Emanuele Cassano Le mani sul Caucaso Una regione contesa tra Russia ed Europa

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1 Emanuele Cassano Le mani sul Caucaso Una regione contesa tra Russia ed Europa

2 Emanuele Cassano (1992) è studente presso l'università degli Studi di Torino, dove sta frequentando un corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali, indirizzo Studi Europei. Parla georgiano e segue con attenzione la realtà politica caucasica. Il presente testo è rilasciato in copyleft su licenza Creative Commons, ed è pertanto richiesta l indicazione dell autore e della fonte con link attivo alla pagina d origine. East Journal è una testata registrata presso il Tribunale di Torino, n 4351/11, del 27 giugno Direttore responsabile Matteo Zola.

3 IL NEOIMPERIALISMO RUSSO AL CONFINE TRA EUROPA E ASIA Neoimperialista: non è esagerato definire così la politica estera odierna della Russia, sempre di più volta a far rientrare nella sua orbita l'intera costellazione di repubbliche - europee e asiatiche - distaccatesi dal blocco sovietico in seguito alla sua disfatta. Mosca è decisa a recuperare la propria influenza geostrategica e politica sul territorio dell'ex URSS, ma non solo. Nutre infatti un forte interesse anche per il controllo del proprio near abroad, la periferia del paese, dove il Cremlino vorrebbe mantenere il ruolo di potenza dominante. Cercando strategicamente di allentare le barriere orientali dell Europa dell Est, chiuse a occidente dalla presenza dell Unione Europea, la Russia vuole convincere, o meglio costringere i paesi limitrofi a un rapporto di collaborazione, cercando di dissuaderli, se necessario con minacce o con la forza (si veda l invasione della Georgia), dai tentativi di uscita dall area gravitazionale russa. Mosca punta anche, ed è quello di cui ci occupiamo in questo articolo, a stringere un forte legame con il Caucaso, allontanando quanto più possibile americani ed europei dalla scena per non perdere il ruolo di potenza dominante in una regione che sente sua in modo particolare. Ponte naturale tra l'asia e il vecchio continente, il Caucaso è crocevia dei principali gasdotti e oleodotti che dal Mar Caspio e dalle steppe dell Asia Centrale riforniscono di gas e petrolio tutta l Europa. Un obiettivo ghiotto: controllarlo vuol dire gestire buona parte dell economia europea e porre un freno ai piani espansionistici di Washington in Asia Centrale. Un paese in guerra D'altra parte il Caucaso sta vivendo un momento di profonda crisi, martoriato da conflitti e ribellioni che hanno diviso la popolazione e causato ingenti vittime nel corso degli ultimi venti anni. Il distacco delle tre repubbliche transcaucasiche dall Unione Sovietica è avvenuto senza tanti spargimenti di sangue, ma ciononostante l intera regione è stata teatro di terribili scontri etnici di cui a tutt'oggi rimangono preoccupanti focolai. I movimenti separatisti del Caucaso settentrionale, capaci di scatenare vere e proprie guerre civili, hanno dato del filo da torcere al gigante russo, che d'altronde ha saputo approfittare delle lotte di successione svoltesi nelle repubbliche transcaucasiche subito dopo la loro indipendenza. Questi tumulti hanno creato delle finestre di tempo abbastanza lunghe in cui la Russia ha avuto modo di insinuarsi negli affari politici locali, ristabilire il proprio dominio sul Caucaso meridionale e, allo stesso tempo, rallentare l allineamento di questi stati con l UE e la NATO. La storia: un dominio lungo quasi due secoli La conquista russa del Caucaso parte da lontano. Già nel 1556 lo Zarato russo si appropriò del Khanato di Astrakhan, paese tartaro situato sulla foce del Volga. Più avanti, tra il XVII e il XVIII secolo, la Russia, diventata nel frattempo un Impero, condusse con esito vittorioso una serie di guerre contro gli Ottomani acquisendo ulteriori territori, dalla Crimea, sottratta definitivamente ai turchi nel 1792, e arrivando fino alla regione della foce del Don, dove fondò la città di Rostov, e più a sud, fino a Krasnodar. L Impero Ottomano stava ormai collassando, e la Russia, nuova potenza mondiale, si vide la strada spianata verso la conquista del Caucaso. L invasione ebbe inizio nel 1817, quando le truppe zariste occuparono il nord della regione. L Impero russo voleva estendere il proprio dominio verso sud, dove erano presenti numerosi gruppi etnici come i ceceni, gli avari, i carachi e gli adighè, che opposero una feroce resistenza. La guerra fu voluta dallo zar Alessandro I, che affidò la missione al comandante dell esercito Aleksej Petrovič Jermolov. La prima fase del conflitto vide come detto una tenace opposizione da parte delle popolazioni locali, che riuscirono a contrastare abbastanza efficacemente l avanzata russa, che ottenne solo un magro successo. La resistenza delle tribù locali risulta a dir poco sorprendente,

