Otello Bosari ECONOMIA E POLITICA IN FRIULI OCCIDENTALE DAL SECONDO DOPOGUERRA A OGGI: PROPOSTE PER UNA RICERCA

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1 Otello Bosari ECONOMIA E POLITICA IN FRIULI OCCIDENTALE DAL SECONDO DOPOGUERRA A OGGI: PROPOSTE PER UNA RICERCA 1

2 Anche i nomi hanno la loro importanza. Nei primi anni del secondo dopoguerra era usato il termine Destra Tagliamento per indicare il territorio che aspirava a diventare provincia assumendo Pordenone come capoluogo: si trattava di un riferimento geografico-amministrativo. In prosieguo di tempo è venuto prevalendo il termine Friuli Occidentale, volendo evitare di accentuare il distacco dal restante Friuli, dalla sua storia, dalla sua cultura (identità friulana). Nell'ambito quindi di un discorso di metodo possiamo usare la dizione Friuli Occidentale, senza sfuggire però alla domanda se esista una identità effettivamente attribuibile a questa area. Con una certa prudenza ed entro certi limiti si può anche rispondere sì. L'identità di Pordenone come città non è facile determinarla. Forse neanche esiste. Salvo una generica sensazione di città nuova o di città costruita da poco che si contrappone al sentimento di nostalgia dei pordenonesi originari che non sentono più tanto frequentemente come un tempo la loro particolare parlata veneta, così armoniosa e accattivante. È difficile parlare anche di una identità della provincia. 2

3 Si può piuttosto fare riferimento a caratteristiche di Pordenone e si possono anche individuare aggregazione di interessi più o meno consolidati e riconoscibili aventi dimensione cittadina o mandamentale o provinciale, spesso emergenti nel dibattito politico, soprattutto in relazione a conflitti presunti o reali con altre realtà politicoamministrative. Stando a quanto scriveva il conte Pietro di Maniago al tempo della Restaurazione, a Pordenone gareggiavano allora per prevalere commercianti e proprietari terrieri, forse con qualche tendenza dei primi a contare di più dei secondi, almeno guardando le rispettive dimore dal punto di vista della dimensione e della comodità. Al di fuori dei centri urbani tuttavia prevalevano per il peso largamente superiore dell'agricoltura nella vita economica, i proprietari terrieri. Poca importanza aveva il fatto che fossero nobili o borghesi perché i contratti agrari erano sempre quelli provenienti dalla ripresa agronomica del '700 e per i contadini la sorte era sempre la stessa: sottoposti a sfruttamento e a soggezione, vincolati da quelle antiche norme e dalla pratica difficoltà di trovare una facile via d'uscita occupandosi stabilmente in altri settori. Molto spesso l'emigrazione appariva come l'unica alternativa. Con l'insediamento dell'industria tessile a metà dell'ottocento, Pordenone diventa un centro caratterizzato dalla presenza della grande industria cotoniera e tale rimane in un'area prevalentemente agricola fino al Con la ristrutturazione dell'industria tessile e con i licenziamenti di massa da essa provocati quando tutto faceva pensare al peggio inizia, negli stessi anni Cinquanta, il vigoroso sviluppo della Zanussi, fabbrica di elettrodomestici, la cui combattiva classe operaia fa pesare un'altra volta il fatto che Pordenone vuol dire grande industria, con i relativi problemi politici e sindacali, anche se si deve riconoscere che la classe operaia pordenonese metalmeccanica non ha certo dato tanti sindaci e amministratori locali come il Cantiere di Monfalcone nel Basso Isontino e nella Bassa Friulana. Non per niente l'unico monumento culturale della classe operaia di Pordenone rimane la vecchia Casa del Popolo di Torre, costruita all'inizio del secolo XX con il lavoro volontario e ristrutturata dopo i sismi del 1976 con il contributo pubblico della legislazione per la ricostruzione. In seguito la classe operaia pordenonese non diede sempre una gran prova di capacità amministrativa, basti vedere il fallimento della cooperativa di consumo tra dipendenti del Cotonificio Veneziano (secondo dopoguerra). Più o meno nello stesso periodo comincia a svilupparsi la zona del mobile (Prata, Brugnera, Pasiano, Pravisdomini) dove la classe operaia non riesce a emergere come classe politicamente organizzata, restando piuttosto debole anche sul piano sindacale e sociale. 3

