dinamiche di gestione extraospedaliera. La conseguenza

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1 Anno 0, Numero 1 - Luglio 2010 Editoriale La patologia traumatica costituisce un importante problema di salute pubblica. Come noto ai più, il trauma è responsabile su base mondiale del 9% dei decessi, è la quarta causa di morte dopo le patologie cardiovascolari, le malattie infettive e i tumori e rappresenta la principale causa di morte per la popolazione al di sotto dei 45 anni di età. Al numero dei deceduti va aggiunto quello, molto superiore, di coloro che sopravvivono rimanendo invalidi, cosicché l impatto economico delle necessità assistenziali legate alle invalidità si estende su un arco di molti anni. Per contrastare quella che a tutti gli effetti può essere considerata una epidemia, a livello internazionale sono in costante sviluppo sistemi integrati di risposta al trauma (Trauma System) che coinvolgono le fasi pre e intraospedaliera di gestione in acuto, ma anche la fase riabilitativa e l area epidemiologica. Purtroppo è proprio quest ultima a far la parte della Cenerentola; sebbene disporre di dati epidemiologici sui traumi gravi sia di enorme importanza per poter identificare le migliori strategie di azione e per innalzare i livelli di cura, i pur numerosi studi sulla patologia traumatica evidenziano importanti limiti, legati sia a questioni di carattere metodologico, sia all oggettiva mancanza di riferimenti comuni in grado di rendere possibile il confronto fra i dati raccolti nei vari Centri. Dal punto di vista metodologico è estremamente difficile poter organizzare trial clinici randomizzati e controllati (RCT), vuoi per questioni di carattere etico, vuoi per problematiche di tipo organizzativo. I pochi studi ben disegnati riescono di solito ad arruolare un numero limitato di pazienti e devono fare i conti con una nutrita serie di bias legati alle difficoltà di applicazione dei diversi progetti di studio. La desolante mancanza di RCT su aspetti strategici della gestione clinica rende velleitarie e inconcludenti le poche metanalisi, in special modo sull impatto in termini di outcome delle manovre avanzate effettuate in emergenza o sulle dinamiche di gestione extraospedaliera. La conseguenza è che molte decisioni e scelte clinicoorganizzative relative alla gestione del grave traumatizzato sono necessariamente basate su bassi livelli di evidenza scientifica; di ciò fanno le spese anche le linee-guida più autorevoli. La buona ricerca dev essere pertanto obiettivo comune di tutte le figure professionali che, a vario titolo, si impegnano con passione nel trattamento di questa complessa categoria di pazienti. vuole essere un piccolo strumento per accendere l interesse sul tema, promuovendo una revisione critica e ragionata della letteratura internazionale. L invito a partecipare è sempre aperto. Gianfranco Sanson Coordinatore Commissione Trauma Expert opinion - Riparliamo di albumina IN QUESTO NUMERO Articoli originali - La grande formica: testa - torace - addome - Gestione del paziente gravemente ustionato nella realtà milanese. Selezioni dalla letteratura - Gestione del sanguinamento nel trauma maggiore: le linee guida europee - Trasfusioni nel paziente emorragico: un Protocollo Trasfusione Massiva può essere la risposta giusta? - Coagulopatia precoce dopo trauma cranico severo: rivisitata la relazione con l ipoperfusione - Controllo delle emorragie pelviche attraverso la compressione circonferenziale - Lesioni cerebrovascolari chiuse post-traumatiche: linee guida di trattamento - Quanto conta un singolo episodio ipotensivo durante la rianimazione di un traumatizzato? - Cinture di sicurezza e air bag causano lesioni gravi. Smettiamo di utilizzarli?

2 EXPERT OPINION Riparliamo di albumina Sul n 0 del, Roberta Ciraolo e Maria Scivoli hanno scritto una interessantissima review sull utilizzo dell albumina nel paziente critico. Tra i tanti aspetti ancora controversi, quello su cui esiste in assoluto la maggior divergenza tra dati sperimentali e clinici riguarda l utilizzo dell albumina nel paziente traumatizzato, in particolare in quello con trauma cranico grave. Questa questione non è marginale. Pochissimi di noi impiegano l albumina come plasma expander in fase acuta ma praticamente tutti impieghiamo colloidi. Spesso in quantità rilevanti. I colloidi sono diversi tra loro e le differenze tra i composti, frequentemente enfatizzate a soli fini commerciali, ostacolano l analisi dei dati rendendo difficile, se non impossibile, trarre conclusioni generalizzabili. L albumina rappresenta per molti versi il più nobile dei colloidi, sicuramente il più costoso ma certamente quello più facile da studiare per ottenere dati omogenei. Di qui l importanza degli studi sull albumina. Roberta ci ha ricordato che, alla luce dei dati recenti, l espansione volemica ottenuta con i cristalloidi (almeno in fase acuta) è maggiore di quanto non ritenessimo fino a qualche anno or sono. E questo dato rende ancora più importante chiederci se sia o meno indicato espandere la volemia con i colloidi nei traumatizzati gravi. Diverse Linee Guida raccomandano cautela nella somministrazione di colloidi (e albumina) ai pazienti con trauma cranico grave (American Thoracic Society Consensus Statement. Evidence based colloid use in the critically ill. Am J Respir Crit Care Med. 2004; 170: ). Ma questi pazienti non rappresentano un piccolo sottogruppo bensì la maggioranza dei pazienti che sono ipotesi al momento del primo soccorso o all arrivo in PS, come documentano i dati del RIT (Registri Italiano del Trauma Grave). Nella rewiew, Roberta cita lo studio di Myburg (NEJM 2007;357:874-84) basato sui dati dello studio SAFE. Il SAFE (Saline Albumine Fluid Evaluation) trial è uno studio prospettico, randomizzato in cieco. È uno studio ben condotto. Il SAFE ha riguardato un ampio ventaglio di pazienti critici, tra i quali un gruppo di traumatizzati gravi con trauma cranico. Myburg ha effettuato una post-hoc analisi dei soli dati relativi ai traumatizzati cranici e ne ha valutato gli esiti a 24 mesi dal trauma (SAFE-TBI). Per ragioni metodologiche, le analisi post-hoc di un sottogruppo non possono provare una eventuale relazione causa-effetto, possono unicamente evidenziare un associazione di eventi. E il SAFE-TBI ha messo in luce una maggior mortalità nei traumatizzati cranici gravi (GCS 8) nel gruppo trattato con albumina rispetto ai pazienti che avevano ricevuto solo cristalloidi. Questa differenza era numericamente rilevante e statisticamente significativa. Il dato è sorprendente per entità e perché contrasta con quanto atteso sulla base di recenti studi sperimentali sugli animali. Jungner (Anesthesiology. 2010;112: ) ha pubblicato recentemente i risultati di uno studio sperimentale sul topo. I topi subivano un trauma cranico di entità standard e dopo randomizzazione e divisione in due gruppi, venivano trattati con albumina o con cristalloidi. Jungner ha verificato sperimentalmente che il gruppo trattato con albumina sviluppava meno edema. Va detto che la mortalità nei due gruppi non differiva significativamente ed era comunque bassa, a indicare che il trauma generato era moderato. Questo studio ha rinvigorito i supporter dell albumina, non tanto per la forza del dato ma perché offre una base sperimentale ai protocolli (come il protocollo di Lund) che prevedono la somministrazione di albumina al paziente con trauma cranico allo scopo di limitare lo sviluppo di edema attraverso il mantenimento di una pressione oncotica elevata. L idea è antica, ma è proprio così? Sullo stesso numero di Anesthesiology, nel commentare lo studio di Junger, Drummond si pone alcune domande e fa alcune considerazioni che possono essere rilevanti per guidare la pratica clinica in attesa di dati più certi. Drummond (Anestesiology 2010;112: ) comincia con il chiedersi se i risultati di uno studio sperimentale sui topi con trauma moderato possa essere sufficiente per indurci a sostenere l utilizzo dell albumina nel traumatizzato cranico grave, malgrado ciò che ci dice il SAFE. E risponde di no. Perché? Perché l effetto anti-edemigeno (se così possiamo definirlo) dell albumina si esercita solo a condizione che la barriera emato-encefalica sia intatta. In caso di significative lesioni della barriera, tutti i fluidi, albumina compresa, passano nell interstizio 2

3 e l edema associato alla somministrazione di colloidi e cristalloidi è equivalente. Questo è stato sperimentalmente documentato. È possibile anzi ipotizzare che la presenza di colloidi (e albumina) nell interstizio possa essere responsabile di una maggior persistenza dell edema e condizionare la prognosi. Questa ipotesi, basata sulla relativa refrattarietà al riassorbimento dell edema a maggior contenuto di albumina e colloidi, deve essere dimostrata. Però permetterebbe di spiegare bene i dati del SAFE (significativo aumento di mortalità nei traumatizzati cranici gravi trattati con albumina a fronte di una lieve e non significativa riduzione di mortalità in quelli con danno moderato). In sintesi, al momento attuale non esistono in letteratura chiare evidenze pro o contro l utilizzo dell albumina nel traumatizzato grave. I dati riferiti a studi sull uomo, pur con tutte le limitazioni, inducono a raccomandare prudenza nell utilizzo di albumina e più in generale di colloidi, nel paziente ipoteso con trauma cranico. Le metanalisi disponibili documenterebbero un trend verso una maggiore (anche se non significativa) mortalità nel gruppo trattato con colloidi. Allo stesso modo, in assenza di prove certe, esiste un analogo trend verso una minor mortalità dei traumi cranici ipotesi trattati con ipertonica salina. Ricordando che l expert opinion è giustamente considerato il gradino più basso dell evidenza (appena sopra la leggenda ), mi sbilancio. Nella nostra pratica clinica facciamo largo uso di soluzione ipertonica per la stabilizzazione dei traumatizzati gravi con ipotensione, sia in PS che in Rianimazione. Ci sono pochissimi dati sull effetto emodinamico dell ipertonica nel trauma grave. Nei pazienti in monitoraggio con PICCO abbiamo potuto verificare di frequente che la somministrazione di ipertonica si associa a un incremento pressorio dovuto a importante aumento della gittata e degli indici di riempimento. In parallelo, l ipertonica determina invariabilmente una riduzione della pressione intracranica. L effetto combinato di queste due a- zioni comporta un miglioramento della pressione di perfusione cerebrale che è quello che cerchiamo nei politraumatizzati ipotesi con trauma cranico! Giuseppe Nardi Direttore Shock and Trauma Unit Ospedale San Camillo Forlanini - Roma ARTICOLO ORIGINALE La grande formica: testa - torace - addome Obiettivo primario di ogni intervento, in modo particolare quando si tratta di traumi, è la prevenzione del danno secondario. Ipossiemia, ipotensione e mobilizzazioni maldestre sono esecutori del danno secondario. L entità del danno è dose e tempo dipendente, la prognosi dipende dal tipo e numero dei loci minoris resistentiae. L organismo aerobio per vivere ha bisogno di respirare, esistono dei limitatissimi meccanismi di compenso all ipossiemia che in fase iniziale aumentano la capacità delle cellule di sopravvivere, ma che in breve si trasformano in trigger di danno cellulare tendente all irreversibilità (riduzione del DO 2 acidosi, aumento della permeabilità capillare, travaso di liquidi con depauperamento del comparto vascolare riduzione del DO 2 ). Più rapidamente si interviene mantenendo un adeguato DO 2 (gittata cardiaca, pressione di perfusione, contenuto di Hb, saturazione di O 2 ), minori saranno le disfunzioni ed il danno d organo. Negli ultimi anni si è osservata una maggiore attenzione nei confronti del comparto addominale e, si è scoperto che... la scatola addominale funziona come la scatola cranica. La riduzione del DO 2 regionale o globale al di sotto del valore critico porta all innesco di un circolo vizioso autoaggravantesi che, se non interrotto precocemente, realizza la morte cellulare: ischemia-ipossia aumento del volume interno per edema e paralisi funzionale (intestino) aumento delle pressioni intracavitarie, variabile secondo la compliance di parete compressione dei vasi e ischemia. Le conseguenze delle sindromi compartimentali sono: - dirette, ovvero fisiche, in quanto trasmesse per contiguità alle altre camere (vedi influenze dell ipertensione addominale sulle pressioni toraciche e craniche) o sulle strutture compressibili (danno renale acuto-aki) - indirette, ovvero biologico-funzionali, che si realizzano a distanza: disfunzione cardiaca (ipovolemia, acidosi, aumento delle resistenze sistemiche, riduzione del ritorno venoso), insufficienza respiratoria (danno biologico polmonare), attivazione della cascata infiammatoria, traslocazione batterica. 3