4 se si pensa che l esercito russo veniva dalla recente vittoria contro la Grande Armée di Napoleone. La prima invasione terminò nel 1825, con la morte di Alessandro I e l avvento della rivoluzione decabrista. Un anno dopo scoppiò una guerra con la Persia per il controllo della Transcaucasia: i persiani conquistarono la città di Ganja, ma il contrattacco russo spinse il nemico oltre il fiume Arasse, facendo avanzare le truppe zariste fino a prendere Yerevan. Lo scoppio di un nuovo scontro con l Impero Ottomano non bastò per fermare l incessante avanzata russa, che costrinse turchi e persiani alla resa. Il Trattato di Adrianopoli stipulato con l Impero Ottomano, garantì alla Russia il controllo della Georgia e della costa orientale del Mar Nero, oltre alla foce del Danubio, mentre con quello di Turkmenchay, siglato con la Persia, mise le mani sui khanati di Yerevan e Nakhichevan. In seguito a questa serie di vittorie la Russia riprese l'offensiva contro le popolazioni del nord del Caucaso che ancora opponevano resistenza, per cementare così il proprio dominio sulla regione. Gli imam del Daghestan, intanto, avevano approfittato della momentanea distrazione della Russia impegnata nel doppio conflitto con persiani e turchi per fondare l Imamato del Caucaso, paese che raggruppava la Cecenia, la Circassia e il Daghestan, e che nasceva con l'obiettivo di portare avanti la guerra di liberazione contro gli invasori russi. L esercito zarista incontrò ancora una volta una strenua resistenza da parte dei ribelli, che riuscirono a tenere testa all'offensiva fino allo scoppio della guerra di Crimea, quando entrambe le parti riuscirono a raggiungere una tregua. L ultima parte del conflitto si accese nel 1855 e vide l esercito russo impegnato in numerosi attacchi grazie ai quali, sotto il comando del generale Baryatinsky, riuscì a piegare la resistenza dei ribelli. La conclusione definitiva della guerra venne dichiarata nel 1864: a quel punto l intera regione del Caucaso era dominata dalla Russia, che avrebbe mantenuto il controllo diretto su questi territori fino al 1991, quando, in seguito alla dissoluzione dell Unione Sovietica, ebbe luogo la dichiarazione d indipendenza delle tre repubbliche di Georgia, Armenia e Azerbaijan. Il ruolo di Mosca in Caucaso Nonostante le ultime perdite territoriali, la Federazione Russa, erede naturale dell URSS, non ha dovuto rinunciare all'egemonia sulla regione neanche dopo il 1991, portando avanti un controllo capace di resistere al crollo del sistema comunista e che è giustificato dalla forte influenza geopolitica ancora oggi esercitata in questi territori. La parte settentrionale del Caucaso è ancora di appartenenza russa e, a dispetto dei numerosi movimenti separatisti soprattutto di matrice islamica e di guerre sanguinose come quelle in Cecenia, la Russia ha dimostrato di non voler cedere alle richieste dei ribelli (un eventuale apertura delle trattative con i separatisti sarebbe interpretata da questi ultimi come un segno di debolezza), attuando dure repressioni e firmando paci armate che vengono tuttora mantenute a costo di far salire il numero delle vittime. Abbattere ogni resistenza per far capire chi detta le regole e rafforzare il proprio controllo sul territorio sono gli obiettivi che Mosca si è prefissata di raggiungere per cercare di non perdere il controllo di una regione da sempre ostile al governo centrale russo. A sud le tre repubbliche transcaucasiche, benché indipendenti, sono economicamente e politicamente vincolate alle decisioni prese da Mosca, dalle quali non possono prescindere. La Russia infatti non ha mai smesso di rappresentare un punto di riferimento per questi paesi in quanto la loro economia, la loro crescita e la loro stessa sopravvivenza sono fattori legati nel bene e nel male alle scelte prese dal Cremlino. La federazione ha inoltre saputo approfittare della difficile situazione politica venutasi a creare in seguito alla dissoluzione dell URSS: i conflitti etnici e politici esplosi durante l indipendenza delle tre repubbliche caucasiche come detto in precedenza sono serviti a Mosca per rafforzare la propria presenza anche nel Caucaso meridionale. Alcuni esempi sono forniti dalla guerra civile georgiana, scoppiata nel 1991 in seguito all indipendenza del

5 paese, o dalla guerra tra Armenia e Azerbaijan per il possesso del Nagorno-Karabakh, entrambi conflitti dove Mosca ha fatto da ago della bilancia. Un ultimo e recente esempio è dato dall invasione della Georgia del 2008, con la quale il Cremlino ha voluto chiarire bene la sua posizione in merito alla via politica intrapresa dal paese. Mosca ci tiene a rafforzare la propria presenza in questa regione anche perché rappresenta un nodo fondamentale per l economia russa ed europea: progetti europei come il Nabucco e la Seep, gasdotti che dovrebbero provvedere a trasportare gas dall Azerbaijan all Europa senza transitare dal territorio russo, se realizzati potrebbero rimettere in discussione il monopolio russo sull approvvigionamento del gas per l Europa. Una fragile situazione interna Come spiegato in precedenza, fin dai tempi della conquista russa del Caucaso le popolazioni autoctone opposero una fiera resistenza all avanzata del nemico, che impiegò circa cinquant anni per sottomettere definitivamente le tribù del Caucaso settentrionale. Questa forte intolleranza nei confronti dell'invasore continuò anche in epoca sovietica, e addirittura durante la Seconda Guerra Mondiale ceceni e ingusci, stanchi di essere amministrati dal governo russo, misero in atto un insurrezione per creare un proprio stato indipendente. Stalin accusò in seguito questi gruppi etnici di collaborare con la Germania nazista, e con l Operazione Lentil ne deportò quasi mezzo milione in Kazakistan. I sopravvissuti poterono fare ritorno alla propria terra solo a qualche anno di distanza dalla morte del dittatore. Nuovi scontri si verificarono in seguito alla nascita della Federazione Russa. La Cecenia, insieme al Tatarstan, non firmò il Trattato di Federazione, stipulato bilateralmente da Boris Eltsin con 86 degli 88 soggetti federali russi per concedere regimi fiscali diversificati e maggiore autonomia alle regioni. In seguito la Cecenia dichiarò la propria indipendenza dando vita alla Repubblica di Ichkeria e facendo scoppiare la prima guerra cecena. Eltsin non esitò ad attuare una dura repressione contro il paese ribelle, temendo che diventasse esempio per quelli limitrofi innescando una disgregazione a catena di tutta la Federazione. Dopo una sanguinosa guerra, cessata nel 1996, l effimera pace durò fino a quando, nel 1999, i leader islamisti Shamil Basaev e Ibn Al-Khattab invasero il Daghestan, obbligando la Russia ad un nuovo intervento armato. La seconda guerra cecena durò fino al 2009, mietendo migliaia di vittime e entrando nei libri di storia soprattutto per le numerose stragi attuate dai ribelli ceceni contro obiettivi civili (tra cui la tristemente famosa strage di Beslan) ma consentendo alla Russia di recuperare i territori occupati e porre fine alla Repubblica cecena di Ichkeria. Il terrorismo in Cecenia rappresenta ancora oggi un grosso problema per il governo russo, ma a preoccuparlo non è solo questa repubblica. Numerosi attacchi terroristici si sono registrati ultimamente anche in Circassia, Ossezia del Nord e Inguscezia, per non parlare della situazione del Daghestan, diviso dagli scontri tra musulmani fondamentalisti (wahhabiti o salafiti) e musulmani confraternali (sufiti), con le due parti che ormai sembrano essere in procinto di far scoppiare una guerra civile. Ultimamente si sta sempre di più profilando l ipotesi di un intervento militare russo nella regione, motivato anche dal fatto che il Daghestan è diventato il centro principale della resistenza anti-russa nel Caucaso. Nonostante Mosca tema un sequel del doppio conflitto ceceno non può permettersi di perdere il controllo di questa delicata repubblica: il governo russo ha iniziato perciò da tempo a spostare un ingente numero di truppe dalla Cecenia e dal resto del paese verso il confine daghestano, preparandosi a un eventuale guerra. Le verità dietro alla guerra in Georgia La Georgia rappresenta per la Russia l immediato near abroad, e a Mosca la piccola repubblica caucasica è vista ancora come una regione periferica della Federazione, piuttosto che come uno

