaniali marittimi in altro patrimonio possa avvenire con procedure diverse da quelle previste dall articolo 35 del codice della navigazione. 4. Ulteriori profili di illegittimità costituzionale, per violazione degli articoli 117, secondo comma, lett. e) ed s), e 117, terzo comma, della Costituzione riguardano le seguenti norme: l art. 15, comma 2, dispone che la sdemanializzazione dei beni del demanio idrico avvenga mediante provvedimento adottato dalla Giunta regionale, previo parere della competente provincia, ai sensi dell articolo 92, comma 1, lett. n), della legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (recante l adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia) e successive modificazioni e integrazioni. Tale disposizione, nel prevedere la sdemanializzazione dei beni asserviti al servizio idrico integrato, si pone in contrasto con quanto disposto dal decreto legislativo n. 152/2006 (norme in materia ambientale) che al comma 1 dell articolo 143, concernente le dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato, prevede che «1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge». Pertanto, la norma in esame, nel permettere la sdemanializzazione di beni non consentita dalla normativa statale, viola l articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, che riserva in via esclusiva allo Stato la materia della tutela dell ambiente; l articolo 26 disciplina la custodia e la gestione temporanea delle acque minerali, stabilendo che il dirigente in materia di demanio e patrimonio «può affidare, in via temporanea e precaria, la custodia e la gestione dei beni e delle relative pertinenze» al richiedente, qualora sia presentata un unica istanza di concessione ovvero, in caso di più istanze, a uno dei richiedenti che offra adeguate garanzie tecniche ed economiche, sulla base dei criteri che saranno individuati in un apposito regolamento attuativo della legge. La disposizione in esame non specifica le modalità di affidamento della gestione delle acque minerali e non prevede una durata massima dell affidamento: essa, pertanto, contrasta con il decreto del Presidente della Repubblica n. 296/2005 recante il «Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato». Questo, infatti al comma 3 dell articolo 4, concernente le condizioni delle concessioni e delle locazioni, dispone che «la durata della concessione e della locazione è stabilita in anni sei. Può essere stabilito un termine superiore ai sei anni, e comunque non eccedente i diciannove...». Pertanto, la norma in esame, nella parte in cui prevede un generico affidamento temporaneo, senza specificazioni in merito alle modalità di affidamento ed alla relativa durata, viola l articolo 117, secondo comma, lett. e) e s) della Costituzione, che riservano allo Stato la materia della tutela della concorrenza e dell ambiente, nonché l articolo 117, terzo comma, della Costituzione, il quale riserva allo Stato i principi di governo del territorio; 106

123 l articolo 38, comma 5, disciplina i casi in cui si procede all alienazione dei beni immobili regionali mediante trattativa privata con un unico interlocutore. In particolare le fattispecie individuate dalle lett. a) e c) del suddetto comma 5, le quali prevedono la vendita a un soggetto privato che opera senza fini di lucro o a soggetti che possono far valere un diritto di prelazione, contrastano con l articolo 3, comma 1, della legge n. 783/1908 recante «unificazione dei sistemi di alienazione e di amministrazione dei beni immobili patrimoniali dello Stato». Tale legge, infatti, dispone che «la vendita dei beni si fa mediante pubblici incanti sulla base del valore di stima, previe le pubblicazioni, affissioni ed inserzioni da ordinarsi dall Amministrazione demaniale in conformità del regolamento per la esecuzione della presente legge». La disposizione in esame, inoltre, contrasta con le disposizioni contenute nel regolamento attuativo della suddetta legge n. 783/1908, approvato con regio decreto n. 454/1909, il quale disciplina i casi in cui la vendita può avvenire mediante trattativa privata. Pertanto la norma in esame, nel derogare alle disposizioni statali in materia di alienazione dei beni immobili dello Stato, viola l articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, il quale riserva allo Stato la materia della tutela della concorrenza; l articolo 47 concernente l uso particolare dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili, stabilisce, al comma 9, che le norme in materia di sub concessione saranno determinate dall apposito regolamento attuativo della legge. Tale disposizione contrasta con il decreto del Presidente della Repubblica n. 296/2005, recante il «regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato», Infatti, il comma 3 dell articolo 5, riguardante la decadenza e la revoca della concessione, dispone che «la sub-concessione del bene, totale o parziale, è vietata e la violazione di detto divieto comporta la decadenza immediata dalla concessione». Pertanto la norma in esame, nella parte in cui prevede l istituto della sub-concessione viola sia l articolo 117, secondo comma, lett. 1), della Costituzione che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, sia l articolo 117, terzo comma, della Costituzione. In definitiva, l intera legge regionale e le specifiche norme impugnate, intervenendo su materie di competenza dello Stato e non rispettando la normativa statale, che fissa uniformi criteri di tutela validi per l intero territorio nazionale, violano la Costituzione, e precisamente l articolo 117, secondo comma, lett. e), l) ed s) nonché il terzo comma. Esse meritano, dunque, di essere annullate. P.Q.M. Chiede che codesta Corte Costituzionale voglia dichiarare l incostituzionalità e quindi annullare la legge della Regione Liguria n. 2 del giorno 7 febbraio 2012, e in particolare gli articoli 1, 4, 5, 6, 16 e 17; l articolo 7, comma 3; 1 articolo 8; l articolo 11, lett. c) ; l articolo 14; l articolo 15, comma 3. Si depositeranno con l originale notificato del presente ricorso: 1. estratto della deliberazione del Consiglio dei ministri adottata in data 6 aprile 2012 e della relazione allegata al verbale; 2. copia della impugnata legge regionale della Regione Liguria n. 2/2012. Roma, addì 11 aprile 2012 L Avvocato dello Stato: ARENA 12C

124 N. 5 Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 4 maggio 2012 (della Regione Campania) Ambiente - Smaltimento dei rifiuti - Termovalorizzatore di Acerra - Trasferimento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della proprietà dell impianto alla Regione Campania, al prezzo complessivo di euro , 84, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/ Conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla Regione Campania - Denunciata violazione delle competenze in materia di gestione dello smaltimento dei rifiuti - Lesione dell autonomia negoziale e contrattuale della Regione (coartata all acquisto e ad esercitare un attività di tipo economico imprenditoriale) - Violazione dell autonomia finanziaria regionale (per il mutamento unilaterale da parte del Governo della destinazione di risorse già impegnate ad altri scopi dalla Regione) - Violazione del principio di leale collaborazione (per la mancata paritaria codeterminazione del contenuto dell atto oggetto del conflitto) - Erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione delle disposizioni legislative presupposte - Richiesta di dichiarare la non spettanza allo Stato del potere esercitato e di annullare l atto impugnato - Istanza di sospensione cautelare immediata dei relativi effetti. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio Costituzione, artt. 3, 5, 41 (primo comma), 97, 114, 117, 118, 119 e 120; [legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 40]. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti - Termovalorizzatore di Acerra - Trasferimento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della proprietà dell impianto alla Regione Campania - Conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla medesima Regione - Eccepita incostituzionalità delle disposizioni legislative sottostanti al decreto impugnato, ove interpretate nel senso che obbligano la Regione Campania, anche in assenza di sua intesa, ad acquistare la proprietà del termovalorizzatore di Acerra entro il termine del 31 gennaio Dedotto contrasto con i principi di ragionevolezza, buon andamento dell amministrazione e leale collaborazione - Richiesta alla Corte costituzionale di autorimessione di questione incidentale. Decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 2010, n. 26, art. 7, comma 1; decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 61, comma 3; decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14, art. 5, comma 1. Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, 118, 119 e 120. Ricorso della Regione Campania, (c.f ), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi delle delibere della Giunta regionale n. 44 del 22 febbraio 2012 e n. 89 del 6 marzo 2012, giusta procura a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall Avv. Maria D Elia (c.f. DLEMRA53H42F839H), dell Avvocatura regionale, i nonché dal Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto (c.f. RVBMN54D19H501A) e dall Avv. Gaetano Pedino (PLNGTN55A22B644S), del libero foro, ed elettivamente domiciliata presso l Ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla Via Poti, n. 29 (fax: 06/ ; pec abilitata: cdta@legalmail.it) Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella persona del Presidente pro tempore, Per l annullamento, previa sospensione cautelare dell efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 2012 con il quale è stato deliberato il trasferimento alla Regione Campania della proprietà del termovalorizzatore sito in località Pantano del Comune di Acerra per il prezzo complessivo di Euro ,84, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013. F ATTO 1. Con DPCM adottato con delibera del 16 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha stabilito che la proprietà del termovalorizzatore sito in località Pantano, nel comune di Acerra, e del relativo compendio immobiliare è trasferita dalla società proprietaria dell impianto alla Regione Campania al prezzo complessivo di euro ,84 con oneri coperti a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013 relative al programma attuativo regionale per l acquisto del termovalorizzatore di Acerra, che presenta la necessaria disponibilità, oltre che con eventuali contributi da riconoscere alla Regione Campania in dipendenza del trasferimento. 108

125 Il provvedimento fa seguito al d.l. n. 90 del 2008, con il quale il Governo ha provveduto alla messa in esercizio dell impianto di Acerra. In particolare, l art. 5, commi 1 e 2, del richiamato d.l. n. 90 del 2008 sull emergenza rifiuti in Campania, convertito dalla legge n. 123 del 2008, ha autorizzato il conferimento ed il trattamento di determinate categorie di rifiuti (tra cui le cosiddette ecoballe ) presso il termovalorizzatore di Acerra, per un quantitativo massimo di tonnellate annue, in deroga al parere della Commissione di valutazione di impatto ambientale in data 9 febbraio 2005, fatte comunque salve le indicazioni a tutela dell ambiente e quelle concernenti le implementazioni impiantistiche migliorative contenute nel predetto parere, nonché i limiti alle emissioni ivi stabiliti. Il comma 2 del richiamato art. 5 ha quindi autorizzato l esercizio dell impianto di Acerra, tenuto conto del parere della Commissione di valutazione di impatto del febbraio 2005 e della consultazione esperita con la popolazione interessata. L avvio dell impianto è stato disposto ai sensi dell articolo 5 del decreto legislativo 18 febbraio 2005 n. 59 (recante Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell inquinamento ), concernente la procedura di rilascio dell Autorizzazione integrata ambientale ai fini dell esercizio di nuovi impianti. Le disposizioni dell art. 5 hanno trovato attuazione con l ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n del 5 marzo 2009 che, considerato il ruolo determinante dell impianto per il superamento dell emergenza, ne ha disposto l avviamento e l esercizio provvisorio. Nel novembre 2008, mediante procedura negoziata, la struttura del Sottosegretario di Stato per la Protezione civile ha affidato alla società lombarda A2A S.p.A. la gestione dell impianto di Acerra, integrata con quella dell impianto di selezione e trattamento di Caivano. Il successivo d.l. n. 195 del 2009, in particolare l art. 7, comma 1, ha previsto che Entro il 31 dicembre 2011 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è trasferita la proprietà del termovalorizzatore di Acerra alla regione Campania, previa intesa con la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della protezione civile o a soggetto privato. L art. 7, comma 2, del d.l. n. 195 del 2009, ha inoltre stabilito che le risorse finanziarie necessarie per l acquisizione dell impianto sarebbero state prelevate anche a valere sulle risorse del Fondo aree sottosviluppate, per la quota nazionale o regionale. Il termine del 31 dicembre 2011, entro il quale sarebbe dovuto avvenire il trasferimento della proprietà dalla attuale proprietà (società FIRE SPA) alta Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero alla Regione Campania, previa intesa con la stessa, ovverosia ad altri enti pubblici o privati è stato poi prorogato al 31 gennaio 2012 dal d.l. n. 216 del Con il d.p.c.m. del 16 febbraio 2012 oggetto dell odierno conflitto di attribuzioni il Governo ha unilateralmente disposto il trasferimento della proprietà dell impianto in questione alla Regione Campania, in asserita applicazione dell art. 61, comma 3 del d.l. n. 5 del 2012, (convertito con legge n. 35 del 2012). Tale ultima norma prevede che Fatta salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni, in caso di mancato raggiungimento dell intesa richiesta con una o più Regioni per l adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il Consiglio dei Ministri, ove ricorrano gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all Erario può, nel rispetto del principio di leale collaborazione, deliberare motivatamente l atto medesimo, anche senza l assenso delle Regioni Interessate, nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la sua adozione da parte dell organo competente. Qualora nel medesimo termine è comunque raggiunta l intesa, il Consiglio dei Ministri delibera l atto motivando con esclusivo riguardo alla permanenza dell interesse pubblico. Il Governo ha disposto il trasferimento forzoso della proprietà dell impianto di Acerra alla Regione Campania, in falsa applicazione del menzionato art. 61, comma 3, del d.l. n. 5 del 2012, sostenendo che la Regione Campania non avrebbe lealmente collaborato nella fase di ricerca dell intesa prevista dalla legge. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e la relativa nota oggetto del presente conflitto invadono la sfera di competenza costituzionale della Regione Campania e sono stati emanati in violazione degli artt. 3, 5, 41, 114, 117, 118, 119 Cost. e dei principi di buon andamento dell amministrazione (97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.). Sono illegittimi e devono pertanto essere annullati, previa sospensione dell efficacia, per i seguenti motivi di 109

126 D IRITTO 1. Contrasto con gli artt. 114, 117, 118 e 41 Cost., anche per violazione delle competenze in materia di gestione dello smaltimento dei rifiuti, nonché per violazione dell autonomia negoziale della Regione Campania, obbligata alla conclusione del contratto di acquisto del termovalorizzatore di Acerra Il d.p.c.m. del 16 febbraio 2012 dispone il trasferimento della proprietà dell impianto per il trattamento dei rifiuti sul falso ed illegittimo presupposto che la Regione Campania in ragione dell ubicazione del predetto impianto e del suo asservimento al ciclo di smaltimento dei rifiuti in relazione ad un ampio territorio coincidente con più province della Campania, appare l unico soggetto istituzionale idoneo ad assumerne la proprietà, come si legge al primo considerato, pag. 5, dell atto impugnato. In disparte le eccezioni, che verranno di seguito svolte circa il gravissimo difetto di istruttoria, relativo alla mancata valutazione della possibilità di assegnare la proprietà dell impianto a soggetti diversi dalla Regione, come espressamente previsto dall art. 7, comma 1, del d.l. n. 195 del 2009, del tutto arbitrario appare il presupposto relativo all asserita idoneità esclusiva dell Ente regione all assunzione della proprietà del termovalorizzatore. È noto, infatti, che per quanto attiene alla disciplina della gestione dei rifiuti alle Regioni spettano i compiti attributi dall art. 196 del d.lgs. n. 152 del 2006, che si possono sintetizzare nella predisposizione, adozione e aggiornamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti, nella promozione della gestione integrata dei rifiuti e nell incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti e al recupero degli stessi. Gli unici compiti affidati allo Stato sono quelli di predeterminazione dei criteri generali e delle linee guida, in ragione della evidente connessione delle tematiche legate alla gestione dei rifiuti con la tutela dell ambiente (sentenze n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007). Ma è del tutto evidente come non possa rimanerne travolta la competenza delle Regioni: infatti, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell ambiente, vengono in rilievo altre materie, per cui la competenza statale certamente non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato. Esemplare della salvaguardia delle competenze Regionali è, ad esempio, la rivisitazione delle competenze che è stata operata dalla Corte con la sentenza 24 luglio 2009, n. 249, attraverso la limatura dell art. 199, comma 9 del d.lgs. n. 152/2006, eliminandone la parte che affidava allo Stato il potere sostitutivo di intervento, in violazione del principio di sussidiarietà ex art. 118 della Carta fondamentale. Sono state ricondotte sotto la competenza delle Regioni, altresì, la piena discrezionalità del Presidente della Giunta regionale per interventi in caso di inerzia nei sistemi di gestione dei rifiuti da parte dei soggetti incaricati (art. 204, comma 3 del d.lgs. n. 152/2006) e quella relativa alla individuazione dei maggiori obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti (art. 205, comma 6). In entrambi i casi la Corte ha rimosso i limiti che le norme statali ponevano all esercizio delle competenze regionali. Del resto, ben più orientate alla gestione, nonché all esercizio operativo degli impianti sono le competenze attribuite agli enti territoriali quali Autorità d ambito, Province e Comuni. Le Province, inoltre, in base all art. 197 del d.lgs. n. 152/2006, svolgono funzioni amministrative concernenti la programmazione e il controllo dello smaltimento e recupero a livello provinciale. I Comuni o le Comunità Montane effettuano la gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa in base all art. 198 del d.lgs. n. 152/2006. Con l.r. n. 4 del 2007, il legislatore regionale campano, nel rispetto dei principi stabiliti dalla disciplina nazionale, ha rimesso alle Province l organizzazione, l affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti (art. 8); allo stesso modo, ha disposto la valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali (art. 15). Rilevante è inoltre l art. 20, comma 3, ai sensi del quale La regione trasferisce alle province la titolarità dei propri beni, attrezzature ed impianti inerenti il ciclo dei rifiuti. Come appare pertanto evidente, la Regione, per un verso rimane l attore primario delle scelte attinenti agli obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti e sotto altro profilo non può certamente essere considerata come ente titolare di competenze operative in materia di gestione degli impianti di smaltimento. Né, tantomeno, la Regione è certamente portatrice di una posizione qualificata tale da renderla, immediatamente, l unico e il solo soggetto idoneo a farsi carico dell acquisto dell impianto. 110

127 In sostanza, con il d.p.c.m. del 16 febbraio 2012 lo Stato, in palese violazione delle competenze regionali, si sostituisce addirittura alla Regione e, con atto di imperio, le trasferisce la proprietà dell impianto imponendo altresì il pagamento del relativo corrispettivo, in totale assenza di qualunque volontà in tal senso espressa dalla Regione e formalizzata in un intesa. Tale scelta, del resto, appare irrimediabilmente contraddittoria anche con le azioni sinora poste in essere dal Governo in relazione al termovalorizzatore campano, la cui gestione è stata finora assegnata al Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ai sensi dell art. 1 del decreto-legge n. 90 del 2008, convertito in legge n. 123 del 2008, infatti, a tale Dipartimento era stata affidata in via generale la gestione commissariale dei rifiuti in Campania. A seguito di tale intervento normativo, in data 13 novembre 2008, il Sottosegretario di Stato ha concluso con la A2A S.p.A. un contratto per la prestazione del servizio di gestione dell impianto di termovalorizzazione di Acerra, il quale, pur di proprietà della società Fibe, è stato ritenuto espressamente infrastruttura di interesse strategico nazionale per la realizzazione del ciclo integrato finalizzato allo smaltimento ed al recupero energetico dei rifiuti. Con il decreto-legge n.195 del 2009, art. 7, comma 4, in previsione del trasferimento della proprietà del termovalorizzatore ad un soggetto pubblico o privato, è stato inoltre stabilito che nelle more di tale trasferimento, il Dipartimento della Protezione Civile a partire dal 1 gennaio 2010 mantiene la piena disponibilità, utilizzazione e godimento dell impianto ed è autorizzata a stipulare un contratto per l affitto dell impianto stesso, per una durata fino a quindici anni. Il successivo comma 5 ha sancito che al Dipartimento in parola, oltre alla piena disponibilità, utilizzazione e godimento dell impianto, spettano altresì i ricavi derivanti dalla vendita dell energia elettrica prodotta dall impianto. Ma vi è di più. Ad avvalorare ulteriormente le conclusioni appena espresse, si osservi che all interno del contratto di gestione dell impianto sussiste un apposita clausola di prelazione a favore della società concessionaria A2A S.p.A. nel caso di alienazione dell impianto stesso ( cfr. art. 23 del contratto). Una simile previsione dimostra come già alla data della stipulazione del suddetto contratto, la Protezione Civile, individuando nel soggetto privato concessionario il soggetto da preferire nel caso di vendita dell impianto e riconoscendo espressamente alla A2A un diritto di preferenza per l acquisto dello stesso, avesse in realtà disposto del considerato termovalorizzatore uti dominus. Ciò costituisce riprova evidente, per un verso, dell inesistenza di qualsivoglia ragione di opportunità e ancor meno di doverosità giuridica che circoscriva la valutazione di idoneità come soggetto acquirente alla sola Regione Campania e, di converso, dell opportunità di individuare nel Dipartimento della Protezione Civile il soggetto naturalmente privilegiato al quale trasferire la proprietà del termovalorizzatore di Acerra. Sotto un ulteriore profilo deve osservarsi che la gestione del ciclo integrato dei rifiuti Campania è affidata alle società provinciali. Ed infatti, l art. 6 del d.l. n. 90/2008 convertito in legge n. 123/2008 prevedeva che 1. Fatto salvo quanto previsto dall articolo 2 del decreto-legge 11 maggio 2007, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 2007, n. 87, deve essere realizzata una valutazione in ordine al valore dei seguenti impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, anche ai fini dell eventuale acquisizione a titolo oneroso da parte della stessa società affidataria del servizio di gestione dei rifiuti, che tenga conto dell effettiva funzionalità, della vetustà e dello stato di manutenzione degli stessi: Caivano (NA), Tufino (NA), Giugliano (NA), Santa Maria Capua Vetere (CE), Avellino - località Pianodardine, Battipaglia (SA) e Casalduni (BN), nonché del termovalorizzatore di Acerra (NA). Addirittura il successivo art. 6 -bis prevede che Art. 6 -bis 1. Allo scopo di favorire il rientro nelle competenze degli enti che vi sono ordinariamente preposti, è trasferita alle province della regione Campania la titolarità degli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, di cui all articolo 6, ubicati nei rispettivi ambiti territoriali (ma l art. 6 prevede anche il termovalorizzatore di Acerra). Orbene, l art. 7 del d.lgs. n. 195/2009 il quale prevede che entro il 31 gennaio 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è trasferita alla Regione Campania previa intesa con la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile o a soggetto privato non può che essere interpretato nel senso che lo Stato italiano ha scelto quale modalità di gestione del ciclo dei rifiuti la gestione su base Regionale e pertanto di intesa con la Regione. Solo dopo un ampia condivisione delle scelte poteva disporsi il trasferimento di proprietà del termovalorizzatore. Sulla base di ciò, la Regione Campania ha poi previsto che la gestione venisse affidata a società provinciali. 111

128 Non è da sottovalutare lo stesso tenore dell o.p.c.m. n del 2009 relativa alla costituzioni delle società provinciali la quale prevedeva che alle società provinciali fosse affidata la gestione delle discariche e dell impiantistica in proprietà della provincia e quella trasferita dalla regione e da altri enti, per lo stoccaggio, il trattamento, lo smaltimento, il recupero ed il riciclaggio dei rifiuti, situata sul territorio provinciale che le predette società provinciali subentrano nei rapporti attivi e passivi dei soggetti gestori degli impianti, ivi compresi quelli con il personale oggi impiegato nelle attività predette (art. 2, comma 2). Alla luce di quanto appena osservato, appare evidente come, sia in considerazione dell attività di gestione del termovalorizzatore dalla sua entrata in funzione, sia in considerazione dei beneficiari dei proventi derivanti dalla produzione di energia elettrica attraverso la combustione dei rifiuti, si sarebbe dovuto, semmai, optare per il Dipartimento della Protezione Civile quale soggetto deputato in via prioritaria ad assumere la proprietà del termovalorizzatore stesso. Tanto più che tale struttura amministrativa risultava esplicitamente ricompresa nel novero dei potenziali destinatari del trasferimento del cespite suddetto ex art. 7, comma 1, d.l. n. 195/ In secondo luogo, il d.p.c.m. 16 febbraio 2012 viola patentemente le prerogative costituzionali della Regione Campania garantite dall art. 41, comma 1, della Costituzione. a) Sotto un primo profilo, si palesa grave e profonda la lesione dell autonomia negoziale e contrattuale della Regione, che si vede conculcare la possibilità di autodeterminarsi in ordine alla conclusione di un negozio giuridico a contenuto patrimoniale avente ad oggetto l acquisto della proprietà di un bene immobile. Si tratta dell illegittima compressione di un diritto inviolabile garantito dalla Costituzione che, all art. 41, sancisce la libertà di iniziativa economica privata e, all art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo come singolo e nelle formazioni sociali, così ancorando la protezione di tale sfera di autonomia economica non solo in capo ai singoli ma in relazione a tutti i soggetti pubblici e privati. b) Inoltre, l acquisto coattivo disposto dal provvedimento impugnato si atteggia quale strumento di coartazione all esercizio di un attività di tipo economico imprenditoriale imposto dall alto, atteso che, secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, la gestione dei rifiuti si caratterizza anche per la propria evidente natura economica ed imprenditoriale. Ed infatti, Va, d altra parte, considerato che anche la specie rifiuto non è estranea al più ampio genere di bene commercialmente rilevante, essendo di comune esperienza il fatto che anche le operazioni di smaltimento dei rifiuti per conto terzi sono suscettibili di formare oggetto dello svolgimento di attività imprenditoriale. Del resto, già nella sentenza di questa Corte n. 335 del 2001 si è affermato che «anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto è pur sempre considerato un prodotto» (Corte cost., sentenza n. 244 del 2011). Orbene, a salvaguardia dei valori tutelati dall art. 41 Cost., anche quando l attività economica sia indissolubilmente connessa con l esercizio di servizi pubblici, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire che Non può dubitarsi che, anche nei casi di regolazione ex lege di un attività economica considerata quale pubblico servizio in ragione della sua diretta incidenza su bisogni o interessi della collettività, l attività cosi regolata possa e debba essere considerata come espressione del diritto di iniziativa economica garantito dall art. 41 della Costituzione. Ne discende che il limite costituito dallo stesso intervento normativo e dal suo concreto contenuto intanto appare compatibile con il secondo comma del detto art. 41 in quanto sia diretto a realizzare, oltre ovviamente alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica un utilità sociale (Corte cost., sentenza n. 548 del 1990). Proseguendo, nella medesima decisione, codesta ecc.ma Corte ha ritenuto che Ciò che conta è che, per un verso, l individuazione dell utilità sociale come dianzi motivata non appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano l individuata utilità sociale mediante misure palesemente incongrue, e per altro verso, e in ogni caso, che l intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l oggetto delle stesse scelte organizzative (Corte cost., sentenza n. 548 del 1990; cfr. anche sentt. n. 167 del 2009 e n. 152 del 2010). 2. Contrasto con l art. 119 Cost, per violazione dell autonomia finanziaria della Regione. Secondo quanto stabilito dal d.p.c.m. 16 febbraio 2012, agli oneri derivanti dal presente decreto si provvede a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013 relative al programma attuativo regionale per l acquisto del termovalorizzatore di Acerra, che presenta la necessaria disponibilità, oltre che con eventuali crediti a riconoscere alla Regione Campania in dipendenza del trasferimento. In totale spregio dell autonomia finanziaria regionale, viene prevista l utilizzazione di risorse assegnate alla Regione Campania e già destinata a spese per investimenti infrastrutturali degli enti locali, nonché per far fronte ad indifferibili emergenze in materia di edilizia sanitaria. 112

129 Valga qui osservare come già nella relazione del Servizio bilancio del Senato relativa al d.l. n. 195/09, in relazione all art. 7 è stato evidenziato come appare opportuno confermare che, in caso di trasferimento del termovalorizzatore ad un soggetto pubblico, il provvedimento normativo di individuazione delle risorse finanziarie necessarie sia antecedente all emanazione del d.p.c.m. di trasferimento della proprietà del medesimo. Ancora, si evidenzia che il riferimento del comma 2 alla possibile copertura finanziaria tramite l utilizzo delle risorse del fondo aree sottoutilizzate (FAS) non costituisce alcun vincolo sulle attuali risorse e non costituisce alcuna garanzia che tali risorse possano essere disponibili all emanazione del citato provvedimento normativo. Ed infatti, si tratta infatti di risorse già programmate fino all esaurimento della provvista indicata dal CIPE, nella delibera n 166/2007, come modificata dalla delibera n. 1/2009, anche in forza dei recenti accordi sottoscritti dalla Regione Campania con il Governo, recepiti dallo stesso CIPE in data 20 gennaio 2012 e dovendo la Regione far fronte ad indifferibili emergenze in materia di edilizia sanitaria La previsione appare fortemente lesiva dell autonomia finanziaria regionale, in aperta violazione dell art. 119 Cost. Il provvedimento impugnato scaturisce in seguito ad una serie di previsioni normative, anche di rango legislativo, approvate per far fronte ad una situazione di emergenza di natura calamitosa e straordinaria nel settore dei rifiuti, la cui soluzione è stata affidata ad interventi del Governo, per il tramite del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infatti, ai sensi dell art. 1 d.l. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008, a tale Dipartimento era stata affidata in via generale la gestione commissariale dei rifiuti in Campania. A seguito di tale intervento normativo, in data 13 novembre 2008, il Sottosegretario di Stato ha concluso con la A2A S.p.A. un contratto per la prestazione del servizio di gestione dell impianto di termovalorizzazione di Acerra, il quale, pur di proprietà della società Fibe, è stato ritenuto espressamente infrastruttura di interesse strategico nazionale per la realizzazione del ciclo integrato finalizzato allo smaltimento ed al recupero energetico dei rifiuti. Successivamente, l art. 7 d.l. n. 195/2009, prevedendo il trasferimento di proprietà del termovalorizzatore suddetto ad ente pubblico o privato, ha altresì stabilito al comma 4 che a partire dal 1 gennaio 2010, nelle more di tale trasferimento, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile mantiene la piena disponibilità, utilizzazione e godimento dell impianto ed è autorizzata a stipulare un contratto per l affitto dell impianto stesso, per una durata fino a quindici anni. Il successivo comma 5 ha sancito che al Dipartimento in parola, oltre alla piena disponibilità, utilizzazione e godimento dell impianto, spettano altresì i ricavi derivanti dalla vendita dell energia elettrica prodotta dall impianto. Appare evidente come il quadro normativo abbia assegnato l impianto di termovalorizzazione di Acerra, in funzione del carattere di infrastruttura di interesse strategico nazionale, alle cure e alla gestione del Governo, per l esercizio di compiti e competenze ad esso assegnati dalla vigente legislazione. Orbene, con una radicale inversione di marcia, il Governo decide unilateralmente di costringere la Regione a destinare risorse già impegnate per altri scopi all acquisto dell impianto, ad un prezzo stabilito anch esso in via autoritativa. Con la richiamata delibere CIPE n. 166/2007, come modificata dalla delibera n. 1/2009, di attuazione del Quadro Strategico Nazionale e programmazione del fondo per le aree sottoutilizzate sono stati ripartiti i relativi fondi di cui alla legge n. 296/2006, e sono stati assegnati alla regione Campania 4.105,504 milioni di euro per il periodo La Regione Campania, in attuazione operativa dello stanziamento finanziato dal FAS, già a far data dal 2009 ha adottato il relativo Programma Attuativo Regionale del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (PAR FAS) (Deliberazione n del 19 giugno 2009). Si tratta di un programma dettagliato, articolato in Azioni cardine consistenti in progetti specificamente definiti e localizzati, ovvero interventi complessi (intendendo per tali quelli articolati in una serie di componenti progettuali distinte, ma connesse e riconducibili al medesimo obiettivo) dalla cui realizzazione compiuta dipende in modo cruciale il raggiungimento degli obiettivi specifici del programma. Alle azioni cardine è associata una quota significativa, in relazione agli obiettivi perseguiti e alle Priorità di inquadramento, delle risorse assegnate all Amministrazione. Di seguito si riporta un quadro sintetico delle Azioni cardine con i relativi importi programmati. 113