4 In altre parole si potrebbe affermare che, non dissimili da un enorme formica, siamo un sistema di tre camere soggette al principio dei vasi comunicanti: testa torace - addome, montati in serie con un sistema idraulico comune. Ogni camera, per V differenti, soprattutto se raggiunti in intervalli di tempo brevi, si tampona. Le tre scatole presentano compliance crescente in senso cranio-caudale. Va da sé che, secondo la posizione sulla curva di compliance e della compliance intrinseca di ogni scatola, anche piccolissime variazioni del volume interno possono scatenare enormi variazioni pressorie. Indipendentemente dalla rigidità intrinseca delle tre cavità, se interviene un processo occupante spazio e soprattutto se ciò si manifesta in maniera repentina ma persistente (emorragia, liquidi, ematoma, rigonfiamento d organi o cavità), la pressione all interno della camera sarà destinata a crescere. L ipertensione di uno spazio chiuso si ripercuote sulle cavità limitrofe e su tutti gli elementi contenuti all interno, schiacciando quelli maggiormente compressibili: i vasi. Il risultato è l innesco del circolo vizioso già citato. Esiste una correlazione lineare tra pressione intraaddominale (IAP) e pressione pleurica; si può in altre parole affermare che la pressione addominale si scarica sulla pleura e la cavità toracica fa da ponte con la cavità cranica. Analogamente a quanto espresso per la scatola cranica, l ipertensione addominale è in grado di scatenare o peggiorare un danno polmonare. Quando supporre un incremento pressorio addominale e misurare le pressioni? Sono universalmente riconosciuti come fattori di rischio per l ipertensione addominale: acidosi (ph < 7.2), ipotermia (T core < 33 ), trasfusione di > 10 UI di GRC nell arco di 24h, coagulopatia, sepsi, batteriemia, ascessi o infezioni addominali, peritonite, insufficienza epatica (specie quando associata ad ascite), ventilazione meccanica, presenza di PEEP o auto- PEEP, polmonite, chirurgia o trauma addominale, massive infusioni di liquidi (>5 l di cristalloidi o colloidi nelle 24 h), ileo, gastrodilatazione, distensione dei visceri addominali, volvolo, emo o pneumoperitoneo, grandi ustioni, trauma maggiore, obesità con BMI > 30, tumori intra o retroperitoneali, posizione prona, laparotomie e laparoscopie, riparazione chirurgica di voluminose ernie, pancreatite e dialisi peritoneale. Dato il numero delle condizioni in grado di determinare ipertensione addominale, virtualmente tutti i pazienti critici dovrebbero essere sottoposti a monitoraggio della pressione addominale, certamente tutti i politraumatizzati (non necessariamente addominali) e i grandi ustionati. Quali gli intervalli e le modalità di misurazione? Fino a qualche anno fa esisteva un eccessiva disomogeneità nelle modalità di misurazione (volume di soluzione salina instillata in vescica, unità di misura, livello dello zero) e nelle definizioni. Sulla base di un recente lavoro (Manu 2006) è ora possibile tracciare una serie di basi. - Esistono tre tipi di ipertensione addominale: primaria, secondaria e ricorrente, classificazione basata sulla durata e sulla causa dell ipertensione - La pressione addominale, vigente all interno della cavità addominale allo steady state è normalmente 5-7 mmhg nel paziente critico - Si definisce ipertensione un valore stabilmente pari o al di sopra di 12 mmhg, misurato con un volume di soluzione salina <25 ml, livello dello zero sulla linea medio-ascellare, paziente in posizione supina, fase telespiratoria. È necessario attendere prima di registrare il dato pressorio. Recentemente alcuni autori hanno dimostrato che bastano pochi ml di soluzione salina, o nessuna instillazione, perché si ottenga una curva di pressione affidabile. Per i pazienti in epoca neonatale e pediatrica il volume ottimale per la misurazione transvescicale è 1 ml/kg. È comunque fondamentale, come per il monitoraggio emodinamico con la termodiluizione, che una volta stabilito un volume di instillazione, questo non venga variato da una misurazione all altra, per evitare che l intero trend di valori sia falsato - È possibile dividere in tre stadi di crescente gravità la sindrome addominale, in particolare stadio I: mmhg; stadio II: mmhg; stadio III: 21-25; stadio IV: >25 mmhg. La sindrome compartimentale è definita come una pressione addominale stabilmente superiore a 20 mmhg e/o pressione di perfusione <60 mmhg, associata a nuova insufficienza d organo. Tuttavia, al di là di ogni valore di pressione, il dato più importante è la comparsa di disfunzione o danno d organo. L intervallo di misurazione più appropriato per un paziente critico è 3-4 h 4

5 - La pressione di perfusione (PP) è equivalente alla differenza tra MAP e IAP. Una PP >60 mmhg sembra correlare con una maggiore sopravvivenza. - Il gradiente di filtrazione glomerulare è pari a MAP 2 x IAP. Sembra proprio che alla base dell insufficienza renale in corso di ipertensione addominale ci sia la ridotta perfusione e, come si evince dalla formula matematica, il dato più impattante sulla filtrazione è la pressione addominale più che la MAP. - L ipertensione addominale primaria è causata da patologia diretta a carico degli organi pelvici o addominali che spesso esita in intervento chirurgico o radiologico; l ipertensione secondaria è una condizione che non origina dalla regione addomino-pelvica; l ipertensione ricorrente è una situazione che tende a ripresentarsi dopo intervento medico o chirurgico inizialmente riuscito. L ipertensione addominale secondaria è meno frequente ma gravata da un outcome peggiore. Questi, pertanto, i capisaldi per la gestione del paziente con ipertensione addominale: 1. pensarci: monitoraggio seriato 2. DO 2 ottimale: perfusione d organo. Il valore di pressione di perfusione discrimina i survivors dai non survivors 3. riduzione della IAP: precoce terapia medica 4. decompressione chirurgica: IAP refrattaria al trattamento. Le terapie mediche in grado di ridurre la pressione addominale sono: - sedazione-analgesia (anche perché riducono il VO 2 globale) e curarizzazione (anche singolo bolo). Consentire a un paziente con ipertensione addominale l attività respiratoria spontanea non sincronizzata durante ventilazione meccanica non è probabilmente opportuno poiché, a fronte di un assenza di vantaggi emodinamici, si osserva un aumento della ventilazione dello spazio morto; - posizione del paziente: la posizione prona e la posizione head up >20 incrementano la pressione addominale, la posizione di Fowler sembra ridurla; - decompressione gastro-intestinale e farmaci procinetici; - fluidi: euvolemia (né troppo, né troppo poco), soluzioni ipertoniche e colloidi sembrano avere un miglior impatto sulla sopravvivenza e un ruolo nel rallentare la progressione dell ipertensione addominale; - diuretici e colloidi sono utili come terapia di primo livello nel paziente con ipertensione addominale che sviluppa oliguria; va tenuto presente che il ricorso a tecniche di emoultrafiltrazione continua o dialisi intermittente deve essere precoce in questi casi, piuttosto che effettuare ripetuti carichi volemici, esponendo il paziente ad ulteriori rischi di sviluppare IAP secondaria; - decompressione percutanea, sotto guida eco o TAC, indicata per la presenza di aria o liquidi liberi in addome, raccolte o ascessi; - decompressione chirurgica: open and keep it open rappresenta lo standard di trattamento nella sindrome compartimentale ed è manovra salvavita. Ogni ritardo nella diagnosi e nella decompressione addominale porta ad un aumento della mortalità. L indicazione alla decompressione chirurgica si pone per la sindrome compartimentale refrattaria alla terapia medica. La chiusura definitiva dell addome, se la decompressione è stata effettuata prima che intervenissero insufficienze d organo, in genere può essere effettuata entro 5-7 gg. Nei pazienti trattati più tardivamente o più complicati, che dopo 7 gg restano critici, è necessario programmare la chiusura addominale nei 9-12 mesi successivi utilizzando tecniche chirurgiche articolate, la cui descrizione esula dagli intenti della presente trattazione. Sintesi Il paziente che si deteriora clinicamente, ovvero con ricovero recente in ambiente critico, che presenta almeno due fattori di rischio (vedi sopra) per ipertensione addominale, deve essere sottoposto a monitoraggio. La misurazione per via vescicale deve essere effettuata in mmhg, con un volume di instillazione <25 ml e non variato da una misurazione all altra. Il dato va acquisito dopo secondi per consentire al sistema di raggiungere l equilibrio, in posizione supina e in fase telespiratoria; lo zero va calibrato sulla linea medio-ascellare. Se la pressione addominale si rivela stabilmente superiore a 12 mmhg il paziente va monitorato ogni 4 ore e gestito secondo i seguenti step: 5

