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1 Università degli Studi di Pisa Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Anno Accademico Tesi di Laurea Impiego di una CCD raffreddata per la caratterizzazione dello spettro di sorgenti di raggi X nel campo della diagnostica medica. Candidato Monica Sanna Relatore Prof. Danilo Giulietti

2 Ai miei genitori, con amore e gratitudine.

3 E dopo avere atteso tanto proprio tanto venne infine l ora di salpare e salpai Il tempo passava e io incominciavo a tracciare la rotta ma non come mi avevano detto nel porto sebbene la nave mi sembrasse diversa anche allora Così il mio viaggio ora lo vedevo diverso senza più ansia di approdi e commerci il carico mi appariva ormai inutile ma continuavo a viaggiare conoscendo il valore della nave conoscendo il valore che portavo (Alekos Panagulis)

4 Sommario i Sommario Introduzione...1 Capitolo 1 Raggi X Generazione di raggi X Spettro continuo Spettro a righe caratteristiche Interazione dei raggi X con la materia Effetto fotoelettrico Scattering Compton Scattering Rayleigh...19 Capitolo 2 Sorgenti Radioattive raggi X prodotti da processi radioattivi Decadimento α Decadimento β Decadimento β Cattura elettronica Conversione interna Attività di una sorgente radioattiva Legge del decadimento radioattivo Fluttuazioni nel decadimento radioattivo Sorgenti radioattive Americio Bario

5 Sommario ii Ferro Capitolo 3 Charge Coupled Device (CCD) Descrizione della CCD Funzionamento della CCD CCD KAF-0261E Stima dell'efficienza della CCD nella regione X...49 Capitolo 4 Acquisizione delle immagini e analisi dei dati Apparato sperimentale Algoritmo di analisi Elaborazione degli istogrammi Spettri delle sorgenti Ferro Americio Bario Calibrazione Risoluzione spettrale Istogrammi a più pixel Capitolo 5 Mammografo Tubi a raggi X Interazione dei fotoni nei tessuti biologici Immagine radiografica Misure al mammografo...104

6 Sommario iii Conclusioni Appendice Bibliografia Ringraziamenti...119

7 Introduzione 1 Introduzione Il lavoro di tesi qui presentato rientra nell'ambito di una convenzione stipulata tra il Dipartimento di Fisica E. Fermi, l'istituto di Fisica Atomica e Molecolare (ora IPCF) del C.N.R. di Pisa e l'u.o. di Fisica Sanitaria dell'azienda Ospedaliera Pisana, che l ha finanziata. La convenzione ha come obbiettivo la messa a punto di una metodologia originale per la caratterizzazione di tubi a raggi X utilizzati in diagnostica medica. L'impiego dei raggi X nella Fisica Medica è molto vasto e comprende sia la diagnostica che la terapia curativa, risulta così molto importante conoscere il tipo e la quantità di radiazione utile allo scopo prefissato. Ad esempio, la radiazione utilizzata in mammografia è costituita da un continuo di Bremsstrahlung e da righe molto intense, caratteristiche dell'anodo impiegato. La mammografia X è al momento la sola procedura per la diagnosi precoce del cancro al seno [1]. Infatti, è il solo metodo d immagine che consente di rivelare noduli al seno non palpabili e di identificare calcificazioni maligne al suo interno. Tuttavia, per ottenere una diagnosi precoce di queste patologie, sono auspicabili miglioramenti nella qualità dell immagine mammografica: rafforzamento del contrasto per la visualizzazione di tumori sottili, elevata risoluzione spaziale per mostrare la forma e i contorni delle piccole microcalcificazioni. Oltre a ciò sono comunque importanti tutte le innovazioni tecnologiche che portino ad una riduzione della dose al fine di minimizzare il rischio di tumori indotti dalla radiazione stessa.

8 Introduzione 2 Diversi autori hanno dimostrato l esistenza di un range ottimale per esami mammografici [1, 2]. Raggi X quasi-monocromatici danno un contrasto migliore nel caso di lesioni al seno e una riduzione della dose impartita al paziente. Esperimenti, condotti utilizzando luce di sincrotrone, hanno confermato che una sorgente monocromatica accordata intorno ai kev è uno strumento ideale per rivelare microcalcificazioni o cancro dei tessuti [3, 4]. Questo è dovuto al fatto che i rivelatori comunemente usati in radiografia hanno dei picchi di assorbimento K a ben definite energie, e a queste energie corrisponde un aumento notevole della loro efficienza quantica. Inoltre, è possibile che il contrasto dell'oggetto venga aumentato quanto più l'energia del fascio incidente è vicina al picco di assorbimento dell'oggetto di interesse. Per questo motivo i raggi X monoenergetici offrono una migliore risoluzione di immagine al contrario dei raggi X polienergetici [2]. Per quanto detto, risulta molto importante conoscere lo spettro emesso dal tubo a raggi X, per poi filtrarlo della componente continua, raggiungendo due obbiettivi fondamentali: si aumenta la risoluzione sull'immagine mammografica, come conseguenza della maggiore monocromaticità della radiazione utilizzata, e si riduce la dose impartita al paziente. Per ottenere lo spettro della sorgente, è stata utilizzata una tecnica di bassa risoluzione, ma molto semplice e di rapida esecuzione, già sperimentata dal gruppo operante presso l'ilil [5] per la spettroscopia X dei plasmi-laser. La tecnica si basa sull'impiego di una CCD (Charge Coupled Device) raffreddata, utilizzata in condizioni di basso flusso di fotoni: si è, cioè, in un regime in cui il numero medio di fotoni per pixel (picture element) è molto minore di

9 Introduzione 3 uno. In queste condizioni e nel range di energia relativo ai raggi X, la carica liberata nel singolo pixel risulta proporzionale all'energia del fotone incidente. Quindi, la distribuzione del numero di pixel cui è associato un certo valore dell'adc (Analog to Digital Converter) dello strumento, in funzione del valore dell'adc stesso, fornisce uno spettro della sorgente considerata. Per ottenere una calibrazione in energia dello spettro, sono state utilizzate alcune sorgenti radioattive che emettono righe spettrali di energie note nel range di interesse (1-100 kev). L'esposizione della CCD alla sorgente di radiazione X, durante un intervallo di tempo predeterminato, produce un'immagine tipo "cielo stellato", in cui la carica liberata nell'assorbimento del fotone può interessare il singolo pixel o diffondere su più pixel contigui. Inoltre, anche in assenza di radiazione, ai singoli pixel è associato un livello di ADC diverso da zero (corrente di buio). Per questo motivo, è stato necessario sviluppare un algoritmo (scritto in linguaggio C++) che, oltre a sottrarre ad ogni immagine del "cielo stellato" quella di buio, consente di riconoscere e selezionare gli "eventi" relativi ai singoli fotoni, anche quando la carica rilasciata da ognuno di essi si disperde su uno o più pixel. In questo lavoro di tesi ci si è prefissi l obbiettivo di creare uno strumento di facile e pratico utilizzo per la visualizzazione e la misura dello spettro d emissione di tubi a raggi X. Dopo una prima fase di progettazione, messa a punto e taratura dell'apparato, che ha rappresentato la quasi totalità del lavoro svolto in questa tesi, sono state eseguite delle misure sul campo, ottenendo lo spettro di emissione di un mammografo operante presso l'ospedale S.Chiara di