130 Azioni cardine Importo programmato Sostegno alla filiera pubblica della R&S, anche in ambito internazionale ,00 Interventi a sostegno della creazione di infrastrutture informatiche e telematiche ,00 per lo sviluppo dell innovazione nella PA Completamento della filiera relativa alla gestione integrata del ciclo dei rifiuti ,00 Opere per il miglioramento della gestione integrata delle risorse idriche ,00 Azioni per l aumento e la diffusione dei servizi per l infanzia e di cura per gli ,00 anziani Completamento della tangenziale delle aree interne e dei relativi ammagliamenti ,00 Intervento a supporto dell accessibilità al sistema aeroportuale di Capodichino, ,03 Grazzanise e Pontecagnano Adeguamento e potenziamento delle infrastrutture materiali per migliorare l accessibilità e favorire il decongestionamento dei centri urbani e delle ,00 conurbazioni Sistema della Metropolitana Regionale ,21 Sistemi di trasporto collettivo di adduzione al Sistema della Metropolitana ,00 Regionale Aree produttive di eccellenza ,00 Napoli e Città medie della Campania ,00 Interventi infrastrutturali a sostegno della ricerca pubblica e di miglioramento ,00 delle strutture di interesse universitario Attuazione Accordi di Reciprocità ,00 Edilizia residenziale pubblica ,00 Riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità ,00 Da ultimo, il Governo, attraverso il CIPE, in data 20 gennaio 2012, ha approvato la modifica di alcuni interventi nel sistema delle università del Mezzogiorno (finanziati dalla delibera CIPE n. 78/2011), senza alterare la distribuzione dei fondi tra Regioni né il costo totale; nel complesso, per la Regione Campania si tratta di interventi per 50 milioni di euro. Il d.p.c.m. 16 febbraio 2012, e la decisione in esso espressa di costringere la Campania all acquisto del Termovalorizzatore e, per di più, a valere sulle risorse relative al Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013 relative al programma attuativo regionale, contrasta palesemente con l art. 119 Cost. e lede l autonomia finanziaria della Regione Campania. Codesta ecc.ma Corte ha di recente dichiarato l illegittimità di norme statali concernenti il regime finanziario delle spese relative agli eventi calamitosi di maggiore gravità, da affrontare con mezzi e poteri straordinari. Si trattava di disposizioni che condizionavano l intervento finanziario dello Stato alla insufficienza delle risorse regionali, pur dopo l attivazione di aumenti fiscali, ovvero al riconoscimento, da parte del Governo, della «rilevanza nazionale» dell emergenza, facendo così rimanere in parte a carico della Regione i costi derivanti dalla calamità (tranne quelli eccedenti il massimo sforzo fiscale che la Regione stessa è autorizzata a compiere, ovvero quelli che il Governo avrebbe discrezionalmente assunto). Orbene, codesta ecc.ma Corte ha dichiarato l illegittimità costituzionale della ricordata normativa anche per violazione dell art. 119 Cost., atteso che le norme impugnate, in quanto impongono alle Regioni di deliberare gli aumenti fiscali in esse indicati per poter accedere al Fondo nazionale della protezione civile, in presenza di un persistente accentramento statale del servizio, ledono l autonomia di entrata delle stesse. Parimenti, le suddette norme ledono l autonomia di spesa, poiché obbligano le Regioni ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (Servizio nazionale di protezione civile), per l esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi, corrispondenti a loro specifiche competenze fissate nella legislazione vigente. Risulta violato altresì il quarto comma dell art. 119 Cost., sotto il profilo del legame necessario tra le entrate delle Regioni e le funzioni delle stesse, poiché lo Stato, pur trattenendo per sé le funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i costi alle Regioni stesse. 114

131 Peraltro, l obbligo di aumento pesa irragionevolmente sulla Regione nel cui territorio si è verificato l evento calamitoso, con la conseguenza che le popolazioni colpite dal disastro subiscono una penalizzazione ulteriore. ( ) Le norme censurate contraddicono inoltre la ratio del quinto comma dell art. 119 Cost.: le stesse, anziché prevedere risorse aggiuntive per determinate Regioni «per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (quali sono quelli derivanti dalla necessità di fronteggiare gli effetti sulle popolazioni e sul territorio di eventi calamitosi improvvisi ed imprevedibili), al contrario, impongono alle stesse Regioni di destinare risorse aggiuntive per il funzionamento di organi e attività statali (Corte cost., sent. n. 22 del 2012) Sotto altro e concomitante profilo, deve inoltre ricordarsi come Codesta Ecc.ma Corte di recente ha riconosciuto la legittimità di una norma statale che, ponendosi l obiettivo di rafforzare la concentrazione di risorse su interventi di rilevanza strategica nazionale, reperiva risorse dal Fondo per le aree sottoutilizzate, mediante revoca delle assegnazioni disposte dal CIPE (per il periodo ), ma facendo salve le risorse già impegnate o programmate. Nella ricordata occasione (Corte cost., sentenza n. 16 del 2010), Codesta Ecc.ma Corte ha stabilito che un siffatto intervento normativo non viola la sfera di competenze costituzionalmente garantita alle Regioni, appunto perché riguarda risorse non ancora utilizzate da tali enti (sentenza n. 105 del 2007), nella disponibilità dei quali, peraltro, le risorse medesime sono destinate a rientrare, sia pure con la suddetta nuova programmazione per le finalità indicate e con adeguato coinvolgimento delle Regioni medesime (Corte cost. n. 16 del 2010). Del tutto evidente appare il grave vulnus arrecato all autonomia Regionale e la patente violazione del principio di autonomia finanziaria della Regione consacrato dall art. 119 Cost. 3. Violazione del principio di leale collaborazione, in contrasto con l art. 5 e con l art. 120 Cost., per la mancata paritaria codeterminazione del contenuto dell atto oggetto del conflitto. Il d.p.c.m. 16 febbraio 2012 è stato assunto in pieno e gravissimo spregio di ogni più elementare principio di leale collaborazione e cooperazione, in aperta lesione dei sottesi principi costituzionali e mediante una procedura che ha leso, ripetutamente, l affidamento degli organi regionali nelle fasi prodromiche all adozione dell impugnato provvedimento Invero, la Regione Campania è stata ingiustamente tenuta estranea, dopo una prima riunione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in data 20 settembre 2011, alle successive riunioni succedutesi sul tema dell individuazione del soggetto che avrebbe dovuto acquistare la proprietà dell impianto di Acerra. Ciò le ha impedito, tra l altro, di far rilevare, nelle trattative con il soggetto proprietario FIBE, che la semplice rinuncia di quest ultima alle proprie pretese nei confronti della PCM e di terzi, avrebbe dovuto quanto meno essere accompagnata, nell ipotesi di cessione dell impianto alla Regione, dalla garanzia da parte del Governo di tenere la stessa Regione indenne da eventuali pretese dei creditori di FIBE, ad esempio conseguenti all impugnazione della rinuncia di quest ultima, ai sensi dell art del codice civile. Non è stato inoltre possibile far rilevare la necessità di compiere nei tempi congrui gli opportuni accertamenti circa lo stato attuale dell impianto (indispensabili ai fini dell accertamento della congruità del valore dello stesso ai fini del trasferimento); esaminare, anche ai fini della trattativa col Governo, la possibilità di rinegoziare il contratto di gestione con l attuale gestore (Partenope ambiente), che appare squilibrato a favore di quest ultima, laddove prevede un canone fisso di gestione, pari al doppio del valore delle spese affrontate per la gestione ed indipendente dalla eventualità di conferimenti inferiori a quelli previsti dal piano economico-gestionale ottimale dell impianto In secondo luogo, lo schema di d.p.c.m. oggi impugnato è stato trasmesso per la prima volta alla Regione soltanto il 26 gennaio 2012, a ridosso della scadenza del termine del 31 gennaio 2012 (appena prorogato, di un solo mese) previsto per il trasferimento dell impianto, privando la Regione della possibilità di compiere le indispensabili valutazioni di tipo giuridico ed economico circa l opportunità e la legittimità dell operazione nei termini proposti dallo schema di provvedimento. La Regione, inoltre, con propria nota del 27 gennaio 2012 indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri ha esposto rilievi critici concernenti: l opportunità di una congrua proroga del termine del 31 gennaio 2012 (confidando sull opportunità offerta dalla fase di conversione del d.l. n. 226/2011 non ancora conclusa); la necessità di acquisire i pareri legali di rito e la necessità di valutazioni di congruità economica. Nella lettera del 31 gennaio 2012 (inviata in ore serali, senza accertarsi dell avvenuta ricezione del documento da parte del destinatario e in una fase in cui i ritmi serrati imposti dalle norme di legge imponevano la massima cautela nelle comunicazioni tra le parti e la massima cooperazione e collaborazione) il Governo non ha fornito alcuna risposta ai rilievi evidenziati. 115

132 Con una seconda nota regionale del 31 gennaio 2012, la Regione manifestava il proprio convincimento in ordine alla inopportunità (a prescindere dalla capienza delle risorse disponibili per la Regione) del finanziamento dell operazione a valere sulla quota del fondo di coesione e sviluppo di competenza regionale. Come risulta dalla stessa nota della Regione in data 31 gennaio 2012, alla scadenza del termine del 31 gennaio 2012 il Governo non aveva ancora inviato alla Regione la documentazione necessaria a valutare la proposta di intesa, puntualmente richiesta dalla stessa Regione. Tale richiesta è stata soddisfatta soltanto parzialmente il 1 febbraio 2012, quindi oltre la scadenza del termine del 31 gennaio Inoltre, falsa è una delle premesse del d.p.c.m. del 16 febbraio 2012, lì dove si afferma che nella lettera del 27 gennaio la Regione avrebbe espresso parere favorevole al trasferimento della proprietà del termovalorizzatore, mentre invece dichiarava solamente di non essere contraria, in linea di principio, ad acquistare la proprietà dell impianto, ma non esprimeva l intesa in tal senso, rilevando la necessità di trovare una fonte di finanziamento alternativa a quella indicata dal Governo, con evidente travisamento della dichiarazione di intenti espressa in tale nota. Ancora, nel d.p.c.m. adottato il Governo sostiene che la quota del fondo di competenza regionale sia capiente, sulla base di una nota della Ragioneria generale mai inviata alla Regione e neanche sottoposta al suo esame nella riunione del 2 febbraio Tale ultima riunione del 2 febbraio 2012, convocata in modo informale, senza comunicazioni in forma scritta e senza un preciso ordine del giorno, e della quale non risulta sia stato redatto alcun verbale (comunque mai trasmesso alla Regione) non è stata dedicata alla mera enunciazione delle tesi del Governo circa la pretesa capienza del fondo di coesione e sviluppo - quota regionale; nel corso della stessa è stata discussa anche la posizione della Regione circa la necessità di un differimento del termine, la prestazione delle garanzie richieste nelle corrispondenza regionale e il compimento degli accertamenti ivi indicati, senza che si giungesse a conclusioni e che il Governo rispondesse adeguatamente alle richieste della Regione; inoltre alcuni esponenti della rappresentanza governativa hanno formulato proposte integrative dello schema di d.p.c.m. (riconoscimento alla Regione degli accantonamenti di cui all art. 7, comma 6, d.l. n. 195/2009, anche per gli anni successivi al 2012, esclusione dal patto di stabilità della relativa spesa), senza che le stesse fossero mai formalizzate, né che alla riunione abbia fatto seguito alcun altro atto formale da parte del Governo È evidente che (contrariamente a quanto afferma il d.p.c.m. - pag. 4, primo considerato, pag. 5, ultimo considerato) non è attribuibile alla regione alcuna violazione del principio di leale collaborazione; che i presupposti indicati a tal fine nel decreto non sono veritieri e sono comunque fuorvianti; che al contrario il suddetto principio risulta violato in più riprese dallo Stato. La giurisprudenza costituzionale ha dato grande rilevanza al principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni e ad una delle sue tipiche e più intense forme di espressione, vale a dire all istituto dell intesa. Secondo Codesta Ecc.ma Corte, il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericità di questo parametro, se utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte (Corte cost., n.31 del 2006). Il rispetto del principio generale di leale collaborazione richiede, in taluni casi, l osservanza di un dovere di cooperazione istituzionale che si esprime attraverso l intesa: ex multis, si veda la sentenza Corte cost. n. 62 del 2005, in materia di siti di stoccaggio di rifiuti radioattivi (e le ivi richiamate sentenze n. 338 del 1994, n. 242 del 1997, n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004) la quale ha affermato che Quando, una volta individuato il sito, si debba provvedere alla sua validazione, alla specifica localizzazione e alla realizzazione dell impianto, l interesse territoriale da prendere in considerazione e a cui deve essere offerta, sul piano costituzionale, adeguata tutela, è quello della Regione nel cui territorio l opera è destinata ad essere ubicata. Non basterebbe più, a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non può sostituire quello, costituzionalmente necessario, della singola Regione interessata. Codesta Ecc.ma Corte ha altresì costantemente affermato che occorre addivenire a forme di esercizio delle funzioni, da parte dell ente competente, attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti. Nei casi in cui, per la loro connessione funzionale, non sia possibile una netta separazione nell esercizio delle competenze, vale il principio detto della «leale cooperazione», suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità della pur necessaria collaborazione la quale giunge a richiedere effettivi poteri di codeterminazione, delle autonomie regionali e provinciali all elaborazione del piano di assegnazione delle radiofrequenze (Corte cost., sentenza n. 308 del 2003 e le ivi richiamate sentenze n. 96 del 2003, n. 422 del 2002). 116

133 Ove si rendano poi indispensabili interventi sostitutivi della mancata intesa, per giurisprudenza consolidata, tali interventi sono stati giudicati non contrari a Costituzione a condizione che il Governo, nell adottare il provvedimento sul quale non è intercorsa l intesa nel termine, fornisca un adeguata motivazione, volta a manifestare, in relazione agli argomenti addotti dalla parte regionale a sostegno del rifiuto dell accordo, le ragioni d interesse nazionale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente (v., da ultimo, sent. n. 204 del 1993). Del resto, l obbligo di motivazione da parte del Governo, allorché provvede direttamente dopo che è fallito il confronto per pervenire a un intesa con le regioni, è il requisito minimo in grado di legittimare la decisione unilaterale dello stesso Governo in una materia connotata dalla stretta connessione delle competenze statali con quelle delle regioni (Corte cost., sentenza n. 116 del 1994). Circa la doverosità di un vero e proprio principio di lealtà istituzionale valga il richiamo della sentenza n. 303 del 2003, nella quale si afferma che la legislazione statale di questo tipo (il non dissimile caso in esame allora era relativo a leggi statali in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi di valore strategico) può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà (Corte cost., sentenza n. 303 del 2003, richiamata anche dalla sentenza n. 6 del 2004). Secondo la concezione procedimentale (o consensuale) del principio di sussidiarietà, come elaborata da Codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 303 del 2003, assume quindi particolare rilievo nell iter di sussunzione (o di avocazione) della competenze, il principio dell intesa o dell accordo. Quest ultimo, sebbene già presente nella Costituzione, in quanto insito nel principio di leale collaborazione, finisce non solo per assumere la natura di valore costituzionale complementare a quello di sussidiarietà, ma anche per acquisire una sua fisionomia ben precisa nell ambito della stessa leale cooperazione, che presenta contorni più ampi e generici. Mentre infatti la leale cooperazione, quale canone informatore dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie, soddisfa sostanzialmente esigenze di partecipazione e di consultazione, attraverso strumenti di collaborazione e di dialogo di varia natura (comprensivi anche dell intesa) volti a coordinare l esercizio delle rispettive competenze e lo svolgimento di attività di interesse comune, l intesa e l accordo in senso stretto sono veri e propri strumenti di codecisione (e non di mera partecipazione) che presuppongono il potere decisionale dei soggetti partecipanti alla definizione della materia di interesse comune. Secondo la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte l attrazione allo Stato di competenze che, in base alla tendenziale regola di riparto spetterebbero alle regioni, può verificarsi solo in virtù di una previa intesa con l ente interessato (o di un accordo stipulato con la regione ). Non è dunque sufficiente la mera emersione e citazione nel provvedimento o nel corso del procedimento, delle ragioni e delle istanze delle parti, potendosi invece operare la deroga solo in virtù di una codecisione tra gli enti interessati. Codesta Ecc.ma Corte nell applicazione del principio di leale cooperazione in tema di intese, in relazione ad un conflitto di attribuzioni relativo alla nomina di un commissario straordinario preposto all Ente parco nazionale dell Arcipelago Toscano ha conseguentemente affermato che occorre comunque uno sforzo delle parti per dar vita ad una trattativa: Lo strumento dell intesa tra Stato e Regioni costituisce una delle possibili forme di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato e la Regione e si sostanzia in una paritaria codeterminazione del contenuto dell atto; intesa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo, senza alcuna possibilità di un declassamento dell attività di codeterminazione connessa all intesa in una mera attività consultiva non vincolante ( cfr. sentenza n. 351 del 1991). Nella specie, non realizza la richiesta condizione di legittimità il rifiuto d intesa sul nominativo proposto dal Ministro, seguito dalla mera richiesta d incontro, fra le parti, non seguita da alcuna altra attività E ancora che L illegittimità della condotta dello Stato risiede nel mancato avvio e sviluppo della procedura dell intesa per la nomina del Presidente, che esige, laddove occorra, lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare, nel rispetto del principio di leale cooperazione tra Stato e Regione, le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo (Corte cost., sent. n. 27 del 2004). In conclusione il ruolo delle regioni non deve essere circoscritto a quello meramente consultivo: al contrario, queste, attraverso i propri rappresentanti, devono essere a pieno titolo componenti dell organo decisionale, partecipando direttamente alla formazione della sua volontà deliberativa. 117

134 4. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell art. 7 comma 1, del d.l. n. 195 del 2009, come convertito con legge n. 26 del 2010, dell art. 61, comma 3, del d.l. n. 5 del 2012, nonché sotto il profilo dell irragionevole determinazione del termine di cui all art. 5, comma 1, del d.l. n. 216 del In ogni caso, il d.p.c.m. del 16 febbraio 2012 denota una interpretazione del quadro normativo presupposto del tutto erronea e contraria alla sua reale portata. Fermo rimanendo quanto sin qui dedotto in ordina alla grave violazione del principio di leale collaborazione, le norme di cui il d.p.c.m. costituisce erronea applicazione da individuare nell art. 7, comma 1 del d.l. n. 195 dei 2009, convertito con legge n. 26 del 2010, nell art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, nonché nell art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 216 del 2011 non legittimano in alcun modo l adozione del d.p.c.m. 16 febbraio 2012 oggi impugnato. Invero l art. 7, comma 1, del d.l. n. 195/2009 prevede che è trasferita la proprietà del termovalorizzatore di Acerra alla Regione Campania, previa intesa con la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile o a soggetto privato. L art. 61, comma 3, del d.l. n. 5/2012 prevede che Fatta salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni, in caso di mancato raggiungimento dell intesa richiesta con una o più Regioni per l adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il Consiglio dei ministri, ove ricorrano gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all Erario può, nel rispetto del principio di leale collaborazione, deliberare motivatamente l atto medesimo, anche senza l assenso delle Regioni interessate, nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la sua adozione da parte dell organo competente. Qualora nel medesimo termine è comunque raggiunta l intesa, il Consiglio dei ministri delibera l atto motivando con esclusivo riguardo alla permanenza dell interesse pubblico. Infine all art. 5, comma 1, del d.l. n. 216 del 2011, è prevista la proroga alla data del 31 gennaio 2012 del termine precedentemente fissato dall art. 7, comma 1, del decreto-legge 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, al 31 dicembre In relazione all art. 7 comma 1 del decreto-legge n. 195 del 2009, la norma individua un elenco di soggetti ai quali trasferire la proprietà del termovalorizzatore di Acerra, individuati nella Regione, in altro ente pubblico non territoriale, nella stessa Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile, e infine ad un soggetto privato. In nessun modo è possibile intravedere o anche interpretare il testo di legge come espressivo di una preferenza, quale acquirente dell impianto, nei riguardi della Regione Campania. Anzi, nei solo caso della Regione, l eventuale acquisto è espressamente subordinato e condizionato al raggiungimento dell intesa con la Regione. Di contro, alla luce delle previsioni di cui ai commi 4 e 5, ai sensi dei quali nelle more del trasferimento, la piena disponibilità, utilizzazione e godimento dell impianto permane in capo alla PCM - Dip. Protezione civile, la quale è altresì autorizzata a stipulare un contratto per l affitto dell impianto stesso, per una durata fino a quindici anni, spettando inoltre i ricavi derivanti dalla vendita dell energia elettrica prodotta dall impianto, il Dipartimento della Protezione civile appare oggettivamente come il soggetto più idoneo all esercizio temporaneo di una struttura che è stata dichiarata di interesse strategico nazionale. Orbene il legislatore nazionale, attraverso l art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009, è intervenuto a disciplinare in modo preciso e puntuale una singola fattispecie concretamente individuata, vale a dire il trasferimento di proprietà del termovalorizzatore di Acerra, di proprietà di un soggetto privato (Fibe), ad un soggetto pubblico o privato nonché le vicende ad esso relative nelle more del perfezionamento dello stesso. Si tratta di norma di chiaro valore provvedimentale essendo sprovvista di quei requisiti tipici di generalità e astrattezza generalmente ascrivibili alle previsioni legislative. Orbene, pur se in linea di principio al legislatore non è preclusa l adozione di norme aventi contenuto particolare e concreto (norme provvedimento), Codesta Ecc.ma Corte ha più volte ribadito che tali leggi sono ammissibili entro i limiti del rispetto dei principi di ragionevolezza e di non arbitrarietà (Corte cost., sentenze nn. 94 e 137 del 2009 e n. 267 del 2007). La norma, ove venga interpretata nel senso di preferire fra tutti i soggetti pur elencati nella disposizione, la sola Regione Campania, in assenza di valide e conoscibili ragioni ostative alla scelta di un altro tra i soggetti pur previsti, palesa un evidente profilo di illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. 118

135 4.2. Con un vera e propria forzatura il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi ritenuto di poter ravvisare nell intesa di cui all art. 7, comma 1, del d.l. n. 195 del 2009, una delle ipotesi di applicazione dell art. 61, comma 3, del d.l. n. 5 del a) Il combinato disposto delle due norme, invero, rende evidente la gravissima forzatura da cui scaturisce il d.p.c.m. 16 febbraio Se, il legislatore nazionale (con l art. 7, comma 1), ha previsto che il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore avvenga in capo ad uno dei soggetti elencati; e se, tra i soggetti elencati dalla norma, la Regione Campania è l unica per il quale il legislatore riconosce che il trasferimento debba avvenire previa intesa; è allora di tutta evidenza che, in caso di scelta della Regione scelta che dovrà essere congruamente motivata il mancato raggiungimento dell intesa non potrà che determinare lo spostamento della scelta su uno dei restanti soggetti indicati dalla norma. Diversamente opinando, le opzioni alternative espresse dal comma 1 rimarrebbero prive di reale significato. Come già ricordato, il decreto-legge n. 5 del 2012, all art. 61, nell ambito di previsioni transitorie e di disposizioni generali in materia di atti amministrativi sottoposti ad intesa, ha previsto, con il comma 3, la possibilità per il Consiglio dei ministri di superare la richiesta intesa con la Regione e di deliberare motivatamente un atto amministrativo (ove sussistano taluni gravi pericoli precisati dalla norma stessa). Applicare al caso in questione quello cioè previsto dall art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009 la possibilità di superare l intesa con la Regione per individuare, in ogni caso e senza valutare le altre opzioni previste dallo stesso comma 1, l unico possibile acquirente del termovalorizzatore di Acerra nella Regione stessa, costituisce un falso, e quindi illegittimo, combinato disposto che vale a privare di contenuto reale l art. 7, comma 1 del decreto legge 195 del 2009, in chiara violazione di ogni basilare principio di leale cooperazione e collaborazione L art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012 attribuisce al Governo come visto il potere di superamento dell intesa con la Regione richiesta per l adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, quando ricorrano determinate condizioni. Tali condizioni sono individuate in gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell ambiente o dei beni culturali, ovvero per evitare un grave danno all Erario. In ogni caso deve essere fatto salvo il principio di leale collaborazione. Orbene, nella denegata ipotesi in cui tale norma dovesse essere ritenuta applicabile anche all intesa di cui all art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009, nessuna delle esigenze passate in rassegna dalla norma in esame appare concretamente sussistente, atteso che il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore non determina ripercussioni immediate e dirette sulla sua operatività e funzionalità, che rimane preservata anche nelle more di tale trasferimento. In altri termini, la disciplina relativa alla proprietà dell impianto, pur riguardando un aspetto importante della gestione dei rifiuti, non presenta quei caratteri tali di indifferibilità e urgenza legati ad immediate esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell ambiente o dei beni culturali previste dalla norma in questione. Non sussiste neanche il grave danno all erario che, tenuto conto della portata della norma e della necessità di interpretare la stessa in modo costituzionalmente orientato, non può essere causato dalla mera necessità di estinguere un contenzioso in atto, e non può comunque essere risolto in danno delle finanze regionali e dell autonomia finanziaria della Regione e senza alcuna forma di leale collaborazione e cooperazione istituzionale Infine, la proroga di un solo mese, prevista dall art. 5, comma 1, del d.l. n. 216/2011, in relazione al termine del 31 dicembre 2011 originariamente previsto dal d.l. n. 195 del 2009, appare palesemente irragionevole, tanto più nella denegata ipotesi in cui il quadro normativo dianzi richiamato fosse interpretato nel senso che, decorso inutilmente tale termine, la Regione sia obbligata ad acquistare l impianto. La norma predetta appare palesemente viziata da illegittimità costituzionale per irragionevolezza del termine prorogato, manifestamente inadeguato allo svolgimento delle attività necessarie per la formazione dell intesa e sotto tale profilo in contrasto anche con l art. 97 Cost. Istanza cautelare La scrivente difesa chiede che Codesta Ecc.ma Corte voglia disporre la sospensione cautelare dell efficacia dei provvedimenti impugnati, in quanto dalla loro esecuzione l odierna ricorrente si vedrebbe con ogni evidenza costretta a subire un pregiudizio grave ed irreparabile. Quanto alla sussistenza del fumus, sia consentito richiamare tutto quanto sopra dedotto e argomentato in merito ai manifesti profili di illegittimità dell atto gravato. In relazione al periculum in mora, risulta assolutamente chiaro come l esecuzione medio tempore del d.p.c.m. del 16 febbraio 2012 è idonea a realizzare effetti irreversibili in grave pregiudizio degli interessi della Regione Campania. 119

136 In tal senso, in adempimento del d.p.c.m. 16 febbraio 2012 e della connessa intimazione formulata dal Capo del Dipartimento della Protezione civile nei confronti della Regione Campania con la nota prot. n. CG/ , l ente regionale si troverebbe costretto a corrispondere nei confronti della Fibe S.p.A., attuale proprietaria del termovalorizzatore di Acerra, l importo di Euro ,84 a titolo di prezzo per l acquisizione della proprietà dell impianto. Tale pregiudizio è reso ancor più grave ed attuale dalla recente diffida del 19 marzo 2012, mediante la quale la menzionata Fibe ha intimato la Regione ricorrente oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e alla Protezione Civile a provvedere a quanto di propria competenza ai fini dell immediato pagamento della somma determinata dal d.p.c.m. impugnato. Anche a voler tacere dell ingenza dei suddetti oneri, il d.p.c.m. impugnato obbliga la Regione a reperire gli stessi a valere sulle risorse della quota regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013. È opportuno ribadire che, come rappresentato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con nota del 27 gennaio 2012, le predette risorse sono già integralmente programmate sulla base della delibera CIPE n. 166/2007, modificata dalla delibera n. 1/2009, nonché dei recenti accordi con il Governo, recepiti dallo stesso CIPE in data 20 gennaio 2012, anche con riferimento all esigenza di far fronte ad indifferibili emergenze in materia di edilizia sanitaria. Pertanto, l impiego di risorse già impegnate esporrebbe la Regione Campania al rischio di compromissione di interventi di rilievo primario già programmati in quanto necessari ed improcrastinabili, con gravissime ripercussioni sulla capacità della Regione stessa di assicurare continuità alle politiche ed attività politico-amministrative già intraprese. Ulteriori effetti pregiudizievoli discenderebbero dalla circostanza che, nei trasferire coattivamente alla ricorrente la proprietà del termovalorizzatore, la Presidenza del Consiglio non ha fornito alla Regione alcuna garanzia in ordine ad eventuali pretese dei creditori di Fibe S.p.A., i quali ben potrebbero ritenersi contrari alla transazione intervenuta tra tale società e l amministrazione statale. Ciò porrebbe la Regione Campania nella condizione di subire iniziative processuali da parte dei predetti soggetti, che, alla luce dell assenza di qualsiasi certificazione circa la congruità del prezzo per l acquisto della proprietà del termovalorizzatore, si palesano come molto probabili. Ciò senza contare che, come si è già avuto modo di vedere più ampiamente sopra, in sede di determinazione del prezzo stesso alla Regione Campania è stato precluso qualsiasi apporto partecipativo. Alla luce di quanto appena osservato, è evidente allora la necessità di sospendere in via cautelare l efficacia del d.p.c.m. impugnato e della nota conseguente. P.Q.M. Chiede che Codesta Ecc.ma Corte, contrariis rejectis, voglia dichiarare se del caso previa sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell art. 7 comma 1, del d.l. n. 195 del 2009, come convertito con legge n. 26 del 2010, dell art. 61, comma 3, del d.l. n. 5 del 2012, nonché dell art. 5, comma 1, del d.l. n. 216 del 2011 ove interpretati nel senso di obbligare la Regione Campania, anche in assenza di sua intesa, ad acquistare la proprietà del termovalorizzatore di Acerra entro il termine del 31 gennaio 2012, in riferimento agli artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, emanare il del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 febbraio 2012 con il quale è stato deliberato il trasferimento alla Regione Campania della proprietà del termovalorizzatore sito in località Pantano del Comune di Acerra per il prezzo complessivo di Euro ,84, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013, e per l effetto annullarlo, previa sospensione cautelare immediata dei relativi effetti. Roma-Napoli, addì 16 aprile 2012 Prof. Avv. CARAVITA DI TORITTO - Avv. D ELIA - Avv. PAOLINO 12C

