Sommario: Introduzione Feste e canti del Vesuvio Qualche spunto di riflessione... Festa della Madonna dell Arco Festa dei quattro Altari

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2 Sommario: Introduzione - di Ugo Leone Feste e canti del Vesuvio - di Peppe D Argenzio Qualche spunto di riflessione... - di Augusto Ferraiuolo Festa della Madonna dell Arco - di Raffaele Di Mauro Festa dei quattro Altari - di Raffaele Di Mauro Festa delle lucerne - di Raffele Di Mauro Festa della Madonna di Castello - di Raffele Di Mauro Festa di San Michele Arcangelo - di Raffele Di Mauro

3 Introduzione di Ugo Leone Il Parco Nazionale del Vesuvio è in primo luogo una eccezionale concentrazione di risorse naturalistiche e di rarità biologiche, in qualche modo resa possibile dalle apparenti contraddizioni tra una montagna e il mare, un cuore caldo e pulsante come quello del vulcano incastonato dentro una metropoli. Tanto basterebbe per farne un Grande Attrattore di livello mondiale, come in effetti è: un attrattore che genera milioni di visite, anche se troppo spesso superficiali e frettolose. Ma a questa monumentalità orografica e a questa grandezza di immagine e si aggiungono le opere dell uomo: le straordinarie città di Pompei, Ercolano e Oplonti, che il Vulcano ha voluto distruggere quasi per conservarle. Si affianca la lunga teoria delle straordinarie ville vesuviane, crinale di architettura e civiltà tra il Vulcano e il mare, tanto importanti quanto, ancora, misconosciute al grande pubblico. E il Vulcano si adorna dei tanti paesi, quasi una collana intorno al Monte, ognuno con la sua forte identità, con la tipicità delle proprie tradizioni, che affondano le radici nel paganesimo, e le rinnovano nei riti delle stagioni e dei Santi. Tradizioni tutt altro che perdute o stravolte: ma che trovano periodica alimentazione nelle feste, momenti collettivi di grande partecipazione e forza emotiva, veri e propri episodi di un etnos non sopito né tantomeno stemperato dalla globalizzazione. Feste talmente grandi, originali e sentite, da meritare appieno il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale dell Umanità, secondo i crismi dell UNE- SCO. La musica è il collante di tutto questo: e se il suono della Medina di Marrakech ha conseguito il marchio UNESCO, non diversamente dovrebbe essere per la Musica delle Feste Vesuviane. Un fenomeno millenario, ma universalmente noto da pochi anni, e come tale studiato e valorizzato dai più grandi etno-antropologi. Ma al contempo un fenomeno vivo e vitale, che si presta a letture filologiche delle espressioni più tradizionali, come pure a rivisitazioni e contaminazioni, come tutti i fenomeni vivi di questo mondo. E al quale il Parco Nazionale del Vesuvio dedica la massima attenzione: a recuperarne le molteplici espressioni, a raccoglierne e catalogarne le fonti anche nell ambito del suo Polo delle tradizioni, a pubblicarne e promuoverne le espressioni, come in questo pregevole CD di cui siamo grati al Maestro Giuseppe D Argenzio, che con tanta passione e competenza lo ha curato. 4 5

4 Feste e canti del Vesuvio di Peppe D Argenzio Tammurriate, fronne e limone, canti a ffigliola sono alcune tra le forme più importanti della musica di tradizione orale della Campania e dell area Vesuviana. Il Vesuvio con la sua forza magica e minacciosa è l epicentro di un territorio in cui queste forme musicali nascono e si espandono verso tutta la regione nelle varianti in cui vengono studiate da etnomusicologi e ricercatori. Attraverso queste forme, da sempre, in occasione delle feste religiose legate ai cicli delle stagioni, le comunità si ritrovano per riaffermare i loro legami sociali. Nonostante le trasformazioni degli ultimi decenni, queste manifestazioni mantengono nei paesi dell area Vesuviana una forza e una vitalità altrove scomparse. Il tradizionale sistema economico legato all agricoltura e ai suoi cicli ormai si mescola con un economia più complessa e con un sistema di diffusione culturale che sottopone queste realtà a continue interferenze e trasformazioni. Eppure l intensità con cui alcuni appuntamenti rituali sono sentiti e vissuti, provoca nello spettatore che vi partecipa dall esterno uno stupore e una fascinazione particolare. a volte inquietante, altre commovente, ma sempre ricca di suggestioni. Curare un progetto editoriale legato alle feste ma soprattutto alla musica 7

5 dell area vesuviana rappresenta per me una grande opportunità di riscoperta ma anche la difficile impresa di fare una sintesi quanto più divulgativa, utilizzando sia esempi musicali originali sia musiche che in qualche modo sono state influenzate dai suoni e dalle voci di questo territorio. Il mio è essenzialmente un approccio da musicista piuttosto che da studioso o da etnomusicologo. Negli anni settanta grazie al lavoro pionieristico di Roberto De Simone e della Nuova Compagnia di Canto Popolare in molti siamo stati sedotti dalla scoperta di un patrimonio musicale che in Italia era rimasto piuttosto nell ombra. Per molti musicisti questa scoperta rappresentò un orizzonte nuovo e la possibilità di ricercare un identità nazionale alla nostra musica. Un modo per sentirsi meno colonia dell industria musicale anglosassone. Dopo i primi entusiasmi e i primi ingenui tentativi di appropriarci di queste modalità, probabilmente in molti di noi, e sicuramente in me, insorse un senso di frustrazione nello scoprire quanto poco riproducibili fossero certe tecniche di canto o di esecuzione strumentale. Senza appartenere a determinate comunità e senza aver posseduto e appreso queste tecniche sin dall infanzia, la semplice imitazione delle stesse produceva solo delle brutte copie e non faceva un buon servizio a questo patrimonio. A questo punto in maniera rispettosa mi sono ritirato ad osservare, a seguire questi fenomeni musicali con curiosità e interesse dall esterno, a cercare di capirli avendoli sempre come punto di riferimento nella musica che avrei fatto in seguito. Il seguito è stato un lungo percorso con gli Avion Travel nelle cui musiche, pur lavorando su forme di canzone d autore, l attenzione verso le tradizioni sonore della nostra terra è sempre stata molto forte. Poi è venuta l esperienza attuale con L Orchestra di Piazza Vittorio, progetto in cui l incontro tra musicisti in gran parte immigrati, diventa l ipotesi per la creazione di una musica del Mondo, originale, che trae però ispirazione dalle diverse fonti e forme di tradizione musicale di ciascun componente. Questa esperienza mi ha riportato, in un altro modo, a rivivere certe problematiche riguardanti l autenticità dei valori musicali e il rapporto con le culture di provenienza e d appartenenza. L aspetto problematico da affrontare quotidianamente è quello di una cultura musicale, spesso appresa oralmente in famiglia o nella comunità d origine, soggetta oggi a trasformazioni continue attraverso incontri con altri musicisti, con altre musiche e soprattutto con una dimensione globalizzata dello spazio e del tempo che annulla e pone sullo stesso piano tutte le differenze. Non è più possibile pensare ad un territorio e ad un sistema culturale chiuso in cui le tradizioni si possano perpetuare senza mutazioni. La ricerca per compilare la scaletta di questo CD inevitabilmente è partita da domande attinenti a queste riflessioni. Cosa rimane di una tradizione ampiamente documentata in un opera ormai storica, fortunatamente in via di ristampa, come Canti e tradizioni della Campania a cura di Roberto De Simone, che negli anni settanta fece un im- 8 9

