Massimo Birattari. è più facile scrivere Bene. che scrivere Male

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1 Massimo Birattari è più facile scrivere Bene che scrivere Male corso di sopravvivenza

2 Perché sprecare tempo, fatica e intelligenza a rendere oscuro e complicato il nostro stile, quando con meno sforzi possiamo arrivare a una lingua semplice, chiara ed efficace? Il complemento ideale di Italiano. Corso di sopravvivenza: una miniera di idee, esempi e trucchi per scrivere con semplicità, chiarezza, precisione, leggerezza, ironia, eleganza, espressività, consapevolezza. Attenzione: se preferite dire e scrivere recarsi per andare, effettuare per fare, posizionare per mettere, titolo di viaggio per biglietto, forse questo libro è la vostra ultima possibilità di salvezza. Ho molto discusso di lingua italiana con Massimo Birattari. Mi sono battuto ogni volta con valore; ma ho dovuto ammettere che aveva quasi sempre ragione lui. L uomo non è autoritario, è autorevole. Se non fosse anche simpatico, perbene e interista, forse lo odierei. BePPe SevergnInI

3 Panico da pagina bianca? niente paura. Scrivere bene è un fatto naturale, mentre per scrivere male dobbiamo impegnarci. Perché infatti sprecare tempo e intelligenza a rendere oscuro il nostro stile, quando con meno sforzi possiamo arrivare a una lingua efficace? L obiettivo di questa guida è proprio ricordarci, tra trucchi, esempi e consigli, l importanza di principi chiave come semplicità e precisione, eleganza ed espressività. Talenti da romanziere? niente affatto. Comunicare in modo chiaro attraverso un testo scritto è utile non solo per avere un bel voto, ma anche per far valere i nostri diritti, presentarci sotto la luce migliore in un incontro di lavoro, fare colpo su un ragazzo o su una ragazza. Perché scrivere con stile non significa ubbidire a una serie di regole, ma esprimerci con la nostra vera voce.

4 Massimo Birattari, diplomato (in Storia) presso la Scuola normale Superiore di Pisa, è stato redattore di libri scolastici, traduttore (di Paul Auster, John Banville, Joseph O Connor, Mordecai richler, vikram Seth), ghost writer. Oggi è consulente editoriale e copywriter pubblicitario. Tra i suoi libri, Italiano. Corso di sopravvivenza (2010) e, per ragazzi, I rivoltanti romani (con Terry Deary, 1998), I barbuti barbari (con Chicca galli, 2008), Vite avventurose di santi straordinari (con Chicca galli, 2009) e Benvenuti a Grammaland (2011). È il curatore di Io scrivo, corso di scrittura in 24 volumi del Corriere della Sera (2011). In copertina: Istockphoto

5 SEMPLICITÀ N 1 N SEMPLICITÀ Conviene dirlo all inizio del primo capitolo: uno degli scopi principali di questo libro è convincervi che scrivere (a scuola, per lavoro, per le necessità della vita quotidiana) non significa necessariamente usare una lingua diversa e lontana da quella che usiamo per parlare delle cose che ci interessano con le persone che ci interessano. In molte circostanze, per scrivere «bene» basterebbe esporre con semplicità ciò che vogliamo dire, proprio perché la semplicità è un importante strumento per comunicare con efficacia. Però chi scrive in italiano si trova spesso di fronte una realtà molto diversa: una dura realtà in cui il modello è una lingua astrusa e complicata, e la semplicità una difficile conquista, che non possiamo dare per scontata. Per raggiungerla, ci toccherà percorrere gli insidiosi sentieri della complicazione. Armatevi di santa pazienza (ma anche di un machete). 1. NELLA GIUNGLA DELLA LINGUA COMPLICATA La madre di tutte le complicazioni è la lingua della burocrazia, non una lingua ma un antilingua, come scriveva Italo Calvino in un citatissimo articolo del 1965; citatissimo ma, evidentemente, non abbastanza, dato che, più di quarant anni dopo, il vizio che indicava non è certo scomparso. LA LETTURA Calvino e l antilingua Questo articolo di Italo Calvino ( ) comparve sul quotidiano Il Giorno del 3 febbraio 1965, e faceva parte di un vivace dibattito, aperto da Pier Paolo Pasolini, sullo stato dell italiano. 15

