Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 28 febbraio 2014 a cura di Giovanna Nalis

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1 Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 28 febbraio 2014 a cura di Giovanna Nalis 1. Corte di Cassazione, seconda sezione, sentenza n del 20 dicembre 2013, contestazione dell autenticità del testamento olografo L art. 602 c.c, 1 comma, statuisce che il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore. All esito di una complessa vicenda testamentaria, con ordinanza interlocutoria n del 20 dicembre 2013, la Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente la questione relativa all individuazione dello strumento processuale da utilizzare per contestare l autenticità del testamento olografo, affinché eventualmente disponga che la Corte si pronunci a Sezioni Unite. Esistono in argomento due contrapposti orientamenti. Secondo un primo indirizzo, il testamento olografo è un documento che non perde la sua natura di scrittura privata per il fatto che deve avere i requisiti di forma imposti dall art. 602 c.c. e che trae la sua efficacia dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne fa il soggetto contro il quale la scrittura è prodotta. Quest ultimo, se intende impedire il riconoscimento e contestare l intero testamento, deve proporre il disconoscimento. Esso pone a carico della controparte l onere di dimostrare che la scrittura non è stata contraffatta e proviene dal suo autore apparente (Sez. 2, 16 ottobre 1975, n. 3371; Sez. 2, 5 luglio 1979, n. 3849). Laddove si faccia valere la falsità del testamento olografo, l azione che ha ad oggetto l inesistenza dell atto è sottoposta allo stesso regime probatorio dettato per nullità ex art. 606 c.c. prevista nel caso di mancanza dei requisiti estrinseci del testamento. L onere della proposizione dell istanza di verificazione del documento contestato incombe dunque su chi vanta il diritto in forza del testamento, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull erede legittimo. Sulla ripartizione dell onere probatorio non ha pertanto alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l azione sia stata esperita dall erede legittimo, per fare valere in via principale la falsità del documento, oppure dall erede testamentario, al quale l erede legittimo contesta l autenticità del testamento (Sez. 2, 12 aprile 2005, n. 7475; Sez. 2, 11 novembre 2008, n ). Secondo un diverso indirizzo la contestazione dell autenticità del testamento olografo si risolve in un eccezione di falso e deve essere sollevata solo nei modi e con le forme di cui all art. 221 e ss. 1

2 c.p.c. (Sez. 2, 3 agosto 1968, n. 2793; Sez. 2, 30 ottobre 2003, n ) 1. Tale orientamento è richiamato anche in un obiter delle Sezioni Unite (sentenza 23 giugno 2010, n ). Queste ultime, per risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto sui modi di contestazione delle scritture provenienti da terzi estranei alla lite, hanno enunciato la regola della libertà di forma nella contestazione delle scritture private provenienti da terzi 2, ma hanno precisato che nell ambito delle scritture private un diverso trattamento deve essere riservato a quelle, come il testamento olografo, la cui natura conferisce un incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità. L intervento delle Sezioni Unite del 2010 non ha risolto il contrasto esistente all interno della seconda sezione della Corte di Cassazione, infatti con sentenza n del 23 dicembre 2011, la Corte ha ribadito che il testamento olografo può essere disconosciuto da chi ne assuma la falsità, gravando così l erede testamentario di avviare l azione per la verificazione della scrittura al fine di accertarne l autenticità, mentre la sentenza del 24 maggio 2012 n ha stabilito che è necessaria la querela di falso per contestare la scrittura privata proveniente dal testatore. È stata pertanto emessa la suddetta ordinanza interlocutoria. 2. Corte di Cassazione, terza sezione, sentenza n del 20 dicembre 2013, responsabilità ex recepto a carico del vettore La presunzione di responsabilità a carico del vettore, ex art c.c., può essere vinta solo attraverso la dimostrazione che il danno è derivato da un evento, positivamente identificato, del tutto estraneo al vettore stesso e ricollegabile alle ipotesi del caso fortuito e della forza maggiore (v., tra le altre, le sentenze 14 luglio 2003, n , 14 novembre 2006, n , 21 aprile 2010, n. 9439, 17 giugno 2013, n , e 15 novembre 2013, n ). La valutazione dell evento in termini di evitabilità e di caso fortuito spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivata. Nel caso di specie la Corte precisa che il trasporto dei gioielli costituisce un attività che impone di per sé particolari forme di cautela, perché chi la svolge non può non mettere nel necessario conto l eventualità di una rapina. Sicché il vettore è tenuto, al fine di ottenere l esonero dalla 1 A tele fine si rammenta l idoneità del testamento olografo a devolvere l eredità con effetto immediato conseguente alla pubblicazione, ai sensi dell'art. 620, sesto comma, c.c., e l equiparazione che, a certi fini, la legge penale ne fa agli atti pubblici. 2 La motivazione è che in tal caso non è applicabile né la disciplina sostanziale di cui all art c.c., né quella processuale di cui all art. 214 c.p.c., trattandosi di prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario. 2