6 portante lavoro di documentazione portando in studio alcuni tra i più significativi interpreti della tradizione musicale campana? Quale è ed è stato il ruolo di un interprete come Giovanni Coffarelli, già presente nella suddetta opera di De Simone ed ancora oggi attivo come motore pulsante e come testimone autentico della tradizione. Animatore di una associazione, La paranza di Somma Vesuviana Coffarelli è ancora l epicentro di un importante attività di documentazione sul territorio. Come dobbiamo poi considerare l opera di un gruppo ormai storico come E Zezi che ha innestato sulle forme musicali della cultura contadina le tematiche di trasformazione di una area un tempo agricola, ora metropolitana? Come si racconta in musica, utilizzando modelli e forme della tradizione, il lavoro in fabbrica che sostituisce quello della campagna? Che significato ha per un gruppo pop dal respiro musicale internazionale come gli Almamegretta riproporre in una versione dub il testo di una tammurriata tra le più diffuse come Sanacore? Perché un affermato jazzista napoletano come Marco Zurzolo dedica un intero progetto alle musiche della Madonna dell Arco? E possibile trascurare il ruolo rappresentato negli ultimi anni da Marcello Colasurdo? La sua vocalità incarna tutta la sapienza antica mettendola al servizio di esperienze moderne che sconfinano i generi e le forme.attraversando musica, teatro e cinema. Inoltre come raccontare nel frattempo la vitalità e la vivacità delle paranze che si riuniscono nelle feste popolari per suonare, cantare e ballare per l intera giornata? Che ricambio generazionale c è in questo ambiente? A queste domande io non voglio e non posso dare delle risposte approfondite, né voglio esprimere giudizi di merito. Le riflessioni restano sullo sfondo e spiegano in qualche modo le scelte di questa selezione musicale. Sicuramente in questo CD ci sono molte lacune e molte forzature, ma quello che più mi interessa è creare una suggestione evocare un mondo sonoro con la sua ricchezza ma anche con tutte le domande e gli stimoli che offre. Il primo impulso è stato quello di organizzare una scaletta musicale che fosse rappresentativa ed esaustiva di tutto quello che in termini musicali accade oggi in quest area. Mi sono però presto reso conto che quest impresa, oltre che essere difficilissima, rischiava di concretizzarsi in una compilazione puramente sociologica, probabilmente utile al fine di una catalogazione, peraltro sicuramente incompleta per miei limiti di conoscenza, ma insufficiente a cogliere le connessioni che questa musica mette in moto. E poi lo scopo principale era creare una selezione musicale piacevole all ascolto. Voglio precisare che questa scaletta è stata maturata partendo da una consapevole idea di tradimento. Credo che un CD, cosi come tante altre forme di divulgazione della tradizione orale, rappresentino uno snaturamento, anche se non sempre negativo. Le tradizioni popolari vanno vissute innanzitutto dalle comunità che le esprimono

7 Nel momento in cui si cerca di raccontarle bisogna sapere che, oltre all aspetto di studio, si può solo forse suggerire il potenziale evocativo e il fascino che questi materiali possono suscitare. A fianco della documentazione scientifica rigorosa possono e devono esistere anche altre forme di diffusione più creative, pur sempre rispettose, ma più adatte a suggestionare ascoltatori estranei al territorio. Per ciò ho voluto privilegiare una scelta meno filologica. Ho cercato di offrire una grande varietà timbrica ed espressiva che tenesse conto sia di materiale fedelmente rappresentativo della tradizione attraverso registrazioni, anche meno recenti, di forme e interpreti autentici, sia di esperienze, cantori e gruppi appartenenti ad una scena musicale che sconfina, attraversando Napoli e la Campania, e racconta, anche fuori di questa regione, il suono e la musica di questo territorio cosi fertile. Ho inserito quindi anche musiche di contaminazione che oltre a raccontare l identità dei vari interpreti, riescono ad evocare le fonti sonore di questa realtà che è molto più complessa di una semplice cartolina. Penso che la conservazione e la documentazione di queste realtà andrebbe realizzata in una maniera più continuativa e approfondita nelle sedi e nei modi più opportuni per catalogare tutta la storia delle ricerche sul campo fatte negli ultimi decenni, ma anche per monitorare lo stato presente e la diffusione di queste musiche e dei suoi interpreti. Questo lavoro, anche se non potrà essere di grande divulgazione, dovrà rappresentare per gli addetti ai lavori e per le nuove generazioni una miniera da cui attingere. Dall altro lato scoprire che questa musica è in grado di influenzare ed ispirare artisti non solo locali è la testimonianza più forte di tale ricchezza. Altri paesi, penso al Brasile, alla Spagna o al Portogallo, sono riusciti a coltivare un legame talmente forte con la musica di tradizione orale al punto da avere una musica moderna fortemente connotata da questi legami. In Italia molte regioni sono ancora in tempo per non rescindere definitivamente questi legami: penso alla Campania ma anche ad altre regioni del meridione. Sulla base di queste convinzioni mi sono mosso per compilare questo CD per questa parte d Italia, tra le più vive musicalmente. Per quanto riguarda i testi ho chiesto ad Augusto Ferraiolo, antropologo ed etnomusicologo che insegna da qualche anno all università di Boston, un contributo e una riflessione sul lavoro dopo averglielo fatto leggere. Desideravo avere un punto di vista qualificato che in qualche modo asseverasse o confutasse le mie scelte non proprio ortodosse. Con Augusto ho mosso i primi passi, diversi anni fa, accompagnandolo nelle sue ricerche sul campo e lui mi ha introdotto al mistero e al fascino del mondo delle tradizioni popolari e sempre con lui ho cercato per un periodo, anni fa, di riproporre, non certo con risultati indimenticabili, questo patrimonio musicale sui palcoscenici. Oggi lui si occupa negli Stati Uniti di studiare proprio le trasformazioni e le permanenze nelle feste tradizionali delle comunità italiane di immigrati ed era per me la persona adatta a valutare un lavoro su materiali di tradizione in questo tempo di grandi trasformazioni. Grazie ad Augusto sono entrato in contatto con Giulio Bulfoni un fotografo suo 12 13