137 N. 82 Ordinanza del 17 gennaio 2012 emessa dal Tribunale di Alessandria nel procedimento penale a carico di Borasi Luciano Reati e pene - Reati contro il patrimonio mediante frode - Casi di non punibilità per fatti commessi in danno di congiunti - Esclusione della operatività della causa di non punibilità per il delitto di usura di cui all art. 644 cod. pen. - Mancata previsione - Violazione del principio di ragionevolezza, a fronte della disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe. Codice penale, art. 649, comma terzo. Costituzione, art. 3. IL TRIBUNALE Nel procedimento relativo al riesame di misure cautelari reali promosso da Borasi Luciano, nato a Tortona il 23 maggio 1940, difeso di fiducia dagli avvocati S. Giugni del foro di Milano e E. Merli del foro di Tortona, indagato per il reato di cui all art. 644 c.p. Premesso: che l indagato ha impugnato il decreto di sequestro preventivo emesso ex art. 321, comma 3 -ter c.p.p. dal Pm presso il Tribunale di Tortona in data 14 dicembre 2011 e convalidato dal Gip con decreto del 20 dicembre 2011 e il decreto di convalida del sequestro probatorio eseguito dalla P.G. il 14 dicembre 2011 emesso in data 15 dicembre 2011; che il sequestro preventivo ha ad oggetto quattro assegni bancari tratti da Bottazzi Stefano presso l Istituto Banca Generale agenzia di Alessandria in favore di Borasi Luciano, dell importo complessivo di euro ,00; che il sequestro probatorio ha ad oggetto altre tre assegni tratti da Bottazzi Stefano in favore di Borasi Luciano presso la Cariparma agenzia di Sale, dell importo rispettivamente di euro ,00; euro 2.500,00 ed euro ,00; che tutti i titoli in sequestro scadono nel periodo 14 dicembre dicembre 2011; che la difesa ha chiesto la revoca dei provvedimenti impugnati e la restituzione dei titoli invocando l applicabilità, a suo favore, della causa di non punibilità di cui all art. 649 c.p., deducendo che Borasi Luciano è legato alla persona offesa da un rapporto di affinità di primo grado; che il Collegio dubita della legittimità costituzionale dell art. 649 c.p. perché contrastante con l art. 3 Cost. per i motivi che verranno detti. Ai fini della rilevanza della questione, ritiene il Collegio che il reato di usura, ipotizzato dal Pubblico ministero a carico di Borasi Luciano, sia astrattamente configurabile e che sussistono tutti gli altri presupposti di legittimità richiesti ai fini del mantenimento del vincolo. Dagli atti trasmessi dal Pubblico ministero ed in particolar modo dalla denuncia presentata da Bottazzi Stefano in data 24 novembre 2011 e successivamente integrata nel verbale di s.i.t. rese in data 5 dicembre 2011, emerge, infatti, che la persona offesa ha ricevuto in prestito da Borasi Luciano nel periodo 28 marzo novembre 2011, la somma di euro ,00, corrispostagli in sei tranche, pattuendo e versando interessi mensili e trimestrali per importi che andavano dai 2.500,00 euro ai ,00 euro, per complessivi euro ,00. Le dichiarazioni della persona offesa trovano un primo riscontro nei titoli allegati alla denuncia da cui si evince una elevata movimentazione di denaro e la chiara finalità di garanzia dei titoli a sue mani (si tratta, infatti, di assegni tratti dal Bottazzi a favore del Borasi e che la persona offesa non avrebbe motivo di detenere se non perché restituitigli dallo stesso beneficiario). Le circostanze riferite da Bottazzi Stefano trovano poi un ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di Daglio Giuseppina e Pernigotti Pinuccia, impiegate che si occupavano di formare la provvista per il pagamento degli interessi, che avveniva sempre in contanti, nonché nelle dichiarazioni rese dagli impiegati di banca (Roncoli Elisa, Gualco Daniela, Bagnasco Elisabetta) 121

138 che provvedevano ad annullare gli assegni emessi a garanzia che venivano via via restituiti dal Borasi al Bottazzi man mano che gli interessi venivano pagati. Il prospetto contabile elaborato dalla persona offesa comprova la manifesta sproporzione fra capitale erogato ed interessi pattuiti. Sussistono inoltre, a parere del Collegio tutti gli altri requisiti di legittimità dei sequestri oggetto di impugnazione ai fini della conferma dei provvedimenti sub iudice (relativamente al sequestro preventivo i titoli sono riferibili al rapporto usurario, scadenti poco dopo l esecuzione dei sequestri e la cui libera disponibilità in capo al Borasi avrebbe aggravato le conseguenze del reato, posto che l indagato aveva già cominciato a metterli all incasso. Relativamente al sequestro probatorio i titoli, che costituiscono il profitto del reato, sono stati rinvenuti indosso al Borasi nel corso della perquisizione eseguita in esecuzione del sequestro preventivo ed il vincolo è necessario al fine della ulteriore prova dei rapporti economici fra le parti). La difesa ha, tuttavia, invocato l applicazione dell esimente speciale di cui all art. 649, comma 1, n. 2) c.p. che esclude la punibilità dei reati previsti nel titolo XIII del libro II del codice penale, fra cui vi è reato di usura, commessi fra affini in linea retta. È documentalmente provato, che Borasi Luciano è padre di Borasi Simona, ex coniuge di Bottazzi Stefano, e quindi suocero della persona offesa. Il Gip nei provvedimenti di convalida dei sequestri ha escluso l applicabilità della causa di non punibilità argomentando sul fatto che Borasi Simona e Bottazzi Stefano sono divorziati ( cfr. sentenza di divorzio in atti), e ritenendo di conseguenza che lo scioglimento del matrimonio abbia fatto venire meno anche il vincolo di affinità che di quello status era conseguenza. Il Collegio non ritiene di condividere la conclusione interpretativa cui è pervenuto il Gip poiché la stessa non tiene conto del dato normativo in forza del quale il vincolo di affinità permane anche in caso di cessazione del matrimonio da cui era originato. Nell ordinamento civile, infatti, l art. 78 cpv. c.c. prevede che l affinità non cessa neanche con la morte del coniuge da cui deriva e individua, quale unica causa di cessazione del rapporto di affinità, la dichiarazione di nullità del vincolo coniugale. Gli artt. 87 e 434 c.c. confermano poi, che il rapporto di affinità di primo grado permane anche in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio prevedendo espressamente che il divorzio non fa venire meno il divieto dì contrarre nozze fra affini e l obbligazione alimentare. Nell ordinamento penale l art. 307 u.c. c.p., nel definire la categoria dei prossimi congiunti, vi ricomprende espressamente gli affini nello stesso grado, escludendo la rilevanza del vincolo nel solo caso di morte, senza prole, del coniuge. Alla luce del dato normativo sopra richiamato deve, pertanto, ritenersi che la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio non faccia venire meno il vincolo di affinità, con conseguente applicabilità, anche al caso di specie, della causa di non punibilità di cui all art. 649 c.p. Ritiene, tuttavia, il Collegio, chiamato ad applicare l esimente speciale, ed il cui riconoscimento determinerebbe la non punibilità in concreto dell indagato con conseguente necessità di restituirgli i titoli in sequestro, che l art. 649 c.p. sia costituzionalmente illegittimo, perché contrastante con l art. 3 Cost., nella parte in cui non annovera fra le fattispecie escluse dalla operatività della causa di non punibilità, il delitto di usura di cui all art. 644 c.p. La ratio dell istituto di cui all art. 649 c.p., che esclude la punibilità dei reati contro il patrimonio commessi nei confronti dei congiunti o ne prevede una procedibilità a querela, risiede nella necessità di evitare di turbare le relazioni familiari anche in considerazione del fatto che nell ambito dello stesso nucleo familiare vi è comunque una comunanza di interessi economici. L ultimo comma dell art. 649 c.p. esclude, tuttavia, dall ambito di operatività della causa di non punibilità: i «delitti previsti dagli articoli 628, 629 e 630 c.p. ed ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone». La ratio della esclusione di questa tipologia di reati dall ambito di applicazione dell istituto è da ravvisarsi nel fatto che si tratta di fattispecie plurioffensive che offendono cioè, oltre al patrimonio, altri beni costituzionalmente protetti, la cui lesione viene considerata prevalente sull interesse tutelato dall art. 649 c.p. In particolar modo la rapina tutela, infatti, oltre al patrimonio, la sicurezza e la libertà della persona; l estorsione, salvaguarda anche la libertà di determinazione della vittima; il sequestro di persona tutela la libertà personale. 122

139 Anche il reato di usura, così come modificato dalla legge n. 108/06, è una fattispecie plurioffensiva perchè tutela oltre al patrimonio, la libertà morale del soggetto passivo e l interesse pubblico alla correttezza dei rapporti economici, beni questi ultimi che trovano riconoscimento negli artt. 2 e 41 Cost. In particolar modo la libertà morale che viene in considerazione nel reato di usura è anche quella che si esplica nella autonoma determinazione al contenuto del contratto. Tale interesse trova un suo riconoscimento oltre che nell art. 2 Cost. anche nell art. 41, comma 2 Cost. che nel fissare i limiti all esercizio dell autonomia privata, che si esprime attraverso la conclusione di negozi giuridici, statuisce espressamente che la stessa non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana. Nella stessa norma trova, poi, tutela l interesse pubblicistico al regolare esercizio del credito in forza dell utilità sociale ad esso connesso. La mancata inclusione del delitto di cui all art. 644 c.p. nel novero delle fattispecie escluse dalla applicazione della causa di non punibilità si appalesa, pertanto, irragionevole, perché l art. 649 c.p. tratta in modo diverso reati che sottendono, invece, situazioni uguali ed in forza delle quali si giustifica l eccezione. Non possono trarsi, del resto, elementi di contrario avviso dalla circostanza che la causa di non punibilità appare essere applicabile prima facie alle fattispecie di cui agli artt bis e 648-ter c.p., e cioè a reati che sono volti alla salvaguardia di interessi a rilevanza pubblica quali quelli dell ordine pubblico, dell ordine economico oltre che del patrimonio individuale. La stessa Corte oggi adita, con la sentenza n. 302 del 2000, nell escludere l illegittimità dell art. 649 c.p. nella parte in cui non comprende fra i reati non punibili, ove commessi in danno dei congiunti, quelli previsti dall art. 12, decreto-legge n. 143/1991 (convertito in legge n. 197/1991: indebito utilizzo di carta di credito) ha già implicitamente ritenuto la non applicabilità della causa di non punibilità ai reati di riciclaggio e reimpiego, argomentando proprio sulla plurioffensività degli stessi e sulla tutela meta - individuale che offrono. Non si può del resto pervenire ad escludere l applicabilità della causa di non punibilità di cui all art. 649 c.p. all usura, in via meramente interpretativa. La formulazione letterale della norma con particolare riferimento all incipit : «non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti previsti da questo titolo, in danno...» non lascia alcun margine di dubbio circa l estensione della stessa a tutte le fattispecie comprese nel titolo XIII del libro secondo (delitti contro il patrimonio), ad eccezione di quelle espressamente escluse. P.Q.M. Visto l art. 23, legge n. 87/1953; Solleva la questione di legittimità costituzionale dell art. 649, comma 3, c.p. in riferimento all art. 3 Cost. nei termini di cui in narrativa. Dispone la sospensione del procedimento nei confronti di Borasi Luciano e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina la notificazione, a cura della cancelleria, della presente ordinanza al Presidente del Consiglio e la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Alessandria il 4 gennaio 2012 Il Presidente: MELA L Estensore: CATALANO 12C

140 N. 83 Ordinanza del 19 dicembre 2011 emessa dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sul ricorso proposto dalla Presidenza della Regione siciliana, Giunta regionale siciliana e Assessorato regionale all industria, contro Solarenergy Srl. Energia - Norme della Regione Siciliana - Fondo regionale di garanzia per l installazione di impianti fotovoltaici - Previsione dell obbligo di allegare alla richiesta di autorizzazione la dichiarazione da parte di primaria Compagnia di assicurazione della disponibilità di copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura elettrica all ente gestore di rete - Previsione dell obbligo di comunicazione, ai fini della celerità dei procedimenti, della sede legale istituita dal richiedente in Sicilia e dell impegno al mantenimento nel territorio della Regione per il tempo di efficacia dell autorizzazione - Previsione dell obbligo per il soggetto autorizzato di rilasciare, anteriormente all inizio dei lavori e pena l inefficacia dell autorizzazione, idonee garanzie a favore della Regione - Previsione dell obbligo di realizzare gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 MW a distanza non inferiore a 10 Km l uno dall altro, o, comunque, a distanza congrua sulla base di adeguata motivazione - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata - Violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia civile - Violazione della sfera di competenza concorrente statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia per il contrasto con i principi sanciti in subiecta materia dal decreto legislativo n. 387 del Violazione del principio di libera circolazione delle persone e dei beni tra le Regioni. Legge della Regione Siciliana 12 maggio 2010, n. 11, art Costituzione, artt. 3, 41, 117, commi secondo e terzo, e 120; Statuto della Regione Siciliana, art. 14. IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 303 del 2010 proposto da Presidenza della Regione siciliana, giunta regionale siciliana e assessorato regionale all industria (oggi dell energia e dei servizi di pubblica utilità), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi n. 81, sono per legge domiciliati; Contro la Solarenergy s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in questo grado del giudizio; Per l annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sede di Palermo (Sez. Il) - n del 12 febbraio Visto il ricorso, notificato il 5 marzo e depositato il 15 marzo 2010, con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza dell 8 giugno 2011 il Consigliere Antonino Anastasi; udito, altresì, l avv. dello Stato La Spina per le amministrazioni appellanti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F ATTO La società appellata ha richiesto il rilascio dell autorizzazione prevista dall art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 per la realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica. Nelle more del procedimento autorizzatorio è entrato in vigore il Piano Energetico Ambientale della Regione Siciliana - P.E.A.R.S. approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 1 del 3 febbraio 2009, emanata con decreto del Presidente della Regione Siciliana in data 9 marzo 2009 pubblicato in G.U.R.S. n. 13 del 27 marzo 2009 del quale è espressamente prevista l applicabilità anche alle domande già in itinere. 124

141 La Solarenergy s.r.l., con ricorso al T.A.R. Palermo, ha allora impugnato (tra l altro) gli atti di approvazione del P.E.A.R.S. sostenendo: in via principale l inapplicabilità delle prescrizioni previste dal nuovo Piano alle domande di autorizzazione in precedenza presentate; in via gradata l illegittimità intrinseca di molteplici disposizioni. Con la sentenza in epigrafe indicata l adito Tribunale, accogliendo pressoché in toto il ricorso, ha in primo luogo stabilito che il Piano avendo natura regolamentare non è applicabile a domande presentate prima della sua entrata in vigore, pena la violazione della regola di cui all art. 11 delle preleggi. In secondo luogo il Tribunale (ritenendo di dover pronunciarsi nonostante il sopravvenuto difetto di interesse della ricorrente, eccepito dall Amministrazione) ha annullato le prescrizioni relative a: necessità dì documentazione attestante la disponibilità giuridica dell area di impianto; necessità di comunicazione del gestore della rete attestante la capacità di quest ultima di ricevere l energia prodotta dal nuovo impianto; necessità della partecipazione in ogni caso della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali alla Conferenza dei Servizi; possibile imposizione da parte della Conferenza di misure di mitigazione ambientale e compensazione; necessità di allegare alla richiesta l impegno di una compagnia di assicurazioni a rilasciare, in caso di autorizzazione, adeguata copertura assicurativa; prestazione di idonee garanzie a favore della Regione prima dell inizio dei lavori; necessità di una distanza di almeno 10 km tra impianti di potenza superiore a 10 MW. La sentenza è stata impugnata con l atto di appello all esame dalla soccombente Amministrazione regionale la quale ne ha chiesto l annullamento previa sospensione dell esecutività. Con ordinanza n. 434 del 30 aprile 2010 questo Consiglio ha sospeso l esecutività della sentenza impugnata. All udienza dell 8 giugno 2011 l appello è stato trattenuto in decisione. D IRITTO Premesse. Al fine di enucleare i tratti salienti della controversia in esame deve ricordarsi che con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. Palermo: a) ha qualificato il Piano Energetico Ambientale Regionale Siciliano - P.E.A.R.S. approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. l del 3 febbraio 2009 come atto avente natura regolamentare; b) ne ha dichiarato l inapplicabilità, in virtù del generale principio di irretroattività delle norme regolamentari, alle richieste di autorizzazione alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o alternative presentate prima dell approvazione del Piano stesso, come quella della società appellata; c) ha tuttavia scrutinato la coerenza di alcune previsioni del Piano rispetto alla normativa primaria statale ed ha annullato le numerose prescrizioni indicate nelle premesse. Con il primo motivo di impugnazione l Amministrazione evidenzia l errore in cui è incorso il T.A.R. allorchè ha qualificato l intero P.E.A.R.S. come atto regolamentare. Oltre che delle Linee Guida dettate dalla Giunta, delle quali è sostanzialmente pacifica la natura regolamentare, il Piano consta infatti di un documento (elaborato con il contributo di vari Dipartimenti Universitari) che affronta l intero spettro delle problematiche relative allo sviluppo della domanda e offerta di energia elettrica in ambito regionale in chiave programmatoria e dunque con valenza essenzialmente con formativa. Le considerazioni svolte dall Amministrazione appellante sono condivisibili ma risultano in definitiva non rilevanti: è infatti evidente, a giudizio di questo Collegio, che la sentenza di primo grado al di là di indubbie genericità terminologiche ha ad oggetto esclusivo le Linee Guida approvate dalla Giunta in sostituzione delle Linee Guida contenute nell allegato A al progetto di P.E.A.R.S. sottoposto alla Giunta stessa dal competente Assessore. In sostanza, il presente giudizio concerne esclusivamente dette Linee Guida, e cioè l atto avente indiscussa valenza normativa, e non il P.E.A.R.S. inteso quale documento programmatorio. 125

142 Con il secondo motivo l Amministrazione sostiene che erra la sentenza impugnata nel ritenere le Linee Guida inapplicabili alle istanze proposte prima della loro entrata in vigore. Salvo quanto si osserverà in seguito, questo mezzo è da ritenersi fondato in base alla regola della immediata applicabilità nel procedimento in corso della norma sopravvenuta. In ossequio al principio tempus regit actum ciascuna fattispecie deve realizzarsi nell osservanza della norma vigente al momento in cui questa si perfeziona, con la conseguenza che ciascuno degli atti che si susseguono nella sequenza procedimentale deve essere posto in essere nel rispetto della norma vigente al momento dell emissione. Pertanto l atto finale del procedimento cioè l autorizzazione in difetto di norme transitorie deve essere adottato nel rispetto di quanto previsto dal nuovo regolamento, risultando irrilevante sotto questo specifico profilo (e impregiudicate eventuali questioni risarcitorie derivanti dalla pretesa inosservanza dell originario termine di conclusione del procedimento) l affidamento maturato dal titolare dell interesse pretensivo alla luce del vecchio quadro normativo. Del resto, come esattamente rilevato dall Avvocatura, anche le c.d. Linee Guida statali (D.M adottato ai sensi dell art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003) risultano generalmente applicabili ai procedimenti in corso, con obbligo del proponente di integrare la documentazione originariamente presentata ( cfr. punto 18.6 disposizioni transitorie). A questo punto, restano assorbite tutte le osservazioni svolte dall appellante Amministrazione in ordine all errore in procedendo in cui è incorso il TAR allorchè ha inteso comunque scrutinare le singole disposizioni del Piano, pur avendone decretato l inapplicabilità alle iniziative della ricorrente. È infatti evidente che la sentenza impugnata (richiamando il criterio legittimante dell operatore di settore che sembra assolutamente non pertinente alla fattispecie) non si è data cura di verificare adeguatamente se la ricorrente vantasse un interesse processualmente qualificato all ulteriore impugnazione di norme a lei non applicabili. E però, una volta qui stabilita l applicabilità del regolamento alle iniziative non ancora valutate dalla Conferenza, da un lato la richiamata questione processuale perde ogni rilevanza; dall altro lo scrutinio delle singole disposizioni impugnate viene ad imporsi trattandosi diversamente da come sostiene l Avvocatura di norme impugnabili direttamente a causa del loro contenuto analitico e immediatamente precettino. Normativa sopravvenuta e suoi effetti. Tanto premesso in ordine all originaria natura e alla immediata applicabilità con conseguente diretta impugnabilità delle Linee Guida regionali, deve rilevarsi che nelle more della definizione del presente giudizio d appello è entrata in vigore la legge della Regione Sicilia 12 maggio 2010, n. 11 la quale così dispone all art. 105, comma 5: «Il Presidente della Regione disciplina con proprio decreto le modalità di attuazione nel territorio della Regione degli interventi da realizzarsi per il raggiungimento degli obiettivi nazionali, derivanti dall applicazione della direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001, del Parlamento e del Consiglio pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell Unione europea serie 283 del 27 ottobre 2001, e nel rispetto del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 di recepimento della predetta direttiva. Tale decreto definisce, altresì, le misure di cui all articolo 1, commi 4 e 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 ed è adottato nella forma prevista dall articolo 12 dello Statuto regionale, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Fino alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, trova applicazione il D.P.Reg. 9 marzo 2009, di emanazione della Delib. G.R. 3 febbraio 2009, n. 1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 27 marzo 2009, n. 13». Per effetto delle norme trascritte e del rinvio recettizio in esse contenuto le Linee Guida al P.E.A.R.S. risultano sostanzialmente legificate, secondo quanto esattamente sostiene l Avvocatura. Per cui, premessa come si è visto la perdurante applicabilità delle Linee Guida all iniziativa della società appellata e preso atto del sopravvenuto recepimento a livello normativo superiore dell originaria fonte regolamentare, questo Collegio dovrebbe limitarsi ad accogliere l appello dell Amministrazione e ad annullare la sentenza impugnata, essendo evidente, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, l impraticabilità di un sindacato di legittimità amministrativa nei confronti di un atto normativo primario. Le questioni di legittimità costituzionale: loro rilevanza. Come chiarito dalla Corte costituzionale ( cfr. ad es. sentenza n. 241 del 2008) con riferimento all ipotesi affine delle leggi provvedimento (volte cioè a legificare scelte che di regola spettano all autorità amministrativa) la tutela dei soggetti incisi da tali atti viene infatti a connotarsi, stante la preclusione di un sindacato da parte del giudice amministrativo, secondo il regime tipico dell atto legislativo adottato, trasferendosi dall ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale. Dovendo, nel senso anzi detto, fare applicazione dell art. 105 della legge regionale n. 11 del 2010, questo Collegio riconosce (in linea generale e salvo quanto poi si dirà) la fondatezza delle critiche svolte dall appellante Amministrazione alla sentenza impugnata. 126

143 Per quanto riguarda l obbligo di documentare la disponibilità giuridica dell area nella quale installare l impianto (punto 2 lettera b) delle Linee Guida regionali), tale disponibilità può essere infatti comprovata da un titolo idoneo alla costruzione, ovvero in alternativa dalla richiesta di dichiarazione di pubblica utilità delle opere connesse e di apposizione del vincolo preordinato all esproprio, corredata dalla documentazione riportante l estensione, i confini ed i dati catastali delle aree interessate ed il piano particellare ( cfr. ora in tal senso Allegato I punto lettere e) e d) D.M ). Per quanto riguarda l impegno del gestore della Rete nazionale a connettere l impianto da autorizzare, l obbligo legale di questi a contrarre incontra l ovvio limite della potenzialità tecnico-ricettiva delle linee esistenti. Quindi (salvo l obbligo del gestore di attivare i procedimenti per il potenziamento della rete in vista dell immissione dell energia prodotta da impianti non inseriti nei programmi di connessione: cfr. ora art. 4, comma 4, d.lgs. n. 28 del 2011) nessuna utilità funzionale potrebbe avere un progetto di impianto se non viene garantita la possibilità di immettere al consumo l energia da questo prodotta. Per quanto riguarda i compiti della Soprintendenza, questo Consiglio ha già chiarito che tale Organo deve partecipare alla Conferenza dei servizi indetta per il rilascio dell autorizzazione unica e per la necessaria valutazione di impatto ambientale degli impianti eolici (C.G.A. n. 295 del 2008). Per quanto riguarda le misure di eventuale compensazione ambientale, la relativa previsione delle Linee Guida in quanto ora legificata rientra nella competenza regionale ( cfr. Corte cost. sentenza n. 282 del 2009) e rispetta il divieto legale di individuare la Regione quale diretta beneficiaria di eventuali monetizzazioni. Per quanto riguarda la mitigazione dell impatto ambientale, essa non è affatto vietata dalla legge statale che anzi implicitamente la presuppone: la compensazione, ora consentita, è concepibile infatti solo presupponendo la impossibilità di mitigare direttamente con opportuni interventi l impatto ambientale dell impianto. Tanto chiarito, il Collegio dubita invece della legittimità costituzionale di alcune sottoelencate disposizioni contenute nelle più volte citate Linee Guida e ritiene dimostrata, alla luce di quanto sopra osservato, la rilevanza delle relative questioni. Infatti l annullamento della sentenza impugnata per effetto della legificazione delle norme regolamentari da essa annullate presuppone la legittimità costituzionale sui punti che ora si esamineranno della norma legificante. Quanto sopra con la precisazione che ovviamente le problematiche che si ritiene di poter sottoporre al Giudice delle leggi sono solo quelle concretamente controverse nel presente giudizio, dovendosi invece ritenere irrilevante ogni pur possibile dubbio di costituzionalità riguardante profili delle Linee Guida non evocati in questa fase del giudizio (quale ad esempio quello della priorità dell esame delle iniziative a filiera interamente regionale). Le questioni di legittimità costituzionale: non manifesta infondatezza. In tale prospettiva, si reputa necessario premettere alcuni sintetici rilievi sulle competenze legislative della Regione Sicilia in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili. Come osservato dal T.A.R., per costante giurisprudenza della Corte consolidatasi a partire dalla sentenza n. 383 del 2005, la materia in oggetto è riconducibile alla «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia» ed è quindi oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell art. 117 comma terzo della Costituzione. Ciò vale, ai sensi dell art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche per le Regioni il cui Statuto speciale non contempli l indicato ambito materiale (Corte cost. sentenza n. 168 del 2010). A giudizio di questo Collegio è questo il caso anche della Regione Sicilia: non può infatti condividersi (vista l indissolubile connessione nel settore tra le attività di produzione e quelle di distribuzione dell energia nella rete nazionale) quanto sostiene l Avvocatura circa la possibilità di ricondurre la materia in esame anche a quella dell industria e commercio, oggetto di competenza legislativa esclusiva regionale ai sensi dell art. 14 comma primo lettera d) dello Statuto Regionale. Quindi la competenza legislativa esercitata dalla Regione quando con l art. 105 più volte citato ha recepito a livello primario le Linee Guida regolamentari è di tipo concorrente, come tale subordinata al rispetto dei principi sanciti in subiecta materia dall art. 12 del d.lgs. n. 387 del Ciò premesso, viene in primo luogo in rilievo la lettera d) del punto 2 delle Linee Guida che impone di allegare alla richiesta di autorizzazione la dichiarazione da parte di primaria Compagnia di assicurazione della disponibilità alla copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura elettrica all ente gestore di rete. Il T.A.R. ha annullato tale prescrizione rilevando che la stessa non appare funzionale alla tutela di un interesse pubblico di cui sia titolare la Regione. 127