10 Introduzione 4 Pisa. Analoghe misure sono state effettuate su un tubo a raggi X portatile dell Istituto di Fisiologia Clinica del C.N.R. di Pisa. La struttura della tesi si sviluppa in cinque capitoli: nel Capitolo 1 vengono descritte le caratteristiche dei raggi X, la loro generazione e l'interazione con la materia; nel Capitolo 2, sono descritti i processi radioattivi che portano alla generazione di raggi X, la legge di decadimento di un campione radioattivo e riportate le caratteristiche delle sorgenti utilizzate per ottenere la calibrazione; nel Capitolo 3, viene descritto il funzionamento di una CCD, vengono riportate le caratteristiche principali di quella utilizzata nel presente lavoro di tesi, fornendone una stima dell'efficienza; nel capitolo 4, vengono descritte le misure effettuate sulle sorgenti radioattive e la loro elaborazione, che ha portato alla calibrazione in energia dei livelli di ADC dello strumento. Viene inoltre descritto per passi l'algoritmo che è stato necessario sviluppare per l'elaborazione delle immagini; nel Capitolo 5 si descrive sinteticamente il funzionamento di un tubo a raggi X, le principali caratteristiche di un immagine mammografica, le misure effettuate sul campo ; in fine le Conclusioni, con un breve accenno alle prospettive di sviluppo del presente lavoro.

11 Capitolo 1Raggi X 5 Capitolo 1 Raggi X I raggi X sono un particolare tipo di radiazione elettromagnetica emessa da particelle cariche (generalmente elettroni), mediante due processi fisici [6]: 1) irraggiamento di cariche libere frenate da un campo di forza coulombiano (raggi X a spettro continuo o di Bremsstralhung); 2) transizioni energetiche tra diversi livelli atomici (raggi X caratteristici o di fluorescenza) o nucleari. Possono essere caratterizzati in base alla lunghezza d onda λ posseduta e, sfruttando le relazioni [7]: e = c (1-1) E = h = kev, (1-2) (Å) si ottengono i seguenti intervalli di lunghezza d onda, frequenza ed energia: = Å, (1-3) = Hz, (1-4) E = kev (1-5) Nello spettro generale delle radiazioni elettromagnetiche, i raggi X

12 Capitolo 1Raggi X 6 sono, quindi, compresi tra i raggi ultravioletti da una parte e i raggi γ dall altra: ULTRA VIOLETTO RAGGI X RAGGI GAMMA 3x x x10 20 Hz Fig.1.1 Spettro in frequenza della radiazione X. In realtà, la distinzione non è così netta (i raggi γ vengono emessi in transizioni nucleari o in processi di annichilazione tra materia e antimateria), per cui in fisica medica attualmente si classificano in base all intensità del voltaggio che li genera e, di conseguenza, in base al potere di ionizzazione della materia con cui interagiscono. Si ottiene così il seguente schema [7]: kV soft X-rays kV diagnostic X-rays kV orthovoltage X-rays 300kV 1MV intermediate X-rays 1MV e oltre megavoltage o hard X-rays I soft X-rays (raggi X molli) sono così chiamati perché hanno un energia relativamente piccola e, quindi, un basso potere di penetrazione nella materia, al contrario degli hard X-rays (raggi X duri), molto energetici (si supera il MeV) e, quindi, molto penetranti. Abbiamo poi i raggi X utilizzati per scopi diagnostici e quelli con energia intermedia. Si parla, inoltre, di white X-rays (radiazione X bianca) per indicare una miscela di raggi X con differenti lunghezze

13 Capitolo 1Raggi X 7 d onda (in contrapposizione ai monocromatici). I raggi X sono un tipo di radiazione ionizzante indiretta, cioè interagiscono con la materia tramite un processo a due passi : dapprima, mediante diversi tipi di interazione, cedono energia alle particelle cariche presenti nella materia che attraversano; quindi, le particelle cedono questa energia alla materia circostante. 1.1 Generazione di raggi X I processi di generazione di raggi X si possono analizzare tramite i relativi spettri di emissione, continuo e a righe (detto anche caratteristico); in particolare, in questo capitolo viene trattata la produzione dovuta alle transizioni atomiche, mentre quella dovuta alle transizioni nucleari verrà descritta nel Capitolo Spettro continuo I raggi X a spettro continuo vengono prodotti quando particelle cariche in moto (generalmente elettroni) vengono bruscamente decelerate. La frazione di energia cinetica persa dalla particella decelerata viene convertita in fotoni, che vengono quindi emessi con uno spettro continuo di energia fino ad un massimo corrispondente all'energia cinetica iniziale della particella, se questa viene completamente fermata [6]. Si utilizzano generalmente elettroni prodotti in un tubo a raggi X (verrà data una descrizione completa nel Capitolo 5, riguardante il

14 Capitolo 1Raggi X 8 mammografo). Esso consiste in un'ampolla di vetro (in cui è fatto un vuoto di 10-4 Torr) contenente due elettrodi metallici: il catodo, che rappresenta la sorgente di elettroni e l'anodo o bersaglio. A causa dell'alta differenza di potenziale (decine di migliaia di Volts) tra i due elettrodi, gli elettroni emessi dal catodo per effetto termoelettrico vengono rapidamente indirizzati verso l'anodo, su cui incidono con un'alta velocità. I raggi X si formano nel punto d'impatto e vengono irraggiati in tutte le direzioni. L'energia cinetica all'impatto è data dalla formula (valida per elettroni non relativistici e cioè sottoposti a differenze di potenziale decisamente inferiori a 0.5 MV): T e = ev = 1 (1-6) 2 mv2 dove e=1.60x10-19 C è la carica dell'elettrone, v la sua velocità e V la differenza di potenziale tra gli elettrodi. La maggior parte di questa energia viene convertita in calore, meno dell'1% in raggi X [6]. Il fascio di raggi X emessi è composto da una miscela di differenti lunghezze d'onda (white X-rays) e la variazione dell'intensità in funzione della lunghezza d'onda dipende dal voltaggio del tubo. L'intensità è nulla fino ad una certa lunghezza d'onda minima, chiamata short-wavelength limit ( SLW ), aumenta rapidamente fino ad un massimo e poi decresce, senza limiti marcati nelle lunghezze d'onda superiori. Questa radiazione viene anche detta di Bremsstrahlung (frenamento), in quanto prodotta dal frenamento degli elettroni. Non tutti gli elettroni vengono decelerati allo stesso modo. Alcuni vengono fermati in un singolo impatto, cedendo tutta la loro energia in una sola volta, altri vengono deviati dagli atomi dell'anodo e perdono frazioni dell'energia totale ev, prima di essere fermati. Gli elettroni che vengono fermati in un singolo urto danno luogo a fotoni