8 14 collaboratore, che ha già all attivo diverse pubblicazioni di prestigio, che mi ha messo a disposizione il suo prezioso archivio fotografico. La scelta delle feste da raccontare e documentare si è limitata alle cinque feste che dopo una ricerca più ampia presentavano dei motivi di interesse particolare dal punto di vista della valenza etno-antropologica, ma anche della partecipazione popolare. Avevo bisogno di qualcuno che per la descrizione di queste cinque feste popolari, descritte riportasse un pò di rigore ed esattezza per rispetto dei protagonisti ma anche per offrire ai lettori una documentazione fedele di ciò che oggi accade in questi appuntamenti rituali che scandiscono l anno delle comunità vesuviane. Raffaele Di Mauro è un giovane etnomusicologo che ha già curato diverse pubblicazioni di prestigio e collabora con la cattedra di etnomusicologia del maestro-professore Pasquale Scialò presso l istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nei suoi studi si è occupato delle tammurriate così come di canzone napoletana ed è stato per me un importante punto di riferimento anche nella ricerca e nella valutazione del materiale musicale da pubblicare sul CD.

9 Qualche spunto di riflessione... di Augusto Ferraiuolo Se vi capitasse di assistere alla festa della Madonna dell Arco, il Lunedì in Albis a Sant Anastasia ed è inutile dire che si tratta solo di un esempio, tutte le altre feste della zona sono analoghe, potreste aver modo di osservare una serie di fenomeni di estremo interesse antropologico. Non mi riferisco solamente al rituale, complesso e profondamente radicato sia nella tradizione che nel tessuto sociale della zona, non mi riferisco al pellegrinaggio e ai fujenti che a tutt oggi ancora lo compiono, declinando con comportamenti penitenziali di vario genere una religiosità popolare tutta da analizzare. Non mi riferisco alle pratiche devozionali quali l offerta di ex voto che, a partire dal XV secolo, adornano il santuario e narrano la grandezza del santo taumaturgo e la sua umanità. E non mi riferisco neanche a quell aspetto musicale che, situandosi a metà tra la preghiera e il piacere ludico, e intimamente connesso con la festa. Fronne, canti a figliola e tammurriate sono da sempre un momento fondamentale dei rituali connessi ai culti mariani in Campania. Oggi ancora di più, perché si caricano, come tutto il resto della festa, di simboli e significati ulteriori. E sono questi segni, questi nuovi codici arricchiti e contestualizzati in un tempo che disloca la tradizione nella modernità e postmodernità, nonché in uno spazio che reclama una globalizzazione oramai avvenuta, sono questi segni, dicevo, a cui mi riferisco più direttamente. Sono i segni di quello che in 17

10 una parola potremmo definire cambiamento. Pensate alle implicazioni insite, ad esempio, nella proibizione di portare dentro la chiesa i toselli, quei grandi ex voto dipinti, trasportati a spalla da due o più fedeli, con uno specifico passo cadenzato ( a cunnulella). Il problema non e ovviamente quello di una autenticità tutta da definire e dimostrare, o della presunta scomparsa di una tradizione aulica. E, più generalmente, quello della relazione di potere tra una classe egemonica, rappresentata dalle gerarchie ecclesiastiche, e una classe subalterna, in questo caso rappresentata dalle Associazioni o dai fedeli. Il tutto nel quadro aspramente dialettico dello scontro tra religiosità ufficiale e religiosità popolare. Pensate alle implicazioni che ha la presenza di differenti gruppi etnici durante il pellegrinaggio: che devoti immigrati dallo Sry Lanka si confondano all interno delle Associazioni, con i cui membri condividono pratiche e credenze religiose (non a caso quelle popolari), stendardi e uniformi (massimo simbolo dell identificazione e dell appartenenza), è segnale di una realtà mutata, oramai globale, molto lontana dal localismo che una ideologia del folklore come sopravvivenza e come nostalgia inevitabilmente comporterebbe. Pensate agli ex voto, tradizionalmente tavole dipinte, su cui leggere la narrazione dell evento miracoloso che porta alla salvezza fisica e spirituale, ma anche oggetti d argento rappresentanti le parti del corpo malate e poi guarite dalla divinità. La tipologia ovviamente non finisce qui: abiti nuziali, oggetti preziosi, trecce di capelli sono solo esempi di come un fedele si privi di cose per lui significative per farne omaggio al dio taumaturgo. Oggi non è eccezionale vedere ex voto compositi: la fotografia del fedele e l immagine votiva del santo elementi invarianti si vengono a trovare accanto ad oggetti come siringhe, cucchiai, fiale di acqua distillata e involucri di carta d alluminio, a testimonianza di nuove insidie terrene (la tossicodipendenza) per le quali chiedere protezioni sovrannaturali. Pensate alla musica. Immaginare che non siano avvenuti cambiamenti in questo particolare ambito è, semplicemente, irrealistico. Fusioni, contaminazioni, straniamenti e dislocazioni, rivisitazioni e sopravvivenze, tutto suggerisce quella fondamentale tensione tra tradizione e modernità. E dico subito che illudersi che sia questo un fenomeno nuovo è fuorviante: le generazioni precedenti hanno attraversato, per fortuna, analoghe situazioni perché, per definizione il folklore, in quanto cultura viva, non è cosa immutabile e ferma, ma continuamente in movimento, talvolta anche caotico. Ovviamente cambia la dimensione, la velocità, la profondità di tale cambiamento: certamente in epoca di mass media e globalizzazione la trasformazione e onnipervasiva, quasi totale, rapidissima. Ed e una trasformazione inevitabile. La scelta, estetica ma anche di prospettiva di studio, diventa allora tra la ricerca di una ipotetica autenticità perduta e l analisi delle trasformazioni prima sociali quindi culturali che generano i nuovi approcci musicali. Personalmente ritengo non produttivo parlare di autenticità, concetto ambiguo, scivoloso se non addirittura pericoloso quando da un lato reclama, direi inevitabilmente, una specificità etnica e non una solidarietà di classe, e, dall altro, propone come valore fondamentale la nostalgia nei confronti di qualcosa ormai perduto. Tutto questo suggerisce una visione della cultura folklorica come statica, isolata, dominata dall entropia, incapace di rinnovarsi. La realtà dei fatti e pro