4 Quando la stella della Zanussi ha cominciato a impallidire, Pordenone e provincia hanno inaugurato rapidamente e con successo un'altra trasformazione, quella dell'industrializzazione diffusa. Siamo con ciò a pieno titolo dentro il cosiddetto fenomeno del Nord-Est e dentro il fenomeno delle Tre Italie. Pordenone quindi non rappresenta genericamente soltanto un'area dinamica, bensì una città e un'area che hanno saputo compiere nello spazio di due secoli almeno quattro trasformazioni (centro commerciale e di consumo della rendita agraria, centro tessile, città della Zanussi, capoluogo di una provincia caratterizzata dall'industrializzazione diffusa, con il relativo corollario di servizi e di esercito della partita IVA). La vera ricchezza economica della provincia è stata ed è tuttora quella di avere un ampio ceto imprenditoriale sorretto da maestranze professionalmente preparate e disposte anche a grandi sacrifici. Il sistema scolastico, senza dare di per sé prove esemplari, come nel caso dell'istituto Tecnico Malignani di Udine, ha svolto il proprio ruolo in maniera passabile, con qualche capacità di rapporto tra preparazione professionale (scuole serali di disegno, scuola serale di pratica commerciale di Pordenone Andrea Galvani ) e mercato del lavoro. Ma la città e la provincia sono state e sono piuttosto moderate in politica, non portate a grandi slanci e a grandi rischi. O meglio: qualche slancio è consentito, ma che non duri troppo. Emerge però anche una realtà sociale che non è chiusa al nuovo sul piano economico e su quello tecnico. Basta avere presente la vasta rete di cooperative esistente: dalle latterie alle cantine sociali e agli attuali supermercati Coop. Merita qualche riflessione la circostanza che il moderatismo sopravvive, anzi, è ben presente tuttora nella Destra Tagliamento, esprimendosi in molteplici aspetti, sociali e politici, con un preciso risvolto elettorale, nonostante le trasformazioni e le innovazioni che hanno avuto luogo nell'800 e nel primo '900, nonostante si sia arrivati anche qui a una realtà di decentramento industriale anni '50, '60, '70 caratterizzato comunque dalla compresenza sì di grandi complessi come il gruppo Zanussi, Scala e Savio, ma anche di medie aziende come SAFOP, Casagrande, etc. Il segno originario del moderatismo non è stato mutato o cancellato dunque né dal costituirsi via via nel tempo di una consistente classe operaia (tessili dei cotonifici, manovalanza delle fornaci di Pasiano, più recentemente metalmeccanici del gruppo Zanussi, etc.), né dalla profonda trasformazione intervenuta negli ultimi decenni nel potere locale, sia dal punto di vista istituzionale che politico (nascita della Regione a Statuto Speciale, costituzione della provincia di Pordenone, superamento del vecchio ruolo del prefetto, affermazione di amministrazioni di sinistra dopo le elezioni comunali e provinciali del 1975). 4

5 Infatti la DC, per oltre quarant'anni partito di governo, beneficia costantemente nella provincia di Pordenone di una percentuale di voti 39% alle elezioni europee del 1984 e 38,5% alle elezioni provinciali del 1985) molto superiore alla percentuale nazionale (rispettivamente 33,29% e 33,53%), mentre contemporaneamente il PCI, maggiore partito di opposizione, tocca il 24% nelle europee del 1984 e il 22% alle provinciali del 1985, tenendosi quindi a un livello sensibilmente inferiore ai corrispondenti dati nazionali (33,52% alle europee del 1984, 29,86% alle provinciali del 1985). Siamo perciò in presenza di una continuità storica di egemonia moderata (non propriamente immobilistica) che non è stata scalzata né da forze più coerentemente progressiste, come lo erano i democratici dell'800 risorgimentale e post-unitario, né da altre forze che, richiamandosi alla moderna classe operaia, erano più apertamente schierate per un cambiamento della società, cioè i socialisti e i comunisti. Queste componenti politiche della realtà locale che entrano di volta in volta in conflitto coi moderati, come ad esempio gli uomini del partito d'azione nel 1864 (moti di Navarons), hanno in comune un limite: non riescono a darsi un programma adatto alla realtà locale, capace di essere il punto di riferimento per una alleanza politica e sociale tale da costruire una alternativa realisticamente attuabile in quanto credibile e non solo eroica o propagandistica o polemica. Dal canto suo la DC, ovvero il partito che in Friuli è stato espressione della continuità di governo dal 1945 in poi, ma anche erede di una continuità di più lungo periodo, rievocando l'azione portata avanti dalla ricostruzione postbellica alla ricostruzione delle zone terremotate nel 1976, non ha mancato di sottolineare anche recentemente il dato politico di uno sviluppo conseguito evitando le rotture traumatiche e scartando le scelte più radicali: L'impegno, la linea ispiratrice, sono stati quelli di ricomporre le comunità in un equilibrato rapporto tra tradizione e innovazione, che alterasse il meno possibile, rinforzandone invece il tessuto sociale preesistente, quale garanzia del mantenimento di una civiltà formatasi nel tempo a dimensione umana 1. Non è apparso mai facile superare il dislivello di orientamento politico registrato tra dimensione nazionale e dimensione locale. Altresì modesta è stata la proiezione culturale della provincia di Pordenone nonostante lo sviluppo economico. Non che manchino le istituzioni culturali, anzi, alcune sono strutture di tutto rispetto. Manca piuttosto un tessuto e un clima di disponibilità al confronto. 1 Adriano Biasutti, dichiarazioni di, in Il Momento, anno XVI, Pordenone, giugno-luglio 1985, n

