La rivoluzione scientifica

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1 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 1 La rivoluzione scientifica Comunemente si considera il Seicento l età in cui finalmente nascerebbe la scienza moderna, con Galileo, Keplero, Newton ecc. Si individuano premesse importanti a questo sviluppo nell età rinascimentale (Leonardo, Cusano, Bruno ecc.) e si ammette che nel mondo greco vi furono, più o meno in tutti campi, quasi per caso, importanti anticipazioni di teorie moderne, anticipazioni che suscitano in genere niente di più che forme di ammirazione e di stupore per il genio dei Greci, considerati incredibili precursori. La tesi fondamentale di Lucio Russo, esposta nel libro La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, la cui prima edizione è del è che questi geniali precursori siano in realtà i veri autori della rivoluzione scientifica, sia per quanto riguarda il metodo, sia per quanto riguarda alcune tra le scoperte più importanti. Molti degli autori moderni, forti dell opera di riscoperta dei testi antichi degli umanisti, non avrebbero fatto che attingere a piene a mani a questi autori antichi, arrivando a volte a spacciare per esperimenti da loro realizzati resoconti di esperimenti effettuati nell antichità. Questo sarebbe dimostrato, tra l altro, dalla coincidenza quasi letterale di alcuni passi di trattati di autori moderni come Galileo con passi di testi di autori antichi come Erone o Archimede. Galileo in particolare, che si considera un accademico o platonico 2, si fa lodare da un personaggio dei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze come segue: Parmi veramente che conceder si possa al nostro Accademico [cioè platonico, Galileo stesso] che egli senza iattanza abbia nel principio di questo suo trattato potuto attribuirsi di arrecarci una nuova scienza intorno a un suggetto antichissimo. Ed il vedere con quanta facilità e chiarezza da un solo semplicissimo principio ei deduca le dimostrazioni di tante proposizioni, mi fa non poco maravigliare come tal materia sia passata intatta da Archimede, Apollonio, Euclide e tanti altri matematici e filosofi illustri, e massime che del moto si trovano scritti volumi grandi e molti 3. In effetti Russo dimostra come Galileo e i suoi contemporanei attingano a piene mani al patrimonio scientifico classico, riscoperto dagli umanisti, e in molti casi ripetano esperimenti che trovano descritti in questa letteratura. Egli fa anche vedere come in molti casi le tecniche sperimentali dei primi scienziati moderni risultino assai più rozze e imprecise di quelli adottate dai loro precursori ellenistici e come spesso il metodo e i presupposti epistemologici 4 sottesi da Galileo e dai suoi contemporanei appaiano assai più confusi e ingenui di quelli elaborati nel contesto raffinato della cultura filosofica antica 5. Se consideriamo le scoperte attribuibili ai Greci ci rendiamo conto quanto la moderna scienza della natura debba ai Greci, anche quando, paradossalmente, (anche se meno spesso di quel che si crede) a causa della perdita delle fonti questa scienza è stata costretta a riscoprire autonomamente le cose che i Greci avevano già scoperto. Infatti, quello che lo sviluppo della filosofia e, quindi, della scienza antica hanno reso possibile, al di là delle singole scoperte e ipotesi, è l apertura di una visione del mondo completamente nuova (cfr. le ipotesi di Cusano e Bruno), all interno della quale i fondamenti della moderna scienza della natura potevano essere concepiti. Quello che nel suo libro Russo intende fare è mostrare l unità dell ispirazione epistemologica e la continuità di fondo di un pensiero scientifico (e filosofico) che solo la conquista romana e, poi, la crisi del mondo antico, con la diffusione del cristianesimo, poterono disperdere. In questo quadro quelli che potevano apparire episodi isolati e incredibili anticipazioni, a partire dall ipotesi eliocentrica di Aristarco di Samo, si rivelano tessere di un unico mosaico. In ciò che segue contaminiamo liberamente indicazioni tratte da Russo, segmenti di un edizione non più in commercio del manuale di Nicola Abbagnano e informazioni tratte da altre fonti. LA FISICA DI ARISTOTELE Per comprendere meglio il significato della rivoluzione scientifica è opportuno richiamare, innanzitutto, la fisica aristotelica, a cui la nuova fisica si contrappone, e che discende dalla metafisica di Aristotele. Cfr. L1, pp Milano, Feltrinelli Sul platonismo di Galileo cfr. il testo ancora fondamentale di Alexandre Koyré, Galileo e Platone, in Introduzione a Platone, tr. Firenze, Vallecchi Galileo [Ed. Naz.], vol. VIII, pp , cit. in Russo, op. cit., p L epistemologia è la filosofia della scienza (episteme). I presupposti epistemologici di qualcuno (in questo caso di Galileo) sono il modo che costui ha di concepire la scienza. In epoche diverse o da persone diverse la scienza viene concepita in modo diverso (ad esempio come conoscenza certa, come conoscenza probabile, come modello ecc.). 5 A questi temi è dedicato il cap. 11 del volume di Russo.

2 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 2 La fisica aristotelica può essere considerata come lo sviluppo in termini matematici (in senso platonico, come catene di ragionamenti capaci di salvare le apparenze ) della metafisica (a sua volta interpretabile come il risultato di dimostrazioni dialettiche in senso platonico, ossia prove per assurdo, puramente razionali). Nel caso emblematico di Dio, ad esempio, dimostrato (dialetticamente) che Egli esiste (perché il moto dei corpi non può non presupporre un motore immobile) il che è propriamente un argomento di metafisica o teologia si può interpretare il moto visibile dei cieli come l effetto della sua azione indiretta (attraverso dei-motori secondari) argomento propriamente matematico, perché fondamentalmente ipotetico, almeno nella visione platonica. C è da osservare, tuttavia, che secondo Aristotele, invece, la Fisica non sembra essere meno scienza della Teologia e non sembra avere fondamento meramente ipotetico, ma pretendere un valore di verità, su basi essenzialmente induttive. Va, soprattutto, tenuto conto dei seguenti aspetti della teoria aristotelica: geocentrismo e distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare (obbedirebbero a leggi naturali diverse) finitezza dell'universo teoria del moto (moti naturali sarebbero quelli circolari degli astri e quello di caduta dei gravi, mentre il moto rettilineo uniforme richiederebbe un motore) misconoscimento della forza di gravità (Aristotele conosce solo il peso come proprietà naturale dei corpi) negazione del vuoto sopravvalutazione dei dati qualitativi rispetto a quelli quantitativi adozione delle cause finali Si tenga conto anche del fatto che la fisica di Aristotele può essere considerata (come diversi esperimenti psicologici hanno confermato) molto vicina alla "fisica ingenua" di un bambino o di una persona che ignora le scoperte della scienza moderna. Aristotele, infatti, prende molto sul serio la testimonianza dei sensi (che ci dice, ad esempio, che la Terra non si muove), mentre, a differenza di Pitagora e Platone, non dà la dovuta importanza alle matematiche per lo studio della natura. L'ORIGINE DEI PRINCIPALI CONCETTI SCIENTIFICI MODERNI Secondo la tesi di Lucio Russo, diversi Greci avrebbero anticipato (soprattutto in età ellenistica, III - II sec. a. C.) la scienza moderna, non solo sotto il profilo metodologico, ma anche per quanto riguarda alcune scoperte fondamentali attribuite (erroneamente) alla rivoluzione scientifica del Cinquecento-Seicento. Tra queste scoperte (tra loro legate): l eliocentrismo (o meglio: l abbandono del geocentrismo) l idea dell infinità del cosmo il principio della relatività del moto il principio di inerzia la nozione di forza di gravità Pare che i Greci non solo avessero anticipato queste scoperte, ma anche gli argomenti che le collegano l una all altra. I principali concetti della fisica moderna hanno avuto, dunque, una lunga gestazione prima della rivoluzione scientifica del Seicento. Lo studio di alcuni dei fili che hanno portato all esplicitazione di tali concetti può aiutare a comprendere le radici (filosofiche) della rivoluzione. Queste ipotesi, dunque, più che rappresentare una concezione moderna dell universo da contrapporre alla visione antica costituiscono argomenti che già diversi filosofi e scienziati greci contrapponevano alla teoria aristotelica. L ELIOCENTRISMO L ipotesi di Aristarco di Samo (III sec. a. C.) è nota: egli si rese conto che supponendo che i pianeti compissero le loro rivoluzioni intorno al Sole (eliocentrismo) e non intorno alla Terra (geocentrismo) si potevano salvare i fenomeni, dal punto di vista matematico, e anche prevederli, in modo molto più semplice che supponendo che tutti gli astri girassero intorno alla Terra, immobile al centro dell universo; ipotesi quest ultima, sistematizzata da Eudosso e Aristotele (IV sec. a. C.), che da un lato meglio sembrava corrispondere all esperienza dei sensi, dall altro lato costringeva a elaborare complesse ipotesi ad hoc per spiegare i moti apparentemente irregolari dei pianeti sulla volta celeste. Come si è giunti, dunque, alla scoperta dell eliocentrismo? L'astronomia del mondo classico nasce sostanzialmente geocentrica, in conformità a quanto sembra venirci attestato dall'osservazione ingenua. Nondimeno il modello geocentrico presenta difficoltà considerevoli, poiché, sebbene tutti i corpi celesti partecipino dell'apparente rotazione diurna intorno alla Terra, le posizioni relative dei corpi nella volta celeste mutano attraverso i giorni, i mesi, gli anni; il che si spiega con difficoltà immaginando la Terra immobile (problema del moto retrogrado dei pianeti e della loro variazione di luminosità). Risalendo dunque alla prima metà del IV secolo, il primo tentativo sistematico di fornire una spiegazione di questa apparente irregolarità di moti fu quello dovuto a Eudosso di Cnido, astronomo dell Accademia di Platone. Sì tratta di un