11 fondamente diversa: è una realtà dinamica, che privilegia confronti e dialettiche, talvolta anche aspri, comunque vivi. Tutto ciò è evidente nella scelta degli interpreti e dei brani proposti: da Marcello Colasurdo, che si muove completamente a suo agio tra la Real World di Peter Gabriel e le frequentazioni, anche oggi, dei pellegrinaggi, a Giovanni Coffarelli, interprete tradizionale, che ha raggiunto una dimensione ulteriore grazie a Roberto De Simone e al suo lavoro di ricerca e riproposizione negli anni settanta. E da questa ricerca sono qui proposti sia i canti sul tamburo di Rosa Nocerino e Titina Raia, come pure Il secondo coro delle lavandaie, tratto dalla Gatta Cenerentola. Gli spazi di analisi sul rapporto tra tradizione e trasformazione sono già interessantissimi, con questi pochi esempi. E a ciò si aggiunge la proposta di un gruppo come E Zezi, fondamentale riferimento di quella rilettura politica del folklore, che lo contestualizzò non solo nelle campagne ma anche nelle fabbriche. Fino alla rilettura di una tammurriata molto frequente nella tradizione vesuviana (Sanacore) proposta, a seguire, prima dalla Paranza di Somma Vesuviana, quindi dagli Almamegretta e Raizz. Tutto a coprire uno spettro ampio che va dallo scongiuro contro il maltempo, recitato da Zi Riccardino Esposito Abbate, fino alle rielaborazioni del Triotarantae e Marco Zurzolo, decisamente attenti a discorsi musicali globali. E non faccia impressione il carattere frammentario o caotico che potrebbe essere evidenziato. E questa, infatti, come direbbe Gramsci, la caratteristica peculiare di questa cultura

12 Festa della Madonna dell Arco (Sant Anastasia) di Raffaele Di Mauro La Madonna dell Arco, la cui festa si svolge a Sant Anastasia il lunedì in Albis, occupa nel panorama del culto mariano in Campania un posto di primissimo piano per la grande e numerosa partecipazione devozionale, tanto da contendersi, tra le cosiddette madonne sorelle, con la sola Madonna di Montevergine il primato e il ruolo, per così dire, di grande sorella. Le madonne sorelle indicate dai fedeli sono talvolta sette (indicazione prevalente nell area napoletana e riportataci in primis da Roberto De Simone) altre volte tre (indicazione riscontrata dal sottoscritto in alcune zone dell area casertana). La Madonna dell Arco è sempre presente, esercitando un ruolo centrale sopratutto nel secondo caso ancor più che nel primo laddove la centralità è invece riservata alla Madonna di Montevergine. Questa essendo l unica madonna nera rappresenta l autunno e l inverno da contrapporre alle sei madonne bianche (la cui indicazione varia da paese e paese) che rappresentano invece la primavera e l estate. Non a caso già Enrico Cossovich nell 800 (in quell opera fondamentale che è Usi e costumi di Napoli del De Bourcard) metteva in relazione le due Madonne parlando della festa della Madonna dell Arco come una sorta di appendice di quella di Montevergine. Questa affermazione oggi, almeno dal punto di vista partecipativo, potrebbe es- 23

13 sere rovesciata, dato che la Madonna irpina ha perso nel corso della seconda metà del 900 quel ruolo che ancora agli inizi del secolo scorso sembrava avere (così come felicemente rappresentato da Raffaele Viviani nell opera Festa di Montevergine del 1928) rispetto al culto della Madonna di Sant Anastasia che sembra meglio resistere allo scorrere del tempo e alle trasformazioni epocali avvenute nel secondo dopoguerra. Il culto della Madonna dell Arco (il nome dell arco è probabilmente dovuto alla vicinanza in quei luoghi dell antico acquedotto di Claudio) sembra risalire al lunedì in albis del 1450 (ci sono testimonianze discordanti sull anno ma non sul giorno). In quell anno accadde il famoso episodio legato al gioco della palla-maglio (una sorta di golf rudimentale) durante il quale un giovane, bestemmiando dopo aver fallito un colpo, scagliò violentemente la palla verso l immagine della Madonna presente nella vicina edicola campestre, la quale, colpita, prese a sanguinare. All episodio seguì un processo sommario presieduto da Raimondo Orsini, conte di Sarno, che condannò e fece impiccare il giovane. A questa prima circostanza miracolosa fa seguito un altro episodio, la cui datazione stavolta sembra essere certa, accaduto sempre di lunedì in albis il 1590 ad Aurelia Del Prete che si vide cadere entrambi i piedi dopo che l anno prima, nello stesso giorno, aveva imprecato contro l immagine benedetta. Questo secondo miracolo (che da allora caratterizza questa come una singolare madonna punitiva e vendicativa assai diversa dalla tradizionale e benevola figura tramandataci dalla chiesa cristiana) suscitò un vasto clamore all epoca tra i fedeli. I piedi della Del Prete, dopo un processo canonico, furono depositati in una gabbietta di ferro all interno del Santuario che in seguito a questo eccezionale avvenimento fu fatto costruire nel 1593 (la prima pietra fu posta dal vescovo di Nola il 1 maggio). Il Santuario fin dal 1594 fu affidato alla gestione dei padri domenicani che da allora, a parte alcune piccole parentesi storiche, lo custodiscono fino ad arrivare ai giorni nostri. La particolarità, e anche la popolarità, della festa della Madonna dell Arco è legata soprattutto a coloro che ne sono a tutti gli effetti i protagonisti ovvero i cosìdetti fujenti (quelli che scappano) chiamati anche vattienti (quelli che battono, da vattiare che significa battezzare nel senso di iniziare). Questi due nomi sono legati a due dei comportamenti rituali legati a questo culto: la corsa incessante (spesso a piedi nudi) e il battere costantemente i piedi quando si è costretti a fermarsi. I fujenti sono organizzati in associazioni (secondo le stime fornite dai padri domenicani se ne contano più di 350 in tutta la Campania) e giungono al santuario in gruppi (denominati paranze) vestiti con la loro tipica divisa (bianca, con una fascia rossa in vita e una fascia azzurra a tracolla) e trasportando dei toselli (costruzioni votive in legno, cartapesta ecc.). Oltre alla corsa e al battere dei piedi (che assume quasi il carattere di una danza), il rituale dei fujenti è caratterizzato dagli episodi di crisi e isteria 24 25