6 Da questo punto di vista siamo indietro rispetto a Trieste e a Udine, come numero e importanza delle organizzazioni che si occupano di cultura 2, oltre che come produzione culturale 3. Ripercorrere perciò la storia degli ultimi due secoli forse sarà utile per capire meglio lo svolgimento dei fatti che spesso la storiografia locale ha cercato di rappresentare in modo edulcorato, ma soprattutto con un troppo limitato apparato critico, con poco spirito di comparazione e di approfondimento. Chi scrive ricorda di avere appreso dalla viva voce di una protagonista della sinistra pordenonese, Evelina Pasquotti, insegnante impegnata, con quanta incredibile rapidità l'ambiente del CLN pordenonese ha accettato l'idea di eliminare, poco dopo la fine del conflitto , il tesseramento e le altre misure di regolazione dei consumi, le quali misure pur avevano la funzione di tutelare i più deboli che il libero mercato avrebbe sicuramente sacrificato. In questo caso un indirizzo politico nazionale lo si è subito avuto senza battere ciglio, pur avendo l'idea dei suoi limiti negativi. Chi scrive non ha mai potuto scrollarsi di dosso un senso di disagio nel confrontare tale comportamento politico con quello dei governi inglesi del dopoguerra che per un lungo periodo hanno mantenuto in vigore il tesseramento dei generi di prima necessità, certo in quanto preoccupati di mantenere un regime di austerità per liquidare del tutto un ruolo imperiale, ma anche orientati in modo convinto a non far ricadere i sacrifici esclusivamente sulla classe lavoratrice e sui ceti più deboli. Governi, quelli inglesi, moderatamente riformatori, ma piuttosto seri nell'amministrare le compatibilità politiche ed economiche. A un senso di disagio non si sfugge neppure guardando con un po' di attenzione a come ci si è atteggiati da parte della classe politica pordenonese nei confronti dell'intervento pubblico. Poco prima che venisse avviato l'indirizzo di rigore nella spesa pubblica e di dismissione della presenza pubblica nell'economia (vendita delle proprietà pubbliche e smantellamento delle partecipazioni statali), a Pordenone si chiedeva a gran voce il salvataggio della Sèleco mediante la spesa di pubblico danaro e mediante la irizzazione. Si invocava a questi fini la salvaguardia dei posti di lavoro. Richiesta più che legittima dei lavoratori della Sèleco. Ma il gran battage sulla Sèleco era orchestrato più che altro dalle ragioni del prestigio della città e dalle preoccupazioni delle burocrazie sindacali, che temevano di perdere ulteriormente potere. 2 Si veda: Regione Autonoma FVG, Direzione Regionale dell'istruzione della Formazione Professionale delle attività e beni culturali, Cultura e territorio, Indagine sulle Istituzioni e attività culturali nel Friuli-Venezia Giulia, a cura dell'istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, Se si vuole individuare qualche segno di prestigio, Gorizia oggi (2011) può vantare una facoltà di architettura con un bacino culturale che arriva fino a Lubiana. Eppure Gorizia è una città anche più piccola di Pordenone. 6