3 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 3 modello puramente geometrico, il cui intento non è quello di descrivere quali realmente siano i moti dei corpi celesti, bensì quello di salvare i fenomeni, in senso platonico (procedura ipotetico-deduttiva tipica di ciò che i Greci intendevano per matematica ), cioè di fornire una composizione geometrica ideale di moti che riproduca ciò che noi vediamo accadere nella volta celeste. Eudosso, pertanto, scompone il moto apparentemente disordinato dei diversi corpi celesti in una combinazione di più moti circolari uniformi. Il moto circolare era già stato additato infatti come moto perfetto dai Pitagorici e da Platone. Eudosso immagina pertanto che ciascun pianeta possa fingersi collocato nell'equatore di una sfera ideale ruotante intorno ad un asse incernierato in una seconda sfera, fornita anch'essa di un moto rotatorio intorno ad un altro asse inclinato rispetto al primo, e così via fino ad un massimo di quattro sfere. Per il moto delle stelle fisse era sufficiente una sola sfera, per il Sole e per la Luna se ne richiedevano tre, per gli altri pianeti (planetài, cioè stelle erranti) quattro. Il comporsi di tali moti circolari riproduceva con una certa approssimazione ciò che osserviamo nel cielo. Il modello di Eudosso fu accolto fondamentalmente da Aristotele, che vi apportò qualche correzione: non solo aumentò a 55 il numero delle sfere, ma le concepì come sfere reali (non solo matematiche, ma fisiche) formate di etere. Permanevano, nondimeno, all'osservazione talune anomalie inspiegabili, consistenti in rallentamenti e moti retrogradi non completamente chiariti, ma soprattutto in variazioni di luminosità (come ricorda Sofia) che facevano pensare a variazioni di distanza (soprattutto nel moto della Luna, di Mercurio, di Venere e di Marte). Ciò indusse a cercare spiegazioni più soddisfacenti correggendo il modello geocentrico, o abbandonandolo del tutto, secondo un indirizzo già delineato nella scuola pitagorica, o, infine, proponendo soluzioni intermedie. Quest'ultima strada intermedia fu percorsa da Eraclide Pontico, discepolo di Platone, che, pur mantenendo la Terra al centro dell'universo, immaginò che Mercurio e Venere anziché girare intorno alla Terra, girassero intorno al Sole (e, ovviamente, insieme al Sole, intorno alla Terra). Le anomalie di Marte restavano tuttavia inspiegate. Il modello che ne risultava è, salvo determinazioni quantitative che saranno assai più precise, quello che verrà sostenuto nel XVI secolo da Tycho Brahe. Fu in questo groviglio di difficoltà che Aristarco di Samo propose, dunque, con un colpo di genio, il modello eliocentrico, che coincide puntualmente con quello proposto 18 secoli dopo da Copernico. il quale nel 1543 esporrà la sua dottrina nel testo De revolutionibus orbium coelestium (Sulle rivoluzioni dei pianeti). La riscoperta della dottrina di Aristarco permetterà infatti a Copernico di risolvere ( a tavolino, ossia senza ricorrere a particolari osservazioni empiriche) in modo brillante ed elegante (dal punto di vista matematico, come sottolinea Valentina) problemi e le aporie del sistema aristotelico-eudossiano. Nel modello copernicano, come in quello di Aristarco, i problemi del sistema aristotelico sono risolti come segue. Se il Sole è immobile al centro del sistema, i pianeti e la Terra possono finalmente muoversi di moto uniforme lungo orbite perfettamente circolari, senza le complicazioni introdotte dalle sfere aristoteliche e (come vedremo) dagli epicicli tolemaici. Con singolare parallelismo Archimede, operante nel III sec. a. C., (con la scoperta del principio che porta il suo nome, relativo al galleggiamento dei corpi) e Aristarco anticipano, dunque, la rivoluzione scientifica dell'età moderna, il primo nell'ambito della fisica, il secondo dell'astronomia. Si ha l'impressione che la scienza moderna non fece che riprendere un discorso rimasto misteriosamente interrotto nel III secolo a.c. Ad Aristarco (nato intorno al 310) si devono anche i primi tentativi di stabilire le distanze della Luna e del Sole, che portarono tuttavia a risultati inattendibili. Analoghe misurazioni furono fatte successivamente da Ipparco e da Posidonio, che riuscirono a calcolare la distanza della Luna con un errore del 20%, mentre per la distanza del Sole l'errore rimase assai superiore (60%). Tuttavia anche il modello aristarcheo-copernicano presenta problemi per quanto riguarda la sua capacità di salvare i fenomeni (ricordati ancora da Sofia). 1. Come dimostrerà Keplero nel XVII sec. (e possiamo immaginare anticipato in età antica da qualche geniale precursore come la filosofa Ipazia...), sulla base delle attente osservazioni di Tycho Brahe, se dobbiamo salvare i fenomeni fino in fondo, non possiamo ammettere che le orbite dei pianeti siano circolari. Esse devono essere ellittiche (il che riproporrà il problema della necessità di supporre forze di attrazione e repulsione, se ammettiamo, come fanno ancora Copernico e Galileo che il moto circolare uniforme sia naturale). 2. Inoltre, nel modello di Aristarco-Copernico, il moto annuale della Terra intorno al Sole dovrebbe generare una variazione periodica dell angolo di parallasse tra la Terra e due stelle fisse scelte a piacere sulla superficie del firmamento, ossia il fatto che la distanza apparente tra le stelle dovrebbe al mutare della posizione della Terra nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole; parallasse che però non si osserva Infine, il moto della Terra intorno al proprio asse dovrebbe essere percepito dagli uomini: a) dovrebbe spirare un forte vento nella direzione opposta al moto della superficie terrestre, trascinando con sé tutti i corpi mobili (noi lo dovremmo percepire come percepiamo un vento apparente quando ci muoviamo su un carro o su una nave in una certa direzione); b) un oggetto lasciato cadere dall alto dovrebbe descrivere una traiettoria obliqua 6 Se la distanza tra la Terra e le stelle fosse corta come si credeva, il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole dovrebbe modificare ogni sei mesi l ampiezza relativa dell angolo formato dalle stelle tra loro e con la Terra (parallasse): avvicinandosi alla Terra le stelle di un emisfero celeste dovrebbero apparire più vicine e, per effetto prospettico, quasi dilatarsi rispetto a quelle dell emisfero opposto, che dovrebbero quasi restringersi. L assenza di questo fenomeno dimostra o che la Terra è immobile al centro dell universo o che le stelle sono molto lontane (al limite: a distanza infinita) e la variazione di parallasse risulta pertanto impercettibile.

4 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 4 in direzione opposta a quella del moto della Terra. Le obiezioni scientifiche rivolte al modello eliocentrico nel mondo antico erano né più né meno che quelle addotte nell'età moderna contro Copernico e Galileo: in parte di natura geometrica, in parte di natura fisica. Per quanto riguarda il problema della parallasse, va detto che in realtà una minima parallasse esiste, ma a causa della distanza delle stelle è rilevabile solo con strumenti molto raffinati e verrà misurata per la prima volta solo nel 1838 dal Bessel; anzi, la misura della parallasse è appunto il mezzo attraverso il quale si valuta la distanza delle stelle più prossime alla Terra. La vera soluzione del problema implicherà l adozione di un modello di universo infinito (nel quale le stelle possono essere collocate a enorme distanze dalla Terra). Per quanto riguarda la mancata percezione del moto rapidissimo della Terra, richiesto dalla teoria eliocentrica, che dovrebbe anzi produrre su di noi effetti catastrofici, sarà Galileo, mediante una prima formulazione del principio di inerzia, a fornire un parziale chiarimento al problema. Appunto argomenti di questa natura inducevano Ipparco a riaffermare il sistema geocentrico. Ipparco, nato a Nicea, in Bitinia, visse tra il 190 e 120 a.c. ad Alessandria e soprattutto a Rodi. Esplicò un'attenta attività di osservazione del cielo, di cui compilò una mappa con circa 800 stelle localizzate con le loro coordinate astronomiche e valutò con maggior precisione la distanza della Luna e del Sole. Le rilevazioni accurate fatte per determinare le coordinate delle stelle fisse lo condussero alla scoperta del moto di precessíone degli equinozi, che egli attribuì ovviamente alla volta celeste, ma che è di fatto invece un lento moto di rotazione dell'asse terrestre, che descrive in anni un doppio cono con vertice nel centro della Terra. Nel farsi sostenitore del modello geocentrico Ipparco cercò di renderlo più rispondente alle osservazioni empiriche facendo ampiamente ricorso a due ingegnosi meccanismi, le sfere eccentriche e gli epicicli, che presentano ambedue un'evidente analogia con il modello di Eraclide Pontico. Non sappiamo chi per primo li proponesse; sappiamo comunque che erano già noti ad Apollonio e che furono escogitati probabilmente all'inizio del terzo secolo. Le sfere di Eudosso, come quelle di Aristotele, hanno tutte il loro centro nel centro della Terra. Attraverso il modello degli eccentrici si proponeva invece che il centro delle sfere si collocasse in un punto posto sulla retta che congiunge la Terra al Sole; pertanto il centro dell'orbita eccentrica non era fisso, ma descriveva esso stesso un'orbita circolare intorno alla Terra. Si trattava, in sostanza, di un'orbita su di un'orbita. In tal modo i pianeti variavano periodicamente, non solo la posizione rispetto agli altri corpi celesti, ma anche la loro distanza dalla Terra; il che spiegava il variare del diametro della Luna e, soprattutto, il variare della luminosità dei pianeti (problema lasciato irrisolto dal modello di Eudosso- Aristotele), particolarmente sensibile per Venere e Marte. Equivalente da un punto di vista geometrico è la teoria degli epicicli. In questa il pianeta percorre un'orbita circolare secondaria, detta epiciclo, intorno ad un punto, che a sua volta descrive l'orbita primaria, detta deferente, che ha come centro la Terra. Anche qui, pertanto, un'orbita il cui centro si colloca su di un'altra orbita. L'unica differenza sta nel fatto che nell'eccentrico ambedue le orbite racchiudono nel loro giro la Terra, mentre invece nel secondo procedimento la Terra è circondata solo dal deferente e non dall epiciclo, che ha un raggio molto più corto del deferente [vedi figura]. Al modello geocentrico fornì definitiva sistemazione Claudio Tolomeo, vissuto ad Alessandria nel Il secolo d.c. Si occupò, oltre che di astronomia, di matematica, di fisica e di astrologia. La sua opera fondamentale, Sintassi matematica, in 13 libri, successivamente chiamata La Massima (in greco He meghìste, donde il nome arabo Almagesto), accoglie e rielabora coerentemente la molteplicità delle osservazioni, dei calcoli e delle ipotesi sul moto dei corpi celesti. Alla messe dei dati raccolti dai precedenti astronomi, Tolomeo aggiunge quelli provenienti dalle sue osservazioni dirette, e riordina tutto il materiale con raffinati strumenti matematici, facendo ampio uso dei procedimenti già utilizzati da Ipparco. Attraverso il poderoso apparato di dati e di ipotesi, Tolomeo rendeva possibile stabilire quelle tavole, che sono anche oggi tra i compiti dell'astronomia, e che permettono dì calcolare per ogni istante, passato o futuro, la posizione dei corpi celesti. La fisica e la metafisica di Aristotele costituiscono lo sfondo filosofico dell'opera di Tolomeo. Ma il sistema cosmologico risulta, nondimeno, incompatibile con quello aristotelico(!), non solo perché geometricamente diverso, ma anche perché, per far quadrare la teoria con le osservazioni, il modello, più che proporsi come una rappresentazione realistica (fisica), sembra, come già quello di Eudosso, una finzione matematica. Al posto delle 55 sfere aristoteliche, infatti, Tolomeo attribuisce a ciascun pianeta una sola sfera, ma, per rendere conto sia dei moti retrogradi sia della variazione di luminosità/distanza, introduce, come Ipparco, gli epicicli: i pianeti, come sappiamo, non compiono la loro rivoluzione direttamente intorno alla Terra ma intorno a un punto collocato sull orbita che, a sua volta, compie la sua rivoluzione intorno alla Terra. Il problema del modello tolemaico è che orbite ed epicicli non possono più essere costituiti di etere o materia incorruttibile, come nel modello aristotelico, perché questa, essendo impenetrabile, non