14 (cadute a terra accompagnate da grida, contorsioni e svenimenti) a cui essi danno vita una volta giunti all interno del santuario, che richiamano alla mente episodi e gesti simili riscontrabili (come già a suo tempo osservato dall antropologa Annabella Rossi e dallo stesso De Simone) in un altro fenomeno rituale dell Italia meridionale: il tarantismo pugliese con le scene di crisi isteriche delle tarantate nella cappella di San Paolo a Galatina. Le caratteristiche sono quelle di un rito di iniziazione primaverile caratterizzato da una preponderante partecipazione maschile e probabilmente imbevuto fortemente di tradizioni religiose pre-cristiane. Il rito dei fujenti è stato totalmente ignorato dalle fonti ufficiali, dalle stampe seicentesche fino agli inizi del 900 (il primo a riferirne sarà padre Raimondo Sorrentino nel 1930 parlando di uno spettacolo strano ma non bello e tantomeno religioso ) e a partire dal 1966, e un po per tutti gli anni 70, sarà apertamente osteggiato dalla chiesa che, talvolta proibendo e talvolta pregando o raccomandando, attraverso il bollettino ufficiale La Madonna dell Arco, cercherà di imporre delle norme comportamentali per i fujenti, dimostrando così in modo lampante il proprio disagio di fronte a queste forme di religiosità popolare nel vano tentativo di correggerle. Da segnalare inoltre sono le numerose tavolette ex-voto dipinte presenti nel santuario a connotare il forte contesto miracolistico del culto legato anche a prodigiose liberazioni dal demonio e dalle fatture di cui si hanno notizie a partire dal XVII secolo. Dal punto di vista musicale tre sembrano le forme principali adoperate nel culto della Madonna dell Arco connesse ad altrettanti momenti sia preparatori che successivi alla festa. La voce di questua (o voce d a cerca), legata al momento immediatamente precedente al lunedì in albis quando le paranze vanno in giro appunto per la questua o cerca, che consiste in una particolare forma vocale senza accompagnamento musicale (assai simile stilisticamente alle fronne e ai canti a figliola) caratterizzata dal classico stereotipo iniziale ( chi è devoto ) e riscontrabile anche in altre simili voci napoletane per la raccolta delle offerte (ad es. per la Madonna del Carmine o per S. Anna). Abbiamo poi una tipica marcia bandistica intonata appunto da una banda che accompagna le paranze nell ultima domenica che precede la Pasqua quando si può assistere ad una scena che viene ripetuta ogni volta ci si imbatte in un edicola della Madonna dell Arco: al comando del capo-paranza tutti i componenti si buttano con la faccia a terra rimanendo in tale posizione fino a nuovo ordine mentre la banda suona. Infine l ultimo momento musicale è quello legato alle tammurriate che si svolgono nel pomeriggio del lunedì in albis al ritorno dal Santuario nelle zone circostanti, così come avveniva fino ad alcuni decenni fa per la festa di Montevergine al cui ritorno ci si fermava a Nola per le tammurriate e le gare di canti a figliola. Data l enorme partecipazione di fedeli provenienti da qualsiasi parte della Campania, nella festa della Madonna dell Arco sono ascoltabili, oggi più che 26 27

15 28 mai, tammurriate riferibili a diversi stili legati a differenti aree (vesuviana in primis, agro nocerino-sarnese, amalfitana ecc.) ma ancora oggi quella predominante in questa festa (come testimoniano anche le registrazioni di De Simone degli anni 70) sembra essere quella di area giuglianese. Non a caso i giuglianesi sono assai devoti proprio alla Madonna dell Arco al cui santuario si recano appunto il lunedì in albis e alla Madonna di Briano (in Villa di Briano, provincia di Caserta) dove si recano invece la domenica in albis. Quella giuglianese è una particolare forma di tammurriata con un ciclo vocale tripartito (con l alternanza di canto a distesa, quindi a ritmo e poi ancora a distesa prima della vutata o rotella finale) che corrisponde ai 3 modelli melodici suonati dal sisco (flauto a canna singola che loro stessi costruiscono e di cui sono assai gelosi ) che sembra guidare l esecuzione di questo specifico stile areale di tammurriata che dal punto di vista ritmico e coreutico presenta forti elementi di aggressività, quasi guerreschi, i quali sembrano sposarsi bene con il carattere vendicativo e punitivo della Madonna dell Arco.

16 Festa dei quattro Altari (Torre del Greco) di Raffaele Di Mauro La festa cosiddetta dei quattro altari è la più importante ricorrenza di Torre del Greco e, seppur non abbia origini torresi, Torre del greco è l unico paese dove essa è sopravvissuta nei secoli e ancora attualmente si svolge. La festa ha, probabilmente, origini napoletane ed è volgarmente chiamata anche festa e l uttava perché si svolge nell ottavo giorno dopo la celebrazione del Corpus Domini a cui essa, come vedremo, è legata, pur essendo una cosa leggermente diversa. Ma procediamo con ordine, avvalendoci anche del prezioso contributo di alcuni storici locali della festa tra i quali Raffaele Raimondo. Innanzitutto Corpus Domini e Ottava è la stessa festa, dedicata all Eucarestia, perché durava appunto otto giorni fin dalla sua prima istituzione avvenuta con Bolla papale di Urbano IV l 11 Agosto Ancor prima, fin dal 1208, nella città belga di Liegi si celebrava la festa del SS. Sacramento dopo che, come si narra, una suora del luogo (tale suor Giuliana) aveva avuto una visione in cui il Signore stesso gli aveva ordinato che venisse celebrata annualmente una festa in onore dell Eucarestia. Or bene, a Napoli, secondo delle testimonianze storiche, fin dalla prima metà del XIII sec. si celebrava la festa del SS. Sacramento dell Eucarestia e dal 1264 in poi, dopo la suddetta bolla, la festa acquistò man mano sempre maggiore 31