144 Sostiene l Avvocatura appellante che invece la previsione è adeguatamente finalizzata a garantire la serietà dell iniziativa da autorizzare, in un contesto territoriale e produttivo esposto a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata o fenomeni di intermediazione da parte di società di comodo (c.d. sviluppatori). Al riguardo osserva il Collegio che la disposizione in rassegna per un verso esorbita effettivamente oltre che dalle competenze legislative regionali come divisate dall art. 14 dello Statuto dalle attribuzioni autorizzatorie che l art. 12 demanda alle Regioni; per l altro impinge direttamente nell ambito dei rapporti contrattuali tra produttori di energia e gestore della rete, disciplinato in modo uniforme a livello nazionale. Conseguentemente, deve ritenersi che l art. 105 della legge regionale n. 11 del 2010, nel recepire il punto 2 lettera d) delle Linee Guida. risulti in contrasto con l art. 14 dello Statuto Regionale e con l art. 117 comma secondo della Costituzione (che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell ordinamento civile) nonché con lo stesso art. 117 comma terzo nella parte in cui demanda alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia». Viene poi in considerazione il punto 10 delle Linee Guida che impone al soggetto autorizzato di rilasciare, anteriormente all inizio dei lavori e pena l inefficacia dell autorizzazione, idonee garanzie a favore della Regione. Il T.A.R. ha annullato tale disposizione ritenendola viziata per assoluta indeterminatezza, non essendo chiaro quale tipologia di garanzia sia richiesta e rispetto a quale parametro possa valutarsene la congruità. Secondo l appellante Avvocatura la previsione corrisponde all esigenza di garantire l effettiva realizzazione dell impianto autorizzato. Al riguardo osserva il Collegio che la disposizione in rassegna (oltre a demandare alla Regione un apprezzamento irragionevolmente discrezionale) esorbita effettivamente dalle competenze autorizzatorie che l art. 12 demanda alle Regioni. Inoltre la disposizione subordina l efficacia del titolo ad un adempimento contrattuale da parte del beneficiario (la prestazione di garanzia in favore della Regione autorizzante) non previsto a livello nazionale e del quale non si comprende la finalità. Conseguentemente, deve ritenersi che l art. 105 della legge regionale n. 11 del 2010, nel recepire il punto 10 delle Linee Guida, risulti anch esso in contrasto con l art. 3 della Costituzione, con l art. 117 comma secondo (che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell ordinamento civile) nonchè con lo stesso art. 117 comma terzo nella parte in cui demanda alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia». Viene da ultimo in rilievo il punto 21 delle Linee Guida (Limiti di potenza e distanze) secondo il quale Gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 MW devono essere realizzati ad una distanza l uno dall altro non inferiore a 10 KM o, comunque, a distanza congrua sulla base di adeguata motivazione. Secondo il T.A.R. che ha annullato la disposizione perchè viziata per eccesso di potere e disparità di trattamento il criterio adottato in merito alle distanze minime non risulta ancorato ad alcun plausibile parametro scientifico. Sostiene l Avvocatura che, al contrario, tale criterio elaborato dalla Regione nell esercizio dei suoi poteri conformativi e programmatori e legificato nell ambito della potestà legislativa esclusiva in tema di protezione del paesaggio conferitale dall art. 14 comma 1 lettera n) dello Statuto mira ragionevolmente a conseguire obiettivi di sostenibilità tecnica e territoriale di impianti che per la loro invasività non possono essere concentrati su un area ristretta del territorio. Al riguardo osserva il Collegio in primo luogo che la individuazione della distanza minima, come statuito dalla sentenza appellata, non risulta effettuata sulla scorta di criteri predefiniti, idonei a dimostrarne l effettiva ragionevolezza e congruità. In disparte tale profilo, è noto che in base al comma 10 dell art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 l indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti poteva avvenire solo sulla base di Linee Guida approvate nella Conferenza unificata, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali. Come più volte chiarito dalla Corte costituzionale, l emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell ambiente. 128

145 Ne consegue che l individuazione in un momento in cui le linee guida nazionali non erano state adottate di criteri di distribuzione territoriale preclusivi all installazione di impianti eolici e fotovoltaici, non ottemperando alla necessità di ponderazione concertata degli interessi rilevanti in questo ambito in ossequio al principio di leale cooperazione, risulta in contrasto con l art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del Conseguentemente, a giudizio di questo Collegio, deve ritenersi che l art. 105 della legge regionale n. 11 del 2010, nel recepire il punto 21 delle Linee Guida, risulti in contrasto, oltre che con l art. 3 della Costituzione, soprattutto con l art. 117 comma terzo della Costituzione nella parte in cui demanda alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell energia». Conclusivamente va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per contrasto nei sensi di cui in motivazione con gli artt. 3 e 117 commi secondo e terzo della Costituzione nonchè con l art. 14 dello Statuto della Regione Sicilia approvato con R.D.L. 15 maggio 1946 n. 455 dell art. 105 della legge della Regione Sicilia 12 maggio 2010 n. 11 di legificazione delle Linee Guida al P.E.A.R.S. approvate con deliberazione della G.R. n. 1 del 3 febbraio 2009, nella parte in cui esse prevedono: alla lettera d) del punto 2 l obbligo di allegare alla richiesta di autorizzazione la dichiarazione da parte di primaria Compagnia di assicurazione della disponibilità alla copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura elettrica all ente gestore di rete; al punto 10 l obbligo per il soggetto autorizzato di rilasciare, anteriormente all inizio dei lavori e pena l inefficacia dell autorizzazione, idonee garanzie a favore della Regione; al punto 21 che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 MW devono essere realizzati ad una distanza l uno dall altro non inferiore a 10 KM o, comunque, a distanza congrua sulla base di adeguata motivazione. P. Q. M. Visti gli artt. 134 e 137 della Costituzione e l art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per contrasto nei sensi di cui in motivazione con gli artt. 3 e 117 commi secondo e terzo della Costituzione nonchè con l art. 14 dello Statuto della Regione Sicilia approvato con R.D.L. 15 maggio 1946 n. 455 dell art. 105 della legge della Regione Sicilia 12 maggio 2010 n. 11 di legificazione delle Linee Guida al P.E.A.R.S. approvate con deliberazione della G.R. n. 1 del 3 febbraio 2009, nella parte in cui esse prevedono: alla lettera d) del punto 2 l obbligo di allegare alla richiesta di autorizzazione la dichiarazione da parte di primaria Compagnia di assicurazione della disponibilità alla copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura elettrica all ente gestore di rete; al punto 10 l obbligo per il soggetto autorizzato di rilasciare, anteriormente all inizio dei lavori e pena l inefficacia dell autorizzazione, idonee garanzie a favore della Regione; al punto 21 che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 MW devono essere realizzati ad una distanza l uno dall altro non inferiore a 10 KM o, comunque, a distanza congrua sulla base di adeguata motivazione; dispone l immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio sino all esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale; dispone, altresì, che la presente ordinanza sia notificata a cura della Segreteria, alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Palermo l 8 giugno 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana. Il Presidente: VIRGILIO L estensore: ANASTASI 12C

146 N. 84 Ordinanza del 17 ottobre 2011 emessa dal Tribunale di Velletri nel procedimento civile promosso da Mannucci Luigi contro Banca Popolare del Lazio Soc. coop. a r.l. Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate in conto corrente - Diritti nascenti dall annotazione in conto - Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell annotazione - Previsione in via di interpretazione autentica dell art del codice civile - Contestuale esclusione della restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del Violazione dei principi di certezza del diritto e di ragionevolezza - Violazione dei limiti all adozione di leggi interpretative o retroattive - Ingiustificato trattamento di favore per le banche - Ingiustificata restrizione della ripetibilità dell indebito, con disparità di trattamento fra i titolari dei relativi crediti - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti ed invasione ingiustificata delle prerogative della Magistratura ordinaria - Violazione della tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese - Incidenza sul potenziale diritto delle banche alla restituzione delle somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente - Contrasto con il divieto di ingerenza del legislatore nell amministrazione della giustizia (salvo che per motivi imperativi di interesse generale), sancito a garanzia dell equo processo dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte di Strasburgo - Conseguente inosservanza di vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61, aggiunto dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. Costituzione, artt. 3, 24, 41, 47, 102 e 117, primo comma, in relazione all art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n IL TRIBUNALE Ordinanza rimessione alla Corte costituzionale, ai sensi degli articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. PROC: 1574/2008 R.G., tra Mannucci Luigi, rappresentato e difeso da sé medesimo e dall avv. Alessandra Gallini, parte attrice, e Banca Popolare del Lazio Soc. coop. a r.l., rappresentato e difeso dall avv. Antonio Giovannoni, parte convenuta. Il Giudice unico dott. Maurizio Colangelo ha emesso la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 1574/2008 R.G., avente ad oggetto: azione di ripetizione di somme indebitamente percepite in rapporto di conto corrente bancario, declaratoria della capitalizzazione degli interessi trimestrali, restituzione somme in relazione alla clausola massimo scoperto ed altro. Svolgimento del processo. Con atto di citazione, l attore conveniva in giudizio l odierno convenuto, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni:«voglia il Giudice adito, in via principale, previo accertamento e declaratoria della nullità delle clausole contrattuali impugnate, condannare la banca convenuta alla rifusione delle seguenti somme: a) euro ,73, a titolo di capitalizzazione trimestrale; b) euro 1.671,69, a titolo di massimo scoperto, e così complessivamente euro ,42, o quella maggiore o minore di giustizia, oltre interessi legali a partire dalle singole scadenze e rivalutazione monetaria. Deduceva parte attrice l illegittimità delle capitalizzazioni trimestrali su interessi passivi, poiché in violazione sia con l art del codice civile sia per la nullità, ravvisata anche per il periodo anteriore, rispetto al mutamento di giurisprudenza, perché in contrasto con una norma imperativa, tenendosi conto che l art. 25, comma 3, decreto legislativo n. 342/1999 (che conservava in via transitoria la validità ed efficacia dei patti anteriori alla riforma) è stato dichiarato illegittimo dalla Consulta con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000; la declaratoria della nullità travolge l intera pattuizione, comportando la integrale restituzione delle somme indebitamente percepite. Parte attrice deduceva, inoltre, l illegittimità dello «ius variandi» poiché la relativa pattuizione violava il disposto dell art del codice civile che prevedeva la necessità della forma scritta per la determinazione del tasso di interesse ultralegale e per la violazione dell art del codice civile per la indeterminabilità dell oggetto del contratto. 130

147 Deduceva parte attrice l illegittimità della clausola relativa alle commissioni massimo scoperto operate sul conto corrente n acceso in data 23 giugno 1988 e successivamente estinto in data 10 giugno Deduceva, inoltre, l illegittimità del computo dei diversi giorni valuta, perché pratica che consente alla banca di lucrare maggiori competenze nei conti creditori. Parte convenuta depositava comparsa di costituzione e risposta e relativo fascicolo, ove sollevava una serie di eccezioni. Instaurato regolarmente il contraddittorio, la banca eccepiva in via preliminare: a) la nullità dell atto di citazione per genericità ed indeterminatezza dei fatti costitutivi posti a base della domanda e nel merito tempestivamente eccepiva; b) la prescrizione decennale dell azione di ripetizione dell indebito in quanto decorrente il periodo prescrizionale dalla data di annotazione di ogni singola posta contestata, per «ius superveniens», in relazione alla legge 26 febbraio 2011, n. 10, Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011 supplemento ordinario n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d. Milleproroghe) ed in particolare con l art. 2, comma 61, ove si sanciva che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge; c) deduceva, peraltro, l avvenuta decadenza dalla contestazione degli estratti conto, atteso che il correntista, pur avendoli ricevuti periodicamente, non li aveva mai impugnati entro il termine di sessanta giorni di cui all art. 119 del testo unico n. 385/1993; d) affermava, inoltre, la legittimità delle pattuizioni e delle consequenziali annotazioni in conto corrente relative alla capitalizzazione periodica degli interessi passivi e alla commissione di massimo scoperto, per cui concludeva per il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio. Veniva celebrata la prima udienza del 25 giugno 2008, rinviata al 10 dicembre 2008, ove la parte attrice si riportava ai propri scritti difensivi e la convenuta si costituiva in giudizio con deposito rituale di fascicolo di parte. Veniva rinviata la causa, riservato ogni provvedimento in ordine alla richiesta di parte e, a scioglimento della medesima, il Giudice unico concedeva i termini di cui all art. 183, comma 6 codice di procedura civile e differiva l udienza alla data del 15 giugno 2009, ove si riservava sulle eccezioni di parte convenuta e, a scioglimento della riserva, rimetteva la parte attrice nei termini per deposito note ex art. 183 e differiva l udienza al 10 marzo 2010 per l ammissione dei mezzi di prova. Alla summenzionata udienza le parti aderivano all astensione e si differiva al 28 settembre 2010 e al 15 dicembre 2010, ove le parti rassegnavano le proprie conclusioni e si differiva al 23 maggio 2011 per i medesimi incombenti. A tale udienza l odierno Giudice unico, che ha preso in carico il procedimento, tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini di cui all art. 190 del codice di procedura civile e le parti depositavano ritualmente memorie conclusionali e repliche. La parte attrice, nella sostanza, ha rilevato che alla norma dell art. 2, comma 61 riferita alla legge 26 febbraio 2011, n Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011 supplemento ordinario n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d. Milleproroghe), richiamando, peraltro, una serie di pronunce della giurisprudenza di merito, oltre alla nota sentenza del Supremo collegio a sezioni unite (n ) non sarebbe attribuibile un qualsivoglia effetto retroattivo della norma in parola, rilevando che «in subiecta materia» l articolo avrebbe solo una funzione dispositiva e non interpretativa, per cui la stessa, secondo i principi generali dell ordinamento giuridico (ex art. 12 disp. prel. leggi del codice civile) sarebbe applicabile solo per il futuro e non per le situazioni preesistenti. Inoltre sarebbe stato violato anche il principio di certezza del diritto con la suindicata disposizione, delimitando la precipua funzione nomofilattica o di nomofilachia volta a «garantire l esatta osservanza e l uniforme interpretazione della legge, l unità del diritto oggettivo nazionale» che l art. 65 della legge sull ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12), attribuisce alla Corte suprema di cassazione, e sovvertendo i principi sanciti dalla massima a sezioni unite del Supremo collegio (n /2010) la quale indicherebbe, esclusivamente, che il pagamento avverrebbe solamente dalla chiusura del conto e non con l annotazione. Da ciò ne conseguirebbe, sulla scorta dell art del codice civile che solo al momento della chiusura del conto corrente sorgerebbe il diritto di ripetere ciò che si è pagato e solo da quel momento decorrerà il termine di prescrizione per azionare la pretesa. Diversamente opinando la parte convenuta ha sollevato la piena applicabilità della disposizione surrichiamata, sostenendo che essa debba essere, sulla scorta della lettura della norma, applicata alle situazioni giuridiche preesistenti ed in particolare rilevando che il pagamento dell attore comunque sarebbe già stato effettuato ed il giudizio avrebbe natura di mero giudizio di accertamento di un eventuale credito di natura restitutoria e come tale seguirebbe le indicazioni normative formulate dalla surrichiamata disciplina, a titolo di «ius superveniens», sotto il profilo della prescrizione e decadenza. 131

148 Deduceva, inoltre, parte convenuta che l art. 2, comma 61 aveva tutti i presupposti della chiarezza della norma e determinava, nel suo contenuto precettívo, la immediata applicabilità retroattiva. Questo Giudicante, nella sua precipua funzione di «Giudice a quo» ritiene che, prima di analizzare tutti gli elementi di merito indicati dalle parti, si debba pregiudizialmente e preliminarmente, risolvere il nodo della legittimità della norma in oggetto, quale l art. 2, comma 61 riferita alla legge 26 febbraio 2011, n Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d. Milleproroghe) e se essa ha una funzione dispositiva o, alla stregua dei principi delle norme esistenti nel nostro ordinamento, sia di natura autentica e interpretativa e come tale abbia efficacia retroattiva. L esegesi di tale disposizione normativa impone all odierno Giudicante di dirimere, pertanto, previa sospensione dell odierno procedimento, la questione solo rimettendola alla curia regolatrice delle leggi, sulla scorta dei parametri offerti dalla nostra Carta costituzionale e dai principi offerti dalle norme pattizie che offrono degli strumenti mediati per l applicazione e la verifica del parametro costituzionale violato. Il Tribunale, nella persona dell odierno Giudicante, ritiene sussistenti i presupposti per sollevare d ufficio questione di legittimità costituzionale dell art. 2, limitatamente al comma 61 riferita alla legge 26 febbraio 2011, n Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d. Milleproroghe), in quanto unica disposizione applicabile alla fattispecie in esame. Rimessione della questione pregiudiziale alla Corte costituzionale. Sulla non manifesta infondatezza della questione - questioni di diritto: nel presente giudizio civile la questione preliminare di legittimità costituzionale dell impugnata norma è rilevante e non manifestamente infondata in quanto dalla decisione della stessa dipende il contenuto della pronuncia che questo Giudicante si è riservato di prendere sulle richieste della difesa delle parti e più in generale sull istruzione della causa. Questo Giudicante ritiene che, allo stato, si debba, previa sospensione dell odierno procedimento, rimettere la questione preliminare e pregiudiziale in ordine alla legittimità o meno della norma dell art. 2, comma 61, legge 26 febbraio 2011, n Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario n. 53, che ha convertito il decretolegge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d. Milleproroghe), anche alla stregua del recente orientamento giurisprudenziale della Suprema corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza n /2010 ed in relazione ai principi di ordine sistematico che informano il nostro ordinamento giuridico, in materia di fonti del diritto. Il testo della norma surrichiamata, per il quale si chiede l intervento della curia regolatrice delle leggi, così recita: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l art del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge» (per facilità di comprensione e reperimento vedansi art. 2, comma 61 del testo del decretolegge 29 dicembre 2010, n. 225, coordinato con le modifiche apportate con la legge di conversione 26 febbraio 2011, n. 10, secondo il testo redatto dal Ministero della giustizia ai sensi degli articoli 10, comma 2 e 3 e 11, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana). Pertanto, punto di partenza del diritto di ripetizione dell indebito è l individuazione del momento in cui, nelle operazioni regolate in conto corrente bancario, si verifica il pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi anatocistici ed ultralegali, indebite commissioni di massimo scoperto trimestrale, indebite valute fittizie e spese forfettarie. A questa domanda hanno risposto le sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza 2 dicembre 2010, n , la quale ha sancito: «Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati». Pertanto le S.U. hanno ineccepibilmente individuato nell estinzione del saldo di chiusura il momento in cui si verifica il pagamento dell indebito e dal quale nasce il diritto di ripetizione e, dunque, il momento dal quale decorre il termine prescrizionale, così come previsto dall art del codice civile, anche con l interpretazione imposta dall art. 2, comma 61, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, per la ripetizione dell indebito. 132

149 Le conclusioni rassegnate da parte attrice sono in questa direzione, quindi proprio con riferimento ai recenti orientamenti giurisprudenziali, che ricollegano il «dies a quo» dalla chiusura del conto. Presupposto, per la decorrenza del termine prescrizionale, secondo le sezioni unite, quindi è il pagamento e non l annotazione, ricollegandosi ad essa una attività meramente materiale precipua della funzione degli istituti bancari. L annotazione in conto di una siffatta posta comporta solo un incremento del debito del correntista, o una riduzione dei crediti di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Per il resto, è noto che l estratto conto è considerato mero documento contabile, da cui discende che le operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l esecuzione di un unico negozio, da cui deriva il credito o il debito del cliente verso la banca. Pertanto, la mancata tempestiva contestazione dell estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano. Infatti, le contestazioni non possono coinvolgere il titolo contrattuale dell operazione, che è regolata dalle norme generali sui contratti, ma solo la conformità delle singole concrete operazioni ai patti ed alla realtà del loro andamento. Una contestazione dell estratto del conto non è specifica ove riguardi la vincolatività o meno del patto contrattuale che obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento che per tale contestazione è da ritenersi necessaria l impugnativa del contratto stesso. Dunque, la prescrizione dei diritti derivanti dalla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai quali le partite inserite nel conto derivano, ha come punto di riferimento non la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale. L azione di ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto. Solo con la chiusura del conto si ha un pagamento: prima non si può parlare di azione di ripetizione e non si può parlare di decorso di un diritto che viene a concretizzarsi, magari dopo trent anni all appostazione sul conto. Vi è più la circostanza, sostenuta, tra l altro da ampia giurisprudenza di legittimità e di merito (Vd. Cass. Civ. 2301/2004 e 1929/ Giurisprudenza di merito: Tribunale di Brescia 29 marzo 2011; Corte di appello Ancona 3 marzo 2011; Tribunale di Taranto emessa dalla dott.ssa Enrica Di Tursi, sentenza n. 445 del 3 marzo 2011, n. 445, e quella del Tribunale di Palmi del 4 marzo 2011) ha sancito che il termine per la ripetizione dell indebito decorre dalla chiusura del conto corrente ed essa si prescrive in dieci anni. Parte attrice, inoltre, richiama l irrilevanza della norma contenuta sul Milleproroghe, sotto il profilo della irretroattività di una norma sostanziale e, comunque, non processuale e non applicabile, conseguentemente a fatti e/o situazioni sorti precedentemente come nel caso di specie nella controversia che ci interessa. La norma dell art. 2, comma 61 (decreto Milleproroghe) ha effetto solo per l avvenire, trattandosi di norma di natura dispositiva e non interpretativa. Il disposto invocato, per altro verso, ha indubbia portata innovativa ma dispositiva, al di là della presunta natura meramente interpretativa non retroattiva, ditalché, anche a voler disattendere quanto appena detto, non potrebbe trovare applicazione la medesima norma in relazione alla presente controversia, trattandosi sì di norma sostanziale, ma che non può di certo introdurre, retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dall attore. L attore ha azionato la pretesa nei termini di legge, essendo il conto corrente n acceso il 23 giugno 1988 ed estinto in data 10 giugno 2002 ed aver ritualmente notificato l atto introduttivo del giudizio, interruttivo, tra l altro della prescrizione, il 7 marzo Infatti, non si potrebbe validamente sostenere che si sia prescritto il diritto di ripetere un versamento effettuato con un annotazione in conto risalente agli anni 88 e chiuso nell ipotesi nel 2002, quando solo in quell anno si è tecnicamente concretizzato il pagamento. Alla data dell annotazione si prescrivono solo ed esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile, ma non certo quelli derivanti dalle nullità negoziali originarie. Consolidata giurisprudenza della S.C. ha chiarito come non vada confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, regolato dagli articoli 1284 e 1283 codice civile, con la singola annotazione in conto che, in se e per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l approvazione dell estratto conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile, ma non anche l efficacia e la validità dei rapporti sostanziali. Sulla scorta delle suindicate premesse in diritto l odierno «Giudice a quo» indica le norme costituzionali violate, tali da considerare la questione non manifestamente infondata e tale da consentire un sindacato di legittimità della Suprema curia regolatrice delle leggi. 133

150 Violazione delle norme costituzionali. Le norme violate da tale disposizione sono gli articoli 3 (principi di uguaglianza e di ragionevolezza), 24 e 102 (diritto di tutela dei propri diritti davanti agli organi giurisdizionali ordinari), 41 e 47 (principi di libertà dell iniziativa economica privata e di tutela del risparmio) della Costituzione ancora, il principio del giusto processo, così come l art. 117 Cost., in materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale, con la sottoscrizione della CEDU. Violazione dell art. 3 Cost. - Violazione del principio di certezza del diritto e ragionevolezza della norma. La banca convenuta, infatti, in comparsa di costituzione ha tempestivamente eccepito la prescrizione dell azione di restituzione dell indebito proposta dall attore ai sensi dell art codice civile, per cui se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione decennale decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come di recente confermato da Cass. Civ. S.U. n /10) ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto (art. 2 -quinquies, comma 9 prima parte della impugnata legge), la conseguenza sarebbe l estinzione per prescrizione del diritto dell attore alla restituzione degli importi versati a titolo solutorio e annotati in data anteriore al 10 marzo 1998, vale a dire annotati oltre dieci anni prima della data di notificazione della richiesta giudiziale di restituzione dell indebito, che rappresenta il primo degli atti interruttivi della prescrizione risultante in atti. Inoltre, se la seconda parte della norma impugnata (... In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge») dovesse interpretarsi nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti (... nel caso la banca) può non restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011, anche se non dovuti, la conseguenza sarebbe il rigetto totale della domanda di restituzione dell attore, in quanto, il rapporto bancario in conto corrente è stato chiuso consensualmente dalle parti in data 10 giugno 2002, per cui i versamenti sono tutti antecedenti alla data di entrata in vigore della legge 26 febbraio 2011, n. 10. Infatti, se non fosse intervenuta la disposizione dell art. 2, comma 61, legge 26 febbraio 2011, n. 10, contenuta nel decreto Milleproroghe, per cui oggi si chiede un intervento non solo sulla questione di legittimità della medesima norma censurata, ma anche interpretativo della curia regolatrice delle leggi, condividendo, peraltro, questo Giudicante i principi di diritto sanciti dalla Corte di cassazione con la recente sentenza a sezioni unite n /2010, antecedente alla disposizione surrichiamata, non si sarebbe violato il principio supremo della certezza del diritto che, nella sua funzione nomofilattica, viene demandato, per legge, alla Suprema corte di cassazione e volta a «garantire l esatta osservanza e l uniforme interpretazione della legge, l unità del diritto oggettivo nazionale» secondo la previsione dell art. 65 della legge sull ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12). Come è noto, il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). Esaminando le norme interpretative, che il legislatore può validamente adottare, esse non possono violare i limiti generali all efficacia retroattiva delle leggi, che sono il presidio e la difesa dei diritti, oltre che dei principi costituzionali, e di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti proprio a rispetto dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento giuridico, tenuto conto anche dei principi di derivazione sovranazionale. Tra codesti principi emerge il rispetto del principio generale di ragionevolezza, il principio del divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, il principio della tutela dell affidamento legittimamente sorto nei soggetti per l effetto nomofilattico delle pronunce della Corte di cassazione, la coerenza e la certezza dell ordinamento giuridico, il rispetto e la non invasione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. Pertanto il legislatore per adottare, secondo gli insegnamenti della medesima curia regolatrice delle leggi, o prevedere una norma autentica e quindi con valore interpretativo deve esistere nel nostro ordinamento giuridico una incertezza di diritto o comunque un forte contrasto giurisprudenziale, che nel caso di specie non esiste. Inoltre, proprio, passando al merito della questione di legittimità costituzionale, l art. 3 della Costituzione è violato in quanto l impugnato provvedimento contraddittoriamente ed irragionevolmente riserva un ingiustificato trattamento di favore per le banche e gli altri enti creditizi, sulla scorta di un orientamento, peraltro minoritario, giurisprudenziale, che aveva varato una interpretazione favorevole alla norma dell art del codice civile, ma comunque disattesa 134

151 dalla recente sentenza del Supremo collegio con la sentenza n /2010 a sezioni unite, che ha sancito un vero e proprio principio di diritto, ove il «dies a quo» della prescrizione era stato indicato nella chiusura del conto e non dalla annotazione, considerato tale solo un elemento giustificativo contabile. Verrebbe, di fatto, cioè, cancellato, per atto dell esecutivo, un granitico principio di diritto consolidato in una massima del Supremo collegio che chiarisce in maniera inequivoca il «dies a quo» per la decorrenza del termine della prescrizione, sanando, peraltro, irragionevolmente e retroattivamente il progresso, senza distinzione alcuna in base al tempo di stipula del contratto, al contenuto del contratto, tra vizi genetici e vizi funzionali del rapporto di conto corrente, tra rapporti esauriti, rapporti in corso di esecuzione e rapporti per i quali pende giudizio, tra interessi corrispettivi e interessi moratori. Nello specifico, l impugnata norma, operando sui principi sanciti dalla norma dell art del codice civile, introduce anche una sanatoria di ben definiti ed individuabili rapporti di conto corrente, preesistenti rispetto all introduzione della norma dell art. 2, comma 61, che, di fatto, deroga al principio generale, sebbene non di rango costituzionale, della irretroattività delle norma di diritto sostanziale, così violando il principio costituzionale di uguaglianza. L impugnata disposizione, peraltro, restringe irragionevolmente, andando ben oltre le finalità del provvedimento, anche il campo d applicazione della norma dell art codice civile, derogando, eccezionalmente, a quest ultima norma in termini di decorrenza del termine e costituendo, in tal guisa, anche una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri titolari di crediti pecuniari derivanti dalle ripetizioni di somme indebitamente corrisposte. Né la sostanziale retroattività si spiega per la particolare natura della norma, sicuramente innovativa e solo apparentemente «di interpretazione autentica». Invero, un interpretazione proveniente dal legislatore si rende necessaria solo quando si determinano tra gli operatori del diritto contrasti in ordine al significato di una legge o alle sue conseguenze giuridiche, cosa non verificatasi per l art del codice civile. Anzi, la soluzione legislativa contrasta apertamente con l interpretazione unanimemente data dai Tribunali e dalle Corti della Repubblica, oltre alla recente sentenza a sezioni unite del Supremo collegio n /2010. La norma censurata, pertanto, anche in riferimento a quella che deve essere una funzione del Giudice remittente di interpretazione costituzionalmente orientata delle questioni da sottoporre al vaglio della curia regolatrice delle leggi (cf. Corte costituzionale ordinanze n. 191 del 2009, nn. 441, 440, 205 del 2008), deve essere considerata, sotto ogni profilo, di natura dispositiva e quindi qualificarla come una norma che disciplina le situazioni giuridiche successive all entrata in vigore della legge medesima, e non autentica e di natura interpretativa, con una efficacia retroattiva. Violazione dell art. 24 Cost. Le norme sulla prescrizione, come la norma in esame di cui all art del codice civile, pur avendo una natura sostanziale, producono i loro effetti sul piano processuale, atteso che invocando l effetto estintivo delle stesse è possibile impedire ai titolari di diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria. Ne consegue che, ove l impugnata norma si applicasse anche per il passato e ai giudizi in corso, si avrebbe non solo una violazione del principio di uguaglianza e un ingiustificata disparità di trattamento, ma anche una limitazione dell art. 24 della Costituzione, sotto il profilo della violazione dei diritti di tutela primari, oltre che un invasione ingiustificata delle prerogative proprie della magistratura ordinaria con violazione dell art. 102 della Costituzione. Violazione degli articoli 41 e 47 Cost. L impugnata norma realizza una patente violazione dei principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese, sancito dalla nostra Carta costituzionale, violandone, in tal guisa, gli articoli 41 e 47. La norma di cui si chiede l intervento della curia regolatrice delle leggi, riportata in una più ampia ed articolata legge denominata «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie», nella realtà eluderebbe lo spirito stesso della norma e la portata precettiva dell intero «corpus normativo», poiché più che supportare ed aiutare le famiglie e le imprese in grave stato di solvibilità ed economico, tenuto conto anche della crisi contingentata economica attuale, porterebbe a colpire non solo i diritti ma le legittime aspettative di essi, destinatari della legge, di percepire somme indebitamente contabilizzate dalla controparte durante lo svolgimento di rapporti in conto correnti e percepite in violazione di norme di ordine pubblico quale il divieto dell anatocismo (art del codice civile) e del decorso della prescrizione (art del codice civile) dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, prestando il fianco a comportamenti potenzialmente destinati ad essere illegittimi e fraudolenti. 135