6 - IAP 20 mmhg e danno d organo sindrome compartimentale addominale - se l ipertensione è primaria l opzione è chirurgica, seguita da trattamento medico (obiettivo: chiusura) - se la sindrome è secondaria l opzione chirurgica segue il fallimento della terapia medica mirata alla riduzione della pressione addominale; il target è una pressione di perfusione > 60 mmhg ottenuto con liquidi e/o vasopressori. Bibliografia Roberta Ciraolo, Maria Scivoli Anestesia e Rianimazione Ospedale San Vincenzo - Taormina - Henzler D, Hochhausen N, Bensberg R, Schachtrupp A, Biechele S, Rossaint R, Kuhlen R. Effects of preserved spontaneous breathing activity during mechanical ventilation in experimental intra-abdominal hypertension. Int Care Med Epub ahead of print - Brusselaers N, Monstrey S, Colpaert K. Outcome of acute kidney injury in severe burns: a systematic review and meta-analysis. Int Care Med. 2010;36(6): De laet I, Hoste E, De Waele JJ. Transvesical intraabdominal pressure measurement using minimal instillation volumes: how low can we go? Int Care Med. 2008;34(4): Davis PJ, Koottayi S, Taylor A, Butt WW. Comparison of indirect methods of measuring intra-abdominal pressure in children. Int Care Med. 2005;31(3): Reintam A, Parm P, Kitus R, Kern H, Starkopf J. Primary and secondary intra-abdominal hypertensiondifferent impact on ICU outcome. Int Care Med. 2008;34(9): Deeren DH, Dits H, Manu MLNG. Correlation between intra-abdominal and intracranial pressure in nontraumatic brain injury. Int Care Med. 2005;31(11): Malbrain MLNG, Cheatham ML, Kirkpatrick A, Sugrue M, et al. Results from the international conference of experts on intra-abdominal hypertension and abdominal compartment syndrome. I. Definitions. Int Care Med. 2006;32(11): Cheatham ML, Malbrain MLNG, Kirkpatrick A, Sugrue M, et al. Results from the international conference of experts on intra-abdominal hypertension and abdominal compartment syndrome. II. Recommendations. Int Care Med. 2007;33(6): SELEZIONE DALLA LETTERATURA Gestione del sanguinamento nel trauma maggiore: le linee guida europee Management of bleeding following major trauma: an updated European Guideline Critical Care 2010, 14:R52 Introduzione Il sanguinamento non controllato è la principale causa di morte prevenibile nel paziente traumatizzato. Inoltre almeno un terzo di tutti i pazienti emorragici presenta una coagulopatia in atto all ammissione in ospedale. Questo sottogruppo di pazienti ha un probabilità significativamente aumentata di sviluppare insufficienza multiorgano e morte in rapporto a pazienti con lesioni di gravità simile che non hanno sviluppato coagulopatia. Il sanguinamento massivo è definibile come la perdita dell intero volume di sangue in 24 ore o la perdita di metà del volume ematico in tre ore. Il trattamento appropriato del sanguinamento include l identificazione precoce della fonte di sanguinamento e la rapida messa in atto di misure capaci di ridurre o arrestare la perdita, recuperare la perfusione tissutale e raggiungere la stabilità emodinamica. La coagulopatia acuta precoce associata al trauma è stata riconosciuta come una condizione a genesi multifattoriale, scatenata dalla combinazione di shock e lesioni tissutali estese, responsabili queste ultime di attivazione della formazione di trombina e dell attivazione delle cascate anticoagulanti e fibrinolitiche. La genesi della coagulopatia è favorita da fattori ambientali e terapeutici quali l acidosi, l ipotermia, la diluizione, l ipoperfusione, il consumo dei fattori della coagulazione. Sono state proposte numerose definizioni per questa sindrome postraumatica: coagulopatia acuta traumatica, coagulopatia precoce traumatica, coagulopatia acuta del trauma e dello shock, coagulopatia trauma indotta. Nel 2005 venne creata una task force multidisciplinare con lo scopo sviluppare linee guida (LG) per il trattamento del sanguinamento nel trauma grave. Nel 2007, il gruppo pubblicò la prima versione delle 6

7 line guida europee per il trattamento del sanguinamento massivo. Tali LG sono state aggiornate nel 2010 con una revisione delle ultime evidenze scientifiche emerse prevalentemente nel campo della coagulazione, in considerazione degli avanzamenti tecnologici nel campo del monitoraggio e della disponibilità di nuovi agenti farmacologici. Ogni punto delle linee guida è associata al livello di raccomandazione secondo i consueti criteri. Si propone di seguito una sintesi dei punti principali, rimandando i lettori che volessero approfondire alla lettura del testo integrale, scaricabile gratuitamente dal Web. Rianimazione iniziale e prevenzione dell ulteriore sanguinamento Riduzione del tempo di accesso alla sala operatoria - È raccomandato che il tempo tra la lesione e l ingresso in sala operatoria sia ridotto al minimo nei pazienti emorragici che richiedono una emostasi chirurgica urgente (grado 1A) Uso del tourniquet - È raccomandato l uso del tourniquet per arrestare emorragie a rischio di vita dagli arti prima dell accesso a una sala operatoria (grado 1C). Diagnosi e monitoraggio del sanguinamento Valutazione iniziale - È raccomandato che il paziente emorragico sia clinicamente valutato in base alla combinazione di dinamica del trauma, parametri fisiologici, lesioni anatomiche apparenti, risposta al trattamento iniziale (grado 1C). Ventilazione - È raccomandata la normoventilazione iniziale del paziente in assenza di imminenti segni di erniazione cerebrale (grado 1C). Intervento immediato - È raccomandato che i pazienti che presentano uno shock emorragico e una fonte già identificata di sanguinamento vengano sottoposti immediatamente a procedure di emostasi a meno che non rispondano alle misure di rianimazione iniziali (grado 1B). Ulteriori accertamenti - È raccomandato che i pazienti che presentano uno shock emorragico senza una fonte identificata di emorragia siano sottoposti immediatamente a ulteriori accertamenti diagnostici (grado 1B): esame clinico, radiografie standard del torace e della pelvi e FAST (o lavaggio peritoneale diagnostico). In centri selezionati ove la TC è prontamente disponibile, questa può sostituire la radiologia standard nella primary survey. Diagnostica - È raccomandato che i pazienti in cui si sospetti trauma addominale siano sottoposti rapidamente a diagnostica (FAST o CT) alla ricerca di falde di sangue libero in peritoneo (grado 1B). Ematocrito - Non è raccomandato l uso di un singolo valore di ematocrito come indicatore laboratoristico di sanguinamento (grado 1B). Lattati e deficit di basi - È raccomandata la misura di lattati del siero e del deficit di basi come stima e monitoraggio sensibile della gravità del sanguinamento e dello shock (grado 1B). La rapida e marcata riduzione della lattacidemia è un indicatore affidabile di buona risposta al trattamento nel paziente in shock, mentre i pazienti in cui il valore di lattacidemia rimane elevato oltre le prime 24 ore hanno una elevata probabilità di morte. Monitoraggio della coagulazione - È raccomandato che vengano monitorizzati di routine INR, PTT, fibrinogeno e piastrine; INR e PTT non dovrebbero essere utilizzati da soli per guidare la terapia emostatica (grado 1C). È consigliato che venga utilizzato il tromboelastogramma per valutare le caratteristiche della coagulopatia e guidare la terapia emostatica (grado 2C). Rapido controllo del sanguinamento Chiusura e stabilizzazione dell anello pelvico - È raccomandato che i pazienti con rottura dell anello pelvico e shock emorragico siano sottoposti immediatamente a manovre di chiusura e stabilizzazione dell anello (grado 1B). Packing, embolizzazione e chirurgia - È raccomandato che i pazienti con frattura pelvica che rimangono emodinamicamente instabili nonostante a- deguata stabilizzazione dell anello ricevano precocemente packing preperitoneale, embolizzazione angiografica e/o controllo chirurgico del sanguinamento (grado 1B). Controllo precoce del sanguinamento - È raccomandato che venga raggiunto il controllo precoce dei sanguinamenti addominali attraverso packing o emostasi chirurgica diretta. In pazienti con sanguinamento addominale massivo può essere preso in considerazione il clampaggio aortico temporaneo (grado 1C). Damage control surgery (DCS) - È raccomandato che la DCS venga impiegata nel paziente con lesioni gravi, shock emorragico e segni di coagulopatia. Fattori addizionali che dovrebbero condurre alla scelta della DCS sono l ipotermia, l acidosi, la pre- 7

8 senza di lesioni non facilmente accessibili e correggibili o la cui completa correzione richiede molto tempo, la concomitanza di lesioni extra-addominali (grado 1C). Misure emostatiche locali - È raccomandato l uso di agenti emostatici locali in combinazione con le misure chirurgiche o il packing per arrestare sanguinamenti venosi o arteriosi nelle lesioni parenchimali (grado 1B). Perfusione tissutale, ipotermia e fluidi Reintegro volemico - È raccomandato un target di pressione arteriosa sistolica di mmhg fino all arresto del sanguinamento nella fase iniziale di rianimazione nel traumatizzato senza lesione cerebrale (grado 1C). Tipo di fluidi - È raccomandato che nello shock e- morragico siano inizialmente utilizzati i cristalloidi (grado 1B). Si suggerisce di considerare anche l utilizzo di soluzioni ipertoniche durante l approccio iniziale (grado 2B) L aggiunta di colloidi dovrebbe essere considerata entro i dosaggi prescritti per ogni tipo di soluzione nei pazienti altamente instabili (grado 2C). Normotermia - È raccomandato l utilizzo di misure atte a ridurre il raffreddamento del paziente e a riscaldare coloro che divengono ipotermici (grado 1C). Gestione del sanguinamento e della coagulazione Eritrociti - È raccomandato un target di emoglobina di 7-9 g/l (grado 1C). Gli eritrociti contribuiscono all emostasi influenzando la chimica e la risposta funzionale dell attivazione piastrinica, hanno un effetto reologico sulla marginazione piastrinica e supportano la generazione di trombina. Il Livello ottimale di Hb richiesto per sostenere la coagulazione non è noto. Supporto alla coagulazione - È raccomandato che il monitoraggio e il supporto terapeutico alla coagulazione siano iniziati prima possibile (grado 1C). Il trama maggiore si associa frequentemente a sviluppo di coagulopatia, capace di incrementare di molto la mortalità a parità di lesioni. Il monitoraggio precoce della coagulazione è essenziale per cogliere la coagulopatia nelle fasi iniziali e per definirne le cause, inclusa la eventuale iperfibrinolisi. L intervento terapeutico precoce e aggressivo può migliorare la prognosi del trauma grave. Calcio - È raccomandato che i livelli di calcio ionizzato siano monitorizzati durante le trasfusioni massive (grado 1C). La somministrazione di calcio cloruro è suggerita durante le trasfusioni se i livelli ematici sono bassi o vi sono segni elettrocardiografici di ipocalcemia (grado 2C). La disponibilità di calcio ionizzato è essenziale per la formazione e stabilizzazione dei polimeri di fibrina; una diminuzione del calcio citosolico intracellulare diminuisce l attività piastrinica. In aggiunta, il basso livello di calcio ionizzato diminuisce la contrattilità cardiaca e le resistenze periferiche. Il livello di calcio ionizzato dovrebbe essere mantenuto > 0,9 mmol/l. Plasma fresco congelato (FFP) - È raccomandato il trattamento precoce con FFP scongelato nei pazienti con sanguinamento massivo (grado 1B). La dose iniziale raccomandata è ml/kg. Ulteriori dosi dipendono dal monitoraggio della coagulazione e dalla quantità di altri emoderivati somministrati (grado 1C). L efficacia clinica del FFP non è provata, ciò nonostante la maggior parte delle LG ne raccomandano l utilizzo nel sanguinamento massivo o in sanguinamento rilevante complicato da coagulopatia (PT o APTT > 1,5 il normale). Nei pazienti che assumono anticoagulanti orali, il FFP è raccomandato solo se non disponibile immediatamente il complesso protrombinico concentrato (PPC). La gestione della trasfusione massiva è stata tradizionalmente basata sul concetto che nel trauma severo la coagulopatia deriva principalmente dalla diluizione dei fattori della coagulazione e al consumo dei fattori stessi nei siti di formazione del coagulo. In anni recenti dati retrospettivi provenienti dagli ospedali da campo americani hanno mostrato una associazione tra sopravvivenza e incremento del rapporto FPP/emazie. Questi dati hanno indotto molti centri trauma a modificare l approccio alla trasfusione massiva adottando l uso precoce di plasma scongelato in un rapporto 1:1 con le emazie concentrate. Dieci studi hanno analizzato il rapporto trasfusionale FPP/RBCs ma nessuno di essi è uno studio randomizzato controllato. Piastrine - È raccomandato che le piastrine vengano somministrate per mantenere una conta superiore a 50 x 109/l (grado 1C). Si suggerisce di mantenere una conta piastrinica superiore a 100 x 109/l nei pazienti con trauma cranico e in quelli con sanguinamento massivo da lesioni multiple (grado 2C). La dose iniziale suggerita è 4-8 concentrati piastrinici o una sacca da aferesi (grado 2C). 8