5 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 5 consentirebbe la doppia rotazione, ma devono essere pure linee matematiche: bisognerebbe, perciò, reintrodurre il vuoto (che Aristotele confuta: nella sua teoria del moto, in assenza di resistenza, un proiettile si muoverebbe a velocità infinita cioè istantaneamente!) ed ammettere che il moto effettivo del pianeta (al di là della sua descrizione matematica) sia effettivamente irregolare (una sorta di moto a elica) e non circolare uniforme (come richiesto dalla teoria del moto di Aristotele), richiedendo il ricorso a forze ignote. Ovviamente il contrasto tra modello aristotelico e modello tolemaico determinò polemiche tra filosofi ed astronomi, che finirono tuttavia con il sedarsi, pur senza risolvere le contraddizioni, e lasciarono il posto a quello che oggi chiamiamo sistema aristotelico-tolemaico, che unifica almeno nel nome quello che è inconciliabile nella sostanza. Tale modello trovava completamento nelle teorie astrologiche esposte sistematicamente nel Tetrabiblion, ove Tolomeo tentava di fornire fondamento scientifico alle credenze astrologiche, ricollegandole alla visione finalistica del mondo e al principio dell'organica compenetrazione del mondo umano con il mondo fisico. L'opera di Tolomeo rappresentò fino alla rivoluzione copernicana il fondamento della cultura astronomica e astrologica soprattutto durante il Medioevo, per la sua (presunta) compatibilità con la concezione implicita nella Bibbia, allo stesso modo in cui gli Elementi di Euclide lo furono della cultura matematica. Nonostante tutto questo, anzi proprio alle luce di questi sviluppi, possiamo apprezzare l importanza dell ipotesi eliocentrica di Aristarco, che sarebbe stata ripresa da Copernico. In primo luogo essa resta di grande valore epistemologico perché sottolinea il metodo adoperato dai matematici Greci, consistente nel formulare ipotesi, spesso francamente controfattuali (cioè contrarie all esperienza dei sensi), allo scopo di salvare le apparenze (i fenomeni) ricorrendo a modelli matematici semplici. In secondo luogo sappiamo per certo che Copernico attinge alla fonte greca nell elaborare il suo sistema, sicché sarebbe francamente ingeneroso considerare quella di Aristarco soltanto una curiosa anticipazione della teoria copernicana. Quella di Aristarco, inoltre, non fu un ipotesi che venne così presto dimenticata, come a volte si legge, a vantaggio delle teorie geocentriche di Aristotele e Tolomeo. Infatti la citano ancora, tra gli altri, autori tardi come Plutarco e Simplicio. Ma è ancora più interessante la congettura di Russo, secondo cui il sistema eliocentrico era talmente noto presso i matematici greci da indurre Archimede di Siracusa, che certamente conosceva la teoria di Aristarco, citandola nel proprio Arenario, a costruire un vero e proprio modello di esso, in forma di planetario. La congettura si basa sulla seguente testimonianza di Cicerone: L'invenzione di Archimede è da ammirarsi in quanto egli aveva escogitato in qual modo una sola conversio potesse riprodurre i diversi e vari percorsi, con moti tra loro contrastanti 7. Russo ha buon gioco ad argomentare che questa conversio o rivoluzione non poteva che essere quella dei pianeti intorno al Sole, dal momento che per costruire un planetario geocentrico, peraltro molto più macchinoso e di dubbia realizzabilità, si sarebbero dovute progettare molte più conversiones (corrispondenti agli eccentrici e agli epicicli del sistema tolemaico o alla sfere celesti del sistema aristotelico). Le notizie relative alla costruzione di altri planetari in epoche successive suggeriscono a Russo che il modello eliocentrico, almeno come ipotesi matematica, non sia stato abbandonato tanto presto 8. Cfr. anche L, pp L INFINITÀ DELL UNIVERSO Una fondamentale ipotesi, che permette di superare l obiezione contro l eliocentrismo (ripetuta anche in età moderna, ma già attestata per l antica). che consiste nel denunciare l assenza di parallasse per quanto riguarda le stelle fisse, è, come ricorda Fabio, quella dell infinità dell universo. Se la distanza tra la Terra e le stelle è enorme, infatti, è lecito attendersi che non si registri alcuna parallasse anche in un modello eliocentrico. Il primo che per difendere la dottrina di Aristarco si risolse a introdurre l ipotesi dell infinità dell universo pare che sia stato Seleuco, seguito poi da Gemino, nel I sec. a. C 9.. Consideriamo che l'infinità dell'universo può venire sia (filosoficamente) dedotta dal Principio (o preteso tale), grazie a uno speciale argomento (una causa onnipotente non può che avere un effetto infinito), adoperato da Cusano e da Bruno; sia (matematicamente) ricavata come ipotesi necessaria per salvare il fenomeno della mancata parallasse delle stelle fisse (questa parallasse si dovrebbe riscontrare nell'ipotesi eliocentrica di Copernico, qualora le stelle si trovassero a distanza finita, come lo stesso Copernico credeva). Ora: se l universo è infinito non ci sono punti privilegiati, quali il centro o la periferia, rispetto ai quali sia possibile distinguere se un corpo sia in quiete o in moto. Si annuncia quindi l idea della relatività del moto, che, a sua volta, permette di consolidare l eliocentrismo (la Terra può girare intorno al proprio asse e intorno al Sole senza che ce ne accorgiamo).. 7 Cicerone, De republica, I, xiv, 22, cit. in Russo, op. cit., p Cfr. Russo, op. cit., p Cfr. Russo, op. cit., pp

6 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 6 E abbastanza noto come ad analoghe considerazioni siano stati mossi, in epoca rinascimentale, autori come Niccolò Cusano e Giordano Bruno, verosimilmente attingendo alla fonti della sapienza antica. Russo non se ne occupa, ma ci si può chiedere ancora una volta se l ipotesi dell infinità dell universo non presupponga a sua volta la concezione filosofica di Anassimandro di Mileto, VI sec. a. C., che considerava infinito (àpeiron) il principio (permanente) dell universo, o quelle di Melisso di Samo (V sec. a. C.) e degli atomisti che, per ragioni diverse, consideravano infinito l universo stesso. Si tratta, in generale, di concezioni filosofiche che questi autori variamente argomentavano attraverso ragionamenti (tra i quali non possiamo escludere considerazioni anche di tipo astronomico) che, da un altro punto di vista, costituiscono di fatto vere e proprie ipotesi scientifiche (o, con la terminologia dell epistemologo del Novecento Imre Lakatos, veri e propri programmi di ricerca ), a confutazione peraltro del luogo comune che vorrebbe la mentalità greca refrattaria a ogni nozione di infinito attuale 10. La diffusione di queste concezioni moderne presso gli astronomi greci, a volte anche in forma parziale o contraddittoria, ossia presso autori che si attenevano a modelli geocentrici, spiega, secondo Russo, come si potessero sviluppare ipotesi secondarie di grande interesse quali quelle: del moto delle stelle fisse, della somiglianza tra il Sole e le altre stelle, dell enormità della grandezza delle stelle e del Sole rispetto alla Terra, tutte ipotesi che non sono necessarie se si ammette un cosmo geocentrico, ma diventano indispensabili corollari (implicazioni) del sistema eliocentrico 11. Cfr. anche L, pp (su Giordano Bruno) LA RELATIVITÀ DEL MOTO L eliocentrismo presuppone l ipotesi del movimento della Terra, attestata per Eraclide Pontico (IV sec. a. C., dunque precursore di Aristarco), Iceta, Ecfanto 12. Tale ipotesi implica, a sua volta, quella della relatività del moto, esplicitata da Galileo (nel Dialogo sui massimi sistemi, con il celebre esempio del moto della nave, che riprende un ipotesi di Bruno e forse di Ipazia, come ricorda Sofia relativa alla caduta perpendicolare di un grave dall albero di una nave) e, dopo una fase di crisi legata alla nozione di spazio assoluto in Isaac Newton (seconda metà del XVII sec.), ripresa, come è ben noto, con ben altre conseguenze, da Albert Einstein (XX sec.). Infatti se è la Terra che si muove, piuttosto che il Sole o il cielo delle stelle fisse, l apparenza di quiete di cui noi facciamo esperienza può dipendere solo dal fatto che quiete e moto, in ultima analisi, siano concetti relativi al punto di vista dell osservatore. La necessità di assumere come sistema di riferimento quello solidale con l'osservatore scaturisce abbastanza naturalmente, del resto, dall'impossibilità di assumere altri riferimenti fissi, come il centro o i confini dell'universo, se si concepisce l'universo stesso come infinito. Si consideri solo il seguente passo di Euclide (III sec. a. C.) Se si muovono nella stessa direzione l'occhio e diversi corpi che si spostano con velocità diversa, quelli che si muovono con la stessa velocità dell'occhio sono giudicati fermi, quelli più lenti appaiono muoversi all'indietro e quelli più veloci in avanti 13. E inutile sottolineare l importanza non solo in campo fisico, ma più latamente culturale ed epistemologico di questo principio. Per il principio di relatività del moto il solo moto naturale è quello rettilineo uniforme (si tratta, infatti, di una forma di quiete, rilevabile come tale a condizione che si adotti l'opportuno sistema di riferimento). Pertanto quelli che Aristotele (come, per certi aspetti, ancora Galileo) considerava moti naturali, ossia quello perfettamente circolare degli astri e quello di caduta verticale dei gravi (tendenza dei corpi a raggiungere i rispettivi "luoghi naturali") non possono più essere considerati naturali, ma devono essere considerati violenti (ossia, nei termini di Aristotele, effetto di una forza motrice, interpretata a sua volta come l'azione di un vivente, dotato di anima). IL PRINCIPIO DI INERZIA Un altra implicazione indiretta dell eliocentrismo è il principio di inerzia. Il principio di inerzia, infatti, è connesso con la relatività del moto, se si ammette che il cosiddetto moto naturale uniforme, tipico moto inerziale, altro non è che una forma di quiete, considerata all interno di un diverso sistema di riferimento. L estensione di questa considerazione ai moti accelerati, come è noto, è alla base della teoria della relatività generale di Einstein che propone, infatti, un ulteriore estensione del principio di inerzia. 10 A rigore si dovrebbe parlare piuttosto del rifiuto aristotelico di ammettere un infinito in atto. Si può ragionevolmente ritenere che Aristotele non si sarebbe dato pena di negare qualcosa se qualcun altro non l avesse sostenuta, a riprova del fatto che il tema dell infinito in atto (e non solo in potenza) doveva essere vivo nel dibattito scientifico-filosofico greco. 11 Cfr Russo, op. cit., pp Cfr Russo, op. cit., pp Euclide, Ottica, prop. 51 cit. in Russo, op. cit., p. 197.