7 Si ripeteva così un copione registrato tante volte al fine di salvare aziende decotte a spese della collettività. Basti ricordare il caso Abital di Cordovado e la serie di interventi pubblici per tenerla in vita sotto nomi diversi. In altri campi invece l'intervento pubblico lo si è sempre evitato oppure sostenuto con scarso entusiasmo. È sufficiente ricordare i ritardi del PRG di Pordenone, la scarsa applicazione degli strumenti che consentivano la espropriazione di aree fabbricabili (legge 167 del 1962), la mancata pianificazione della conurbazione pordenonese pur con tutta la retorica spesa intorno ai temi della cultura urbanistica (fallimento della proposta PUIAP). Per rifugiarsi ancora una volta all'estero, vale la pena ricordare che uno dei più validi progettisti udinesi del dopoguerra (Giorgetti senior) aveva fatto le sue prime esperienze prigioniero di guerra degli inglesi in un ufficio urbanistico di Londra, dove si stava già pianificando la ricostruzione della città mentre i tedeschi continuavano a bombardarla. Nel nostro Paese invece non si è mai voluta sul serio una pianificazione urbanistica minimamente rigorosa; dopo la fine della guerra con la scusa che la ricostruzione era urgente per rimuovere le macerie dei bombardamenti, in epoca successiva con la motivazione che non era opportuno mettere ostacoli all'attività edilizia. L'obiettivo di molti amministratori non era quello di una città funzionale e vivibile, ma piuttosto di poter dimostrare che avevano concesso molte licenze edilizie. Basta seguire negli anni del boom edilizio sulla stampa locale i frequenti articoli di cronaca che rendono nota la solerte attività delle commissioni edilizie comunali: suonano come altrettanti bollettini di guerra annuncianti vittoria. Anche il popolo dovrebbe ogni tanto, come il singolo individuo, guardarsi nello specchio. La storia serve proprio a questo. Intanto serve precisare che un corso di storia locale deve non solo preoccuparsi di operare una sintesi di quanto già scritto (Candiani, Benedetti, Degan, Mio, Antonella e Angelo Mazzotta), ma anche fare i conti con la storiografia meno locale. Nel caso nostro si tratta della storiografia friulana (Leicht, Battistella, Tessitori, Perusini, Mor) perché altre scuole storiografiche, pur definendosi regionali, hanno quasi completamente ignorato il Friuli Occidentale. Si veda in questo senso il lavoro Friuli-Venezia Giulia Storia del Novecento curato dall'istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia di Trieste, al quale nessun ricercatore della provincia di Pordenone è stato chiamato a collaborare 4. Ma si tratta anche di altro. Alla corrente friulanista più patriottica perché c'è una parte meno patriottica in quanto nutrita di un autonomismo che confina con l'indipendentismo dei Leicht, Mor, Perusini, che vuole a tutti i 4 AA.VV., Friuli-Venezia Giulia Storia del Novecento, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste, Il volume è stato pubblicato con il contributo della Regione Autonoma FVG per il cinquantesimo anniversario della Resistenza e della Lotta di Liberazione. 7

8 costi vedere in Venezia un elemento costantemente positivo poiché avrebbe in qualche maniera mantenuto un minimo di ordine interno (e sin qui si può essere d'accordo perché il Patriarcato di Aquileia era peggio in quanto molto più intriso di anarchia feudale) e tutelato l'italianità a Est, bisogna pur ricordare quanto la Repubblica di San Marco sia rimasta indietro sul terreno precipuo che ha visto la crescita dello stato moderno, il quale trova la sua ragion d'essere nell'allargamento della propria attività nei campi della scuola, dell'assistenza, della sanità e delle infrastrutture in generale, segno tangibile sempre di uno stato e di un sistema di governo. Volendo dare una scorsa anche di gran fretta ai toponimi in Friuli e terre vicine, non è per niente difficile rintracciare la strada napoleonica oppure più raramente l'argine austriaco, ma l'opera pubblica veneziana, al di là di fortezze e torrioni, non è facile trovarla, con tutto il rispetto per l'architettura militare e per i suoi lasciti all'industria turistica. Intorno ai grandi torrenti come il Cellina e il Meduna si trovano disegnati solo gli arginelli a fragile protezione di questo o quel paese, consentendoci di leggere la totale inerzia veneziana in ampie zone del Friuli. Sta di fatto che la politica dei grandi lavori pubblici, politicamente pensata e seriamente realizzata, inizia con il Regno Italico e con il Lombardo-Veneto, per proseguire poi con l'italia unita. Venezia si era preoccupata di regimare le acque in tanto e in quanto necessario a evitare l'interramento della sua laguna e a consentire la navigazione fluviale. Oltre la tutela dei boschi e oltre quelle bonifiche alle quali era interessato il capitale veneziano. Più in là San Marco non era andato perché la sua modernità si fermava qui. Per questo confronto è necessario andare oltre quanto già acquisito dalla ricerca storica, come nel caso della pregevole, ma piuttosto scolorita opera di Perusini sui contratti agrari: bisogna documentare anche la conflittualità tra concedenti e conduttori dei fondi non dando per scontato che lo scontro di interessi sia stato quasi inesistente, non rinunciando altresì a documentare quanto diffusi fossero i rapporti di usura nei paesi contadini. Questa esigenza si lega al lavoro su fonti nuove o non completamente esplorate: archivi dei notai, archivi dei tribunali e delle preture, catasto austriaco del 1850, liste di leva dei primi decenni dello stato unitario, archivi delle cattedre ambulanti di agricoltura, archivi comunali, archivi aziendali ove disponibili. Ma soprattutto ci si deve impegnare a guardare al passato del Friuli occidentale con i nuovi occhi di oggi e con le passioni civili e sociali di oggi, senza indulgere alle ricostruzioni a tesi, per esaltare le lotte di massa o i capitani d'industria. Molti miti sono caduti. Gli imprenditori pordenonesi già protagonisti degli anni '50 e '60 (Lino Zanussi, Giulio Locatelli, Luciano Savio) sono usciti di scena da un quarto di secolo, con i loro meriti e demeriti, grande disponibilità al rischio e molto spirito antisindacale, come ricorda un leader della CISL, Bruno Giust, in una sua dichiarazione 5. 5 Antonella e Angelo Mazzotta, Dal telaio al tornio. Storia e ruolo del sindacato nello sviluppo industriale del Friuli 8