6 stato pienamente sovrano. Per questo la Russia non ha gradito il progressivo avvicinamento che il paese stava attuando nei confronti dell Occidente e appena si è presentata l occasione l invasione georgiana dell Ossezia del Sud ne ha approfittato per far capire al governo di Mikheil Saakashvili, politicamente vicino all Europa e appoggiato anche dagli Stati Uniti, che il matrimonio non s aveva da fare. In seguito al crollo sovietico, le regioni dell Ossezia del Sud e dell Abkhazia dichiararono la propria indipendenza dalla Georgia rispettivamente nel 1991 e nel Scoppiò quindi una guerra civile tra il governo centrale georgiano (colpito nel frattempo da un violento colpo di stato contro il presidente Zviad Gamsakhurdia) e le due regioni separatiste. La Russia colse l occasione e offrì il proprio appoggio militare ai ribelli, che nel 1993 riuscirono ad ottenere il controllo dei rispettivi territori, andando a costituire due repubbliche de facto indipendenti. Se però in Abkhazia venne attuata una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei georgiani, in Ossezia del Sud questi vennero in parte risparmiati e, molti, anche dopo la guerra, continuarono a risiedere nei propri villaggi di appartenenza. Il giogo russo sull Ossezia, inoltre, era meno pesante di quanto non lo fosse per la vicina Abkhazia, dove i russi erano più presenti militarmente. Questi furono alcuni dei motivi principali che convinsero nel 2008 il presidente georgiano Saakashvili a intraprendere l invasione dell Ossezia del Sud, con la speranza di far tornare la repubblica secessionista sotto il controllo georgiano. Tra il 7 e l 8 agosto le truppe georgiane varcarono il confine e occuparono Tskhinvali, capoluogo osseta. La Russia non aspettava altro. Con la scusa di proteggere l Ossezia e le minoranze russofone vittime del nazionalismo georgiano, i russi invasero la Georgia partendo dall Ossezia e dall Abkhazia, arrivando in pochi giorni fino alle porte di Tbilisi. Solo l intervento diplomatico degli Stati Uniti e dell Unione Europea riuscì a porre fine al conflitto, evitando che l avanzata russa continuasse fino ad invadere l intero paese. L invasione della Georgia non fu però motivata da un improvviso istinto materno che spinse la Russia a proteggere la vicina Ossezia invasa dalle truppe georgiane. Si trattò infatti di un piano già da tempo escogitato e ben definito, il quale necessitava solo di un casus belli che legittimasse l intervento militare. Questa decisione venne presa principalmente per punire la Georgia, colpevole secondo il Cremlino di essere troppo filoamericana e di avere avuto l obiettivo di entrare a breve nella NATO e nell UE, cercando così di uscire dall orbita russa e aprendo la strada all occidentalizzazione del Caucaso. Il Grande gioco per lo sfruttamento delle riserve del Caspio Durante il XIX secolo, Russia e Inghilterra, inizialmente alleate, arrivarono ad un forte conflitto di interessi per quanto riguardava l acquisizione di nuovi territori in Asia Centrale. La Russia, alleata della Persia, oltre a voler estendere a sud-est il proprio impero, intravide con l annessione di queste terre la possibilità di aprire nuovi mercati a oriente. Conquistando i territori dell Asia Centrale, l Impero Russo sarebbe poi arrivato a lambire il confine con l India britannica, principale obiettivo delle mire zariste. L Inghilterra dal canto suo puntava a creare una zona cuscinetto tra la Russia e l India conquistando l Afghanistan e i khanati del Turkestan meridionale proprio temendo per la sicurezza della propria colonia, che con un ulteriore espansione russa sarebbe stata fortemente insidiata. Questa corsa all Asia Centrale venne chiamata dagli inglesi Grande gioco (The Great Game), mentre in Russia era conosciuta come il Torneo delle ombre (Турниры теней). L'Inghilterra ha da tempo perso il suo vasto impero coloniale disgregatosi in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, ma un altra grande potenza ha preso il suo posto nel grande gioco per la spartizione dell Asia Centrale: gli Stati Uniti, che puntano a strappare ai russi il controllo delle riserve di gas e petrolio del Caspio, oltre che a farsi alleati dei paesi attigui per installarvi le proprie basi militari. Ultimamente si è messa di mezzo anche l Unione Europea, decisa a porre fine alla forte dipendenza in fatto di gas e petrolio che la lega alla Russia: si calcola infatti che nel 2010 la