7 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 7 La domanda, ora, è se anche i Greci fossero giunti a trarre tutte le conclusioni delle loro scoperte. Indipendentemente dal modo in cui ci giunsero, vi è un passo di Erone (II a.c.) che documenta come il principio di inerzia, in quanto strettamente connesso al concetto di attrito, fosse noto: Dimostreremo che i pesi in una tale posizione [posti cioè su un piano orizzontale privo di attrito] possono essere mossi da una forza minore di qualsiasi forza data 14. Lo stesso Russo ricorda le anticipazioni di tale nozione presso i filosofi atomisti. In Galileo l enunciazione del principio di inerzia suona: Qualsiasi mobile, su un piano equidistante dall'orizzonte, sarà mosso da una forza minima, anzi anche da una forza più piccola di qualsivoglia altra forza 15. Si direbbe che Galileo riprenda quasi alla lettera Erone senza citarlo! Cfr. anche L, pp (i principi della relatività del moto e di inerzia in Galileo), L, p (ricorso a questi principi per dimostrare il moto della Terra nel Dialogo sui massimi sistemi) LA FORZA DI GRAVITÀ Un altra implicazione indiretta dell eliocentrismo è la nozione di forza di gravità. Se infatti la Terra si muove nello spazio non si possono più ammettere, come nella concezione aristotelica, un alto e un basso assoluti, ma questi termini diventano relativi a ciascuno degli astri in movimento. Questi astri, quindi, devono esercitare una forza sia sui corpi che si trovano sulla loro superficie, sia su quelli che si trovano al di sopra o al di sotto della superficie stessa, sia gli uni sugli altri. Solo così, infatti, si può spiegare l effetto del peso. Un passo importantissimo di Plutarco (I sec. d.c.) collega la nozione di inerzia con quella di forza di gravità. Certo [secondo alcuni] la luna è trattenuta dal cadere dallo stesso moto e dalla rapidità della sua rotazione, proprio come gli oggetti posti nelle fionde sono trattenuti dal cadere dal moto circolare. Il moto secondo natura [κατα φυσιν κινησις] guida infatti ogni corpo, se non è deviato da qualcos'altro. Perciò la luna non segue il suo peso, [che è] equilibrato dall'effetto della rotazione. Ma si avrebbe forse più ragione di meravigliarsi se essa restasse assolutamente immobile e fissa come la terra. [... ] [Vi sono poi le dottrine] strane e stravaganti [di] coloro che introducono la spinta [φορα] verso il centro [επι το µησον]. [... ] Forse che massi incandescenti del peso di mille talenti, spinti attraverso le profondità della terra, qualora giungessero al centro si fermerebbero, senza incontrare nulla cui appoggiarsi, e se, spinti verso il basso con velocità, superassero il centro, si volgerebbero di nuovo indietro e andrebbero su e giù tra questi [punti di svolta]? [... ] Forse che una corrente impetuosa d'acqua spinta verso il basso, se giungesse al punto centrale, che essi stessi dicono in corporeo, starebbe ferma sospesa, girerebbe in cerchio, oscillando con una incessante e perpetua oscillazione? 16. In questo passo Lampria, un personaggio del dialogo di Plutarco, deride alcune teorie che giudica paradossali. Nell interpretazione che offre Russo sembra che Plutarco, per bocca del suo personaggio, si attenga fondamentalmente alla dottrina aristotelica dei moti naturali. Tanto il moto del sasso quanto quello della Luna sarebbero moti naturali, cioè tali da non richiedere l applicazione di forze (come richiedono, per Aristotele, invece, i moti violenti): il moto del sasso dovrebbe avvenire dall alto verso il basso mentre quello della Luna si svolge in forma circolare. Se il sasso si muove, invece, anch esso di moto circolare, è evidentemente solo perché è trattenuto dalla fionda. Tuttavia, questa interpretazione non spiega perché venga istituita una tale similitudine ( proprio come ) tra moti tanto diversi per origine, simili solo nel risultato finale (il moto circolare). Se cerchiamo di ricostruire le teorie che sono oggetto di derisione di Lampria (e che rappresentano la fonte di Plutarco) i conti sembrano tornare. Ammettiamo che per la fonte di Plutarco, al contrario che per Aristotele, non sussista una differenza sostanziale tra moti celesti e moti terrestri (teoria moderna che tuttavia è perfettamente compatibile con gli sviluppi dell astronomia di Aristarco e con concezioni come quelle degli atomisti e di altre scuole filosofiche): la teoria sottintesa sarebbe la seguente: vi è effettivamente una spinta verso il centro responsabile dell accelerazione di gravità (cfr. gli esempi del peso e dell acqua): questa applicata alla Luna spiega il moto circolare di questo astro, che risulterebbe dalla combinazione di un moto naturale uniforme, per sua natura rettilineo!, e dell azione esercitata dalla forza stessa, esattamente come nel caso della curvatura impressa al moto di un sasso da una fionda. Assistiamo, in sostanza, alla spiegazione newtoniana della rivoluzione dei corpi celesti! Questa interpretazione sembra confermata da un interessante passo di Plotino che Russo non cita. Plotino (III sec. d.c.), nel trattato Sul moto circolare, che fa parte della sua opera fondamentale, le Enneadi, dice: 14 Erone, Mechanica, I, iv, 20, cit. in Russo, op. cit., p Galileo [Ed. Naz.], vol. I, p Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 933B, cit. in Russo, op. cit., p. 307.

