Capitolo 1 LE FIBRE VEGETALI NEI MATERIALI COMPOSITI

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1 Capitolo 1 LE FIBRE VEGETALI NEI MATERIALI COMPOSITI

2 1.1 GENERALITÀ SUI MATERIALI COMPOSITI L interesse per lo sviluppo industriale di nuovi materiali risiede principalmente nell ottenimento di proprietà di rilevanza applicativa a prezzi competitivi con quelli dei materiali in uso allo stato attuale. Numerose tecniche si sono dimostrate fruttuose per differenziare le materie plastiche già in commercio. Tra queste meritano menzione la formazione di leghe o di miscele (blending) tra polimeri dotati di caratteristiche complementari, la loro compatibilizzazione mediante reazioni chimiche (graffaggio) e l addizione di cariche di natura organica o inorganica (rinforzo). Soprattutto l ultimo metodo, basato sull accoppiamento di piú materiali in fasi diverse, ha consentito di ottenere manufatti con prestazioni superiori a quelle del polimero di partenza, sia termoplastico che termoindurente. Non solo la natura chimica, ma anche le dimensioni e la forma delle particelle addizionate influenzano il comportamento del sistema polifasico. Un gran numero di applicazioni è stato sviluppato con l impiego di materiali compositi, in cui le dimensioni delle cariche addizionate tendono ad essere macroscopiche. Anche in natura ne esistono esempi: il piú significativo è il legno, dove un polimero di natura fibrosa, elastica e flessibile (la cellulosa) è tenuto insieme da una sostanza cementante molto piú rigida (la lignina) [1]; inoltre i materiali biologici sono molto spesso dei compositi: ad esempio il tessuto connettivo è costituito da fibre di collagene immerse in una matrice di elastina, mentre il tessuto osseo è costituito da tessuto connettivo in cui sono disperse particelle di idrossiapatite. In senso lato sono compositi tutti i materiali derivanti dalla combinazione di due o piú componenti distinti. Il termine è utilizzato per indicare l accoppiamento eterogeneo di una matrice (o legante) polimerica o ceramica o metallica con una fase secondaria di rinforzo dispersa in essa, in forma di particelle o fibre o semilavorati quali ad esempio tessuti (woven fabrics), mat (non-woven fabrics), tessuti multiassiali o a trecce (braid). Le morfologie del rinforzo piú diffuse sono quelle di particella e di fibra, in quanto esse presentano il maggior rapporto superficie/volume e ciò facilita l interazione tra matrice e rinforzo. Per estensione di mercato e maturità tecnologica, i materiali compositi piú importanti sono quelli a matrice polimerica, mentre le matrici metalliche e ceramiche sono limitate a poche applicazioni soprattutto a causa dell elevato costo e della complessità delle tecnologie di trasformazione. 2

3 Fig.1.1 La produzione di materiali compositi a matrice polimerica [1] I compositi a matrice polimerica (PMC) sono ottenuti a partire da una resina e da una frazione volumetrica significativa di fibre che, grazie alle elevate caratteristiche di rigidità, di resistenza meccanica e di bassa densità, unitamente alla bassa densità della matrice polimerica stessa, conferiscono al manufatto caratteristiche meccaniche notevolmente superiori a quelle della matrice: generalmente l effetto di un rinforzo è infatti quello di un notevole aumento del carico di rottura, del modulo elastico e della durezza, e, per contro, la diminuzione dell allungamento, del coefficiente di dilatazione termica lineare e del ritiro allo stampaggio. I compositi a base di fibre allineate, ad esempio, mostrano proprietà meccaniche cosí elevate (ad esempio un carico di rottura due o tre volte superiore) da poter entrare nei settori di applicazione tradizionale dei metalli [Fig.1.1]. 3