9 Fibrinogeno e crioprecipitato - È raccomandato il trattamento con fibrinogeno concentrato o crioprecipitati se il sanguinamento è accompagnato da segni tromboelastomerici di deficit funzionale del fibrinogeno o i livelli plasmatici di fibrinogeno sono inferiori a 1,5-2,0 g/l (grado 1C). La dose iniziale suggerita di fibrinogeno concentrato è di 3-4 g o 50 mg/kg equivalente a circa unità in un adulto di 70 Kg. L eventuale ripetizione della dose deve essere guidata dal monitoraggio con tromboelastogramma e dal dosaggio seriato in laboratorio del fibrinogeno (grado 2C). La formazione di fibrina è un passaggio chiave nella coagulazione ematica e l ipofibrinogenemia è una delle cause più frequenti di coagulopatia associata al sanguinamento massivo. Durante la trasfusione massiva il fibrinogeno può essere uno dei primi fattori a diminuire a livelli critici. Agenti farmacologici - L uso di agenti antifibrinolitici dovrebbe essere preso in considerazione nel trauma emorragico (grado 2C). È raccomandato il monitoraggio della fibrinolisi in tutti i pazienti e la somministrazione di antifibrinolitici in quelli con evidenza di iperfibrinolisi in atto (grado 1B). I dosaggi consigliati sono acido tranexamico mg/kg seguito da una infusione di 1-5 mg/kg/h o ε- aminocaproico mg/kg seguito da 15 mg/kg/h. La terapia dovrebbe essere guidata dal tromboelastogramma e interrotta a sanguinamento controllato (grado 2C). Fattore VII attivato ricombinante (rfviia) - È suggerito l uso del rfviia nel trauma chiuso con emorragia che persiste nonostante siano stati già compiuti tutti gli sforzi terapeutici standard e l ottimizzazione del trattamento con emoderivati (grado 2C). Il rfviia non è la prima linea di trattamento nel trauma grave emorragico ed è efficace solamente quando le fonti principali di emorragia sono state controllate e, in particolare, è stato arrestato il sanguinamento dai grossi vasi. In tal caso, il rfviia può essere utile nell indurre la coagulazione nelle aree di grave ed esteso danno tissutale nel quale il sanguinamento interessa piccoli vasi non aggredibili chirurgicamente. Il rfviia deve essere considerato unicamente dopo il raggiungimento dei corretti target ematologici e coagulativi (Hct > 24%, piastrine> 50, /l e fibrinogeno > g/l), e dopo la correzione di acidosi, ipotermia e ipocalcemia. Se somministrato, il paziente - quando possibile - andrebbe informato dell uso compassionevole off-label del farmaco e delle possibili complicazioni di tipo tromboembolico. Complessi protrombinici concentrati (PCC) - È raccomandato l uso di complessi protrombinici concentrati per l antagonismo in emergenza dell azione vitamina K-antagonista degli anticoagulanti orali (grado 1B). Non vi sono dati che descrivono la sicurezza e l efficacia dei PPC nei pazienti emorragici non in terapia con anticoagulanti orali in confronto al FFP. Desmopressina - Non è raccomandato l utilizzo della desmopressina nel trauma con emorragia in corso (grado 2C). La desmopressina può essere considerata nel sanguinamento refrattario dalla microcircolazione se il paziente assume antiaggreganti piastrinici (grado 2C). Antitrombina III - Non è raccomandato l uso di antitrombina III nel trattamento del trauma emorragico (grado 1C). L uso dei concentrati di antitrombina sono indicati nei rari casi di deficit isolato congenito o acquisito dell antitrombina. Negli altri casi, la coagulopatia va sempre considerata come una condizione che interessa tutta la cascata coagulativa nel complesso e non un singolo fattore e la cui correzione ottimale si è confermato il plasma fresco congelato. Commento Il trauma è nel mondo la principale causa di morte nella popolazione sotto i 40 anni. L emorragia nel trauma resta una sfida importante ed è responsabile del 40% della mortalità. Tuttavia, l emorragia è una causa di morte largamente prevenibile nel trauma ed è in corso nel mondo uno sforzo importante sia per comprendere perché il sanguinamento massivo rimanga così difficile da controllare, sia per migliorare l approccio chirurgico e non chirurgico al sanguinamento nella prima fase del trattamento. Importante l accento posto sulla damage control surgery, della quale - giova ricordarlo - i costituenti imprescindibili sono: - laparotomia di breve durata per controllare il sanguinamento, mantenere la perfusione d organo e controllare la contaminazione, rinunciando alla riparazione di tessuti o organi che può essere differita in una seconda fase; al termine di questa fase l addome è riempito di garze e la parete temporaneamente chiusa; 9

10 - trattamento rianimatorio in terapia intensiva focalizzato sul riscaldamento, la correzione dell acido-base e della coagulopatia, ottimizzazione della ventilazione e dello stato emodinamico; - riparazione chirurgica definitiva da eseguire a paziente stabilizzato. L emorragia traumatica deriva da lesioni dirette sui grandi vasi ma può peggiorare in modo rilevante per il subentrare di una coagulopatia sistemica. In caso di sanguinamento massivo, il volume trasfuso può frequentemente superare l intera massa ematica iniziale e la trasfusione di numerose unità di emazie in associazione al reintegro volemico può comportare la diluizione dei fattori della coagulazione e delle piastrine. Questo processo è stato per anni considerato il percorso fisiopatologico responsabile dello sviluppo della coagulopatia da trauma. La precedente versione del 2007 delle linee guida europee accettava questa interpretazione e raccomandava di trattare i pazienti emorragici con plasma fresco congelato e scongelato se INR e aptt erano 1.5 i valori di base. Negli ultimi anni questa interpretazione è stata modificata alla luce di risultati osservazionali e studi sperimentali. Brohi fu il primo ad osservare, nel 2003, che più del 25% dei traumi severi giungeva al dipartimento di emergenza già con una coagulopatia in atto, dimostrando altresì che i pazienti scoagulati non avevano ricevuto molti fluidi nel preospedaliero e non erano quindi né diluiti né ipotermici. Oggi, perciò, si è fatta largo l idea che lo sviluppo della coagulopatia associata al trauma sia un complicato processo che coinvolge una combinazione di molti fattori, tra i quali la diluizione. La coagulopatia associata al trauma (TAC-Trauma Associated Coagulopathy) può svilupparsi in traumi maggiori come conseguenza di una emorragia importante in associazione a ipovolemia, a- cidosi metabolica e massiva lesione tissutale. Molti pazienti emorragici presentano acidosi metabolica come conseguenza dello stato di shock. L acidosi di per sé provoca una disfunzione delle proteasi plasmatiche e conduce a una degradazione rapida del fibrinogeno; la correzione dell acidosi con soluzioni tampone quali il bicarbonato non corregge la coagulopatia. La coagulopatia precoce da trauma deriva quindi da una perdita acuta di fibrinogeno peggiorata dalla disfunzione e dalla diluizione degli altri fattori della coagulazione. La trasfusione di globuli rossi associata alla diluizione da reintegro volemico può contribuire a un drastico calo piastrinico con ulteriore peggioramento della capacità emostatica. Il permanere della condizione di shock determina disfunzione d organo multipla e morte. Le evidenze recenti indicano come il trattamento diretto alla prevenzione e alla correzione precoce dei disturbi dell emostasi può determinare un drastica riduzione della mortalità nei traumi gravi. Queste evidenze hanno condotto all aggiornamento delle linee guida europee del La revisione del 2010 raccomanda una nuova strategia di approccio al paziente emorragico, diretta a prevenire e trattare precocemente la coagulopatia sottolineando comunque la necessità di trial di ricerca urgenti nel settore. Il nuovo approccio all emorragia traumatica massiva è basato sulla somministrazione precoce di plasma fresco congelato, fonte di fibrinogeno (0,5 gr/u), e fattori della coagulazione in dose elevata (10-15 ml/kg) senza attendere risultati di laboratorio. Sebbene il corretto rapporto FFP/RBC sia ancora in discussione, sembra che l incremento del rapporto apporti consistenti benefici prognostici. Va comunque ricordato come, per quanto le linee guida consiglino l utilizzo del plasma precocemente, nella pratica clinica la plasma trasfusione richiede sempre un certo tempo and early is not so e- arly. Il plasma infatti prima di essere disponibile richiede scongelamento e cross match con conseguente ritardo nella somministrazione, che anche nei centri più efficienti non scende al di sotto dei minuti e che nella media dei centri giunge anche a 90 minuti. Inoltre, la carenza cronica di plasma associata al suo rapido deterioramento una volta scongelato ne rende impossibile la presenza in pronta disponibilità nelle frigo-emoteche dei pronti soccorsi, come invece è possibile fare per le emazie di gruppo 0 negativo. Revisione e commento di Emiliano Cingolani e Giuseppe Nardi Shock and Trauma Unit Ospedale San Camillo Forlanini - Roma 10