8 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 8 Il movimento circolare risulta composto del movimento del corpo e di quello dell'anima, e siccome il corpo si muove per natura in linea retta e l'anima lo trattiene, dai due deriva quel movimento (circolare) che ha del moto e della quiete 17. Qui la funzione della forza del passo di Plutarco è assegnata all anima (di cui, nella concezione neoplatonica, sono dotati i corpi celesti): il presupposto resta il moto rettilineo uniforme concepito come naturale. Se si trattasse semplicemente della variazione impressa violentemente da un anima a un moto naturale di tipo aristotelico, per esempio dall alto verso il basso, questa non darebbe come risultato un moto circolare, ma piuttosto un moto irregolare. Qui Plotino si riferisce invece ai corpi celesti a cui, come la fonte di Plutarco, ma a differenza di Aristotele, egli attribuisce un comportamento analogo a quello proprio dei corpi terrestri. Per quanto riguarda l azione dell anima, supposta da Plotino, che pare spostare la questione in un ambito del tutto lontano da quello scientifico, bisogna spogliare questo termine di ogni sovradeterminazione spiritualistica e ricordare che presso i classici l anima altro non era che il motore dei corpi, il principio del movimento. Talete (VII sec. a.c.) spiegava l azione a distanza del magnete sui corpi ferrosi attribuendogli un anima. Ancora Keplero (XVII sec. d.c.) attribuiva un anima ai pianeti, restando nel solco della tradizione platonica, e paragonava l azione esercitata dal Sole su di essi a quella di un magnete. Russo cita una messe di esempi di autori che, presupponendo teorie simili a quella riferita da Plutarco, giungono coerentemente a formulare ipotesi secondarie come quella dell incremento di velocità della Luna in corrispondenza a una sua maggiore prossimità alla Terra (cioè al perigeo, anticipazione delle leggi di Keplero), l attribuzione esplicitamente alla gravità della spinta verso il basso impressa a tutti i corpi ecc Russo finisce, poi, per riconoscere nelle opere perdute dell astronomo Ipparco (II sec. a.c.) la fonte comune di tutte queste teorie moderne. Un passo di Seneca (I sec. d.c.) sembra estendere ancora di più la portata di queste concezioni relative alla forza di gravità e all inerzia, ricollegandole esplicitamente a un modello eliocentrico. Di queste cinque stelle [cioè i pianeti], che si mostrano a noi e apparendo ora in un luogo e ora in un altro non possono non suscitare la nostra curiosità, da poco abbiamo cominciato a capire come sorgano al mattino o alla sera, dove stazionino, quando si spostino in linea retta, perché ritornino indietro; se Giove si immerga o tramonti o sia retrogrado (questo nome infatti gli hanno attribuito quando resta indietro), l'abbiamo stabilito da pochi anni. [...] Abbiamo trovato chi ci ha detto: "Sbagliate, pensando che qualche stella interrompa il suo cammino o lo inverta. Non è permesso ai corpi celesti fermarsi né invertire il moto; tutti avanzano: come una volta sono stati lanciati, così procedono; la fine del loro cammino coinciderebbe con la loro stessa fine. Quest'opera eterna ha moti irrevocabili: se dovessero arrestarsi, quei [corpi] ora conservati dal loro moto regolare cadrebbero gli uni sugli altri. Qual è allora il motivo per cui alcuni sembrano tornare indietro? L'intervento del Sole e la natura dei percorsi e delle orbite circolari, disposte in modo che per un certo tempo ingannano gli osservatori, impone loro un'apparenza di lentezza: così le navi, sebbene procedano a vele spiegate, sembrano tuttavia star ferme". Senza addentrarci nella complessa discussione che Russo fa di questo passo, esso appare senz altro compatibile, fin dalla prima lettura, con un modello eliocentrico, mentre risulta difficilmente compatibile con un modello geocentrico, anche nell ipotesi che si introducano epicicli ed eccentrici per spiegare il riferimento alle orbite circolari. Infatti non si spiegherebbe il riferimento al Sole e soprattutto il riferimento alle navi, in rapporto all inganno dell osservatore, modello adottato per illustrare la relatività del moto già dall antichità 19, anch esso ripreso da Giordano Bruno e Galileo (rispettivamente nella Cena delle Ceneri e nel Dialogo sui massimi sistemi) come modello della condizione inerziale di un osservatore terrestre dei moti celesti. Ma il punto più interessante riguarda l ipotesi della caduta dei pianeti gli uni sugli altri nel caso che essi, per assurdo, si arrestassero. Russo interpreta questa ipotesi come un estensione di quella riferita da Plutarco e relativa alla Luna. Come nel caso della Luna la combinazione del suo moto naturale rettilineo e dell azione gravitazionale della Terra le impedisce di precipitare sulla Terra stessa, così anche nel caso degli altri pianeti, il loro moto circolare li preserva dal cadere gli uni sugli altri. Proprio quest interpretazione dinamica dell ipotesi della caduta permette di escludere che Seneca abbia in mente un modello geocentrico: si parla infatti, in caso di arresto, di caduta dei pianeti gli uni sugli altri e non sulla Terra! Inoltre il sistema tolemaico geocentrico degli epicicli sarebbe compatibile con un interpretazione matematica del moto dei pianeti, ma non renderebbe conto dinamicamente delle loro interazioni gravitazionali e, soprattutto, della funzione del Sole in rapporto a queste. Un ulteriore conferma della congettura secondo cui il sistema eliocentrico sarebbe stato diffuso insieme a una coerente teoria gravitazionale è offerta da un oscuro passo di Vitruvio (che ne sviluppa un altro di Plinio il Vecchio): La potente forza del sole attira a sé i pianeti con raggi estesi a forma di triangolo e come se li frenasse e trattenesse quando corrono in avanti non permette loro di avanzare ma [li costringe] a ritornare verso di sé e ad essere in un "signum" dell'altro triangolo. Forse si vorrà sapere perché il sole nei suoi ardori attiri indietro nel quinto "signum", invece che nel secondo o terzo, che sono più vicini. Esporrò perciò in qual modo ciò sembri accadere. I suoi raggi si 17 II, 2, 1, Cfr Russo, op. cit., pp Cfr. Lucrezio, De rerum natura, IV, , cit. in Russo, op. cit., p. 318.

9 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 9 estendono nell'universo lungo linee a forma di triangolo con lati eguali. Ciò però non si estende né più né meno che al quinto "signum" da sé. Quindi [... ] 20. Russo muove dall ipotesi che Plinio (I sec. d.c.) e Vitruvio non fossero più in grado di intendere il senso dell originale greco. Se, in sede ricostruttiva, si suppone che il latino signum corrisponda al greco semèion nel significato di punto e gli ordinali secondum, tertium e quintum sostituiscano le lettere greche beta, gamma ed epsilon che a tali ordinali corrispondevano e si formulano altre supposizioni, su cui qui non è possibile diffondersi, ne risulta una figura di questo tipo: L interpretazione di Russo è la seguente: Il significato della figura è chiaro. Essa mostra come l'orbita (supposta circolare) di un pianeta possa essere costruita con una successione di piccoli tratti, ciascuno dei quali è ottenuto con la composizione di due spostamenti simultanei: uno lungo la tangente dell'orbita (spostamento che sarebbe quello reale del pianeta se, in assenza dell'azione del Sole, esso potesse procedere in linea retta, come dice Plinio) e un altro diretto verso il Sole. La figura non è altro che un'illustrazione dell'idea riferita in modo qualitativo da Plutarco: il moto del pianeta appare infatti il risultato di una successione di spinte verso il centro. Per quanto riguarda lo strumento tecnico dell'addizione dei vettori spostamento, [...] essa non solo è riferita da Erone e dall'autore della Meccanica pseudo-aristotelica, ma è anche usata dallo pseudo Aristotele proprio per spiegare come un moto circolare uniforme possa essere considerato una combinazione continua di uno spostamento secondo natura (κατα φυσιν) lungo la tangente con uno spostamento contro natura (παρα φυσιν) diretto verso il centro. La figura che abbiamo disegnato spiega l'origine delle affermazioni di Plinio e di Vitruvio (altrimenti difficilmente comprensibili) che i pianeti sono trattenuti dal proseguire in linea retta da raggi del Sole a forma di triangolo 21. In ultima analisi questi passi di autori tardi e di ambito latino attestano la diffusione non solo del sistema eliocentrico, ma anche di una sua coerente interpretazione gravitazionale. In questo contesto non va dimenticata la teoria (magico-alchemica) della simpatia cosmica, diffusa soprattutto nel Rinascimento, secondo cui i simili si attraggono e i diversi si respingono. Da questa deriva, in età moderna, la nozione di attrazione a distanza, da cui origina l idea di gravitazione universale. Keplero, come già accennato, rappresenta una tappa importante: per giustificare il suo sistema basato su orbite non più circolari (dunque perfette) ma ellittiche (introdotte per salvare fenomeni che sfuggivano all'esatta previsione dello stesso Copernico), egli è costretto (almeno in un primo tempo) a postulare che l'amore sia la forza che muove i pianeti intorno al Sole (cfr. anche la concezione sviluppata da Platone nel Simposio). In un secondo tempo Keplero suppone che l'azione gravitazione del Sole sia un'azione di tipo magnetico. Tra le ipotesi secondarie formulate dai Greci sulla base delle teorie fin qui esposte relative alla gravità Russo ricorda: la spiegazione sulla base della nozione di centro di gravità della forma sferica della Terra e degli astri, la pluralità dei centri di gravità, il problema del comportamento di un corpo collocato equidistante tra questi centri, l interazione gravitazionale tra astri, l azione gravitazionale sia del Sole che della Luna come interpretazione del fenomeno della maree (attribuibile già a Seleuco, III sec. a.c.), frainteso ancora da Galileo e altri scienziati moderni 22. IL METODO SCIENTIFICO DEI GRECI La nozione di ipotesi e la distinzione tra fisica e matematica La vera scoperta dei Greci è il metodo scientifico caratterizzato da un rigoroso procedimento dimostrativo, criteri quantitativi e un approccio sperimentale. Per quanto riguarda la dimostrazione Russo riconosce che la sua regolazione risale almeno ad Aristotele e alla sua teoria del sillogismo. A ragione precisa, però, che la dimostrazione sillogistica fu un elemento importante del metodo scientifico, al quale tuttavia potette dar vita solo combinandosi con altri elementi, che, generando le teorie scientifiche, alterarono profondamente anche lo stesso metodo dimostrativo 23. Questi altri elementi sono senz altro documentati massicciamente solo a partire dall età ellenistica (III sec. a. C.); tuttavia è probabile che nell epoca ellenistica ci si sia in molti casi limitati a trascrivere in forma sistematica (si pensi al caso degli Elementi di Euclide) procedimenti dimostrativi che erano già ben chiari nella mente dei filosofi nell epoca classica o perfino arcaica, la quale era caratterizzata da una netta prevalenza della cultura orale. Il primo elemento caratterizzante il procedimento scientifico di dimostrazione è l ipotesi. L interesse epistemologico che questo tema riveste deriva dal fatto che la nozione di ipotesi è caratteristica, più ancora che della scienza moderna (XVII-XIX sec.), di quella contemporanea (XX sec.) che ragiona più per modelli esplicativi dei fenomeni che approssimazioni a una realtà presunta oggettiva. 20 Vitruvio, De Architectura, IX, i, 12, cit. in Russo, op. cit., p Russo, op. cit., pp Cfr. Russo, op. cit., pp Sul fraintendimento della causa delle maree cfr. Russo, op. cit., pp. 390 ss. 23 Russo, op. cit., p. 162