4 La resina può essere termoplastica o termoindurente, mentre la fibra può avere natura inorganica o organica. La fibra può essere introdotta nella matrice sotto forma di fibrille corte e discontinue, disposte in modo disordinato, oppure di fibra continua ed allineata. I prodotti del primo tipo sono meglio definiti dal termine plastici rinforzati, i secondi da quello di compositi in senso stretto. I plastici rinforzati piú diffusi sono costituiti da resine poliestere insature e fibre di vetro di lunghezza compresa tra 1 e 10 mm e diametro compreso tra 5 e 20 µm. La resina serve essenzialmente da legante, impartisce al materiale composito le caratteristiche fondamentali di natura chimico-fisica, termica ed elettrica e trasmette gli sforzi di taglio tra gli strati di fibre. Tra i polimeri termoindurenti, oltre ai poliesteri insaturi si possono menzionare le resine epossidiche, fenoliche e siliconiche. Esempi di termoplastici utilizzati nei compositi sono invece le poliammidi, le resine butadienestirene, le acetaliche, l ABS, il polietilene, il polipropilene ed i policarbonati. Attualmente le matrici termoindurenti sono ancora prevalenti per applicazioni strutturali avanzate in quanto posseggono in generale migliori proprietà in termini di resistenza meccanica, creep e resistenza termica, mentre le termoplastiche presentano migliori caratteristiche di tenacità e chimico-fisiche (per es. basso assorbimento di acqua). Le fibre sono comunemente distinte in naturali, sintetiche ed artificiali cellulosiche [Fig.1.2]. Negli ultimi decenni la produzione mondiale di fibre è aumentata considerevolmente quasi esclusivamente per il contributo dei polimeri di sintesi, mentre è calata la domanda di fibre cellulosiche (essenzialmente rayon ed acetilcellulosa). Molte fibre sintetiche sono state sperimentate e commercializzate, soprattutto a scopo tessile, ma il loro mercato mondiale (attualmente circa t) è dominato sostanzialmente da tre classi: in ordine di importanza, le fibre poliestere (polietilentereftalato), le fibre poliammidiche (nylon 6 e nylon 66) e le fibre acriliche (a base di poliacrilonitrile). In Italia le fibre acriliche hanno una posizione prevalente sulle altre due. Nel settore dei compositi le fibre piú utilizzate sono quelle di vetro, carbonio, nylon, polietilene e arammidiche, ma anche quelle di boro, le ceramiche e le metalliche. I materiali compositi trovano applicazione in diversi campi: nei settori aerospaziale e missilistico, automobilistico [ 1.4], nautico e militare, oltreché nella fabbricazione di serbatoi, tubazioni, parti di pompe, strutture off-shore o subacquee, componenti elettronici, articoli sportivi e del tempo libero (quali mazze da golf, tavole da surf, sci, canne da pesca, chitarre). 4

5 Fig. 1.2 Classificazione delle principali fibre [1] 5

6 1.2 L IMPIEGO DI FIBRE VEGETALI NEI COMPOSITI I materiali compositi hanno raggiunto lo status di commodity negli anni 40 con poliesteri insaturi rinforzati con fibre di vetro. Tuttora, come già detto, i compositi piú diffusi sono costituiti da matrici termoindurenti (poliestere insature, epossidiche, poliuretaniche o fenoliche) rinforzate da fibre sintetiche (vetro, carbonio, arammidiche). Negli ultimi due decenni una crescente consapevolezza ambientale e restrizioni legislative hanno portato a considerare critici la fabbricazione, l uso e l eliminazione di tali compositi tradizionali, principalmente a causa della difficoltà di smaltimento al termine del ciclo di vita del manufatto, dal momento che i loro componenti sono strettamente interconnessi, relativamente stabili e perciò difficili da separare e da riciclare. Inoltre, per le fibre di vetro il rinforzo di maggior impiego si cominciano a sollevare dubbi circa l innocuità per la salute degli addetti alla produzione. Per venire incontro alle esigenze di salvaguardia ambientale e di riciclo dei materiali, particolarmente nel caso di prodotti di largo consumo, molti studi sono stati condotti negli ultimi due decenni sulla possibilità e le modalità di rinforzo dei polimeri sintetici termoindurenti ma anche termoplastici con fibre naturali rinnovabili e sullo sviluppo di efficaci tecnologie di riciclo. Le fibre naturali sono di origine minerale, animale o vegetale. Le prime sono in genere di limitata lunghezza, eccetto tipi particolari quali quelle di amianto, di cui però è ormai nota la pericolosità per la salute (effetti cancerogeni). Le fibre animali (per es. seta e lana) sono destinate prevalentemente al settore tessile. Le fibre vegetali, infine, sono di origine molto varia, in quanto possono provenire non solo da piante molto diverse ma anche da organi diversi della pianta [Tab. 1.1]: stelo: lino, canapa, juta, ginestra, ramiè, kenaf, miscanto, bambú, sparto (o alfa), Sunn, canna comune, paglia di grano, ortica; foglia: sisal, ananas, banana, formio, henequen, Maguey; guaine fogliari: abacà (o canapa) di Manila; seme: cotone; frutto: cocco, kapok. Funzionalmente sono cellule allungate a pareti spesse e robuste specializzate nel fornire un impalcatura meccanica nelle piante appartenenti alla divisione delle Angiosperme (Magnoliophyta), che rappresentano il massimo grado di evoluzione dei vegetali, mentre sono assenti nelle Gimnosperme. Le Angiosperme si suddividono in 6