11 SELEZIONE DALLA LETTERATURA La gestione delle trasfusioni nel paziente emorragico: un Protocollo Trasfusione Massiva può essere la risposta giusta? Nunez TC, Young PP, Holcomb JB, Cotton BA. Creation, implementation and maturation of a massive transfusion protocol for exsanguinating trauma patient. J Trauma. 2010;68: Introduzione - Lo shock emorragico grave, che richieda trasfusioni massive, colpisce il 3-5% dei pazienti ma è la causa di oltre l 80% dei decessi in sala operatoria e di circa il 50% delle morti nelle prime 24 ore. In un quarto di questi pazienti una coagulopatia da trauma è già presente all ingresso in o- spedale e riconosce meccanismi diversi dalla coagulopatia da consumo. La somministrazione tempestiva di prodotti ematici (emazie, plasma, piastrine) in quantità adeguate e in un giusto rapporto è in grado di ridurre la mortalità, l incidenza di alcune complicanze e il consumo complessivo di prodotti ematici. L adozione di un Protocollo di Trasfusione Massiva (MTP) può essere in grado di raggiungere questi obiettivi. Metodo e risultati - In questo review article gli autori delineano gli aspetti salienti della adozione di un MTP, dalla creazione, alla implementazione e al successivo monitoraggio. 1. Creazione del MTP Scopi - Fornire un protocollo per la somministrazione precoce e continuativa di prodotti ematici nei pazienti con emorragia traumatica emodinamicamente instabili. Modalità - Il paziente emodinamicamente instabile spesso viene assistito nel suo percorso diagnostico-terapeutico in diverse aree dell ospedale, dal pronto soccorso alla diagnostica, alla sala operatoria e infine alla rianimazione, coinvolgendo un elevato numero di operatori, spesso per tempi estremamente contratti; pertanto è importante che si crei un team multidisciplinare che condivida le modalità di utilizzo del MTP e che sia in grado di interagire in maniera efficace con gli operatori del Centro Trasfusionale, che devono essere considerati parte integrante del team. Identificazione dei pazienti - Poiché il MTP coinvolge una piccola popolazione di pazienti ma con una elevata mortalità e un notevole impegno di risorse, è indispensabile individuare con sufficiente certezza i pazienti che possono giovarsene; sono stati sviluppati score che prendono in considerazione sia criteri clinici che valori di laboratorio (TASH score, ABC score, McLaughlin score), sufficientemente semplici e accurati per permetterne l adozione nella pratica quotidiana. Identificazione del rapporto ottimale delle componenti ematiche - Allo stato non esistono evidenze di classe 1 (e poche di classe 2) per raccomandare un rapporto preciso delle diverse componenti ematiche; l analisi della letteratura orienta verso un rapporto elevato plasma: emazie concentrate (ad esempio 1:1 o 2:3) e un precoce impiego delle piastrine a dosaggi più elevati (ad esempio rapporto EC:PLT da 1:1 a 10:8 o 1 aferesi piastrinica:5 EC). Attivazione e gestione del protocollo - La gestione del protocollo deve prevedere un continuo feed-back tra team e centro trasfusionale, con scambio di informazioni relative alla disponibilità, alle nuove o cessate esigenze e ad eventuali problemi insorti; inoltre il team deve farsi carico della corretta conservazione e somministrazione dei prodotti ematici. Trattamenti aggiuntivi Vengono presi in considerazione il Fattore VII attivato ricombinante (rfviia) e i sistemi di recupero intraoperatorio e autotrasfusione (SRIA). I potenziali effetti benefici del rfviia non hanno ancora trovato pieno riscontro in letteratura; pertanto la maggioranza dei centri non ne prevedono l uso in una fase precoce e in assenza di dati di laboratorio o ne prevedono un uso ristretto a dosaggio ridotti. L utilizzo dei SRIA si correla a una ridotta necessità di trasfusione e il loro impiego è raccomandato nei centri che ne abbiano la possibilità. 2. Implementazione e sviluppo del MTP L implementazione e lo sviluppo di un MTP è complesso, richiede tempo e dovrebbe rispettare alcuni passaggi quali la formazione prima del- 11

12 la implementazione e l individuazione di alcuni indicatori di processo e di esito che permettano l effettuazione di audit periodici e l adozione di misure correttive e modifiche del processo. Conclusioni degli Autori - Gli Autori concludono sottolineando l importanza della adozione di un protocollo trasfusione massiva perché in grado di modificare la mortalità dei pazienti con grave shock emorragico. Componenti chiave per il successo della implementazione di questa procedura sono l individuazione delle modalità con cui il protocollo può essere sviluppato nella propria realtà, unitamente a un approccio multidisciplinare, a una corretta comunicazione tra le varie componenti del team e all adozione di un sistema di miglioramento della qualità. Commento - La scelta delle modalità di trasfusione delle diverse componenti ematiche nel paziente emorragico in molte realtà è ancora basata su criteri empirici, spesso frutto dell esperienza del singolo operatore o indotta dai valori di laboratorio. La letteratura più recente individua invece una classe di pazienti emorragici ad elevato rischio di morte, in cui l ipoperfusione innesca meccanismi a cascata diversi da quelli della coagulopatia diluizionale, che portano rapidamente a una coagulopatia acuta, il cui trattamento per essere efficace deve prevedere, oltre al controllo della fonte e- morragica, un approccio trasfusionale aggressivo e precoce. Un metodo che risponde a questi obiettivi è l istituzione di un MTP condiviso da una équipe multidisciplinare, che permetta la somministrazione delle diversi componenti ematiche - emazie, piastrine, plasma - in quantità e proporzioni adeguate e in tempi molto ridotti fin dai primi minuti nel dipartimento di emergenza. Questa review analizza l intero processo, dalla individuazione dei criteri trigger alla successiva gestione, fino all adozione di un sistema di revisione e miglioramento, offrendo numerosi spunti di riflessione e un adeguata bibliografia per chi volesse implementare nel proprio ospedale un Protocollo di Trasfusione Massiva. Revisione e commento di Elvio De Blasio Direttore UOC Anestesia e Rianimazione AORN G. Rummo - Benevento SELEZIONE DALLA LETTERATURA Coagulopatia precoce dopo trauma cranico severo: rivisitata la relazione con l ipoperfusione Lustenberger L, Talving P, Kobayashi L, Barmparas G, Inaba K, Lam L, Castelo Branco B, Demetriades D Early coagulopathy after isolated severe traumatic brain injury: relationship with hypoperfusion challenged J Trauma. 2010; ahead of print Scopo dello studio - Esaminare l incidenza di ipoperfusione tissutale in pazienti con trauma cranico severo e determinare l associazione tra ipoperfusione e coagulopatia nel trauma cranico. Metodi - Analisi retrospettiva (giugno dicembre 2007) dei pazienti ricoverati in terapia intensiva affetti trauma cranico severo isolato, definito come AIS della testa 3 e AIS per tronco, addome ed estremità 3. Criteri di inclusione per la coagulopatia precoce associata a trauma cranico severo isolato erano: presenza di trauma cranico severo e trombocitopenia (conta piastrinica < per mm 3 ) o INR > 1,2 o aptt > 36s all ammissione. L ipoperfusione era definita come la presenza di deficit di basi (BD) > 6 mmol/l. Risultati - Un totale di 132 su 1078 pazienti rispettava i criteri dello studio. La presenza di coagulopatia precoce è stata riscontrata in 48 pazienti (36.4%). Con l aumentare della severità del trauma cranico aumentava l incidenza di coagulopatia. Il BD e i lattati erano significativamente più alti nei pazienti che presentavano coagulopatia precoce all ammissione (39.6% vs. 20.2%). La coagulopatia precoce si riscontrava più frequentemente nei pazienti con BD >6 rispetto ai pazienti con BD <6 (52.8% vs 30.2%) Un AIS per la testa=5 e un BD >6 erano indipendentemente associati con coagulopatia precoce. La coagulopatia aumentava il rischio di morte, nei pazienti con trauma cranico isolato, di 3.79 volte. Conclusioni - L ipoperfusione rappresenta un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di coagulopatia precoce nei pazienti con trauma cranico severo isolato. Tuttavia, la coagulopatia dopo trauma cranico severo non si veri- 12

13 fica solo nei pazienti che presentano ipoperfusione tissutale Commento - La presenza di coagulopatia aumenta di circa 4 volte il rischio di morte in un paziente affetto da politrauma. La coagulopatia associata al politrauma rappresenta un entità ormai riconosciuta e per la quale sono stati proposti diversi acronimi: Acute Traumatic Coagulopaty (ATC), Early Coagulopathy of Trauma (ECT), Trauma-Induced Coagulopathy (TIC), Acute Coagulopathy of Trauma- Shock (ACoTS). Diversi studi hanno dimostrato che un paziente su quattro, già all ingresso in ospedale - e quindi prima che si instauri il circolo vizioso dato da emodiluizione, ipotermia e acidosi - presenta già una alterazione della coagulazione. Danno tissutale e shock, attraverso l attivazione della via della proteina C, ne sono i responsabili. Nel trauma cranico isolato, per anni si è supposto che il meccanismo responsabile della coagulopatia fosse il rilascio locale di importanti quantità di fattore tissutale, successivo deposito di fibrina e attivazione delle piastrine, con conseguente sviluppo di una coagulopatia da consumo. Tuttavia, negli ultimi tempi si è rivalutato il problema alla luce dei meccanismi discussi in precedenza. Nel 2007 Cohen, Brohi et al. dimostravano come nel trauma cranico isolato la presenza di ipoperfusione tissutale rappresenti condizione necessaria per lo sviluppo della coagulopatia. Gli Autori di questo lavoro, analizzando retrospettivamente un campione di pazienti più numeroso di quello di Cohen e Brohi, hanno invece evidenziato come un alterazione precoce della coagulazione, benché più frequente nei pazienti con ipoperfusione, possa verificarsi anche in assenza di questa. Viene quindi supposto che l eziologia della coagulopatia nel trauma cranico isolato sia piuttosto multifattoriale. Comprenderne i meccanismi, ma soprattutto correggerne precocemente gli effetti rappresenta un aspetto fondamentale del trattamento del paziente traumatizzato cranico. Revisione e commento di Alberto Grassetto Anestesia, Rianimazione e Trauma Team Ospedale dell Angelo Mestre SELEZIONE DALLA LETTERATURA Controllo delle emorragie pelviche attraverso la compressione circonferenziale Tan ECTH, van Stigt SFL, van Vugt AB Effect of a new pelvic stabilizer (T-POD) on reduction of pelvic volume and haemodynamic stability in unstable pelvic fractures. Injury. 2010;41: Introduzione - Nei gravi traumi chiusi, le fratture pelviche sono alquanto frequenti come conseguenza del trasferimento di un elevata energia. Una frattura instabile può essere associata a importante sanguinamento ed esporre il paziente al rischio di instabilità emodinamica. Le fratture instabili del bacino associate a shock i- povolemico sono poco frequenti ma gravate da e- levata mortalità. In questi casi, il trattamento iniziale deve prevedere la precocissima riduzione del volume pelvico, anche in modo non invasivo, in modo da assicurare un effetto di tamponamento dell emorragia prima ancora di effettuare una stabilizzazione definitiva del bacino. Negli ultimi anni sono stati resi disponibili una serie di devices (pelvic binders) che consentono di effettuare una compressione circonferenziale della pelvi. L efficacia di tali presidi non è stata ancora studiata in modo approfondito. L obiettivo di questo studio è di misurare la capacità di uno specifico device (T-POD ) di assicurare la riduzione del volume pelvico e ristabilire la stabilità emodinamica. Metodi - È stato effettuato uno studio prospettico non randomizzato includendo tutti i pazienti che giungevano al DEA con una frattura pelvica associata a instabilità emodinamica, limitatamente a quelli nei quali non fosse già stato applicato un pelvicbinder in fase preospedaliera. A tali pazienti sono state rilevate pressione arteriosa e frequenza cardiaca ed è stata effettuata una radiografia del bacino immediatamente prima e immediatamente dopo il posizionamento del T-POD. L impatto sull emodinamica è stato valutato come variazione della pressione arteriosa media e in termini di efficacia della risposta circolatoria (buona, transitoria, scarsa/assente) in accordo con le linee-guida ATLS. 13