6 È PIÙ FACILE SCRIVERE BENE CHE SCRIVERE MALE Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cesta del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l avviamento dell impianto termico, dichiara d essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l asportazione di uno dei detti articoli nell intento di consumarlo durante il pranzo pomeridiano, non essendo a conoscenza dell avvenuta effrazione dell esercizio soprastante». Ogni giorno, soprattutto da cent anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell antilingua. Caratteristica principale dell antilingua è quello che definirei il «terrore semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se «fiasco» «stufa» «carbone» fossero parole oscene, come se «andare» «trovare» «sapere» indicassero azioni turpi. [...] Chi parla l antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla [...]. La motivazione psicologica dell antilingua è la mancanza d un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l odio per se stessi. La lingua invece vive solo d un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l antilingua l italiano di chi non sa dire «ho fatto» ma deve dire «ho effettuato» la lingua viene uccisa. (ITALO CALVINO, «L antilingua», in Una pietra sopra, Mondadori 2011) 16

7 SEMPLICITÀ La lingua della burocrazia, a cui si attiene con scrupolo il brigadiere di Calvino, è «inesistente» solo nel senso che non è naturale (non esiste nella natura dei vivi scambi comunicativi fra persone vere). Per il resto, esiste eccome. È stata selezionata, nel corso dei decenni, nei laboratori specializzati degli uffici amministrativi (e della scuola), e adottata con entusiasmo dalla politica, dalla saggistica accademica, dall editoria scolastica. Conviene prenderla di petto ed esaminarla da vicino, perché è la prima nemica di una lingua semplice e chiara.. IL BUROCRATESE. Quella di Calvino era una parodia dello stile burocratico. Come tutte le caricature riuscite, però, il testo del brigadiere mette in risalto le caratteristiche essenziali di quello stile. Vediamole insieme: se impareremo a riconoscerle, le eviteremo più facilmente. O Incominciamo dalle parole. La lingua burocratica sfugge come un vampiro l aglio le parole semplici, e le sostituisce con parole false. Se non volete scrivere come il brigadiere, seguite questo suggerimento: Cercate di tradurre le parole della lingua «ufficiale» nelle parole semplici (ed espressive) della lingua quotidiana. Osservate questa tabella: i verbi burocratici a sinistra possono essere sostituiti dai corrispondenti allineati a destra auspicare aver luogo conferire a conferire con effettuare espletare incrementare posizionare recarsi verificarsi augurarsi accadere, esserci dare a parlare a fare compiere aumentare mettere andare accadere, esserci 17

8 È PIÙ FACILE SCRIVERE BENE CHE SCRIVERE MALE Non intendo sostenere che i verbi della colonna di sinistra non si debbano mai usare. Ma il guaio è che moltissimi burocrati, politici, accademici scelgono sempre i verbi della prima colonna. Perciò vi esorto a fare il contrario. (E questo libro non sarà inutile se avrà convinto qualche lettore anzi, spero tutti a non scrivere mai recarsi invece di andare ed effettuare per fare.) O La lingua burocratica ama le perifrasi, i giri di parole: dove basterebbe un verbo, mette un verbo (di significato generico) più un sostantivo astratto. Alcune perifrasi di Calvino sono esagerate (essere casualmente incorso nel rinvenimento invece di trovare), ma altre sono comunissime (essere a conoscenza per sapere). O La lingua burocratica usa in continuazione sostantivi astratti, quelli che finiscono in -zione, -mento, -ità. In particolare, condensa in un sostantivo astratto intere frasi, che in una lingua naturale sarebbero espresse con un soggetto e un verbo: essere a conoscenza dell avvenuta effrazione è il concentrato di sapere che era stata scassinata. O La lingua burocratica ha un debole per gli aggettivi che sostituiscono un complemento, soprattutto quelli in -ale. Non ci sono esempi nel brano di Calvino, ma se date una scorsa alle leggi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale non farete fatica a trovare espressioni come deliberazione giuntale (per deliberazione della giunta) omandato sindacale (per mandato del sindaco). O La lingua burocratica ama la sintassi complicata: invece di frasi brevi, preferisce periodi lunghissimi, irti di gerundi e di participi presenti e passati. Qui abbiamo visto essendosi recato e non essendo a conoscenza; nella prosa burocratica di leggi, decreti, sentenze possiamo trovare frasi come stante la delimitazione cronologica dell incarico (cioè quella struttura sintattica che in latino si chiama «ablativo assoluto», e che in un italiano scorrevole non avrebbe diritto di cittadinanza). Insomma, il burocratese stretto è davvero agli antipodi della lingua a cui farà propaganda questo manuale. Va detto, a onor del vero, che anche i burocrati si sono resi conto che uno Stato moderno e civile dovrebbe sforzarsi di parlare una lingua comprensibile ai suoi cittadini. Leggete la scheda seguente. 18