7 due grandi classi: monocotilèdoni e dicotilèdoni. fibre specie famiglia organo dicotilèdoni lino Linum usitatissimum Linaceae libro canapa Cannabis sativa ssp. Cannabaceae libro juta Corchorus capsularis Tiliaceae libro ramiè Boehmeria nivea Urticaceae libro kenaf Hibiscus cannabinus Malvaceae libro ginestra Spartium junceum Papilionaceae libro rosella Hibiscus sabdariffa Malvaceae libro urena Urena lobata Malvaceae libro Sunn Crotalaria juncea Fabaceae libro cotone Gossypium ssp. Malvaceae pelo dei semi kapok Ceiba pentandra Bombacaceae monocotilèdoni superficie interna del guscio del frutto miscanto Miscanthus sinensis Graminaceae libro sparto (alfa) { Stipa tenacissima Lygeum spartum Graminaceae Graminaceae foglia libro bambú Bambusa glaucescens Graminaceae libro paglia di grano Triticum vulgare Graminaceae libro canna comune Arundo donax Graminaceae libro bagassa della canna da zucchero Saccharum officinarum Graminaceae corteccia, libro abacà (canapa di Manila) Musa textilis Musaceae (banano) guaina della foglia cocco Cocos nucifera Palmae guscio del frutto palmyra Brossus flabellifera Palmae foglia sisal/àgave Àgave sisalana Liliaceae (Ag.) foglia Maguey Àgave cantala Agavaceae foglia, libro henequen Àgave fourcroydes Agavaceae foglia yucca Yucca elata Agavaceae foglia bowstring hemp Sansevieria (varie specie) Liliaceae (Ag.) foglia lino della N.Zelanda Phormium tenax Liliaceae (Ag.) foglia ananas Ananas comosus Bromeliaceae foglia Tab. 1.1 Principali fibre vegetali di interesse commerciale 7

8 Le prime sono generalmente prive di cambio e di accrescimento secondario e presentano tubi cribrosi e vascolari accoppiati in distinti fasci sparsi omogeneamente sulla sezione, anziché raccolti in due strati separati di anelli concentrici [ D.1.1]: la maggior parte di esse, appartenenti alla famiglia delle Graminaceae per es. sparto (o alfa), miscanto, canne e bambú, forniscono fibre corte estratte dagli steli, mentre dalle foglie o dalle bucce di altre come sisal, abacà o cocco si ottengono fibre piú lunghe e grezze. Le seconde per es. lino, canapa, juta, kenaf e ramiè hanno lunghe fibre di libro e corte fibre di legno; del cotone sono sfruttati invece i peli del seme. Le fonti principali di fibre vegetali applicabili in compositi sono di due tipi [2]: residui agricoli di piante coltivate per altri scopi e piante coltivate espressamente per la produzione di fibre. La prima classe comprende materiali come la bagassa della canna da zucchero e le paglie cereali che costituiscono solo un sottoprodotto di raccolti alimentari. La seconda include essenzialmente le piante tessili. Le condizioni climatiche nell Unione Europea favoriscono la produzione delle tradizionali piante tessili, soprattutto il lino e la canapa; il cotone è diffuso nelle regioni mediterranee, dove sta prendendo piede recentemente anche il kenaf, una pianta erbacea che cresce spontaneamente in Africa (dove le fibre sono note come canapa della Guinea ) e la cui coltivazione è sovvenzionata dalle autorità governative a Cuba e negli Stati Uniti; lo sparto è abbondante nei terreni sterili ed aspri della Spagna meridionale (in certe zone di Murcia e Valencia) e dell Algeria; il formio, a dispetto del soprannome ( lino della Nuova Zelanda ), è prodotto ora solo nel Sud America e nel Sud Africa [3]. Molte delle piante del primo tipo sono importate e forniscono alcune fibre liberiane juta, ramiè e kenaf e le fibre di foglia o stelo delle monocotilèdoni come sisal, abacà, ananas e banana, i cui normali habitat sono tropicali e subtropicali. Nella Tab.1.2 è riportata la composizione chimica delle principali fibre vegetali. I loro principali costituenti sono cellulosa, emicellulosa e lignina [ D.1.2 3], in quantità relative dipendenti dalla specie e dall età della pianta ma in ogni caso a prevalenza di cellulosa, per cui tali fibre sono spesso denominate fibre lignocellulosiche. Si può notare inoltre la forte igroscopicità di tutte le fibre vegetali, con un contenuto di umidità che raggiunge valori compresi nel range % in peso: ciò si spiega con la natura polare della macromolecola di cellulosa, dovuta alla presenza di numerosi gruppi ossidrilici (tre per ogni unità monomerica glucosidica) e di atomi di ossigeno. La struttura molecolare delle fibre vegetali rivela due regioni distinte: un blocco cristallino di dense molecole impenetrabili ed una regione amorfa dove l acqua 8