15 Capitolo 1Raggi X 9 con la massima energia, cioè con la minima lunghezza d'onda. Si ha, quindi [6]: da cui swl = min = c max ev = h max (1-7) = hc ev (1-8) Questa equazione dà il limite inferiore di lunghezza d'onda in funzione del voltaggio del tubo. Gli elettroni che perdono energia in più urti, emettono fotoni con energia minore di h max e, quindi, con lunghezza d'onda superiore. L'insieme di tutte le lunghezze d'onda costituisce lo spettro continuo. La figura 1.2 rappresenta l'intensità dei fotoni emessi da un bersaglio di Molibdeno in funzione della lunghezza d'onda, al variare del voltaggio del tubo (da 5 a 25 kv). Fig.1.2 Spettro dei raggi X relativo a bersaglio in Molibdeno, in funzione del voltaggio applicato. La larghezza delle righe caratteristiche riportate non è in scala.

16 Capitolo 1Raggi X 10 Come si può vedere, al crescere del voltaggio il massimo dell'intensità aumenta e la curva si sposta a lunghezze d'onda inferiori, poiché il numero di fotoni prodotti al secondo e l'energia media per fotone aumentano. L'energia totale dei fotoni emessi al secondo, che è proporzionale all'area sottesa dalla curva, dipende anche dal numero atomico Z del bersaglio e dalla corrente i, che è una misura del numero di elettroni al secondo che colpiscono il bersaglio. L'intensità totale è data da [6]: I = AiZV m (1-9) con A la costante di proporzionalità e m una costante che vale circa 2. Se si vuole ottenere una grande quantità di radiazione bianca è necessario, quindi, utilizzare come bersaglio un metallo pesante, come il tungsteno ( Z = 74) e il voltaggio più alto possibile. Da notare che il tipo di materiale influisce sull'intensità, ma non sulla distribuzione in lunghezza d'onda dello spettro continuo Spettro a righe caratteristico Quando il voltaggio in un tubo a raggi X è al di sopra di un certo valore critico, caratteristico per il tipo di bersaglio utilizzato, compaiono dei picchi d intensità a certe lunghezze d'onda, sovrapposti allo spettro continuo. Poiché tali picchi sono molto stretti e le lunghezze d'onda alle quali si presentano sono caratteristiche del materiale usato come bersaglio, vengono chiamati righe caratteristiche. Ricorrendo alla teoria spettroscopica, consideriamo l'atomo formato da un nucleo centrale e gli elettroni disposti in varie shells

17 Capitolo 1Raggi X 11 (gusci atomici), denominate K, L, M, in corrispondenza dei numeri quantici principali n=1, 2, 3,. Se un elettrone incidente sul bersaglio ha sufficiente energia cinetica, può espellere un elettrone dalla shell K e lasciare l'atomo in uno stato eccitato molto energetico. Uno degli elettroni più esterni va ad occupare la lacuna formatasi, emettendo energia e riportando l'atomo allo stato fondamentale. L'energia emessa sotto forma di raggi X con una ben definita lunghezza d'onda è, appunto, la radiazione K caratteristica. La lacuna può essere riempita da un elettrone di una qualsiasi delle shells esterne e questo dà luogo alla serie di linee K: K, K, che derivano dalle transizioni dalle shells L, M,. In realtà, poiché quando n=2, 3 sono possibili più configurazioni, ognuna di queste linee è formata da più righe : K 1, K 2,, K 1, K 2, e così via. Può capitare, quindi, che un atomo del bersaglio emetta una radiazione K, mentre quello vicino una K ; poiché è più probabile una transizione dalla shell L che dalla M, la linea K sarà in genere più intensa della linea K. Le linee caratteristiche L, M, si originano nello stesso modo. Se prendiamo in considerazione il Molibdeno, le tre righe più intense che si osservano sono : K 1 : kev, K 2 : kev, K 1 : kev. Le componenti 1 e 2 non sono sempre risolvibili, perché hanno lunghezze d'onda molto vicine (0.709 Å e Å, rispettivamente), per cui si parla del doppietto K con lunghezza d'onda [6]: 1 3 (2x ) = Å, (1-10)

18 Capitolo 1Raggi X 12 data dalla media pesata delle lunghezze d'onda delle sue componenti, in quanto la riga K 1 ha un'intensità circa doppia della K 2. L'energia corrispondente è di kev. Le righe K e K sono mostrate in figura 1.2. L'intensità di ogni riga caratteristica, misurata sopra lo spettro continuo, dipende sia dalla corrente i del tubo che dalla differenza tra il potenziale V del tubo e il potenziale critico di eccitazione per la linea considerata. Nel caso della linea K [6]: K V K n I = Bi ( V ), (1-11) dove B è la costante di proporzionalità, mentre n dipende da V e varia tra 1 e 2. Le righe caratteristiche furono scoperte da W.H.Bragg e studiate a fondo da H.G.Moseley, che scoprì che la lunghezza d'onda delle righe decresce all'aumentare del numero atomico dell'elemento emettitore. In particolare, trovò una relazione lineare (legge di Moseley) tra la radice quadrata della frequenza della riga e il numero atomico Z [6]: = C(Z ), (1-12) dove C e sono delle costanti. Come si è visto, esiste un voltaggio critico di eccitazione per la radiazione caratteristica. Infatti, l'elettrone che colpisce il bersaglio deve avere energia sufficiente ad espellere un elettrone della shell considerata. Per esempio, se E K è il lavoro necessario per rimuovere un elettrone K, l'energia cinetica dell'elettrone incidente deve essere almeno pari a: 1 2 mv2 = E K. (1-13) E' necessaria minore energia per rimuovere un elettrone L che un