14 La riduzione del volume pelvico è stata calcolata misurando la riduzione media della diastasi della sinfisi pubica. Risultati - In un periodo di 4 anni sono stati inclusi nello studio 15 pazienti consecutivi, con ISS medio di 35 (range 16-59). Nove pazienti avevano una frattura di tipo B (3 B1; 6 B3) e sei di tipo C (3 C1; 2 C2; 1 C3) secondo la classificazione di Tile. In tre pazienti non è stata effettuata la seconda radiografia entro i tempi previsti a causa della gravissima instabilità emodinamica. L applicazione del pelvicbinder è stata in grado di ridurre mediamente la diastasi della sinfisi pubica del 60% (range 24-92%, p=0.01). Un miglioramento stabile dell emodinamica è stato ottenuto in 7 pazienti sui 10 nei quali erano disponibili entrambe le misurazioni della pressione. Dei restanti 3 pazienti, uno ha avuto un miglioramento transitorio; i rimanenti due (nonresponders) hanno evidenziato importanti lesioni emorragiche a carico di altri distretti (addome, torace, arti). Gli Autori concludono evidenziando l impatto favorevole del T-POD sulla riduzione del volume pelvico e sull emodinamica nella popolazione di pazienti esaminati. Commento - Lungi dal fornire risultati importanti o definitivi (pochissimi casi utili esaminati, scelta arbitraria della tempistica per la rivalutazione dei parametri circolatori, nessuna correlazione con eventuale espansione volemica in corso), lo studio ha il pregio di affrontare un tema di grande attualità. Nel traumatizzato con frattura del bacino associata a shock emorragico, la necessità di procedere alla riduzione precoce del volume pelvico è ampiamente riconosciuta. In presenza di fratture complesse di bacino, l emorragia - di origine sia venosa che arteriosa - può essere imponente e costituire un rischio per la sopravvivenza del paziente. Infatti, i tempi necessari a procedere a una stabilizzazione dell anello pelvico per via chirurgica o al controllo definitivo di un emorragia arteriosa per via angiografica sono inevitabilmente eccessivi per pazienti che hanno già perso una quota rilevante di patrimonio ematico e nei quali non esistono possibilità di emostasi immediata: un sanguinamento incontrollato innesca inevitabilmente quella micidiale bomba costituita dalla triade acidosicoagulopatia-ipotermia. Tali fratture, specialmente per pattern che determinano un aumento del volume pelvico (compressione antero-posteriore e vertical-shear), determinano la realizzazione di uno spazio virtuale entro cui il sanguinamento può divenire incontrollabile. Il volume della pelvi, che fisiologicamente è di circa un litro e mezzo, può aumentare fino a 3-6 litri in presenza di una diastasi della sinfisi di 3-6 cm. L obiettivo delle manovre precoci di stabilizzazione dell anello pelvico è dunque di ridurre il volume della pelvi, riavvicinando i segmenti fratturati e favorendo il tamponamento del sanguinamento di origine venosa. Allo scopo vengono spesso utilizzate metodiche invasive (fissazione esterna e C-Clamp) che tuttavia, oltre a necessitare di specifico expertise, richiedono un considerevole dispendio di tempo per essere posizionati; inoltre, il posizionamento del C-Clamp richiede integrità dell ala iliaca e si associa alla possibilità di gravi lesioni iatrogene (es. lesioni delle strutture neuro-vascolari glutee e lesioni delle radici nervose in presenza di fratture sacrali). Le metodiche non invasive (pelvic binder) si sono dimostrate sicure, semplici da posizionare, economiche ed efficienti in termini contrazione dei tempi. Rispetto all obiettivo di ridurre il volume pelvico, il posizionamento di un pelvic-binder può essere inutile se non addirittura controindicato nelle fratture da compressione laterale. Lo studio è in tal senso carente nel fornire informazioni precise sul pattern di frattura; infatti sia alla categoria B3 che alla C2 della classificazione di Tile (8 casi nello studio in esame, oltre il 50% del campione) appartengono anche lesioni da compressione laterale. È pertanto lecito ritenere che il T-POD sia stato efficacemente utilizzato anche su lesioni di tale categoria. Le più recenti linee-guida europee (recensite in questo numero di TJC) e statunitensi (ATLS) raccomandano che i pazienti con frattura evidente del bacino associata a grave shock emorragico siano sottoposti immediatamente a manovre di chiusura e stabilizzazione dell anello pelvico. I pelvic-binder sono strumenti utili allo scopo, il cui utilizzo va pertanto incentivato, sia in fase preospedaliera che in sala d emergenza. Revisione e commento di Gianfranco Sanson Medicina Interna Ospedale di Cattinara - Trieste 14

15 SELEZIONE DALLA LETTERATURA Lesioni cerebrovascolari chiuse post-traumatiche: linee guida di trattamento Bromberg WJ, Collier BC, et al. Blunt cerebrovascular injury practice management guidelines: the Eastern Association for the Surgery of Trauma J Trauma. 2010;68:471-7 classificazione di Denver-Biffy et al. (vedi anche la figura più sotto): - grado I: irregolarità dell intima con stenosi <25% - grado II: dissezione o ematoma intramurale con stenosi >25% - grado III: pseudoaneurisma - grado IV: occlusione - grado IV: transezione con emorragia Introduzione - Revisione della letteratura, linee guida pratiche elaborate dalla (EAST) Estern Association for the Surgery of Trauma. Le raccomandazioni risultanti sono state graduate nei tre classici livelli (I, II e III) in base al livello di e- videnza disponibile L ictus dopo il trauma - La presenza di lesioni dei vasi arteriosi cerebrali (carotidi e vertebrali) legata a un trauma chiuso è spesso sottostimata e sottovalutata ma può essere causa di eventi ischemici cerebrali con conseguenze devastanti in termini di mortalità e morbilità. Di seguito una sintesi delle risposte ai principali interrogativi sul problema delle lesioni cerebrovascolari chiuse (Blunt Cerebro- Vascular Injury - BCVI). Le BCVI sono localizzate usualmente a livello del tratto extracerebrale della carotide interna o nel primo tratto intracranico e a livello delle arterie vertebrali. I principali meccanismi di lesione sono rappresentati da iperestensione e rotazione del capo, trauma diretto sul vaso, lacerazione causata da fratture a- diacenti (es. fratture a livello del canale carotideo o dei forami intervertebrali). Entrando nel dettaglio fisiopatologico, l energia del trauma applicata sul vaso provoca una lacerazione dell intima che inizia un processo di aggregazione delle piastrine e può portare a una progressiva stenosi o a fenomeni di embolizzazione distale; in alcuni casi si ha la formazione di uno pesudoaneurisma (o aneurisma falso, cavità in comunicazione con il lume dovuta a lesione della parete, una sorta di ematoma perivasale, differente dalla dilatazione delle tre tonache propria dell aneurisma vero ) In base alla gravità, la BCVI vengono classificate in 5 gradi evidenziabili con l angiografia, secondo la Classificazione delle BCVI di Denver-Biffy Dal punto di vista epidemiologico, le stime statunitensi riportano un incidenza dello 0.1% nella popolazione globale dei traumatizzati (diagnosi successiva all evento ischemico) con una morbilità neurologica dell 80% e una mortalità del 40%. Lo screening dei pazienti a rischio asintomatici (vedi successivamente) comporta un incidenza 10 volte superiore, che arriva al 2,7% nei pazienti con ISS 16. Le conseguenze delle BCVI sono correlate al tipo di lesione. In caso di occlusione completa il paziente manifesta rapidamente (entro 1 ora solitamente) dei deficit neurolologici ictus-simili non spiegati da altre lesioni potenzialmente associate al traumatismo; in alcuni casi la lesione evolve senza dare conseguenze (soprattutto le lesioni grado I) ma più spesso, dopo un periodo silente (da 4 a 72 ore), il paziente manifesta sintomi neurologici. Lo screening precoce dei pazienti a rischio permette di instaurare una terapia antitrombotica (in assenza di controindicazioni) e di ridurre significativamente la percentuale di stroke e di sequele neurologiche dal 21% allo 0,2% in alcune casistiche (Cothren CC, Moore EE. Blunt cerebrovascular injuries. Clinics. 2005;60(6): ). 15