3 responsabilità, a dimostrare l effettiva natura di caso fortuito in riferimento ad un evento che - di per sé - non ha tale connotato. La sentenza, in particolare, esamina i casi del furto e della rapina e dei limiti entro i quali tali eventi possono scagionare il vettore da ogni responsabilità. Si rammenta ad esempio che il mero fatto che il vettore sia stato aggredito con violenza alla persona non è evento di per sé scriminante, dovendosi accertare la sua diligenza nel prevedere la possibilità di una rapina e nel predisporre i mezzi per evitarla (sentenza 8 agosto 2007, n , a proposito di una rapina avvenuta in ora notturna ed in area di sosta isolata); allo stesso modo, è stato escluso l esonero di responsabilità del vettore in relazione al furto consumato su di un automezzo lasciato incustodito all interno di un area portuale (sentenza n del 2013 cit.), nonché in relazione alla rapina in danno di un container parcheggiato in ora notturna in zona incustodita (sentenza 27 marzo 2009, n. 7533). Sulla base delle considerazioni svolte e dell analisi del caso concreto la Corte ha affermato la responsabilità del vettore vittima di una rapina, poiché il comportamento nell organizzazione del trasporto di gioielli non è stato valutato conforme al grado di diligenza e prudenza imposto dal rilevante valore della merce da trasportare. 3. Corte di Cassazione, prima sezione, sentenza n del 22 gennaio 2014, obbligazioni naturali a favore del convivente more uxorio La Corte di Cassazione con la suddetta pronunzia si allinea al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale i doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza (Cass., 15 gennaio 1969, n. 60; Cass., 20 gennaio 1989, n. 285; Cass., 13 marzo 2003, n. 3713; Cass., 15 maggio 2009, n ). L applicazione del principio espresso costituisce la risposta al quesito se in caso di convivenza more uxorio, la parte che risulti disporre di un reddito elevato adempia a un dovere morale e sociale ai sensi dell art del codice civile quando provvede alle esigenze del convivente che risulti privo di reddito proprio (avendo rinunciato a un posto di lavoro in funzione della convivenza), anche attraverso l erogazione di somme di denaro che risultino costituire una modesta porzione (nel caso di specie circa il dieci per cento) dei propri guadagni e del reddito cui ha rinunciato il convivente più debole sul piano patrimoniale. 3

4 Il caso offre l occasione alla Corte per ripercorrere alcuni momenti essenziali nella tutela delle unioni di fatto, considerate ambito all interno del quale si possono sviluppare doveri dettati dalla morale sociale e riconosciuti dall art c.c. A livello europeo, si richiama innanzi tutto l interpretazione della Corte di Strasburgo (cfr., ex multis, sentenza 24 giugno 2010, Prima Sezione, caso Schalk e Kopft contro Austria) in merito all art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell uomo, il quale tutela il diritto alla vita familiare. La nozione di famiglia non si limita alle relazioni basate sul matrimonio, e può comprendere altri legami familiari di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo di coniugio. A tale indirizzo corrisponde un orientamento inteso a valorizzare il riconoscimento, ai sensi dell art. 2 Cost., delle formazioni sociali e delle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (Corte cost. n. 237 del 1986), nelle quali va ricondotta ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico (Corte cost., n. 138 del 2010; cfr. anche Corte cost. n. 404 del 1988, con cui il convivente more uxorio fu inserito tra i successibili nella locazione, in caso di morte del conduttore). In tale nozione si è ricondotta la stabile convivenza tra due persone, anche dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri (cfr. la citata Corte cost., n. 138 del 2010, Cass., 15 marzo 2012, n. 4184). A livello nazionale la Corte ricorda che, seppure in maniera disorganica e con differenze rispetto ai rapporti che regolano i coniugi, è emersa la rilevanza della famiglia di fatto in numerosi interventi del legislatore. Ne sono dimostrazione la recente legge 10 dicembre 2012, n. 219, con cui è stata abolita ogni residua discriminazione tra figli legittimi e naturali ; la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, introducendo il c.d. affidamento condiviso, ha esteso la relativa disciplina ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; la febbraio 2004, n. 40, che all'art. 5 prevede l accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto; la l. 9 gennaio 2004, n. 6, che, in relazione ai criteri, di cui all art. 408 c.c., per la scelta dell amministratore di sostegno, prevede anche che essa cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario, nonché, l art. 5, che prevede, in relazione all art. 417 c.c., che l interdizione e l inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; la l. 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter, estendendo al convivente il regime di protezione contro gli abusi familiari; la l. 28 marzo 2001, n. 149, art. 7, che, sostituendo l'art. 6, comma 4, della l. 4 maggio 1983, n. 184, ha stabilito che il requisito della stabilità della coppia di adottanti risulti soddisfatto anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni. 4