152 La norma, di iniziativa governativa ed inserita con un maxi emendamento nel testo di un ennesimo decreto-legge c.d. Milleproroghe a pochi giorni dalla scadenza dello stesso, rischia di pregiudicare irrimediabilmente anche il diritto (n.d.r. potenziale) delle banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo finale di chiusura del conto. Le considerazioni sopra sviluppate valgono a maggior ragione riguardo alla seconda parte dell impugnata norma, vale a dire a quella sorta di norma transitoria la quale dispone che «... In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge». La suindicata norma risulta violativa di ogni diritto costituzionalmente garantito (articoli 24, 41, 47), la quale, senza null altro aggiungere e precisare, determina che chi (anche una banca) per sua sventura si trovi ad aver versato alla data del 27 febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10/2011) degli importi a credito in un rapporto regolato in conto corrente non può ottenerli «in ogni caso» in restituzione dal suo debitore. Violazione dell art. 117, primo comma, Cost., in relazione all art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n La suindicata norma internazionale, che sancisce il diritto ad un giusto processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale, impone al legislatore di uno Stato contraente, nell interpretazione della Corte europea dei diritti dell uomo di Strasburgo, di non interferire nell amministrazione della giustizia allo scopo d influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative d interesse generale». Il legislatore ha adottato una norma interpretativa, in presenza di differenti contenziosi sul nostro territorio, ma soprattutto successivamente alla pronuncia della Corte di cassazione a sezioni unite (n /2010), nettamente sfavorevole alle banche, ma che ha cristallizzato un principio chiaro e supremo affermando, attraverso simil massima,conseguentemente sia quella certezza di diritto sia del principio del giusto procedimento. Dalla lettura di tale disposizione normativa, oggi censurata, non è, invece, nella sua «ratio legis», dato rinvenire alcun tipo di evidente logica che fosse sussumibile nelle «ragioni imperative d interesse generale» che permettano di escludere la violazione del divieto d ingerenza. L art. 117, primo comma, Cost., ed in particolare l espressione «obblighi internazionali» in esso contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali anche diverse da quelle contemplate dagli articoli 10 e 11 Cost. Siffata problematica è stata oggetto di espresse pronunce della Corte costituzionale (sentenza nn. 348 e 349 del 2007). L art. 117, primo comma, Cost., è stato nuovamente riletto ed ha consentito di rinvenire un fondamento costituzionale anche all osservanza degli obblighi internazionali. Ne è derivato che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, è idoneo a dar luogo ad una violazione (mediata) dell art. 117, primo comma, Cost. D altra parte anche la Suprema corte di cassazione (cfr... sentenza Cass. Civ. Sez. U. n /2005), sotto questo profilo, riconoscerebbe l immediata precettività, ai fini della decisione e soluzione della controversia, delle disposizioni convenzionali stabilite dalla CEDU, conferendo, in sintesi, una più rilevante effettività e riconoscimento ai diritti fondamentali sviluppati nell ambito dello spazio giuridico Europeo. La nuova norma, allora, dell art. 117 Cost. prevede, nella sua riformulazione, che la legislazione statale e regionale sono tenute ad osservare oltre alla normativa comunitaria, nella formazione degli atti legislativi di propria competenza, anche i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Ne consegue che il Giudice comune ordinario deve interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale ed entro i limiti nei quali sia permesso dai testi delle norme, ma non è allo stesso consentito disapplicare una norma interna con prevalenza del diritto convenzionale, come invece è previsto in caso di contrasto con una norma comunitaria. In casi similari al Giudice ordinario è solo consentito, proprio in virtù della riformulazione del testo dell art. 117 Cost., sollevare la questione di contrasto della norma interna rispetto a quest ultima, dinanzi alla Corte costituzionale, ai fini della valutazione della sua legittimità. 136

153 Pertanto attraverso una procedura standardizzata di rinvio del diritto interno alle norme di rango superiore ossia alle norme internazionale giuridicamente pertinenti e rilevanti, attraverso la norma surrichiamata dell art. 117 Cost., è consentito al Giudice «a quo» interno di un paese della Comunità europea nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale. Ovviamente, la norma della CEDU non prevarrà nella sola ipotesi in cui la stessa, nell interpretazione data dalla Corte europea, si ponga in conflitto con altre norme della nostra Costituzione. Quando ricorra tale ipotesi, pure eccezionale, si deve escludere l operatività del rinvio alla norma internazionale e, dunque, la sua idoneità ad integrare il parametro dell art. 117, primo comma, Cost.; e, non potendosi evidentemente incidere sulla sua legittimità, comporta allo stato l illegittimità, per quanto di ragione, della legge di adattamento (principio sancito dalle pronunce delle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). Soltanto quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, come nel caso di specie, il Giudice comune il quale non può procedere all applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione deve sollevare la questione di costituzionalità (anche sentenza Corte costituzionale n. 239 del 2009), con riferimento al parametro dell art. 117, primo comma, Cost., ovvero anche dell art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta. In questo specifico caso, anche in virtù del carattere univoco della disposizione censurata, non si ritiene sia possibile un interpretazione della stessa conforme a quella convenzionale internazionale (art. 6 CEDU). Il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo sancito dati art. 6 della CEDU vietano l interferenza del legislatore nell amministrazione della giustizia destinata a influenzare l esito della controversia, fatta eccezione che per motivi imperativi di interesse generale («impérieux motifs d intérét général» si cita SCM Scanner de l Ouest ed autres c. France, sentenza del 21 giugno 2007, ric. n /03). Infatti secondo gli insegnamenti della statuizione giudiziale surrichiamata per esservi contrasto con l art. 117, primo comma, Cost. e, per suo tramite, con l art. 6, par. 1, CEDU, si ritiene che la norma censurata violi il divieto di ingerenza del potere legislativo nell amministrazione della giustizia «non essendo necessario, alla luce della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo che la disposizione retroattiva sia esclusivamente diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso, né che tale scopo sia stato comunque enunciato, essendo, invece, sufficiente a ritenere fondato il conflitto con l art. 6 della Convenzione europea che nel procedimento sia applicata la disposizione denunciata e lo stesso Stato sia parte nel giudizio e consegua, dall applicazione della norma come interpretata autentica». In tal senso si è pronunciata anche la Suprema corte di cassazione con ordinanza interlocutoria n del 4 settembre Orbene la curia regolatrice delle leggi (cf. sentenza n. 234 del 2007) ha sancito che «ad una norma può essere demandata funzione di natura interpretativa e quindi autentica, non potendosi considerare essa disposizione lesiva dei principi costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, giacché essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, in assenza, peraltro, di un diritto vivente». Nel caso di specie il diritto vivente è stato sancito con la sentenza delle sezioni unite del Supremo collegio (sentenza n. 2448/2010), in funzione nomofilattica ed ai sensi dell art. 65 della legge sull ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) che demanda alla medesima curia giudiziaria «l esatta osservanza e l uniforme interpretazione della legge, l unità del diritto oggettivo nazionale», eliminando qualsiasi equivoco interpretativo anche rispetto alle posizioni della giurisprudenza minoritaria antecedente. Oltretutto con la disposizione censurata, riconoscendole un valore autentico interpretativo e retroattivo rispetto alla sua funzione dispositiva, comporterebbe anche una «reformatio in malam partem» sotto il profilo della disparità patrimoniale ed economica rispetto ad altri titolari di crediti pecuniari. 137

154 Ed ancora... in virtù del suddetto orientamento (che trova i suoi precedenti nei casi Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994, e Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999) deve considerarsi violativa dell art. 6 CEDU, la prassi di interventi legislativi sopravvenuti, che modifichino retroattivamente, in senso sfavorevole per gli interessati, le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all epoca della modifica. Infine si richiama, ad ulteriore conferma della violazione della disposizione censurata rispetto ai parametri costituzionali, con riferimento all art. 6, par. 1 CEDU, la recentissima sentenza della seconda sezione della Corte di Strasburgo sul caso «Agrati + altri c. Italia», del 7 giugno del La massima soprarichiamata ha sancito un principio secondo il quale l intervento legislativo dello Stato italiano (in un caso di diritto del lavoro) non fosse giustificato da ragioni imperative di interesse pubblico, così da violare l art. 6 della Convenzione, in ogni caso, con tale statuizione si è sancito che l intervento normativo disposto dal legislatore nel regolamentare in maniera definitiva le controversie, si sostanziasse in una ingerenza nell esercizio del diritto di proprietà, così da violare l art. 1 del protocollo n. 1, per aver imposto un «onere eccessivo e anormale» ai ricorrenti, in tal modo rendendo sproporzionato il pregiudizio alla loro proprietà e rompendo il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse pubblico e la tutela dei diritti fondamentali individuali. La seconda sezione della Corte di Strasburgo, nell assumere siffatta decisione, ha invero ribadito le linee fondamentali della propria giurisprudenza cui, del resto, entrambe le Corti nazionali di ultima istanza avevano fatto necessario riferimento ricordando, in primo luogo, che: «se, in linea di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi già vigenti, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall art. 6 ostano, salvo che per ragioni imperative di interesse generale, all ingerenza del legislatore nell amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia (sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis, cit., 49, serie A n. 301-B; Zielinski e Pradal & Gonzales e altri cit., 57). (...) L esigenza della parità delle armi comporta l obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un sostanziale svantaggio rispetto alla controparte (vedi, in particolare, causa Dombo Beheer BV c. Paesi Bassi, dal 27 ottobre, 1993, 33, Serie A, No. 274, e Raffinerie greche Strati e Stratis Andreadis, 46). La Corte EDU ha, inoltre, precisato che, secondo la propria giurisprudenza, «un ricorrente può addurre la violazione dell art. 1 del protocollo n. 1 solo nella misura in cui le decisioni che contesta sono relative alla sua proprietà ai sensi della presente disposizione. La nozione di proprietà può concernere sia i beni esistenti che i valori patrimoniali, ivi compresi, in determinati casi ben definiti, i crediti. Affinché un credito possa considerarsi un valore patrimoniale, ricadente nell ambito di applicazione dell art. 1 del protocollo n. 1, è necessario che il titolare del credito lo dimostri in relazione al diritto interno, per esempio, sulla base di una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali. Una volta dimostrato, può entrare in gioco il concetto di legittimo affidamento» (Maurice c. Francia [GC], n /03, 63, CEDU 2005-IX). Ed, infine, puntualizzato che, grazie ad una conoscenza diretta della società e dei suoi bisogni, «le autorità nazionali sono in via di principio in una posizione migliore rispetto al giudice internazionale per determinare ciò che rientra nel concetto di pubblica utilità». Nel sistema di tutela istituito dalla Convenzione, le autorità nazionali devono quindi decidere per prime se esiste un interesse generale che giustifica la privazione della proprietà. Di conseguenza, esse dispongono di un certo margine di apprezzamento. La decisione di adottare una legislazione restrittiva della proprietà di solito comporta valutazioni di ordine politico, economico e sociale. Considerando normale che il legislatore disponga di un ampia libertà di condurre una politica economica e sociale, la Corte deve rispettare il modo in cui egli concepisce gli imperativi di «pubblica utilità» a meno che la sua decisione sia manifestamente priva di ragionevole fondamento (Presse Compania Naviera SA e altri c. Belgio, 20 novembre 1995, 37, Serie A, n. 332, e Broniowski c. Polonia [GC], n /96, 149, CEDU 2004-V). In linea generale, il solo interesse economico non giustifica l intervento di una legge retroattiva di convalida di misure restrittive della proprietà e quindi di valori patrimoniali quali i diritti di credito, come nel caso di specie riferito al procedimento sospeso. 138

155 Questa prassi, pertanto, può essere suscettibile di comportare una violazione patente, sulla scorta del paradigma costituzionale offerto dall art. 117, dell art. 6 della CEDU, risolvendosi in un indebita ingerenza del potere legislativo sull amministrazione della giustizia, anche per il mero fatto che non vi è alcuna giustificazione di rinvio a «motivi imperativi di interesse generale», tra l altro nemmeno elencati nelle norme oggetto di richiesta di pronuncia di costituzionalità. La medesima curia regolatrice delle leggi (cfr... Corte costituzionale sentenza nn. 392 e 393 del 2007) ha ribadito che un evidente contrasto tra i precetti sanciti da una norma interna e una norma convenzionale e quindi degli obblighi internazionali, menzionati dall art. 117 Cost., configura una grave violazione dei parametri costituzionali, operando, in tal guisa, una automatica remissione della questione dinanzi al Giudice delle leggi. Nell ipotesi di devoluzione della questione alla Corte, quest ultima dovrà verificare se le stesse norme CEDU, nell interpretazione della Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali equivalente a quella riferita ai principi incardinati nella nostra Carta costituzionale, rispettando quel giusto equilibrio e bilanciamento degli interessi, ancorché disciplinati da convenzioni internazionali. P.Q.M. Letti gli articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: 1) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del Giudice unico (GOT) dott. Maurizio Colangelo sospende il procedimento in corso; 2) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del Giudice unico (GOT) dott. Maurizio Colangelo promuove di ufficio, per i motivi enucleati nella parte dispositiva della odierna ordinanza di remissione degli atti alla ecc.ma Corte costituzionale, per violazione degli articoli 3, 24, 41, 47 e 102 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge 26 febbraio 2011, n. 10, di conversione con modificazioni del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, nella parte in cui all art. 1, comma 1, richiamando l allegato «Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225» ha introdotto nell ordinamento giuridico la seguente norma: «Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225: all art. 2 dopo il comma 19 sono aggiunti i seguenti commi:... ( omissis )... è stato aggiunto il «comma 61 che recita:... In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l art del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge». Per l effetto codesto Giudicante remittente sottopone alla valutazione della Suprema curia regolatrice delle leggi che, accertata la fondatezza delle questioni sopra narrate, dichiari la illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge nel solo significato difforme da Costituzione e, conseguentemente, emetta statuizione principale di fondatezza della questione di legittimità costituzionale in ordine alle violazioni dei parametri costituzionali operati dalla disposizione legislativa censurata e surrichiamata nel dispositivo, e conseguentemente adotti anche una sentenza interpretativa di accoglimento con formulazione di principio, dichiarando la irretroattività della disposizione, oggetto dell ordinanza di remissione; 3) ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata A) alle parti in causa; B) al Presidente del Consiglio dei ministri; C) nonché comunicata al Presidente del Senato; D) Presidente della Camera dei deputati; E) sia trasmessa alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. Velletri, addì 12 ottobre 2011 Il Giudice: COLANGELO 12C

156 N. 85 Ordinanza del 13 dicembre 2011 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Rina Services spa contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e 41. IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1468 del 2011, proposto da: Rina Services Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe M. Giacomini, Roberto Damonte e Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio dell ultima in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 349 Contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Stato, Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Conferenza Unificata, Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero per le Politiche Europee, Ministero dell Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Ministero dell Economia e delle Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero degli Affari Esteri, rappresentati e difesi dall Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, pubblicato in G.U. n. 288 del 10 dicembre 2010 Suppl. Ord. n. 270 in vigore dal 9 giugno 2011 avente ad oggetto Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE nella parte in cui all art. 66 (Partecipazioni azionarie) ha incluso tra i soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, anche quelli di cui all articolo 3, comma 1, lettere...ff) ossia gli organismi di certificazione: gli organismi di diritto privato che rilasciano i certificati del sistema di qualità conformi alle norme europee serie UNI EN ISO 9000 ; in via subordinata, all art. 357, co. 21, (Norme transitorie) prevede che In relazione all articolo 66, comma 1, le SOA, entro centottanta giorni dall entrata in vigore del presente regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettera ff), dandone comunicazione all Autorità ; nonché nella parte in cui all art. 64 (Requisiti generali e di indipendenza delle SOA) prescrive (comma 1) che la sede legale deve essere nel territorio della Repubblica e (comma 3) che Lo statuto deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione secondo le norme del presente titolo e di effettuazione dei connessi controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulla loro capacità operativa ed economico-finanziaria ; nonché per l annullamento di ogni atto, anche istruttorio o consultivo, preordinato o presupposto, conseguente o connesso e per l accertamento e la condanna delle amministrazioni intimate all integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l atto di costituzione in giudizio dell Avvocatura Generale dello Stato; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; 140

157 Relatore nell udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 1. La RINA SERVICES Spa espone di essere un ente accreditato alla certificazione di qualità UNI CEI EN tacente parte del Gruppo RINA, che svolge attività di certificazione, progettazione e validazione attraverso le proprie controllate aventi sede in tutto il mondo. Soggiunge che la SOA Rina Spa è una società organismo di attestazione, con sede in Genova, avente come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione nonché sulla loro capacità operativa ed economico-finanziaria, ai fini della qualificazione ex art /1994 (ora art. 40 d.lgs. 163/2006). Fa presente che SOA Rina è partecipata al 99% da RINA Spa ed all 1% da essa ricorrente. L art. 66 del d.p.r. 207/2010, regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs. 163/2006, ha esteso il divieto di partecipazione al capitale di una SOA anche ai soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettere b) e ff)..., ossia gli organismi di certificazione. L art. 357, co. 21, del predetto decreto detta la disciplina transitoria prevedendo un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria. L art. 64 dello stesso regolamento, inoltre, impone che gli organismi di attestazione debbano obbligatoriamente avere sede legale nel territorio della Repubblica, circostanza che impedirebbe alla SOA di cui la ricorrente detiene una quota azionaria di allocare la propria sede in altro Stato dell Unione Europea. Il ricorso è articolato nei seguenti motivi: Quanto al divieto di partecipazione al capitale SOA. Violazione e falsa applicazione dell art. 17, co. 1, /1988 e s.m.i. in relazione all art. 5, co. 3, d.lgs. 163/2006 e s.m.i. ed all art. 41 cost. Difetto assoluto dei presupposti. Lo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 luglio 2007 non prevedeva alcun divieto di partecipazione azionaria al capitale di una SOA per gli organismi di certificazione. Il parere espresso dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato nell adunanza del 17 settembre 2007 non aveva ritenuto di introdurre alcun divieto per gli enti certificatori di detenzione di quote sociali di SOA. Nel regolamento successivamente approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 21 dicembre 2007, il divieto di partecipazione al capitale di una SOA è stato esteso anche agli organismi di certificazione, sicché la rilevanza giuridica ed economica della modificazione apportata rispetto alla schema vagliato dal Consiglio di Stato ne rivelerebbe la sua illegittimità che si riverbererebbe sul testo del regolamento approvato con dpr 207/2010, atteso che il parere reso dal Consiglio di Stato sul nuovo schema di regolamento rinvierebbe ampiamente al precedente parere di cui costituirebbe il naturale completamento. La circostanza che il nuovo parere non si sia direttamente espresso sul divieto contestato con il ricorso, implicitamente rinviando al parere precedente, comporterebbe che il Consiglio di Stato non ha mai verificato la legittimità di tale disposizione. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, co. 3 e 4, d.lgs. 163/2006 e s.m.i. per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 cost. e del pertinente principio di riserva di legge e di libera iniziativa economica. Violazione dell art. 76 cost. e del principio dell esercizio della funzione legislativa. Sull inesistenza della presupposta necessaria fonte di rango legislativo. La disposizione regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 cost. secondo cui la libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati. Il codice dei contratti non prevederebbe né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA. Sul divieto di interpretazione estensiva o analogica del principio di cui all art. 41 Cost. Ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata deve essere interpretata restrittivamente. 141

158 Sulla violazione dell art. 76 cost. relativamente al principio dell esercizio della funzione legislativa. L art. 66, co. 1, d.p.r. 207/2010 avrebbe introdotto un divieto assolutamente nuovo rispetto al sistema legislativo previgente ed in contrasto con i principi e con l impianto in materia di SOA delineato dal codice degli appalti, per cui esorbiterebbe dai criteri direttivi imposti dal codice al fine di circoscrivere la discrezionalità attribuita al Governo dal legislatore. Eccesso di potere ed autonomia esistente tra attività di attestazione e di certificazione. L introduzione del divieto per gli organismi di certificazione di detenere quote sociali di SOA non soltanto non sarebbe previsto da alcuna fonte normativa sovraordinata di rango primario, ma sarebbe altresì manifestamente illogica e contraddittoria in ragione della ontologica diversità ed autonomia esistente tra attività di attestazione e di certificazione, le quali avrebbero effetti eterogenei. SOA ed ente di certificazione effettuerebbero i propri controlli su elementi distinti ed in modo totalmente diverso e la verifica effettuata dalla SOA sulla certificazione del sistema qualità sarebbe totalmente vincolata; la SOA, infatti, non avrebbe altro compito che quello di acquisire il certificato di qualità e verificarne i requisiti di validità formale, senza entrare nel merito del documento. La giurisprudenza comunitaria, in via generale, avrebbe affermato il principio secondo cui le situazioni di controllo tra società diverse andrebbero verificate in concreto, con conseguente illegittimità di tutte quelle forme precostituite di divieto poste esclusivamente in ragione di un qualche reciproco collegamento tra soggetti distinti. La ratio della disciplina comunitaria in materia di attività di certificazione sarebbe rappresentata dalla necessità di garantire l indipendenza e l imparzialità delle SOA e degli organismi di certificazione, sicché la facoltà conferita agli Stati membri di attribuire a determinati soggetti l attività di certificazione non potrebbe tuttavia risolversi in una violazione del principio di proporzionalità. Il divieto per un ente di certificazione di detenere una quota minoritaria del capitale sociale di una SOA costituirebbe un divieto eccessivamente rigoroso ed ingiustificato rispetto all obiettivo che il legislatore intenderebbe conseguire, vale a dire l autonomia e l indipendenza di giudizio. La verifica dell imparzialità andrebbe effettuata principalmente con riferimento all impresa da certificare/attestare. Ove dovesse ritenersi che la normativa legislativa nazionale fornisca il presupposto del divieto introdotto dalla norma regolamentare, sarebbe necessario un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia onde verificare se con essa possa essere compatibile una disposizione di legge recante il divieto generalizzato di detenere quote azionarie di organismi di attestazione. Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 43 e 49 del Trattato, oggi artt. 49 e 56 TFUE, nonché della direttiva servizi 2006/123/CE) con specifico riferimento ai canoni di necessità e proporzionalità. La disposizione impugnata sarebbe contrastante con ulteriori principi di matrice comunitaria in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e, comunque, con i principi di necessità e proporzionalità. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 117, co. 1, cost. Violazione dei principi di uguaglianza, parità di trattamento, ragionevolezza, proporzionalità, affidamento e libera iniziativa economica. Violazione dell art. 76 cost. e del principio dell esercizio della funzione legislativa. La disposizione regolamentare comporterebbe una disparità di trattamento, concretizzandosi nell impossibilità per un organismo di certificazione, che offre le più ampie garanzie di imparzialità ed indipendenza di giudizio, di partecipare al capitale sociale di una SOA, divieto non previsto invece per altre categorie di soggetti che possono liberamente possedere società di attestazione, soggette al solo vincolo dell indipendenza ex art. 65, co. 4. La disposizione regolamentare, come già evidenziato, si porrebbe in contrasto con l art. 41 cost. secondo cui la libertà di iniziativa economica privata potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati. Quanto alla disciplina transitoria. In subordine: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed illogicità. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell azione amministrativa. 142

159 La disciplina transitoria prevista dall art. 357, co. 11, d.p.r. 207/2010 per l adeguamento della composizione azionaria delle SOA sarebbe comunque illegittima per l incongruità del termine semestrale in relazione alle specifiche attività necessarie per permettere a coloro che detengono quote di proprietà SOA di cederle. Quanto all obbligo di ubicazione della sede legale delle SOA nel territorio della Repubblica. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, co. 3 e 4, d.lgs. 163/2006 e s.m.i. per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 cost. e del pertinente principio di riserva di legge, di libera iniziativa economica, di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione di servizi. Manifesta illogicità ed irragionevolezza. Il codice dei contratti non prevederebbe né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un precostituito obbligo per gli organismi di certificazione di avere la sede legale necessariamente sul territorio della Repubblica. L obbligo della sede italiana, inoltre, sarebbe del tutto ingiustificata, gravosa ed in contrasto con i preminenti interessi della tutela della concorrenza, protetta sia dalla disciplina comunitaria che da quella interna per mezzo di previsioni che favoriscono la libera iniziativa economica e l ingresso nel mercato di quanti più operatori possibile. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2006/123/CE (ovvero, del d.lgs. 59/2010) con specifico riferimento al principio di non discriminazione. L obbligo della sede legale sul territorio della Repubblica, inoltre, integrerebbe un ipotesi di requisito discriminatorio ai fini dell applicazione dei principi di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi. Quanto al divieto di svolgere attività di attestazione per gli enti di certificazione. Violazione e falsa applicazione dell art. 41 Cost. Ogni ostacolo alla libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, proporzionati. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/18/CE (in particolare art. 52) e della direttiva 2006/13/CE (in particolare, art. 25). Incompatibilità con i principi dell Unione Europea (canone della necessità e della proporzionalità). Il legislatore nazionale vieterebbe al soggetto individuato al livello UE la possibilità di accertare la sussistenza di determinati requisiti in capo alle imprese che intendono partecipare ad una procedura di aggiudicazione di appalti pubblici. L Avvocatura Generale dello Stato, con ampia ed analitica memoria, in rito, ha eccepito inammissibilità del ricorso per carenza di interesse nonché il difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni intimate ad eccezione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato ulteriori memorie a sostegno delle rispettive ragioni. All udienza pubblica del 26 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la carenza di interesse al ricorso in quanto non sarebbe ravvisabile un interesse attuale e concreto della ricorrente in relazione alle norme regolamentari impugnate. L eccezione è da disattendere. Le norme regolamentari, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, devono distinguersi in volizioni preliminari contenenti previsioni normative astratte e programmatiche, e volizioni azioni, contenenti previsioni concrete, destinate all immediata applicazione ( ex multis : Cons. St., IV, 14 febbraio 2005, n. 450). Queste ultime sono immediatamente applicabili in quanto si rivolgono direttamente ai soggetti destinatari, costituendo, modificando o estinguendo un rapporto giuridico tra di loro o tra di loro e la pubblica amministrazione, mentre le volizioni preliminari, contengono previsioni astratte, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica degli amministrati, ma disciplinano l azione che l amministrazione dovrà avere in futuro, la quale si esplicherà in atti applicativi idonei a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico con o tra i destinatari. Ne consegue che le volizioni azioni, essendo suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto, possono, anzi devono, essere oggetto di immediata ed autonoma impugnazione, mentre, nel caso di volizioni preliminari, la concreta lesione deriva dall adozione dell atto applicativo, per cui la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l atto presupposto. 143

160 Nel caso di specie, le norme regolamentari impugnate dalla Rina Services Spa contenute negli artt. 66 e 64 del d.p.r. 207/2010 nonché la norma transitoria di cui all art. 357, co. 21, dello stesso regolamento costituiscono evidentemente volizioni azioni in quanto sono immediatamente e direttamente lesive della sfera giuridica della ricorrente, sicché possono senz altro essere autonomamente impugnate. Infatti, la dismissione delle partecipazioni azionarie da parte dei soggetti di cui all art. 66, co. 1, nel capitale di una SOA nel termine di centottanta giorni di cui all art. 357, co. 21, così come l obbligo per le SOA di avere la sede legale nel territorio della Repubblica sono precetti cogenti, che si applicano ai destinatari a prescindere da qualunque provvedimento applicativo e costituiscono, pertanto, un esempio paradigmatico delle cc.dd. volizioni azioni. 3. L Avvocatura erariale ha altresì eccepito il difetto di legittimazione passiva di tutte le amministrazioni resistenti, ad eccezione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero proponente del regolamento le cui norme sono state impugnate. L eccezione non è persuasiva in quanto tali amministrazioni hanno partecipato al procedimento di formazione, approvazione e pubblicazione del regolamento e comunque, come correttamente rilevato dalla ricorrente, è sostanzialmente irrilevante atteso che le stesse si sono costituite in giudizio con il patrocinio dell Avvocatura Generale dello Stato, assumendo una posizione processuale unitaria. 4. Per quanto attiene al divieto per gli organismi di certificazione (soggetti di cui all art. 3, co. 1, lett. ff), di partecipare al capitale di una SOA, contenuto nell art. 66, co. 1, d.p.r. 207/2010, la ricorrente ha proposto una serie di doglianze. 4.1 In primo luogo sostenuto che il Consiglio di Stato non si sarebbe mai espresso sulla legittimità della disposizione. La doglianza non può essere condivisa. In proposito, è sufficiente rilevare che la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, con il parere n. 313, reso in data 24 febbraio 2010, si è espressa sullo schema di regolamento contemplante la norma impugnata ed al punto 25 dello stesso ha fatto presente che in relazione al divieto di partecipazione al capitale di una SOA recato dall articolo 66 per gli organismi di certificazione, l articolo 357 prevede ora, in via transitoria, un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria, termine che può ritenersi congruo. Ne consegue che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha esaminato anche l art. 66, co. 1, nella nuova formulazione, concludendo, sia pure implicitamente, per la sua legittimità non avendo formulato specifiche osservazioni. Infatti, avendo valutato congruo il termine per l adeguamento della compagine societaria, ha evidentemente ritenuto di non formulare rilievi sul presupposto di tale adempimento, vale a dire sul divieto per gli organismi di certificazione di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA. 4.2 Rina Services Spa ha prospettato che la norma regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 Cost., secondo cui la libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati, laddove il codice dei contratti non avrebbe previsto né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA; in ogni caso, ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata dovrebbe essere interpretata restrittivamente. La doglianza, sotto tale profilo, non può essere accolta in quanto non è possibile ritenere che il divieto in discorso non trovi copertura in una norma di legge sovraordinata. L art. 4, co. 2, lett. b), /1994, come sostituito dall art /1998 ed in vigore fino al 2002, prevedeva che il regolamento con cui è istituito il sistema di qualificazione unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici dovesse definire le modalità e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i loro requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici, fermo restando che essi avrebbero dovuto agire in piena indipendenza rispetto ai soggetti esecutori di lavori pubblici destinatari del sistema di qualificazione ed essere soggetti alla sorveglianza dell Autorità; i soggetti accreditati nel settore delle costruzioni, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN e delle norme nazionali in materia, al rilascio della certificazione dei sistemi di qualità, su loro richiesta sarebbero stati autorizzati dall Autorità, ove in possesso dei predetti requisiti, anche allo svolgimento dei compiti di attestazione, fermo restando il divieto per lo stesso soggetto di svolgere sia i compiti della certificazione che quelli dell attestazione relativamente alla medesima impresa. 144