7 sola Gazprom abbia esportato in Europa il 41% del gas totale consumato nel continente, mentre per il petrolio i valori si attestano intorno al 20%. Per spezzare questo cordone ombelicale senza rischiare di rimanere di colpo senza gas o petrolio, l Europa ha dovuto escogitare modalità alternative che le permettessero di fruire delle riserve del Mar Caspio evitando di dover bussare alla porta russa. Sono nati così progetti come il Nabucco, la Seep la Tanap e la Tap, tutti ideati per attingere direttamente il gas dall Azerbaijian facendolo passare per la Turchia, bypassando la Russia. Il gigante non è rimasto a guardare e, per continuare a dettar legge in fatto di energia nel Vecchio Continente, ha progettato un nuovo gasdotto, il Southstream, che dovrebbe rifornire l Europa meridionale direttamente dalle coste russe sul Mar Nero. L Azerbaijan rappresenta dunque un nodo fondamentale per convogliare il gas del Caspio in Europa senza passare dalla Russia. Questo al Cremlino lo sanno bene, perciò il paese approfitta della propria rete di alleanze per ostacolare i piani europei e americani. Incuneata tra la Turchia e l Azerbaigian si trova infatti l Armenia, alleato russo, i cui pessimi rapporti con i due paesi limitrofi impediscono la realizzazione di qualsiasi collegamento energetico diretto, senza dover passare dalla Georgia. La striscia di Zangezur divide infatti il Nakhcivan dal resto dell Azerbaijan, rappresentando una cesura che separa la Turchia dal resto degli stati turcofoni dell Asia Centrale. Più volte sono stati fatti tentativi, soprattutto da parte degli Stati Uniti, per convincere l Armenia a cedere questo territorio all Azerbaigian in cambio del corridoio di Lacin, che separa l Armenia dal Nagorno-Karabakh (progetto Gobble), ma alla fine i confini sono rimasti immutati. La Russia comprende molto bene la strategicità di quest area, e per rafforzare la propria presenza su questo territorio ha addirittura installato a Meghri, un piccolo paesino di abitanti al confine con l Iran, un proprio consolato. Quale futuro per la regione? Per le repubbliche del Caucaso settentrionale raggiungere l indipendenza o cercare di ottenere una maggiore autonomia sembra un impresa impossibile, dato che Mosca pur di non dare segnali di cedimento, come ha dimostrato più volte, preferisce ricorrere all uso delle armi per rispondere ai separatisti. La situazione nella regione sta degenerando, e non sarebbe strano assistere in un immediato futuro allo scoppio di una nuova guerra civile. La Russia prende in considerazione un simile rischio, per questo si sta preparando ad affrontare un imminente conflitto, ammassando migliaia di soldati nelle zone più a rischio, facendo capire ai ribelli che il paese vuole evitare la formazione di nuove repubbliche di Ickheria, cercando di stroncare sul nascere le rivolte e i separatismi. In seguito all invasione della Georgia del 2008, la Russia è riuscita a rallentare il processo di avvicinamento tra il paese e l Occidente. Le elezioni dello scorso ottobre in Georgia hanno sancito la vittoria del miliardario Bidzina Ivanishvili, a capo del partito Georgian dream, che ha avuto la meglio sul leader uscente Saakashvili. Ivanishvili, amico personale di Putin, è stato da molti indicato come l uomo del Cremlino, sottolineando il non troppo velato filo-russismo che il neoeletto ha mostrato durante la propria campagna elettorale e in seguito alla propria investitura. Sconfitto un po a sorpresa Saakashvili, appoggiato dall Europa e dagli Stati Uniti, il timore è che Ivanishvili faccia rivivere alla Georgia i ricordi del periodo sovietico e post-sovietico. Interessante sarà poi vedere come Ivanishvili si muoverà per risolvere le situazioni in Abkhazia e Ossezia del Sud, in relazione anche alla vicinanza con la Russia. L Armenia, che strizza l'occhio all'unione Europea, sa bene che essendo anche un importante alleato di Mosca nella regione non può rischiare di sbilanciarsi verso una posizione filoeuropea per non perdere il prezioso sostegno russo, senza il quale si ritroverebbe da sola a combattere contro i potenti nemici che la circondano. La Russia vuole infatti estromettere dal Caucaso attori importanti

8 quali l UE e gli Stati Uniti, così come sta cercando di allontanare le mire espansionistiche cinesi sui paesi dell Asia Centrale, in quanto, come affermato in apertura, Mosca vede i territori del proprio near abroad come una sorta di periferia, repubbliche formalmente indipendenti ma di fatto ancora legate al suo controllo, territori da riannettere possibilmente alla madrepatria. Ogni decisione presa a Mosca in fatto di energia o politica estera influenza direttamente le sorti dei paesi transcaucasici, i quali difficilmente possono pensare di affidarsi alla NATO o all UE senza prendere in considerazione il punto di vista del gigante russo. Un eventuale ingresso della Turchia nell Unione Europea complicherebbe ulteriormente le cose, facendo del Caucaso non solo una barriera fisica al confine tra Europa ed Asia, ma anche una barriera politica tra Russia ed UE. Questo porterebbe a una chiusura del confine turco che potrebbe favorire l isolamento delle tre repubbliche situate a sud del Caucaso, costringendole ad un obbligato avvicinamento verso la Russia, così come sta succedendo più a ovest per paesi come l Ucraina e la Moldavia. Il Caucaso è dunque sempre più vittima inerme del dilagante neoimperialismo russo attuato dal "nuovo zar" Putin, deciso ad acquisire un controllo diretto, sia politico che economico, dell intera regione, facendo piazza pulita di chiunque cerchi di ostacolarlo. I piani di risorgimento della Russia imperialista, mirati a far riguadagnare a Mosca quel ruolo di principale potenza mondiale perso in seguito al crollo comunista, ripartono anche da qui. LE STRANE COPPIE, IMPROBABILI ALLEANZE E AMICIZIE PARADOSSALI Ponte naturale tra Europa ed Asia, a causa della propria posizione strategica, una volta lungo la via della seta, oggi lungo quella che si potrebbe definire via del gas e del petrolio, il Caucaso ha da sempre vissuto nel corso dei secoli invasioni e dominazioni straniere, da parte di potenze che miravano ad annettere la regione o a farla ricadere sotto la propria influenza. La geopolitica del Caucaso dei giorni nostri è paragonabile ad una partita a scacchi in grande scala: tante pedine coinvolte, tre principali giocatori che si sfidano in un complicato scontro all ultima mossa (Russia, Turchia e Iran), e parecchi spettatori che stanno a guardare facendo il tifo per l una o per l altra parte. Vince la partita il contendente che riesce a mangiare (si legga assoggettare ) più pedine possibili all avversario. In un contesto così complicato dove ogni pedina, anche la più piccola e insignificante, svolge un ruolo chiave per gli equilibri della regione, i grandi giocatori sono coinvolti in una delicata sfida che vede come obiettivo quello di espandere la propria influenza piano piano in tutta la scacchiera, fino a prenderne pieno possesso. Tra conflitti d interesse, dispute territoriali e minacce reciproche, ufficialmente i giocatori chiamati in causa spesso fingono buoni rapporti, celando (non sempre troppo velatamente) quelle che sono le loro vere ambizioni nella regione. Per potere realizzare i propri interessi, questi paesi stringono alleanze strategiche che permettano loro di controllare indirettamente i territori interessati, dove poter insediare governi fantoccio o comunque amici. Alcune volte si assiste alla nascita di insolite alleanze tra paesi marcatamente diversi tra loro, per linea politica, religione professata o posizione geografica, le quali però sono tutte rigorosamente giustificate da motivazioni di tipo strategico. Alcune di esse sono già in atto da anni, facilitate dal corso della storia e dagli eventi verificatisi di recente, altre potrebbero invece nascere in un futuro non troppo lontano, grazie a rovesciamenti politici che potrebbero cambiare l asse politica di alcuni paesi, mentre altre ancora potrebbero invece spegnersi se mai non dovessero risultare più utili in chiave strategica. Sta di fatto che il Caucaso attualmente si ritrova in una situazione più che mai complessa, dove troppe tensioni, conflitti irrisolti e interessi economici rischiano di far saltare in aria da un momento all altro tutta la scacchiera con le sue pedine. Starà dunque ai tre grandi giocatori coinvolti cercare di mantenere stabile il più che mai precario equilibrio politico in cui si trova il Caucaso, al fine di evitare un ipotetico conflitto armato che indebolirebbe ulteriormente la regione e porterebbe la situazione