9 può essere assorbita. L assorbimento di umidità costringe le molecole cellulosiche a distanziarsi di piú e, di conseguenza, la fibra si gonfia quando è bagnata (fenomeno di swelling). Questa è una peculiarità importante delle fibre di pianta, perché ne consegue che la prestazione di un manufatto sarà influenzata dalla sua reazione all umidità. Tab. 1.2 Composizione chimica di alcune fibre vegetali [4] L uso di cariche o riempitivi organici naturali non è nuovo nel settore delle materie plastiche: basti ricordare che i compositi plastici rinforzati da fibre fecero la loro prima apparizione, nel 1908, con resine fenoliche rinforzate da fibre di cellulosa, che, oltre all effetto rinforzante, riducevano l effetto negativo dello sviluppo di prodotti gassosi in fase di stampaggio a caldo; inoltre già una sessantina d anni fa Henry Ford ebbe l idea di usare la soia per la produzione di compositi economici [5]. Il crescente interesse attuale per le fibre vegetali, invece, è legato soprattutto alla loro biodegradabilità. In accordo con Albertsson e Karlsson [6], la biodegradazione è definita come un evento di alterazione fisica o chimica che si verifica attraverso l azione enzimatica e/o la decomposizione chimica associata ad organismi viventi (batteri, funghi, ecc.) ed ai loro prodotti di secrezione. Le fibre vegetali sono biodegradabili in quanto i microrganismi viventi riconoscono i polimeri carboidrati, principalmente emicellulose (i componenti piú sensibili al loro attacco) nella parete cellulare, e possiedono sistemi enzimatici 9

10 altamente specifici capaci di idrolizzare questi polimeri in unità digeribili. È necessario inoltre considerare reazioni abiotiche quali la fotodegradazione, l ossidazione e l idrolisi che possono alterare il polimero prima, durante o in alternativa alla biodegradazione indotta da fattori ambientali. La tabella seguente confronta la maggiore o minore sensibilità dei componenti lignocellulosici all interazione con le diverse cause di degradazione. Tab. 1.3 Polimeri della parete cellulare responsabili delle proprietà di biodegradazione lignocellulosica [4] La biodegradazione della cellulosa ad alto peso molecolare, in particolare, indebolisce la parete cellulare, in quanto la cellulosa è il componente cristallino responsabile in maggior misura della resistenza dei materiali lignocellulosici. Quando questi materiali vengono esposti in ambienti esterni interviene anche la degradazione fotochimica per effetto della luce ultravioletta, principalmente sulla lignina, cui sono attribuiti i cambiamenti di colore. Organizzazioni internazionali quali ad esempio ASTM (American Society for Testing and Materials), ISO (International Organization for Standardisation), DIN (Deutsche Industrie Norme), UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) sono impegnate attivamente nello sviluppo di definizioni e di test per l accertamento e la quantificazione della biodegradabilità in diversi ambienti e della compostabilità. 10

11 Le biofibre sono state scarsamente prese in considerazione in passato benché biodegradabili in quanto limitate dalle caratteristiche di stabilità termica e di resistenza meccanica richieste per la lavorazione con le materie plastiche utilizzate in àmbito ingegneristico, ottenute per lo piú da polimeri sintetici: esse infatti presentano, rispetto alle sintetiche, una massima temperatura di processo relativamente bassa (intorno ai 200 C, sebbene sia possibile raggiungere temperature piú elevate se per brevi periodi), a causa della possibilità di degradazione della fibra e/o di emissione di volatili che può influenzare negativamente le proprietà del materiale, nonché valori assoluti piú bassi di resistenza meccanica e di rigidità. Un altro svantaggio delle biofibre è rappresentato dalla loro natura idrofila che da una lato causa una scarsa stabilità dimensionale (per ingrossamento: swelling) ed una suscettibilità a macerare (rotting), dall altro abbassa la compatibilità chimica e fisica con le matrici polimeriche, essenzialmente idrofobe, durante la fabbricazione dei compositi: la limitata compatibilità chimica penalizza le caratteristiche di dispersione e di bagnabilità all interfaccia delle due fasi e si traduce in un insoddisfacente effetto di rinforzo meccanico a causa dell insufficiente trasferimento di carico dalla matrice alle fibre. Per migliorare la compatibilità e l adesione interfacciale interfasica è stata sperimentata con successo l aggiunta di diversi additivi, detti agenti accoppianti o compatibilizzanti, in grado di modificare superficialmente la natura idrofila delle fibre e/o quella idrofoba della matrice [ 5.4.2]; nel presente studio si è modificato il polipropilene con l aggiunta di anidride maleica, sulla scorta di numerosi studi riportati in letteratura. Svantaggi delle fibre vegetali nelle applicazioni tipiche dei materiali compositi sono dunque meccanici (comportamento statico, a fatica, a creep), chimici e fisici (bassa resistenza agli agenti chimici, sensibilità all umidità e all attacco microbico, bassa resistenza termica) e morfologici (dimensioni della fibra, porosità, contenuto di cera e silice). Inoltre, mentre le fibre sintetiche possono essere prodotte con un ben definito range di proprietà, le fibre naturali presentano, da questo punto di vista, un estrema variabilità a seconda della qualità del raccolto, dell età e dell organo della pianta da cui sono estratte, delle tecniche di mietitura e di estrazione, delle condizioni ambientali e climatiche e della località (ovvero del terreno, dei fertilizzanti, del tempo di semina e di mietitura, ecc). La variazione di questi fattori conduce ad incoerenza qualitativa delle proprietà (all interno di una partita e tra le diverse partite di una stessa fibra): tale 11