161 Di talché, l art. 13 d.p.r. 34/2000 (poi abrogato dall art. 358, co. 1, lett. d) d.p.r. 207/2010 a decorrere dall 8 giugno 2011) aveva previsto che gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che avessero inteso svolgere anche attività di attestazione, sarebbero stati soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità. In tale sistema normativo, quindi, l organismo di certificazione avrebbe potuto essere autorizzato a svolgere anche attività di attestazione con il limite del divieto di svolgere entrambe le funzioni, di certificazione della qualità e di attestazione, nei confronti della stessa impresa. Tale limitazione nasce evidentemente dalla esigenza di garantire la rigida separazione tra chi certifica la qualità (organismo di certificazione) e chi attesta l esistenza della certificazione di qualità (organismo di attestazione) in capo ad un unico soggetto da qualificare e ciò al fine di garantire l imparzialità della certificazione di qualità e della relativa attestazione. L art. 8 l. 109/1994, come modificato dall art. 7 l. 166/2002, invece, non ha contemplato più la possibilità che il soggetto accreditato alla certificazione possa svolgere anche attività di qualificazione. Per effetto della modifica, infatti, l art. 8, co. 4, lett. b), /1994 ha previsto che il regolamento definisce in particolare le modalità e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici che i predetti organismi devono possedere. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che, a seguito di tale modifica, non può ritenersi che sia venuto meno il divieto di svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della medesima impresa, mentre, come anche correttamente rilevato dall Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, l effetto di tale modifica è il venir meno della possibilità di autorizzare i soggetti operanti nella certificazione di qualità a svolgere anche l attività di attestazione (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987; Cons. St., VI, 31 gennaio 2011, n. 696; Cons. St., VI, 25 gennaio 2011, n. 510). Pertanto, l art. 8, co. 4, lett. b), /1994, antecedentemente alle modifiche del 2002, aveva un duplice contenuto precettivo: da un lato, in deroga alla regola dell esclusività dell oggetto sociale degli organismi di attestazione, consentiva che l attività di attestazione fosse svolta, previa autorizzazione, anche da soggetti certificatori; dall altro, limitava tale possibilità, impedendo che uno stesso soggetto potesse svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della stessa impresa. La disposizione, in sostanza, conteneva due norme tra loro strettamente collegate, vale a dire la norma di autorizzazione, derogatoria rispetto al principio dell esclusività dell oggetto sociale di cui all art. 7, co. 3, d.p.r. 34/2000, e la norma di divieto, avente la finalità di limitare l ampiezza, altrimenti eccessiva, di quell autorizzazione. Di talché, la parziale abrogazione della disposizione ha determinato la caducazione di entrambi i contenuti precettivi, facendo venir meno non solo il divieto, ma prima ancora, e soprattutto, la norma autorizzante, in assenza della quale, ovviamente, nessun limite può essere previsto. La circostanza che la legge non preveda più il divieto per le società di certificazione della qualità di svolgere anche attività di qualificazione con riferimento alla stessa impresa, insomma, non significa affatto che le società di certificazione possano svolgere incondizionatamente attività di attestazione, ma ha determinato un irrigidimento del sistema, posto che le stesse non possono più essere autorizzate a qualificare soggetti esecutori di lavori pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente. Né, in senso contrario, sarebbe potuta essere invocata la mancata formale abrogazione, se non a seguito del d.p.r. 207/2010, dell art. 13 d.p.r. 34/2000 che, al primo comma, prevede: gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che intendono svolgere anche attività di attestazione, sono soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità. Tale disposizione regolamentare, infatti, per effetto delle modifiche legislative intervenute nel 2002, aveva visto svuotato il suo contenuto normativo, perché fa riferimento ad un autorizzazione che ormai l ordinamento non permette più di rilasciare. La previsione regolamentare, a seguito della modifica della norma di rango primario, era diventata inapplicabile ed in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva (Sezione atti normativi, 17 settembre 2007, n. 3262/2007) in occasione del parere sul primo schema di regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici, ove è stato rilevato che l art. 13 d.p.r. 34/2000 trovava il suo fondamento nell originaria formulazione dell art. 8, co. 4, lett. b), /1994, nel testo anteriore alla l. 166/2002. In sostanza, la norma primaria consentiva una deroga al principio secondo cui le SOA possono fare solo le SOA (esclusività dell oggetto sociale), consentendo 145

162 agli organismi di certificazione di qualità di svolgere entrambe le attività, ma, trattandosi di un regime derogatorio, lo stesso deve avere base in una norma primaria che non esiste più sin dalla l. 166/2002 (il parere è richiamato, tra l altro, nella sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato 16 febbraio 2011, n. 987). Il citato parere, quindi, aveva espresso l avviso che, avendo l art. 13, d.p.r. n. 34 del 2000 perso la sua base normativa, non potesse essere riprodotto nel nuovo schema di regolamento. Il principio di esclusività dell oggetto sociale della SOA, come evidenziato nella citata sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 987/2011, ha il duplice corollario che: a) un medesimo soggetto non può contemporaneamente svolgere attività di organismo di certificazione e di SOA; b) un organismo di certificazione non può avere partecipazioni azionarie in una SOA. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, inoltre, ha ripetutamente evidenziato che neppure sussistono dubbi di compatibilità comunitaria della normativa nazionale, interpretata nel senso appena descritto. Il divieto in questione, infatti, nella misura in cui mira ad affermare la neutralità e l imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, risulta certamente in linea con i principi comunitari che tutelano la concorrenza. Anzi, proprio lo scopo di consentire che alle gare d appalto in materia di lavori pubblici partecipino soltanto quei soggetti effettivamente in possesso dei requisiti prescritti giustifica, anche sotto il profilo della proporzionalità, il divieto di esercizio congiunto di attività di attestazione e di certificazione. Il delineato corpus normativo, risultante dalle modifiche apportate alla /1994 dalla /2002, risulta sostanzialmente riproposto nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006, che, all art. 40, co. 3, stabilisce che il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori; di contro, la norma non prevede alcuna possibilità per il soggetto accreditato alla certificazione di svolgere attività di qualificazione. In conclusione, nell attuale assetto normativo, quale risultante dal d.lgs. 163/2006 e dal relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. 207/2010, la regola che la funzione di qualificazione sia attuata solo e soltanto dalle SOA, nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, e non possa essere svolta anche dagli organismi di certificazione deve ritenersi stabilita dall art. 40, co. 3, d.lgs. 163/2006 che, di conseguenza, costituisce la base normativa sia dell art. 66, co. 1, d.p.r. 207/2010, laddove prevede che gli organismi di certificazione non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, sia dell art. 64, co. 3, d.p.r. 207/2010, secondo cui lo statuto degli organismi di attestazione deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei connessi controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulle loro capacità operativa ed economico finanziaria. Né può ritenersi che la copertura legislativa venga meno perché il divieto di partecipazione azionaria dettato dalla norma regolamentare è sancito qualunque sia la dimensione della partecipazione, e cioè anche se la stessa sia sostanzialmente irrilevante, potendo invece essere eventualmente previsto solo in presenza di un nesso societario tra le due imprese, di certificazione e di attestazione, in grado di garantire un influenza dominante della prima sulla seconda. Detta circostanza non rileva nel caso di specie dove esiste un collegamento societario intragruppo tale da determinare una unitarietà del centro decisionale. Infatti, SOA Rina è partecipata al 99% da Rina Spa ed all 1% da Rina Services Spa, soggetto attualmente accreditato alla certificazione di qualità, la quale è a sua volta partecipata al 100% da Rina spa, sicché non può sussistere alcun dubbio che, a prescindere dalla partecipazione dell 1% della società organismo di certificazione (Rina Services) nella società organismo di attestazione (SOA Rina), le stesse confluiscano in un unico centro decisionale facente capo alla holding Rina spa. Pertanto, le censure specificamente dedotte dalla ricorrente, volte a prospettare l immediata e diretta illegittimità dell art. 66, co. 1, nella parte in cui vieta agli organismi di certificazione di possedere partecipazioni nel capitale delle SOA e dell art. 64, co. 3, d.p.r. 207/2010, nella parte in cui prevede l esclusività dell oggetto sociale degli organismi di attestazione, devono essere disattese. 4.3 Il Collegio, tuttavia, Ritiene che debba essere prospettata la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, co. 3, d.lgs. 166/2006, che, come detto, costituisce la base normativa di riferimento delle indicate norme regolamentari, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. 146

163 L art. 40, co. 3, infatti, prevede come il sistema di qualificazione sia attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori, sicché, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Ne consegue che il giudizio di legittimità costituzionale di tale norma di legge è rilevante ai fini del giudizio in corso in quanto l interesse sostanziale dedotto in giudizio da Rina Services Spa è quello di potere continuare a detenere la partecipazione al capitale di SOA Rina spa al fine di svolgere entrambe le attività, di certificazione e di attestazione, mentre, per effetto della richiamata norma di legge, di cui le norme regolamentari costituiscono applicazione, lo svolgimento contestuale di entrambe le attività da parte del gruppo RINA non è possibile, così come non è possibile la partecipazione azionaria di Rina Services Spa nel capitale azionario di SOA Rina. L art. 41 cost. sancisce la libertà dell iniziativa economica privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma). L iniziativa economica privata e l intervento pubblico nell economia come delineato nella Costituzione, quindi, possono coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini sociali e di benessere collettivo. Ne consegue che l esercizio della libertà economica privata può essere limitato, ma solo per ragioni di utilità sociale, sicché il rispetto della norma costituzionale postula che l imposizione di limiti deve rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, i limiti posti alla libertà di iniziativa economica privata, per essere legittimi, devono essere diretti a tutelare, con carattere di adeguatezza e proporzionalità, altri valori di rilevanza costituzionale. Ora, se non c è dubbio che nella fattispecie in esame i limiti discendenti dalla norma di legge, essendo volti a garantire la neutralità e l imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, sono in linea di massima certamente aderenti a valori di rilievo costituzionale, come la concorrenza, ed ai principi comunitari, occorre però rilevare che lo stesso risultato di indipendenza e neutralità potrebbe essere messo a rischio non già dalla teorica possibilità per uno stesso gruppo societario di attestare sia la certificazione di qualità che i requisiti di qualificazione, ma dalla concreta ipotesi che tale duplice attività sia svolta nei confronti della medesima impresa. In altri termini, se è vero che potrebbe sussistere un vulnus alla fondamentale esigenza della imparzialità e della indipendenza della SOA nell accertamento del possesso della certificazione di qualità in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia stata rilasciata da un soggetto che partecipa alla SOA stessa, facendo parte della relativa compagine societaria, è altrettanto vero che tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attività siano svolte nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare. Pertanto, se è certamente ragionevole e proporzionato che le due attività in discorso non possano essere svolte da uno stesso soggetto nei confronti della medesima impresa, appare invece sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla norma e, per tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una società, o un gruppo societario con un medesimo centro di imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attività, senza prevedere invece tale possibilità con il limite del divieto di svolgimento nei confronti della stessa impresa. D altra parte, la soluzione in questa sede ipotizzata era quella già delineata dal legislatore della legge quadro del 1994, prima delle modifiche legislative intervenute con /2002, e la stessa, ad avviso del Collegio, sembra più congrua e proporzionata e, quindi, maggiormente idonea a garantire l equilibrio tra tutti i valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie. La norma in discorso sembra parimenti contrastare con l art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i soggetti dell ordinamento, in quanto si traduce in una disparità di trattamento tra gli operatori economici laddove agli organismi di certificazione preclude sic et simpliciter la possibile partecipazione al capitale delle SOA anche nell ipotesi in cui, ove previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione nei confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus ai principi di imparzialità ed indipendenza e gli altri soggetti che possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA. 147

164 In altri termini, la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini. Nel caso di specie atteso che il principio di indipendenza ed imparzialità sembra poter essere efficacemente tutelato con una previsione normativa volta ad escludere lo svolgimento delle attività di certificazione e di attestazione nei confronti di una medesima impresa, mentre, come detto, il divieto assoluto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale delle SOA appare sproporzionato e debordante rispetto alla finalità perseguita dalla norma il trattamento differente riservato agli organismi di certificazioni appare violativo del canone di ragionevolezza al quale la discrezionalità del legislatore deve ontologicamente ispirarsi. Di qui, la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell art. 40, co. 3, d.lgs. 166/2006, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., laddove la norma sostanzialmente prevede l esclusività dell oggetto sociale delle SOA con il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Pertanto, occorre sospendere il giudizio, relativamente all impugnazione dell art. 66, co. 1, e dell art. 64, co. 3, d.p.r. 207/2010 nonché dell art. 357, co. 21, d.p.r. 207/2010, secondo cui, in relazione all art. 66, co. 1, le SOA, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all art. 3, co. 1, lett. ff), dandone comunicazione all Autorità, e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla questione. La sospensione del giudizio va estesa anche alla norma transitoria in quanto l eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell art. 40, co. 3, d.lgs. 163/2006 in parte qua determinerebbe la cessata materia del contendere in ordine all impugnazione dell art. 357, co. 21, d.p.r., non rendendosi più necessaria la dismissione azionaria. Viceversa, tale norma transitoria non può ritenersi di per sé illegittima per l incongruità del termine appositamente previsto, atteso che il regolamento è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 ed è entrato in vigore il 9 giugno 2011, per cui è a tale ultima data che occorre fare riferimento per la decorrenza dell ulteriore termine di 180 giorni. In definitiva, quindi, il margine temporale previsto per la dismissione delle partecipazione azionarie nel capitale delle SOA è di circa un anno a far tempo dalla data di pubblicazione del regolamento e tale termine non può ritenersi inadeguato. P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, co. 3, d.lgs. 163/2006 nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA; Dispone la sospensione del giudizio e ordina l immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre Il Presidente: POLITI L estensore: CAPONIGRO 12C

165 N. 86 Ordinanza del 13 dicembre 2011 emessa dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Rina S.p.a. contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e 41. IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1474 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Rina S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe M. Giacomini, Roberto Damonte e Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio dell ultima in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Consiglio di Stato, Consiglio superiore dei lavori pubblici, Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Conferenza unificata di cui all art. 8 d.lgs. n. 281/1997, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per le politiche europee, Ministero dell ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero per i beni culturali ed ambientali, Ministero dell economia e delle finanze, Ministero dello sviluppo economico, Ministero degli affari esteri, rappresentati e difesi dall Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10 dicembre Suppl. ord. n in vigore dal 9 giugno 2011, avente ad oggetto Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» nella parte in cui: all art. 66 (Partecipazioni azionarie) ha incluso tra i soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, anche quelli «di cui all articolo 3, comma 1, lettere... ff)» ossia gli «organismi di certificazione: gli organismi di diritto privato che rilasciano i certificati del sistema di qualità conformi alle norme europee serie UNI EN ISO 9000»; in via subordinata, all art. 357, comma 21, (Norme transitorie) prevede che «In relazione all articolo 66, comma 1, le SOA, entro centottanta giorni dall entrata in vigore del presente regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettera ff), dandone comunicazione all Autorità»; nonché nella parte in cui all art. 64 (Requisiti generali e di indipendenza delle SOA) prescrive (comma 1) che «la sede legale deve essere nel territorio della Repubblica» e (comma 3) che «Lo statuto deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione secondo le norme del presente titolo e di effettuazione dei connessi controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulla loro capacità operativa ed economico-finanziaria»; nonché nella parte in cui all art. 66 (Partecipazioni azionarie) ha incluso tra i soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, genericamente i soggetti indicati all art. 34 del codice (vale a dire i «soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici»), senza alcuna distinzione tra coloro ai quali possono essere affidati contratti pubblici di lavori e coloro ai quali, invece, possono essere affidati contratti pubblici di servizi o forniture; nonché per l annullamento di ogni atto, anche istruttorio o consultivo, preordinato o presupposto, conseguente o connesso; 149

166 e per l accertamento e la condanna delle amministrazioni intimate all integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente; nonché per l annullamento della determinazione dell Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, Servizi e forniture 15 marzo 2011, n. 1 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 4 aprile 2011, Suppl. ord. n. 91), nella parte in cui indica tra i casi di «divieto di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale sociale di una SOA», in modo indistinto, tutti i «soggetti indicati all articolo 34 del Codice», nonché annovera tra i comportamenti che determinano l immediata applicazione della decadenza dell autorizzazione ad esercitare l attività di attestazione anche il venir meno della condizione consistente nel rispetto del suddetto divieto di possedere una partecipazione al capitale sociale di una SOA da parte degli «operatori economici cui possono essere affidati appalti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture»; di ogni atto, anche istruttorio e/o consultivo, preordinato e/o presupposto, conseguente e/o connesso e in particolare, per quanto possa occorrere, del parere dell Adunanza Generale del Consiglio di Stato, Gab. n. 2/2011, 24 febbraio 2011, n. 852/2011, avente ad oggetto «quesito in ordine al potere dell autorità per la vigilanza sui contratti di lavoro, servizi e forniture di negare l autorizzazione alla partecipazione azionaria della SOA ai sensi dell articolo 6, comma 6, del d.p.r. 5 ottobre, 207», recante considerazioni di carattere interpretativo circa la portata dell art. 66 del d.p.r. 5 ottobre 2010 n Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati. Viste le memorie difensive. Visti tutti gli atti della causa. Visto l atto di costituzione in giudizio dell Avvocatura Generale dello Stato. Relatore nell udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 1. La Rina S.p.a., facente parte del gruppo RINA, espone di essere un ente originariamente accreditato alla certificazione di qualità UNI CEI EN 45000, il quale, in data 1 dicembre 2009, ha posto in essere un operazione di riassetto societario per effetto della quale ha mutato il proprio ruolo da società operativa, tra l altro, nel settore della certificazione, in capogruppo con funzioni direttive e di holding di un gruppo con attività ampiamente diversificate per tipologia e collocazione geografica, escludendo esplicitamente dal proprio oggetto sociale le attività di certificazione di sistema. Soggiunge che SOA Rina partecipata al 99% dalla ricorrente Rina S.p.a. ed all 1% da Rina Services S.p.a., soggetto attualmente accreditato alla certificazione di qualità è una società organismo di attestazione, con sede in Genova, avente come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulla loro capacità operativa ed economico-finanziaria, ai fini della qualificazione ex art. 8, legge n. 109/1994 (ora art. 40, d.lgs. n. 163/2006). L art. 66 del d.p.r n. 207/2010, regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs. n. 163/2006, ha esteso il divieto di partecipazione al capitale di una SOA anche ai «soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettere b) e ff)...», ossia agli organismi di certificazione. L art. 357, comma 21, del predetto decreto ha dettato la disciplina transitoria prevedendo un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria. L art. 64, comma 1, dello stesso regolamento, inoltre, ha imposto che gli organismi di attestazione debbano obbligatoriamente avere sede legale nel territorio della Repubblica, circostanza che impedirebbe alla SOA di cui la ricorrente detiene una quota azionaria di allocare la propria sede in altro Stato dell Unione europea per potersi «aprire» al mercato straniero continuando, peraltro, ad attestare anche le imprese italiane; l art. 64, comma 3, ha posto altresì il vincolo dell oggetto esclusivo. Il ricorso è articolato nei seguenti motivi: Quanto al divieto di partecipazione al capitale SOA; Violazione e falsa applicazione dell art. 17, comma 1, 1egge n. 400/1988 e successive modifiche ed integrazioni in relazione all art. 5, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 e successive modifiche ed integrazioni ed all art. 41 Cost.; Difetto assoluto dei presupposti. 150

167 Lo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri il 13 luglio 2007 non prevedeva alcun divieto di partecipazione azionaria al capitale di una SOA per gli organismi di certificazione. Il parere espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato nell adunanza del 17 settembre 2007 non aveva ritenuto di introdurre alcun divieto per gli enti certificatori di detenzione di quote sociali di SOA. Nel regolamento successivamente approvato dal Consiglio dei ministri, in data 21 dicembre 2007, il divieto di partecipazione al capitale di una SOA è stato esteso anche agli organismi di certificazione, sicché la rilevanza giuridica ed economica della modificazione apportata rispetto allo schema vagliato dal Consiglio di Stato ne rivelerebbe la sua illegittimità che si riverbererebbe sul testo del regolamento approvato con d.p.r. n. 207/2010, atteso che il parere reso sul nuovo schema di regolamento rinvierebbe ampiamente al precedente parere di cui costituirebbe il naturale completamento. La circostanza che il nuovo parere non si sia direttamente espresso sul divieto contestato con il ricorso, implicitamente rinviando al parere precedente, comporterebbe che il Consiglio di Stato non ha mai verificato la legittimità di tale disposizione. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, comma 3 e 4, d.lgs. n. 163/2006 e successive modifiche ed integrazioni per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 Cost. e del pertinente principio di riserva di legge e di libera iniziativa economica. Violazione dell art. 76 Cost. e del principio dell esercizio della funzione legislativa. Sull inesistenza della presupposta necessaria fonte di rango legislativo. La disposizione regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 Cost. secondo cui la libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati. Il codice dei contratti non avrebbe previsto né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA. Sul divieto di interpretazione estensiva e/o analogica del principio di cui all art. 41 Cost. Ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata deve essere interpretata restrittivamente. Sulla violazione dell art. 76 Cost. relativamente al principio dell esercizio della funzione legislativa. L art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010 avrebbe introdotto un divieto assolutamente nuovo rispetto al sistema legislativo previgente ed in contrasto con i principi e con l impianto in materia di SOA delineato dal codice degli appalti, per cui esorbiterebbe dai criteri direttivi imposti dal codice al fine di circoscrivere la discrezionalità attribuita al Governo dal legislatore. Eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà. L introduzione del divieto per gli organismi di certificazione di detenere quote sociali di SOA non soltanto non sarebbe previsto da alcuna fonte normativa sovraordinata di rango primario, ma sarebbe altresì manifestamente illogica e contraddittoria in ragione della ontologica diversità ed autonomia esistente tra attività di attestazione e di certificazione, le quali avrebbero effetti eterogenei. Le verifiche effettuate dalla SOA, infatti, verterebbero su fatti o elementi aziendali concreti (le condanne di un legale rappresentante, l avere eseguito un determinato lavoro, l avere maturato una cifra d affari in lavori), mentre le verifiche effettuate dall ente di certificazione avrebbero natura formale e funzionale (il rispetto delle norme relative al sistema qualità); l organismo di certificazione non verificherebbe cosa è stato fatto dall impresa, ma come. In definitiva, SOA ed ente di certificazione effettuerebbero i propri controlli su elementi distinti ed in modo totalmente diverso e la verifica effettuata dalla SOA sulla certificazione del sistema qualità sarebbe totalmente vincolata; la SOA, infatti, non avrebbe altro compito che quello di acquisire il certificato di qualità, inteso come documento cartaceo, e verificarne i requisiti di validità formale, senza entrare nel merito del documento. Referente diretto dell ente di certificazione non sarebbe solo la SOA, ma prima ancora la stessa Autorità di vigilanza, così come referente della SOA non sarebbe tanto l ente di certificazione quanto l organismo di accreditamento. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/18/CE. Incompatibilità con il diritto dell Unione europea (in particolare, principio di proporzionalità e dell effetto utile). La giurisprudenza comunitaria, in via generale, avrebbe affermato il principio secondo cui le situazioni di controllo tra società diverse andrebbero verificate in concreto, con conseguente illegittimità di tutte quelle forme precostituite di divieto poste esclusivamente in ragione di un qualche reciproco collegamento tra soggetti distinti. 151

168 La ratio della disciplina comunitaria in materia di attività di certificazione sarebbe rappresentata dalla necessità di garantire l indipendenza e l imparzialità delle SOA e degli organismi di certificazione, ma la facoltà conferita agli Stati membri di attribuire a determinati soggetti l attività di certificazione non potrebbe tuttavia risolversi in una violazione del principio di proporzionalità. Il divieto per un ente di certificazione di detenere una quota minoritaria del capitale sociale di una SOA costituirebbe un divieto eccessivamente rigoroso ed ingiustificato rispetto all obiettivo che il legislatore intenderebbe conseguire, vale a dire l autonomia e l indipendenza di giudizio. La verifica dell imparzialità andrebbe effettuata principalmente con riferimento all impresa da certificare/attestare. Ove dovesse ritenersi che la normativa legislativa nazionale fornisca il presupposto del divieto introdotto dalla norma regolamentare, sarebbe necessario un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia onde verificare se con essa possa essere compatibile una disposizione di legge recante il divieto generalizzato per i soggetti certificatori di detenere quote azionarie di organismi di attestazione. Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 43 e 49 del Trattato, oggi artt. 49 e 56 TFUE, nonché della direttiva servizi 2006/123/CE) con specifico riferimento ai canoni di necessità e proporzionalità. La disposizione impugnata sarebbe contrastante con ulteriori principi di matrice comunitaria in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e, comunque, con i principi di necessità e proporzionalità. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 117, comma 1, Cost. Violazione dei principi di uguaglianza, parità di trattamento, ragionevolezza, proporzionalità, affidamento e libera iniziativa economica. Violazione dell art. 76 Cost. e del principio dell esercizio della funzione legislativa. La disposizione regolamentare comporterebbe disparità di trattamento attesa l impossibilità per un organismo di certificazione, che offre le più ampie garanzie di imparzialità ed indipendenza di giudizio, di partecipare al capitale sociale di una SOA, laddove altri soggetti potrebbero liberamente possedere società di attestazione, soggette al solo vincolo dell indipendenza ex art. 65, comma 4. La fonte regolamentare, in assenza di una chiara volontà legislativa in tal senso, avrebbe limitato la libertà di iniziativa economica degli organismi di certificazione. L art. 40, comma 3, del codice degli appalti, inteso nel senso di prevedere un precostituito divieto per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA risulterebbe incostituzionale per violazione degli artt. 41, 3 e 76 Cost. In subordine: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed illogicità. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell azione amministrativa. La disciplina transitoria prevista dall art. 357, comma 21, d.p.r. n. 207/2010 per l adeguamento della composizione azionaria delle SOA sarebbe comunque illegittima per l incongruità del termine semestrale in relazione alle specifiche attività necessarie per permettere ai soggetti certificatori che detengono quote di proprietà SOA di cederle. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, comma 3 e 4, d.lgs. n. 163/2006 e successive modifiche ed integrazioni per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 Cost. e del pertinente principio di riserva di legge, di libera iniziativa economica, di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione di servizi. Manifesta illogicità ed irragionevolezza. Il codice dei contratti non prevederebbe né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un precostituito obbligo per gli organismi di certificazione di avere la sede legale necessariamente sul territorio della Repubblica. L obbligo della «sede italiana», inoltre, sarebbe una prescrizione del tutto ingiustificata, gravosa ed in contrasto con i preminenti interessi della tutela della concorrenza, protetta sia dalla disciplina comunitaria che da quella interna per mezzo di previsioni che favoriscono la libera iniziativa economica e l ingresso nel mercato di quanti più operatori economici possibile. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2006/123/CE (ovvero, del d.lgs. n. 59/2010) con specifico riferimento al principio di non discriminazione. L obbligo della sede legale sul territorio della Repubblica, inoltre, integrerebbe un ipotesi di requisito discriminatorio ai fini dell applicazione dei principi di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi. 152

169 Violazione e falsa applicazione dell art. 41 quanto al divieto di svolgere attività di attestazione per gli enti di certificazione. I limiti alla libertà di iniziativa economica dovrebbero essere previsti da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, dovrebbero essere proporzionali. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/18/CE (in particolare art. 52) e della direttiva 2006/123/CE (in particolare art. 25). Incompatibilità con i principi dell Unione europea (canone della necessità e della proporzionalità). Il legislatore nazionale avrebbe vietato al soggetto individuato al livello UE la possibilità di accertare la sussistenza di determinati requisiti in capo alle imprese che intendono partecipare ad un procedura di aggiudicazione di appalti pubblici. Quanto al generico divieto di partecipazione al capitale SOA da parte dei soggetti di cui all art. 34 d.lgs. n. 163/2006 e successive modifiche ed integrazioni. L art. 66 d.p.r. n. 207/2010 avrebbe imposto un generico divieto alla partecipazione al capitale della SOA in capo a tutti i soggetti indicati all art. 34 d.lgs. n. 163/2006 (recante «soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici»), sicché diversamente rispetto all impianto normativo di cui al d.p.r. n. 34/2000, nell ambito del quale (all art. 8) il divieto in questione riguardava soltanto i soggetti «ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei lavori pubblici» di cui all art. 10, comma 1, legge n. 109/1994 l attuale norma avrebbe indiscriminatamente esteso il divieto di partecipazione al capitale delle SOA anche ai soggetti a cui possono essere affidati contratti pubblici di servizi e forniture. Tale estensione sarebbe illogica, atteso che questi ultimi non sarebbero né titolari di attestazione SOA né individuabili in via preventiva ed astratta da parte dell ordinamento italiano, con la conseguenza che l elencazione di cui all art. 34 finirebbe per ricomprendere sostanzialmente tutti i soggetti giuridici previsti dall ordinamento italiano. In definitiva, il divieto di partecipazione al capitale delle SOA, dapprima previsto per i soli partecipanti alle procedure di affidamento dei lavori pubblici, sarebbe stato irragionevolmente esteso anche ai soggetti a cui possono essere affidati contratti pubblici di servizi e forniture. La ricorrente ha altresì formulato domanda di risarcimento dei danni. Con motivi aggiunti, la Rina S.p.a. ha esteso l impugnativa alla determinazione dell Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, Servizi e forniture, nella parte in cui indica tra i casi di «divieto di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale sociale di una SOA», in modo indistinto, tutti i «soggetti indicati all articolo 34 del Codice», nonché annovera tra i comportamenti che determinano l immediata applicazione della decadenza dell autorizzazione ad esercitare l attività di attestazione anche il venir meno della condizione consistente nel rispetto del suddetto divieto di possedere una partecipazione al capitale sociale di una SOA da parte degli «operatori economici cui possono essere affidati appalti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture» e, per quanto possa occorrere, al parere dell Adunanza Generale del Consiglio di Stato, Gab. n. 2/2011, 24 febbraio 2011, n. 852/2011, avente ad oggetto «quesito in ordine al potere dell autorità per la vigilanza sui contratti di lavoro, servizi e forniture di negare l autorizzazione alla partecipazione azionaria della SOA ai sensi dell articolo 6, comma 6, del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207», recante considerazioni di carattere interpretativo circa la portata dell art. 66 del d.p.r. 5 ottobre 2010, n A tal fine, ha reiterato le censure già dedotte con il ricorso introduttivo del giudizio, sostenendo l illegittimità dell art. 66 d.p.r. n. 207/2010, nella parte in cui impone un generico divieto alla partecipazione al capitale delle SOA in capo a tutti i soggetti indicati all art. 34 d.lgs. n. 163/2006, estendendo in tal modo indiscriminatamente il divieto di partecipazione anche ai soggetti cui possono essere affidati contratti pubblici di servizi e forniture. L Avvocatura Generale dello Stato, con ampia ed analitica memoria, in rito, ha eccepito l inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del gravarne. Le parti hanno depositato ulteriori memorie a sostegno delle rispettive ragioni. All udienza pubblica del 26 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la carenza di interesse al ricorso in quanto non sarebbe ravvisabile un interesse attuale e concreto della ricorrente in relazione alle norme regolamentari impugnate. L eccezione è da disattendere. 153