9 SEMPLICITÀ FAMIGLIE DI PAROLE Il lessico burocratico e il suo antidoto Ci sono due notizie dal fronte della guerra contro il burocratese, una buona e una cattiva. La notizia buona è che da una ventina d anni quella guerra ha tra i suoi protagonisti i massimi vertici della burocrazia statale. I vari ministri della Funzione Pubblica hanno promosso ricerche e fatto passi concreti per evitare che la lingua delle amministrazioni pubbliche sia un gergo accessibile solo a una casta di specialisti. Questi sforzi hanno prodotto alcuni risultati: in primo luogo, un utile Manuale di stile che, nella sua prima edizione, aveva in copertina l intestazione ufficiale «Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica» ed è stato curato da Alfredo Fioritto. Per mezzo di glossari, tabelle, suggerimenti e molti esempi pratici, questo manuale cerca di convincere i dipendenti delle amministrazioni che è possibile scrivere avvisi, ordinanze, decreti in modo semplice e chiaro. Osservate alcuni dei suggerimenti: O usare preferibilmente parole comuni: recarsi andare encomio lode interloquire parlare evacuare abbandonare O evitare parole e formule dotte: all uopo testé nonché apporre diniego differire perciò/anche poco fa/appena e/anche/inoltre mettere rifiuto rinviare O evitare parole e locuzioni solenni e formule stereotipate: in ottemperanza a come prevede ravvisata la necessità di poiché è necessario istanza corredata di domanda completa di 19

10 È PIÙ FACILE SCRIVERE BENE CHE SCRIVERE MALE O evitare di usare parole astratte: impossidenza non possedere (rapida) definizione definire (rapidamente) O evitare locuzioni con verbi seguiti da sostantivi astratti: dare comunicazione comunicare apporre la firma firmare effettuare la cancellazione cancellare portare a compimento finire/concludere (Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, a cura di ALFREDO FIORITTO, Il Mulino 1997) La brutta notizia è che uno dei primi atti di ogni nuovo ministro della Funzione Pubblica è promettere una riforma della lingua della burocrazia. Nel 2002, l allora ministro Franco Frattini aveva istituito una commissione, presieduta dallo stesso Alfredo Fioritto e composta di giuristi e linguisti, con il compito di aiutare (o, magari, costringere) i funzionari a «Parlare chiaro» (così si chiamava il progetto). Poi, nel 2007, è uscito un manuale, adottato dalle regioni, intitolato Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi, che ha ispirato, nel 2011, una Guida alla redazione degli atti amministrativi. Regole e suggerimenti, promossa da una sezione del Consiglio nazionale delle ricerche e dall Accademia della Crusca. Come a dire: la guerra ventennale contro il burocratese non è ancora vinta. Il problema, con la lingua complicata della burocrazia, è che ritroviamo i suoi schemi e i suoi modelli non solo negli uffici pubblici o nei codici, ma in molti altri campi: per esempio quello della politica.. LE COMPLICAZIONI DELLA POLITICA. Le complicazioni che ci interessano qui non sono quelle delle manovre per conquistare o per difendere il potere, ma quelle linguistiche. Prendiamo il caso tipico di una campagna elettora- 20

11 SEMPLICITÀ le. Ammettiamo è un ipotesi peregrina, lo so, ma di per sé non assurda che, in occasione delle elezioni, un normale cittadino voglia decidere a ragion veduta per chi votare, e si dia la briga di leggere gli opuscoli e volantini di propaganda e i programmi dei partiti pubblicati nei siti internet. Si imbatterebbe in frasi come le seguenti: La tendenza alla cronicizzazione della condizione di disoccupato non comporta solo problemi di natura economica: la condizione lavorativa implica infatti l esistenza di un insieme di relazioni sociali, la cui assenza pesa sull individuo e crea le precondizioni per una possibile emarginazione. [Occorre] radicare sul territorio il volontariato, l associazionismo, la cooperazione, le imprese sociali, contribuendo alla costruzione di veri e propri distretti sociali che integrino e consolidino quelli produttivi. Vogliamo inoltre favorire la trasformazione in holding sociali delle grandi organizzazioni associative del paese. Credo che non ci siano dubbi: queste frasi non sono «semplici» (lo ammetteranno perfino quelli che le hanno scritte). Esaminiamole da vicino, per capire che cosa le rende complicate e di difficile comprensione. Nel primo brano, la difficoltà sta sia nel lessico (cronicizzazione, implicare, precondizioni, emarginazione) sia nella sintassi, con catene di complementi (tendenza alla cronicizzazione della condizione di disoccupato) e la relativa retta da cui. Notate, inoltre, che la catena iniziale è formata da tre sostantivi astratti, e che la subordinata si apre con un altra parola astratta (assenza) che ha anche valore negativo, e dunque costringe il lettore a un ribaltamento di significato. Il secondo esempio presenta anch esso una grande quantità di termini astratti. Il problema principale è però la difficoltà di capire non tanto le singole parole, quanto il significato preciso di espressioni come imprese sociali, distretti sociali, [distretti] produttivi; per non dire dell uso del termine inglese holding, molto usato in economia ma certamente vago e oscuro per gran parte del pubblico, che ben difficilmente coglierà la differenza fra holding sociali e grandi organizzazioni associative (che dovrebbero appunto trasformarsi in holding sociali). La sintassi 21