12 fenomeno è denominato il rischio di mietitura (the harvest risk) e si traduce anche in continue fluttuazioni di prezzo tanto delle materie prime quanto degli investimenti nelle apparecchiature e dei prodotti finali [3]. Ciò comporta scarsezza di dati economici per la maggior parte dei raccolti e quindi incertezze sui costi di coltivazione, di processo e di produzione del manufatto finale che non incoraggiano gli investimenti. L harvest risk può essere minimizzato attraverso appropriate tecnologie di estrazione e di processo meno dipendenti dalla qualità della materia prima, oltre che ottimizzando il processo di produzione in modo da avere un intercambiabilità tra diverse fibre vegetali; i nuovi metodi di estrazione non forniscono la stessa alta qualità di fibra di quelli tradizionali, ma a livello industriale è preferita una qualità uniforme piuttosto che elevata. Un altra via può essere lo sviluppo di fibre che siano meno dipendenti dalle condizioni climatiche: la selettocoltura di piante e l ingegneria genetica offrono prospettive in tal senso, ma i risultati non sono disponibili a breve termine. Permangono lacune di natura tecnico-scientifica (R&D gap), in particolare sulla conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche delle fibre vegetali, sulla relazione tra struttura/morfologia e proprietà fisiche sia della fibra che del prodotto finale e sulle tecnologie di processo piú appropriate. Negli usi finali industriali è essenziale la reperibilità di dati tecnici e caratteristiche fisiche secondo misure normalizzate e standardizzate (unità SI) e metodi di test oggettivi (gli standard ISO/DIN/ASTM); per contro, tuttora tali specificazioni sono espresse in un ampia gamma di grandezze e di unità di misura specifiche del settore applicativo, una tendenza propria tanto dell industria tessile quanto di quella della carta. Di contro a tali svantaggi, l impiego di fibre vegetali nei compositi presenta diversi punti di forza, oltre alla già citata biodegradabilità: basso costo [Tab.1.4]; facile reperibilità ed abbondanza (da colture rinnovabili annualmente); coltivazione non inquinante, in relazione alla fabbricazione di fibre chimiche: la coltivazione di fibre di pianta richiede piccole quantità di additivi chimici, fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi per la protezione del raccolto; non tossicità per gli addetti alla lavorazione; lavorare con fibre vegetali invece che con fibre minerali o di vetro sarebbe meno irritante per la pelle e meno pericoloso per i polmoni, poiché le particelle di cellulosa sono carboidrati, assai meglio degradabili da parte dei meccanismi di difesa immunologica del corpo umano; 12