19 Capitolo 1Raggi X 13 elettrone K, perchè la shell L è più lontana dal nucleo, per cui il voltaggio di eccitazione V L è minore di V K e la radiazione caratteristica K non può essere prodotta senza essere accompagnata dalle radiazioni L, M, etc. 1.2 Interazione dei raggi X con la materia Il range di energia di interesse nel campo dell'applicazione radiografica è compreso tra 10 e 150 KeV. In questo intervallo, le interazioni dei fotoni con la materia sono: 1) Effetto fotoelettrico 2) Scattering Compton 3) Scattering Rayleigh La probabilità che si verifichi uno di questi processi dipende dall'energia del fotone incidente e dal materiale con cui interagisce. Questa informazione è fornita dalla sezione d'urto del processo,. Se un fascio monocromatico, d intensità iniziale I 0, colpisce un bersaglio di un dato materiale, il singolo fotone può cedere la sua energia agli elettroni del mezzo attraversato, tramite i processi sopra citati, o non interagire affatto. L'intensità I del fascio emergente risulta essere I = I 0 e x, (1-14) dove µ = coefficiente di attenuazione lineare del mezzo materiale, x = spessore del materiale.

20 Capitolo 1Raggi X 14 Il coefficiente di attenuazione lineare è funzione della sezione d' urto dei processi presenti e delle caratteristiche del materiale (peso atomico A, numero atomico Z e densità ): = N a A ( e. f. + Z c + R ), (1-15) dove N a = numero di Avogadro, = sezione d' urto dell'effetto fotoelettrico, e. f. c = sezione d' urto Compton, R = sezione d' urto Rayleigh Effetto Fotoelettrico L' effetto fotoelettrico è il processo dominante a basse energie e consiste nell' assorbimento di un fotone da parte di un elettrone atomico, che viene espulso dalla shell atomica in cui si trovava ("fotoelettrone"). E' essenziale che l'elettrone sia legato per la conservazione dell'energia e della quantità di moto del sistema fotone-atomo. Proprio per questo, la probabilità che il processo avvenga aumenta rapidamente al crescere dell'energia di legame degli elettroni (circa l'80 % di queste interazioni interessa gli elettroni della shell K). Se l'energia di legame dell'elettrone è E b e l'energia del fotone incidente è h, affinché il processo possa avvenire, deve essere h E b.

21 Capitolo 1Raggi X 15 L'energia cinetica T e, ceduta all'elettrone dal fotone, indipendentemente dall'angolo di scattering, è : T e = h E b T a h E b (1-16) dove abbiamo trascurato l'energia cinetica acquistata dall'atomo, T a, in quanto molto più piccola delle altre energie in gioco. La sezione d'urto di questo processo non ha un'espressione analitica ben definita ma, nel range di energia in cui tale effetto è predominante (intorno ai 10 kev), segue una legge del tipo [7]: Z n (h ) 3 (cm 2 ) (1-17) dove Z è il numero atomico del materiale e n è compreso tra 4 e 5 a seconda dell'intervallo di energia. La distribuzione angolare degli elettroni emessi nell'angolo solido dω, per radiazione incidente non polarizzata, è data da : dn dω (sin ) = (1 cos 2 ) 2 (1-18) dove è l'angolo tra la direzione del fotone incidente e il fotoelettrone e è il rapporto tra la velocità del fotoelettrone e la velocità del fotone. In alcuni casi, l'emissione dell'elettrone è accompagnata dalla produzione di raggi X oppure dall'espulsione di un elettrone Auger 1. 1 L'energia di eccitazione che ha luogo nella shell elettronica può essere trasferita ad un elettrone atomico anzichè dare luogo ad un raggio X caratteristico. Gli elettroni emessi sono chiamati elettroni Auger e sono monoenergetici. Le loro energie sono tipiche dei processi atomici, cioè non più di qualche kev. Sono molto difficili da rivelare, in quanto è molto probabile che vengano autoassorbiti [8].

22 Capitolo 1Raggi X Scattering Compton Lo scattering Compton è l'effetto prevalente per un ampio range di energia (~ 100 kev 10 MeV), quando si irraggiano materiali con numeri atomici non troppo alti, come l'aria, l'acqua e il tessuto umano. Il processo avviene quando un fotone urta un elettrone libero, ma avviene anche con gli elettroni atomici, nel caso in cui l'energia di legame è molto minore dell'energia del fotone incidente, così che essi possono essere considerati liberi. I prodotti finali dell'interazione sono l'elettrone e un fotone di energia minore di quella del fotone incidente. All' istante iniziale, il fotone con energia cinetica E e quantità di moto p = E c urta con un elettrone, che supponiamo fermo (T e = 0). Dopo la collisione, il fotone esce con angolo rispetto alla direzione del fotone incidente e con energia cinetica h ', mentre l'elettrone esce con angolo θ e energia cinetica: T e = h h ' (1-19) Fig. 1.3 Scattering Compton: il fotone incidente, con energia hν, urta un elettrone fermo. Il fotone esce con angolo ϕ ed energia hν', l'elettrone con angolo θ ed energia T e.

23 Capitolo 1Raggi X 17 Imponendo la conservazione dell' energia e della quantità di moto, si ottiene [7]: e h ' = 1 + cotg Sostituendo nell'energia cinetica: h (1-20) h (1 cos ) m e c 2 =(1+ h m e c 2)tg( ). (1-21) 2 h T e = h h ' =. (1-22) m 1 + e c 2 h (1 cos ) dove m e c 2 =0.511MeV è la massa a riposo dell'elettrone. Rappresentando hν' in funzione di h, si trova che, per h '<0.01MeV, h ' h, cioè l'elettrone acquista energia cinetica in misura trascurabile [7]. Si nota, inoltre, che: i) per ϕ = 0, si ha θ = 90, mentre ϕ = 180 implica θ = 0 e questo indipendentemente dall'energia di fotoni; ii) per fotoni di bassa energia, θ 90 -ϕ/2, di conseguenza l'angolo di scattering degli elettroni diminuisce gradualmente da 90 a 0, quando l'angolo tra il fotone entrante e quello uscente aumenta da 0 a 180, mentre θ = ϕ a circa 60 ; iii) per fotoni di alta energia, ad una variazione grande in ϕ ne corrisponde una piccola in θ e viceversa. La sezione d' urto differenziale dello scattering Compton è data dalla formula di Klein-Nishina : che si riduce, per h ' h, a: d c dω = r 2 ' e 2 (h h )2 ( h + h ' h ' h sin2 ) (1-23)

24 Capitolo 1Raggi X 18 con r e = d c dω = r 2 e 2 (1+ cos2 ) (1-24) e2 2 il raggio classico dell'elettrone [7]. m e c Integrando su tutto l'angolo solido, si ottiene la sezione d'urto Compton totale σ C, cioè la probabilità per elettrone che avvenga il processo (essa risulta indipendente dal numero atomico Z). Quest ultima può essere vista come somma di due contributi: c = e,tr + f, (1-25) dove σ e,tr è la sezione d'urto dell'energia trasferita all'elettrone e σ f la sezione d'urto di energia trasferita al fotone. da: La frazione di energia trasferita dal fotone all'elettrone è data d e, tr d c T h dω = dω h d c h = ( dω da cui si ricava l'energia cinetica media dell'elettrone: T = h e,tr c h ) (1-26), (1-27) Il massimo dell'energia trasferita si ha per urto frontale, θ = 0, in corrispondenza dell'energia cinetica minima del fotone uscente: T max = 2(h ) 2 2h + m e c 2 (1-28) h ' h min = 1 + 2h m e c 2 (1-29) Moltiplicando la σ C per Z, si ottiene, infine, la probabilità totale di scattering Compton per atomo.