9 generale ancora più lontana da una definitiva risoluzione. Georgia Russia, un amore impossibile? Tra tutte le possibili future mosse politiche che potrebbero essere effettuate nella complessa scacchiera caucasica, che si possano realizzare nel breve o nel medio periodo, l ipotesi più impensata e allo stesso tempo imprevista (almeno fino a poco tempo fa) sembra essere senza ombra di dubbio quella di un alleanza da alcuni però già annunciata tra Georgia e Russia, due paesi che sono da sempre stati grandi rivali. Infatti la politica estera di Tbilisi, nemica giurata di Mosca fin dai tempi dell indipendenza e alleata chiave degli Stati Uniti nella regione, in seguito ai risultati delle elezioni parlamentari del 2012 che hanno visto il trionfo del partito Sogno Georgiano guidato dal filo-russo Bidzina Ivanishvili, potrebbe seguire una linea diversa, portando ipoteticamente la piccola repubblica caucasica all inaspettato riconciliamento con il gigante russo, nell ottica di una più grande operazione politica appoggiata dallo stesso Putin, mirata ad allontanare definitivamente il paese dall orbita della NATO per integrarlo invece all interno dell area di pertinenza russa. Il popolo georgiano però non può dimenticare facilmente il suo passato recente: le dispute riguardanti l Abkhazia e l Ossezia del Sud sembrano essere ancora lontane da una risoluzione definitiva, mentre l invasione russa del 2008 rappresenta una ferita ancora aperta, difficile da rimarginare. Se il governo di Ivanishvili avrà effettivamente intenzione di tentare un riavvicinamento alla Russia dovrà incominciare proprio dal trovare un valido compromesso che metta definitivamente fine alla spinosa questione delle due repubbliche separatiste, anche se la risoluzione del caso sembra essere tutt altro che vicina. Per il momento i rapporti tra i due paesi rimangono tesi, come ha confermato una recente risoluzione adottata dal parlamento georgiano, la quale ha sancito che i rapporti diplomatici tra Tbilisi e Mosca non potranno essere ristabiliti in un prossimo futuro. Il motivo della profonda rivalità creatasi tra Georgia e Russia è da far risalire ai convulsi mesi che fecero seguito all indipendenza della repubblica caucasica, successivamente al collasso dell Unione Sovietica. La Russia infatti, a partire dal 1991 fino al 1993, aiutò militarmente le due repubbliche secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, le quali, avendo rifiutato di riconoscere l indipendenza di Tbilisi temendo l avvio di un processo di georgianizzazione del paese che avrebbe messo in seria discussione la loro autonomia, diedero vita ad una violenta guerra civile che insanguinò la neonata repubblica nei primi anni della sua vita. L aiuto russo fu determinante per la vittoria dei ribelli, che riuscirono a sconfiggere l esercito georgiano liberando i propri territori e costituendo due repubbliche non riconosciute a livello internazionale ma de facto indipendenti. In seguito a questi avvenimenti i rapporti bilaterali tra i due paesi risultarono gravemente compromessi, e per non rimanere da sola a dover fronteggiare il potente vicino russo, la Georgia pensò bene di allargare i propri orizzonti a occidente, guardando verso Europa e Stati Uniti. Intanto, in seguito alla rivoluzione delle rose, si affermò nel paese la figura di Mikheil Saakashvili, che avrebbe poco più tardi vinto le elezioni presidenziali con una maggioranza schiacciante. Con Saakashvili vennero confermati quelli che erano i principali obiettivi da conseguire nella politica estera: l adesione alla NATO e all Unione Europea. Intanto i rapporti con la Russia rimasero problematici, con Mosca che continuò a fornire sostegno alle due repubbliche ribelli, sui cui territori possedeva delle basi militari, mantenute nonostante i numerosi appelli del governo georgiano mirati al loro smantellamento. La situazione si aggravò ulteriormente nel 2008, quando in seguito a numerosi scontri tra l esercito georgiano e i ribelli osseti, il governo di Tbilisi decise di attaccare l Ossezia del Sud. Nella notte tra il 7 e l 8 agosto la Georgia violò il cessate il fuoco in atto dal 1992 e invase la regione separatista. Questa azione scatenò le ire della Russia, che prontamente inviò il proprio esercito in Ossezia e in