10 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 10 Archimede, descrivendo l'eliocentrismo di Aristarco di Samo, scrive che Aristarco pubblicò i testi di alcune ipotesi [υποθησιων τινων εξεδωκεν γραφας] 24. Del medico Erofilo è attestato che affermasse: Siano descritte per prime le apparenze [φαινοµενα] anche se non sono prime 25. Ed ecco la fondamentale citazione da Simplicio (VI sec. d.c.): È proprio dell'indagine fisica considerare ciò che riguarda la sostanza del cielo e degli astri, la loro potenza e qualità, la loro generazione e corruzione [... ]. L'astronomia invece non si occupa di tutto ciò [... ]. In molti casi astronomi e fisici si occupano degli stessi argomenti, ad esempio della grandezza del Sole o della sfericità della terra ma non seguono la stessa via. L'uno infatti [il fisico] dedurrà ogni cosa dalla sostanza o dalla potenza o da ciò che è meglio che sia o dalla generazione e dalla trasformazione, l'altro invece [l'astronomo] dalle opportune figure o dalle grandezze o dalla misura del moto e del tempo corrispondente. Il fisico in molti casi coglierà la causa individuando la potenza produttrice, mentre l'astronomo, dovendo basarsi su ciò che è esteriore, non sarà un giusto osservatore della causa [... ]. A volte [l'astronomo] attraverso un'ipotesi [υποθησις] trova il modo di salvare le apparenze. Ad esempio perché il sole, la luna e i pianeti appaiono muoversi irregolarmente? Se supponiamo che le loro orbite circolari siano eccentriche o che gli astri si muovano su un epiciclo, l'irregolarità che appare sarà salvata e bisognerà investigare in quanti modi diversi si potranno rappresentare le apparenze [φαινοµενα] 26. Analogamente ancora S. Tommaso d Aquino (XIII sec. a.c.): Ci sono due modi diversi di render conto di una cosa. Il primo consiste nello stabilire con una dimostrazione sufficiente l'esattezza di un principio da cui questa cosa deriva; così, in fisica, si dà una ragione sufficiente a provare l'uniformità dei moti del cielo. Un secondo modo di render ragione di una cosa consiste non nel dimostrarne il principio con una prova sufficiente, ma nel far vedere come gli effetti si accordino a un principio precedentemente posto; così, in astronomia si rende conto degli eccentrici e degli epicicli per il fatto che, per mezzo di quest'ipotesi, si possono salvare le apparenze sensibili relative ai moti celesti; ma non è, questo, un motivo sufficientemente probante, perché questi moti apparenti si potrebbero salvare per mezzo di un'altra ipotesi 27. Come è noto, proprio su distinzioni come queste si è fondato il consiglio dato dal cardinale Bellarmino a Galilei: Dico che mi pare che V.P. et il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente [...]. Perché il dire che, supposto che la terra si muova et il sole stia fermo, si salvano tutte le apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma volere affermare che realmente il sole stia nel centro del mondo e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall oriente all occidente, e che la terra stia nel terzo cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto pericolosa non solo d irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante 28. In passi come questi emerge chiara la consapevolezza dei Greci (e dei loro eredi medioevali e moderni) della distinzione, fondamentale dal punto di vista epistemologico, tra un sapere che si pretende assoluto e un sapere dipendente del punto di vista dell osservatore. Richiamando il concetto di ascendenza platonica e aristotelica del τα φαινοµενα σωζειν (salvare i fenomeni) Russo ha buon gioco nell interpretare la funzione dell ipotesi presso i Greci come quella, appunto, di rendere conto dei fenomeni osservati, senza necessariamente impegnarsi sulla valenza ontologica dell ipotesi introdotta come causa reale. Le ipotesi, υποθησεις, indicate anche come αιτηµατα (postulati), λαµβανοµενα (assunzioni), sono ciò che si presuppone, richiede, assume per procedere nella dimostrazione, senza con ciò affermarne la verità 29. Questa relatività del punto di vista, con la connessa possibilità di formulare ipotesi diverse per spiegare lo stesso fenomeno, si è tradotto, almeno implicitamente, in un più ampio principio di relatività che, riguardando lo stesso sistema cosmologico, ha potuto generare (come abbiamo visto) concetti fisici fondamentali quali il principio di inerzia e la forza di gravità. La differenza tra i fisici e i matematici, in senso antico, ripropone quella tra coloro che si occupano delle vere cause (o 24 Cit. in Russo, op. cit., p P. Londinensis, 137, cit. in Russo, op. cit., p Simplicio, In Aristotelis Physicorum libros commentaria, vol. IX, 291, , 19 cit. in Russo, op. cit., p Tommaso d Aquino, Summa theologica, parte I, questione XXXII, art. I, cit. in Russo, op. cit., p Galileo, Ed. Naz., vol. XII, pp , cit. in Russo, op. cit., p Cfr Russo, op. cit., p. 193.

11 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 11 principi) dei fenomeni e coloro che si limitano a introdurre ipotesi esplicative degli stessi. Questa precisazione terminologica è tanto più importante in quanto, per Russo, una delle ragioni per cui per tanto tempo si è considerata ingiustamente arretrata la fisica greca rispetto a quella moderna è che si è cercata la fisica nelle opere con questo titolo, come per esempio quelle aristoteliche, e non in opere che i Greci consideravano di matematica ma che noi considereremmo a pieno di titolo di fisica, quali il trattato di Archimede Sui galleggianti e Sull'equilibrio delle figure piane o l'ottica di Euclide, nonché opere di autori come Ctesibio, Erone, Filone, Ipparco ecc. (di astronomia, meccanica, idrostatica ecc.) 30. Un caso particolare di ipotesi, molto significativo, è offerto dall introduzione di neologismi ad hoc in funzione dello sviluppo di una teoria, per identificare oggetti teorici per i quali mancavano termini adeguati nel linguaggio comune; in altre parole l introduzione di una terminologia scientifica, esemplificata da proposizioni come la seguente di Archimede: Assumiamo che la figura racchiusa da un'ellisse che ruota, con l'asse maggiore fermo, fino a tornare nella posizione iniziale sia detta sferoide [σφαιροιδης] 31 Origine platonica della distinzione tra ipotesi (o postulati) e principi Ora, questa distinzione tra ipotesi e principi, evidentemente presupposta all elaborazione in età ellenistica di trattati, come gli Elementi di Euclide, la cui organizzazione sistematica di tipo ipotetico-deduttivo, secondo Russo, segnerebbe il vero inizio del metodo scientifico, risale, in realtà, come sappiamo, almeno a Platone. Questi, come è noto, in un celebre passo della del VI libro della Repubblica distingue come segue le due scienze fondamentali della matematica e della dialettica (o filosofia) 32. AB: BC = BC : AC ; AC : CD = CD : AD ; BC : BE = BE : CE ; AC : AD = BC : CE ; AC : CD = AB : BC (sezioni auree) (proporzioni tra sezioni) opinione (fenomeni) scienza (essenze) A D C E B immagini cose figure geometriche idee, specie, essenze (ombre, piante numeri riflessi) animali RAGIONE (diànoia) INTELLIGENZA (noûs) immaginazione esperienza matematica dialettica logica scienze principio an-ipotetiico ipotesi ipotesi conclusioni Nel VI libro della Repubblica, come abbiamo studiato lo scorso anno, Platone fa descrivere a Socrate, in dialogo con Glaucone, un modello della relazione tra le diverse forme del sapere: una linea divisa in 4 segmenti che rappresentano ciascuno un diverso grado di conoscenza. La prima parte della linea AC (relativa all opinione, dòxa) sta alla seconda parte BC (relativa alla scienza, epistéme), come la metà della prima parte AD sta alla seconda metà della prima parte CD. Dunque le immagini e le ombre (AD) rappresentano simbolicamente tutta la realtà sensibile (AC), mentre le cose visibili (CD) rappresentano simbolicamente le idee (BC). Si tratta di un modello del tutto corrispondente al celebre mito della caverna (che segue immediatamente il testo sulla linea): le immagini proiettate dentro la caverna rappresentano il mondo sensibile, mentre le cose visibili al di fuori della caverna rappresentano le idee. Il Sole, come ciò che rende visibili (conoscibili) tutte le cose (le idee) e le fa anche vivere (esistere), rappresenta simbolicamente il Principio (o l idea di Bene). 30 Cfr Russo, op. cit., pp. 211 ss. e p Archimede, Sui conoidi e gli sferoidi, 155, 5-8 cit. in Russo, op. cit., p Cfr. Platone, Repubblica, libro VI, 510c-511e