17 importanza tanto che nel 1310 Roberto D Angiò iniziò a far costruire la chiesa del Corpus Domini (oggi conosciuta come Santa Chiara). Si sa che la processione collegata alla celebrazione, a Napoli, seguiva un percorso ben preciso e una volta raggiunta la strada della Sellaria o del Pennino, dove sorgeva l edificio del Seggio del Popolo, ci si fermava e dallo stesso edificio veniva impartita la benedizione solenne al popolo. Nel 1456 Alfonso I d Aragona, forse per punire il popolo di qualche ribellione, fece abbattere quest edificio e da allora in poi ogni anno nello stesso posto veniva eretto un catafalco (una specie di palco con funzioni principalmente funerarie ma non solo) detto appunto Catafalco della Sellaria o del Pennino. Una parte di questo catafalco era adattata a palcoscenico e su di esso venivano rappresentati i misteri (primo elemento in comune come vedremo con la festa torrese), quadretti biblici musicati da valenti musicisti. Abbiamo notizie di una rappresentazione, avvenuta ancora sul Catafalco del Pennino addirittura nel 1806 durante il cosiddetto decennio francese, di un mistero dal titolo Il monte prodigioso di Oreb musicato da Giovanni Paisiello su libretto di Antonio Rota. La pratica di far costruire questo catafalco, infatti, sopravvisse per secoli e fu mantenuta anche dai Borboni, probabilmente fino al 1848, anno dopo il quale non venne più ripresa. Ora le domande da porsi sono le seguenti: cosa c entra tutto questo con la festa dei quattro altari? E quando quest ultima nacque? Agli inizi del 500 Sant Antonio Maria Zaccaria, fondatore dell ordine dei barnabiti, aveva istituito la pratica delle quarant ore, che consisteva appunto nell esposizione continua della SS. Eucarestia per un periodo di quarant ore, e che si concludeva con la benedizione Eucaristica impartita ai fedeli da quattro punti diversi (quattro altari) che simboleggiavano i quattro continenti allora conosciuti (Europa, Asia, Africa e America) a significare l ubiquità e l universalità dell Eucarestia. E assai difficile stabilire esattamente come e quando questa pratica divenne una celebrazione esterna. Secondo Raimondo (che ha tratto notizie dal canonico Carlo Celano vissuto nel 600) la festa dei Quattro Altari (ci riferiamo a quella esterna alla chiesa) inizia a Napoli sotto il viceregno di Don Antonio Alvarez di Toledo nel periodo che va dal 1622 al La festa si svolgeva al Largo di Castello (oggi piazza Municipio) e i quattro altari erano serviti da quattro ordini religiosi (i domenicani, i teatini, i carmelitani e i padri dell oratorio, che era una congregazione più che un ordine) distribuiti in altrettanti posti differenti della piazza. Celano, in un suo volume del 1693, dice che nella piazza di Castello nel giovedì che chiude l ottava del Corpus Domini fanno una solennissima processione per le strade intorno alla chiesa, che veramente è degna d esser veduta, perché in ogni capo strada vi si fa, con bizzarro e nobile teatro, un altare ricco di tesori di argenti, e questi sono al numero di quattro; si può dire che questa sia una delle belle feste che si faccia nella nostra città. La festa è decritta anche da Stendhal (che come si sa era stato più volte in Italia) nel suo romanzo Il rosso e il nero uscito nel 1830, dove però essa viene trasferita nel paesino francese di Verrierès, luogo di ambientazione della sua opera. E assai difficile dire se Stendhal avesse visto la festa a Napoli, dove sicuramente è stato, o a Torre del Greco (tesi avallata da Raimondo ma 32 33

18 difficilmente dimostrabile) dove probabilmente non è mai stato. E invece sicuramente a Napoli che vede la festa lo studioso tedesco Carlo Augusto Mayer (il quale ci dà peraltro la conferma che negli anni 30 dell 800 veniva ancora eretto il catafalco in piazza del Pennino) e che, nel 1840, distingue la festa del Corpus Domini da quella dei Quattro Altari ( otto giorni dopo vi è la festa dei quattro altari, dove ha pure luogo una grande processione si vedono allora quattro grandi altari eretti per strada e ornati con tappeti preziosi, vasi e altre pompe ). Ora c è da chiedersi: quando la festa dei quattro altari si è trasferita anche a Torre del Greco? La festa, a Torre del Greco, è da sempre legata ad un preciso avvenimento storico avvenuto nel 1699 ovvero il riscatto baronale che aveva visto come protagonista la cittadina vesuviana e aveva portato alla proclamazione di barone del torrese Giovanni Langella, soprannominato Giuvanne delli pigni. Secondo Raimondo è proprio in seguito a quest episodio che la cittadina di Torre del Greco prese a festeggiare la festa dei quattro altari abbinandola alla commemorazione del riscatto baronale. Una prova, secondo lui, è data dal fatto che Celano nella sua opera del 1692 pur parlando di Torre del Greco per altre cose e della festa dei quattro altari di Napoli, non fa alcun cenno sul fatto che essa si svolgesse pure nella cittadina vesuviana. Fatto sta che da quel momento la festa si svolge a Torre mescolando proprio i due aspetti, quello religioso legato alla processione dell ottava e quello civile legato al riscatto baronale, elemento fortemente identitario del popolo torrese. Un altra cosa certa è che fin dal 700 si svolgevano a Torre del Greco due processioni: una nel giorno del Corpus Domini che si effettuava nella parte alta della città, l altra nel giorno dell ottava, che era poi la festa dei quattro altari, nella parte bassa, sul mare seccato (abbascio o mare), dove si realizza ancora oggi. Momento fondamentale della festa era, ed è, la preparazione degli altari, che in passato iniziava la Domenica delle Palme accompagnata dalla musica e dai fuochi d artificio, e che erano, come da tradizione, in numero di quattro, disposti nei quattro posti della città dove poi avvenivano le benedizioni: Largo del Carmine (oggi piazza Luigi Palomba), Largo S. Giuseppe, Marina della città e Piazza S. Croce. Tali notizie confermano, a nostro avviso, che l indicazione di festa dei quattro altari derivi (così come per le quarant ore ) dalla pratica di benedire da quattro altari diversi, anche se qualcuno ha avanzato l ipotesi che il quattro sia da riferirsi anche alle quattro arti: pittura, scultura, musica e architettura. In seguito gli altari sono diventati delle gigantesche rappresentazioni a carattere tematico sacro e biblico (così come per i misteri celebrati ed eseguiti sull antico Catafalco della Sellaria) e sono diventate molte più di quattro: in pratica quasi ogni strada ha un proprio altare. La festa ha acquisito il suo carattere fortemente artistico soprattutto a partire dalla fine dell 800 grazie all opera di Enrico Taverna (originario di Torino) che istituì a Torre una vera e propria Scuola d Incisione sul Corallo e di Arti decorative e figurative, che da allora iniziò a sfornare una lunga serie di veri e propri artisti del campo. Oltre agli altari, così come a Napoli, anche a Torre protago

19 36 nisti erano i tappeti, che qui venivano realizzati con segatura e colori in polvere distribuiti su carta incollata per terra, con cornici di fiori e rami di rosmarino. A partire dal secondo dopoguerra, la festa conobbe una sorta di rilancio soprattutto grazie alla partecipazione attiva del già citato studioso locale Raffaele Raimondo che cominciò a sperimentare l uso di luci sincronizzate con la musica su colossali pannelli, avvalendosi dell apporto di un mago delle luci qual era l elettricista Nicola del Gatto (la cui firma distintiva era un gatto nero apposto sulle proprie luminarie). Oggi la festa dura solitamente tre giorni ed è caratterizzata oltre che dagli innumerevoli altari (altro che quattro!), da spettacoli di cabaret, musica leggera, tammurriate e quant altro, per poi concludersi con i tradizionali fuochi a mare. Tutti questi elementi rendono la festa molto suggestiva all occhio del visitatore esterno anche se in qualche modo, per alcuni osservatori, sembrano avere un po stemperato quell afflato religioso e insieme civile, in senso fortemente identitario, che animava in origine questa celebrazione del popolo torrese.