10 seguito invase direttamente la Georgia, arrivando fino a poche decine di kilometri dalla capitale Tbilisi. Il 15 agosto, le due parti riuscirono finalmente a trovare un accordo per il cessate il fuoco, che vietò alla Georgia di usare la forza in futuro contro le repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, e che impose alla Russia il ritiro delle truppe dai territori georgiani occupati. Proprio la Russia in seguito a questo conflitto riconobbe la sovranità delle due repubbliche, rinforzando la propria presenza militare in queste regioni. Intanto nel paese le numerose promesse non mantenute soprattutto in tema di riforme, l aumento della disoccupazione e il dilagante fenomeno della corruzione iniziarono a mettere in discussione il potere di Saakashvili, che incominciò a perdere un numero sempre più grande di sostenitori. Con l avvicinarsi delle elezioni parlamentari del 2012, il Movimento Nazionale Unito, partito di maggioranza guidato proprio dal presidente Saakashvili, ha iniziato a registrare un forte calo di consensi, scendendo per la prima volta al di sotto del 40% delle preferenze, arrivando a registrare un calo a dir poco significativo. Tra le cause che hanno portato a questa forte perdita di consensi, oltre a quelle già precedentemente elencate, ha pesato non poco il generale scontento del popolo georgiano, stufo delle minacce e dalle ingiustizie perpetrate dal governo e del sistema clientelare creatosi negli ultimi anni. Inoltre, hanno fatto discutere i duri metodi adottati dal governo per intimidire gli oppositori politici, in particolare nei confronti del principale partito d opposizione, il Sogno Georgiano di Ivanishvili, al quale è stato addirittura ritirato il passaporto al fine di renderlo ineleggibile. Per finire, il colpo di grazia a Saakashvili sembra essere stato dato dallo scandalo riguardante le torture e le violenze messe in atto nelle carceri georgiane, venuto alla luce grazie ad alcuni video diffusi dalle televisioni dell opposizione a poche settimane dal voto, a dimostrazione di come questo scandalo sia stato rivelato ad hoc per screditare ulteriormente il presidente Saakashvili. Al contrario, Ivanishvili rappresentava un opportunità di cambiamento, un alternativa concreta al potere di Saakashvili, ma soprattutto una grande possibilità per far tornare la democrazia nel paese. Presentatosi in campagna elettorale come l uomo della svolta, l unico veramente in grado di poter prevalere su Saakashvili, per la prima volta è riuscito a mettere insieme i pezzi della debole opposizione georgiana, da sempre divisa e di conseguenza inefficace. La campagna elettorale condotta da Ivanishvili non è stata però priva di controversie. Il miliardario georgiano si è infatti arricchito nella Russia di Putin, nemico numero uno del paese, cosa che ha fatto sospettare molti elettori. Anche se per ovvi motivi tale liaison è stata più volte mascherata durante il periodo preelettorale, la posizione filo-russa di Ivanishili è apparsa da subito evidente, a partire dalle insistenti dichiarazioni che auspicavano un miglioramento dei rapporti con l ingombrante vicino. Un altra mossa azzardata effettuata dal leader del Sogno Georgiano è stata quella di voler pubblicare anticipatamente la lista dei politici che avrebbero fatto parte del suo staff, tra i quali erano presenti molte personalità legate agli anni di governo di Eduard Shevardnadze, e quindi alla vecchia Unione Sovietica. Con un risultato quasi inaspettato, alla fine i seggi hanno però dato comunque ragione a Ivanishvili e al suo Sogno Georgiano, che con il 55% dei voti totali ha avuto la meglio sul Movimento Nazionale Unito di Saakashvili, il quale ha ottenuto il 42% delle preferenze. Da capo del governo, Ivanishvili ha voluto immediatamente ricordare come la questione del riavvicinamento a Mosca fosse di primaria importanza, confermando la sua posizione filo-russa già emersa durante la campagna elettorale. La Russia dal canto suo, dopo aver esultato per la vittoria del miliardario georgiano, intravede ora la concreta possibilità di poter controllare indirettamente Tbilisi, che dopo la vittoria di Ivanishvili sembra allontanarsi sempre di più dagli Stati Uniti e all Europa per avvicinarsi invece a Mosca. La Russia potrebbe dunque sostituirsi agli americani nel diventare il principale finanziatore del paese caucasico, pretendendo però qualcosa in cambio, come ad esempio la definitiva rinuncia del paese all ingresso nella NATO, cosa che sposterebbe gli orizzonti politici della Georgia da occidente verso oriente, in direzione appunto di Mosca. La Russia