12 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 12 CE ecco il segmento ora che ci interessa rappresenta il sapere che i Greci chiamavano matematico, ma che comprende il sapere che noi oggi consideriamo scientifico : questo sapere è fondamentalmente ipotetico perché parte da figure geometriche o relazioni matematiche come da ipò-tesi (o sup-posizioni) e ne deriva le conseguenze (che possono anche essere verificabili empiricamente, ossia essere congruenti alle immagini della sezione AC sempre, peraltro, imperfette -, senza che questo, tuttavia, possa costituire una garanzia assoluta circa la validità delle ipotesi stesse 33 ); questo sapere, tuttavia, è tale solo se le ipotesi su cui si bassa sono vere; cosa che, però, all interno di questo sapere stesso è impossibile dimostrare (si cadrebbe, infatti, in un circolo vizioso). Un esempio lo fornisce il teorema che ci informa sul valore della somma degli angoli interni di un triangolo: esso vale solo a condizione che il quinto postulato di Euclide (che concerne la possibilità di disegnare rette parallele) sia valido. BE rappresenta il sapere propriamente filosofico, che procede in senso inverso, capace di partire dalle ipotesi per sviscerarne i pre-supposti (cioè le ulteriori ipotesi o pre-ipotesi in base alle quali quelle da cui sono partito sarebbero vere) fino ad arrivare a un principio non ipotetico che si distinguerebbe dalle ipotesi per il fatto di essere vero o perché evidente o perché dimostrabile senza ricorrere ad ulteriori ipotesi (ad esempio ricorrendo alla dimostrazione per assurdo ). Questo metodo Platone lo chiama dia-lettico, in quanto è quello adoperato da Socrate nei suoi dia-loghi, quando, maieuticamente, cerca di suscitare nei suoi interlocutori la verità quasi per esclusione (criticando tutte le opinioni infondate). Lasciando da parte la speranza platonica di pervenire al principio di tutto ricorrendo alla sola ragione, è chiaro come sia evidente per Platone la distinzione tra il procedimento ipotetico delle matematiche (che, come sappiamo, indicano l insieme di quelle che oggi consideriamo discipline scientifiche e non solo la matematica pura) e quello proprio di un altra scienza, qui la dialettica (che sta al posto della fisica delle citazioni precedenti), che pretenda di cogliere il vero principio della realtà (arché). A riprova del fatto che il cosmo intelligibile o mondo delle idee veniva inteso dai platonici come un sistema di teoremi deduttivamente interconnessi si può citare senz altro Plotino (III sec. d. C.) che, sebbene in epoca molto posteriore, afferma di riportare dottrine molto precedenti. Ogni singola Idea non è diversa dall Intelligenza ma è, ciascuna, Intelligenza. Nella sua totalità l Intelligenza è la totalità delle forme [o Idee]; ma la forma singola è l Intelligenza in quanto singola, come la scienza nella sua totalità è tutti i suoi teoremi, ma ciascun teorema è parte della scienza intera 34. Si tratta più di una semplice analogia tra mondo delle idee (corrispondente all Intelligenza, la seconda ipostasi neoplatonica) e sistema deduttivo delle scienze. Grazie alla mediazione dell anima infatti: L Intelligenza, in quanto è nell anima, diventa sorgente delle scienze [...] Nelle scienze tutto è insieme indivisibile e tuttavia ogni singolo elemento è distinto dal resto 35. [...] Ogni teorema contiene in potenza la scienza totale 36. LA QUESTIONE DEL METODO I Greci, dunque, non si sono limitati ad anticipare fondamentali scoperte scientifiche. Essi hanno soprattutto anticipato il metodo scientifico. Spesso quando ci si domanda perché si debba credere che qualcosa sia scientificamente vero ci si riferisce a un metodo scientifico in base al quale quel qualcosa sarebbe stato scoperto. Abbiamo visto che per Platone non si tratta di altro che del procedimento che distingue il sapere matematico (in senso lato), ossia fondato su ipotesi, da quello filosofico, che pretende di raggiungere i principi. Questo approccio è rimasto pressoché inalterato almeno fino a Galileo. L'equivoco di alcuni dei "padri" della rivoluzione scientifica, infatti, (Copernico, Galileo, Keplero, Newton) alle luce delle prospettive epistemologiche del Novecento, è consistito soprattutto, come ha osservato Gaia, nell'assegnare valore di principi assoluti a quelle che, più correttamente, noi consideriamo oggi, con Platone, come ipotesi. Il realismo dei primi scienziati (come Galileo e Newton) li ha portati spesso, infatti, a volte per ragioni polemiche (per combattere le concezioni difese dalla Chiesa o dagli aristotelici), a difendere come principi quelle che erano, in effetti, fondamentalmente soltanto ipotesi. Si pensi all interpretazione realistica di Bruno, Galileo, Keplero, oltre che dello stesso Copernico, del sistema copernicano, contro l invito a mantenersi nell ambito della supposizione puramente matematica in Osiander e Bellarmino. Bellarmino non aveva tutti i torti, considerando che, se ai primi scienziati del Seicento dobbiamo, dunque, la messa a punto di alcune fondamentali teorie scientifiche, soprattutto per quanto riguarda ciò che oggi chiamiamo fisica non 33 Infatti, come vedremo meglio in seguito, se da una determinata ipotesi (ad es. la teoria della gravitazione di Newton) deduco e riesco a prevedere il comportamento per esempio di questo corpo (p.e. la sua accelerazione attuale) non ne deriva che l ipotesi sia assolutamente vera, perché non posso escludere che un ipotesi diversa (p.e. la teoria della relatività di Einstein) possa avere le stesse conseguenze empiriche. In termini platonici non basta che una teoria salvi i fenomeni perché essa sia vera. 34 Plotino, Enneadi, V, 9, 8, Plotino, Enneadi, VI, 9, 5, 13 e Plotino, Enneadi, IV, 3, 2-3.

13 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 13 sempre queste teorie si sono rivelate esatte nel corso dei secoli. Per ritornare a concepire la scienza come fondata su ipotesi occorrerà attendere l epistemologia contemporanea (Poincaré, Popper ecc.), tra Ottocento e Novecento. Va detto che il dibattito contemporaneo sulla natura di queste ipotesi (molto potenti e, secondo alcuni, non riducibili a mere convenzioni di comodo per "salvare i fenomeni") è molto vivace. Ce ne occuperemo in quinta. Per comprendere meglio in che termini i Greci avrebbero inventato il metodo scientifico richiamiamo la distinzione platonica tra matematica e dialettica (vedi sopra, p. 2). Nel VI libro della Repubblica come sappiamo, Platone fa descrivere a Socrate, in dialogo con Glaucone, un modello della relazione tra le diverse forme del sapere: una linea divisa in 4 segmenti che rappresentano ciascuno un diverso grado di conoscenza. Abbiamo visto che BE rappresenta il sapere propriamente filosofico, che procede in senso inverso rispetto a quello scientifico, capace di partire dalle ipotesi per sviscerarne i presupposti (cioè le ulteriori ipotesi a partire dalla quali quelle subordinate sono vere) fino ad arrivare a un principio che si distinguerebbe dalle ipotesi per il fatto di essere vero immediatamente o perché evidente o perché dimostrabile senza ricorrere ad ulteriori ipotesi. Platone e la sua scuola chiamano questo sapere assoluto dialettica, ma da Aristotele in poi, nella misura in cui tratta di questioni naturali, si preferisce l espressione fisica. In questo significato antico, dunque, per fisica si deve intendere una scienza della natura (physis) che noi chiameremmo piuttosto metafisica (o filosofia pura) poiché cerca di rispondere ai perché ultimi valendosi della sola ragione e non dell esperienza (si tratta della prosecuzione della ricerca filosofica dell arché o principio inaugurata dai preosocratici, detti appunto anche fisici o fisiologi). La ragione per la quale per molto tempo non ci si è accorti del fatto che i Greci possedevano già importanti nozioni scientifiche (come il principio di inerzia, relatività del moto, gravità ecc.) dipende dal fatto, secondo Lucio Russo, che si è andati a cercare tali nozioni, senza trovarle, nei trattati che i Greci consideravano di fisica, invece che nei manuali di geometria, meccanica, idraulica, pneumatica ecc., dove li avremmo in qualche caso trovati. CE rappresenta il sapere che i Greci chiamavano matematico, ma che comprende quello che noi oggi consideriamo scientifico (una matematica che oggi diremmo, dunque, applicata a problemi, appunto, di astronomia, idraulica ecc.): questo sapere è fondamentalmente ipotetico perché parte da figure geometriche o relazioni matematiche come da ipotesi e ne deriva le conseguenze (che possono anche essere verificabili empiricamente, ossia essere congruenti alle immagini della sezione AC, senza che questo, tuttavia, possa costituire una garanzia assoluta circa la validità delle ipotesi stesse 37 ); questo sapere, tuttavia, è tale solo se le ipotesi sono vere, cosa che, però, all interno di questo sapere stesso è impossibile dimostrare. Possiamo anche dire che, mentre il sapere fisico in senso proprio riguarda i perché, questo tipo di sapere, matematico in senso antico, riguarda piuttosto il come. Ma potranno scienziati come Galileo (che, però, ai suoi tempi era chiamato filosofo ) fare a meno del tutto di principi? Non parliamo di principio di inerzia o del principio della relatività del moto? E la legge di gravitazione di Newton non è forse un principio della fisica moderna? Ed è proprio vero che questi primi scienziati ( filosofi della natura ) si basavano soltanto su ipotesi e non tentavano dimostrazioni puramente razionali? IL METODO DI GALIILEO Cfr. L, pp : principi della relatività del moto e di inerzia Cfr. L, p : ricorso a questi principi per dimostrare il moto della Terra nel Dialogo sui massimi sistemi Cfr. L, pp : scoperte galileiane attraverso il cannocchiale, il metodo di Galileo A Galileo si attribuisce (erroneamente) un metodo che può essere rappresentato come segue: SENSI osservazione esperimento RAGIONE legge, principio ipotesi Si tratta di un interpretazione ottocentesca. In effetti possiamo rinvenire in Galileo piuttosto un approccio composito, guidato da criteri essenzialmente razionali e dall esigenza, tipicamente platonica, di controllare che le ipotesi introdotte siano aderenti ai fenomeni (e soprattutto di confutare le ipotesi degli avversari). 37 Infatti, se da una determinata teoria (ad es. la teoria della gravitazione di Newton) deduco e riesco a prevedere il comportamento per esempio di questo corpo (p.e. la sua accelerazione attuale) non ne deriva che la teoria sia assolutamente vera, perché non posso escludere che una teoria diversa (p.e. la teoria della relatività di Einstein) possa avere le stesse conseguenze empiriche.

14 Questo approccio può essere schematizzato come segue: sensate esperienze osservazione esperimento I.S.I.S. Malignani - UDINE 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 14 legge, principio matematiche dimostrazioni ipotesi Galileo, cioè, si innamora di ipotesi (il sistema copernicano, il principio di relatività del moto ecc.) per la loro eleganza matematica o per altri motivi e cerca di fondarle razionalmente anche con esperimenti immaginari (per assurdo). Per convincerne gli avversari si appella a comuni esperienze (come quella della percezione del moto di una nave da parte di chi ne è a bordo) e, quando serve, a osservazioni (come quelle effettuate con il cannocchiale) o al cimento o esperimento (proprio o riferito da autori antichi). Consideriamo il famoso esperimento immaginario con cui Galileo avrebbe dimostrato che due corpi, di peso diverso, rilasciati nello stesso istante, raggiungono il suolo nello stesso istante (in assenza di attrito). L esperimento è immaginario perché era impossibile ai tempi di Galileo (ma, in fondo, anche oggi) eliminare del tutto l attrito. Si tratta, appunto, di una dimostrazione per assurdo. Se uniamo (immaginariamente) i due corpi con una funicella dal peso trascurabile e proviamo a negare la tesi asserendo, ad esempio, che il corpo più pesante, come pensava Aristotele e i più sono intuitivamente portati a credere, cada più kg 1 g 1 velocemente del corpo più leggere cadiamo in un assurdità: i due corpi uniti, in quanto corpo unico il cui peso è la somma dei corpi iniziali (dunque maggiore del peso di ciascuno dei due), dovrebbero cadere a una velocità maggiore del corpo più pesante; ma se li consideriamo ancora come due corpi distinti dobbiamo altresì supporre che il più leggero, essendo meno veloce, legato al più pesante, più veloce, lo rallenti, sicché i due corpi uniti dovrebbero cadere a una velocità inferiore a quella del corpo più pesante. Ma siccome è assurdo che i due corpi uniti cadano a due velocità diverse la tesi che volevamo negare (il principio di Galileo) deve essere necessariamente vera. È un esempio di quelle che Galileo chiama matematiche dimostrazioni. Sappiamo che in altri casi (p.e. per dimostrare il principio di inerzia) Galileo adotta argomenti ex suppositione (cioè per ipotesi ) a cui, però, rivendica un valore assoluto, a prescindere dall esperienza (spesso ingannevole). Come stanno, dunque, le cose? È vero che un elemento di novità sembra rappresentato dal cimento, cioè dall esperimento a cui, a volte, Galileo ricorre ( sensate esperienze ), accanto all osservazione (p.e. degli astri). Non bisogna dimenticare al riguardo, però, che: spesso Galileo sembra considerare l esperimento qualcosa di aggiuntivo, diretto a persuadere coloro per i quali la dimostrazione matematica appare insufficiente (una sorta di prova da portare davanti al tribunale dei suoi inquisitori reali o potenziali, più che davanti al tribunale della ragione); la stessa tradizione platonica esigeva che le ipotesi matematiche introdotte a scopo esplicativo salvassero i fenomeni (cfr. teoria di Eudosso), dunque fossero compatibili con le osservazioni; diversi esperimenti di Galileo o sono immaginari oppure sono citazioni di esperimenti effettivamente realizzati in età ellenistica dalle fonti di Galileo (Erone ecc.), almeno secondo la tesi di Lucio Russo. IL METODO DI NEWTON Cfr. L, pp : teoria della gravitazione universale e nuova dinamica Cfr. L, pp : il metodo di Newton CRITICA AL PRINCIPIO DI AUTORITÀ Se Galileo è convinto di trovare le principali soluzioni ai problemi scientifici ricorrendo al solo ragionamento matematico, perché ha insistito spesso anche sulle sensate esperienze, oltre che sulla necessarie dimostrazioni? Forse