25 Capitolo 1Raggi X Scattering Rayleigh Lo scattering Rayleigh consiste nella collisione elastica di un fotone con un atomo: gli elettroni atomici partecipano tutti in maniera coerente al processo che, essendo elastico, avviene senza trasferimento di energia; a causa della sua massa, l'atomo si muove così poco da poter considerare invariata la sua quantità di moto. Il fotone viene generalmente diffuso solo entro piccoli angoli, perciò l'effetto sul fascio dei fotoni incidenti si riflette in una piccola apertura angolare del fascio [7]. L'angolo di scattering del fotone dipende da Z e dall'energia del fotone incidente, hν. Si trova che i 2/3 dei fotoni vengono diffusi ad angoli minori di quelli riportati in tabella 1.1 [7]: Elemento 0.1 MeV 1 MeV MeV Al Pb Tabella 1.1: Angolo di scattering del fotone, in funzione della sua energia, per l'alluminio e il Piombo Come si può notare, lo scattering Rayleigh ha più importanza a basse energie, in quanto l'angolo di scattering è maggiore. La sezione d'urto del processo ha una dipendenza del tipo [7]: R Z2 (h ) 2 (cm2 ) (1-30) Nella tabella 1.2 sono mostrati i valori tipici del rapporto tra la sezione d'urto σ R e la sezione d'urto totale, σ TOT, somma delle sezioni d'urto di tutti i processi di interazione sopra citati [7]:

26 Capitolo 1Raggi X 20 Elemento 0.01 MeV 0.1 MeV 1.0 MeV C Cu Pb Tabella 1.2 Valori tipici del rapporto σ R /σ TOT per il Carbonio, il Rame e il Piombo Come si può notare, l'importanza relativa dello scattering Rayleigh è molto piccola, poichè esso contribuisce solo di alcuni percento o meno al coefficiente di attenuazione del fascio. Comunque, per bassi Z (come, ad esempio, il Carbonio) si nota un aumento al decrescere dell'energia del fotone.

27 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 21 Capitolo 2 Sorgenti radioattive In questo capitolo vengono dapprima introdotte alcune nozioni di base sui processi radioattivi e poi descritte le sorgenti radioattive, di emissione nota, che sono state utilizzate per la calibrazione in energia dei livelli di ADC dello strumento. 2.1 Raggi X prodotti da processi radioattivi Un processo radioattivo è un processo spontaneo di disintegrazione, nel quale un nucleo di un particolare elemento si trasforma in un altro, emettendo o assorbendo una particella. Le possibili particelle emesse sono le particelle α, gli elettroni e i positroni; quelle catturate gli elettroni orbitali [9]. Schematicamente: X Y + B, (2-1) dove X è il nucleo iniziale (nucleo padre), Y il nucleo finale (nucleo figlio) e B la particella emessa. Ognuna di queste reazioni può essere accompagnata da emissione di fotoni energetici X o γ Il tipo di radioattività dipende da due fattori: i) dal rapporto tra il numero di protoni e il numero di neutroni, che può essere o troppo alto o troppo basso, portando così ad un'instabilità del nucleo;

28 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 22 ii) dalla relazione tra i valori della massa del nucleo padre, del nucleo figlio e della particella emessa. Infatti, affinchè l'emissione di un nucleone sia energeticamente possibile, cioè affinchè il nucleo passi da A ad A-1 nucleoni (A è il numero atomico dell'elemento considerato), deve essere soddisfatta le relazione: M(A) > M(A 1)+ M(B), (2-2) dove B è la particella emessa. I raggi X vengono emessi nei seguenti tipi di decadimento: Decadimento Quando il rapporto tra i neutroni e i protoni è troppo basso, viene emessa una particella α a causa della forte repulsione coulombiana. Affinchè il processo sia energeticamente possibile, deve essere: Q M ( A) = M ( A 4) + M (4) +, (2-3) 2 c dove Q è l'energia, positiva, associata alla disintegrazione (c è la velocità della luce). Questa energia viene presa dalla particella α e, in minima parte, dal nucleo finale. Imponendo la conservazione dell'energia e dell'impulso 2 l'energia cinetica della particella α risulta: Q E =. (2-4) M (4) 1+ M ( A 4) 2 A causa delle alte energie in gioco, si tratta di processi relativistici.

29 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 23 Sperimentalmente, si trova che, ad eccezione del 147 Sm, tutti i nuclei radioattivi naturali hanno numero atomico A>208. La particella α viene emessa per effetto tunneling e presenta uno spettro monoenergetico, nel range 4-6 MeV. Le particelle con energia più alta hanno un coefficiente di trasmissione maggiore (8). La maggior parte dei decadimenti α porta ad un nucleo figlio nello stato fondamentale (emissione di una singola particella) e questo riguarda i processi altamente energetici. I decadimenti che riguardano energie minori, invece, portano a nuclei figli che si trovano in stati nucleari eccitati. A causa dei differenti livelli energetici del nucleo finale, i nuclei padre emettono particelle α di differenti gruppi di energie molto vicine tra loro. Il nucleo figlio nello stato eccitato decade nello stato fondamentale emettendo dei raggi X o γ, caratteristici dei salti energetici tra i livelli (con energia tra il kev e il MeV) [8,9]. In figura 2.1 è mostrato il decadimento del Radio 226 in Radon 222. Fig. 2.1 Decadimento α del Radio 226 in Radon 222.