9 Per un rapporto meno spigoloso con i sindacati si deve segnalare però il più lungimirante Luciano Savio, capo dell'impresa omonima, esponente dell'unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti d'impresa, quindi punto di riferimento per la parte democratico-cristiana anche per le attività culturali. Per la verità si è ritirato anche qualche altro imprenditore della generazione successiva, come Bruno Casagrande, fondatore della Casagrande SpA (azienda produttrice di macchine escavatrici), personalità proveniente dalla gavetta, peraltro dotato di grande capacità inventiva. Anche la classe operaia non è più quella che ancora 20 anni fa passava sulla Pontebbana come una fiumana, con bandiere rosse e tamburi di lamiera, per andare poi a riempire la più grande piazza di Pordenone, piazza XX Settembre. Nell'ultima lotta contrattuale i metalmeccanici in sciopero sono riusciti appena a riempire il marciapiedi sotto la sede dell'associazione degli industriali in via dei Molini: erano poche centinaia di persone. La lettura celebrativa di enti, società, sindacati, cooperative, associazioni varie è già abbastanza ampia, come anche la letteratura memorialistica. Tale produzione di storia non la si può certamente disincentivare. Ma un territorio come il nostro, che aspira a pareggiare i risultati culturali con quelli economici, notoriamente rilevanti (a prescindere dalla crisi in atto), deve qualificarsi con programmi di ricerca che possano vantare tutti i crismi di un esame critico del passato. In particolare non si può continuare a scrivere storie della seconda guerra mondiale e della resistenza nella vecchia maniera, poco approfondite e poco problematiche senza tener conto delle ricerche condotte nell'ultimo periodo, che hanno innovato i metodi e allargato l'ambito delle fonti, ivi comprendendo quelle delle amministrazioni pubbliche e quelle di parte tedesca e alleata. Ciò che conta in definitiva è non adagiarsi sulla ripetizione delle tesi consolidate. Da questo punto di vista si può legittimamente rimproverare ad alcuni storici friulani di aver letto in modo semplificato le nostre vicende, come fa Carlo Guido Mor nella sua presentazione della ricerca di Gaetano Perusini sui patti agrari, là dove definisce la vita friulana sì dura per la non facile natura della regione, ma molto più dura per l'azione di uomini estranei alla Patria che hanno lasciato tracce sanguinose del loro passaggio 6. Occidentale ( ), Pordenone, Edizioni Concordia Sette, Carlo Guido Mor, sua presentazione in, Gaetano Perusini, Vita di popolo in Friuli. Patti agrari e consuetudini tradizionali, Firenze, Olschki, 1961, pag. VII. 9

10 La nostra storia non possiamo spiegarcela solo con la morfologia del territorio e con la natura del suolo agrario, con l'aggiunta del rovinoso passaggio degli eserciti di Roma, di Attila, di Napoleone, di Carlo d'asburgo e di Hitler. Si sono manifestati anche rapporti tra gli uomini o tra le classi o tra diversi ruoli economico-produttivi che nel bene e nel male hanno influito sullo svolgimento dei fatti. Certo a qualche storico ha fatto velo l'adesione all'autonomismo friulano, idea del tutto rispettabile come altre. Si tratta di vedere se il punto di vista pordenonese o meglio l'osservatorio del Friuli occidentale l'area più influenzata dalle rapide trasformazioni, a volte anche troppo brusche come dimostra la tragedia del Vajont e il disordine urbanistico della conurbazione pordenonese con le visibili colate di cemento può consentire, al di là del puro esercizio di scrivere qualche libro in più di storia locale, l'apertura di un confronto tra scuole storiche diverse. 10

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