13 miglior gestione dei rifiuti: come già detto, sono biocompatibili e biodegradabili, neutrali alla CO 2, combustibili e riciclabili con varie matrici; possibilità di incenerimento senza rischi per la salute. In particolare, le fibre di pianta possono essere riutilizzate come feltri (materiali fonoassorbenti), o alternativamente concimabili. Viceversa, il maneggio dei rifiuti dei compositi PMC a fibre di vetro è difficoltoso: la loro combustione lascia piú ceneri ed il riciclo è possibile solo in casi limitati; leggerezza (densità per lo piú di g/cm 3, contro 2.5 g/cm 3 delle fibre di vetro); valori specifici di proprietà meccaniche (cioè di resistenza e modulo rapportati alla densità) comparabili con quelli delle fibre sintetiche (in particolare, quelle di vetro); elevate proprietà fonoassorbenti; flessibilità durante il processo di lavorazione; non abrasività per le apparecchiature di processo ed una conseguente ridotta usura delle macchine di formatura, grazie alla loro morbidezza; una minor frattura di fibra nelle fusioni (in confronto alle fibre di vetro); lavorabilità post-stampaggio (formatura) con le tecniche tradizionali, a cadenze produttive non inferiori; valorizzazione qualitativa dei raccolti agricoli attraverso l utilizzo dei loro scarti e sottoprodotti: l utilizzazione dell intero raccolto gioverebbe all aumento della sua fattibilità economica. Inoltre, riduzione del surplus (alimentare) agricolo; sviluppo di raccolti agricoli non alimentari. I danni alla salute causati dall uso di fibre sono legati al processo di fratturazione, che libera della polvere in aria. Gli effetti di questa emissione sulla salute possono essere suddivisi in effetti a breve termine (irritazione) ed in effetti a lungo termine (disturbi cronici dei bronchi e cancro) [3]. L irritazione compare quando le fibre hanno una lunghezza superiore ai 5 µm. Le reazioni allergiche sono causate anche da certi leganti usati nel prodotto fibroso, come le resine fenolo-formaldeide. Gli effetti non maligni a lungo termine sui bronchi sono asma, bronchiti croniche e fibrosi polmonare. Attualmente, i ricercatori ritengono che i rischi per la salute siano determinati dalle dimensioni delle fibre: fibre con un diametro di 3 µm, una lunghezza superiore ai 5 µm ed un rapporto lunghezza/diametro maggiore di 3 sono indicate come rischiose. Nella lavorazione possono esserci in circolo frammenti di dimensioni entro i 13

14 limiti riconosciuti pericolosi: va tenuto presente, a tal proposito, che le fibre minerali e di vetro possono solo spezzarsi diametralmente, per cui la lunghezza decresce ma il diametro (e perciò il rischio per la salute) rimane uguale. Non sono stati approfonditi studi sui rischi per la salute causati dall uso di fibre cellulosiche, ma probabilmente i rischi maggiori sono causati dalla crescita di funghi e microbi ed anche dalla polvere, come si è riscontrato ad es. nell uso della paglia umida (a T>40 C). Sostanziali quantità di polveri dannose per i polmoni sono generate anche durante il processo di essicamento del lino come conseguenza del processo di macerazione, che distrugge il floema [v. App.D]. Tab. 1.4 Prezzi (a) e volumi di produzione (b) delle principali fibre vegetali e sintetiche [4] Nella Tab.1.5 sono confrontate le proprietà fisiche (densità, diametro) e meccaniche delle principali fibre vegetali di interesse applicativo nel settore dei compositi con quelle delle tipiche fibre sintetiche. Dai dati riportati risalta in primo luogo l ampio range di variabilità della resistenza tensile e del modulo, in alcuni casi anche dell allungamento percentuale a rottura: le proprietà meccaniche variano considerevolmente lungo una fibra vegetale e da fibra a fibra a causa dell irregolarità della sezione trasversale e della conseguente disuniformità del diametro lungo l asse. Questa variabilità morfologica è dovuta alla particolare struttura istologica delle fibre vegetali [ D.1.1], che sono costituite da fasci (strand) di piú fibrille cementate tra loro dalla lignina ciascuna delle quali a sua volta è 14

15 formata da celle elementari allungate le cui pareti sono strettamente saldate tra loro da sostanze pectiche. Tab. 1.5 Proprietà meccaniche di alcune fibre vegetali [4] Ad esempio per il lino, la piú tipica fibra liberiana, il numero di fasci in uno stelo varia da 15 a 40 e ciascun fascio contiene da 12 a 40 fibre elementari [3]. Fig. 1.3 Disegno schematico di uno stelo di lino ridotto progressivamente a microfibra. Sono indicati anche i settori applicativi di ciascuna forma fibrosa. [7] Ne consegue che i valori di diametro e di sforzo a rottura dipenderanno dal grado di separazione fibrillare raggiunto, nonché dall eventuale danneggiamento accidentalmente introdotto nell operazione di separazione. 15