30 Capitolo 2 Sorgenti radioattive Decadimento - Una particella β - è un elettrone energetico che viene emesso quando nel nucleo è presente un eccesso di neutroni. L elettrone viene prodotto nell istante dell emissione, in seguito al decadimento di un neutrone in un protone e nel processo viene emesso anche un antineutrino, secondo la reazione: n p + e +. (2-5) Affinchè il processo sia energeticamente possibile, deve valere: M(A, Z) = M(A, Z + 1) + M e + Q (2-6) c 2 Z è il numero di protoni. L energia Q viene ripartita tra l elettrone e il neutrino in un infinito numero di modi, mentre il nucleo ne acquista solo una piccola frazione [9]. La distribuzione energetica delle due particelle ha uno spettro continuo. Gli elettroni emessi hanno un energia che va da zero al valore massimo Q E max =. (2-7) M 1+ e M ( A, Z + 1) Quando il nucleo figlio, dopo l emissione, viene lasciato nello stato fondamentale, non si ha emissione di radiazione e si parla, allora, di emettitori β - puri, come 3 H, 14 C e 32 P. Gli altri emettitori β -, invece, lasciano il nucleo in uno stato eccitato e l emissione è seguita istantaneamente da uno o più fotoni, come nel caso di 60 Co o 203 Hg, prodotti dalla diseccitazione del nucleo.

31 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 25 Ci sono poi gli emettitori β - complessi, i cui spettri hanno più di un distinto gruppo di energia dei β -, come ad esempio il 42 K (mostrato in figura 2.2) e il 131 I. Fig. 2.2 Decadimento β - del Potassio 42 in Calcio Decadimento + Il decadimento β + consiste nell emissione di un positrone (antiparticella dell elettrone) quando vi è un eccesso di protoni nel nucleo, ma l emissione di una particella α non è energeticamente possibile. I positroni hanno una vita estremamente breve, dell ordine di pochi microsecondi, perchè si combinano con un elettrone e le due particelle si annichilano dando luogo a due fotoni, ognuno con energia pari alla massa dell elettrone: 511 kev (processo di annichilazione) [8].

32 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 26 Il processo di decadimento β + è esattamente uguale a quello del decadimento β -, basta cambiare le particelle in antiparticelle, in particolare, la reazione è: p n + e + +. (2-8) Lo spettro energetico delle particelle è continuo e l emissione è energeticamente possibile quando è soddisfatta la relazione: M(A, Z) = M(A, Z 1)+ M e + Q c. (2-9) 2 Un isotopo emettitore di positroni è il 22 Na, che si disintegra, oltre che per emissione β +, anche per cattura elettronica (vedi paragrafo successivo), secondo lo schema: Fig. 2.3 Decadimento β + del Sodio 22 in Neon Cattura elettronica Quando un nucleo ha un difetto di neutroni, ma l emissione di particelle α o positroni non è energeticamente possibile, esso può acquistare stabilità catturando un elettrone orbitale che, interagendo con un protone, dà luogo alla reazione:

33 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 27 e + p n +. (2-10) Poiché gli elettroni più vicini al nucleo sono quelli della shell K, è più probabile che l elettrone catturato provenga da questa shell, per questo il processo è solitamente detto cattura K. Per la conservazione dell energia, deve essere: M(A, Z) + M e = M(A,Z 1) + Q c 2 + B e c 2, (2-11) dove B e è l energia di legame dell elettrone catturato. Poiché B e è molto minore della massa dell elettrone, questa relazione è molto meno vincolante della precedente e il neutrino emesso è monoenergetico. Quando un elettrone delle orbite esterne va ad occupare il posto lasciato libero dall elettrone catturato, viene emesso un raggio X caratteristico del nucleo finale o un elettrone Auger (Capitolo 1) Conversione interna Il processo di conversione interna avviene quando l energia di diseccitazione di un nucleo viene trasferita ad un elettrone orbitale molto legato (cioè, delle shells più interne), anziché essere emessa sotto forma di raggi X o γ. L elettrone viene emesso dall atomo con energia cinetica data dalla differenza tra l energia di eccitazione del nucleo e quella di legame dell elettrone espulso. Gli elettroni emessi, perciò, sono monoenergetici e hanno un energia che va da qualche centinaia di kev a pochi MeV. Il processo di conversione interna può essere visto come un effetto fotoelettrico interno, in cui il fotone derivante dalla diseccitazione del

34 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 28 nucleo collide con un elettrone orbitale molto legato, trasferendogli la sua energia. Malgrado il processo avvenga prevalentemente con elettroni della shell K, esso può avvenire anche con elettroni di altri orbitali, per cui una sorgente di conversione interna può esibire un gruppo di righe di conversione interna, con energie che differiscono nell energia di legame dei rispettivi orbitali [8]. 2.2 Attività di una sorgente radioattiva Si definisce Attività di un campione radioattivo il numero medio di decadimenti per unità di tempo. Questa è una grandezza che dipende dalla quantità dell elemento radioattivo contenuto nel campione, in particolare, aumenta all aumentare della quantità. Da notare che l Attività non è la quantità di radiazione emessa durante il decadimento, sebbene le due cose siano relazionate. Infatti, non tutti i processi di decadimento danno luogo ad emissione di radiazione; inoltre, alcuni processi danno luogo ad un nucleo figlio instabile che, a sua volta, decade e la sua eventuale emissione di radiazione non fa parte dell Attività del nucleo padre. Ancora, alcuni nuclidi decadono attraverso più modi e solo una frazione di questi decadimenti portano ad emissione. Quindi, la relazione tra radiazione emessa e Attività dipende dallo schema di decadimento e solo nel caso di un unica transizione radiativa le due quantità si equivalgono [8]. L unità di misura dell Attività è il Curie (Ci): 3 3 Originalmente definito come l attività di un grammo di 226 Ra puro

35 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 29 1 Ci= 3.7x10 10 disintegrazioni/s. Il Ci è un unità di misura molto grande, solitamente nei laboratori si lavora con sorgenti di decine o centinaia di µci, per questo motivo si utilizza a volte il Bequerel (Bq), la nuova unità di misura SI: 1Bq= 1 disintegrazione/s. 2.3 Legge di decadimento radioattivo Il decadimento radioattivo è un processo casuale governato da una probabilità di transizione per unità di tempo, λ, caratteristica di ogni specie nucleare. Si trova sperimentalmente che la probabilità di decadimento è la stessa in ogni istante di tempo, viene perciò chiamata costante di decadimento [8,9] Se un nuclide decade secondo più di un processo, allora λ è la somma delle costanti di decadimento caratteristiche di ogni processo: = +... (2-12) Se all istante iniziale t=0 il campione è composto da N nuclei, il numero medio di nuclei che decadono in un tempo dt è dato dalla relazione: dn = Ndt, (2-13) dove si suppone che N sia un numero così grande da poter essere considerato come una variabile continua e non discreta. Integrando, si ottiene quindi la legge di decadimento: N(t) = N(0)e t. (2-14) L Attività di un campione radioattivo, perciò, decresce in maniera esponenziale e il decremento viene governato dalla λ. Nella pratica, è molto utile utilizzare l inverso di questa grandezza, la vita media τ m,