16 Raccomandazioni - Gli Autori del lavoro si propongono di fornire le seguenti raccomandazioni relative allo screening e al trattamento di queste lesioni in base alle evidenze finora disponibili 1. Quali sono i pazienti ad alto rischio di BCVI per i quali è raccomandabile una strategia di screening e diagnosi? Per nessuno dei quesiti proposti esistono raccomandazioni di livello I. I pazienti con segni neurologici (es. emiplegia) non giustificabili con il tipo di lesione riscontrata e con epistassi posttraumatica di sospetta natura arteriosa dovrebbero essere sottoposti a screening (livello II). I pazienti con trauma cranico significativo (sia a- dulti che pediatrici) asintomatici per BCVI dovrebbero essere sottoposti a screening se presentano i seguenti fattori di rischio (livello III): - GCS 8 - fratture della rocca petrosa - danno assonale diffuso - fratture cervicali in particolare se interessano C1-C3 e i forami traversi (a. vertebrale) - fratture del massiccio facciale tipo Lefort II e III 2. Qual è la modalità più appropriata di screening e diagnosi delle BCVI? L angiografia cerebrale rimane il gold standard; l esame eco-doppler non è sufficiente; l angio-tc (fino a 4 slice) non è sufficientemente sensibile e specifica per lo screening nei pazienti asintomatici (livello II). L angio-tc multislice ( 8 slice) potrebbe essere sufficientemente adeguata (raccomandazione di livello III, ma esistono studi conflittuali). 3. Come devono essere trattate le BCVI? Le lesioni di grado I e II dovrebbero essere trattate con terapia antitrombotica, ovvero con a- spirina o eparina (livello II) a patto che, ovviamente, non sussistano controindicazioni (es. lesioni intracraniche a rischio emorragico). Seguono poi le raccomandazioni di livello III: - eparina o terapia antiaggregante (aspirina, clopidrogel) possono essere usati entrambi con risultati che sembrano equivalenti - se si utilizza eparin,a non somministrare il bolo iniziale; non esiste attualmente un target ben preciso di aptt da raggiungere - l eparina deve successivamente essere sostituita col warfarin (INR 2-3) per una durata dai 3 ai 6 mesi. - gli pseudoaneurismi (grado III) raramente si risolvono spontaneamente o con la terapia con eparina, pertanto sarebbe consigliata una terapia invasiva (chirurgica o endovascolare) - nei pazienti con deficit neurologici precoci e una lesione del tratto carotideo accessibile, deve essere considerato l intervento precoce (chirurgico o endovascolare) - nei pazienti pediatrici con segni di ipertensione endocranica dovuta alle lesioni ischemiche da BCVI, dovrebbero essere intrapresi trattamenti aggressivi, fino alla resezione del tessuto i- schemico cerebrale, dato che l outcome in tali casi sembra migliore se paragonati agli adulti. 4. Per quanto tempo deve essere continuata la terapia antitrombotica? Non esistono raccomandazioni a riguardo. 5. Come deve essere effettuato il follow-up e monitorata la risposta alla terapia? Nelle lesioni di grado I e II un angiografia di controllo dovrebbe essere eseguita a distanza di 7 giorni dal trauma. Commento - Come utilizzare le informazioni apportate da questo articolo, quali sono i take home message per la nostra pratica? Le BCVI sono lesioni non molto frequenti e pertanto sottovalutate ma possono rappresentare un problema dalle conseguenze devastanti. La migliore comprensione dei meccanismi che ne sono alla base, insieme all identificazione dei pazienti traumatizzati a particolare rischio, ha permesso di intervenire (terapia antitrombotica) durante la fase asintomatica, prima che l occlusione trombotica sia completa e che quindi si palesino le sequele neurologiche. Il problema principale è in quali pazienti asintomatici a rischio effettuare indagini angiografiche di secondo livello, a volte invasive e non prive di rischi, dato che a tal riguardo la forza delle raccomandazioni è per la maggior parte di livello III. Il criterio raccomandato in queste LG del GCS inferiore a 8 e del danno assonale diffuso sicuramente espongono a un gran numero di indagini effettuate per ricercare fondamentalmente pochi pazienti positivi. Quello che è raccomandabile è che ogni centro che cura pazienti traumatizzati maggiori concordi e adotti criteri per individuare e poi trattare queste lesioni. A titolo d esempio riportiamo nella tabella sottostante le indicazioni allo screening delle BCVI utilizzate nel DE dell Ospedale Maggiore di Bologna. 16

17 Indagine AngioTC vasi del collo e circolo intracranico Indicazioni Deficit neurologico focale (non limitative) in paziente valutabile Frattura rocca petrosa e/o sfenoide estesa al canale carotico Fratture forami trasversali cervicali Timing Entro 6-8 ore dal trauma (possibilmente al secondo controllo TC) MDC (Iopamiro 370) 120 ml a 3 ml/sec Piano Volumetrica assiale Spessore strato 2.5mm Intervallo ricostruz.ne 1.25mm FOV In relazione al soma pz Finestre Parti molli Indicazioni allo screening delle BCVI utilizzate nel DE dell Ospedale Maggiore di Bologna Un altro problema è la non scontata disponibilità e la maggiore invasività dell angiografia cerebrale (considerata il gold standard) rispetto alla ormai maggiore diffusione della angio-tc multistrato con apparecchi tecnologicamente sempre più affidabili; la sensibilità e specificità diagnostiche raggiunte con gli ultimi modelli sono ormai simili alla prima metodica, inoltre le lesioni sottostimate alla TC sono spesso di grado I o II e quindi con minore probabilità di evoluzione negativa. È pertanto probabile che questa metodica rappresenti e rappresenterà sempre più l esame di scelta iniziale per questi pazienti. Le presenti linee guida non affrontano il problema, relativamente comune, del trattamento dei pazienti con BCVI e associate lesioni emorragiche, soprattutto craniche, per i quali la terapia con anticoagulanti o antiaggreganti è controindicata. In tali pazienti, poiché le evidenze a riguardo sono davvero minime, è necessaria una stretta collaborazione multispecialistica per inquadrare e individualizzare le strategia terapeutiche migliori. Probabilmente la neuroradiologia interventistica segnerà importanti differenze di trattamento in questi casi. Revisione e commento di Carlo Coniglio Anestesia, Rianimazione e 118 Ospedale Maggiore - Bologna SELEZIONE DALLA LETTERATURA Quanto conta un singolo episodio ipotensivo durante la rianimazione di un traumatizzato? Seamon MJ, Feather C, Smith BP, Kulp H, Gaughan JP, Goldberg AJ. Just one drop: the significance of a single hypotensive blood pressure reading during trauma resuscitation. J Trauma. 2010;68(6): Introduzione - ATLS insegna che lo shock emorragico non è clinicamente evidente finché non subentri tachicardia e riduzione dell ampiezza del polso periferico, situazione corrispondente a una perdita volemica dal 15 al 30% (II classe di shock). L ipotensione diviene clinicamente evidente solo in classe III, corrispondente a una perdita > 1500 ml di sangue o del 30% della volume emoatico circolante. Nonostante questo ben consolidato schema di classificazione, la tachicardia nei pazienti con trauma può essere un indicatore non attendibile di danno e la persistenza di ipotensione è spesso un indice tardivo di shock, che diventa così evidente una volta che il danno d organo è già evoluto in una fase di grave scompenso. L ipotensione transitoria durante la fase extraospedaliera o nella terapia intensiva chirurgica è stata segnalata essere predittiva sia di danno severo, sia di un cattivo outcome; brevi episodi di ipotensione potrebbero quindi essere precoci indicatori di uno shock imminente. Nonostante queste segnalazioni, un singolo, isolato episodio ipotensivo (HBP) durante il trattamento iniziale del trauma è spesso ignorato e considerato come errato. L ipotesi degli Autori è che un singolo isolato episodio ipotensivo durante il trattamento iniziale del paziente traumatizzato indichi la presenza di danno severo che richiede quindi un intervento immediato. L obiettivo primario dello studio è provare che un HBP non deve essere sottovalutato ma deve invece costituire un criterio per allertare il Trauma Team della presenza di danno potenziale, che potrebbe richiedere un immediato trattamento di tipo chirurgico o endovascolare. A tal fine, gli Autori hanno provato a determinare un "unico HBP cutpoint" quale misura indicativa di un rischio maggiore necessitante un intervento terapeutico immediato. 17

18 Metodo - Lo studio è di tipo prospettico osservazionale su tutti i pazienti traumatizzati ricoverati nell arco di 6 mesi. Sono stati inclusi i pazienti con un singolo riscontro di pressione sistolica (SBP) <110 mmhg durante la fase di stabilizzazione; di questi pazienti sono state analizzati la demografia, eventuali trattamenti antipertensivi, l emodinamica durante la fase preospedaliera, la fase di stabilizzazione (somministrazione di fluidi, sangue ed emoderivati, sua durata), ISS, GCS, dosaggio del lattato, intossicazione da alcool, lesioni e trattamento chirurgico o endovascolare. Il periodo di stabilizzazione è stato definito come il tempo trascorso tra l attivazione del Trauma Team e la fine dello studio TC. La prima misurazione pressoria è stata registrata entro 10 minuti dall arrivo in DEA, le restanti misurazioni sono state effettate mediante sistema automatizzato per un minimo di una misurazione ogni 5 minuti, poi ogni 15 minuti per la prima ora e successivamente ogni ora. Risultati - Sono stati arruolati 145 pazienti, dei quali il 46% con trauma penetrante e il 54% con trauma chiuso. L analisi del cupoint ha determinato che un singolo riscontro di SBP <105 mmhg è il valore più predittivo per la necessità di un intervento terapeutico immediato; infatti, il 38.1% dei pazienti con SBP <105 mmhg è stato sottoposto ad immediato trattamento chirurgico o endovascolare mentre solo il 14.4% (p<0.001) con HSP 105mmHg ha richiesto tali procedure (vedi figura). Inoltre, i pazienti con singolo riscontro di SBP <105 mmhg avevano una possibilità 12.4 volte superiore (intervallo di confidenza ; p=0.002) di essere sottoposti a immediato intervento terapeutico, anche con procedure rispetto a quelli con SBP 105mmHg. I pazienti con singolo riscontro di SBP<105 mmhg richiedono più spesso procedure operatorie o endovascolari Rispetto a questi ultimi, i pazienti con singolo episodio di SBP<105mmHg sono più frequentemente vittime di trauma penetrante (p=0.025) e hanno un ISS più elevato (p=0.002). Le conclusioni degli Autori sono che un singolo episodio ipotensivo durante la stabilizzazione di un paziente traumatizzato non deve essere ignorato o scartato; i risultati di questo studio suggeriscono che una lettura isolata di SBP < 105 mmhg si associa a un danno severo che richiede un trattamento aggressivo, sia chirurgico che endovascolare, e il ricovero in terapia intensiva. Commento - I limiti dello studio sono da attribuire al ristretto numero di pazienti arruolati, all inclusione nel lavoro di tutti i tipi di trauma inclusi traumi penetranti, midollari e cranici, alla presenza di dati del soccorso preospedaliero spesso incompleti e al sistema stesso di misurazione automatizzato della pressione che, nei casi di marcata ipotensione, ha dimostrato essere gravato da un difetto di affidabilità. Il lavoro non è nuovissimo, altri Autori (es. Franklin GA, et al. Prehospital hypotension as a valid indicator of trauma team activation. J Trauma 2000) hanno preso in considerazione i valori pressori all ingresso in DEA, ma i valori pressori individuati (<90 mmhg) erano nettamente inferiori, individuando pazienti evidentemente ipotesi, rispetto i valori considerati nel presente studio (<105 mmhg). I dati presentati evidenziano in ogni caso che, rispetto alla tachicardia, l ipotensione è un miglior predittore di grave danno d organo e di severità del paziente, per cui in un paziente anche solo modestamente ipoteso bisogna avere un altissimo indice di sospetto. Rispetto alle strategie preospedaliere di centralizzazione e al triage in DEA, elementi funzionali anche all attivazione del Trauma Team, si apre un dibattito non solo sulla necessità di includere nei criteri anche pazienti che presentino solo un transitorio calo pressorio, ma anche sull opportunità di ridefinire il target che identifica il valore critico di pressione arteriosa sistolica, potandolo dall attuale livello di 90 a 105 o addirittura a 110 mmhg (Eastridge BJ. J Trauma 2007; Bruns B, J Trauma 2008) Revisione e commento di Domenico Violante Anestesia e Rianimazione Ospedale San Francesco - Oliveto Citra (SA) 18