16 Sui dati fisici e meccanici, quindi, c è molta discordanza in letteratura; ciò non meraviglia, considerato quanto si è detto circa l incoerenza della qualità delle fibre vegetali ed i molteplici fattori che la condizionano. Si può notare comunque che tra le fibre vegetali il cocco mostra la piú bassa resistenza tensile: ciò è attribuito al basso contenuto di cellulosa (36-43%) e all elevato valore dell angolo microfibrillare (41-45 ) [Tab.1.2]; viceversa, nel caso del lino o del ramiè l alto contenuto di cellulosa ed un basso angolo microfibrillare si riflettono in un alta resistenza tensile, sebbene questa non possa in generale essere correlata esattamente a quei due fattori a causa della complessità di struttura. Fig. 1.4 Lunghezza di rottura in funzione dell allungamento % di alcune fibre [4] Nella Fig.1.4 è rappresentato l andamento della lunghezza di rottura (detta anche tenacità) in funzione dell allungamento % di alcune fibre vegetali (lino, canapa, cotone, sisal, ramiè, abete rosso): tale lunghezza è una misura specifica in uso nell industria tessile, equivalente in pratica ad un indice di resistenza rapportata alla densità [8], che identifica la lunghezza alla quale una fibra, fissata ad un estremità, si spezza a causa del proprio peso. Spiccano il comportamento della canapa, che presenta una rigidità piú alta persino della fibra di vetro elettrico, e quello del cotone, che mostra un allungamento a rottura molto alto (anche superiore al 10%) e per questo è inutilizzabile come rinforzo per biocompositi. A dimostrazione della divergenza di dati sulle caratteristiche delle fibre vegetali riscontrata in letteratura, riportiamo infine nella pagina seguente un compendio di quanto raccolto da altre fonti, con un interessante confronto tra i valori di resistenza meccanica e di costo rapportati all unità di peso che sottolinea la convenienza 16

17 economica delle fibre vegetali abbinata ad una penalizzazione relativamente contenuta delle prestazioni: il lino, ad es., si avvicina decisamente al livello delle fibre di vetro, mentre la ginestra e la juta, inferiori dal punto di vista meccanico rispetto al lino, presentano però un costo relativo da 3 a 5 volte piú basso. Fibra Densità [kg/m 3 ] Carico di rottura [MPa] Resistenza specifica [MPa m 3 /kg] Costo relativo [$/kg] Carbonio Vetro Ginestra Ramiè Cotone Juta Lino Canapa Sisal Cocco Banana Ananas Palmyra Tab. 1.6 Confronto di dati fisico-meccanici ed economici di fibre sintetiche e vegetali [3, 9 11] 17

18 1.3 SVILUPPO DI BIOCOMPOSITI I compositi ottenuti dall accoppiamento di fibre vegetali con matrici polimeriche sintetiche possono offrire una nuova classe di materiali, ma non risolvono ancora completamente il problema della biodegradabilità totale. Nel 1989 il DLR (Deutsches Zentrum für Luft und Raumfart e. V.) Institute für Strukturmechanik sviluppò per primo l idea innovativa di sperimentare l utilizzo di biocompositi [8]: ovvero compositi ottenuti dall inclusione di fibre vegetali (quali lino, canapa, ramiè, ecc.) in matrici polimeriche biodegradabili costituite da derivati della cellulosa, dell amido, dell acido lattico, ecc. In tal modo, essendo biodegradabili entrambi i componenti di base, ci si aspettava che lo fosse anche il composito risultante. Da allora le realizzazioni pratiche di biocompositi sono rimaste assai limitate o confinate a livello puramente sperimentale, a causa o del costo non ancora competitivo poli(idrossibutirato), poli(idrossibutirato-co-idrossivalerato) o per le proprietà non soddisfacenti: solubilità in acqua poli(vinilalcool), amido, punto di fusione troppo basso poli(caprolattone) o PCL, degradazione troppo lenta acetato di cellulosa, acetato-butirato di cellulosa, CP o prestazioni meccaniche insufficienti poli(estereammide) o PEA. In ogni caso, le eventuali realizzazioni si configurerebbero come applicazioni non strutturali e non critiche, in cui sia richiesta una moderata resistenza meccanica e termica. Questo è il caso, ad es., del composito verde studiato recentemente da Luo e Netravali [12 13], costituito da fibre di foglia di ananas in una resina di poli(idrossibutirato-co-valerato) (PHBVs): un copolimero biodegradabile prodotto da una vasta gamma di microrganismi, dalle proprietà meccaniche comparabili a quelle delle termoplastiche tradizionali (polietilene e polipropilene) ma per ora dall alto costo. I due ricercatori hanno indagato le proprietà interfacciali e meccaniche di laminati di compositi contenenti piú strati di fibre unidirezionali o bidirezionali al 30% in peso, quantificando il notevole incremento in direzione longitudinale del modulo di Young, del modulo flessionale, della resistenza tensile media e di quella flessionale rispetto alla resina vergine di PHBV. Jiang e Hinrichsen, invece, hanno ottimizzato i parametri di processo e caratterizzato le proprietà meccaniche (flessionali e tensionali) di laminati di biocompositi ottenuti pressando a caldo film di PEA prodotti dalla Bayer e mat di fibre di lino e cotone (processo film stacking) [14 15]: i loro test meccanici dimostrano che la 18