11 potrebbe dunque approfittare della salita al governo di Ivanishvili per far sì che Tbilisi instauri un rapporto privilegiato con essa, facendo quindi ricadere una volta per tutte il ribelle paese caucasico nell orbita russa. Armenia Iran, uniti nella diversità Se in un futuro non troppo remoto si potrebbe assistere ad una difficilmente pronosticabile cooperazione tra Georgia e Russia, nel Caucaso sono già in atto altre alleanze che in un primo momento almeno a occhi inesperti farebbero fatica a spiegarsi. Sembra essere il caso della forte amicizia che lega da tempo Armenia e Iran, due paesi che, a volerli analizzare singolarmente, non sembrano avere molto di ché spartire, ma che se inquadrati nel medesimo contesto geopolitico riescono a spiegare il perché di questa tanto duratura quanto strategica alleanza tra il più antico paese cristiano e la repubblica islamica. L Armenia presenta una situazione geopolitica alquanto complicata, poiché si ritrova stretta in una morsa tra la Turchia a occidente e l Azerbaigian a oriente, con entrambi i confini bloccati a causa dei pessimi rapporti diplomatici che intercorrono tra i due paesi turcofoni e Yerevan. Negli ultimi anni infatti, Yerevan e Ankara hanno cercato di ripristinare la diplomazia tra i due paesi, ma la strada da fare prima di normalizzare i rapporti è ancora lunga, e le due parti sembrano rimanere tutt ora in conflitto. Per quanto riguarda le relazioni con l Azerbaigian invece, in seguito alla fine della guerra del Nagorno-Karabakh, di passi avanti non se ne sono fatti e sembrerebbe invece che la situazione sia sempre a un passo dal precipitare, dato che il cessate il fuoco imposto nel 1994 non è mai stato veramente rispettato, e al confine si continua a sparare colpi dall una o dall altra trincea. L Armenia teme inoltre il pericoloso riarmo in corso a Baku, che potrebbe essere interpretato non difficilmente come un preludio ad un nuovo sanguinoso conflitto. Yerevan può contare senz altro su un alleato di grande spessore nella regione, la Russia di Putin, con la quale però non spartisce confini territoriali. A separare i due paesi si trova infatti la già citata Georgia, che almeno per il momento continua ad avere un rapporto conflittuale con il gigante russo, rappresentando dunque un incognita per la stabilità futura della regione. Nonostante l Armenia mantenga buoni rapporti con la vicina Georgia, è evidente il senso di isolamento che prova il paese caucasico, circondato com è da nemici ricchi e potenti, i quali possono contare su risorse molto più ampie di quanto non disponga la piccola repubblica armena. In una situazione come questa si rivela strategica l amicizia in funzione anti-turca che lega il paese all Iran, paese con il quale Yerevan condivide una piccola parte di confine a sud della provincia di Syunik. L Iran, paese diametralmente opposto all Armenia in fatto di dimensioni, potenza e religione, condivide però con la piccola repubblica caucasica un contrasto alle volte marcato nei confronti di Turchia e Azerbaigian, paesi alleati degli Stati Uniti, nemico principale di Teheran. I rapporti con la Turchia non sono di certo tra i peggiori, in quanto i due stati collaborano regolarmente e continuano ad avere rapporti commerciali costanti, ma è innegabile che tra Ankara e Teheran ci siano continue tensioni causate da evidenti conflitti d interessi. La Turchia al contrario dell Iran è un paese fortemente laicizzato, in netta contrapposizione dunque con il fondamentalismo islamico iraniano; i due paesi si contendono inoltre il delicato ruolo di potenza dominante in una regione chiave come il Medio Oriente, regione per la quale entrambi i contendenti nutrono un grande interesse, e che Teheran non vuole lasciare ai turchi, alleati dei rivali americani. Se dunque i rapporti tra i due paesi sembrano essere almeno a prima vista stabili, non è raro assistere a scontri diplomatici. Alcuni casi relativamente attuali forniscono l esempio di come il rapporto tra i due paesi non sia troppo amichevole: la Turchia accusa da tempo l Iran di dare sostegno agli indipendentisti curdi appartenenti al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), ai quali il paese darebbe asilo politico. Da parte sua, durante lo scoppio della guerra civile siriana, l Iran ha protestato contro la decisione del governo turco di concedere alla NATO di collocare missili Patriot

12 lungo il confine turco-siriano, temendo per la propria sicurezza. I rapporti dunque, sembrano essere buoni solo a parole. Neanche le relazioni con l Azerbaigian sono delle migliori, nonostante i due paesi siano accomunati, oltre che da svariati secoli di storia, dalla medesima fede sciita. Nonostante anche in questo caso i rapporti economici tra i due paesi siano un dato di fatto, la situazione politica appare ben più problematica. L Iran ha infatti appoggiato l Armenia durante la guerra del Nagorno-Karabakh, e ha sempre sostenuto i partiti d opposizione azeri di matrice islamica (come l AIP, Partito Islamico dell Azerbaigian, vietato ufficialmente dal governo di Baku). Nel 2012 a Baku sono stati arrestati 22 cittadini azeri con l accusa di spionaggio a favore dell Iran, mentre sempre nello stesso anno la polizia azera è riuscita a sventare un attentato di matrice iraniana mirato a colpire l ambasciatore israeliano in Azerbaigian Michael Lotem e il rabbino Shneor Sega. Teheran teme inoltre per la sicurezza delle proprie province nord-occidentali, caratterizzate da una forte maggioranza azera, comunque ben radicata in Iran, ma che potrebbe creare dei problemi alla stabilità del paese nel caso si dovessero compromettere le relazioni tra i due stati. Persiste poi il problema della delimitazione delle acque del mar Caspio, il cui fondale è fortemente ricco di idrocarburi, il quale si trova conteso anche da altri tre pretendenti. I rapporti sembrano essere infine precipitati in seguito all alleanza del paese caucasico con Israele, con il quale Baku ha stretto un accordo di collaborazione militare. Armenia e Iran vantano legami storici e culturali che risalgono a migliaia di anni fa; i loro primi contatti hanno infatti origine fin dai tempi dell Impero Persiano, dal quale l Armenia venne più volte conquistata, creando una convivenza che durò dalla dinastia dei medi fino a quella dei safavidi. Una parte dell Armenia storica (la regione circostante il lago d Urmia) si trova tutt ora in territorio iraniano, a dimostrazione di come gli armeni abbiano da sempre convissuto nel corso dei secoli con la popolazione locale. Inoltre l Iran è uno dei principali paesi di destinazione della diaspora armena, contando più di 400 mila individui distribuiti per la maggior parte tra le città di Teheran, Isfahan e nelle regioni settentrionali del paese, quelle corrispondenti all Armenia storica. Gli armeni provenienti dall Iran sono chiamati Parska-Hye, e costituiscono dopo quella russa e francese la terza più grande comunità armena nel mondo. Attualmente i due paesi collaborano sotto molteplici punti di vista, a partire dal settore energetico; l Iran è collegato infatti all Armenia da un gasdotto lungo 140 km che dalla città di Tabriz trasporta l oro blu fino al paese caucasico, passando attraverso la città di Meghri situata al confine tra i due paesi. Questo gasdotto, inaugurato nel 2007 dai presidenti Ahmadinejad e Kocharyan, è stato al centro di una controversa disputa con la società Gazprom, la quale, proprietaria di maggioranza di ArmRosGazprom, compagnia che controlla il tratto armeno, avrebbe fatto ridurre il diametro del gasdotto per evitare che l Iran potesse esportare il proprio gas anche in Europa, entrando dunque in competizione proprio con la compagnia russa. In tempi recenti il settore privato iraniano ha inoltre deciso di investire ben 571 milioni di dollari in un progetto atto a sviluppare il settore dell energia idroelettrica nel paese caucasico, costruendo delle centrali sul fiume Arasse, situato al confine tra i due paesi. Inoltre, in cambio dell energia idroelettrica armena, l Iran sta progettando la realizzazione di un ulteriore condotto per rifornire l Armenia di gas naturale, gettando quindi le basi per un accordo di libero scambio tra i due paesi. Azerbaigian Israele, insieme contro il più forte E mentre Armenia e Iran rafforzano la loro amicizia per far fronte alla potenza turca, proprio in funzione anti-iraniana è sorta un altra insolita alleanza, quella stretta tra il musulmano Azerbaigian (paese comunque dal carattere spiccatamente laico) e Israele, che con i paesi islamici mantiene da sempre pessimi rapporti. I due paesi, geograficamente situati in due macroregioni differenti, ma uniti dalla geopolitica, hanno deciso di collaborare tra di loro per far fronte all ascesa geopolitica