5 La rilevanza della convivenza more uxorio, come formazione sociale dalla quale scaturiscono doveri di natura sociale e morale di ciascun convivente nei confronti dell altro e da cui discendono conseguenze di natura giuridica, si evince anche da rilevanti pronunzie della Corte di Cassazione. In particolare si menziona, nell ambito del riconoscimento delle posizioni soggettive sotto il profilo risarcitorio (Cass., 22 luglio 1999, n. 500; Cass., 31 maggio 2003, n e 8828; Cass., 11 novembre 2008, n e ss.), l affermazione della responsabilità aquiliana sia nei rapporti interni alla convivenza (Cass., 15 maggio 2005, n. 9801), sia nelle lesioni arrecate da terzi al rapporto nascente da un unione stabile e duratura (Cass., 21 marzo 2013, n. 7128; Cass., 16 settembre 2008, n ). O ancora si richiama la rilevanza attribuita alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini dell assegno di mantenimento o di quello di divorzio (Sez. 1, 10 novembre 2006, n ; Sez. 1, 10 agosto 2007, n ; Sez. 1, 11 agosto 2011, n ; Sez. 1, 12 marzo 2012, n. 3923). Infine, si è affermato che l estromissione violenta o clandestina dall unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l azione di spoglio (Cass., 21 marzo 2013, n. 7214). 4. Corte di Cassazione, terza sezione, sentenza n del 4 febbraio 2014, sull onere della prova nel caso in cui l alunno rechi danno a se stesso La sentenza, richiamandosi alla consolidata giurisprudenza sul tema 3, afferma che va distinta l ipotesi in cui la presunzione di responsabilità è posta a carico dei precettori ex art c.c., per un fatto illecito dell allievo che ha causato danni a terzi, da quella in cui l allievo ha cagionato danno a se stesso e la responsabilità del personale scolastico è regolata dall art c.c. In quest ultimo caso all attore spetta provare che il danno si è verificato nello svolgimento del rapporto, mentre la controparte deve dimostrare che l evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile alla scuola o all insegnante. Invece, per superare la presunzione di responsabilità prevista dall art c.c. per danno dell allievo a terzi, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale. 3 In particolare cfr. Sezioni Unite 27 giugno 2002, n