12 È PIÙ FACILE SCRIVERE BENE CHE SCRIVERE MALE del primo periodo con il gerundio contribuendo e la relativa con i due verbi al congiuntivo, integrino e consolidino non è lineare. Ora, non è il caso di scandalizzarsi troppo per la lingua dei programmi politici. Sappiamo tutti che non li legge nessuno, e che nessuno ha mai vinto le elezioni perché il suo programma era scritto meglio di quello degli altri. Ben più di lunghi testi contano gli slogan e le facce. Però tra il semplicismo degli slogan e delle facce e le complicazioni di programmi astrusi e mal scritti forse esiste una via di mezzo. 2. LA SEMPLICITÀ PER FARSI CAPIRE I burocrati e i politici si rivolgono per definizione (cioè: dovrebbero rivolgersi) a tutti i cittadini; dunque anche a quelli che non hanno gli strumenti linguistici e intellettuali per capire parole o costrutti appena più elevati o complicati rispetto alla lingua quotidiana. Queste persone sono tante, più di quelle che immaginiamo.. LA COMPRENSIONE DELLE PAROLE. Nel 2001, un istituto di ricerca collegato al ministero dell Istruzione aveva svolto un indagine sulla preparazione scolastica dei giovani. I giornali ne avevano condensato il succo in titoli di sicuro impatto come «Diciottenni, uno su quattro quasi analfabeta». Metà dei giovani esaminati non conosceva il significato dell aggettivo remunerativo («lavoro remunerativo») e il 62 per cento quello dell espressione a domicilio («consegna a domicilio»). Nove su dieci non erano riusciti a compilare correttamente un bollettino di conto corrente perché ignoravano il sostantivo causale. In realtà, il campione esaminato (650 diciottenni maschi, che avevano tutti abbandonato la scuola, in molti a quattordici o quindici anni) non era pienamente rappresentativo dell insieme dei diciottenni italiani. Ma proviamo a incrociare quel dato con altre informazioni significative che danno un idea delle abilità linguistiche della media della popolazione. 22

13 SEMPLICITÀ O Esiste un test internazionale (Ocse-Pisa) per valutare le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche degli studenti quindicenni. I risultati italiani sono (con grandi differenze regionali) leggermente inferiori alla media Ocse (l Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica che raccoglie i Paesi avanzati). A proposito delle capacità di comprensione di un testo nella propria lingua, il test misura sette livelli di preparazione, da 1b (competenze poco più che nulle) a 6. Tra le competenze dimostrate da chi raggiunge il livello 3, c è la capacità di cogliere un informazione «non evidente» o nascosta tra «molte informazioni concorrenti», oppure superando «ostacoli nel testo, come idee contrarie alle aspettative o espresse in forma negativa. I compiti riflessivi a questo livello possono richiedere connessioni, comparazioni e spiegazioni». Ecco, a questo livello medio non arriva il 45,6 per cento degli studenti italiani. O Una ricerca dell Invalsi (l istituto a cui spetta il compito di valutare il sistema dell istruzione in Italia) svolta sui temi di maturità del 2007 ha messo in evidenza errori grammaticali, incongruenze logiche e una diffusa incapacità degli allievi di articolare in maniera coerente un discorso. Vale a dire: dopo tredici anni di scuola, molti studenti, pur promossi alla maturità, dimostrano una scarsa dimestichezza con i testi scritti. O I dati sulla lettura di libri in Italia, comunicati dall Istat nel 2011 e relativi al 2010, indicano che meno della metà degli italiani sopra i sei anni (per l esattezza, il 46,8 per cento) dichiara di aver letto «per motivi non strettamente scolastici e/o professionali» almeno un libro nell ultimo anno (è un dato positivo: nel 2009 erano solo il 45,1...). Quasi una famiglia su dieci (il 9,6 per cento della popolazione, pari a famiglie) dichiara di non avere in casa nemmeno un libro. Questa deprimente serie di informazioni conferma e spiega una sensazione diffusa, che per molti insegnanti è ben più di una sensazione: numerosissimi ragazzi rivelano grandi difficoltà quando si tratta di capire il significato di un testo scritto o di eseguire le istruzioni richieste per attività quotidiane. E per gli adulti le cose non sono sostanzialmente diverse. I limiti della circolazione della cultura, messi in luce dalle statistiche sulla lettura in Italia, sono certamente all origine della scarsa «competenza alfabetica» dei giovani. D altra parte, è facile precipitare in un circolo vizioso: i ragazzi non conoscono 23

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