19 resistenza meccanica dei compositi PEA/cotone e PEA/lino è superiore a quella dei compositi PP/lino, in virtú di una migliore adesione fibra-matrice. Una classificazione dei polimeri biodegradabili in base alla famiglia chimica del materiale è rappresentata nella tabella seguente. Tab. 1.7 Classificazione di polimeri biodegradabili in commercio [4] 19

20 Nella categoria dei polimeri a base di amido (starch plastics) figura anche il Mater-Bi, oggetto di studio di questa tesi [Cap.4-5]. L amido è un polisaccaride ad alto grado di polimerizzazione costituito da molecole di glucosio unite tra loro da legami α-glucosidici. La formula generale (C 6 H 10 O 5 ) n, dove n è superiore a 1000, rispecchia solo grossolanamente la sua struttura. Infatti il prodotto naturale è formato da due polimeri con diverso peso molecolare [Fig ]: il primo, l amilosio, è lineare e spiraliforme, si scioglie in acqua surriscaldata e presenta solo legami α-1,4-glucosidici; il secondo, l amilopectina, ha un peso molecolare molto superiore ( unità monomeriche), è insolubile in acqua ed ha una struttura ramificata (segmenti lineari di unità 1,4-glucosidiche congiunte da unità con legami 1,6). Molti amidi contengono 75-80% di amilopectina. Fig.1.5 Formula di struttura spaziale A) dell amilosio e B) dell amilopectina [1] L amido è ottenuto industrialmente da patate e cereali (mais, frumento e riso) e, oltre che nel settore alimentare, è utilizzato tal quale in applicazioni cartarie, minerarie (perforazioni petrolifere) e nella produzione di adesivi. Le sue applicazioni sfruttano di solito le proprietà colloidali che il polisaccaride presenta in acqua, con cui forma una massa gelatinosa a C (punto di gelatinizzazione) ed un sol a temperature superiori, mentre le frazioni a minor peso molecolare passano in soluzione. 20

21 Fig. 1.6 Formula di struttura dell amilosio e dell amilopectina [4] Una proprietà molto importante da un punto di vista industriale è la facile idrolisi acida ed enzimatica del legame che unisce le unità glucosidiche. La demolizione può procedere completamente fino a D-glucosio, prodotto di base di numerosi processi di fermentazione: Alcuni enzimi, come la β-amilasi, bloccano invece l idrolisi a maltosio, cioè al disaccaride formato da due nuclei glicosidici. Una parziale idrolisi o un ossidazione blanda trasformano l amido in materiali indicati genericamente come amidi modificati. Come tutti i polimeri di origine naturale, l amido deve essere modificato fisicamente o chimicamente per poter essere processabile come resina termoplastica: può essere convertito in materiale termoplastico (starch plastic) usando adiuvanti, per es. glicerolo o acqua; un altra soluzione frequentemente adottata per migliorarne le proprietà è quella di aggiungere copolimeri, eventualmente di origine petrolchimica (come è stato fatto per alcune classi di Mater-Bi); risultati analoghi si ottengono anche per parziale o completa esterificazione dei gruppi ossidrilici nelle catene laterali con acidi organici a catena corta (come l acido acetico) o aggiungendo plasticizzanti (cosí si 21

22 è ottenuto lo Sconacell A) [8]. L amido modificato con questi metodi può offrire un interessante alternativa ai polimeri sintetici in quelle applicazioni in cui non è richiesto un lungo tempo di vita ed in cui una rapida degradazione costituirebbe viceversa un vantaggio. Biopolimeri possono anche essere ottenuti applicando metodi di sintesi biotecnologica, in molti casi per fermentazione da parte di microrganismi. Il poli(acido idrossibutirrico) (PHB) ed i suoi copoliesteri sono citati come il piú importante esempio di biopolimeri fermentati (per es. il Biopol). Dalla Tab.1.8 si può notare come, dal punto di vista dei prezzi di produzione, in generale le plastiche biodegradabili non siano ancora competitive con le commodity sintetiche tradizionali: ciò spiega il loro limitato uso industriale. Le resine a base di amido prodotte dalla Novamont, ad esempio, hanno un costo medio di $/kg, contro 0.73 $/kg per il polipropilene e 0.9 $/kg per il polietilene a bassa densità. Tab. 1.8 Confronto dei prezzi dei termoplastici biodegradabili/tradizionali [4] 22

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