36 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 30 che corrisponde al tempo necessario perché il campione passi dal numero di nuclei iniziale N al numero N/e: m = 1. (2-15) Un altra grandezza molto utile è il tempo di dimezzamento, T 1/2, cioè il tempo necessario perché si passi da N a N/2 nuclei, deve, perciò, essere: N( T 2 ) 1/ N(0) 2 da cui si trova, con semplici passaggi, la relazione: T1 / 2 = e, (2-16) 1 T = ln 2 = ln 2. (2-17) 1/ 2 m Fluttuazioni nel decadimento radioattivo Consideriamo il numero di decadimenti di una sorgente radioattiva che avvengono in un periodo di tempo t tale che t << T 1/2, (2-18) di modo che l Attività della sorgente possa essere considerata costante. Se si fanno delle misure ripetute del numero di decadimenti n in t, si trovano delle fluttuazioni da misura a misura. Questo è dovuto al fatto che il processo di decadimento è di natura statistica. Dalla relazione (2-14), ponendo N(0)=1, si trova la probabilità p che un nucleo sopravviva all istante t senza disintegrarsi [9]: p t = e (2-19)

37 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 31 e quindi la probabilità che esso si disintegri in un intervallo di tempo tra 0 e t è: q t = 1 e. (2-20) La probabilità P(N,t) che, di N(0) atomi iniziali, ne sopravvivano N all istante t, è data dalla distribuzione binomiale: P(N,t) = Nelle condizioni: N 0! N!(N 0 N)! pn q N 0 N = N 0! N!(N 0 N)! e Nt (1 e t ) N 0 N. (2-21) N(0)>>1 e t << T 1/2, (2-22) P(N,t) può essere approssimata dalla distribuzione di Poisson: P m n! m ( n, t) = e, (2-23) dove m è il numero medio di conteggi nel periodo t. La deviazione standard è, perciò, quella caratteristica di una distribuzione di Poisson = m. (2-24) 2.4 Sorgenti radioattive In questo lavoro di tesi sono stati utilizzati dei campioni radioattivi di Americio 241, Bario 133 e Ferro 55. Nei seguenti paragrafi, viene data una descrizione delle caratteristiche delle sorgenti e le principali righe di emissione. Nella figura 2.4 è mostrata una foto delle sorgenti radioattive utilizzate per la calibrazione della CCD.

38 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 32 Fig. 2.4 Sorgenti radioattive utilizzate per la calibrazione. La sorgente circolare è quella di Ferro 55, tra le targhette rettangolari ci sono quelle di Americio 241 e di Bario Americio 241 Il campione di Americio 241 utilizzato è una sorgente puntiforme di circa 1 mm di diametro attivo, con un'attività stimata, al momento dell'utilizzo, di circa 9.98 µci. 4. L'Americio 241 decade α in Nettunio 237, con tempo di dimezzamento di anni. Come si può vedere dallo schema di decadimento riportato in Appendice A, la maggior parte dei decadimenti è accompagnata da emissione di raggi X e γ, in un range di energia dal kev al MeV, e da emissione di elettroni Auger. 4 L'Attività delle sorgenti è stata calcolata in base all'attività iniziale e al tempo trascorso al momento dell'utilizzo [10]

39 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 33 Le righe di interesse per la calibrazione sono quelle relative alle emissioni Lα del Nettunio a kev e l'emissione γ a kev, di cui riportiamo le caratteristiche principali nella tabella Bario 133 Il campione di Bario 133 utilizzato è una sorgente puntiforme di circa 1 mm di diametro attivo, con un'attività stimata, al momento dell'utilizzo, di circa 2.48 µci. Il Bario 133 decade in Cesio 133, con tempo di dimezzamento di giorni, mediante i processi di cattura elettronica e conversione interna. Come si può vedere nello schema di decadimento riportato in Appendice A, ci sono diverse emissioni di raggi X e γ ad energie che vanno da qualche kev a centinaia di kev ed emissione di elettroni Auger. Le righe di interesse per la calibrazione sono quelle relative alle emissioni Lα 1 e Lβ 1 del Cesio, rispettivamente a 4.29 e 4.62 kev, riportate nella tabella Ferro 55 Il campione di Ferro 55 utilizzato è una sorgente puntiforme di 3 mm di diametro attivo, con un'attività stimata, al momento dell'utilizzo, di circa µci.

40 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 34 Il Ferro 55 decade in Manganese 55 mediante il processo di cattura elettronica, con tempo di dimezzamento di giorni. Dallo schema di decadimento riportato in Appendice A si può vedere che il decadimento è accompagnato da emissioni X e γ, con energie che vanno da qualche centinaia di ev a qualche centinaia di kev, e da emissione di elettroni Auger. Le righe di interesse per la calibrazione sono quelle relative alle righe Kα 1 e Kα 2 del Manganese, riportate in tabella 2.1.

41 Capitolo 2 Sorgenti radioattive 35 Elemento Z Decadimento Vità a metà Tipo di radiazione Intensità (%) Energia (kev) Am α Y X L Am α Y G Ba EC D X Lα Ba D X Lβ Fe EC Y X Kα Fe EC Y X Kα Tabella 2.1 Caratteristiche principali delle righe utili ai fini della calibrazione. Legenda: EC=Cattura Elettronica, D=giorni, Y=anni. I dati sono tratti dal sito [11] dati tratti dal sito [12]

42 Capitolo 3 Charged Coupled Device 36 Capitolo 3 Charge Coupled Device (CCD) La CCD è un dispositivo a semiconduttore a base di Silicio, inventato alla fine degli anni '60 dai ricercatori dei Bell Labs come circuito di memoria dei computer [13], ma che trova oggi larga applicazione come sensore di immagini nell'intervallo di lunghezze d'onda dall'infrarosso (IR) ai raggi X molli (3x x10 18 Hz). La CCD viene usata in campi scientifici, quali l'astrofisica e la spettroscopia ottica e X, ma anche in campo commerciale come telecamera o nelle fotocamere digitali. Nella CCD, l'informazione è rappresentata da un pacchetto di carica immagazzinata in buche di potenziale (zone di svuotamento) create nel semiconduttore applicando dei potenziali appropriati agli elettrodi di una matrice di MOS (Metallo-Ossido-Semiconduttore). La carica viene trasportata, mediante dei sincronismi, al circuito di uscita e il segnale derivante viene convertito in digitale dall'elettronica di lettura (livelli di ADC dell'elettronica di lettura) [14]. Per quanto concerne questo lavoro di tesi, è stata usata una CCD raffreddata utilizzata con la tecnica del fotoconteggio (conteggio di singolo fotone). La tecnica richiede condizioni di basso flusso di fotoni, tale che la probabilità che un fotone incida sul pixel sia molto minore di uno. In queste condizioni e nel range di energia relativo ai raggi X, la carica liberata nel singolo pixel (e quindi il