15 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 15 per convincere aristotelici e teologi cattolici, a cui il solo ragionamento non bastava. Se Galileo, nella sua battaglia, potrebbe avere ecceduto (come poi Newton), scambiando quelle che erano brillanti e convincenti ipotesi con principi in senso fisico, d'altra parte è stato indotto, forse, a tali eccessi dall'ostilità e dalle vere e proprie minacce che gli venivano da settori della Chiesa, la quale, a sua volta, considerava la sua interpretazione delle Scritture non tanto come un'ipotesi di lettura, quanto come l'espressione della loro stessa verità. Galileo, quindi, (come prima di lui Bruno) si trova quasi costretto ad opporre l'autorità dei sensi e della ragione all'autorità di Aristotele e del magistero ecclesiastico, ricorrendo ai celebri argomenti esposti nelle sue cosiddette lettere copernicane. Cfr. L, pp IL PROBLEMA DEL RAPPORTO TRA RAGIONE (SCIENZA)E FEDE (RELIGIONE) Per comprendere il problema di Galileo e il suo conflitto con l autorità religiosa occorre tenere presente che dalla chiusura della scuola di Atene (529 d.c.) al Rinascimento (XV sec.) la cultura filosofica europea è rimasta profondamente condizionata dal predominio della Chiesa e della religione cristiana. Nei monasteri e nelle scholae si insegna una dottrina ricavata principalmente da Platone (nei primi secoli) e Aristotele (dal XI sec. ca.), integrati con i contenuti specifici della rivelazione biblica (Antico e Nuovo Testamento). Al di là della dottrina, ciò che contraddistingue questo periodo è il principio di autorità: non ci si può discostare dalle opinioni ufficiali di cui la Chiesa detiene il monopolio, pena l accusa di eresia (abbracciare una versione diversa del cristianesimo, rispetto a quella ufficiale ) o di apostasia (abbandonare il cristianesimo). Nella vita occorre applicare le virtù proposte dalla dottrina (le 4 classiche virtù cardinali: prudenza, coraggio, temperanza e giustizia; a cui si aggiungono le 3 nuove virtù tipicamente cristiane: fede, speranza, carità). Sotto il profilo scientifico bisogna attenersi a quelle opinioni di origine greca che sono compatibili con la dottrina cristiana. Prevale il modello aristotelico di mondo (ben esemplificato da Dante): un sistema chiuso, con la Terra al centro e Dio al di sopra dei 7 cieli. Tuttavia nell ambito di questa tradizione il rapporto tra ragione e fede è stato variamente interpretato. Cfr. antologia Ragione e fede; cfr. L1, pp : Tertulliano; L1, pp : Agostino, Ragione e fede; L1, pp ; L1, p. 497: Dialettici e antidialettici; L1, p. 505: Abelardo, Ragione e autorità; L1, pp : Tommaso, Il rapporto tra ragione e fede; L, pp : Le forze che hanno combattuto la nuova scienza Come emerge dai testi che abbiamo letto e dalle pagine del manuale su cui possiamo approfondire il tema possiamo distinguere tre principali posizioni (escludendo l approccio neoplatonico, in parte ancora vivo nella chiesa ortodossa, secondo il quale, come sappiamo, le Scritture non fanno che esprimere in forma simbolica verità che la filosofia può conseguire autonomamente, soprattutto per via estatica): 1. chi, come Agostino e Tommaso, contro i sostenitori della doppia verità (cfr. Pomponazzi, sull onda del cosiddetto averroismo latino ), mette in luce la necessaria armonia e compatibilità tra ragione e fede, pur nella loro distinzione (posizione attualmente sostenuta soprattutto in ambito cattolico) 2. chi, come Tertulliano e Pier Damiani, insiste sul primato dalla fede (posizione poi tipica dei protestanti, per i quali ci si salva per sola fede, senza merito, in quanto la fede stessa è ricevuta dal credente come una grazia elargita da Dio, cfr. L, pp ) 3. chi, viceversa, come Abelardo (e poi Galileo), insiste sul primato della ragione 1) Per quanto riguarda la prima posizione essa viene sostenuta in modo variamente articolato. Secondo Agostino non si potrebbe neppure esercitare la ragione se non sulla base di qualcosa che, intanto, si crede (credo ut intelligam). L esperienza quotidiana, del resto, ci conferma dell importanza di ciò che i Greci chiamavano dòxa, opinione, o appunto pìstis, fede, senza di cui non potremmo neppure vivere: abbiamo bisogno di fidarci, infatti, delle persone che ci appaiono autorevoli, degne di stima o di amore; non possiamo dubitare di tutto e mettere sempre tutto in discussione. Ciò non toglie che si possa decidere di approfondire criticamente questa o quella credenza su basi razionali (non mai però tutte contemporaneamente). D altra parte l esercizio della ragione può aiutarci a intendere meglio la fede, a risolvere le apparenti contraddizioni a cui essa dà luogo ecc. (intelligo ut credam). Tommaso approfondisce ulteriormente il rapporto tra ragione e fede: vi sarebbero verità (come l esistenza di Dio) a cui si potrebbe pervenire razionalmente (p.e. attraverso argomenti per assurdo o per induzione dall esperienza dei sensi), verità che costituiscono i preamboli della fede, in quanto ne costituiscono la premessa razionale; altre verità, quelle propriamente di fede, non sarebbero dimostrabili come le prime (necessarie), ma sono giudicate comunque razionalmente possibili (p.e. l incarnazione di Dio, la Trinità ecc.) e diventano probabili nel momento in cui ci sono rivelate da figure autorevoli, credibili (come Gesù, la Chiesa ecc.). 2) La seconda posizione è sostenuta da Tertulliano sulla base della fondamentale considerazione che la ragione tenda a generare contraddizioni e sfocia in aporie: la fede ( Gerusalemme ), pertanto, ci aiutarebbe a fondare

16 4E LSA 14-15, La rivoluzione scientifica, p. 16 la nostra vita pratica su dogmi indubitabili, evitandoci la paralisi derivante dai dubbi a cui ci esporrebbe la filosofia ( Atene ). Pier Damiani, inoltre, fa notare che la religione implica la fede nei miracoli narrati nella Bibbia, miracoli che la ragione tenderebbe ad escludere (prima di tutto il miracolo della resurrezione di Cristo). Secondo entrambi gli autori, insomma, senza una fede in ciò che pure appare razionalmente assurdo la religione sarebbe vanificata. 3) Abelardo invita, viceversa, a vagliare razionalmente ciò che la fede propone sulla base del seguente fondamentale argomento. Chi sostiene che ha un merito maggiore chi crede a ciò che non riesce a vedere (con gli occhi della ragione), dovrebbe ammirare chi crede alle cose più assurde e improbabili. Invece, il cristiano si vanta di credere a cose convincenti, dunque tali da persuaderlo razionalmente, La ragione è necessaria, inoltre, anche per dirimere le controversie che derivano dalla contrapposizione tra diverse autorità (santi, teologi ecc.) cristiane. LIMITI DELLE SCIENZA E DELLA FEDE Ricapitolando: ai primi scienziati del Seicento dobbiamo, dunque, la messa a punto di alcune fondamentali teorie scientifiche, soprattutto per quanto riguarda ciò che oggi chiamiamo fisica. Tali teorie dovettero affermarsi sulla base di un libero esercizio della ragione, talora sostenuto anche da sensate esperienze (mai però determinanti), contro il principio di autorità. Tuttavia non sempre queste teorie si sono rivelate esatte nel corso dei secoli. L'equivoco di alcuni dei "padri" della rivoluzione scientifica, alle luce delle prospettive epistemologiche del Novecento, come abbiamo visto, è consistito soprattutto nell'assegnare valore di principi assoluti a quelle che, più correttamente, noi consideriamo oggi, con Platone, come ipotesi. Va detto che il dibattito contemporaneo sulla natura di queste ipotesi (molto potenti e, secondo alcuni, non riducibili a mere convenzioni di comodo per "salvare i fenomeni") è molto vivace. Ce ne occuperemo in quinta. D altra parte anche l opposizione a tali teorie da parte di rappresentanti delle diverse chiese (cattolica come protestanti), ai quali non sfuggiva il carattere appunto ipotetico della nuova scienza, era fondata a sua volta sulla fede nell autorità delle Sacre Scritture, dunque, in ultima analisi, su un altra ipotesi (eguale e contraria quelle formulate consultando il libro della natura); ipotesi non meno, anzi forse ancor più arbitraria delle ipotesi degli scienziati. Come vedremo nel prossimo modulo, la filosofia moderna dovrà aprirsi un varco tra questi due colossi, la tradizione religiosa e la nuova scienza della natura; ciascuna delle quali pretende per sé (a torto, basandosi, appunto, solo su ipotesi) di dire tutta la verità sul mondo.

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