6 La Corte di Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata si sia attenuta a tali principi, né essa è stata considerata erronea in diritto per aver liquidato due diverse voci di danno: biologico e morale. Infatti, il danno biologico inteso quale lesione del diritto alla salute ed il danno morale inteso quale sofferenza conseguente all illecito non costituiscono, di per sé, voci automaticamente sovrapponibili e la separata liquidazione delle stesse non determina necessariamente un indebita duplicazione (sentenze 12 settembre 2011, n , 16 febbraio 2012, n. 2228, e 3 ottobre 2013, n ). La sentenza sarebbe invece erronea nel caso di duplicazione risarcitoria per medesime conseguenze pregiudizievoli. 5. Cassazione, sezione lavoro, sentenza n del 4 febbraio 2014, sicurezza sui luoghi di lavoro Un operaio subisce un infortunio, cadendo da un altezza di circa sei metri durante la realizzazione di un ponteggio. In siffatti casi è necessario che il lavoratore sia dotato di cinture di sicurezza, adeguatamente agganciate, laddove non sia possibile predisporre impalcature di protezione. Accertato, anche in base agli atti del connesso procedimento penale, che l operaio ha svolto la propria attività in assenza delle idonee misure di sicurezza, si afferma la responsabilità del datore di lavoro. La Corte richiama alcuni importanti principi espressi dalla giurisprudenza in materia. Le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente. Non può costituire esimente per l imprenditore l eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l esonero totale da ogni responsabilità del datore di lavoro solo quando presenti i caratteri dell abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, presentandosi come causa esclusiva dell evento. È comunque necessaria a tal fine una rigorosa dimostrazione dell indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, dell estraneità del rischio affrontato rispetto a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (Cass. 10 settembre 2009, n ; Cass. 23 aprile 2009, n. 9689; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656). In materia di prevenzione dagli infortuni sul lavoro, il d.p.r. n. 547 del 27 aprile 1955 e il d.lgs. n. 626 del 19 settembre 1994 prevedono una distribuzione di responsabilità ripartita in via gerarchica tra datore di lavoro, dirigenti e preposti. La figura del proposto ricorre nel caso in cui il datore di 6

7 lavoro, titolare di un attività aziendale complessa ed estesa, operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità. La suddetta figura implica uno specifico addestramento a tale scopo e il riconoscimento, con mansioni di caposquadra, della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l attribuzione di compiti operativi nell ambito dei criteri prefissati (Cass. 15 dicembre 2008, n ). L attribuzione a un soggetto della qualità di preposto, ai fini dell assoggettamento agli obblighi previsti dall art. 4 del d.p.r. n. 547 del 1955, deve essere compiuta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell ambito dell impresa e non in base alla formale qualificazione giuridica attribuita (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2251; Cass. 6 novembre 2000, n. 1444). Si ravvisa quindi un esclusiva responsabilità del datore di lavoro: non vi è un concorso di responsabilità con il lavoratore poiché egli non può essere considerato preposto solo perché dotato di maggiore esperienza, essendo invece necessarie a tali fini una specifica formazione e l attribuzione di poteri di direzione esecutiva della squadra. Inoltre, si afferma che il datore di lavoro è responsabile dell infortunio occorso al lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente, eccetto che non sia specificamente dimostrato che ricorrono tutti gli elementi propri dell ipotesi del c.d. rischio elettivo. 6. Corte di Cassazione, terza sezione, sentenza n dell 11 febbraio 2014, ancora in tema di nesso di causalità La Corte afferma, come già avvenuto in precedenti sentenze, che è da ritenere causa di un evento non solo l antecedente che si possa positivamente accertare averlo causato, ma anche l antecedente palesemente idoneo a produrlo sulla base di uno standard di certezza probabilistica, desumibile dal preponderante criterio dell evidenza logica. Nel caso esaminato, oggetto della controversia è una richiesta di risarcimento per danni arrecati ad un edificio da un incendio. In tale circostanza la presunzione, deducibile da principi probabilistici, è che l incendio si sia sviluppato dalla lampada lasciata accesa e priva dello schermo protettore, rotto durante l istallazione: la responsabilità è dunque riconducibile all installatore e non è necessario ricorrere ad altre presunzioni 4. 4 Gli eventi certi consistono nel fatto che M. installò la lampada, che questa era priva del vetro di protezione e che era collocata accanto ad una finestra con tenda in stoffa, proprio in corrispondenza del punto in cui l incendio provocò poi i danni più gravi. 7

8 Infatti, a differenza di quanto avviene nel processo penale, ove vige il principio per cui la prova dei presupposti del reato deve essere acquisita oltre ogni ragionevole dubbio, in tema di illecito civile vige il diverso principio della preponderanza dell evidenza, per cui un evento è da ritenere causato da un dato comportamento quando il suo verificarsi per effetto di quel comportamento sia più probabile che non il suo contrario (Cass. civ. Sez. 3, 5 maggio 2009 n ). A sostegno di tale tesi, si invocano anche principi espressi dalla Corte di Giustizia CE (CGCE, 13 luglio 2006, n. 295, ha ritenuto sussistere il nesso causale fra la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore e l indebito incremento dei premi nelle polizze assicurative, se appaia sufficientemente probabile che un intesa illecita intercorsa fra le compagnie assicuratrici possa avere influenzato i prezzi; per Corte di Giustizia CE, 15 febbraio 2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili ). 8

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