13 dell Iran nel Medio Oriente e nel Caucaso, paese che minaccia ormai da anni l uso della forza nei confronti dell odiato Israele e che non si fida completamente del vicino azero. Infatti, nonostante i buoni rapporti storici ed economici che legano da tempo Iran ed Azerbaigian, proprio i recenti accordi che Baku ha stretto con Israele sembrano aver messo in crisi la diplomazia di entrambe le parti. L Azerbaigian, come affermato in precedenza, condivide con l Iran non solo la religione (islamismo sciita), ma anche buona parte della propria storia, essendo stato come anche la vicina Armenia assoggettato per secoli all Impero Persiano, con alcune parentesi di dominazione araba e timuride. Negli anni di dominazione persiana gli azeri, i cui discendenti erano inizialmente cristiani, si convertirono all Islam, e dopo alcuni secoli passarono dal sunnismo originario allo sciismo attuale. Nel XVIII secolo, in seguito ai trattati di Gulistan e Turkmenchay, gli azeri che popolavano la parte caucasica dell Impero Persiano vennero inglobati all interno della Russia zarista, andando in futuro a costituire quella che oggi è la Repubblica d Azerbaigian. Sono comunque ancora molto numerosi gli azeri che popolano l Iran, tanto che essi rappresentano una delle più grandi comunità etniche presenti all interno del paese mediorientale. Si parla infatti di quasi 20 milioni di persone (circa il 25% della popolazione totale), una cifra enorme se si pensa che in tutto l Azerbaigian essi sono meno di 9 milioni. Le relazioni con Israele, invece, negli ultimi decenni sono andate via via peggiorando, nonostante il fatto che in seguito all indipendenza del paese i rapporti diplomatici tra i due stati fossero relativamente buoni. L Iran è stato il secondo paese musulmano dopo la Turchia a riconoscere lo stato di Israele, e Gerusalemme vedeva inizialmente in Teheran un alleato naturale, in quanto paese etnicamente non arabo. Almeno fino alla caduta della dinastia Pahlavi i due paesi mantennero stretti rapporti, ma in seguito alla rivoluzione iraniana guidata dall Ayatollah Khomeini, Israele, che fino a quel momento aveva avuto buoni rapporti con lo Shah Mohammad Reza Pahlavi, divenne improvvisamente un problema. In seguito alla nascita della Repubblica Islamica vennero infatti interrotti tutti i rapporti diplomatici con Gerusalemme, e da quel momento a Teheran iniziò a diffondersi un sempre più pericoloso e accentuato sentimento anti-sionista. In seguito alla designazione di Ali Khamenei come guida suprema del paese, e alla presa di potere di Mahmud Ahmadinejad, i rapporti tra i due paesi sembrano essere definitivamente degenerati, e il rischio che possa scoppiare un conflitto armato è sempre dietro l angolo. Attualmente l Azerbaigian mantiene ottimi rapporti con Israele, paese con il quale la repubblica caucasica ha avuto da sempre buoni rapporti (la presenza di ebrei in Azerbaigian non è mai degenerata in episodi di antisemitismo), e negli ultimi anni ha notevolmente intensificato i contatti. A testimonianza di questa solida amicizia, circa un anno fa i due paesi hanno firmato un accordo di collaborazione militare del valore di 1,6 miliardi di dollari, che prevede l acquisto da parte dell Azerbaigian di sistemi di sicurezza antimissili, antiaerei e droni dalle principali industrie aerospaziali israeliane. Israele, da parte sua, secondo un intervista rilasciata dal Times a un agente del Mossad, vedrebbe il proprio servizio segreto presente in gran numero nel paese caucasico, ovviamente in funzione anti-iraniana. L Azerbaigian potrebbe dunque rappresentare per Israele un importante base operativa dalla quale far partire eventuali offensive nei confronti del vicino Iran. Da Baku gli aerei israeliani potrebbero infatti raggiungere e colpire i principali punti strategici iraniani, come città, posti di comando e impianti nucleari nel giro di pochi minuti. Qui emerge dunque la strategia geopolitica che sta dietro a questa amicizia, dove da un lato Israele possiede un prezioso alleato al confine con l Iran, mentre dall altro l Azerbaigian può acquisire da Gerusalemme gli armamenti necessari per un eventuale futuro attacco alla contesa regione del Nagorno-Karabakh, che il presidente Aliyev sarebbe pronto a riconquistare con l uso della forza. I due paesi vantano legami ben stretti anche nei campi dell economia e dell energia; infatti Israele è il secondo più grande importatore di petrolio azero dopo l Italia, in quanto più di un sesto dell oro

14 nero acquistato proviene da Baku (circa 30 milioni di barili l anno), che con un volume d affari annuo di oltre 4 miliardi di dollari rappresenta per Gerusalemme il più importante partner commerciale dell area ex-sovietica, mentre per l Azerbaigian Israele rappresenta il quinto principale partner commerciale in assoluto. Inoltre in tempi recenti la compagnia petrolifera statale azera SOCAR ha firmato un contratto con Israele per la creazione di un campo petrolifero presso il bacino di Med Ashod, dove sono già state effettuate le prime perforazioni. Degna di nota è anche la cooperazione nel settore delle telecomunicazioni, dato che in Azerbaigian sono presenti alcune importanti compagnie originarie di Israele come la Bezeq, la più grande compagnia di telecomunicazioni israeliana, e la Bakcell. Infine l Azerbaigian sembra essere fortemente interessato al settore turistico israeliano, campo molto importante per lo stato mediorientale, che spererebbe in questo modo di poter vedere aumentare l esiguo numero di ingressi di turisti azeri nel proprio paese, che potrebbe essere facilitato con una auspicata semplificazione del sistema dei visti d ingresso.

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