43 Capitolo 3 Charged Coupled Device 37 valore di ADC ad esso associato) risulta proporzionale all'energia del fotone incidente. Dall'elaborazione delle immagini si ottengono degli istogrammi in cui si riporta, in funzione dei livelli di ADC, il numero di pixel cui è associato un certo valore di ADC. Dal numero di pixel è possibile risalire al numero di fotoni rivelati (la trattazione di questa problematica viene descritta nel Capitolo 4); si può, allora, ottenere lo spettro della sorgente in esame se si conoscono: 1) la calibrazione in energia dei livelli di ADC dell'elettronica di lettura (che viene descritta nel Capitolo 4); 2) l'efficienza dello strumento, dal quale si può risalire al numero di fotoni incidenti In questo capitolo, dopo una descrizione generale sulle CCD e sul loro funzionamento, vengono riportate le caratteristiche e una stima dell'efficienza di rivelazione della CCD utilizzata in questo lavoro di tesi.

44 Capitolo 3 Charged Coupled Device Descrizione della CCD Ogni pixel della matrice è costituito da un condensatore MOS, di cui è mostrato un esempio nella figura 3.1 buried channel di tipo n Fig.3.1 MOS di tipo a buried channel Il MOS può essere di due tipi: a canale di superficie (surface channel) o a canale sommerso (buried channel) [14]. Il tipo a canale di superficie è costituito da uno strato di Silicio drogato p, di qualche decina di µm di spessore, seguito da un sottile strato isolante di diossido di Silicio (SiO 2 ) di circa 0.1µm [15] e uno o più strati di metallo (o Silicio policristallino fortemente drogato), che costituiscono gli elettrodi (gates). La carica prodotta dal fotone incidente viene immagazzinata e trasportata su un canale che si trova fra lo strato di Silicio e lo strato di SiO 2 (surface channel). Nel secondo tipo, tra lo strato di Silicio leggermente drogato p e lo strato

45 Capitolo 3 Charged Coupled Device 39 isolante viene impiantato un canale drogato n profondo circa 1 µm, in modo che le cariche si muovano al disotto di questo strato, in un cosiddetto canale sommerso (buried channel). Questa tecnica viene usata per evitare lo scorrimento delle cariche in superficie, dato che quest'ultima è ricca di impurità che possono intrappolare le cariche e abbassare notevolmente l'efficienza di trasferimento. Partendo da un substrato di Silicio, è possibile costruire una CCD lineare di N pixel depositando Nxn elettrodi vicini (n è il numero degli elettrodi di un pixel) collegati opportunamente tra loro. Polarizzando positivamente questi elettrodi, sotto ognuno di essi si formano pozzi di energia potenziale capaci di intrappolare elettroni che possono essere spostati rimuovendo o cambiando segno alla polarizzazione. Una CCD matriciale MxN può essere vista come una serie di M CCD lineari di N pixel, affiancati verticalmente e indipendenti, ricavati sullo stesso substrato [15]. Per ottenere l'indipendenza, ad entrambi i lati dello strato di Silicio viene impiantata una striscia sottile di materiale fortemente drogato p (channel stop) che permette di rendere insensibile il potenziale elettrostatico di questa regione alle variazioni delle tensioni applicate agli elettrodi durante il funzionamento della CCD.

46 Capitolo 3 Charged Coupled Device Funzionamento della CCD Il processo di formazione e lettura dell'immagine avviene in quattro fasi: i) generazione delle cariche per effetto fotoelettrico; ii) raccolta delle cariche, tramite la creazione di una buca di potenziale; iii) trasferimento delle cariche, variando i potenziali degli elettrodi in modo opportuno; iv) lettura del segnale (integrale della carica) mediante il circuito di uscita. Vediamo in dettaglio questi quattro punti: i) il fotone incidente su di un pixel (con energia hν), interagendo con il Silicio, eccita gli elettroni di valenza e li fa passare nella banda di conduzione, creando così una coppia elettrone-buca. Il gap per il Silicio è di 1.12 ev a 300 K [14] e varia con la temperatura. Un singolo fotone X ha energia sufficiente a formare coppie multiple attraverso il processo di ionizzazione secondaria dovuta al fotoelettrone primario. In media, viene liberata una coppia ogni 3.68 ev di energia assorbita [16]; ii) gli elettroni prodotti si dispongono in condizioni di minima energia potenziale: E p = e Ψ, (3-1) dove e è la carica dell'elettrone e Ψ il potenziale elettrostatico, e quindi nella regione in cui il potenziale elettrostatico è massimo. In

47 Capitolo 3 Charged Coupled Device 41 assenza di potenziale sull'elettrodo, il numero di elettroni nella regione di tipo n (stiamo considerando un buried channel MOS) è caratterizzato dal livello di equilibrio di Fermi (il potenziale è uniforme). Al momento dell esposizione, il fotoconduttore (strato di Silicio di tipo p) viene connesso a massa, mentre sull elettrodo si applica una tensione positiva (V g ); le lacune vengono respinte dalla zona prossima all ossido isolante e raccolte nello strato di Silicio, con conseguente formazione, al disotto dell'elettrodo, di una regione di svuotamento (depletion zone) che ha una profondità di ~5 10 µm [16]. In questa zona vengono accumulati i fotoelettroni, non solo quelli ivi prodotti, ma anche quelli creati nei channel stops o nel substrato al disotto del pixel, che diffondono verso il massimo di potenziale. Si forma, così, un "serbatoio di cariche" che continuano ad accumularsi finché il campo elettrico da esse prodotto non controbilancia quello di polarizzazione generato da V g. La carica accumulabile sul serbatoio è data da: Q = C 0 (V g V s ), (3-2) dove V s è la tensione di soglia necessaria per la formazione del serbatoio e C 0 è la capacità del condensatore MOS [14]; iii) a seconda del numero di elettrodi ai quali è collegato ogni pixel e dei differenti valori di potenziale applicati a questi elettrodi, cambia il meccanismo di trasferimento della carica. Descriviamo una delle più comuni CCD, la Full-Frame (figura 3.2) a tre fasi, in cui tutto il chip è fotosensibile e su ogni pixel sono impiantati tre elettrodi.

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