20 Festa delle lucerne (Somma Vesuviana) di Raffele Di Mauro La festa delle lucerne, che si svolge a Somma Vesuviana ogni quattro anni solitamente dal 3 al 5 Agosto, è senza dubbio una delle più singolari di tutto il panorama rituale campano e forse meridionale. Probabilmente la festa ha preso avvio verso il 1600 dopo che, nel 1595, la chiesa intorno alla quale si sviluppa il Casamale (borgo medievale che si estende sul Monte Somma a circa 200 metri di altezza) fu insignita del titolo di Collegiata e dedicata a S. Maria Maggiore o della Neve. Prima, quando era solo un convento, era titolata a S. Giacomo e dopo, con la costruzione della chiesa, a S. Maria della Sanità. La festa delle lucerne è quindi legata indissolubilmente al culto della Madonna della neve la cui celebrazione ricade proprio il 5 Agosto, giorno conclusivo della festa. Il culto della Madonna della Neve ha origine a Roma quando, in seguito a una miracolosa nevicata secondo gli studiosi avvenuta il 5 Agosto del 352 d.c. sotto il pontificato di Papa Liberio, fu fatto costruire sul colle Esquilino, dove si era verificato l evento, un santuario che da allora fu indirizzato alla venerazione di S.Maria della Neve. Tale culto è presente e assai diffuso non solo in Campania (ad esempio a Torre Annunziata dove, secondo la tradizione, nel XIV sec. alcuni pescatori ritrovarono in mare una cassa contenente l immagine della Madonna, poi siccome il ritrovamento era avvenuto il 5 Agosto, la chiesa dove fu trasportata l immagine fu dedicata a Santa Maria ad Nives ) ma anche in Calabria (nel cosentino, a Bocchigliero) oppure nel 39

21 Lazio (a Frosinone) o in Piemonte (a Novi Ligure, in provincia di Alessandria). La collocazione temporale della festa delle lucerne, secondo Roberto De Simone, la fa collegare inequivocabilmente a particolari riti agricoli celebranti la fine del ciclo estivo e alla morte dell estate. Non a caso nella tradizione contadina, per la quale spesso l anno non ha 4 stagioni ma è bipartito solamente in vierno (inverno) e staggione (estate), si dice che Austo è capa e vierno ovvero Agosto è principio d inverno. La rappresentazione della festa, come detto, dura tre giorni (talvolta solo due o addirittura quattro) e culmina sempre il 5 Agosto, giorno della celebrazione della Madonna della Neve, nella processione finale. La preparazione della festa però inizia qualche giorno prima, verso la fine di Luglio, ovvero la settimana precedente, quando vecchi e bambini (guidati da un mast e festa scelto tra i più anziani) popolano le strade del Casamale dando ciascuno il proprio contributo all allestimento scenico che diventerà lo spazio della festa. Diversi ed articolati, come vedremo, sono gli elementi. Nei vicoli del Casamale viene innanzitutto preparato un complesso apparato (definito e cupole) costituito da cordoni di felci su cui sono avvolte catene formate da anelli di carta crespa colorata e rami di castagno applicati sui muri per nascondere le pareti degli edifici. Tale struttura iniziale ospiterà poi i telai che sono assi di legno che formano il perimetro di diverse figure geometriche, rombi quadrati o triangoli, sospese da pali laterali e disposte in numero variabile a seconda della lunghezza del vicolo. Su questi telai saranno sistemate le lucerne e innanzi ad essi verrà rappresentata la scena del banchetto con due pupazzi ( o viecchio e a vecchia) seduti intorno a un tavolo. A concludere, in fondo alla serie di telai, è collocato uno specchio che serve ad accentuare l impressione di profondità e ad accrescere l effetto visivo. Le protagoniste della festa sono però senza dubbio le lucerne (dette lucernelle) consistenti in piccole coppe di terracotta tonda, con un unico beccuccio ricavato dal bordo piegato ( o lucign ). Esse sono praticamente dei lumi ad olio (esclusivamente olio vergine d oliva ci tengono a precisare gli anziani) che vengono accesi in modo da illuminare tutto l arredo prima allestito e creando quell impatto visivo che è la sigla originale di questa festa unica nel suo genere. Da non dimenticare altri due elementi: le zucche che, liberate dalla polpa e dei semi (usati poi per fare e semmente nfurnate), vengono intagliate in modo da formare occhi, naso e bocca (venendo così chiamate e cape e muorte) e le quali si illuminano grazie a delle fiammelle poste al loro interno; e le fontane create per l occasione con cannule e tubi. Diversi e complessi sono i segni rituali individuabili in quest articolata rappresentazione scenica. Molti elementi rimandano alla celebrazione della morte dell estate o comunque alla fine di un ciclo estivo così come indicatoci da De Simone: le lucerne notturne, le zucche che raffigurano una testa di morto, i due banchettanti (chiara simbologia legata alla morte) ecc. Ma gli stessi elementi possono essere letti anche in funzione rigenerante: o vecchio e a vecchia sono anche un uomo e una donna capaci di procreare, la zucca e la lucerna 40 41