19 SELEZIONE DALLA LETTERATURA Cinture di sicurezza e air bag causano lesioni gravi. Smettiamo di utilizzarli? Carter PR, Maker VK. Changing paradigms of seat belt and air bag injuries: what we have learned in the past 3 decades. J Am Coll Surg. 2010;210(2): Introduzione - L adozione di sistemi di protezione individuale e di restrizione, quali cinture di sicurezza e air bag, ha dimostrato di ridurre di oltre il 50% la mortalità e la morbilità conseguenti a incidenti automobilistici. Parallelamente alla loro introduzione, tuttavia, il mondo della traumatologia ha dovuto fare i conti con un numero crescente di specifiche lesioni determinate proprio dall utilizzo di tali presidi. Se, infatti, da un lato si è assistito alla riduzione di lesioni cerebrali, maxillo-facciali, degli organi solidi intra-addominali e delle ossa lunghe, dall altro si è notato un incremento di lesioni a carico dei visceri cavi, di lesioni toraciche, di ernie della parete addominale e di lesioni del collo. Metodo - Gli autori effettuano sul tema una revisione sistematica della letteratura; fra i lavori da essi selezionati non è stato reperito alcun trial clinico randomizzato e controllato. Risultati - I meccanismi di lesione da air bag sono correlati soprattutto a traumi facciali da impatto diretto (lesioni che non si sono ridotte neanche dopo che i modelli più recenti hanno limitato il volume di gas con cui vengono gonfiati), lesioni del rachide cervicale da iperestensione, lesioni oculari e/o ustioni da contatto con l idrossido di sodio rilasciato dal device o, ancora, lesioni timpaniche correlate all intensa onda acustica generata dallo scoppio. La genesi della maggior parte di queste lesioni è tuttavia conseguenza del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza in associazione all air bag. Tale fattore ha come conseguenza un impatto di rilevante intensità fra il corpo della vittima e l air bag: il paziente, non bloccato dalla cinture, continua a muoversi per inerzia dopo il brusco arresto del vicolo e impatta ad alta velocità contro un pallone in rapidissima espansione. Il mancato utilizzo delle cinture, peraltro, vanifica in modo sostanziale la stessa efficacia dell air bag, esponendo la vittima a un elevata incidenza di traumi (in particolare degli arti superiori e inferiori e del torace). Anche i meccanismi di lesione da cintura di sicurezza sono correlati all inerzia con cui il corpo della vittima, sebbene contenuto, mantiene la propria energia cinetica dopo il brusco arresto del veicolo. Si tratta in particolare di lesioni focali da compressione, che si generano con meccanismo diretto o indiretto a partire dai punti di contatto fra cintura e corpo della vittima. Sono dunque lesioni che possono interessare in particolare il collo (trachea, carotidi, rachide cervicale), il torace (fratture sternali, claveari e costali, contusione miocardica) e l addome (soprattutto l intestino e rachide lombare). Anche in questo caso, tali lesioni potrebbero essere in massima parte evitate con la semplice attenzione per un corretto posizionamento del poggiatesta e della stessa cintura, curando che la porzione pelvica sia posizionata sulle spine iliache (e non sull addome) e la porzione della spalla sia appoggiata sulla clavicola (e non sul collo). Tali precauzioni rendono sicuro l uso della cintura di sicurezza anche in gravidanza avanzata. Le lesioni da cinture di sicurezza e da air bag risultano spesso associate a schemi prevedibili, soprattutto quando l impatto lascia segni evidenti e specifici sul corpo del traumatizzato, tanto da dare origine in determinati casi a quadri caratteristici (es. seat belt syndrome, definita come l associazione di lesioni intestinali e fratture del rachide lombare in un paziente con tatuaggio da cintura a livello toracico o addominale). Il riscontro di lesioni escoriate, ecchimosi o ematomi nei punti di presunto contatto della cintura col corpo del traumatizzato devono essere pertanto sempre ricercati dal personale che effettua l esame obiettivo e servire da guida per il percorso diagnostico ospedaliero (es. ecchimosi clavicolare sospetto di lesione vascolare mediastinica o cervicale). Anche in assenza di segni visibili, tuttavia, è importante che la valutazione clinica iniziale del traumatizzato tenga conto non solo dell eventuale presenza di air bag, poggiatesta e cinture di sicurezza, ma soprattutto del loro effettivo e corretto utilizzo. Commento - Air bag e cinture di sicurezza sono in grado di ridurre di oltre il 50% la mortalità e la morbilità nei traumi correlati a incidenti automobilistici. La review evidenzia tuttavia come tali presidi di protezione siano a loro volta in grado di generare lesio- 19

20 ni traumatiche anche gravi, il cui pattern è piuttosto specifico e spesso prevedibile. È estremamente importante che tutti gli operatori coinvolti nella catena del soccorso al traumatizzato ne siano a conoscenza e contribuiscano, ciascuno per quando di propria competenza (es. raccolta di informazioni puntuali sulla scena, esame clinico accurato, diagnostica mirata anche sulla base delle lesioni potenziali), a ridurre la probabilità di lesioni misconosciute e, di conseguenza, di morti prevenibili. Il dato probabilmente più importante che lo studio pone in evidenza è che tali lesioni non sono da attribuire che in minima parte ai device in sé, ma sono invece da correlare direttamente a un utilizzo scorretto delle cinture di sicurezza (posizionamento addominale o cervicale, scorretta regolazione del poggiatesta) oppure all azione dell air bag che, se le cinture non sono contemporaneamente allacciate, non solo non offre la protezione prevista, ma è addirittura in grado di generare lesioni correlate al violento impatto con il corpo della vittima. Importante evidenziare che, se un corretto utilizzo delle cinture di sicurezza esplica in modo efficacia un attività preventiva anche in assenza dell air bag, l air bag offre un importante valore aggiunto solo se il passeggero o il conducente dei veicolo sono regolarmente assicurati dalle cinture. L elevata incidenza di lesioni seat belt/air bag - correlate è dunque da attribuire soprattutto alla scarsa compliance che, a livello mondiale, gli automobilisti tendono ad avere rispetto a un utilizzo costante e preciso delle cinture di sicurezza, anche nei Paesi dove il loro utilizzo è obbligatorio. Rispetto a questo punto, vale la pena di fare alcune considerazioni. In Italia la situazione è particolarmente preoccupante, come evidenziato da uno studio condotto dall Istituto Superiore di Sanità (Taggi F. Aspetti sanitari della sicurezza stradale. Istituto Superiore di Sanità, 2003). In base alle rilevazioni compiute nel corso di 18 mesi (per un totale di oltre osservazioni sull intero territorio nazionale), in Italia soltanto il 32,1% dei conducenti allaccia le cinture di sicurezza durante la guida, con valori medi più elevati nelle regioni settentrionali (40,8%) e più limitati in quelli centromeridionali (rispettivamente 21,6% e 19,6%). Le regioni che presentano i valori d uso più bassi sono Calabria, Sicilia, Campania e Molise (tutte molto al di sotto del 15%), ma non sono confortanti nemmeno i dati delle regioni più virtuose (58% in Friuli- Venezia Giulia e 53% in Sardegna). La tendenza è stata confermata da uno studio di prevalenza effettuato dalla regione del Veneto nel 2001, che ha e- videnziato, su oltre 150 mila persone osservate, una percentuale di utilizzo del 60%, contro una media nazionale del 30%. Tali dati pongono il nostro Paese molto al di sotto di una soglia minima accettabile del 75%, valore mediamente già raggiunto da altri Paesi europei. Inoltre, secondo le già citate rilevazioni dell ISS, in Italia l utilizzo delle cinture di sicurezza risulta sistematicamente più basso in ambito urbano (28% di media) rispetto alle aree extraurbane (42%), dato che riflette una scorretta percezione del rischio da parte degli automobilisti e che, al contempo, limita il potenziale impatto dei dispositivi di protezione in termini di riduzione del numero e della gravità delle lesioni. Dovrebbe essere noto infatti (ma forse non lo è abbastanza), che l efficacia preventiva dell uso delle cinture di sicurezza (così come del casco) si esplica maggiormente nelle aree urbane, dove è massima la loro efficacia date le velocità relativamente contenute alle quali si verificano la maggior parte degli incidenti; ciò consente di ridurre notevolmente l incidenza e la gravità dei traumi che ne possono derivare, come - ad esempio - il trauma cranico, tuttora prima causa di invalidità e di morte tra gli utenti dei veicoli. Dunque, come peraltro sottolineano gli Autori della review, un efficace prevenzione sarà possibile solamente se e quando aumenterà la prevalenza d uso delle cinture di sicurezza; in caso contrario serviranno a poco anche le innovazioni tecnologiche più a- vanzate sugli air bag, che vengono oramai montati di serie e in numero crescente (frontali, laterali, ai sedili) sui veicoli di recente produzione. Le molte iniziative di volta in volta pensate per incentivarne l utilizzo (patente a punti, intensificazione dei controlli, aumenti assicurativi per gli inadempienti o riduzione dei premi per i più virtuosi, ecc.) inseguono solamente intenti sanzionatori e non sembrano in grado di raggiungere il risultato sperato. La strada maestra da seguire, che come sempre è quella più difficile da percorrere, deve necessariamente passare attraverso un informazione consapevole. Per far finalmente capire che le lesioni da cinture e air bag si limitano di allacciando sempre (e bene!) le cinture di sicurezza. Revisione e commento di Gianfranco Sanson Medicina Interna Ospedale di Cattinara - Trieste 20

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