170 Le norme regolamentari, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, devono distinguersi in volizioni «preliminari», contenenti previsioni normative astratte e programmatiche, e volizioni «azioni», contenenti previsioni concrete, destinate all immediata applicazione ( ex multis : Cons. St., IV, 14 febbraio 2005, n. 450). Queste ultime sono immediatamente applicabili in quanto si rivolgono direttamente ai soggetti destinatari, costituendo, modificando o estinguendo un rapporto giuridico tra di loro o tra di loro e la pubblica amministrazione, mentre le volizioni «preliminari», contengono previsioni astratte, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica degli amministrati, ma disciplinano l azione che l amministrazione dovrà avere in futuro, la quale si esplicherà in atti applicativi idonei a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico con o tra i destinatari. Ne consegue che le volizioni «azioni», essendo suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto, possono, anzi devono, essere oggetto di immediata ed autonoma impugnazione, mentre, nel caso di volizioni «preliminari», la concreta lesione deriva dall adozione dell atto applicativo, per cui la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l atto presupposto. Nel caso di specie, le norme regolamentari impugnate dalla Rina S.p.a. contenute negli artt. 66 e 64 del d.p.r. n. 207/2010 nonché la norma transitoria di cui all art. 357, comma 21, dello stesso regolamento costituiscono evidentemente volizioni «azioni» in quanto sono immediatamente e direttamente lesive della sfera giuridica della ricorrente, sicché possono senz altro essere autonomamente impugnate. Infatti, la dismissione delle partecipazioni azionarie da parte dei soggetti di cui all art. 66, comma 1, nel capitale di una SOA nel termine di centottanta giorni di cui all art. 357, comma 21, così come l obbligo per le SOA di avere la sede legale nel territorio della Repubblica sono precetti cogenti, che si applicano ai destinatari a prescindere da qualunque provvedimento applicativo e costituiscono, pertanto, un esempio paradigmatico delle cc.dd. volizioni «azioni». 3. Per quanto attiene al divieto per gli organismi di certificazione (soggetti di cui all art. 3, comma 1, lett. ff), di partecipare al capitale di una SOA, contenuto nell art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010, occorre in primo luogo evidenziare che, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, tale norma regolamentare è applicabile anche a Rina S.p.a., sebbene la stessa abbia eliminato dal proprio oggetto sociale le attività relative alla certificazione di sistemi di gestione e qualità aziendale, in quanto capogruppo di un gruppo comprendente società, come SOA Rina, che svolge attività di attestazione, e come Rina Services, che svolge attività di certificazione. In particolare, la ricorrente partecipa al 100% al capitale di Rina Services S.p.a. ed al 99% al capitale sociale di SOA Rina S.p.a. (l altro 1% è detenuto da Rina Services), per cui non può sussistere dubbio che, sia pure attraverso una modalità organizzativa che contempla una pluralità di società, le controllate confluiscano in un medesimo centro decisionale facente capo alla holding. D altra parte, la norma in contestazione stabilisce che gli organismi di certificazione non possono possedere «a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente», una partecipazione al capitale sociale di una SOA. La giurisprudenza, in argomento, ha fatto presente che il principio di esclusività dell oggetto sociale della SOA con il corollario del divieto di contemporaneo svolgimento di attività di certificazione e di attestazione, è un principio materiale che, in funzione antielusiva, vieta qualsivoglia negozio o meccanismo con cui si raggiunga l obiettivo, vietato dalla legge, del contemporaneo svolgimento di attestazione e certificazione da parte del medesimo soggetto. Pertanto, il divieto non si applica solo nel caso di medesimo soggetto giuridico che svolga contemporaneamente attività di attestazione e certificazione, e nel caso di organismo di certificazione che abbia una partecipazione nella SOA, ma si applica anche nel caso in cui vi siano formalmente due società distinte, una di attestazione e una di certificazione, che non hanno reciproche partecipazione societarie, ma che hanno la medesima compagine societaria, essendo partecipate e controllate dai medesimi soggetti (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987). 3.1 La ricorrente ha in primo luogo sostenuto che il Consiglio di Stato non si sarebbe mai espresso sulla legittimità della disposizione. La doglianza non può essere condivisa. In proposito, è sufficiente rilevare che la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, con il parere n. 313, reso in data 24 febbraio 2010, si è espressa sullo schema di regolamento contemplante la norma impugnata ed al punto 25 dello stesso ha fatto presente che «in relazione al divieto di partecipazione al capitale di una SOA recato dall articolo 66 per gli organismi di certificazione, l articolo 357 prevede ora, in via transitoria, un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria, termine che può ritenersi congruo». 154

171 Ne consegue che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha esaminato anche l art. 66, comma 1, nella nuova formulazione, concludendo, sia pure implicitamente, per la sua legittimità non avendo formulato specifiche osservazioni. Infatti, avendo valutato congruo il termine per l adeguamento della compagine societaria, ha evidentemente ritenuto di non formulare rilievi sul presupposto di tale adempimento, vale a dire sul divieto per gli organismi di certificazione di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA. 3.2 Rina S.p.a. ha prospettato che la norma regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 Cost., secondo cui la libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati, laddove il codice dei contratti non avrebbe previsto né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA; in ogni caso, ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata dovrebbe essere interpretata restrittivamente. La doglianza, sotto tale profilo, non può essere accolta in quanto non è possibile ritenere che il divieto in discorso non trovi copertura in una norma di legge sovraordinata. L art. 4, comma 2, lett. b), legge n. 109/1994, come sostituito dall art. 2, legge n. 415/1998 ed in vigore fino al 2002, prevedeva che il regolamento con cui è istituito il sistema di qualificazione unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici dovesse definire le modalità e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i loro requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici, fermo restando che essi avrebbero dovuto agire in piena indipendenza rispetto ai soggetti esecutori di lavori pubblici destinatari del sistema di qualificazione ed essere soggetti alla sorveglianza dell Autorità; i soggetti accreditati nel settore delle costruzioni, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN e delle norme nazionali in materia, al rilascio della certificazione dei sistemi di qualità, su loro richiesta sarebbero stati autorizzati dall Autorità, ove in possesso dei predetti requisiti, anche allo svolgimento dei compiti di attestazione, fermo restando il divieto per lo stesso soggetto di svolgere sia i compiti della certificazione che quelli dell attestazione relativamente alla medesima impresa. Di talché, l art. 13 d.p.r. n. 34/2000 (poi abrogato dall art. 358, comma 1, lett. d) d.p.r. n. 207/2010 a decorrere dall 8 giugno 2011) aveva previsto che gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che avessero inteso svolgere anche attività di attestazione, sarebbero stati soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità. In tale sistema normativo, quindi, l organismo di certificazione avrebbe potuto essere autorizzato a svolgere anche attività di attestazione con il limite del divieto di svolgere entrambe le funzioni, di certificazione della qualità e di attestazione, nei confronti della stessa impresa. Tale limitazione nasce evidentemente dalla esigenza di garantire la rigida separazione tra chi certifica la qualità (organismo di certificazione) e chi attesta l esistenza della certificazione di qualità (organismo di attestazione) in capo ad un unico soggetto da qualificare e ciò al fine di garantire l imparzialità della certificazione di qualità e della relativa attestazione. L art. 8, legge n. 109/1994, come modificato dall art. 7, legge n. 166/2002, invece, non ha contemplato più la possibilità che il soggetto accreditato alla certificazione possa svolgere anche attività di qualificazione. Per effetto della modifica, infatti, l art. 8, comma 4, lett. b), legge n. 109/1994 ha previsto che il regolamento definisce in particolare le modalità e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici che i predetti organismi devono possedere. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che, a seguito di tale modifica, non può ritenersi che sia venuto meno il divieto di svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della medesima impresa, mentre, come anche correttamente rilevato dall Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, l effetto di tale modifica è il venir meno della possibilità di autorizzare i soggetti operanti nella certificazione di qualità a svolgere anche l attività di attestazione (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987; Cons. St., VI, 31 gennaio 2011, n. 696; Cons. St., VI, 25 gennaio 2011, n. 510). Pertanto, l art. 8, comma 4, lett. b), legge n. 109/1994, antecedentemente alle modifiche del 2002, aveva un duplice contenuto precettivo: da un lato, in deroga alla regola dell esclusività dell oggetto sociale degli organismi di attestazione, consentiva che l attività di attestazione fosse svolta, previa autorizzazione, anche da soggetti certificatori; dall altro, limitava tale possibilità, impedendo che uno stesso soggetto potesse svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della stessa impresa. 155

172 La disposizione, in sostanza, conteneva due norme tra loro strettamente collegate, vale a dire la norma di autorizzazione, derogatoria rispetto al principio dell esclusività dell oggetto sociale di cui all art. 7, comma 3, d.p.r. n. 34/2000, e la norma di divieto, avente la finalità di limitare l ampiezza, altrimenti eccessiva, di quell autorizzazione. Di talché, la parziale abrogazione della disposizione ha determinato la caducazione di entrambi i contenuti precettivi, facendo venir meno non solo il divieto, ma prima ancora, e soprattutto, la norma autorizzante, in assenza della quale, ovviamente, nessun limite può essere previsto. La circostanza che la legge non preveda più il divieto per le società di certificazione della qualità di svolgere anche attività di qualificazione con riferimento alla stessa impresa, insomma, non significa affatto che le società di certificazione possano svolgere incondizionatamente attività di attestazione, ma ha determinato un irrigidimento del sistema, posto che le stesse non possono più essere autorizzate a qualificare soggetti esecutori di lavori pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente. Né, in senso contrario, sarebbe potuta essere invocata la mancata formale abrogazione, se non a seguito del d.p.r. n. 207/2010, dell art. 13, d.p.r. n. 34/2000 che, al primo comma, prevede: «gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che intendono svolgere anche attività di attestazione, sono soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità». Tale disposizione regolamentare, infatti, per effetto delle modifiche legislative intervenute nel 2002, aveva visto svuotato il suo contenuto normativo, perché fa riferimento ad un autorizzazione che ormai l ordinamento non permette più di rilasciare. La previsione regolamentare, a seguito della modifica della norma di rango primario, era diventata inapplicabile ed in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva (Sezione atti normativi, 17 settembre 2007, n. 3262/2007) in occasione del parere sul primo schema di regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici, ove è stato rilevato che l art. 13, d.p.r. n. 34/2000 trovava il suo fondamento nell originaria formulazione dell art. 8, comma 4, lett. b), legge n. 109/1994, nel testo anteriore alla legge n. 166/2002. In sostanza, la norma primaria consentiva una deroga al principio secondo cui le SOA possono fare solo le SOA (esclusività dell oggetto sociale), consentendo agli organismi di certificazione di qualità di svolgere entrambe le attività, ma, trattandosi di un regime derogatorio, lo stesso deve avere base in una norma primaria che non esiste più sin dalla legge n. 166/2002 (il parere è richiamato, tra l altro, nella sentenza della Sesta sezione del Consiglio di Stato 16 febbraio 2011, n. 987). Il citato parere, quindi, aveva espresso l avviso che, avendo l art. 13, d.p.r. n. 34 del 2000 perso la sua base normativa, non potesse essere riprodotto nel nuovo schema di regolamento. Il principio di esclusività dell oggetto sociale della SOA, come evidenziato nella citata sentenza della Sesta sezione del Consiglio di Stato n. 987/2011, ha il duplice corollario che: a) un medesimo soggetto non può contemporaneamente svolgere attività di organismo di certificazione e di SOA; b) un organismo di certificazione non può avere partecipazioni azionarie in una SOA. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, inoltre, ha ripetutamente evidenziato che neppure sussistono dubbi di compatibilità comunitaria della normativa nazionale, interpretata nel senso appena descritto. Il divieto in questione, infatti, nella misura in cui mira ad affermare la neutralità e l imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, risulta certamente in linea con i principi comunitari che tutelano la concorrenza. Anzi, proprio lo scopo di consentire che alle gare d appalto in materia di lavori pubblici partecipino soltanto quei soggetti effettivamente in possesso dei requisiti prescritti giustifica, anche sotto il profilo della proporzionalità, il divieto di esercizio congiunto di attività di attestazione e di certificazione. Il delineato corpus normativo, risultante dalle modifiche apportate alla legge n. 109/1994 dalla legge n. 166/2002, risulta sostanzialmente riproposto nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006, che, all art. 40, comma 3, stabilisce che il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di 156

173 giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori; di contro, la norma non prevede alcuna possibilità per il soggetto accreditato alla certificazione di svolgere attività di qualificazione. In conclusione, nell attuale assetto normativo, quale risultante dal d.lgs. n. 163/2006 e dal relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010, la regola che la funzione di qualificazione sia attuata solo e soltanto dalle SOA, nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, e non possa essere svolta anche dagli organismi di certificazione deve ritenersi stabilita dall art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 che, di conseguenza, costituisce la base normativa sia dell art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010, laddove prevede che gli organismi di certificazione non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, sia dell art. 64, comma 3, d.p.r. n. 207/2010, secondo cui lo statuto degli organismi di attestazione deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei connessi controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulle loro capacità operativa ed economico finanziaria. Né può ritenersi che la «copertura» legislativa venga meno perché il divieto di partecipazione azionaria dettato dalla norma regolamentare è sancito qualunque sia la dimensione della partecipazione, e cioè, anche se la stessa sia sostanzialmente irrilevante, potendo invece essere eventualmente previsto solo in presenza di un nesso societario tra le due imprese, di certificazione e di attestazione, in grado di garantire un influenza dominante della prima sulla seconda. Detta circostanza non rileva nel caso di specie dove, come già evidenziato, esiste un collegamento societario intragruppo tale da determinare una unitarietà del centro decisionale. Infatti, SOA Rina è partecipata al 99% da Rina S.p.a. ed all 1% da Rina Services S.p.a., soggetto attualmente accreditato alla certificazione di qualità, la quale è a sua volta partecipata al 100% da Rina S.p.a., sicché non può sussistere alcun dubbio che, a prescindere dalla partecipazione dell 1% della società organismo di certificazione (Rina Services) nella società organismo di attestazione (SOA Rina), le stesse confluiscano in un unico centro decisionale facente capo alla holding Rina S.p.a. Pertanto, le censure specificamente dedotte dalla ricorrente, e volte a prospettare l immediata e diretta illegittimità dell art. 66, comma 1, nella parte in cui vieta agli organismi di certificazione di possedere partecipazioni nel capitale delle SOA e dell art. 64, comma 3, d.p.r. n. 207/2010, nella parte in cui prevede l esclusività dell oggetto sociale degli organismi di attestazione, devono essere disattese. 3.3 Il Collegio, tuttavia, ritiene che debba essere prospettata la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 166/2006, che, come detto, costituisce la base normativa di riferimento delle indicate norme regolamentari, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. L art. 40, comma 3, infatti, prevede come il sistema di qualificazione sia attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori, sicché, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Ne consegue che il giudizio di legittimità costituzionale di tale norma di legge è rilevante ai fini del giudizio in corso in quanto l interesse sostanziale dedotto in giudizio dalla Rina S.p.a. è quello di potere svolgere entrambe le attività, di certificazione e di attestazione, attraverso le controllate Rina Services S.p.a., di cui la ricorrente capogruppo detiene il 100% del capitale azionario, e Rina Soa S.p.a., di cui la ricorrente capogruppo detiene il 99% del capitale azionario, mentre, per effetto della richiamata norma di legge, di cui le norme regolamentari costituiscono applicazione, lo svolgimento contestuale di entrambe le attività da parte del gruppo RINA non è possibile, così come non è possibile la partecipazione azionaria di Rina Services S.p.a. e di Rina S.p.a. nel capitale azionario di Rina SOA. 157

174 L art. 41 Cost. sancisce la libertà dell iniziativa economica privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma). L iniziativa economica privata e l intervento pubblico nell economia come delineato nella Costituzione, quindi, possono coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini sociali e di benessere collettivo. Ne consegue che l esercizio della libertà economica privata può essere limitato, ma solo per ragioni di utilità sociale, sicché il rispetto della norma costituzionale postula che l imposizione di limiti deve rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, i limiti posti alla libertà di iniziativa economica privata, per essere legittimi, devono essere diretti a tutelare, con carattere di adeguatezza e proporzionalità, altri valori di rilevanza costituzionale. Ora, se non c è dubbio che nella fattispecie in esame i limiti discendenti dalla norma di legge, essendo volti a garantire la neutralità e l imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, sono in linea di massima certamente aderenti a valori di rilievo costituzionale, come la concorrenza, ed ai principi comunitari, occorre però rilevare che lo stesso risultato di indipendenza e neutralità potrebbe essere messo a rischio non già dalla teorica possibilità per uno stesso gruppo societario di attestare sia la certificazione di qualità che i requisiti di qualificazione, ma dalla concreta ipotesi che tale duplice attività sia svolta nei confronti della medesima impresa. In altri termini, se è vero che potrebbe sussistere un vulnus alla fondamentale esigenza della imparzialità e della indipendenza della SOA nell accertamento del possesso della certificazione di qualità in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia stata rilasciata da un soggetto che partecipa alla SOA stessa, facendo parte della relativa compagine societaria, è altrettanto vero che tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attività siano svolte nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare. Pertanto, se è certamente ragionevole e proporzionato che le due attività in discorso non possano essere svolte da uno stesso soggetto nei confronti della medesima impresa, appare invece sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla norma e, per tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una società, o un gruppo societario con un medesimo centro di imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attività, senza prevedere invece tale possibilità con il limite del divieto di svolgimento nei confronti della stessa impresa. D altra parte, la soluzione in questa sede ipotizzata era quella già delineata dal legislatore della legge quadro del 1994, prima delle modifiche legislative intervenute con legge n. 166/2002, e la stessa, ad avviso del Collegio, sembra più congrua e proporzionata e, quindi, maggiormente idonea a garantire l equilibrio tra tutti i valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie. La norma in discorso sembra parimenti contrastare con l art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i soggetti dell ordinamento, in quanto si traduce in una disparità di trattamento tra gli operatori economici laddove agli organismi di certificazione preclude sic et simpliciter la possibile partecipazione al capitale delle SOA anche nell ipotesi in cui, ove previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione nei confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus ai principi di imparzialità ed indipendenza e gli altri soggetti che possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA. In altri termini, la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini. Nel caso di specie atteso che il principio di indipendenza ed imparzialità sembra poter essere efficacemente tutelato con una previsione normativa volta ad escludere lo svolgimento delle attività di certificazione e di attestazione nei confronti di una medesima impresa, mentre, come detto, il divieto assoluto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale delle SOA appare sproporzionato e debordante rispetto alla finalità perseguita dalla norma il trattamento differente riservato agli organismi di certificazioni appare violativo del canone di ragionevolezza al quale la discrezionalità del legislatore deve ontologicamente ispirarsi. 158

175 Di qui, la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 166/2006, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., laddove la norma sostanzialmente prevede l esclusività dell oggetto sociale delle SOA con il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Pertanto, occorre sospendere il giudizio, relativamente all impugnazione dell art. 66, comma 1, e dell art. 64, comma 3, d.p.r. n. 207/2010 nonché dell art. 357, comma 21, d.p.r. n. 207/2010, secondo cui, in relazione all art. 66, comma 1, le SOA, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all art. 3, comma 1, lett. ff), dandone comunicazione all Autorità, e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla questione. La sospensione del giudizio va estesa anche alla norma transitoria in quanto l eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 in parte qua determinerebbe la cessata materia del contendere in ordine all impugnazione dell art. 357, comma 21, d.p.r., non rendendosi più necessaria la dismissione azionaria. Viceversa, tale norma transitoria non può ritenersi di per sé illegittima per l incongruità del termine appositamente previsto, atteso che il regolamento è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 ed è entrato in vigore il 9 giugno 2011, per cui è a tale ultima data che occorre fare riferimento per la decorrenza dell ulteriore termine di 180 giorni. In definitiva, quindi, il margine temporale previsto per la dismissione delle partecipazione azionarie nel capitale delle SOA è di circa un anno a far tempo dalla data di pubblicazione del regolamento e tale termine non può ritenersi inadeguato. P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA; Dispone la sospensione del giudizio e ordina l immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre Il Presidente: POLITI L estensore: C APONIGRO 12C

176 N. 87 Ordinanza del 13 dicembre 2011 emessa del Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Soa Rina Organismo di Attestazione s.p.a. contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - Previsione dell esclusività dell oggetto delle SOA - Conseguente divieto per un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di certificazione e di SOA e, per un organismo di certificazione, di avere partecipazioni azionarie in SOA - Irragionevolezza - Violazione del principio di libertà economica privata. Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 40, comma 3. Costituzione, artt. 3 e 41. IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1471 del 2011, proposto da: Soa Rina Organismo di Attestazione Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe M. Giacomini, Roberto Damonte e Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio di quest ultima in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 349; Contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Stato, Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, Conferenza unificata, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero per le Politiche Europee, Ministero dell Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Ministero dell Economia e delle Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero degli Affari Esteri, rappresentati e difesi dall Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10 dicembre Suppl. Ord. n in vigore dal 9 giugno avente ad oggetto Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CF,» nella parte in cui all art. 66 (Partecipazioni azionarie) ha incluso tra i soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, anche quelli «di cui all articolo 3, comma 1, lettere... ff)» ossia gli «organismi di certificazione: gli organismi di diritto privato che rilasciano i certificati del sistema di qualità conformi alle norme europee serie UNI EN ISO 9000»; in via subordinata, all art. 357, comma 21, (Norme transitorie) prevede che «In relazione all articolo 66, comma 1, le SOA, entro centottanta giorni dall entrata in vigore del presente regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettera ff), dandone comunicazione all Autorità»; nonché nella parte in cui all art. 64 (Requisiti generali e di indipendenza delle SOA) prescrive (comma 1) che «la sede legale deve essere nel territorio della Repubblica»; nonché per l annullamento di ogni atto, anche istruttorio o consultivo, preordinato o presupposto, conseguente o connesso e per l accertamento e la condanna delle amministrazioni intimate all integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l atto di costituzione in giudizio dell Avvocatura Generale dello Stato; 160

177 Relatore nell udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 1. La Soa Rina Spa fa presente di essere una società organismo di attestazione, con sede in Genova, avente come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulla loro capacità operativa ed economico-finanziaria, ai fini della qualificazione ex art. 8 legge n. 109/1994 (ora art. 40 d.lgs. n. 163/2006). Soggiunge di essere partecipata al 99 % da Rina Spa ed all 1% da Rina Services Spa, soggetto attualmente accreditato alla certificazione di qualità. L art. 66 del d.p.r. n. 207/2010, regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs. 163/2006, ha esteso il divieto di partecipazione al capitale di una SOA anche ai «soggetti di cui all articolo 3, comma 1, lettere b) e ff)», ossia agli organismi di certificazione. L art. 357, comma 21, del predetto decreto ha dettato la disciplina transitoria prevedendo un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria. L art. 64 dello stesso regolamento, inoltre, ha imposto che gli organismi di attestazione debbano obbligatoriamente avere sede legale nel territorio della Repubblica, circostanza che impedirebbe alla SOA ricorrente dì allocare la propria sede in altro Stato dell Unione Europea per potersi aprire al mercato straniero continuando, peraltro, ad attestare anche le imprese italiane. Il ricorso é articolato nei seguenti motivi: Quanto al divieto di partecipazione al capitale SOA. Violazione e falsa applicazione dell art. 17, comma 1, legge n. 400/1988 e sani in relazione all art. 5, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 e s.m.i. ed all art. 41 Cost. Difetto assoluto dei presupposti. Lo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 luglio 2007 non prevedeva alcun divieto di partecipazione azionaria al capitale di una SOA per gli organismi di certificazione. Il parere espresso dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato nell adunanza del 17 settembre 2007 non aveva ritenuto di introdurre alcun divieto per gli enti certificatori di detenzione di quote sociali di SOA. Nel regolamento successivamente approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 21 dicembre 2007, il divieto di partecipazione al capitale di una SOA è stato esteso anche agli organismi di certificazione, sicché la rilevanza giuridica ed economica della modificazione apportata rispetto alla schema vagliato dal Consiglio di Stato ne rivelerebbe la sua illegittimità che si riverbererebbe sul testo del regolamento approvato con d.p.r. n. 207/2010, atteso che il parere reso dal Consiglio di Stato sul nuovo schema di regolamento rinvierebbe ampiamente al precedente parere di cui costituirebbe il naturale completamento. La circostanza che il nuovo parere non si sia direttamente espresso sul divieto contestato con il ricorso, implicitamente rinviando al parere precedente, comporterebbe che il Consiglio di Stato non ha mai verificato la legittimità di tale disposizione. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, comma 3 e 4, d.lgs. 163/2006 e s.m.i. per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 Cost. e del pertinente principio di riserva di legge e di libera iniziativa economica. Violazione dell art. 76 Cost. e del principio dell esercizio della funzione legislativa. Sull inesistenza della presupposta necessaria fonte di rango legislativo. La disposizione regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 Cost. secondo cui la libertà. di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati. Il codice dei contratti non avrebbe previsto né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA. Sul divieto di interpretazione estensiva o analogica del principio di cui all art. 41 Cost. Ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata deve essere interpretata restrittivamente. Sulla violazione dell art. 76 Cost. relativamente al principio dell esercizio della funzione legislativa. 161

178 L art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010 avrebbe introdotto un divieto assolutamente nuovo rispetto al sistema legislativo previgente ed in contrasto con i principi e con l impianto in materia di SOA delineato dal codice degli appalti, per cui esorbiterebbe dai criteri direttivi imposti dal codice al fine di circoscrivere la discrezionalità attribuita al Governo dal legislatore. Eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà. L introduzione del divieto per gli organismi di certificazione di detenere quote sociali di SOA non soltanto non sarebbe previsto da alcuna fonte normativa sovraordinata di rango primario, ma sarebbe altresì manifestamente illogica e contraddittoria in ragione della ontologica diversità ed autonomia esistente tra attività di attestazione e di. certificazione, le quali avrebbero effetti eterogenei. SOA ed ente di certificazione effettuerebbero i propri controlli su elementi distinti ed in modo totalmente diverso e la verifica effettuata dalla SOA sulla certificazione del sistema qualità sarebbe totalmente vincolata; la SOA, infatti, non avrebbe altro compito che quello di acquisire il certificato di qualità e verificarne i requisiti di validità formale, senza entrare nel merito del documento. La giurisprudenza comunitaria, in via generale, avrebbe affermato il principio secondo cui le situazioni di controllo tra società diverse andrebbero verificate in concreto, con conseguente illegittimità di tutte quelle forme precostituite di divieto poste esclusivamente in ragione di un qualche reciproco collegamento tra soggetti distinti. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/18/CF,. Incompatibilità con il diritto dell Unione Europea (in particolare, principio di proporzionalità e dell effetto utile). La ratio della disciplina comunitaria in materia di attività di certificazione sarebbe rappresentata dalla necessità di garantire l indipendenza e l imparzialità delle SOA e degli organismi di certificazione, sicché la facoltà conferita agli Stati membri di attribuire a determinati soggetti l attività di certificazione non potrebbe tuttavia risolversi in una violazione del principio di proporzionalità. Il divieto per un ente di certificazione di detenere una quota minoritaria del capitale sociale di una SOA costituirebbe un divieto eccessivamente rigoroso ed ingiustificato rispetto all obiettivo che il legislatore intenderebbe conseguire, vale a dire l autonomia e l indipendenza di giudizio. La verifica dell imparzialità andrebbe effettuata principalmente con riferimento all impresa da certificare/attestare. Ove dovesse ritenersi che la normativa legislativa nazionale fornisca il presupposto del divieto introdotto dalla norma regolamentare, sarebbe necessario un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia onde verificare se con essa possa essere compatibile una disposizione di legge recante il divieto generalizzato di detenere quote azionarie di organismi di attestazione. Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 43 e 49 del Trattato, oggi artt. 49 e 56 TFUE, nonché della direttiva servizi 2006/123/CE) con specifico riferimento ai canoni di necessità e proporzionalità. La disposizione impugnata sarebbe contrastante con ulteriori principi di matrice comunitaria in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e, comunque, con i principi di necessità e proporzionalità. In subordine: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed illogicità. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell azione amministrativa. La disciplina transitoria prevista dall art. 357, comma 21, d.p.r. n. 207/2010 per l adeguamento della composizione azionaria delle SOA sarebbe comunque illegittima per l incongruità del termine semestrale in relazione alle specifiche attività necessarie per permettere a coloro che detengono quote di proprietà SOA di cederle. Violazione e falsa applicazione dell art. 40, comma 3 e 4, d.lgs. 163/2006 e s.m.i. per eccesso di delega. Violazione dell art. 41 Cost. e del pertinente principio di riserva di legge, di libera iniziativa economica, di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione di servizi. Manifesta illogicità ed irragionevolezza. Il codice dei contratti non prevederebbe né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un precostituito obbligo per gli organismi di certificazione di avere la sede legale necessariamente sul territorio della Repubblica. L obbligo della sede italiana, inoltre, sarebbe del tutto ingiustificata, gravosa ed in contrasto con i preminenti interessi della tutela della concorrenza, protetta sia dalla disciplina comunitaria che da quella interna per mezzo di previsioni che favoriscono la libera iniziativa economica e l ingresso nel mercato di quanti più operatori possibile. 162