22 simboleggiano anche chiaramente i due organi riproduttivi sessuali: il fallo e la vagina. Oltre a questi vanno sottolineati anche gli altri elementi rituali presenti nella festa ad esempio le figure geometriche rappresentate, lo specchio, l acqua delle fontane. In questa zona l acqua è anche un mezzo di protezione dai pericoli dell eruzione del Vesuvio, per cui ci si appella alla muntagna fredda o fresca, utilizzando il tipico stereotipo verbale adoperato nei canti a figliola ma anche nelle voci di venditori). L utilizzo poi dell olio di oliva ha una sua particolare valenza simbolica perché, non dimentichiamolo, questo spesso veniva adoperato a scopi taumaturgici come medicina popolare. L ultimo e importante aspetto da rilevare relativo alla festa delle lucerne è la completa assenza (quasi un divieto ), durante la sua celebrazione, di tutto quel repertorio musicale fatto di tammurriate, fronne, canti a figliola ecc. che invece costituiscono il sottofondo sonoro dell altro grande momento rituale che coinvolge gli abitanti di Somma Vesuviana ovvero la festa della Madonna di Castello (dal sabato in Albis al 3 Maggio). Ciò a conferma che i sommesi sono ben coscienti che l esecuzione di queste forme musicali rappresenterebbe uno snaturamento di quello che è il significato profondo della festa delle lucerne. C è da dire che però la musica non è del tutto assente. C è un apposito Canto della Madonna della Neve eseguito durante la processione che si svolge il 5 Agosto, che è un canto polivocale religioso, o meglio paraliturgico, eseguito senza accompagnamento strumentale e costituito da frasi testuali che vengono ripetute due volte (la prima volta con un disegno vocale melismatico in cui prevale più che altro l aspetto sonoro, la seconda volta invece in uno stile più sillabico tale da favorire una maggiore copmprensione del testo). Questo canto è tramandato in particolare da Elisabetta Raia, una delle ultime depositarie, che ci ha informato che la sua esecuzione è una tradizione di famiglia (lo ha appresso dai suoi antenati) e che esso veniva cantato già dagli inizi di Agosto verso il tramonto facendo ben attenzione a non farsi vedere da nessuno perché la voce doveva andare per l aria, come se provenisse dal nulla. Vi proponiamo il testo del canto così come pubblicato in un volumetto da Adriana Esposito e Marco Vitagliano Stendardo: O Maronna io rella neve O Maronna io rella neve Puoi iotare alli tuoi fedeli Puoi iotare alli tuoi fedeli Tuoi fedeli li puoi iotare Tuoi fedeli li puoi iotare O Regina della pietà O Regina della pietà Tutti i lumi alluminati 42 43

23 Tutti i lumi alluminati O Regina della pietà O Regina della pietà Alli piedi della Madonna Alli piedi della Madonna S è calata na bella stella S è calata na bella stella Al chiarore del sole ardente Al chiarore del sole ardente Molta neve la biancheggiò Molta neve la biancheggiò 44

24 Festa della Madonna di Castello (Somma Vesuviana) di Raffele Di Mauro Somma Vesuviana è senza dubbio nell ambito dell area vesuviana, ma potremmo dire dell intera regione campana, uno dei centri più importanti dal punto di vista dei rituali folklorici. Le ragioni sono molteplici (non ultima, la presenza ancora attiva di alcuni vecchi depositari della tradizione che si impegnano a tramandarla e a promuoverla) ma una in particolare: il culto della Madonna di Castello legata all omonimo santuario situato sul Monte Somma e costruito probabilmente verso la fine del 400, lì dove anticamente sorgeva un castello normanno (da qui il nome). A tale Madonna è dedicata la festa (detta anche Festa della montagna) che si svolge proprio a Somma in un periodo che va dal sabato in albis (Sabato dei fuochi) al 3 Maggio (tre della croce), che vede coinvolte numerose paranze locali e che attira i fedeli di tutti i paesi della fascia pedemontana vesuviana ma non solo. Molte sono le somiglianze con il culto della Madonna di Montevergine (il santuario situato su un monte, la salita e la discesa spesso cantata e danzata, l esecuzione dei caratteristici canti a ffigliola ecc.) ma la differenza fondamentale è che la Madonna di Castello è situata sul Vesuvio e molto probabilmente il suo culto potrebbe derivare da uno molto più antico legato alla montagna di 47

25 fuoco. Non a caso a Somma nel primo giorno della festa, il Sabato in Albis, chiamato in modo emblematico Sabato dei Fuochi, vengono accesi intorno al santuario numerosi falò notturni sui tuori (oggi soprattutto fuochi pirotecnici), che danno come l impressione della lava che scorre, quasi a volerne esorcizzare la paura. E non a caso la festa un tempo si concludeva il 3 Maggio bruciando una croce di legno (che oggi invece è stata sostituita da una di ferro) sulla cima della montagna, da qui la denominazione di tre della croce. Secondo la tradizione del posto, riportataci anche da Roberto De Simone, il culto della Madonna di Castello ha origine dal rinvenimento di una testa bruciata di una statua dopo un eruzione. Questa testa sarebbe stata ritrovata da uno scultore di santi che aveva una figlia paralitica, la quale, dopo aver avuto in sogno l apparizione della statua, sarebbe miracolosamente guarita. A tal punto il padre, ricordandosi della testa bruciata, avrebbe ricostruito il corpo della statua con delle sembianze fisiche tipicamente contadine (grassa, fianchi larghi ecc.) tanto che da allora i fedeli la chiamano anche Mamma Pacchiana, vale a dire Madonna contadina. Secondo alcuni studi la scultura originale della statua lignea della Madonna sarebbe stata portata a Somma da Carlo Carafa nel 1622 ma sarebbe andata dispersa dopo la disastrosa eruzione del C è però anche un altra leggenda legata al santuario ovvero quella di un tesoro nascosto nei paraggi per ritrovare il quale bisognerebbe uccidere un bambino neonato a mezzanotte. Secondo De Simone quest ultima leggenda è un altro indizio che il culto abbia origini antichissime e sia probabilmente legato a riti con uccisioni di bambini, sostituiti in un secondo momento da agnelli o altri animali. Un altro rito particolare legato a tale festa è quello della preparazione della pertica o perticella (perteca) che si pratica soprattutto il 3 Maggio. Consiste nella preparazione di rami dell albero di castagno che vengono liberati da tutte le fronde, facendo in modo da lasciare una piccola sporgenza ( a curnecchia) vengono poi addobbati con fiori e rami di ginestra, collane fatte di nocciole ( a ntrita) o castagne ( a nserta), piede e muso di vaccino lesso ( o pere e o musso) e portano appesa alla sommità l immagine della Madonna di Castello ( a fiurella). La perticella così preparata e dedicata alla Madonna, viene donata alla propria donna, accompagnandola spesso con l intonazione di canti a figliola. Nella pratica della perteca è possibile individuare una simbologia fallica legata ad antichi culti propiziatori della fecondità della terra. Numerosi e continui sono i pellegrinaggi dei singoli fedeli che nel periodo descritto (dal sabato in albis al 3 Maggio) si recano al santuario per rendere onore alla Mamma Pacchiana ma i protagonisti della festa sono senza dubbio le diverse paranze (Paranza dello Gnundo, Paranza del Ciglio ecc.) che in modo particolare nei due giorni festivi (quello iniziale e quello conclusivo) salgono verso il santuario in momenti diversi e fermandosi in posti differenti, preparando e consumando lauti banchetti (legati probabilmente ad antichi rituali per augurare l abbondanza e un buon raccolto) con gustose libagioni, 48 49

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