179 Violazione e falsa applicazione della direttiva 2006/123/CE (ovvero, del d.lgs. 59/2010) con specifico riferimento al principio di non discriminazione. L obbligo della sede legale sul territorio della Repubblica, inoltre, in tegrerebbe un ipotesi di requisito discriminatorio ai fini dell applicazione dei principi di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi. L Avvocatura Generale dello Stato, con ampia ed analitica memoria, in rito, ha eccepito l inammissibilità del ricorso per carenza di interesse nonché il difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni intimate ad eccezione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del gravame. La parte ricorrente ha depositato ulteriori memorie a sostegno delle proprie ragioni. All udienza pubblica del 26 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la carenza di interesse al ricorso in quanto non sarebbe ravvisabile un interesse attuale e concreto della ricorrente in relazione alle norme regolamentari impugnate. L eccezione è da disattendere. Le norme regolamentari, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, devono distinguersi in volizioni preliminari, contenenti previsioni normative astratte e programmatiche, e volizioni azioni, contenenti previsioni concrete, destinate all immediata applicazione ( ex multis : Cons. St., IV, 14 febbraio 2005, n. 450). Queste ultime sono immediatamente applicabili in quanto si rivolgono direttamente ai soggetti destinatari, costituendo, modificando o estinguendo un rapporto giuridico tra di loro o tra di loro e la pubblica amministrazione, mentre le volizioni preliminari contengono previsioni astratte, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica degli amministrati, ma disciplinano l azione che l amministrazione dovrà avere in futuro, la quale si esplicherà in atti applicativi idonei a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico con o tra i destinatari. Ne consegue che le volizioni azioni, essendo suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto, possono, anzi devono, essere oggetto di immediata ed autonoma impugnazione, mentre, nel caso di volizioni preliminari, la concreta lesione deriva dall adozione dell atto applicativo, per cui la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l atto presupposto. Nel caso di specie, le norme regolamentari impugnate dalla SOA Rina Spa - contenute negli artt. 66 e 64 del d.p.r. n. 207/2010 nonché la norma transitoria di cui all art. 357, comma 21, dello stesso regolamento - costituiscono evidentemente volizioni azioni in quanto sono immediatamente e direttamente lesive della sfera giuridica della ricorrente, sicché possono senz altro essere autonomamente impugnate. Infatti, la dismissione delle partecipazioni azionarie da parte dei soggetti di cui all art. 66, comma 1, nel capitale di una SOA nel termine di centottanta giorni di cui all art. 357, comma 21, così come l obbligo per le SOA di avere la sede legale nel territorio della Repubblica sono precetti cogenti, che si applicano ai destinatari a prescindere da qualunque provvedimento applicativo e costituiscono, pertanto, un esempio paradigmatico delle cc.dd. volizioni «azioni». 3. L Avvocatura erariale ha altresì eccepito il difetto di legittimazione passiva di tutte le amministrazioni resistenti, ad eccezione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero proponente del regolamento le cui norme sono state impugnate. L eccezione non persuasiva in quanto tali amministrazioni hanno partecipato al procedimento di formazione, approvazione e pubblicazione del regolamento e comunque, come correttamente rilevato dalla ricorrente, é sostanzialmente irrilevante atteso che le stesse si sono costituite in giudizio con il patrocinio dell Avvocatura Generale dello Stato, assumendo una posizione processuale unitaria. 4. Per quanto attiene al divieto per gli organismi di certificazione (soggetti di cui all art. 3, comma 1, lett. ff), di partecipare al capitale di una SOA, contenuto nell art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010, la ricorrente ha proposto una serie di doglianze. 4.1 In primo luogo, ha sostenuto che il Consiglio di Stato non si sarebbe mai espresso sulla legittimità della disposizione. La doglianza non può essere condivisa. In proposito, é sufficiente rilevare che la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, con il parere n. 313, reso in data 24 febbraio 2010, si é espressa sullo schema di regolamento contemplante la norma impugnata ed al punto 25 dello stesso ha fatto presente che in relazione al divieto di partecipazione al capitale di una SOA 163

180 recato dall articolo 66 per gli organismi di certificazione, l articolo 357 prevede ora, in via transitoria, un termine di 180 giorni per l adeguamento della composizione azionaria, termine che può ritenersi congruo». Ne consegue che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha esaminato anche l art. 66, comma 1, nella nuova formulazione, concludendo, sia pure implicitamente, per la sua legittimità non avendo formulato specifiche osservazioni. Infatti, avendo valutato congruo il termine per l adeguamento della compagine societaria, ha evidentemente ritenuto di non formulare rilievi sul presupposto di tale adempimento, vale a dire sul divieto per gli organismi di certificazione di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA. 4.2 SOA Rina spa ha prospettato che la norma regolamentare si porrebbe in contrasto con l art. 41 Cost., secondo cui la libertà di iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo se espressi da una fonte di rango legislativo e, in ogni caso, se proporzionati, laddove codice dei contratti non avrebbe previsto né in termini di principio generale né sottoforma di disposizione ad hoc un divieto precostituito per gli organismi di certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA; in ogni caso, ogni norma che limiti la libertà di iniziativa economica privata dovrebbe essere interpretata restrittivamente. La doglianza, sotto tale profilo, non può essere accolta in quanto non è possibile ritenere che il divieto in discorso non trovi copertura in una norma di legge sovraordinata. L art. 4, comma 2, lett. b), legge n. 109/1994, come sostituito dall art /1998 ed in vigore fino al 2002, prevedeva che il regolamento con cui è istituito il sistema di qualificazione unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici dovesse definire le modalità. e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i loro requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici, fermo restando che essi avrebbero dovuto agire in piena indipendenza rispetto ai soggetti esecutori di lavori pubblici destinatari del sistema di qualificazione ed essere soggetti alla sorveglianza dell Autorità: i soggetti accreditati nel settore delle costruzioni, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN e delle norme nazionali in materia, al rilascio della certificazione dei sistemi di qualità, su loro richiesta sarebbero stati autorizzati dall Autorità, ove in possesso dei predetti requisiti, anche allo svolgimento dei compiti di attestazione, fermo restando il divieto per lo stesso soggetto di svolgere sia i compiti della certificazione che quelli dell attestazione relativamente alla medesima impresa. Di talché, l art. 13 d.p.r n. 34/2000 (poi abrogato dall art. 358, comma 1, lett. d) d.p.r. n. 207/2010 a decorrere dall 8 giugno 2011) aveva previsto che gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che avessero inteso svolgere anche attività di attestazione, sarebbero stati soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità. In tale sistema normativo, quindi, l organismo di certificazione avrebbe potuto essere autorizzato a svolgere anche attività di attestazione con il limite del divieto di svolgere entrambe le funzioni, di certificazione della qualità e di attestazione, nei confronti della stessa impresa. Tale limitazione nasce evidentemente dalla esigenza di garantire la rigida separazione tra chi certifica la qualità (organismo di certificazione) e chi attesta l esistenza della certificazione di qualità (organismo di attestazione) in capo ad un unico soggetto da qualificare e ciò al fine di garantire l imparzialità della certificazione di qualità e della relativa attestazione. L art. 8 legge n. 109/1994, come modificato dell art. 7 legge n. 166/2002, invece, non ha contemplato più la possibilità che il soggetto accreditato alla certificazione possa svolgere anche attività di qualificazione. Per effetto della modifica, infatti, l art. 8, comma 4, lett. b), legge n. 109/1994 ha previsto che il regolamento definisce in particolare le modalità e i criteri di autorizzazione e di eventuale revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici che i predetti organismi devono possedere. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire e che, a seguito di tale modifica, non può ritenersi che sia venuto meno il divieto di svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della medesima impresa, mentre, come anche correttamente rilevato dall Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, l effetto di tale modifica è il venir meno della possibilità di autorizzare i soggetti operanti nella certificazione di qualità a svolgere anche l attività di attestazione (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987; Cons. St., VI, 31 gennaio 2011, n. 696; Cons. St., VI, 25 gennaio 2011, n. 510). Pertanto, l art. 8, comma 4, lettera b), legge n. 109/1994, antecedentemente alle modifiche del 2002, aveva un duplice contenuto precettivo: da un lato, in deroga alla regola dell esclusività dell oggetto sociale degli organismi di attestazione, consentiva che l attività di attestazione fosse svolta, previa autorizzazione, anche da soggetti certificatori; dall altro, limitava tale possibilità, impedendo che uno stesso soggetto potesse svolgere attività di certificazione e di attestazione nei confronti della stessa impresa. 164

181 La disposizione, in sostanza, conteneva due norme tra loro strettamente collegate, vale a dire la norma di autorizzazione, derogatoria rispetto al principio dell esclusività dell oggetto sociale di cui all art. 7, comma 3, d.p.r. n. 34/2000, e la norma di divieto, avente la finalità di limitare l ampiezza, altrimenti eccessiva, di quell autorizzazione. Di talché, la parziale abrogazione della disposizione ha determinato la caducazione di entrambi i contenuti precettivi, facendo venir meno non solo il divieto, ma prima ancora, e soprattutto, la norma autorizzante, in assenza della quale, ovviamente, nessun limite può essere previsto. La circostanza che la legge non preveda più il divieto per le società di certificazione della qualità di svolgere anche attività di qualificazione con riferimento alla stessa impresa, insomma, non significa affatto che le società di certificazione possano svolgere incondizionatamente attività di attestazione, ma ha determinato un irrigidimento del sistema, posto che le stesse non possono più essere autorizzate a qualificare soggetti esecutori di lavori pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente. Né, in senso contrario, sarebbe potuta essere invocata la mancata formale abrogazione, se non a seguito del d.p.r n. 207/2010, dell art. 13 d.p.r. 34/2000 che, al primo comma, prevede: gli organismi già accreditati al rilascio di certificazione dei sistemi di qualità, che intendono svolgere anche attività di attestazione, sono soggetti alla autorizzazione da parte dell autorità. Tale disposizione regolamentare, infatti, per effetto delle modifiche legislative intervenute nel 2002, aveva visto svuotato il suo contenuto normativo, perché fa riferimento ad un autorizzazione che ormai l ordinamento non permette più di rilasciare. La previsione regolamentare, a seguito della modifica della norma di rango primario, era diventata applicabile ed in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato sede consultiva (Sezione atti normativi, 17 settembre 2007, n. 3262/2007) in occasione del parere sul primo schema di regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici, ove è stato rilevato che l art. 13 d.p.r 34/2000 trovava il suo fondamento nell originaria formulazione dell art. 8, comma 4, lett. b), legge n. 109/1994, nel testo anteriore alla legge n. 166/2002. In sostanza, la norma primaria consentiva una deroga al principio secondo cui le SOA possono fare solo le SOA (esclusività dell oggetto sociale), consentendo agli organismi di certificazione di qualità di svolgere entrambe le attività, ma, trattandosi di un regime derogatorio, lo stesso deve avere base in una norma primaria che non esiste più sin dalla /2002 (il parere è richiamato, tra l altro, nella sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato 16 febbraio 2011, n. 987). Il citato parere, quindi, aveva espresso l avviso che, avendo l art. 13, d.p.r. n. 34 del 2000 perso la sua base normativa, non potesse essere riprodotto nel nuovo schema di regolamento. Il principio di esclusività dell oggetto sociale della SOA, come evidenziato nella citata sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 987/2011, ha il duplice corollario che: a) un medesimo soggetto non può contemporaneamente svolgere attività di organismo di certificazione e di SOA; b) un organismo di certificazione non può avere partecipazioni La giurisprudenza del Consiglio di Stato, inoltre, ha ripetutamente evidenziato che neppure sussistono dubbi di compatibilità comunitaria della normativa nazionale, interpretata nel senso appena descritto. Il divieto in questione, infatti, nella misura in cui mira ad affermare la neutralità e l imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, risulta certamente in linea con i principi comunitari che tutelano la concorrenza. Anzi, proprio lo scopo di consentire che alle gare d appalto in materia di lavori pubblici partecipino soltanto quei soggetti effettivamente in possesso dei requisiti prescritti giustifica, anche sotto il profilo della proporzionalità, il divieto di esercizio congiunto di attività di attestazione e di certificazione. Il delineato corpus normativo, risultante dalle modifiche apportate alla legge n. 109/1994 dalla legge n. 166/2002, risulta sostanzialmente riproposto nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006, che, all art. 40, comma 3, stabilisce che il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori; di contro, la norma non prevede alcuna possibilità per il soggetto accreditato alla certificazione di svolgere attività di qualificazione. In conclusione, nell attuale assetto normativo, quale risultante dal d.lgs. 163/2006 e dal relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r n. 207/2010, la regola che la funzione di 165

182 qualificazione sia attuata solo e soltanto dalle SOA, nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, e non possa essere svolta anche dagli organismi di certificazione deve ritenersi stabilita dall art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 che, di conseguenza, costituisce la base normativa sia dell art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010, laddove prevede che gli organismi di certificazione non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una SOA, sia dell art. 64, comma 3, d.p.r. 207/2010, secondo cui lo statuto degli organismi di attestazione deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell attività di attestazione e di effettuazione dei connessi controlli tecnici sull organizzazione aziendale e sulla produzione delle imprese di costruzione, nonché sulle loro capacità operativa ed economico finanziaria. Né può ritenersi che la copertura legislativa venga meno perché il divieto di partecipazione azionaria dettato dalla norma regolamentare è sancito qualunque sia la dimensione della partecipazione, e cioè anche se la stessa sia sostanzialmente irrilevante, potendo invece essere eventualmente previsto solo in presenza di un nesso societario tra le due imprese, di certificazione e di attestazione, in grado di garantire un influenza dominante della prima sulla seconda. Detta circostanza non rileva nel caso di specie dove esiste un collegamento societario intragruppo tale da determinare una unitarietà del centro decisionale. Infatti, SOA Rina è partecipata al 99% da Rina Spa ed all 1% da Rina Services Spa, soggetto attualmente accreditato alla certificazione di qualità, la quale é a sua volta partecipata al 100% da Rina spa, sicché non può sussistere alcun dubbio che, a prescindere dalla partecipazione dell 1 % della società organismo di certificazione (Rina Services) nella società organismo di attestazione (SOA Rina), le stesse confluiscano in un unico centro decisionale facente capo alla holding Rina spa. Pertanto, le censure specificamente dedotte dalla ricorrente, volte a prospettare l immediata. e diretta illegittimità dell art. 66, comma 1, nella parte in cui vieta agli organismi di certificazione di possedere partecipazioni nel capitale delle SOA, devono essere disattese. 4.3 il Collegio, tuttavia, ritiene che debba essere prospettata la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. 166/2006, che, come detto, costituisce la base normativa di riferimento dell indicata norma regolamentare, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. L art. 40, comma 3, infatti, prevede come il sistema di qualificazione sia attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall Autorità, specificando che l attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori, sicché, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice coronario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Ne consegue che il giudizio di legittimità costituzionale di tale norma di legge è rilevante ai fini del giudizio in corso in quanto l interesse sostanziale dedotto in giudizio da SOA Rina Spa è quello di evitare la cessione delle quote sociali da parte di Rina Services (nonché da parte di Rina Spa) e la conseguente interruzione immediata dell attività di qualificazione, atteso che, per effetto della richiamata norma di legge, di cui le norme regolamentari costituiscono applicazione, lo svolgimento contestuale di entrambe le attività da parte del gruppo RINA non è possibile, così come non è possibile la partecipazione azionaria di Rina Services Spa e di Rina Spa nel capitale azionario di SOA Rina. L art. 41 Cost. sancisce la libertà dell iniziativa economica privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma). L iniziativa economica privata e l intervento pubblico nell economia come delineato nella Costituzione, quindi, possono coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini sociali e di benessere collettivo. Ne consegue che l esercizio della libertà economica privata può essere limitato, ma solo per ragioni di utilità sociale, sicché il rispetto della norma costituzionale postula che l imposizione di limiti deve rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, i limiti posti alla libertà di iniziativa economica privata, per essere legittimi, devono essere diretti a tutelare, con carattere di adeguatezza e proporzionalità, altri valori di rilevanza costituzionale. Ora, se non c è dubbio che nella fattispecie in esame i limiti discendenti dalla norma di legge, essendo volti a garantire la neutralità e l impar- 166

183 zialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, sono in linea di massima certamente aderenti a valori di rilievo costituzionale, come la concorrenza, ed ai principi comunitari, occorre però rilevare che lo stesso risultato di indipendenza e neutralità potrebbe essere messo a rischio non già dalla teorica possibilità per uno stesso gruppo societario di attestare sia la certificazione di qualità che i requisiti di qualificazione, ma dalla concreta ipotesi che tale duplice attività sia svolta nei confronti della medesima impresa. In altri termini, se è vero che potrebbe sussistere un vulnus alla fondamentale esigenza della imparzialità e della indipendenza della SOA nell accertamento del possesso della certificazione di qualità in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia stata rilasciata da un soggetto che partecipa alla SOA stessa, facendo parte della relativa compagine societaria, è altrettanto vero che tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attività siano svolte nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare. Pertanto, se è certamente ragionevole e proporzionato che le due attività in discorso non possano essere svolte da uno stesso soggetto nei confronti della medesima impresa, appare invece sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla norma e, per tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una società, o un gruppo societario con un medesimo centro di imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attività, senza prevedere invece tale possibilità con il limite del divieto di svolgimento nei confronti della stessa impresa. D altra parte, la soluzione in questa sede ipotizzata era quella già delineata dal legislatore della legge quadro del 1994, prima delle modifiche legislative intervenute con legge n. 166/2002, e la stessa, ad avviso del Collegio, sembra più congrua e proporzionata e, quindi, maggiormente idonea a garantire l equilibrio tra tutti i valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie. La norma in discorso sembra parimenti contrastare con l art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i soggetti dell ordinamento, in quanto si traduce in una disparità di trattamento tra gli operatori economici laddove agli organismi di certificazione preclude sic et simpliciter la possibile partecipazione al capitale delle SOA anche nell ipotesi in cui, ove previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione nei confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus ai principi di imparzialità ed indipendenza e gli altri soggetti che possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA In altri termini, la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini. Nel caso di specie - atteso che il principio di indipendenza ed imparzialità sembra poter essere efficacemente tutelato con una previsione normativa volta ad escludere lo svolgimento delle attività di certificazione e di attestazione nei confronti di una medesima impresa, mentre, come detto, il divieto assoluto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale delle SOA appare sproporzionato e debordante rispetto alla finalità perseguita dalla norma - il trattamento differente riservato agli organismi di certificazioni appare violativo del canone di ragionevolezza al quale la discrezionalità del legislatore deve ontologicamente ispirarsi. Di qui, la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di Legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 166/2006, per violazione degli ara. 3 e 41 Cost., laddove la norma sostanzialmente prevede l esclusività dell oggetto sociale delle SOA con il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. Pertanto, occorre sospendere il giudizio, relativamente all impugnazione dell art. 66, comma 1, d.p.r. n. 207/2010 nonché dell art. 357, comma 21, d.p.r. n. 207/2010, secondo cui, in relazione all art. 66, comma 1, le SOA, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di partecipazione per i soggetti di cui all art. 3, comma 1, lett. ff), dandone comunicazione all Autorità, e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla questione. La sospensione del giudizio va estesa anche alla norma transitoria in quanto l eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 in parte qua determinerebbe la cessata materia del contendere in ordine all impugnazione dell art. 357, comma 21, d.p.r., non rendendosi più necessaria la dismissione azionaria. 167

184 Viceversa, tale norma transitoria non può ritenersi di per sé illegittima per l incongruità del termine appositamente previsto, atteso che il regolamento è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 ed è entrato in vigore il 9 giugno 2011, per cui è a tale ultima data che occorre far-e riferimento per la decorrenza dell ulteriore termine di 180 giorni. In definitiva, quindi, il margine temporale previsto per la dismissione delle partecipazione azionarie nel capitale delle SOA è di circa un anno a far tempo dalla data di pubblicazione del regolamento e tale termine non può ritenersi inadeguato. P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 40, comma 3, d.lgs. 163/2006 nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA; dispone la sospensione del giudizio e ordina l immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 Il Presidente: POLITI L estensore: CAPONIGRO 12C0174 N. 88 Ordinanza del 23 settembre 2011 emessa dalla Corte d Appello di Torino nel procedimento penale a carico di T.G. Processo penale - Dibattimento - Nuove contestazioni - Contestazione di un reato concorrente emerso nel corso dell istruttoria dibattimentale - Facoltà per l imputato di chiedere il giudizio abbreviato - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di ragionevolezza, per la diversa disciplina, risultante dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 265 del 1994 e 530 del 1995, prevista in analoga situazione per taluni riti speciali (patteggiamento e oblazione) - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 333 del Codice di procedura penale, art Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo. LA CORTE D APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel p.p. n /07 a carico di T. G., nato a Messina il 27 agosto 1954, imputato come in atti, appellante. Rilevato che T. G. ha riproposto in questa sede la già sollevata questione di legittimità costituzionale dell art. 517 cpp, con riferimento agli artt. 3 e 24, 2 comma, Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità per l imputato, a cui sia stato contestato un reato concorrente emerso nel corso dell istruttoria dibattimentale, di chiedere con riferimento a quello specifico reato, il giudizio abbreviato; rilevato che il Pg ha fatto propria l istanza ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata; 168

185 rilevato che le parti civili si sono opposte all accoglimento dell istanza e, in subordine, hanno dichiarato di rimettersi alle statuizioni della Corte; rilevato che la Corte Costituzionale ha dichiarato, con sentenza n. 333 del 18 dicembre 2009, l illegittimità costituzionale dell art. 517 cpp nella parte in cui non prevede la facoltà dell imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato, relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell azione penale; osserva quanto segue. I fatti riportati nel capo di imputazione D), fatti per i quali T.G. ha richiesto in data 1 luglio 2005, nel corso del dibattimento di primo grado, di essere giudicato con il rito abbreviato, sono fatti che non risultavano dagli atti di indagine al momento dell esercizio dell azione penale, essendo, invece, emersi per la prima volta dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa T. S. nel corso dell udienza dibattimentale e, pertanto, non rientrano nella fattispecie oggetto di pronuncia della Corte Costituzionale con sentenza n. 333 del 18 dicembre In quella sede la Corte Costituzionale si è limitata a pronunciarsi sulla questione nei termini a lei prospettati dal Tribunale di Pinerolo con ordinanza 18 settembre 2008 senza esaminare il profilo in oggetto in questa sede, e conseguentemente, non ha esaminato il profilo di legittimità costituzionale dell art. 517 cpp nel caso in cui la nuova contestazione abbia per oggetto fatti che non risultavano dagli atti di indagine al momento dell esercizio dell azione penale. Ritiene questa Corte territoriale che debba, conseguentemente, essere sollevata l ulteriore questione di legittimità costituzionale relativamente all art. 517 cpp, in riferimento agli artt. 3 e 24, 2 comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede la facoltà dell imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al processo concernente il reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerna un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell esercizio dell azione penale. Questa Corte è consapevole del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale non è ammessa la richiesta di abbreviato «parziale», riferita cioè a una parte soltanto delle imputazioni cumulativamente formulate contro la stessa persona: tale orientamento, tuttavia, elaborato con riguardo a richieste di abbreviato tempestivamente proposte, potrebbe non valere per la presente peculiare fattispecie che assume connotati di anomalia, essendo la contestazione dibattimentale diretta ad adeguare l imputazione alle nuove risultanze dibattimentali, senza che sia garantita all imputato una richiesta tempestiva del giudizio abbreviato. D altra parte proprio la Corte Costituzionale ha già sancito, con la menzionata sentenza n. 333 del 18 dicembre 2009, l illegittimità costituzionale dell art. 517 cpp nella parte in cui non prevede la facoltà dell imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell azione penale. Identica «ratio» dovrebbe ricorrere nel caso in oggetto poichè: se da un lato è vero che alcun rimprovero può essere mosso al Pm per la mancata contestazione di un reato concorrente che non risultava dagli atti di indagine, dall altro per la stessa ragione neanche l imputato può essere censurato per non avere «previsto» tale contestazione non potendogli essere addebitata alcuna colpevole inerzia, né potendo essergli addossate le conseguenze negative di un «prevedibile» sviluppo dibattimentale il cui rischio era stato deliberatamente assunto e, quindi, negargli l accesso al giudizio abbreviato significherebbe discriminarlo irragionevolmente, comprimendo il suo esercizio del diritto di difesa, in contrasto con l art. 24, 2 comma, Costituzione. Non solo. Tale compressione del diritto di difesa sarebbe in contrasto anche con l art. 3 della Costituzione poiché, a fronte della contestazione suppletiva in oggetto, l imputato potrebbe recuperare i vantaggi connessi ad alcuni riti speciali il patteggiamento e l oblazione, sulla base della normativa risultante dalle sentenze n. 265 dei 1994 e n. 530 del 1995 della Corte Costituzionale e si vedrebbe, invece, inibito l accesso al rito abbreviato. La prospettata questione è rilevante nel presente giudizio potendo T. G. ove fosse ammesso al rito abbreviato e nell ipotesi di conferma della sentenza di condanna, beneficiare della riduzione di un terzo della pena ritenuta equa. Per i sovra esposti motivi la questione è, altresì, non manifestamente infondata. 169

186 P.Q.M. Solleva questione di legittimità costituzionale dell art.517 cpp, in riferimento agli artt. 3 e 24, 2 comma, Costituzione, nella parte in cui non prevede la facoltà dell imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell azione penale; Dispone la sospensione del presente procedimento e l immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, 23 settembre 2011 Il Presidente: RINALDI Il consigliere estensore: PRUNAS-TOLA 12C0175 (WI-GU GUR- 020 ) Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. - S. ALFONSO ANDRIANI, redattore DELIA CHIARA, vice redattore 170

187 MODALITÀ PER LA VENDITA La «Gazzetta Ufficiale» e tutte le altre pubblicazioni dell Istituto sono in vendita al pubblico: presso l Agenzia dell Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. in ROMA, piazza G. Verdi, Roma presso le librerie concessionarie riportate nell elenco consultabile sui siti e L Istituto conserva per la vendita le Gazzette degli ultimi 4 anni fino ad esaurimento. Le richieste per corrispondenza potranno essere inviate a: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Direzione Marketing e Vendite Via Salaria, Roma fax: informazioni@gazzettaufficiale.it avendo cura di specificare nell ordine, oltre al fascicolo di GU richiesto, l indirizzo di spedizione e di fatturazione (se diverso) ed indicando i dati fiscali (codice fiscale e partita IVA, se titolari) obbligatori secondo il DL 223/2007. L importo della fornitura, maggiorato di un contributo per le spese di spedizione, sarà versato in contanti alla ricezione.

188 Tipo A Tipo B Tipo C Tipo D Tipo E Tipo F CANONI DI ABBONAMENTO (salvo conguaglio) validi a partire dal 1 GENNAIO 2012 GAZZETTA UFFICIALE - PARTE I (legislativa) Abbonamento ai fascicoli della serie generale, inclusi tutti i supplementi ordinari: (di cui spese di spedizione 257,04) (di cui spese di spedizione 128,52) Abbonamento ai fascicoli della serie speciale destinata agli atti dei giudizi davanti alla Corte Costituzionale: (di cui spese di spedizione 19,29) (di cui spese di spedizione 9,64) Abbonamento ai fascicoli della serie speciale destinata agli atti della UE: (di cui spese di spedizione 41,27) (di cui spese di spedizione 20,63) Abbonamento ai fascicoli della serie destinata alle leggi e regolamenti regionali: (di cui spese di spedizione 15,31) (di cui spese di spedizione 7,65) Abbonamento ai fascicoli della serie speciale destinata ai concorsi indetti dallo Stato e dalle altre pubbliche amministrazioni: (di cui spese di spedizione 50,02) (di cui spese di spedizione 25,01)* Abbonamento ai fascicoli della serie generale, inclusi tutti i supplementi ordinari, e dai fascicoli delle quattro serie speciali: (di cui spese di spedizione 383,93)* (di cui spese di spedizione 191,46) CANONE DI ABBONAMENTO - annuale - semestrale - annuale - semestrale - annuale - semestrale - annuale - semestrale - annuale - semestrale - annuale - semestrale 438,00 239,00 68,00 43,00 168,00 91,00 65,00 40,00 167,00 90,00 819,00 431,00 N.B.: L abbonamento alla GURI tipo A ed F comprende gli indici mensili Abbonamento annuo (incluse spese di spedizione) CONTO RIASSUNTIVO DEL TESORO 56,00 PREZZI DI VENDITA A FASCICOLI (Oltre le spese di spedizione) Prezzi di vendita: serie generale serie speciali (escluso concorsi), ogni 16 pagine o frazione fascicolo serie speciale, concorsi, prezzo unico supplementi (ordinari e straordinari), ogni 16 pagine o frazione fascicolo Conto Riassuntivo del Tesoro, prezzo unico I.V.A. 4% a carico dell Editore 1,00 1,00 1,50 1,00 6,00 PARTE I - 5ª SERIE SPECIALE - CONTRATTI ED APPALTI (di cui spese di spedizione 128,06) (di cui spese di spedizione 73,81)* GAZZETTA UFFICIALE - PARTE II (di cui spese di spedizione 39,73)* (di cui spese di spedizione 20,77)* Prezzo di vendita di un fascicolo, ogni 16 pagine o frazione (oltre le spese di spedizione) Sulle pubblicazioni della 5 Serie Speciale e della Parte II viene imposta I.V.A. al 21%. - annuale - semestrale - annuale - semestrale 1,00 ( 0,83+ IVA) 300,00 165,00 86,00 55,00 RACCOLTA UFFICIALE DEGLI ATTI NORMATIVI Abbonamento annuo Abbonamento annuo per regioni, province e comuni - SCONTO 5% Volume separato (oltre le spese di spedizione) I.V.A. 4% a carico dell Editore 18,00 190,00 180,50 Per l estero i prezzi di vendita (in abbonamento ed a fascicoli separati) anche per le annate arretrate, compresi i fascicoli dei supplementi ordinari e straordinari, devono intendersi raddoppiati. Per il territorio nazionale i prezzi di vendita dei fascicoli separati, compresi i supplementi ordinari e straordinari, relativi anche ad anni precedenti, devono intendersi raddoppiati. Per intere annate è raddoppiato il prezzo dell abbonamento in corso. Le spese di spedizione relative alle richieste di invio per corrispondenza di singoli fascicoli, vengono stabilite, di volta in volta, in base alle copie richieste. Eventuali fascicoli non recapitati potrannno essere forniti gratuitamente entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del fascicolo. Oltre tale periodo questi potranno essere forniti soltanto a pagamento. N.B. - La spedizione dei fascicoli inizierà entro 15 giorni dall'attivazione da parte dell'ufficio Abbonamenti Gazzetta Ufficiale. RESTANO CONFERMATI GLI SCONTI COMMERCIALI APPLICATI AI SOLI COSTI DI ABBONAMENTO * tariffe postali di cui alla Legge 27 febbraio 2004, n. 46 (G.U. n. 48/2004) per soggetti iscritti al R.O.C. * * 12,00

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